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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO
ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
SERIE TERZA
VOLUME XVII — ANNO XXIX
MILANO
SEDE LIBRERIA
DELLA SOCIETÀ ' FRATELLI BOCCA
Castello Sforzesco ! Corso Vitt. Em.. 3i
1902.
La proprietà letteraria è riservata agli Autori dei singoli scritti
Milano - Tip. Edit. L. F. Cogliati - Corso P. Romana, 17.
IL PROBABILE ITINERARIO
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARCIVESCOVO DI MILANO
DA UN SUO AUTOGRAFO INEDITO
|i aflFretto ad avvertire che l'autografo d'Ariberto, che il
titolo sopra accenna, non è che una semplice sottoscri-
zione del nostro grande e famoso arcivescovo; ma non
per questo esso è meno significativo e, come spero di mostrare,
veramente suggestivo. Del resto la nostra sottoscrizione si trova
in un documento abbastanza ampio, anch'esso inedito, e, non solo
perchè inedito, abbastanza interessante. £ del documento e della
sottoscrizione dirò più largamente appresso, dell'uno e dell'altra si
darà la riproduzione e diplomatica e fototipica in fine.
In sul principio del 1037 Corrado II, per la via del Brennero,
tornava in Italia e per Brescia e Cremona si affrettava a Milano.
Le cose erano molto mutate da quelle ch'erano al tempo della
prima sua discesa nel marzo del 1026. Allora Ariberto, nostro ar-
civescovo fino dal 1018, lo accoglieva a festa e lo incoronava re in
Sant'Ambrogio, ed al dire di Wìppone (i), gli forniva per ben due
mesi e più suntuose vettovaglie : regalem victutn sutnptuose, men-
tr'^li nemini cedens nisi soli Deo et caloribus aestivis (è sempre
lo storico di corte che parla), era venuto cercando refrigerio e ri-
poso nelle boscose montagne di quella regione ultra Padum od
ultra Atim /luvium, la cui identificazione non meno che quella con-
nessa del fiume ha tanto vessato i critici fino ai giorni nostri (2).
•
(i) WiPONis, yita Chuonradi Imp. in Mon» Germ,, SS., XI, pag. 265
(2) CL H. Bresslau, JahrbUcher des Deutschen Reiches unter Kon
rmd, II Bd, Leipzig, 1879, pag. 133, 452 e segg.; C. Cipolla, Di un luogo
eotUrofverso delio storico Wippone, in Archivio Stor. Lomb, XVIII, 1898,
6 IL PROBABILE ITINERARIO
In quella vece nel 1037 T imperatore scendeva corrucciato e mi-
naccioso; si buccinava largamente che ascosa nelle pieghe del
manto imperiale egli portasse la disgrazia del fino allora onnipo-
tente metropolita milanese : i costui fedeli ne erano fortemente im-
pensieriti, ne sogghignavano i malcontenti e gli emuli.
Accenno a cose notissime. Un tumulto, del quale Corrado crede
Ariberto stesso occulto autore, dà il segno della lotta aperta. L'im-
peratore furente indice una solenne dieta a Pavia, dove s'affretta,
ingiungendo ad. Ariberto di colà seguirlo : là egli vuole udire i
lamenti e le querele di tutti per ristabilire fra tutti la giustizia e la
pace. La grande adunanza ebbe luogo verso la fine di marzo (i):
un vero uragano di querele si leva contro il nostro arcivescovo,
le sue prepotenze, i suoi abusi di potere e le sue usurpazioni. Al-
l'invito dell'imperatore di scolparsi e di restituire egli prende
tempo a riflettere ed a consigliarsi cogli amici; pressato e pre-
gato poi dai grandi a rendersi all'ordine imperiale, risponde quella
fiera parola ; « né a preghiera né a comando di chicchessìa ». D
guanto era lanciato, 1' imperatore lo raccolse: egli intima al ribelle
metropolita gli arresti, e affidatolo alla custodia di Corrado duca
di Carinzia ed a Poppone patriarca d'Aquilea, se lo fa condurre
dietro fino a Piacenza, dove egli s'accampa col suo esercito, proba-
bilmente tra il Po e la Trebbia, come più sotto è detto; sulla Trebbia
é il luogo destinato alla custodia del grande prigioniero (2). Come la
pag. 156 e segg. 11 signor G. Pagani, Che fiume sia TAtis e di che paese 1
** loca montana » ecc. di ìVippone, ibid. XIX, 1892, pag. 5 e segg.;
quasi ad redimendam vexam, propone di emendare Atis in Utis e Mi'
diolanensis in Mutiianae, trasportando la dimora di Corrado nell'Appen-
nino, oltre il fiume Montone, e deferendo all'arcivescovo di Ravenna il
dispendioso onore di vettovagliarlo. La proposta mi pare altrettanto
ingegnosa che probabile, tanto più che le viene in appoggio la circo-
stanza al signor Pagani non isfuggita che nel 1026 era ancora arcive-
scovo di Ravenna un Eriberto, e si sa che Eriberto fu spesso scritto
invece di Ariberto per indicare il nostro celebre arcivescovo. Or, se è
difficile il supporre che questa celebrità del nostro abbia indotto un copista
ignaro del coevo Eriberto di Ravenna a scrivere nel citato passo di Wip-
pone ab episcopo Eriberto invece di ab ep. medioianensi, non mi pare punto
improbabile che essa abbia potuto concorrere a far tramutare un primi-
tivo Mutilane in Mediolane, Mediolanù
(i) H. Bresslau, Op. cit» Il Bd., 1884, pag. 230.
(2) Landulfi, Historia Mediolanensis in Mon. Germ*, SS., Vili, pag. 59*
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO
cosa venisse sentita in tutta Italia e principalmente a Milano, è ben
fadle imaginare anche senza le drammatiche, e, diciamolo pure, al-
quanto enfatiche descrizioni del nostro Landolfo, quello vecchio (i),
ripetute poi spesso dagli storici nostri (a). Anche più facilmente si
immagina la festosa maraviglia e il tripudio dei nostri lontani antenati,
quando Ariberto, sfuggito alla custodia dei tedeschi, ricomparve in
mezzo a loro. Qui anche il sobrio e scarno Arnolfo quasi non la
cede a Landolfo (3).
D'accordo gli storici e cronisti nostri e stranieri nella so-
stanza del fatto ed in alcime poche circostanze, differiscono non
poco tra di loro in parecchie altre. Già nel determinare i motivi
ddla cattura di Ariberto la differenza è manifesta, e non mancò
tra gli ultramontani chi si spingesse fino ad incolparlo di avere
proditoriamente attentato alla vita dell'imperatore (4); si capisce
come le fantasie potessero, anzi dovessero, infervorarsi.
Possiamo ritenere per certo che il prigioniero fu portato e cu-
stodito sulla Trebbia. Landolfo nostro lo afferma esplicitamente e
semplicemente : iuxia flumen quod Trebia vocatur : e gli viene a
conferma il fatto probabilissimo che lì stesso s'accampava con le
sue truppe V imperatore tedesco. 11 triangolo formato dalla Trebbia
e dal Po all'ovest di Piacenza offriva all'uopo una posizione na-
turalmente custodita e difesa. Infatti sulla Trebbia, in campis pia-
centinis iuxta fluvium Triviantj troviamo accampato l' imperatore
a* 7 di maggio del 1037, quando di ritorno da Ravenna, dove aveva
celebrato la Pasqua, si dirigeva contro Milano, rifacendo verisimil-
mente la strada percorsa un mese prima: è pure l'opinione dello
storico di Corrado II (5). Un'altra cosa certa si è che la custodia
del grande prigioniero non dovett'essere molto rigorosa : forse la
(i) Ibid., pag. 607.
(a) Poggiali, Memorie storiche di Piacenaa, 111, Piacenza, pag. 302 e
se^. ; GiuLiNi, Memorie, ecc., II voi., Milano^ '954» pag. 222 e segg. ; C. An-
50H^ Monumenti della prima metà del secolo XI spettanti aWarcivescovo
di Milano Ariberto da Entimiano, Milano, 1872, pag. 39; Bresslau, 1. e, 11»
pag. 235 e segg. ; W. v. Giesebrecht, Geschichte der deutschen Kaiseraeit,
ff Aufl., Leipzig, 1885, II» pag- 320 e segg.
(3) Arkulfi, Cesta Archiepp, Mediolanem, in Mon. Germ., SS», Vili,
pag. 15.
(4) Annaits Altahens. major,, ib. XX^ pag. 729.
(5) Bresslau, Op. cit., II, pag. 239.
8 IL PROBABILE ITINERARIO
sua Stessa grandezza lo imponeva; e del resto abbiamo consen-
zienti l'Annalista Sassone (i), che lamenta Ariberto da Poppone
liberius debito habitus, e Landolfo, che ai tedeschi non ne risparmia
lina; eppure confessa che Ariberto fu detentus, non tamen constrictus,
ut aia damnati solent, sed curialiter a Teutonicis tnunitus. Il che
bastava certamente, perchè Ariberto stesso, in un documento sul
quale dovremo tornare, potesse poi dirsi miserabiliter captus ; tra-
ditus custodiae ; telis, mucronibus circumseptus.
Altra cosa certa : Ariberto si è salvato con l'aiuto e la coopera-
zione dei suoi fedeli, egli stesso nel documento accennato li ricorda
non meno dei suoi santi : suffragiis nostrorum sanctoruntf antntini-
culo et (forse per etiam) fideliutn nostrorum; ma più che ad altri
egli nel documento stesso attribuisce il merito della sua fuga ad
un Albizone monaco, che chiama suo fedelissimo, noster fidelis-
simus Albizo a cunabulis monachus sub patre et regula ree te nutritus,
come si vede, oblato- prima anjcora che monaco. Anche Landolfo
introduce un fidato intermediario tra il prigioniero e l'abbadessa di
S. Sisto per concertare con essa la nota maniera di approfittare
della voracità e ghiottoneria dei custodi. Wippone parla di un fami-
liare dell'arcivescovo sostituitosi a lui nel letto in quo iacere solebat e
tenutovisi nascosto sotto le coperte fino ad evasione compiuta.
L'Annalista Sassone poi dice espressamente d i un quodam suo mo*
nacho ntachinante, che solo gli era stato lasciato per compassione^
miserationis causa.
Non è del pari certo, anzi né anche probabile, l'accennato in-
tervento della famosa abbadessa. Ariberto non ne parla, e troppo
difficilmente, ben nota il Bresslau (2), avrebbe dessa solo un anno
più tardi, nel marzo del 1038, ottenuto un privilegio molto grazioso
dallo stesso imperatore Corrado, al quale avrebbe giocato un così
bel tiro. Dove, se non erro, può anche notarsi che il nostro Lan-
dolfo, oltre al darsi l'aria di riferire testualmente le parole del-
Tabbadessa ai cooperatori della fuga (particolare che non è punto
fatto per conciliare intera fede alla sua narrazione); si contra-
dice non poco, mentre, dopo aver presentato il piano della fuga
stessa come combinato fra l'abbadessa e l'arcivescovo, ci presenta
quest'ultimo come renuente, così da dover essere da' suoi svegliata
(i) Mon, Germ., SS., VI, pag. 680; cfr. Landolfo, l. e.
(2) L. e, II, pag. 236, (nota 2).
» T
• W^'
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO 9
e trascinato via quasi per forza e scalzo, complimenti invero su-
perflui dal momento che la cosa era combinata; tanto più superflui
in quanto che i tedeschi erano oppressi dal vino, dai dolciumi, dalle
noci, così che nessuno sentiva più nulla, netnine illorum sentente,,
sempre secondo Landolfo.
Un altro punto che si può mettere fuor di dubbio è che Ariberto
fuggi primamente a cavallo : anche qui a Landolfo viene in appoggio
Wippone, e si può ben prestare intera fede alla concorde testimo-
nianza dei due. Landolfo rimane in quella vece tutto solo a dirci
die Ariberto raggiunse coi compagni, a cavallo, il porto, ad portum
quam ciiissime pervenerunt ; ed era già montato in una nave^
quando sopraggiunsero i tedeschi riempiendo le spiaggie di terribili
grida, e invano cercandolo colle fiaccole nelle tenebre della notte.
Qui le difficoltà a seguire il nostro vecchio storico si fanno mag-
giori che mai. Innanzi tutto di che porto egli parla? Tutti (i)
hanno inteso di un porto o traghetto, del Po. Giò verrebbe a dire
che i furtivi si gettarono all'aperta campagna, sulla pianura tra
Piacenza e Pavia. È credibile ? Non era il più imprudente dei par-
titi ? Troppo facile doveva riuscire ai tedeschi l'organizzare subito
un ins^uimento su larga scala. In loro mano dovevano essere i pas-
saggi del fiume, ch'essi avevano pur dovuto superare venendo. E se
Ariberto venne ad un porto, come mai non vi si trovò altra nave
per inseguirlo? E come potevano i fuggenti, parecchi, capire coi
cavalli in una sola nave ? Che lasciare i cavalli era un evidente
esporsi a sicuro raggiungimento; né Landolfo, che pur entra in
tanti, in troppi particolari, si prende la cura di avvertire che ca-
valli freschi attendessero i fuggiaschi sulla riva sinistra del Po.
Gli è che agli altri già accennati motivi di dubitare della piena e
perfetta attendibilità di Landolfo, quando egli è testimonio unico
e solo, vuoisi aggiungere quest'altro, che egli non fu nel vivo delle
cose che narra e non le scrisse se non verso la fine del secolo XI
e fors'anche nei primi anni del XII (2).
Ancora in un particolare Landolfo s'accorda coll'Annalista Sas-
sone, e non con lui solo (3), nel notare cioè che la fuga di Ari-
(1) Cfr. autori e luoghi citati.
(2) Wattenbach, Moti. Germ.f SS., VIII, pag. 32, 33.
(3) Landolfo nostro dice che Ariberto sulla Trebbia per aliquot dies
mora/MS quievit ; l'Annalista : post aliquot dies fuga lapsus evasit; gli An-
nali Altahen. cit. : aliquamdiu retentus.
IO IL PROBABILE ITINERARIO
berto avvenne dopo pochi giorni di prigionia, e non dopo due mesi,
pei quali rimane solo Arnolfo nostro. £ la costui autorità è certa-
mente grandissima, ma, come vedremo, il suo modo di esprìmersi
può spiegarsi senza di tanto ritardare la fuga. Al rìtardo poi si
oppone il fatto che già a' 7 di maggio del 1037, dunque a poco più
di un mese dalla cattura di Ariberto, l'imperatore era già di ri-
tomo a Piacenza, per non dir altro. £ infatti i più autorevoli fra
gli storici moderni stanno pei pochi giorni, non pei due mesi di
prigionia, che è quanto dire che stanno per la pronta fuga. Crederei
di poter aggiungere che Ariberto stesso nel già indicato documento
accenna bensì alla lunghezza della prigionia del suo fedelissimo Albi-
zone, ma non della sua (i). Ma d'altra parte, ridotta a pochi giorni
la prigionia, l'itinerario della fuga attraverso il Po e la pianura
lombarda diventa sempre meno ammissibile. Come non pensare che
quelle vie e quei luoghi potevano, e molto probabilmente dovevano,
essere tuttavia ingombri dai posti di retroguardia dell'esercito im-
periale? £ppure quell'itinerario è comunemente ammesso dagli sto-
rici; ma, come spero d'aver mostrato, esso urta contro difficoltà
gravissime, per non dire addirittura insormontabili. Ma ce n'è un
altro da sostituire? C'è, e, se nulla vedo, molto ammissibile.
Ce ne mette sulle tracce quello stesso documento di Ariberto
al quale ho già più volte accennato promettendo di tornarci sopra
più di proposito. £sso è tanto iiliportante e, a parer mio, tanto
drammatico e suggestivo, che mi pare di doverlo riportare nella parte
che riguarda il caso nostro, benché già edito e dal Campi (2) e dal-
l'Ughelli (3), e poscia più volte citato ed allegato in parte (4), ma
sempre riferendosi all' Ughelli, che, a diflferenza del Campi, non lo
vide e lo ripubblicò con non poche mende, esempio da altri pur
troppo imitato.
Si tratta dunque di una bolla arcivescovile data in Cassano
sulla fine di marzo del 1040, quando £nrico III già era succeduto
(1) E probabilmente il fedele Albizone non venne liberato che alla
morte di Corrado II : cfr. Bresslau, 1. e, II, pag. 236.
(2) P. M. Campi, Dell' Historia ecclesiastica di Piacenza^ Piacenza, 165 1,
Parte I, pag. 324, 507, dove anche accenna all'esistenza del docum. : In
Archivio jurium Abbatiae Tollae,
(3) Ughelli, Italia Sacra, IV, Veneto, 17 19, coL 103.
(4) Mabillon, AnnaL Ord. S. Bened.^ lib. LVIII, n. XVI, a. 1040 j
GiULiNi, 1. e, pag* 2162 e segg.
V
V
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC DI MILANO H
a Corrado II. Con questa bolla Ariberto faceva larghe concessioni
all'antica abbazia di S. Salvatore del monte ToUa; ma non esse qui
importano, sibbene la motivazione che l'arcivescovo stesso ne dà
facendosi nel tempo stesso lo storico della propria cattura, e fuga.
Dice dunque : ... Sicut per hoc decretum nostrum quod stabilitnus,
fmd constituimus, aperimtis ac pandimus ; ita et per idem quae causae
ut hoc constittieremus extiterint, claudere et occultare nequimus. Quis
ftostrae captionis, quis nostrae etiam ereptionis inscius est, et nesciat
quod ab homine miserabiliter captus, et a Deo sim mirabiliter libe-
ratus? Quis ignarus est nos suffragiis nostrorum sanctorum, ammi-
tticulo et (sic, forse per etiàm) fidelium nostrorum una nocte hostiles
cuneos evasisse? Amnes quoque rapidos transmeasse? tandemque cum
vinci et a priori exaltatione deiici expectaremus, in eadem tamen usque
hodie permanemus, Traditus itaque custodiae, telis, mucronibus circum-
septus (Ughelli circumspectus) inter reliqua nocte quadam (Giulini ea
nocte, Mabillon interim aliqua nocte) hoc specialiter devovimus, ut, si
sancti ac Domini Salvator is ope nos inde erui evenirci, eius ntonasterium
in praedicto monte (Tolla menzionato sopra nella bolla) situm dignis
muneribus augeremus, quod effectum (Ughelli effectus) ut cunctispalam
est obtinuit,,, seguono le concessioni di terre esistenti in comitatu et
infra Episcopatum placentinae Ecclesiae, poi seguita: Verum post no-
stri Salvatoris honorem, vel magis ad hanc largitionem non (Ughelli
nos) ammonuit et impulit noster fidelissimus A Ibiza, a cunabulis
monachus sub patre et regula recte nutritus, a nobis nuper nominati
coenobii abbas effectus, nostris in omnibus iussibus obsequens, qui
genti ferocissimae se immiscuit et, ut nos, sicut Deo auxiliante con-
tigit, liberaremur, capi, vinciri, fame silique confici et contumeliis
affici per lui il ac dilexit,,..
Basta leggere, parmi, per vedere subito come questo docu-
mento innanzi tutto confermi ad una ad una tutte le osservazioni
che dal medesimo abbiamo più sopra desunte. Ma poi altre ne sug-
gerisce. Ariberto non parla né del Po né della nave, ma semplice-
mente del passaggio di rapide correnti, amnes rapidos transmeasse,
parole che fanno piuttosto pensare a' torrenti, de' quali suol essere
ricca la montagna, massime in primavera.
Alla montagna ci invita pure la ripetuta menzione del monte
Tolla e dell'abbazia di S. Salvatore in esso sita.
E si noti che non la sola e stessa notte dell'evasione, come il
12 IL PROBABILE ITINERARIO
Giulini ed altri (i) mostrano di credere e fanno credere, a quel
monte ed a quell'abbazia si volse il pensiero del prigioniero, ma
già prima, quadant nocte^ durante la prigionia stessa.
Ora Tabbazia di S. Salvatore del Monte Tolla si trovava vin-
colata da rapporti strettissimi al metropolita milanese. È un pimto
nella fattispecie da nessuno, ch'io mi sappia, fin qui contemplato,
e che pur merita, se non erro, tutta la considerazione, e ci avvia
alla soluzione di tutti i dubbi.
Di antichissima fondazione (2) e già ricca e potente per ampie
possessioni, l'abbazia di S. Salvatore del Monte Tolla con l'annessa
chiesa, è oggidì così completamente scomparsa, che quasi nessuna
traccia ne rimane sul terreno rapinato dalle acque torrenziali. Ai
giorni del Campi (3) ancor si vedeva e, quantunque ridotta a com-
menda, conservava i segni dell'antica grandezza. Sorgeva nell'alta
valle dell'Arda, nell'Appennino, a ovest-sud-ovest di Piacenza, sul
versante meridionale del monte Tolla, quello stesso che le carte
ancor oggi indicano col nome di monte ToUara (4), a circa un miglio
a nord di Vernasca (Lavernascum)^ sl quattro incirca a sud di Spe-
rungia (Spelunca) (5): due località ancora esistenti; così che il luogo
dell'abbazia viene a coincidere con quello tutto dì occupato dalla
remota e povera parocchia di Monastero in diocesi di Piacenza. Si
disse e ripetè che S. Salvatore di Tolla appartenevano al giuspa-
tronato dell'arcivescovo di Milano (6); ma è molto inesatto. Se nel
secolo ottavo il vescovo di Piacenza vi asserisce la sua giurisdi-
(i) Cfr. GiESEBRECHT, 1. c, pag. 321, dove, erroneamente, suppone che
l'abbazia di S. Salvatore fosse in vista di Piacenza, sulla via da questa
al Po.
(2) Campi, 1. e, I, pag. 176, la assegna verosimilmente al secolo VII.
(3) Gp. e I. cit.
(4) Molossi, Vocabolario topografico dei Ducati di Parma^ Piacenza
e Guastalla) vedi Tolla. Devo questa indicazione, con qualche altra intomo
alla desolata condizione dei luoghi di cui parliamo, al R.mo dott. G. To-
noni, arciprete di S. Antonino di Piacenza ed illustre cultore degli studi
storici, che per essere stato prevosto di Lugagnano, al cui vicariato
foraneo appartiene la parrocchia di Monastero, ebbe occasione di visi-
tarli. Egli mi assicura che in atti pontifici del secolo XVIII Lugagnano
stesso è ancora detto essere nella valle di Tolla : a lui le mie sentite
grazie.
(5) Campi, 1. e, I, pag. 500.
(6) Annoni, 1. e, pag. 43; P. Rotondi, Ariberto d'intimiano, in Ar-
chivi Stor. Ital., Nuova Ser. XVII (1863), pag. 73.
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO I3
zione (i); nel secolo nono già non si fa più cenno di tale giuris-
dizione e si indicano invece molto chiaramente i confini tra i ter-
ritori della Chiesa piacentina e quelli della chiesa di S. Salva-
tore (a). Non molto in là dal principio del secolo decimo, re Ugo
e Lotario dicono apertamente che quest'ultima venne già dai loro
predecessori donata e soggettata alla Chiesa milanese (3); ed am-
piamente la esentano da ogni altra giurisdizione ed ecclesiastica e,
si noti| civile che non sia quella del metropolita milanese : e con
tutto questo quasi altro non facevano che ripetere un diploma di
Berengario del 902 (4). Il pontefice Stefano IX nel 940 interdice ogni
ingerenza neUa chiesa di S. Salvatore ai vescovi di Pavia, Piacenza,
Parma e Reggio, indicando chiaramente la vastità delle sue pos-
sessioni, ma poi sembra soggettarla direttamente alla Santa Sede,
quasi ignaro dei diritti giurisdizionali dell'arcivescovo di Milano (5).
Uà abbiamo un documento certo dell'esercizio che questo ne faceva
nel 963, con sentenza e decreto in favore della chiesa stessa ed a
sua richiesta (6).
(i) Campi, I. e, I, pag. 453 ed ivi privil. di re Ilprando del 744, rin-
novato da Ratchis nel 746.
(2) Cfr. i privilegi del 808 e del 880, presso Campi, 1. e, 455 e 465.
(3) Campi, I. e, pag. 240, 500.
(4) Ibid., pag. a6o, 500.
(5) Jaffè-Ewald, Regesta Pontificum Roman,^ Lipsiae, 1881, 3616.
(6) Campi, 1. e, pag. 492. Lo sparpagliamento, diciam così, delle giu-
risdizioni per via di concessioni, cosi frequente nel medio evo, doveva
portare con sé, e portò, lo sparpagliamento dei documenti in luoghi
affatto dissiti dai centri delle giurisdizioni stesse. È per me un vero
peccato che dell'Archivio di Tolla, come mi scrive il sullodato dott. To-
noni, non vi sia più traccia : chi sa non vi fossero documenti della giu-
risdizione arcivescovile milanese ben più numerosi che quelli pubblicati
dal Campi.... Di quello sparpagliamento, e più ancora, devo confes-
sarìo, della mia ignoranza, sono stato in qualche modo vittima nella
mia nota: Bolla arcivescovile milanese a Moncalieri, ecc. {Archiv. Stor,
Lomib. XXVni, 1901, pag. 5 e segg.), che chiudevo rinunciando a
spiegarmi come mai un documento spettante all'abbazia di Canna mi-
lanese, venisse a trovarsi a Moncalieri. L'abbazia di Canna apparte-
neva all'abbazia ben più nota di Fruttuaria, ed era pertanto benedet-
tina anch'essa, altro punto che mi rimaneva dubbio, nonostante che
risultasse già con certezza da un già vecchio lavoro del punto vec-
chio prof. G. Calligaris sull'abbazia di Fruttuaria (Un* antica cronaca
piemontesi medita ecc., Torino, 1889, in Publicaz, della Se, di Mag. ecc.,
V, pag. 103, 106, 112), che il P. Savio aveva la bontà di segnalarmi.
14 IL PROBABILE ITINERARIO
Nel 1014 Enrico II prende il monasterio di ToUa sotto la sua
protezione, lo riconosce già da suoi predecessori interamente lar-
gito e concesso, penitus largitum et concessum, alla Chiesa milanese,
esente pertanto da ogni soggezione al clero ed alla Chiesa piacen-
tina ; gli fa larghissime concessioni di luoghi e terre da Lugagnano
fino alla Vemasca (Sperungia era già nelle concessioni di Beren-
gario) (i); e proibisce a qualsiasi alto o basso funzionario dello Stato
di entrare nei confini di quelle terre senza consenso dell'abbate (2).
Nel 1148 papa Eugenio III, senza nulla concedere di nuovo, ri-
conosce e conferma la indipendenza della chiesa di S. Salvatore
di Tolla dai vescovi di Piacenza e di Parma, nonché la sua per-
tinenza e soggezione a quel di Milano, le conferma ancora e
prende in sua tutela tutte le possessioni che già si trova avere, e
nomina la chiesa di S. Dalmazio di Piacenza, Regiano, Castelnuovo,
Castel Arquato, La Vernasca, Sperungia, Molfascio, Mistriano, Ru-"
garli colle loro rispettive parocchie e dipendenze territoriali (3): e
se occorre qualche nome nuovo, non è, a quanto sembra, che per
meglio determinare i possessi antichi già in ogni caso estesissimi
dai primi colli piacentini al sommo della valle dell'Arda.
Ed ora si getti uno sguardo sopra una carta geografica alquanto
particolareggiata del distretto piacentino. Non dalla parte del Po, ma
precisamente dalla parte della Trebbia, a breve distanza dunque dal
luogo stesso dove Ariberto era tenuto prigione, si apriva e stendevasi
quasi senza soluzione di continuità fino al più alto Appennino un ter-
ritorio soggetto alla sua giurisdizione ed ecclesiastica e civile, chiuso
ad ogni altra, abitato da gente a lui legata da fedeltà di sudditi, con
un'abbazia ricca e potente, circondata e difesa da luoghi forti (tali erano
parecchi tra i nominati), ognun dei quali un inseguimento da parte
Venne poi la cortesia del chiariss. signor avv. E. Durando, che da tempo
si occupa del Cartario di S. Benigno di Fruttuaria, a dirmi che non
mancano accenni alla dipendenza da Fruttuaria della chiesa di Testona,
presso la quale sorse poi Moncalieri ; e mi aggiungeva tutto un piccolo
elenco di carte di Canna da lui già trovate. Ringrazio tutte queste bontà,
che mi permettono di chiarire e togliere i dubbi miei e da me forse
suscitati in altri.
(i) Vedi pag. prec, nota 4.
(2) Campi, 1. e, pag. 500; K. F. Stumpf, Die Kaiserurkunden, ecc., In-
sbruck, 18651883, n. 1612.
(3) Jaffè-Ewald, 1. e, 9278.
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO I5
degli imperiali poteva di ingerì venire arrestato o per lo meno ritar-
dato dai capiposto, non fosse che col pretesto di farsi esibire e di ri-
conoscere le ragioni eccezionali che permettessero la violazione di
franchigie dagli stessi imperatori concesse. È egli presumibile che le
speranze e i progetti di fuga non si volgessero a quella parte? Il voto
stesso di Ariberto in favore della chiesa ed abbazia di S. Salvatore di
Idia, d assicura della direzione presto presa dalle idee del prìgio»
niero; né si detrae punto alla sincera pietà del suo voto, anzi vi si ag-
giunge, mi pare, pensando che la ricca e potente abbazia si affacciò
subito alla sua mente come Tunica possibile base di operazione per
un piano di fuga. L'abbazia medesima, concessa in premio al princi-
pale cooperatore della fuga, mi sembra confermare in singoiar modo
una tale maniera di pensare. Le aspre vie della montagna, massime
in quella stagione, non potevano essere una difficoltà troppo grande
per un uomo della tempra di Ariberto, o se erano, lo dovevano es-
sere ben più per i suoi persecutori. Erano appena tre anni che Ari-
berto, anticipando gli ardimenti del primo Napoleone, senza antici-
parne, a quanto sappiamo, i magniloquenti e, diciamolo pure, gli
esagerati bollettini, aveva con rapida marcia valicato le Alpi al San
Bernardo, accorrendo alla testa delle sue truppe in aiuto di Cor-
rado n, che campeggiava nella Borgogna (i).
Vero è (prego d'un' altra occhiata alla carta) che, guada-
gnata l'altezza di S. Salvatore e di Molfascio, non rimaneva ad
Ariberto per venire a Milano che piegare su Bobbio, e di là di-
scendere per Tortona o per Voghera, girando tanto più al sicuro
quanto più al largo e in territori amici e a sé soggetti, le vie percorse
dalle truppe imperiali; ma appunto Bobbio poteva e doveva avere
speciali attrattive per il profugo. Era lassù un'altra abbazia, quella
tanto illustre di San Colombano, benedettina in fondo come quella di
S. Salvatore; e mentre abbiamo documenti parecchi delle querele
di quest'ultima contro i vescovi di Piacenza, di Parma, di Reggio (2),
non uno solo che ci mostri turbati i rapporti di pacifica vicinanza
con l'abbazia di S. Colombano, o col vescovo di Bobbio, fino al-
l'epoca alla quale risalgono i fatti, de' quali ci occupiamo (3). Giacché
(i) GiuuNi, 1. e, pag. 199 e segg. ; Annoni, 1. e, pag. 32.
(2) Cfr. quasi tutti i citati documenti e imperiali e pontifici.
(3) Ed anche tra l'abbazìa di S. Colombano e l'episcopio di Bobbio
non è che dopo il secolo XII che le contestazioni divennero altrettanto
l6 IL PROBABILE ITINERARIO
anche Bobbio da un quarto di secolo aveva il suo vescovo : pro-
babilissimamente una ragione di più, perchè il nostro arcivescovo
là volgesse i suoi passi. È noto come i vescovi dell'Alta Italia
facessero causa comune col metropolita milanese. Quello di Pia-
cenza, di Cremona e di Vercelli quasi concordemente son detti dai
contemporanei imprigionati al tempo stesso, se non Tistesso giorno,
che Ariberto; né mancò autore contemporaneo che facesse salire
a dodici il numero dei vescovi imprigionati e mandati a confine (i).
Né deve creare alcuna seria difficoltà la menzione, che di Corrado
imperatore si fa nel proemio, e l'altra che nel corpo stesso del do-
cumento che sto per pubblicare, dove le donazioni di Sigefredo si
dicono suggerite e determinate anche da speciale devozione all'im-
peratore medesimo. Non la prima, giacché era di prammatica ed
apparteneva al formulario di tutti gli atti consimili ; non la seconda,
perchè, come vedremo, si riferisce al tempo, che i rapporti fra Cor-
rado ed Ariberto, Corrado e Sigefredo, erano o parevano i più
cordiali.
Nulla dunque impediva che Ariberto si volgesse a Bobbio: tutto
anzi ve lo invitava. Ebbene il documento, che qui appresso per
la prima volta si pubblica, ci assicura che Ariberto é appunto pas-
sato a Bobbio, né in altro tempo fondatamente assegnabile fuor
quello della sua celebre fuga.
E, come avvertivo fin dal principio, una semplice e modesta sot-
toscrizione, modesta come quella che conveniva a chi, dopo tutto,
non poteva ancora dirsi pienamente sicuro del fatto suo: Ego Ari-
bertus dei gratta sanctae niediolanensis ecclesiae humilis archiepi-
scopi^ huic scripto cofiscensi (sic) subterque firmaui. La sottoscrizione
è certamente genuina e autografa ; basta a persuaderne un semplice
confronto colle sottoscrizioni autografe dello stesso Ariberto, che si
conservano nel nostro Archivio di Stato (2), ed anche solo con Punica
che io conosca di pubblica ragione in fac-simile (3).
frequenti che disastrose. Non a torto vi si riconobbe una delle cause
della decadenza degli studii e conseguentemente della biblioteca della
celebre abbazia. Cfr. Rossetti^ Bobbio illustrato, ecc., II I^ Torino, 1795,
pag. 26 e segg., 54 e segg. ; A. Peyron, M. T. Ciceronis.,,, fragtnettta^
Stuttgart e Tubinga, 1824, pag. Vili e segg.
(1) Annal, Altahens, major^ 1. e.
(2) Museo Diplomatico, tee, XL
(3) L. BoRRi^ Documenti varesini, Varese, 1891, pag. 440.
l8 IL PROBABILE ITINERARIO
ganei (i). La risposta è facile e categorica : il vescovo di Bobbio
non è mai stato suffraganeo dell'arcivescovo di Milano. Ma, dato
anche e non concesso, che giunto, poniamo, a Tortona, Ariberto
volesse spingersi fin lassù, sarebbe stato troppo presto, secondo
ogni probabilità storica, per poter sottoscrivere alla carta di Sige-
fredo, e ciò per la semplicissima ragione, che la carta non doveva
ancora esistere. O m'inganno, o ci dà ogni motivo e ragione a
pensare così un diploma già da tempo pubblicato di Corrado II (2).
E un privilegio da quest' imperatore concesso alla chiesa episco-
pale di Bobbio a' 23 di ottobre del 1027. In esso sono distinta-
mente e ripetutamente ricordate e confermate due carte di dona-
zioni alla stessa chiesa largite dai suoi vescovi Attone e Sigefredo :
gli stessi donatori, come si vede, che compaiono nel nostro docu-
meuto. Né sono soltanto gli stessi donatori, ma ancora le stesse
donazioni, gli stessi luoghi, le stesse terre largite.
È evidente che le due carte distinte rappresentavano in ordine
di tempo il primo e più antico stadio delle due donazioni, diremo
meglio, della loro documentazione. È già notevole che la mia carta
non fa più menzione delle due precedenti, e neppure del diploma
imperiale che le confermava: notevole sopra tutto quest'ultima cir-
costanza, come probabile indizio dei mutati rapporti fra il vescovo
di Bobbio e l' imperatore. Se voglia dirsi che forse e le due carte e
il diploma già più non si trovavano, sarebbe questo un altro indizio
che qualche non breve tempo era passato dal 1027. Ci sono altri,
non indizi soltanto, ma segni certi che le cose stavano appunto
così, e che dei buoni anni dovevano essere trascorsi, così da poter
venire all'anno 1037 o ben vicino ad esso con la redazione della
nuova carta, diremo così, cumulativa.
Innanzi tutto certi ronchi che dalla presa di possesso di Attone
nel diploma del 1027 sono detti aver cominciato a dar frutto ad
gingettdi (sic) frucium caeperunt crescere (3), nella carta di Sigefredo si
(1) L'anno 1028 è quello adottato dal Gìulini (I. e, pag. 162); ne
pare se ne possa fondatamente assegnare un altro ; Landolfo si esprime
molto vagamente. ^^Cfr. Wattenbach, 1. e., pag. 65, nota 89).
(2) Ughelli, 1. e., col. 926.
(3) Forse venne qui omessa la parola culturam prima di gifigendi,
errore questo del copista o del compositore ; è poi chiaro che gingendi
e gigendi stanno per gignendi.
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO I9
dicono oramai ridotti a regolare coltura; ad culturamque gigendi (sic)
fructus perducti ; dove la carta stessa aggiunge la circostanza nuova
che quei ronchi erano stati incendiati dopo V ingresso di Attone,
posteius adventum suo in episcopio combusti fuerunt Di più nel di-
]^oma imperiale compare un fondo sito nel luogo di Cuniolo, come
allora stesso lavorato da un massaro Canetto, qui laboratur,,» (i) per
Canettum Atassar ium, ricompare nella carta vescovile, ma con dici-
tura che accenna al passato : qui fuit rectus et laboratus per bene-
iictum carrictum ; dove fors'anche il massaro appare mutato, se
pure la differenza dei nomi va attribuita a corruzione del testo
neiruno o nell'altro luogo. Ancora: un prete Volando che reggeva
e lavorava due casatnentella, forse piccole masserie, che è men-
zionato nel diploma di Corrado, non compare più nella carta di
Sigefredo, né lui, né le sue masseriole. Finalmente l'ospitale di
Bobbio (2), che nel diploma imperiale del 1027, e precisamente nella
parte di esso che transunta la carta primitiva del vescovo Sigefredo,
si legge percepire condizionalmente una quarta porzione di decima
proveniente dal dominio episcopale, non compare più affatto neUa
carta seriore, che qui si pubblica, di Sigefredo stesso.
Come si vede, dopo la fin d'ottobre del 1027 di mutazioni ne
erano sopravvenute parecchie ; quante bastano, e più, per farci
pensare ad un buon numero di anni già passati quando la seconda
carta veniva redatta. Con che non è insignificante neppure il fatto
che la sottoscrizione di Ariberto appaia anche a prima vista trac-
ciata con inchiostro tanto notevolmente diverso, da farla supporre
posteriore al testo ed alla sottoscrizione probabilmente non auto-
grafa di Sigefredo, che immediatamente e dello stesso inchiostro
tien dietro al testo medesimo.
Riassumendo: l'itinerario che conduce il nostro profugo Ari-
berte dalla Trebbia immediatamente al Po e da questo a Milano,
presenta difficoltà ed inverosimiglianze quasi insormontabili ; invece
(i) I punti sono nella stampa dell* Ughelli prima di per; forse ten-
gono il posto di et regUur; ma non è impossibile che fosse scritto per
htntdicium Canettuni, corruzione questa di Carrictum o Can'ctttm, op-
pure quest# di quello.
{2) Si tratta certamente dell'Ospitale annesso all'abbazia. (Cfr. Ros-
^^Ti, L e, pag. 123 e segsj.) ; e forse la condizione, alla quale si accen-
nava nel 1028, era finché il vescovo fosse anche abbate.
20 IL PROBABILE ITINERARIO
r itinerario nostro offriva al prigioniero eccezionali garanzie di si-
curezza ed ogni probabilità di buona riuscita, si presenta per ciò
stesso come sommamente probabile, ed è reso poco men che certo
dalla comparsa di Ariberto a Bobbio in un'epoca che senza alcuna
difficoltà, anzi quasi necessariamente, viene a coincidere con quella
della sua evasione e fuga. Le principali circostanze notate dai cro-
nisti ritrovano nel nuovo itinerario il loro posto e la loro ragione
di essere: il cavallo, che dovette servire al rapido percorso della
prima e meno aspra porzione del cammino; la barca pel tragitto
del Po, che in un luogo o nell'altro dovette più tardi pur farsi;
i due mesi di Arnolfo, che possono bene esprimere, come suol dirsi,
in cifra tonda, il mese e mezzo, poco più, poco meno, che dovette
durare l'assenza di Ariberto da Milano, dalla sua dipartita subito
dopo la metà di marzo, fino alla sua ricomparsa alle porte della
città, tenuto conto dei giorni passati alla dieta di Pavia, dei pa-
recchi trascorsi sotto custodia sulla Trebbia, dei non pochi che il più
lungo, per quanto più sicuro, itinerario toccante Bobbio dovette di
necessità occupare.
Ho detto in principio, che, anche prescindendo dalla sottoscri-
zione di Ariberto, il nuovo documento non è senza qualche inte-
resse. Lascio da parte 1* interesse topografico e toponomastico, che
forse qualche studioso di cose bobbiesi potrà rilevare. Ma non può
sfuggire a nessun attento lettore quell'epiteto di secondo una volta
apposto al nome del vescovo Attone, e quello di terzo non una, ma
due volte apphcato al nome del suo successore Sigefredo.
È noto, non dirò lippis et tonsoribns, ma insomma è noto, che
fino, si può dire, a ieri la serie dei vescovi di Bobbio si incomin-
ciava comunemente col vescovo Attone (loi 7-1027), sebbene qualche
discussione sui primi inizi dell'episcopato bobbiese già da tempo
sia stata sollevata (i). £ uno dei tanti meriti di quel diligentissimo
cercatore e sagace critico di documenti storici che è il prof. Fedele
Savio di aver troncata ormai ogni questione, dimostrando con un
documento alla mano che prima di Attone sedette a Bobbio un
Pietro Aldo, vescovo insieme ed abbate di S. Colombano, ab-
bate fin dal 999, vescovo almeno fino al 1017 (2). L'unico lato de-
(i) P. F. Savio, Gii antichi vescovi del Piemonte, Torino, 1899, pag. 158
e segg.
(2) L. e, pag. 161 e segg.
DELLA FOGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO 21
boie, dal eh. A, notato, è che i] documento è in semplice copia del
secolo XII o XIII ed in caratteri spesso molto evanidi che ne ren-
dono difficile la lettura: ciò che non gli impedì, aiutato eziandio
dal eh. prof. C. Cipolla, di leggere e la data e il nome. Il nostro
documento sana anche quella debolezza, se ed in quanto era, con-
fermando e il documento e la lettura del eh. prof. Savio, non dico
nel particolare del nome e delle date, ma certo nella massima :
Attone fu il secondo vescovo di Bobbio, Sigefredo il terzo. Mi
pare anche di poter aggiungere che quell' inusitato, certo non fre-
quente, mettersi in rilievo il numerale assoluto di Attone e di Si-
gefredo, ripetuto per quest'ultimo con una certa insistenza, inviti
a pensare che la questione su chi si fosse assiso pel primo nella
sede vescovile di Bobbio, sia sorta ben presto e fosse congenita
alla sede stessa. La cosa è possibiUssima dal momento che Pietro
Aldo fu, come si disse, e vescovo ed abbate nell'istesso tempo, e
potè ben sembrare fin dal principio che quella sede vescovile non
conseguisse la sua autonomia e piena personalità giuridica di fronte
alla allora già antica e potente abbazia di S. Colombano, se non
quando cominciò ad avere un vescovo tutto proprio, e sciolto da
ogpi impegno con quella. C'è di più : la prima volta che Sigefredo
è detto terzo presule, Tertii aulem domni Sigefredi presuUs, quel
Terlii appare nell' originale come scritto in rasura, e sovr'esso,
dì mano poco posteriore alla prima, si legge Quarti. Che si tratti
di una vera rasura e non di una semplice imperfezione della perga-
mena, che cosa fosse scritto prima di quel Tertt'i, io non ho po-
tuto in verun modo determinare: ma quel Quarti, ecc., mi sembra
rivdare una ben antica opinione che riteneva ancor più antica
l'erezione di Bobbio in sede episcopale, e non primo, ma secondo
vescovo Pietro Aldo. Questa opinione verrebbe a dare un insperato
appoco (ed in un senso alquanto diverso da quello proposto dal
di. prof. Savio) al noto e tanto discusso diploma di re Ardoino
Del quale parlerebbesi di palazzo episcopale in Bobbio già nel loii,
tre anni prima di quello a cui lo storico Ditmaro (autorità per altro
diffìcilmente ricusabile) assegna la fondazione dell'episcopato di
Bobbio per opera di Enrico II. Ma è il caso di ripetere : videant
consules: ed i consoli, anzi il console, è nel caso nostro il più volte
, qualche interesse per la storia eccle-
22 IL PROBABILE ITINERARIO
siastica di Bobbio ci è dato dalla sottoscrizione, che secondando
la preghiera di Sigefredo a' suoi successori al certo particolarmente
diretta, apponeva molto più tardi alla sua carta Teletto e non an-
cora consacrato vescovo di Bobbio Alberto. Né contento della
semplice sottoscrizione egli aggiungeva alle donazioni di Sigefredo
quella di dodici libbre d'olio (i) da servire ad onorare di perpetua
illuminazione un* imagine del Crocefisso allora stessa o ben di
fresco esposta al pubblico culto nella cattedrale di Bobbio. I ca-
ratteri della scrittura, la maniera di esprìmersi, massime nelle clau-
sole comminatorie, la menzione dell'antecessore Wamerio mettono
fuori di dubbio che si tratta di Alberto I, quello stesso, di cui il
eh. prof Savio ha pubblicato una carta di donazione all'abbazia del
1098 (2) altra prova dei buoni rapporti perseveranti tra l'episcopio e
l'abbazia di Bobbio. Ho accennato a Warnerio: il modo onde Alberto
si esprime a suo riguardo porta a pensare che Warnerio gli sia
stato antecessore immediato, senza quell'Ugo che anche il prof. Savio
frammette ed al quale il Rossetti assegna la data del 1085, ma, come
ben nota il chiariss. prof., senza addurne prove (3). Che il volto
santo, di cui parla Alberto, fosse un vero e proprio Crocefisso
appare dal modo ond'egli compie l'espressione del suo pensiero,
ed anche forse dal fatto che un vero e proprio Crocefisso è il ce-
lebre volto santo di Lucca, sol pochi anni prima {1070), anche
questo è notevole (4), messo in onore in quella cattedrale, di cui
quella di Bobbio non fece probabilmente che imitare l'esempio.
Sac. Achille Ratti.
(i) Msgr. C. Bobbi aggiunge alle altre sue cortesie quella di farmi
osservare che quel luogo Rupinif dal quale nella pergamena si dice
tratto quest'olio, è, secondo ogni probabilità, Rupinaro frazione di Chia-
vari, dove il Vescovo di Bobbio possedeva una terra.
(2) L. e, pag. 164. Devo all' istesso Msgr. Bobbi l'osservazione che
nessuno, né anche il Rossetti nel Catalogo dei vescovi di Bobbio, av-
vertì che di questo Alberto e della sua donazione era già menzione
esplicita nel Catalogo degli abbati, dal Rossetti medesimo pubblicato
(1. e., pag. 68).
(3) L. e, pag. 163; vero è che il Rossetti (l. e.) rimanda al Catalogo dei
vescovi di Bobbio, stampato in calce alla Sinodo diocesana tenuta dal
vescovo Carlo Cornaccilio milanese nel 1729, edita a Milano dal Frigerio.
{4) 1 crocefissi colla figura del Cristo prima in basso, poi in alto e
pieno rilievo sono la novità dei secoli X e XI. Cfr. Annoni, I. e, pag 9^*
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO 23
DOCUMENTO
[In nomine] (*) sumwi et etemi regis choonradus imsuperabilis eius
benignissima gratta, romanorww impero/or Siugustus ; a quo sumit
quod inferius scrìbimus principiuw et subsidiuw . ob id a patre lu-
minum aet^mum sumat donu;;i . habet quidem terra óonum . habet
ósLÌMffi , sed a c^lo speratur optimum . de c^lo mittitur p^rfectuw .
Terra u^ro exhibet donuw certaminis . agonew laboris . e c^lo autem
corona/w et premium aeterne recowpensati[onis] . Caput nosirum quod
christum sciniMS confitemur . et uere credimws . ad hoc nos sua membra
uoluit esse . quo y>er caritatis ac fìdei coadunationem . se unius in
nos corporis efficeret p^rfectionem . Cui«s ut esse habitaculum ua-
leamws toto mentis adnisu nullius dilectione persistere laboremws.
ut <{uia sine ipso nichii esse cognoscimus . per ipsuw possim«s esse
quodf^cìmur . Sed quoniam ipsius exhibitione dilectionis . perfectionis
summa adipìsci nequimus . si curam aecclesiastic^ dilectionis deuio
tramite neglegim«5 . Hoc enim precepUim habemws . ut qui diligit
sponsum . sponsaw diligere non obmittat . ìdest christum et aeccle-
5iam . Ideoqi/e e c^lo descendit ad terram . ut sibi in sponsa copu-
laret aeccksiam . Vnde Salomon ait . Veni sponsa mea amica mea et
caet . Tunc illi«s sponsam ìdest aecclesiam uere diligim«s . cuw eius
necessitatibws tota mente et puro corde subuenire satagimws . Quod
mentem pulsat uobis in uerba resoluaw . Mentew quidem et corda
piissimorMW presulufw scilicet Attonis bobiensis secundì.Tertiì au-
tem domni Sigefredi presulis spiritus sancii gratta circumfulsit .
Vnus autem preììbatus presul ìdest Ano prò animarww redemptione
domni henrici imperatorts suaeqwe coniugis . necnon omnium chri-
stianor^m fideliuw . Sa«c/E Det genitrici dommì nostri iesu christi
virgini mari^ . sanctoque prìncipi apostóìorum petro . Cortemque di-
citur de cademwa cum ommhtts suis in integro apendicié^s scilicet
cum capella . pasquis . riuis . frascarìis . aquis aquarumque discursib^s .
necnon famulis inibi residentib«s . Molendina . tria quae sunt posita
in flumine quod dicitur bobium . Mansum unuw qui fuit rectws et
(•) Chiudo tra gli uncini rettangolari le poche cose che ho dovuto
supplire.
24
IL PROBABILE ITINERARIO
laboraU^ per benedictuw carrictuw ac est positus in fundo e
Vineaw quae fuit curtuli . Nouos 2iutem omnes runcos qui p<
adventuw suo in episcopio combusti fuerunt ad culturawqwe
difructus p^ducti . qut sunt positi in fundo et loco qui dicitut
cum decimis in integro largentib^s hec oimiia quae supra le
memoratf^s pr^ul Atto . Sigefredus vero tertius pr^nominatws
similiqwe modo prò animarww remedio piissimi chuonradi
toris augusti sua^que coniugis Gisl^ serenissima augusta sa
anim^ . necnon prò ommum fidelium animarum minor«w de
rumque salute . Eidem commemorata sanc/issim^ virgini N
sanctoque principi apos/olorMW petro . Cortes (*) quattuor . qu;
positae in loco et fundo albiniano . et quintam in loco et fundo e
Tres vero mansos] in loco et fundo murle ubi alfìano dici
unam in aquese . qu^ de precario iure odelberti fuerunt
suram vine^ in ìntegro qu^ iuxta est pr^nominatuw episci
quartam portionem decim^ qu^ infra nallem est iuxta ra
canonum in ìntegro . et decimaw integi'aw qu^ de suo exiit
nicato . Mansos autew duos qui sunt in lo[ci]s et fundo auguendi
omma quae sup^rius prenotata et designata sunt . ipsi pr^su
licet domnus Atto . Sigefredus eiusqw^ successor sicut pr^
mus proprietario iure eidew prdibate virgini mari^ . sanctoqu
apostoìorum principi . puro animo . sincero corde sine omnì
dictione magn^ parve^qw^ p^sonae . dederunt concesserunt
suis manibMS confirmauerunt . et roborauerunt . Et ut h^c pagi
oflFertio ab ommb«s incorrupta atque inconcussa p^rmaneat
propriis manibMS nec non alior^m manibws meorum confratru
licet presuluw inferius notari petimus . Adhuc autem ut haec
certior cunctis appareat . terribilew maledictionew ponere non
semMS . Si quis igitwr temerario ausu huiws nostr^ donation
oflFertionis quam iam prò \xì\xorum qnam defunctorww om«iuj
Iute ordinauimus atqw^ disposuimus violator . exterminator . em
extiterit . manserit . qualicuwqw^ ingenio hanc infringere u^l ru
tractauerit . sciat se esse mancipatwm . nodatuw . sub omnipoìen
patris et filli et spiritus sanctì . sanctorumque angelorum . are
ìorum . patriarchar«w.prophetarw»i . apos/olorMW . martyruw . e
sorum . ac sanctarum omwium virginuw maledicione hic et in
tuum indissolubili dampnatione . Omnes haec audientes clamosa
amen confirment . Ab omnì autem christianorMW orthodoxorw;
peritia . h^c defensetur paginola . qui volunt cuw sa«c/is aei
frui I^ticia:
(•) La pergamena ha Sortes, ma vedi sopra Cortemque,
\
DELLA FUGA DI ARIBERTO ARC. DI MILANO 25
Sigefredus gratta dri bobiensis episcopus eius cartulae offer-
sionis v^I donattonis ab ipso factam corroborauit et fìrmauit atque
subscripsìt .
4~ E^go arìbcrtus d^ gra/tii sanctae mediolanensìs ecclesiae
humilis ardii eptsco^HS huic scripto conscensi, sìibterque fìrmaui .
In christi nomiw placuit adque convenit domino alberto abo-
biensts ecclesie appos/alice electo ut prò remedio sue anime suo-
ninqM^ antecesorum seu suce[so]rum daret duodecim Ubras olei ad
luminaria facienda ante uultum qui elevatus et exaltatus est in ce-
duta sanctc Ae\ genetricis marie ad inmaginewi et fìguram dointni
Dos/rì Jesu christi prò salute tocìus generis [hujmani passi . quod
oleum ipse dominus albertus suusqu« antecesor uuarnerius nomine
redpiebat in suo domtnicato de t^rra [il|Ia <\ue sita esf in loco ru-
puii, eo tenore quatenus si umquam temerarìo ausu aliqua mortalis
persona hoc donuw vio[la)re tentanerìt sìue sit clericus siue laicus
sit anathetna. maranatha idem perditus in secando auentu dommi
at<\ue socius semper sit iu[d]e dominici proditoris necnon sit ma-
leditus sicuti datham et abiron quos scelere terra uiuos deglutiuit
quod ut fir{ni]ius teneatur supradictus dommus albertus propria
manu fìrmauit onwies rogando audientes uti supradictum anathema
lcon]fìrment dicendo Amen ,
^ ego albertus gratta dei bobbiensis e[lecjtus subscripsi.
La Compagnia della Braida di Monte volpe
NELL'ANTICO SUBURBIO MILANESE
ED IL SUO Statuto del 1240
differenza della tanto famosa Braida o Brera del Guercio,
che diede il nome alla località sulla quale si erge il
massimo tempio lombardo delle arti e delle scienze, di
quest'altra Braida dell'antico suburbio di Milano non si era conser-
vata alcuna notizia ; sebbene il suo nome fosse apparso una prima
volta nella Bolla 29 luglio 1148 (i) di Eugenio HI che accolse sotto
la protezione apostolica le possessioni del Monastero Maggiore cui
la Braida apparteneva, ed una seconda volta nella denuncia dei
redditi del medesimo monastero presentata nel marzo 1278 al Co-
mune di Milano (2). 11 dott. Cossa, illustrando i nomi delle terre
comprese in questo secondo documento, confessava essergli ignota
la località della Braida dì Monte volpe ; cosi a lui, come all'Osio
— non ostante la parte da essi avuta nell'ordinamento delle carte
delle soppresse corporazioni religiose di Lombardia — èra sfug-
gita la grande pergamena contenente lo statuto di una Compunta
dei possessori della Braida, che sta appunto fra le carte del Mo-
nastero Maggiore, ora presso questo R. Archivio di Stato (3).
Come appare dallo statuto della Compagnia che pubblichiamo
in fine, la Braida di Monte volpe era un « clauso », coltivato a
(i) Muratori, Antìq, M. Ae., IV, 563; e Giulini, III, pag. 365.
(a) Oslo, Man. dipi, mil., I, n. 18.
(3) Carpar. Retig., Pergam., Milano, Monastero Maggiort ; fascio n. 104,.
Porgiamo vìvi ringraziamenti agli egregi signori cav. Giuseppe Porro,
archivista, e dott. Adriano Cappelli, sotto archivista, che ci prestarono
valido aiuto nella ricerca e nella lettura delle 'pergamene.
nell'antico suburbio milanese 27
vigna e frutteto, circondato da siepe (cesa), fuori dell'antica porta
Ticinese. La sua confìnazione risulta in modo abbastanza preciso
anche da altri documenti che fanno parte dello stesso fondo di perga-
mene e di registri del Monastero Maggiore.
Lo statuto così la identifica : clauso uno tacente prope civitatem
mediolani extra portam Ticinensem, ubi dicitur in Monte vulpis sive
in via arena. Il secondo nome dato alla Braida, di « via arena »,
indica che doveva trovarsi nelle vicinanze dell'attuale via Arena,
volgarmente chiamata « Viarenna », che si stacca dalla cinta intema
del Naviglio, a destra del ponte dell'antica porta Ticinese, e, pie-
gando alquanto a sera, fa capo ai bastioni, poco lungi dall' imbocco
dd canale a chiusa detto « tombone di Viarenna ». Più oltre, nello
statuto, si accenna che a mezzogiorno scorreva un xeratore; è pro-
babile si trattasse di uno sfioratore delle acque dell'Olona — che
oggidì si confondono con quelle del Naviglio grande nel laghetto
di porta Ticinese, a mezzogiorno appunto di via Arena — forse
a valle di qualche molino o d'altro edifizio idraulico. Si. avrebbe ^ol^^aj^^cl
cosi un secondo confine della Braida, ;J_.vul/vvwwCvw V{p4.o-v*-^ t4^ ^.vv<-*u««^^ ^^ cc^t
Altri elementi per la sua confinazione si ricavano da una lo- ^^^^*'^''*^ VI'mS..' •^^<"«
cazione, stipulata nel 1262 (i) dal monastero maggiore, de petia una ^ ' ^
vinee tacente extra portam Ticinensem ubi dicitur in Monte vulpis,
e da una ricevuta rilasciata dallo stesso monastero nel 127 1 ad un
consorte della Braida de omni fictu — unius petie vinee iacentis extra
pusterlam de fabrica ubi dicitur in monte vulpe (2). Le coerenze
della petia vinee affittata nel 1262 erano a mattina un consorte, a
mezzogiorno /lumen seratoris, a sera hospitale sancii,,,, e a tramon-
tana lo stesso monastero.
L'accenno nella ricevuta del 1271 alla pusterla de fabrica lascia
comprendere come la Braida di Monte volpe da via Arena si spin-
gesse fino quasi all'ora demolita pusterla dei Fabbri. L'indicazione,
nella investitura del 1262, del confine a sera hospitale sancii,,,, fa
pensare all'antico ospitale di S. Vincenzo in Prato, al quale si ac-
cedeva appunto dalla pusterla dei Fabbri.
Alle stesse conclusioni ci conduce un'investitura livellarla della
(i) Corp. Relig., Perg. ibidem; in un quaderno d* imbreviature del
notaio Giovanni Bello di Vaprio.
(2) Corp. Relig., Perg, ibid. ; in altro quaderno d' imbreviature dello
stesso notaio.
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-^:>-.>^ ; l?^ aA^t-u:*"o)c^ t-^^ (^^'^^^ ; f-v^^. ju. ;*-*-'■ '. ^*^.-- '^>'
-■ . f
28 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
Braida in data del 1212 (i), ove essa è così identificata: Braida
una illius monasierii tacente ibi ubi dicitur ad montem vulpis sive
in via ursaria, seu in via arena, e se ne determina un confine^
a sevo illius hospitalis. Pur troppo il documento, che ci è giunto im-
perfetto, della confinazione della Braida permette di leggere soltanto
la coerenza di ponente. Quanto alla via ursaria, è notevole che il
suo nome compare una seconda volta in una serie di precetti giu-
diziali intimati dal Monastero a parecchi consorti di Monte volpe
nel 1252 (2); dovrebbe corrispondere alla attuale via di S. Calo-
cero, e con tutta probabilità avrà segnato il confine della Braida
in direzione opposta a via Arena.
L'apertura del canale a conca o tombone di via Arena, com-
piutasi tra la fine del secolo XIV e il principio del XV, divise la{l
(0 Braida in due parti ; dopo d'allora, della parte minore, compresa
fra il canale e la via omonima, non si hanno più notizie nelle carte
del Monastero Maggiore ; l'altra, assai più estesa, oltre il canale
fino alla via di S. Calocero, abbandonato il nome di Monte volpe, si
chiamò « vigna di S. Vincenzo ».
I confini della vigna di S. Vincenzo segnati in alcune investi-
ture dei secoli XV-XVII, sono presso a poco quelli della parte cor-
rispondente dell'antica Braida di Monte volpe; tenuto conto delle
trasformazioni verificatesi nel frattempo in quella località, sia in or-
dine al regime delle acque, come anche per la costruzione dei
nuovi bastioni (3). Nel 141 7 le coerenze sono: 1.^ fossum cita-
delle, ossia il fossato dell'antica cinta, ove scorre il Naviglio in-
temo lungo via Vittoria, per il breve tratto dal ponte dei Fabbri
al canale di Viarenna, 2.° sfrata, forse la via alzaia a sinistra del
canale, ora via Giocati, 3.° hospitale sancii Vincentii, presso le at-
tuali vie di S. Calocero e di S. Vincenzo in Prato, 4.0 redefossum
Mediolani, il canale esterno dei bastioni che ora si apre nel la-
ghetto di porta Ticinese, a poca distanza dall'imbocco del canale
(i) Corp, Relig., Perg., fascio 102, grande pergamena in pulcra li-
tera, 4 maggio 1212.
(2) Ibid., fascio 103, piccola pergamena, in data 21 ottobre 1252.
(3) Fondo di Relig, Mon, Magg, — Inventario delle scritture del-
l'archivio del M. M. 1687, n. 393, " nota e misura di terra tolta alla
possessione di S. Vincenzo nelle nuove fortificazioni del Bastione e pa-
gata al Mon. Tanno 1557. ^
... ' /. . .'r< fH ^/ ^ *^ • * "'
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nell'antico suburbio milanese 29
intemo a chiusa (i). Nel 1447 e nel 1450 (2) la vigna è coeren-
zìata : a duabus partibus flumen Navigii domini, ossia il Naviglio
grande del laghetto ed il canale a chiusa, ab alia strafa et ab alia
kospìtale sancii Vincentii, nel 1480 (3) : ab una parte strata, ab alia
fossatum citadelle^ ab alia navigium versus concham et ab alia hospi-
tale tnagnum Mediolani et in parte Abbatia sancii Vincentii, e nel
1488 (4) : ab una parte monasterium sancii P incentii, ab alia hospi-
talis magnum, ab alia laghetus et ab alia strata; infine nel 1595 e nel
161 1 (5): ab una parte bona Abbatie ecclesie S. Vincentii, ab alia
bastionum Mediolani, ab alia Navigium Mediolani et ab alia strata.
La superficie compresa nei confini da noi assegnati alla Braida
di Monte volpe, corrisponde in via approssimativa all*estensione che
le era stata attribuita nel documento del 1212.
È questo Tatto di data più remota, dopo la bolla di Eugenio III,
in cui si fa menzione di Monte volpe. Contiene V investitura, a ti-
tolo di livello perpetuo, di tutta la possessione, concessa dal mo-
nastero ad otto cittadini, verso corresponsione del canone annuo
di due stala di frumento per ogni pertica. La superficie della Braida
è ivi indicata in iugera novem, e l'ammontare complessivo del fru-
mento dovuto ogni anno in 27 moggia, pari a stala 216; ne risulta
che i nove iugeri equivalgono a 108 pertiche, ossia a 12 pertiche
per iugero, proporzione questa che abbiamo riscontrato in altri
documenti milanesi del secolo XIII (6). Nelle investiture del se-
colo XV la vigna di S. Vincenzo ha l'estensione di pertiche 74 a 75,
in quelle del 1595 e 161 1, di pertiche 77 e tavole 12; la diminu-
zione«di 30 a 34 pertiche è dovuta allo scorporo della parte della
Braida tagliata fuori dall'apertura del canale di via Atena. <
(1) Corp. Rels'g., Perg., fascio 105, grande pergamena, 4 ottobre 141 7.
(2) Ibid./ pergamene, 28 marzo 1447 e 20 ottobre 1450,
(3) lòid.,' pergamena, 6 novembre 1480.
(4) Ibid.,- perg. 30 aprile 1488.
(5) Fondo Relig.f Mon. Magg, — Indice delle possessioni del mont.-
stero compilato nel 1603, con aggiunte sino al 161 1.
(6) Corp, Beltg., Perg,; fascio 103 ; un elenco dei beni del mon. magg-
io Dugnano e Incorano del 1254 termina colla seguente nota : Somma
terrarum de Inaurano et de Dugnano est pertice MCCCLXill tab, 1 et
ftd, 1 ultra predicta sedimina (pert 19, tav. 18 e piedi 2) et ascendunt
massa novem et iugera novem et peri tee novem et t abulie quinque, Veg-
gasi anche in Codex dipi, lang, (M. H. P., XIII, nota a e. 217), ove è detto
die il manso era composto di 12 iugeri, cioè di pertiche 144.
30 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
Si è detto che la prìma memoria di questa possessione del
Monastero Maggiore è nella bolla papale del 1148. La mancanza
fino dal secolo XVII, nell'Archivio del monastero, dei titoli originari
di acquisto della Braida, mentre vi si trovavano allora ed in parte
sono giunti sino a noi quelli di altre possessioni che entrarono nel
patrimonio di quella corporazione dai primi anni del secolo XII in
poi, induce a ritenere che l'acquisto della Braida risalga ad epoca
anteriore al secolo XII. Non sarebbe forse troppo azzardato sup-
porre che Monte volpe facesse parte in antico della Curtis de Praia,
di spettanza dell'arcivescovo di Milano, ove esisteva VOratorium
sancii Vincentiiy che, colla corte stessa e suoi massari ed aldioni,
l'arcivescovo Oldeperto concesse l'anno 806 in usufrutto ad Ari-
gauso, abbate di S. Ambrogio (i); oratorio che pochi anni dopo si
trasformò nel monastero dei Benedettini di S. Vincenzo in Prato,
suddito a quello di S. Ambrogio (2). È probabile che più tardi i
monaci di S. Vincenzo abbiano ceduto una parte della Curtis de
Praia alle consorelle del Monastero Maggiore, le quali coll'andare
degli anni l'avranno ridotta a « clauso » o Braida.
Nel 12 12 adunque questa fu data in enfiteusi ad otto cittadini
del quartiere di porta Ticinese. L'atto della relativa investitura
chiarisce l'origine della Compagnia dei possessori della Braida e
dello Statuto.
La badessa Vittoria Cotta, coll'approvazione del Capitolo del
monastero e col consenso del proprio avvocato, Alberto Barazia,
investiva ad massaricium usque in perpctuum Alberico de la Cesa,
Alberico da Orsenigo, Amizone Suganappo, Lafranco Suganappo,
Ottobello de Conte, Ambrogio da Sesto, Alberto de la porta e
Jacopo Marrono, de braida una, ecc.; come si è notato, il canone
annuo era stabilito in staia due di frumento (Ettolitri '0.366) la per-
tica (are 6.545), ossia in totale 27 moggia (Ettolitri 39474) per nove
iugeri di terreno (Ettari 7.058).
Gli otto livellari si erano divisa la Braida in altrettante parti,
distribuendosi il carico totale <iel canone in proporzione alle ri-
spettive quote, salvo qualche differenza in più od in meno, deter-
minata forse dalla diversa situazione di ciascuna quota di fronte
(i) M. H. P., Xlir, Codex dipi, lang,, Doc. LXXXIH, e. 155.
(2) Ibid.; Doc. CXXll. Anno 835, e. 218.
nell'antico suburbio milanese
31
sia all'accesso della Braida che era uno solo, come anche allo sfio-
ratore dell'Olona, le cui acque è assai probabile venissero, durante
la stagione estiva, divertite a profitto della parte più bassa di
Monte volpe; ma rispetto al proprietario monastero ognuno ri-
spondeva soltanto per la sua quota in ragione di due stala di fru-
mento la pertica, senza vincolo di solidarietà cogli altri consorti.
Chi voleva alienare il proprio appezzamento doveva prima
dame notìzia alla badessa la quale aveva otto giorni di tempo per
dichiarare se esercitava il diritto di prelazione ; in questo caso le
si dovevano abbuonare dodici denari per ogni pertica sul prezzo
in veritate stipulato coi terzi ; non esercitando il diritto di prela-
zione, il monastero prendeva solo il laudemio per la investitura
che il cessionario era tenuto a richiedere entro tre mesi dalla data
dello acquisto. Erano cause di caducità del livello e di avocazione
della terra in piena e libera disponibilità del monastero il ritardo
di oltre un mese al pagamento del canone, la mancata notifica della
vendita e l'ommessa richiesta, per parte del cessionario, della in-
vestitura. Ognuno degli otto livellari vincolava a pegno tutti i suoi
beni per l'adempimento delle assunte obbligazioni e presentava un
fideiussore.
Non ostante la mancanza del vincolo di solidarietà nella pre-
stazione del canone, quest'atto presuppone la costituzione, fino da
principio, di una specie di consorzio fra i nuovi possessori della
Braida, la quale, sebbene divisa fra essi e suddivisa di poi fra i
loro eredi e successori anche a titolo particolare, continuava a rap-
pr^entar^ per determinati effetti, compreso quello dell'obbligo del
conguaglio del canone, come un unico possesso. Noi crediamo anzi
che, contemporaneamente o subito dopo la stipulazione della inve-
stitura livellarla del 1212, i consorti si siano dati uno statuto per
provvedere agli interessi comuni creati dai nuovi rapporti di vici-
nanza, n testo originario dello statuto andò perduto; fu sostituito
da quello del 1240 che s' intitola appunto : Statutum correctum,
emendatum et approbaturrty per indicare che è stato modellato sopra
un testo anteriore.
La pergamena che contiene lo statuto del 1240, misura metri
0.61 X 0'51 ', presenta nella parte superiore alcune lacerazioni cu-
cite alla meglio con grosso filo. A tergo si legge in caratteri del
secolo XrV : Factum braide \ Monasterii maioris, e più sotto, di
32 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
mano del secolo XVII o XVIII: Patti fatti da consorti a favore di
un luoco del MonJ^ Magr^ detto la Brayda, La scrittura è nella
così detta litera notaresca degli istromenti milanesi di compra-ven-
dita, enfiteusi, permuta, locazione di beni stabili del secolo XIII;
qualche parola è corrosa dalle piegature irregolari della carta; due
linee sono abrase, ma in parte si possono leggere ancora. L'ultimo
quarto della pergamena, fra la chiusa del testo originario dello sta-
tuto e la sottoscrizione del notaio rogante, che era stato lasciato
in bianco, fu riempito con varie aggiunte scritte da mani diverse.
Fra le linee così del testo principale come delle aggiunte hawi
qualche postilla e qualche cancellazione.
L'approvazione del nuovo testo dello statuto seguì la domenica
del 3 giugno 1240, nella piazza di S. Lorenzo, coli* intervento di
dieci consorti: Mirano de la Cesa, Giovanni Bello da Orsenigo^
Pagano con Uberto e Giovanni suoi figli, Algisio Maloserio, Gu-
glielmo da Lodi, Uberto da Conte, ser Cassino da Vogenzate e
Uberto, speziario. Si può credere però che Pagano rappresentasse
insieme ai suoi figli, nella Compagnia, un solo appezzamento da
essi posseduto prò indiviso, onde gli appezzamenti allora rappre-
sentati si ridurrebbero a sette. Se non che lo stesso giorno, dopo
chiuso Tatto, altri due consorti — ser Drudone dalla Pusterla e
Amedeo dall'Arco — intervennero essi pure ad approvare lo sta-
tuto e giurarono nelle mani di due fra i consorti, che fungevano
da consoli della Braida, di osservarlo. Lo stesso anno, il 22 set-
tembre, aderirono altri quattro consorti — Algisio Maloserio, questa
volta intervenuto a nome degli eredi di Giacomo Maloserio suo
fratello, Giacomo da Conte per sé e fratello Antonio, Pietro ed
Airoldo de la Cesa ; e al 26 settembre vi aderì Mainfredo de la
Cesa anche per il fratello Arnaldo.
La identità del casato di alcuni fra i consorti dell'atto del 1212
e di altri più numerosi fra quelli dello statuto, fa pensare che al-
cuni di costoro si fossero suddivisa la quota originariamente asse-
gnata al loro autore. La presenza, fra i consorti dello statuto, degli
eredi di tal Giacomo Maloserio che nell'atto del 1212 era interve-
nuto quale fideiussore del consorte Lafranco Suganappo, indiche-
rebbe che, avendo dovuto rispondere per il Suganappo, egli si
fosse reso cessionario della sua quota.
Comunque, pare certo che dal 1212 al 1240 le quote fossero
nell'antico suburbio laLANESE 33
aeadute di numero in causa del frazionamento di taluna di es9e.
Né vi è dul>bio che la maggior parte avessero cambiato di posseii-
sore, all' infuori dei discendenti d^;U originari investiti. Di questi
ormai vi erano soltanto gli eredi di Arnoldo de la Cesa, di Albe-
lieo da Orsenigo e di Ottobello da Conte ; tutti gli altri erano so-
pravvenuti di poi. Le quote sarebbero in tal modo s^ite a non
meno di dieci, oltre la suddivisione di taluna di esse fra gli eredi
e discendenti dei De la Cesa e Da Conte. Quanto a Guglielmo da
Lodi — ch'era un notaio al servizio del Monastero Maggiore —
à ha notizia dàfflnwniario delle Scritture dell'Archivio del M. M*
^6. 1687 (i), che mediante investitura semplice del 1231 il medesimo
aveva avuto in affitto dalla Badessa Vittoria Cotta %m pezzo di terr^
vigna detto Viarena presso S. Vincenzo detto al Monte della volpe.
U documento originale è andato perduto, ma la sufficiente esattezza
die abbiamo riscontrato nelle registrazioni di queir inventario e
l'esempio di posteriori investiture, a tìtolo di semplice affitto, di
singoli appezzamenti della Braida, stipulati dal monastero, ci au-
torizzano a ritenere che sino dal 1331 il monastero, approfittando
della clausola di caducità del livello pel caso di inadempienza del-
l'uttlista ai suoi obblighi, avesse cominciato ad avocare a sé or
questa ed or quella parte deUa Braida e ad affittarla a termine
{Mù o meno breve. Vedremo più innanzi come coU'andar d^li anni
il monastero sia riuscito a ricuperare se non tutta la Braida, la
parte maggiore di essa, facendo cessare il consorzio o Compagnia
òsi suoi possessori.
Il bisogno di reagire efiScacemente contro la tendenza egoistica
dell'individuo portato a soverchiare colla violenza o colla frode
il più debole ed il meno avveduto, si fa sentire prepotente nelle
popolazioni italiane dal secolo XI in poi, movendole ad associarsi
in difesa dei comuni interessi. Questo spirito di associazione si
esplica prima nella formazione del Comune, indi nella costituzione
delie corporazioni delle arti e mestieri e delle vicinie o regole fra
gli abitanti di ciasctma villa, e perfino delle singole contrade o
parrocchie di una stessa città, per la protezione e la difesa dei
beni dei vicini. Egli è che la difesa che il Comune poteva of-
frire ai singoli possessori delle terre, non era tale, nei primi tempi,
(i) Loc. cit., n. 372.
Arch. Slor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXITI. 3
34 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
da raggiungere sempre il suo scopò. Troppo rudimentale si man-
teneva ancora l'ordinamento della polizia campestre per le ortaglie
e i clat4si in città è nelle ville del suburbio, affidata a poche guardie
giurate o campati che, scelti a sorte fra i vicini, stavano in carica
solo quattro o sei mesi; inceppata Fazione loro da principi anti-
quati, per i quali occorreva alla incriminazione del reo la sua per-
sonale invenzione sul luògo del delitto per parte del giurato a
camparo, non ammettendosi prove equipollenti. Le conseguenze di
questo stato di cose dovevano farsi sentire maggiormente allorché
si trattava di un podere posseduto da parecchi vicini prò diviso ; si
comprende che se uno solo ne era il possessore, oltre alla guardia
che facevano dal di fuori i campari del Comune, egli lo poteva sor-
vegliare o personalmente o per mezzo dei suoi famigli, dall' in-
terno. Ma se più ne erano i possessori, ciascuno di essi, di neces-
sità, doveva avervi libero accesso di giorno e di notte, senza, il più
delle volte, poter chiudere in modo efficace la propria quota in
causa delle servitù di passo spettanti ai vicini, e senza poter con»
tare molto sulla sorveglianza dal di fuori, perchè, a parte ogni
altro riflesso, mentre il camparo vigilava affinchè estranei non pe-
netrassero nel fondo, ciascun consorte aveva agio di portarsi dalla
propria quota su quella del vicino e di rubarvi frutta, legna od
altro o di commettere altri danni, eludendo la sorveglianza del
camparo.
Da ciò la costituzione dei consorzi o Compagnie fra i posses-
sori di parti o sorti di uno stesso fondo, a mutua difesa, non tanto
contro gli estranei, quanto e più da eventuali abusi, usurpazioni,
furti o guasti maliziosi di un vicino in danno dell'altro.
Di un consorzio contrattualmente organizzato fra i possessori
di un fondo prò diviso, si ha notizia indiretta negli statuti di Ber-
gamo del secolo XIII (i), ove si accenna alla assegnazione giudi-
ziale della quota che tal Graziadio possedeva in un prato donico
prò diviso presso Bergamo, ai suoi creditori, e si prescrive fra
l'altro che la divisione intervenuta tempo addietro fra Graziadio e
gli altri consortes illitis prati, dovesse rimanere ferma in perpetuo,
anche in confronto agli assegnatari e che alla loro volta gli altri
consorti non avessero a molestare gli assegnatari per il possesso
(I) M. H. P., XVI, II, e. 1966.
nell'antico suburbio milanese 35
ad essi attribuito della quota di Graziadio ; le quali disposizioni pro-
mulgate dal Podestà del Comune nel 1225 sopra voto conforme della
Credenza ed inserite negli statuti, lasciano comprendere come si
fosse voluto per atto d'impero derogare agli effetti delle private
stipulazioni fra i consorti del prato donicOy in quanto attribuivano
a ciascun consorte il diritto di prelazione sulle quote dei vicini ed
un diritto forse di riversabilità, a profitto del consorzio, sulle quote
vendute ad estranei, ed in pari tempo riconoscerne l'obbligatorietà
per quant'altro in confronto del nuovo possessore.
Importante sia per l'estensione del territorio che comprendeva,
come anche per i diversi scopi in vista dei quali era stato costi-
tuita, ci si presenta la Compagnia del Piano del padule d'Orgia nel
Senese, ch'ebbe origine nel 1240 dalla divisione fra alcuni cittadini
senesi della pianura appiè del poggio d'Orgia in vai di Mersa,
ch'era tutto un padule e che, a cura della Compagnia, venne pro-
sdogato mediante un bene inteso sistema di canali e di colmate;
come risulta dallo statuto della Compagnia nel doppio testo latino
e volgare approvato nel 1303 (i). Oltre alle norme per l'escavo
e la conservazione dei canali di scolo e per le colmate, lo statuto
contiene molte disposizioni relative alla polizia delle terre del Pa-
dule, anche in confronto degli estranei.
Certamente le condizioni della Braida di Monte volpe erano,
quanto a sicurezza, assai più favorevoli di quelle del padule d'Orgia.
Presso alle porte della città, ed entro la zona del suburbio, ove si
estendeva la protezione dal Comune esercitata direttamente a mezzo
dei suoi campari, i possessori di Monte volpe non avevano a preoc-
cuparsi in modo particolare che di sé stessi ; la difesa contro gli
estranei era anzi, in qualche modo, resa più facile dalla opportu-
nità del concorso, nella sorveglianza, di un numero abbastanza no-
tevole di lavoratori della Braida. Farsi la guardia a vicenda; questo
Io scopo principale, se non unico, dello statuto di Monte volpe.
Degli estranei non si fa parola, ed è ciò che dà allo statuto il ca-
rattere di un contratto di società civile, nell'orbita del diritto pri-
vato, per la cui attivazione non era mestieri la licenza dei reggi-
tori del Comune ; a differenza di quanto avvenne per la Compagnia
del padule d'Orgia, che per costituirsi e per emanare il proprio
statuto dovette riportare l'autorizzazione del comune di Siena (2).
(i) In Stat. Senesi, editi da L, Banchi, II, 187 1.
(2) Loc. cit, p. XII e seg.
36 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI KONTE VOLPE
Le multe comminate nello statuto, pel caso di vìdazione dei
suoi precetti, non sono altro che clausole penali cui è l^^e la
volontà dei contraenti ; il potere giurisdizionale attribuito in taluni
casi ai rettori della Compagnia rientra nelle facoltà ordinarie di
arbitri eletti mediante clausola compromissoria, e non è sostanzial-
mente diverso dalle attribuzioni che anche oggidì negli statuti delle
società civili e commerciali si sogliono conferire agli amministra-
tori, mandatari dei soci, od al così detto comitato dei probi-viri
eletti dall'assemblea dei soci. La Compagnia di Monte volpe è un
corpo chiuso fra coloro che sono intervenuti a costituirla in ori-
gine, e i loro eredi in quanto restino al possesso di una parte
della Braida; si apre per ricevere nel proprio seno i nuovi pos-
sessori che fanno adesione allo statuto, giurando di osservarne le
norme e di obbedire ai precetti dei rettori. Il diritto di prelazione
sulle quote dei consorti poste in vendita, col vantaggio anche di un
piccolo sconto sul prezzo (Vili) pone ciascun consorte in grado di
impedire l'ingresso nella Compagnia di persona non benevisa.
Nel complesso delle sue disposizioni Io statuto riflette la ten-
denza generale nel secolo XIII, di riprodurre, anche nelle più pic-
cole consorterie o conventicole, le forme e gli organismi ammini-
strativi del comune-città.
Il Consolato dal Comune-città passa nei borghi e da questi nelle
ville e nelle vicinie o regole costituite da una dozzina o poco più
di fuochi. La Compagnia di Monte volpe è pure retta da consoli,
in numero di due, eletti ogni anno dai due uscenti fra i consorti (IX).
Le disposizioni circa il divieto di rifiutare la carica (f6.), sull'ob-
bligo di rendere il conto della propria gestione (ai nuovi eletti?)
otto giorni prima di scadere d'ufficio (XXV) e sulle funzioni loro
attribuite di decidere le questioni che potessero sorgere fra i con-
sorti occasione illius braide (XI), di esigere i banni e le composi-
zioni poste contro i trasgressori (XX) e di tener nota in iscritto
di tutti gli incassi e delle spese sostenute (XXV), sono comuni alla
maggior parte degli statuti delle città italiane. A queste attribu-
zioni dei consoli, d* indole generale, lo statuto della Braida altre
ne aggiunge di carattere più particolare, quali l'obbligo di provve-
dere alla chiusura del soratore a mezzogiorno del podere, dal mese
di maggio a San Michele (29 settembre), in guisa da impedire che
estranei possano penetrare nella Braida passando a guado sia a
nell'antico suburbio milanese 37
piedi che a Gavallo (XII), di tenere bene assicurata a spese comuni
la porta della Braida (XIII) ed in genere di supplire essi a quanto
dascun consorte avesse omesso di fare, contravvenendo ai precetti
dello statuto. Le pene erano miti; dal massimo di venti soldi {UT'
smU) si scendeva fino a la denari (un soldo).
D giuramento sequendi o servandi, preso a prestito dal diritto
feudale e destinato a vincolare colle sanzioni civili e religiose com-
ndiiate contro gli spergiuri, coloro che erano fatti partecipi del
comune o venivano assoggettati al suo distretto, si ripete nei suc-
cessivi rapporti dell'individuo colle minori associazioni d'arti e me-
stieri nelle città, colle consorterie vicinali in campagna per le terre
colà possedute. Così per entrare nella Compagnia e goderne i be-
nefici, occorre giurare il salvamentum della Braida (1). In generale
sì vuole che ogni consorte obbedisca agli ordini dei consoli per
tutto ciò che riflette V interesse della Braida e della collettività dei
suoi possessori (III); in particolare è fatto divieto di entrare nelle
parti dei consorti, quando le uve e gli altri frutti cominciano a matu-
rare (IV), di dare la chiave della Braida a persone estranee alla pro-
pria famiglia o ai propri lavoranti (V) e di lasciare la porta aperta (VI).
Chi ha la siepe sull'accesso comune la deve tagliare ogni anno
in modo da permettere libero e comodo il transito dei pedoni e
dei carri (XFV e XV); gli alberi che danno ombra sugli accessi co-
muni vanno tagliati sino al piede, ad eccezione delle arexie (i), dei
rumpi (2), degli olmi, dei salici e degli altri alberi destinati ad ap-
poggio delle viti, i quali di regola si devono scalvare ogni due
anni (XVI). Ognuno è tenuto a cingere di siepe il proprio appez-
zamento; in difetto provvedono, a spese del singolo consorte, i
consoU (XVII).
Con giuramento speciale ciascun consorte si obbligava a de-
nunciare ai consoli le trasgressioni allo statuto commesse dai com-
pagni, che fossero venute a loro notizia, ed alla sua denuncia, come
a quella del camparo, i consoli dovevano prestar fede, sempre
che non constasse ch'erano state mosse ingiustamente o per odio
(XVIU). Si esigeva puntualità nel pagamento del contributo imposto
dalla Compagnia per lavori da eseguirsi nel comune interesse (XIX).
(i) Forse lanci (in dialetto làres), nel senso generico di piante resinose.
(2) Ignoriamo a quale pianta corrispondano.
38 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
Chi rimaneva soccombente in una lite sostenuta contro i consoli
della Braida, doveva rifondere loro tutte le spese incontrate, più,
a titolo di penale, 12 denari a ciascun console per ogni giorno che
aveva dovuto comparire avanti i consoli di giustizia o dei nego-
zianti (XXI). Al consorte debitore per multe, banni o composizioni
e relative spese non si concedeva di asportare dalla Braida l'uva
od il vino se prima non aveva regolato il proprio debito pCXII).
Prima di toccare delle addizioni allo statuto datate del 1258,
1262 e 1273, conviene accennare brevemente ad alcuni documenti
del Monastero Maggiore, da cui risulta il frequente verificarsi di
casi di caducità del livello per parte dei singoli consorti. Dopo
r investitura semplice « di un pezzo di terra di Monte volpe » a Gu-
glielmo da Lodi nel 1231, della quale si è fatto menzione più sopra,
lo stesso inventario delle scritture del monastero ne segna una se-
conda (investitura massaritia) del 1248, relativa ad altro pezzo di
terra sito ut supra, concessa a « frate Oliverio prelato et offitiale
dell' Hospitale n. Questo frate Oliverio doveva appartenere all'ospi-
tale di S. Vincenzo in Prato, vicino alla Braida, sia perchè il pre-
posto dell'ospitale di S. Vincenzo nel secolo XIII prendeva il nome
appunto di « prelato » (i), sia perchè in un libello fra il 1278 e il
1279 del Monastero Maggiore contro i suoi debitori figura, dopo sette
nomi di noti possessori della Braida, quello di frate Lanfranco de
Hospitali sancti Vincentii, debitore di moggia due di grano prò
ficto huius presentis anni.
Del 1252 abbiamo le già ricordate intimazioni fatte a nome
del Monastero Maggiore ad undici debitori di fitto arretrato prò
braida que iacet ubi dicitur ad Montem vulpem sive in viam urseram ;
ove si scorge che più della metà dei possessori della Braida avreb-
bero allora potuto legalmente essere spogliati del loro livello. Che
così si sia fatto, se non in confronto di tutti, certo di parecchi, lo
si evince da due investiture semplici stipulate nel 1262 per due
appezzamenti, l'uno di pertiche 11, l'altro di pertiche 4, a persone
afifatto nuove (2). Il fitto nel primo contratto corrispondeva all' an-
(i) M. H. P., XVI, 1. e. 927, in nota: testimoniali ed atti di causa
del preposiio di S. Ambrogio cum magistro seu prelato hospitalis S. Vin-
centii, del 121 1.
(2) Corp, Reg,; fascio 104, nelle citate imbreviature del notaio Gio-
vanni Bello di Vaprio.
NTICO SUBURBIO MILANESE 39
i la pertica; nel secondo era aumentato di
le i contratti si era aggiunta una libbra di
lio ancora risulta da un atto dello stesso
r immissione del monastero nel corporale
Eamenti di vigna tenuti da Mirano de la
citati nel 1252, e già bannito, sopra i cui
1 da tempo ottenuto il cosi detto possesso
» ex primo decretu, che si accordava cqntro
;I 1278 o IS79 è il libello contro altri otto
debitori morosi, taluno d'essi da tre anni
tuto, vi troviamo registrata sotto la data
la conferma per parte di 19 consorti; dei
masti appena tre, Uberto spetiaria, e Man-
casti. È probabile che non tutti gli altri
"unti e che i più avessero dovuto re/utare
tati spigliati nelle vie giudiziali. Una sola
approvata, col delegare Uberto spettarlo a
ieposito le carte della Compagnia e a rila-
i dietro loro richiesta. In questa occasione
)lo (VII) del testo del 1240 che pare di-
custodia delle carte ai consoli prò tempore
a e scritte da altra mano due addizioni;
■bligo ai consorti di passare in natura, an-
àl campato posto à custodia della Braida,
caso diverso il camparo preferisse rispar-
illarsì colla frutta del fondo che avrebbe
:olla seconda si proibiva di lasciar vagare
e, ad eccezione dei cani.
maggio 1262 è registrato il giuramento di
ero notevole che non figurano fra essi i
— Obizzone da Colignolla e Barazeno da
nastero Maggiore aveva nel marzo prece-
I due appezzamenti della Braida. Obizzone
ascio 104; piccola pergamena senza data.
40 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
ititervenne soltanto undici anni dopo, nell'ultima conferma dello sta-
tuto in data del 14 maggio 1273, con sette consorti, ai quali se ne
aggiunsero più tardi altri cinque, i cui nomi sono scritti sopra le
linee. Il nome di fiiu*azeno non è fra essi; cosi pure vi manca il
nome del prelato dell'ospitale di 9. Vincenzo.
I consorti del 1273 deliberarono di abrogare la disposizione
rdativa alla chiusura del soratore (XII), dichiarando che vi avrebbe
provveduto a suo piacimento il consorte Giovéne Bellabocca; de-
terminarono inoltre di non essere più tenuti a prestare il giuramento
di obbedienza ai consoli, e si obbligarono di cooperare col camparo
alla custodia della Braida.
L'abolizione del giuramento salvamenti è caratteristica, in quanto
lascia comprendere come la Compagnia di Monte volpe avesse ormai
fatto il suo tempo ; si avvicinava il momento della dissoluzione. La
circostanza che vi rimanevano estranei parecchi fra i possessori
della Braida^ doveva costituire un grave ostacolo al raggiungi-
mento dei fini in vista dei quali era sorta; simili consorterie non
potevano esistere altrimenti che colla rigida solidarietà di tutti co-
loro che si trovavano nella medesima condizione di potersi nuocere
a vicenda; se taluno di essi si traeva in disparte, si aveva in lui
eventualmente un nemico contro il quale sarebbe stata oltre modo
difficile, per non dire impossibile, una efficace difesa.
Della Braida di Monte volpe e dei suoi possessori abbiamo un'ul-
tima notizia, durante il secolo XIII, nel rendiconto che la badessa
del Monastero Maggiore diede al proprio Capitolo, della sua ge-
stione patrimoniale delKanno 1280 (1), essendo indicati fra i debitori
in Braida de Monte Vulpe ser Obizo de Colligniolla, Petracius de
Comi te et Jacobus de Mondano, Per tutto il secolo XIV nessuna
notizia nelle carte e negli inventari del Monastero Maggiore.
È solo coi primi anni del secolo XV che s'incontrano nuove
investiture della Braida, chiamata non più di Monte volpe o di Via
Arena, ma di S. Vincenzo in Prato, ed affittata ormai in un unico
corpo ad un solo conduttore. La Compagnia dei livellari del se-
colo XIII era definitivamente scomparsa, ed il monastero, rientrato
nella piena proprietà e disponibilità, se non di tutta, della parte
maggiore della possessione, aveva trovato conveniente di non sud-
(i) Corp, Rei; Perg, fascio 104.
nell'antico suburbio milanese 41
divìderla più fra vari coloni, ma di darla in affitto ad un solo con-
duttore; ed in questo sistema perseverò sino aUa fine del secolo
XVH, data de^ inventari delle proprie scritture.
Per la storia delle ortaglie del suburbio milanese non sarà
priro di interesse il raffronto fra le condizioni del livello e degli
affitti di Monte volpe nel secolo XIII e quelle della vigna di S. Vin-
cono net secoU XV, XVI e XVU.
Dalle due staia di fhutiento la pertica (Ettolitri 0.366 = Etto-
Htrì 0.559 la pertica metrica) si discende nel 141 7 ad uno staio e
aezzo (Ettolitri a244 == Ettolitri 0.418 la pertica metrica); in più
n sono lire 6 e soldi 8 imperiali, due capponi, due dozzine (sol-
itk) di ova, due libbre di pepe, una di cera, un'anitra ed una lingua
di bue salata; ma, a parte le lire 6 e soldi 8, ch'è probabile rap-
presentassero l'affitto della casa ad un solo piano terreno (cassineta)
annessa alla vigna, che nd secolo XIII non esisteva, le onoranze
non valevano certo le 37 staia (quasi 5 moggia) di frumento in
meno. Affatto diverse sono le condizioni dell'affitto nelle due inve-
stiture del 1447 e del 1450. U frumento che nel 141 7 era, per tutte
le 74 pertiche, moggia 14, si riduce a 12 moggia, ma vi si aggiun-
gono 8 moggia di cosidetta mistura — metà segale e metà miglio
— 8 corra di vino da 6 brente il carro (Ettolitri 36.240), lire 12 e
soldi 16 imperiali, 6 once di zafferano, 8 capponi, due dozzine di
uova, due libbre di cera e due di pepe. Calcolando il carro di
▼ino (Ettolitri 4.530), pari in valore a due moggia di frumento (Et-
tolitri 2.924), e tre di mistura pari a due di frumento (i), alle 12
mo^a di frumento se ne dovrebbero aggiungere altre 29 in vino
e mistura; e poiché nel contratto, prevedendosi il caso che la vigna
iK)n avesse prodotto tanto vino per compire le 8 carra, si stabiliva
che, in difetto, il conduttore avrebbe dovuto supplire o con altro
▼ino 0 con danaro in ragione di soldi imperiali 24 la brenta, ossia
lire 7 e soldi 4 il carro, si può calcolare che questo fosse allora
il prezzo medio del vino. Così le lire 12 e soldi 16 corrispondereb-
bero ad un carro e quattro brente di vino o a quasi quattro moggia
di frumento. In totale si avrebbe un affìtto pari a circa moggia 35
(i) Questi computi si fondano sopra una serie di dati intorno ai
prezzi dei cereali, del vino e di altri generi che abbiamo desunto da
n»Uc carte milanesi per uno studio storico sull'economia agraria in
Lombardia nel medio evo.
42 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
di frumento, senza tener conto delle onoranze, e cioè di quasi mezzo
moggio (Ettolitri 0.731) la pertica, pressoché il triplo di quanto si
pagava appena quarantanni prima ed il doppio dell'antico canone
normale delle due stala la pertica. Calcolate la superficie e le mi-
sure secondo il sistema metrico, le variazioni del canone locatisdo
della Braida sarebbero in via approssimativa determinate in etto-
litri 5 e mezzo di frumento durante tutto il secolo XIII, in ettolitri
quattro nel 14 17 ed in ettolitri io fra il 1447 e il 1450, per o^ni
ettaro di superficie.
Così sensibile divario alla distanza di appena quarantanni non
si può spiegare altrimenti che per le diverse condizioni nelle quali
si sarà trovata la Braida nelle due epoche rispetto alle piantagioni
delle viti e agli alberi da frutto. Mentre nel 141 7 il nuovo colono
l'avrà ricevuta in istato di completo abbandono, quelli del 1448 e
1450 l'avranno trovata colle piantagioni in piena produzione. L'atto
del 141 7 parla soltanto di una petia campi cum certis vitibus inius;
invece nelle due investiture del 1448 e 1450 si ebbe cura di indi-
care il numero delle viti e degli alberi fruttiferi esistenti — 403
piante di viti, 60 fra ciliegi propriamente detti, amarene (i) e gal-
Jioni (2), oltre a 22 centinaia di pali da vite ; dati questi che fanno
pensare fosse allora la Braida stata ridotta uno dei più feraci vi-
gneti e frutteti del suburbio.
Nelle investiture del 1480 e del 1488 mutano di nuovo le con-
dizioni dell'affitto. Il frumento è ancora 12 moggia, ma la mistura
di segala e miglio aumenta da 8 a io moggia; il vino non è più
in quantità fissa, ma la metà di quello prodotto dalla Braida; vi si
aggiunge la metà dei frutti così detti di brocca.
L'obbligo fatto al colono nell'investitura del 1488 di piantare
almeno 300 alberi da frutto e 300 pioppi dimostra l'interesse che
il Monastero Maggiore continuava ad avere per la sua Braida, il
cui valore doveva aumentare quanto più andava crescendo la po-
polazione dei sobborghi della città fuori dell'antica cinta.
Nell'archivio del monastero, dopo l'investitura del 1488 vi è
una nuova lacuna nella serie degli atti relativi alla Braida per oltre
(i) Specie di ciliegio assai comune il cui frutto ha un sapore fra l'agro
e Tamaro.
(2) Altra specie di ciliegio pure assai comune, dal frutto di colore
giallo-rosso ; dial. milan. : sgalfion.
NELL ANTICO SUBURBIO MILANESE 43
un secolo. E>ell'epoca intermedia hawi soltanto un cenno sommano
ddle investiture e di altri atti nei due inventari del 1667 e 1687;
ma, ad eccezione di un'investitura del 1600 della quale è esposto
U canone dell'affitto in u due ducatoni la pertica e meloni 20 d'a-
penditiOy 9 in tutti gli altri atti manca ogni indicazione sull'ammon-
tare del canone. Del periodo fra il 1595 e il 1611 abbiamo tre in-
vestiture a condizioni pressoché eguali (i). Nella prima (a. 1595) il
canone era di lire io imp. la pertica, 15 libbre di lino, 4 capponi
e 80 melloni, coU'obbligo nel colono di piantare ogni anno 50 sa-
lici; nella seconda (a. 1600) fu portato a ** lire undese et soldi otto
^ due ducatoni dell' inventario) et li soliti apendizii et de più vinti
meloni; n nella terza (a. lòii) l'affitto è come nella seconda, con
di più l'obbligo nel colono u di piantare piante n. 50 de moroni
(gelsi) il primo et il secondo anno della locatione et darli alevati
alla fine della locatione. » L'ultima investitura registrata nell' inven-
tario del 1678 è del 2 maggio dello stesso anno.
E qui dobbiamo far punto, non avendo rinvenuto fra le carte
del Monastero Maggiore altri documenti relativi alla Braida o vigna
di S. ^^cenzo, che ci permettano di seguirne le vicende fino alla
soppressione del monastero e alla confisca dei beni sopravanzati
al lento consiuno fattone per la cattiva amministrazione che carat-
terizza la vita decadente delle antiche composizioni religiose dal
secolo XVI in poi, — ed essendo superfluo accennare alle nuove
e più radicali trasformazioni che notoriamente ha subito il terreno
della Braida nella seconda metà del secolo testé spirato. Dove nel
secolo Xin i vicini di Porta Ticinese andavano a gara nel colti-
vare ciascuno la propria vigna a pergolati, spalliere e filari, il pro-
prio frutteto, con annessi verzieri ed ortaglie (2), ove la notte tra-
scorreva nel più profondo silenzio, rotto tutto al più, durante la
stagione dell'uva, dalle voci sommesse dei campari posti colà a
guardia, è sorto quasi d'incanto un popoloso e rumoroso quar-
tiere — Porta Genova — della nuova Milano, dalle lunghe e larghe
vìe simmetriche, dalle case alveari, dagli stabilimenti industriali,
(i) Fondo di Relig., Mon. Magg, — Indice delle possessioni del mo-
nastero compilato nel 1603 con aggiunte sino al 1615.
(2) Intorno ai frutti, ai legumi e ai fiorì degli orti e dei verzieri
del suburbio mUanese nel secolo XIll, veggasi il De Magnalibus Urbis
Midiolani di Bonvesin della Riva (ed. da F. Novati, 1898^ pag. 92 e segg.).
44 LA COBfPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
espressione eloquente della vita febbrile dei nostri tempi tanto di-
versa dà quella della società medievale. I consorti della Com-
pagnia di Monte volpe, se tornassero a questo mondo, oggi ch^
perfino V innocua pusterla dei Fabbri ha dovuto cedere alla sempre
ricorrente atavica avversione al passato, se non fosse rimasta in
piedi, e Dio sa come!, la carcassa della vetusta basilica di S. Vin-
cenzo in Prato, si troverebbero imbarazzati per fino ad orientarsi
e a riconoscere un solo palmo di terra dell'antica loro Braida.
Gerolamo Biscaro.
DOCUMENTI
L
Investitura livellarla della Braida
ad una Compagnia di otto cittadini — 1212 (*).
nomine domini . Anno dominice incarnationis, Milleximo
ducenteximo duodecimo, die veneris, quarto die madii, Indictione
quinta decima. Investivit ad massaricium usque in perpetuum |
fegandum de vitibus et arboribus et non diffegandum. Domina Vic-
toria Dei gratia abbatissà Monasterii sancti Mauritii quod dicitur
maius civitatis Mediolani, nomine | voluntate domine Sophie, do-
mine Martine, domine Perpetue, domine Pellagie, domine Miliane,
domine Tarsille, domine Viarie, domine Agathe, domine Jordane,
domine Lutie, domine Cecilie | domine Helene monacharum il-
lius monasterii et consororum illius domine abbatisse, et consentiente
et approbante Alberto Barazia advocato electo in hoc negotio tantum
ab I Arnoldum de la cesa, et Albericum de Orsenigo et Ami-
(*) Alla grande pergamena sono state strappate le due parti estreme;
quanto rimane è poco più della metà. — Segniamo con | i capo linea
colle relative lacune.
FICO SUBURBIO MILANESE 45
.afrancum Xuganappum, et Ottobellum de
: Sesto, et Albertum | predicte civitaUs,
1 illius tnonasterit tacente ibi ubi dicitur
via ursaria, sen in via arena, cui coberet
sero similiter illius hospitalis, et est iu-
1 minus inveniretur in hac presenti inve-
iendum fìctum annuatim de qualibet per-
signati et mensurati ad prefatum mona-
ediolani iustam ; £o tenore quod de ce-
n perpetuum prefati conductores | tantum
ipsam braidam et Tacere ex inde de ea
ioribus seu cum (inibus et accessionibus
assaricii | prefatam formam. Solvendo
ne festum sancii Martini ipsi et eorum
d massariciuin stana duo frumenti boni et
:t I illius braide, cum omni dispendio et
prò ilio ficto exigendo elapso termino,
cto in hoc contractu et ante ipsum con-
seu in quibus predicta terra vel aliqua
pervenerit non solverit fìctum partis sibì
L ad predictum termmum vel infra menson
t in ipsum monasteriuffi omni exceptione
;presslm dicto inter eos in ipso contractu
quod si alila darent vei dare velint |
abuertt ad massaricium quod predictum
babere debeat perticam quamlibet illius
lassarìcium | quam aliqua alia persona,
]ue prò tempore fuerit ad illud mona-
;nuntiare eo tempore quo dare voluerit
1 si I qui ipsam terram vel dus partem
quod non denuntiarent vel requirent ut
IO cadant et ipso iure deveniat in vir-
I diem predicte denuntiatìoni per se vel
jere, et utrum ìllam rem vel non eligere.
ectionem accipere prò eo predo quod in
3 duodecim detractis prò qualibet pertica
edicta abbatissa noluerìt accipere ut pre-
it et debeant cui velint secundum | de-
) qualibet pertica. Quam investituram ille
ium teneatur et debeat infra duos menses
ccipere. Alìoquln cadat j in ipsum mona*
> SUBURBIO MILANESE 47
lelicet quisque prò sua parte tantum et
u^em tnonasterìi predictì. Et prò quo
pendio et dampno quod inde fecerit
ut supra, extiterunt fìdejussores I eidem
illius monasterìi, infradicti, videllcet
izone Xuganappo tantum. Et Jacobus
iganappo. Et Ubertìnus | Ambrosio de
'o Alberto de la porta. Et Castellus de
, omnes ctvitatis Mediolani. — Et in-
im obligando omnia sua bona | et pre-
rolentibus et consencientibus prenomi-
od omni tempore- predictam braidam
mi dederint secundum dictam formam
tempore ipsa abbatissa nomine illius
erium per se vel per submissam per-
o vel in parte non auferet aliquo modo
dictam formam ad massaricium, nisi
nientibus. Tali tenore et pacto et con-
aliquo tempore predictam terram sive
'el a parte datum vel relatum fuisset,
■stare. Alìoquìn non teneatur illa do-
um de predicta obligatione | noverit. —
o. Et inde plura instrumenta uno tenore
i Cotta, Airoldus Prestenarius et Ja-
lotarius et missus imperialis hanc cartam
Rabbo notarlo tradidi et ad scribendum
lis Zanoni de centrata sancte Marie ad
nissus, hanc cartam, rogatu infrascrìpti
48 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MOITrE VOLPE
IL
Statuto della Braida — 1240 (i).
Proemio.
In nomine domini . Anno a natìvitate eius milleximo, ducente-
ximo, quadrìgeximo^ die dominico tertio die mensìs iunij . Indictìone
tertìa decima . Hoc est statutum correctum emendatum et approbatum
per Miranum de la Cesa, et Johanem Bellura de Orsenigo, et Pa-
ganum, et Ubertum et Johanem filios eius et Algisium Maloserìumf
et Guilielmum de Laude, et Ubertum de Comite, et ser Cassinum de
Vogenzate, et Ubertum speciarium omnes de civitate Mediolani qui
habent partem in clauso uno iacente prope civitatem Mediolani extra
portam Ticinensem, ubi dicitur in Monte vulpis sive in via arena
quod tenent ad fictum a Monastero Maiori.
I.
Obbligo del giuramento dei consortl
In primis statuunt et ordinant quod quilìbet predictonim et
aliorum qui partem habent in dicto clauso qui non iuravit salva-
mentum illius braide sive clausi, illud statutum iurare debeat, quod
bona fide sine fraude per se et per suos heredes et p>er eius fa-
miliam et conductam custodiet et salvabit omnes illas res et fructus
quas et quos dicti sui consortes qui modo habent partem in ipsa
braida vel de cetero partem habebunt in ipsa braida, nec aliquod
dampnum vel furtum ei fatient per se nec per alium nec fieri per-
mittet . Et si quis contrafecerit componat denarios duodecim prò qua-
libet vice consulibus illius braide qui modo sunt vel per tempora
fuerint et in super dampnum passo restituat in estimatione consulum
illius braide.
(I) Indichiamo con [»] le parole scritte fra le linee per postilla, e
con [*] le parole interlineate.
nell'antico suburbio milanese 49
II.
Et item quilibet masculus de familia predictorum qui modo
sunt vel fuerint, maìor annis duodecim simile sacramentum sal-
vamenti facere debeat et teneatur.
IH.
I CONSORTI DEVONO PRESTARSI PER l'uTILE DELLA BRAIDA.
Et item quod quilibet teneatur ire et venire ad locum ordinatum
prò utilitate illius braide ubi consules illius braide preceperint per
se vel per suos missos .Et qui contrafecerit componat prò qualibet
vice denarios sex.
IV.
Non VADANO sulla quota del vicino
NELLA stagione DEI RACCOLTI.
Et item quod nullus predictorum vadat [nec ire possit ^] super
terris consortium tempore quo dampnum dari potest in uvis vel
fructibus [nisi esset parabula *] (et tunc cum *] voluntate consortis
|vel propter curendi (sic) ab' aliquo rumore ^] . Et qui contrafecerit
componat prò qualibet vice denarios duodecim.
V.
Non SI consegni la chiave ad estranei.
Et item quod nuIIus predictorum dare debeat clavem illius
braide alicui extraneo extra familiam suam nisi suo laboratori • Et
qui contrafecerit componat prò qualibet vice denarios duodecim.
Arch. Star, Lomb., Anno XXIX. Fase. XXXUf. 4
LA COMPAGNIA DRLLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
Non si lasci la porta aperta.
Et item quod nullus debeat dimitere portai» ìllius clausi apertam.
qui contrafecerit componat prò qualibet vice denarios duodedm.
Custodia delle carte della braida.
Et item.... (linea abrasa) dari debcant uni bono viro.... (abra-
sione) [qui inde confessionem facìat et promissione m de eis sal-
vandis et tempore congruo consignandis, et de anno in annum dari
debeant consulibus illius braide infra octo dies postquam intra-
verint ')■
Vili.
Alienazione delle quote.
Et item quod nullus dictorum debeat vel possit vendere suam
contingentem portionem ipsius braide (parola abrasa) denunciaverit
cuìlibet suo consortibili qui habet pattern in ipso clauso.Et si con-
sortibilis eam voluerit emere, quod ipsam habeat prò denarìts duo-
decim minus quam alia persona, nisi domina abbatissa illam vellct
prò simili pretio , Et si quis contrafecerit componat soldos viginti;
et item quod ille cui denunciatum fuerit ut supra, teneatur respon-
stonem facere infra dies tres post denunciationem an velit ipsam
emere nec ne, alioquin non teneatur inde ille qui denunciaverit.
Elezione dei consoli della braida.
Et item quod consules qui modo sunt vel per tempora fuerint-
teneantur et debeant per octo dies ante festum sancti Martini eli-
co SUBURBIO MILANESF. 51
iis suis duos alios consules qui intrare
et suum officium exercere per annum
rint consules illud onus et repmen re-
t Mie electus consul qui illud onus cvì-
cem, insuper illud onus rccipere debeat
PENDERE NELl. INTERESSE COMUNE.
isulibus Ulius braide et possint expen-
e quatibet die quo fuerìnt in simul prò
e tractando vel faciendo et quando in
gali prò utilitate illius braide vel maior
iti If abraso].
ZIONE DEI CONSOLI.
illius braide possint et debeant distrin-
consortium qui sunt vel fuerint, facere
I de omnibus litibus, causis et discordiis
er eos occasione illius braide . Et qui
lem facere recusaverit, componat sc-
io consulum stare debeat et teneatur .
s consortes habent regressum contra
t sub consulibus iustitie Mediolani, et
m a consulibus illorum consortium.
i DELLO SFIORATORE.
?),... [anno de mense madii stopare vel
tpensis illius braide xeratorem qui dc-
lausi in capite illius clausi de subtus, Ita
52 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
quod homines ad pedes nec ad cavallum intrare nec exire possint
et illum xeratorem bene stopatum retinere debeant usque ad sanctum
Michelem proximum 'ì.
XUI.
Chiusura della porta.
Et iteni quod consules retinere debeant per totum tempus
portam ipsus braìde que est (parola illeggibiU) parte illius braide,
bene aptatam et stopatam comunibus expensis illius braide.
XIV.
Siepi entro la braida.
Et item quod quilibet consortabilis qui habet cesam super ac-
cessio comuni, debeat illani cesam quolibet anno in mense martio
vel in antea talliare et remondare, ita quod non sit alta ultra
bratia duo a terra et quod per totum tempus sit ita remondata et
spaciata, quod homines ad pedes et ad cavallum et cum carris in-
cares^tis et discarezatis inde per illud accessium ire et redire pos-
sint sine aliquo impedimento . Et qui illud accessium ita non disbri-
gaverit ut dictum est, componat solidos decem, et in super illud
disbregare teneatur.
XV.
Larghezza dell'accesso principale.
Et item quod illud accessum sit amplum ab uno capite usque
ad alium sicut antiquitus plantatum est.
XVI.
Si taglino gli alberi che ostruiscono gli accessl
Et item quod quilibet consortabilis debeat et teneatur extir-
pare et talliare intus pedem omnes arbores fatientes umbram que
NELL ANTICO SUBURBIO MILANESE
53
sunt super accessio comuni vel super accessiis comunibus que sunt
inter consortem et alium, et illa accessia sint bene disbrigata, nisi
forent arexie vel rumpi et ulmi et salices vel alie arbores super
quibus vadunt vites que omni anno scalventur vel de duobus annis
semel, nisi consortes inde fuerint in concordia.
XVll.
Siepe e fossato di chiusura della braida.
Et item quod quilibet debcat et teneatur bene stopare de cesa
bona et fossato ad voluntatem consulum illius braide circa suam
contingentem portionem . Et qui contrafecerit componat qualibet vice
denarios duodecim, et insuper illam stopaturam facere et retinere
debeat et teneatur . Et si ad ultimum hoc non faceret, quod eius
expensis consules hoc fatiant fieri.
XVllI.
Si denuncino ai consoli i trasgressori.
Et item quod quilibet consortium sacramento debeat et teneatur
accusare quemlibet predictorum facientem contra predicta [infra-
dicta *] vel aliquod predictorum [et infradictorum *], et fides detur
accusatori et campano et non reo, nisi accusatio videatur consu-
libus iniuste facta vel per odium Et infra octo dies post accusa-
tionem teneantur consules penam exigere.
XIX.
Contributi per le spese comuni della braida.
Et itera quod quilibet teneatur [et debeat ^] ad certum diem et
terminum solvere (debeat et teneatur »] omnes illos denarios de
qxHbus consortes fuerint in concordia prò alìquo laborerio faciendo
prò comuni utilitate illius braide . Et qui hoc recusaverit facere
componat qualibet vice denarios duodecim.
54 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
XX.
I CONSOLI RISCUOTANO I BANNI E LE COMPOSIZIONI.
Et item quod consules illius braide, antequam exeant de suo
consolatu sacramento teneantur ed debeant bona fide et precise
exigere omnia banna et penas et compositiones in quibus predicti
consortes vel aliquis eorum inciderit et omnes illos denarios qui
per aliquem consortum comuni braide debentur . Et si consules illa
banna et penas et compositiones et denarios non exegerint nec
bannum dederint et predicta omnia statuta et ordinamenta et quod-
libet eorum non observaverint et observari non fecerint, quod [ipsi
consules et quilibet eorum *] solvere debeant comuni illius braide
soldos decem prò quolibet eorum, quos denarios sequentes consules
exigere teneantur, [si consules sequentes hoc non facerent teneantur
penis suprascriptis *).
XXI.
Indennizzi e pene nel caso di liti infondate.
Et item quod si quis consortum fuerit in causa cum consulibus
illius braide occasione illius braide et in illa causa succubuerit
quod [ipse vel ipsi *] teneantur et debeant restaurare comuni illius
braide omnes expensas que per illos consules fierent [facte forent * ]
in ipsa causa et omnia dampna que prò inde passa fuerint, et in-
super solvere teneantur denarios duodecim cuilibet ipsorum consulum
prò quolibet die quo fuerint [iverint *] ad ipsam causam sub con-
sulibus [iusticie M. vel negotiatorum M. *] vel eorum vicariis [vel
assessoribus vel alibi *], et omnes expensas et dampna quas ipsi
consules fecerint vel passi fuerint propter dictis penis et bannis et
compositionibus exigendis [teneantur et debeant solvere infra ter-
tiam diem postquam ei requisitum et denunciatum fuerit per ipsos
consules et qui contrafecerit solvat soldos XX . tertiolorum comuni
illius braide prò qualibet vice quod ei vel eis preceptum fuerit per
ipsos consules et nichilominus teneantur solvere predictas expensas,
denarios, et banna et penas *).
>
NELL ANTICO SUBURBIO MILANESE 55
XXII.
I TRASGRESSORI NON PORTINO LA PROPRIA UVA
FUORI DELLA BRAIDA, SE PRIMA NON HANNO PAGATO
I RANNI E LE COMPOSIZIONI.
Et iteni quod aliquis dictorum consortum non debeat exportare
nec exportari facere foris de ipsa braida vinum nec uvas prò vino
faciendo tempore vendemiarum, nisi prius solverit omnes penas et
banna et compositiones in quibus ceciderint et omnes expensas que
prò sua contingenti portione facte fuerint . Et si contrafecerit com-
ponat comuni illius braide soldos decem [et nichilominus teneantur
et debeant solvere totum id quod debent et tenentur ^] . Et consules
teneantur et debeant illud bona fide vetare . Et si illud ipsi consules
non vetaverint, quod solvere debeant et teneantur comuni illius braide
soldos decem prò quolibet eorum.
XXlll.
I CONSORTI OBBEDISCANO Al PRECETTI DEI CONSOLI.
•
Et item quod quilibet [consortium *] teneatur et debeat atten-
dere et observare omnia precepta que consules illius braide ei fe-
cerint prò- utilitate et occasione illius braide et maxime prò vinde-
miis sub pena ad voluntatem consulum que non excedat quanti-
tatem solidorura viginti prò qualibet vice, que possit exigi cum
expensis et dampnis factis prò ea exigenda.
XXIV.
Il RICAVO DELLE PENE SIA IMPIEGATO A VANTAGGIO COMUNE.
Et item quod omnes infrascripte pene et banna et composi-
tiones deveniant in comuni utilitate omnium consortium ipsius braide
proportionaliter et eonim sint et in comunem utilitatem ipsius
bndde convertantur.
56 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
XXV.
Obbligo dei consoli di rendere il conto
della propria gestione.
Et item quod dicti consules teneantur in scriptis redigere et
ponere omnes penas et banna et compositiones et denarios quos
et quas exegerint et in eos pervenerint et omnes expensas quas
fecerint prò utilitate ipsius braìde . Et de ipsis receptis et expensis
rationem debeant facere per ceto dies antequam exeant de suo
consulatu.
XXVI.
I CONSORTI SI OBBLIGANO DI OSSERVARE IL PRESENTE STATUTO.
Que omnia et quodlibet predictoruni, predicta, omnes consortes
superius nominati et quilibet eorum promiserunt attendere et ob-
servare per se et per eorum familiam et conductam in omnibus et
per omnia secundum quod superius legitur, et non contravenire .
Et inde obligaverunt omnia sua bona pignori ad invicem unius
alteri.
Chiusa dello statuto.
Acta fuerunt hec in curia Beati Laurentii majoris Mediolani .
Interfuerunt ibi testes Anricus filius quondam Belloni de Campillio
de loco Nibuno, et Crescentius filius quondam Gairardi de Barazia,
et Petrus Henrici filius quondam Lafranci omnes de civitate Me-
diolani . Et inde plura instrumenta fieri rogata sunt.
Adesione di altri due consorti.
Postea vero, eodem die, in presentia Paxii Vetri filli quondam
Trussonis et Beltrami filli Martini de Varixio, et Petri de Dexio
filli quondam Pagani, et Ottonis filli Manfredi cexeri civitatis Me-
diolani, testium rogatorum , Ser Drudo de Pusterla, et Amedeus
nell'antico suburbio milanese 57
de Arcu uterque consortes predicte braide, visis et auditis et in-
tellectis predictis statutis ed ordinamentis, ipsa omnia approba-
venint, et laudaverunt, et sibi piacere, et illa et quodlibet eorum in
singulis capitulis se habere velie dixerunt . Et prò eis et quolibet eo-
nuD attendendis et observàndis promiserunt et guadiam dederunt
obligantes omnia sua bona pignori ipsi Drudo et Amedeus in manu
Uberti spiciarii et Johanis belli de Orsenigo consulum illius braide
recipientium eorum nomine et nomine aliorum suorum consortum,
— Actum Mediolani in parrochia sancti Laurentii majoris iuxta
domum infrascrìpti Drudonis.
Altre adesioni.
Et itera postea eodem anno, die dominico octavo ante kal-
lendas octobris, in predicta parrochia sancti Laurentii subtus coho-
pertum.In presencia Beltrami filli quondam Riboldi de Merate et
Petri Grimoldi filii quondam Mussonis Grimoldi, et Ambrosii filii
quondam Petri Panati civitatis Mediolani, testium. — Algixius Ma-
loserius prò heredibus quondam Jacobi fratris sui et Jacobus de
Conte prò se et Antonio fratre suo, Petrus de la Cesa, Airoldus
de la Cesa, omnes consortes et partes habentes in predicta braida
approbaverunt et laudaverunt prefata omnia statuta, promittentes
obligando omnia sua bona pignori prefati Petrus et Airoldus prò
se et dictus Algixius Maloserius prò predictis heredibus Jacobi
fratris sui et prefatus Jacobus de Conte prò se et dicto Antonio
fratre suo in manu ante dictorum Uberti spiciarii et Johanis belli
de Orsenigo consulum eorum nomine et aliorum consortum suorum,
ita quod predicta omnia statuta prò se attendent et observabunt et
attendere et observare fatient predictus Jacobus de Conte infra-
scriptum Antonium fratrem suum et dictus Algixius Maloserius et
dictos heredes Jacobi fratris sui.
Altra adesione.
Post modum, vero eodem anno, die iovis, quarto die mensis
octubris, et in Carrubio porte Ticinensis, presentibus testibus Phi-
iipo filio quondam Petri Mori et Gluxano de Gluxano filio quon-
dam et Cairacino beccano filio quondam de civitate Mediolani
porte Ticinensis; Mainfredus de la Cesa prò se et domino Ar-
58 LA COMPAGNIA DELLA BRAIDA DI MONTE VOLPE
noldo fratre suo consortes et partem habentes in predicta braida
approbavit et laudavit iam dieta statuta et ordinamenta et promisit
dando guadiam et omnia sua bona pignori obligando memoratis
Uberto spiciaro et Johani bello de Orsenigo consulibus suo nomine
et consortum quod ipse per se attendet et observabit et observare
faciet predictum Arnoldum.
Correzione e conferma dello statuto — 1258.
In nomine Domini . Anno dominice incarnationis milleximo du-
centeximo quinquageximo octavo die dominico, quarta die mensis
augusti. Indictione prima . Hoc statutum firmatum et coroboratum
est preter illud in quo continetur quod instrumenta et jura perti-
nentia ipsi braide debeant consignari et dari de anno in annum
consulibus ipsius braide, quod dieta jura debeant remanere et stare
penes dominum Ubertum spiciarium et ipse dominus Ubertus te-
neatur et debeat facere copiam cuilibet indigenti illius braide —
In primis [Juvenis Bellabucha *] [Marchixius de Bertatio, An-
selmus de Monte orphano, Miranus Zorlla, Paganus Scrosatus, Ro-
gerius de Canturio *] Guido de la Cesa, Jacobus spitiarius, Ubertus
spitiarius [Mainfredus de la Cesa ^], Miranus de la Cesa [Amadeus
de Arcu, Jacobus Corrabelus, dominus Ardicius de Comite, Lauteriu-
Mugiti *), Gasparrus filius Marchixii de Bertatio, [Merlus filius quons
dam Marcheti, Baldessarus de Monte orphano, Arnoldus et Am-
brosius fratres filli Mainfredi de la Cesa *[ [Guidotus de Orsenigo,
Petrus de Comite, Jacobus de Cartegnanego, Marchixius de Albai-
rate, Rugerius Bruxacapa *].
Addizioni allo statuto, senza data.
I. Item aditur in hoc statuto quod quilibet consortum illius
braide ea die qua debebit pascere camparium, debeat ei mittere
ad comedendum et bibendum decenter in horis congruentibus et
non solvere ei in pecunia numerata et qui contrafecerit componat
consulibus illius braide prò qualibet vice denarios XII.
II. Item si quis duxerit aliquam bestiam preter canem ad
dictam braidam que bestia vadat in alieno, componat prò qualibet
vice [et bestia ^) soldos duos.
nf.u/antico suburbio milanese 59
J^UOVE ADESIONI ALLO STATUTO — 1202.
In nomine domini . M . CC LXII ., die lune, primo die mensis
madii. Petrus Ferarius, Cavalchetus Mugiti, Jacobinus et Azettus
filli Marchixii de Albairate, Ubertinus filius Guidoti de Orsenigo,
qui omnes iuraverunt atendere et observare omnia predicta . Salvis
omnibus preceptis et capitulis qui semper sint et esse debeant ad
voluntatem et in arbitrium consulum et conscilio omnium consor-
tìum vel majoris partis.
Ultime adesioni allo statuto e sue modificazioni — 1273.
In nomine domini. M . CC LXXUI , die dominico, XIII die madii
in dictione prima . Obizo de colignolla et Cresimbe de Vergo et
Chunradus spitiarius et Petrus Matana et Guido de Castano et Gui-
lelmus de Cablate et Rugerius de Cropello [et Crottus de Ubrugio,
a Americus de Barazora, et Rainerius de Comitte et Petrus Fero
et Amizo de Maxate *] promixerunt et guadiam dederunt et omnia
sua bona pignori obligaverunt, quod observabunt et atendebunt
omnia predicta statuta superìus scripta in omnibus et per omnia
preter illud statutum in quo fit mentìo de facto soratoris de quo
sit ad voluntatem domini Jovenis Bellabuche, et preter illud sta-
tutum de quo fit mentio quod debeamus jurare . Presentes Landulfus
de santo Protaxio et Horssus de Liema, et Rugerius de Lainate. —
hem statuerunt quod quilibet teneatur ire cum camparlo qui erunt
prò temporibus et quicontrafecerit componat prò qualibet vice de-
narios XII. — Ego predictus Chunradus spiciarius notavi de vo-
luntate omnium predictorum suprascripta et predicti homines jura-
verunt omnia predicta observare.
Sottoscrizione del notaio
CHE rogò l'atto di APPROVAZIONE DELLO STATUTO
E LE ADESIONI DEL I24O.
Ego Petrus Zanonus filius Johanis Zanoni de contrata sancte
Marie ad Circulum civitatis Mediolani, porte Ticinensis, notarius ro-
gata infrascripti Alberti (forse per errore in luogo di liberti spiciarii)
scripsi.
FONTI E MEMORIE STORICHE
S. ARIALDO
lAnicolo qusno ed iiltimo: veJi Archivia Storico f.omliarJo, XXViir, 5 sgB.J.
IV.
Alla ricerca dei corpi dei SS. Arialdo ed Erlembaldo.
Alla conclusione di questo studio sul luogo ove riposano i
corpi dei due campioni della Palarla milanese altri sarebbe giunto
molto prima di me; ìo vi arrivai dopo molta, troppa fatica; di ciò
almeno mi consolo che quella conclusione può dirsi, a mio cre-
dere, sicura.
Il luogo della prima sepoltura di Arialdo è così descritto da An-
drea di Strumi (i): Ad monaslerium delatus est [B. Arialdus] S. Gelsi.
Ibi namque in lociim mirabiUter aptiim fradUus esl sepullurac ; si-
ijiiidem ex una parte habel ecckiiam, in qua S. Celsi venerabile mine
adoratur corpus, ex altera vero ecclesiam, ubi quondam, ut fertur, din
sanctus perlaiuit Nazarius [S. Nazaro in campo). Concordano le te-
stimonianze di Landolfo Seniore (2), di Bonizone (3) e dell'Anonimo
autore della seconda vita di Arialdo (4).
Nel 1075 moriva Erlembaldo sul campo di battaglia, ed ÌI suo
ri, di notte tempo fu da pie donne
is Arialdo Alciato et lìerlcmbaldo Cotta,
55. Junii. V, 300.
Vili, 96.
ie lite, etc, I, 597.
56.
DI S. AK1A1.LM) 6l
Dionigi extra portain ttovain, chiesa ora
'e sono i giardini pubblici, all'angolo tra
a ed il corso omonimo. Nel 1095 o nel
; il nostro arcivescovo Arnolfo trasporta-
lorevole sepolcro, sul quale si scolpirono
dall'Annotatore rubricale di Landolfo Se-
ima (3).
;s Mii.KS Cubisti revkhenous
QUI CELI SEDE POTITUR.
r, SIMONLAS ET QUIA DAMSAT,
KVI PERIMUNT SlHONlSQUE MALIGNI.
i l'RAESUL DICTUSQUE SECUNDUS
PHUS PASTOR Plus ATQUE BEMGNUS
t! TL'MUI.ANT TBANSLATA BKATI,
sul principio del iioo anche il corpo di
di S. Celso, dove, a detta di Landolfo
poco onorevole sepoltura, fu trasferito
per cura dell'arcivescovo Anselmo da
incisa r iscrizione, che altrove ho data
idolfo Sen. nel Cod. Ambre
Hisl., Script., Vili, 97, nota b) ha la data
. Papa Urbano It venne a Milano nel 1095
nentì scrii per preferire l'una o l'altra data.
Illa s/oria di Milano, a. 1095, tom, II, pag. 609
ferisce il 1095 seguendo il Puricelli e se-
c. cit., come sopra.
Braidense A. E- X. io, fol. 68 r.; Cronica
L. 275 inf., fol. 194. r. — Vedi Forcella, Iscri-
n. 71, pag. 168.
fuissent humala dice delle ossa di S. Arialdo
■n è contraddetto da Andrea di Strami nelle
[Uali si loda solo il luogo scelto per la se-
pcrò anche là Arialdo fosse venerato lo
i e Boniione. Il primo infatti (Puricelli,
I popolo adorava (cioè venerava) S. Arialdo
ere grazie ; il secondo (M. G. H. Lib'lli de
'S meritum miiHae inJirmilaUs tisi/ue hodie
62 FONTI E MEMORIE STORICHE
per intiero (i) ricavandola specialmente dairAnonimo autore delia
seconda vita di S. Arialdo, e dal sopra ricordato Annotatore nh
bricale di Landolfo Seniore. Anche il Fiamma la riferisce, ma con
molte alterazioni. Comincia con questo verso :
Martyr levita jacet hac Arialdus in urna, e te.
Che le due tombe, ove riposavano i martiri, fossero unite pos-
siamo conoscerlo oltreché dai tre versi dell' iscrizione che parlavano
dei due santi, e che dovevano essere scritti in modo da abbracciare
le due tombe, anche dalle stesse oscurità, che si notano nell'iscri-
zizione di Arialdo, le quali trovano la loro spiegazione nelle pa-
role dell'altra iscrizione, che doveva sorgerle a fianco (2): del
resto non mancano testimonianze dirette. Una cronaca veduta dal
Fiamma diceva di Arialdo che jacet ad Sanctum Dionisittm apud
hcatiim Herlcmbaldtwt (3) e Goffredo da Busserò, confondendo papa
Alessandro II con Urbano II (nel che è stato imitato da molti
cronisti), soggiunge che : Vcnerabilis levita et martyr Arialdus jacet
in ecclesia sanctoritm Dionisii et Aurelii,,,. In hac dieta ecclesia
condita sunt ossa martyris Herlembaldi in sepulcro Beati Arialdi
nianibus papae Alexandri (4). Da questa testimonianza, assai auto-
revole, perchè i da Busserò, a detta del Fiamma (5), avevano il se-
polcro di famiglia in quella chiesa, ricaviamo che il monumento se-
polcrale era detto anche più semplicemente « sepolcro di S. Arialda "
Anche Filippo da Castel Seprio attesta che Arialdo venne sepolto
in questa chiesa (6).
(i) Fonti e memorie storie/te di 5. Arialdo in fine al § II, in quest*Arck^
a. XXVII, fase. XXVIII, 1900, pag. 25.
(2) Vedi quanto dissi loc. cit., ed anche Puricelli, De SS, Marty
ribus Ariti IdOf etc, pag. 384,
(3) Galvagniana, 1. e, fol. 68 r., col. A.
(4) Cod. del Capitolo della Metropolitana, di cui all'Ambrosiana
G. 306 inf. v'è una copia, n. 46; e Pellegrini, / santi Arialdo e Erkm-
baldo, Milano, 1897 (libreria Palma), appendice II, pag. 496.
(5) Cronica major. Cod. dell'Ambrosiana A 275 inf., fol. 190 r., col. A,
ove, parlandosi deirarcivescovo Ariberto, dicesi sepolto j'uxta sepukru»
valvassorum de Busserò.
(6) Cod. della Trivulziana n. 1218, fol. 74: Anno D,ni 1066 ante K0II'
julii passus est beatus Ayroldus levita, qui jacet ad san tu m dionisiif^
Mediolani,
64 FONTI E MEMORIE STORICHE
cronaca Kallendaria (i). In proposito il Gìulini (a) avverte : a Se
M al Fiamma fu duopo trarre la copia di queste iscrizioni da
« quella cronaca, è segno manifesto che più non vi doveva essere
« l'originale. » Ultimo viene il Manipulus florum, dove delle due
chiese ricordate nella Gahfagniatta è fatta una sola col titolo sane-
io rum P rotasti et Aure Ut inter martires, id est sane ti Dionisii, ed
in essa si dice sepolto Erlembaldo (3). Che la chiesa di S. Dionigi
si chiamasse anche con quel titolo io non credo, e suppongo che
esso sia stato inventato li per lì dal Fiamma per mettere in ac-
cordo le diverse asserzioni delle fonti già citate, a cui attìngeva.
Quale manomissione sia stata fatta su quel sepolcro di preciso
non si sa; ma da altre memorie, che riporteremo, si deduce che
Arialdo venne trasportato nella cripta sotterranea della chiesa,
in un tumulo marmoreo, dove sempre fu onorato come santo. Che
poi quel corpo continuasse ad essere a S. Dionigi, sappiamo da
molte testimonianze. Spetta ai tempi del Fiamma, e il Puricelli a
lui attribuisce un elenco di corpi di santi col titolo : Infrattscripta
corpora sane forum j acent in ci vitate Afediolani et ejus comi tatti ac
distrectu, dove si legge: Festum sane fi A rialdi levitae et tttartyris
die XXVIII Juniiy jacct ad sancfum Dyonisium (4).
Con questo elenco principia una serie di elenchi di corpi santi
ed anche di indulgenze per le diverse chiese di Milano e del con-
tado, interessante per chi voglia rintracciare l'origine di molte tra-
dizioni popolari (né solo popolari) accettate e discusse, lo non vi
studierò che quanto concerne i corpi di santi, che si dicevano con-
servati a S. Dionigi. E già in quel primo elenco vedo ricordati oltre
(i) Cod. Ambros. A. 275 inf., fol. 194 r. Della Cronaca Kaliendaria
non ho notizie : la Cronaca di Leone era nel secolo scorso neirArchivio
dei monaci di S. Ambrogio : passò poi in possesso dei marchesi Tri-
vulzio. Dove sia presentemente ignorasi; arride però la speranza di
poterla rintracciare.
(2) Memorie, etc. cit., anno 1099, tom. II, pag. 675, 2.* edizione.
(3) Rer. Hai, SS. XI, 627, cap. 152.
(4) Cod. Ambros. T. 175 sup. È membranaceo, di mano del sec. XIV ;
relenco trovasi a fol. 17 v. Se ne hanno due copie: una all'Ambrosiana
(D. 321 inf. : Adver saria puricelliana, quinternetto 3.*) e un'altra alla Tri-
vulziana (Cod. n. 1275). Il Puricelli, op. cit, pag. 19-20 e NazarianOy
Milano, 1656, pag. 576, assegna senz'altro questo elenco di corpi santi
al Fiamma; però il trovarlo unito con altre scritture certamente del
Fiamma non è argomento sufficiente per attribuirlo a lui.
S. ARIALDO 65
Aurelio ed Arìaldo, anche quelli dei
i Canzio, Canziano e Canzianilla) (i),
riembaldo, o meglio costui dovrebbe
al suo compagno Arialdo, tanto pid
to dei corpi di santi, ma anche delle
n ebbe mai un suo proprio giorno fe-
cordato con Arialdo ai 28 di giugno (3).
I dobbiamo dire che non consta si ce-
1 solo se ne ricordava in qualche modo
anti coll'andare del tempo doveva cre-
ioteca del marchese Soragna il dottor
lembranaceo del XV secolo, contenente
I Galvanei Flammae cronica Mediolani.
e si le^e: Infrascripta carparo san-
Mediolani et in cotnilatu, videlicel. Per
cti Dionisii S. Dionisius episc, medio!.,
. Arembaldus, S. Aurelius, S. Cantius,
S. Cipriantis et Corneliiis, S. Luci/er
isti corpi santi, meno S. Arnoldo, com-
li trova nel Cod. Ambrosiano D. 321 inf.,
uaderno 2,°, dove al fol 6 r. si legge:
maniiscripiae anno iji6 appensae in
imo sanclae Mariae de passione sito
'sili ac canonic/ioruin S. Ambrosii Me-
Uae usque ad praestnlem diem primum
sani corpora sanctorum, reqaiescunl
atu — 1^16. n Erano certo già molti
fantasie avevano preso l'aire e non
o. Nel Cod. della Trivulziana, n. 514
rz'ultimo e penultimo quinterno, sono
i conservati nelle chiese di Milano, e
aHorum die Xlll! Junii, jacenl ad sancium
Trivulziana, che sono un Martirologio, at
baldo con evidente errore dell'amanuense
,c si trova nel codice Ambros., Miscellanea
L S. HI, 4, tom. I, fol. 131 v. (di cui fra
li Erlembaldo t unita a quella di Arialdo.
W) KONri E MEMORIE STORICHK
per S. Dionigi sono assegnati i corpi dei santi Canziani che da tre
divengono quattro, perchè ai tre frateUi nell' intenzione del compi-
latore dell'elenco doveva unirsi Proto loro pedagogo, che con essi
fu martirizzato. Così ai sette corpi dei Maccabei s'aggiunge anche
quello della loro madre, che è detta Felicita, poi s'aggiungono due
nomi affatti nuovi : S. Albertus e S. Euxeria.
Pare per altro che anche allora non tutti accettassero ad occhi
chiusi simili elenchi di sacre reliquie. Il Puricelli possedeva un libro
scritto nell'anno 1481 {t), che io non ho potuto vedere, dove, parlandosi
dei corpi santi dì S. Dionigi sono ricordati soltanto S. Dionigi stesso,
S. Aurelio e S. Arialdo Anche un altro libro, posseduto da G.B. Como,
ma copiato dal Carisi (2), che lo diceva scritto circa l'anno 1488, sotto
il titolo: - Queste sono le chiese delle indulgenze di Milano -, alla
chiesa di S. Dionigi assegnava soltanto i corpi dei santi Dionigi e
Aurelio e dei santi Arialdo ed Erlembaldo, pur a^ungendo a que-
st'ultimo « il suo maestro di scuola con duoÌ compagni " (3).
Tutto quello che di vero e di favoloso si disse sulle reliquie
conservate a S. Dionigi venne poi raccolto in un libretto stampato
in Milano nel 1498, che si trova all'Ambrosiana (4) e che alle molte
(1) Puricelli, op. cit, lib. I, cap. Vili e Naaariana, cap. «7. Vedi
anche Argellaii, BibUat. Script. Mediai., lom. I. parte 11, Anonymus XIH.
fa) Questi due di>tti scrittori di cose ecclesiastiche milanesi vissero
nella seconda metà del secolo XVLI e lasciarono alcuni libri stampati,
e molti più manoscritti.
(3) Cod. AmbroB. A. S. Ili, 4, tom. I, fol. 121. v. Vedi anche nella
stessa Miscellanea del Carisi il tom. Ili, foli. lOi-tta. Santi mHantsi.
{4) Ha per titolo : " Tractato utilissimo a le anime divote ciò è, de
■ le indulgentie et corpi sancti che sono ne le Gie-e de la Ciiade de
" Milano: etiam in alcuni altri lochi che sono nel Comitato de la dieta
■ Citade: corno si trova per antiqui registri et privilegi autentici. „ Fi-
nisce con queste pjrole: Impressili» est hoc ofiuscitium tartqaam tabula
lapidea opera et impensa presbyleri Joannis Peri Casorati ttec non Ber-
ti piaoni, MediolaniHsium anno salutis MCCLCLXXXXt'Ill, nonis
'ulti complelum. Pariando dì S. Dionigi vi si legge: " In Sancto
lisìo gli sono de molte indulgentie et reliquie. In prima de li re^
ie che li jace. S. Dionisio Archirp. de Milano XI, stete anni Xllll.
trialdo levita et martire, S. Erlembaldo m. cum suo magistro de
>lii et dui compagni et si trova in le croniche che questi dui mariiri
ieniino al Consilio del santissimo papa Calisto (sic) quando fu de-
raio che li presbiteri non avessero più mogliere. S. Aurelio epi-
>o, il quale jace in lo altare mazore di S. Dionisio, santo Cantiauo
I dui compagni martiri, li septi Maccabei sono a di primo di agosto,
DI S. ARIALDO 67
reliquie degli elenchi precedenti aggiunge « Tosso della barba di
• S. Giovanni Battista regalato da S. Pietro a S. Barnaba n ed altre
molte, delle quali non si dà più manco la descrizione.
Non è certo con simili fole che si onora Iddio, esse sono il
portato dello spirito superstizioso, che non mancò mai tra gli uo-
mini, e di cui è sommo interesse della scienza e della religione di-
sperdere ogni avanzo.
Questo libro dovette essere molto noto, ebbe una seconda edi-
zione nel 1515 ed una terza poco dopo il 15^8, delle quali il Puri-
cdli possedeva copia. Anche i frati di S. Dionigi, rispondendo ad
una domanda di S. Carlo, attinsero le loro notizie a questa fonte,
che servi anche al Morigia e ad altri scrittori posteriori (i).
Per ora faccio solo osservare che tra i corpi santi conservati
a S. Dionigi è costantemente indicato S. Arialdo, e se qualche volta
si tace di S. Erlembaldo, è solo perchè si univa come dicemmo al
suo compagno, ai 28 di giugno.
Anche in alcuni martirologi (2) ed in calendarii popolari è di
' S. Felicita matre de li Maccabei, SS. Cornelio e Cipriano pontefici et
' martìri, santo Lucifer, santo Alberto, santa Euserìa, santo Arnoldo.
' Anche in lo altare de santo Joanne Battista li è riposto lo osso de la
' barba sua, chi mandò santo Petro Apostolo a S. Barnaba cum grande
* indulgentia, come si trova in una cronica. Ancora in lo altare de la
• santa Trinitade he innumerabile reliquie et notabile et sono scripte
* appresso a li monaci cum grande indulgentia. Ancora sono altri corpi
' santi et reliquie che non sono qua scripte. „ Segue quindi il cenno
di altre strane indulgenze date dal Papa a S. Dionigi per la chiesa sua.
£ UQ libro curioso che può dar maniera di conoscere le cose del tempo
io fatto di credenze e di pratiche religiose.
(i) PuRiCELU, op. cit, lib. I, cap. X. Del libro stampato nel 1515
paria il Puricelli anche nella sua Nazariana, cap. 135. I frati di S. Dio-
nigi si appoggiavano al libro stampato dopo il 1538, cioè dopo che i santi
Dionigi ed Aurelio vennero collocati dietro l'altare maggiore del Duomo.
(a) Codd. 506 e 507 della Trivulziana: sono due martirologi di mano
dd XV secolo ; danno : //// KaL Julii.,.. Eodem die celebraiio venerabilis
Itviiae et martiris Arialdi^ cujus corpus Mediolani ad sanctum dionisium
cum Arialdo (leggi Herlembaldo) quiescii. Hic passus est anno MLX\/I
« simoniacis apud lacum majorem, de quo est liber mire bonitatis. — Il
PuRicELu, op. cit, lib. I, cap. V e Nazariana^ cap. 119, ricorda un ca-
lendario, ch'egli dice scritto nel 1381, posto in fine ad un epistolario
anibrosiano, dove ai 28 di giugno si leggeva: Sancii Arialdi levitae et
^'^orfyris jacet ad sanclum Dionisium, Vedi anche Ferrari, Cathalogus
68 FONTI E MEMORIE STORICHE
frequente ricordato Arialdo. Il Rustico Indovino (i), Tamico fedele dei
milanesi devoti, dal 1876 in poi ai 28 di giugno pone costantemente
S. Arialdo, ultima eco una tradizione antica e venerata (2). Finalmente
alcuni elenchi di Arcivescovi di Milano, quando parlano di Guido, ri-
cordano i due campioni patarini, e li dicono sepolti a S. Dionigi (3).
Alcuni autori indicano anche meglio il luogo della sepoltiu'a di
Arialdo, che era nel mezzo della chiesa o più propriamente nella
cripta sotterranea o « scurolo, n in un tumulo marmoreo, mentre Er-
lembaldo rimase nel suo primiero luogo. Nella Croftaca di Lampugnano
sanctorum qui in martyrologio romano non sunt, Venetiis^ 1625, ai 27 di
giugno : BosCA, MartyroL Medio!., Mediolani, 16^, ai 28 di giugno, il quale
cita anche un calendario da lui chiamato * acefalo. ^
(i) Il sac. D. Rustico Frigerio nel secondo decennio, pare, del se-
colo XVIII cominciò a comporre un Diario, che da lui prese poi il nome,
stampato in una tipografìa di sua famiglia in via S. Margherita.
(2) Il più vecchio Diario popolare milanese stampato, eh' io conoscBi
è quello del Carisi, Diario sacro perpetuo di tutte le feste (Milano, nella
stamperia Arcivescovile, 1668), che ai 28 di giugno ha : S. Arialdo Alciato,
nobile milanese, diacono, canonico e martire. Fu sepolto in S. Dionigi in
Porta Nuova, L'opera del Carisi venne ristampata molte volte. Quando
il sac. D. Alarico Finoli curò l'edizione del Rustico Indovino dell'anno
1876, la corresse sopra il Diario del Carisi e quindi vi introdusse
S. Arialdo in luogo di S. Leone, recato dall'antico Rustico giusta i
calendari romani. Vedi Pellegrini, op. cit., pag. 470 e segg.
Del resto nel secolo XVllI diversi calendari sacri uscirono alle
stampe, non ostante il vantato * privilegio „ che il Rustico Indovino
aveva ottenuto nel 1730 diverse volte confermato, che nessun altro
pubblicasse diari in Milano: in essi il nome di Arialdo compare e scom-
pare ad arbitrio dello stampatore o del correttore. Anche un almanacco
di Novara, intitolato Novara Sacra, dall'anno 1835 al 1845, pone ai 27
giugno S. Arialdo, e la edizione dell'anno 1835 lo dice nativo di Cuz-
zago nell'alto Novarese, errore attinto, come credo, dal Massa, Diario
dei santi e beati che fiorirono negli stati della real casa di Savoja, To-
rino, 1815, che parlando di Arialdo confonde Cuzzago di Novara col
nostro Cucciago.
(3) Nel cod. Ambrosiano T. 175 sup. sopra ricordato a fol. 9 v. :
Tempore hn/us Guidonis fuerunt sanctus Arialdus levita et Martyr et
Beatus Herlembaldus Cotta martyr et milex, qui passus est MIXÌ/I et sepulti
sunt isti duo martyres ad S, dyonisium. — Cod. Ambrosiano E. S. ^^ li, 4,
foli. 210-215, contiene una Cronaca Archiep. MedioL derivata da antico
codice, a fol. 213 v.: Beatus Arialdus Martyr,., beatus Herlembaldus Martyr ^
ambo jacent ad sanctum Dionysium. Altri elenchi di arcivescovi milanesi
parlano dei santi nostri, fra essi il cod. Ambrosiano H. 87 sup. (con nìi-
niature del Luino), ma non accennano alla loro sepoltura.
DI S. ARIALDO 69
di Legnano, o catalogo degli Arcivescovi milanesi, parlandosi del-
rarcivescovo Guido, si discorre dei due nostri santi, ed Erlembaldo
è detto sepolto in San Dionigi in navello in pariete, ubi ejus passio
depicta est, di Arialdo che jacet in torpore (supple ecclesiae] sancti
Dionisii (i). Le quali parole passarono nel Flos florum di Andrea
Bossi (2), come le notizie del Fiamma passsarono nel Valison del ve-
scovo Fabrizio Marliani (3). Anche il Cono, che non parla di Arialdo,
ricorda la sepoltura di Erlembaldo, « una cassa circondata di lame
di ferro » (4). Dopo il Fiamma nessuno ripetè riscrizione né di
Arialdo né di Erlembaldo, e possiamo ragionevolmente supporre
die siansi smarrite tutte e due.
Bla ora dobbiamo esaminare la testimonianza di Andrea Alciati,
che fa viaggiare il nostro santo niente meno che a Parigi. Dice dunque
romanista: Jacnit \B, Arialdus] per quingentos ferme annos in
divi Dionysii episcopi nostri subterranea edicula tumulo marmoreo,
donec anno millesimo quingentesimo octavo a Ludovico XII Fran-
corum rege Lutetiam Parisiorum traslatum est, existimante non
Arialdum sed Dionysium auferre. Adeo Parisiis placent Dionysii, ut
undique gentium ad se etiam Pseudo-Dionysios trahant, Areopagitam
quoque sibi praefuisse comminiscantur {^). DalVAlcìsLtì questa notizia
passò nel Fontana (6). Il Papebroch (7) avvertì lo sbaglio di data,
a) Cod. Ambrosiano H. 56 sup., scritto da Michele Piccolpassi e
dedicato allo zio Francesco, arcivescovo, contiene anche excerpta ex
vetustissima cronica reperta apud quemdam nobilem de Lampugnano de
Legnano MedioL ecclesiae^ etc. : a fol. 65 v. parla dei due santi. (Altra
copia D. 26 inf.). Per la descrizione di questi codici vedi Van Ortroy,
Anaiecta Bollandiana, XI,pag. 290, 338.
(2) Cod, Braidense A. G. IX, 35, fol. 131 v.
(3) Cod. del Capitolo di Novara, fol. 716 seg. : di Erlembaldo ricorda
il sepolcro marmoreo ed il dipinto raffigurante il martirio. Di questo co-
dice ho parlato in quest'^rrA., XXVII, fase. XXVIII, 1900, pag. 21.
1^4) Ed. di Venezia del 1565, pag. 12.
(5) 11 Cod. dell'Ambrosiana D. 436 inf. fol. 74, v. (Copiato dal libro
delie iscrizioni di Milano ^ che va sotto il titolo delVAlciató) a fol. 76 e 77. v,,
reca le parole citate, già edite dal Puricelli, Op. cit, lib. I, cap. II, pag. 16.
(6) Cod. di Brera, A. E. IX. 2. fol. 55. 11 Fontana, che visse poco
dopo rAlciati, ne transunta V Antiquario ed altri libri : di lui parla TAr-
GELLATi, Bibliotheca scriptorum MedioL^ II, 445-6. Le parole che si rife-
riscono a S. Arialdo vennero pubblicate dal Puricelli, 1. e, e dai Boi-
landisti, Ada SS. Juniif V, 310.
(7) Acta SS. Junii, loc. cit.
70 FONTI E MEMORIE STORICHE
poiché Lodovico XII non venne a Milano nel 1508, bensì un anno
appresso, dopo la celebre battaglia di Agnadello. Il Lattuada poi (1)
riporta una iscrizione, che esisteva al suo tempo sull'atrio della
chiesa di S. Dionigi, nella quale si accennava al fatto che il re ivi
salì a cavallo per entrare trionfante in Milano.
Dalle parole dell' Alciati veniamo a sapere con precisione il
luogo, dove ultimamente era tumulato il corpo di S. Arialdo, nello
scurolo della chiesa, in un sepolcro marmoreo : e ricaviamo di più
che quando egli scriveva, n'era stato tolto. Che sia stato trasportato
a Parigi io non posso credere, e le parole dell'Alciati mi sembrano
una satira più o meno spiritosa ai parigini. Nella celebre basilica
di Saint Denis presso Parigi si conservano i corpi di S. Dionigi
primo vescovo della città, il creduto Areopagita, e di S. Dionigi
di Corinto, ma non quello d'Erlembaldo, neppure quello di S. Arialdo,
né di altro santo venuto da Milano (2). Lo storico di quella basilica
Félibien all'anno 1509 narra con minute particolarità le feste reli-
giose e civili celebrate a Parigi per la vittoria di Agnadello, e parla
di due bandiere tolte ai Veneziani e portate in trionfo e depositate
nel tesoro della basilica (3) ; sullo zoccolo del monumento a Luigi XII
che si ammira in quella basilica é rappresentata in bassorilievo la
battaglia di Agnadello È possibile credere che un fatto così impor-
tante come il trasporto del corpo d'un santo non sìa stato mai
notato in nessuna memoria né a Milano, privata di quel deposito,
né a Parigi arricchita del creduto corpo di un terzo S. Dionigi ? (4).
Le vicende occorse ai corpi dei due santi Arialdo ed Erlem-
baldo ora si intrecciano siffattamente con quelle della chiesa e
del monastero di S. Dionigi, che solo da queste possiamo raccogliere
qualche lume.
(i) Descrizione di Milano, V, pag. 330: l'iscrizione sfuggì al Forcella.
(2) Confronta Félibien, Le trésor des corps saints etc. dans l'église de
S. Denis f Paris, 17 15.
(3) Histoire de l'abheye royale de S. Denis^ Paris, 1706, all'anno 1509.
Altrettanto dice nella Histoire de la ville de Paris, Parigi, 17^*5, li, 908-
(4) Aggiungo che il Doublet, Histoire de Vabbeye de S. Denis^ Pa-
rigi, 1625, riporta diverse carte di Luigi XII a favore di quella basilica,
ma in nessuna v' ha traccia del preteso trasporto.
DI S. ARIALDO 7I
Che il secolo XVI sia stato tempo di grande decadenza di mo-
nasteri, tutti sappiamo La celebre badia di S. Dionigi sul princìpio
di quel secolo era ridotta a tre monaci Cristoforo de Ponzonis,
Giovanni Antonio de Zucchis e Marco de Bacchis, che trovo ri-
cordati in un documento contemporaneo (i), dei quali per altro
papa Gemente VII dovette dire che tiec verbo, nec exemplo ejsdem
ckrisiifideliòiés proficiebant (2). La chiesa ed il monastero cadevano
in mina, ed i beni della badia trasandati a pena potevano procurare
un onesto sostentamento ai tre suoi abitatori. Ad accrescere tanti
mali s'aggiunsero le guerre, che rovinarono principalmente i fab-
bricati posti fuori le mura della città, come allora era S. Dionigi.
U Burigozzo, un popolano pieno di buon senso, sotto Tanno 1527,
narra: « Infra le quali [case di Dio devastate in quel torno) la
* ecclesia de S. Dionixio fora de porta Renza fu destrutta per mano
« de Lanzichenecchi; et li monaci de ditta ecclesia, vedendo questo,
« avvisorno Monsignor TA vicario del vescovo, maxime per li corpi
« de Santi, qual li erano, e lui ordenò la gierexia del Domo, et li
« andomo a torre. E questo fu el dì de santo Biasio, eh' è a dì
« 3 febraro 1528, e a dì 4 ditto ritornò a pigliare altre reliquie :
• et fra le altre ghe fu un vaxo de porfido bellissimo n (3).
Quali fossero queste reliquie il Burigozzo non dice; ma al si-
lenzio suo supplisce il Morigia, che potè vedere V istrumento no-
tarile di consegna delle reliquie. Egli però ne parla confusamente
tanto da aver dato origine ad opposte sentenze. Ecco le sue parole:
« E perchè nel santuario, ovvero scurolo di detta chiesa ci stavano
• riposti diversi corpi santi, che tutti rendevano devozione a questa
* chiesa. Onde si legge in un libro di cronache antiche ed in un
^ altro stampato (4), che in detta chiesa ci furono il corpo di
(i) Archivio di Stato. — Fondo Religione. Conventi di Milano, Santa
Maria del Paradiso, cartella 616.
(a) Bolla di Clemente VII, che si conserva in originale nella sopra
ricordata cartella deirArchivio di Milano. Anche il Bbscapè, Historia Ec-
cksiae MedìoLf Novariae, 1615, pag. 74^ dice che cum ecclesia (S. Dio-
nysii) ab abbate et monachis quibusdam, habitus fere clericatis, qui eam
hobtbant, temporum calamitate esset deserta, corpora [sanctorum Dionysii
et Aureli] translata sunt in Ecclesiam majorem, Hippolito secundo Estense
archiepiscopo,
(3) Archivio Storico Italiano, serie 1, tom. Ili, 1842, pag. 476.
(4^ Il libro stampato è quello di cui ho parlato più sopra, a pag. 66-67.
72 FONTI E MEMORIE STORICHE
m S. Arialdo levita e martire, di S. Erlembaldo martire, dei sette
ti maccabei, S. Lucifero martire, S. Eulalia vergine e martire,
« S. Arnoldo confessore »
u Appresso eravi il corpo di S. Dionigi, quel di S. Aurelio ve-
li scovo radicense, che arrecò il corpo di S. Dionigi a Cassano, ed
u i corpi dei santi Canzio, Canziano e Canzianilla fratelli. Tutti
éi questi corpi santi furono trasportati nella chiesa del Duomo
- l'anno 1528 il 4 febbrajo, cioè il corpo di S. Dionigi e quel di
« S. Aurelio un giorno, e gli altri il giorno seguente, deUa qual
« traslazione ne rogò Tistrumento il signor Giovanni Pietro Ber-
« nareggio notaio dell'Arcivescovo » (i). La frase « tutti i corpi santi n
comprende tutte le reliquie che si dicevano essere a S. Dionigi,
ovvero soltanto quelle enumerate poco prima, e cioè i santi Aurelio,
Dionigi e i martiri Canziani? Altri documenti ed altre storie dell'e-
poca, come vedremo, ci assicurano che in Duomo si trasportarono
soltanto questi ultimi santi (2). £d allora che ne fu dei corpi di
Arialdo e d' Erlembaldo, che non appaiono tra i trasportati in
Duomo, mentre d'altra parte è certo che in S. Dionigi dopo quel-
l'anno 1528 non restarono più corpi di santi ? Ma giova continuare
la storia della badia.
Poco dopo questo fatto essa fu data in commenda al cardinale
Salviati, e nel 1532, se è esatta l'indicazione del Fumagalli (3),
(i) Santuario della città e diocesi di Milano, Milano, i6oa. Il libro
non ha numerazione di pagine né di capitoli ; le parole citate si trovano
verso la fine, dove si parla della chiesa di S. Dionigi. Il Giulini« Me-
morie, lib. cit. all'anno 1099, tom. II, 676, mettendo a confronto il Morìgia
col Castelli, la cui testimonianza riferiremo fra poco, nota alcune dif-
ferenze, delle quali dà colpa al Morìgia. Ma il Giulini prese abbaglio,
confondendo la traslazione dei corpi dei santi Dionigi, Aurelio e martiri
Canziani, avvenuta nei giorni 364 febbraio del 1528, con la riposizione
delle reliquie dei due vescovi santi Dionigi ed Aurelio seguita il i*"
marzo 1538. In questo errore altri lo avevano preceduto, come il
Lattuada, Descrizione di Milano, ecc., V, 326 ; e tutti lo seguirono. Ma
le precise parole del Burigozzo, che sopra riferimmo, ed anche altre
che presto saranno citate, tolgono ogni dubbio.
(2) Besozzo, Historia pontificale^ Milano, 1596, pag. 22 ; Bescapè in
molti luoghi, come nel Libro di alcune antiche chiese di Milano, dove
parla delle reliquie conservate in Duomo; Bosca, MartyroL Mediai,, ai
35 maggio, 14 giugno, 9 novembre. Il libro citato a pag. 67, le cui pa-
role puoi vedere pre'*so Puricelli, op. cit. pag. 25 26, ecc.
(3) Fumagalli, Spiegazione della carta topografica dell'antico Milano
nel suo libro: Le vicende di Milano durante la guerra con Federico Bar-
r
DI S. ARIALDO 73
Qanente VII soppresse anche il titolo abbaziale, convertendo la
basilica in un beneficio semplice col titolo di prepositura.
In quei tempi vagavano per la città, senza chiesa ne tetto, i
padri Serviti (Servi di Maria dell'Osservanza), che erano stati chia-
mati a Milano nel 1481 da Rodolfo Vismara, il quale aveva loro
donate venti pertiche di terreno posto fuori Porta Romana vicino
al Redefosso, dove s'erano fabbricati la chiesa col titolo di S. Maria
del Paradiso e il Convento (i). Nel 1525, durante la guerra contro
Francesco I chiesa e convento furono manomessi dai soldati fran-
cesi L'anno dopo quei buoni padri avrebbero voluto restaurare la
propria abitazione; ma vi si oppose il governatore Antonio De
Leva, temendo che quel fabbricato potesse servire di rifugio ai sol-
dati di Francesco I : anzi comandò che chiesa e convento fossero
rasi al suolo. Quel luogo fu quindi chiamato il Dirupazzo, e servì
poi al cimitero del Fopponino ora chiuso (2).
I Serviti, rimasti senza monastero e senza chiesa, importunavano
il De Leva, che pare abbia per loro ottenuto dal cardinale Salviati
il monastero di S. DionigL Infatti il 17 gennaio 1532 a Bologna il
Salviati faceva rinuncia della sua commenda nelle mani di papa
Gemente VII, il quale donava monastero e chiesa ai Serviti col-
l'obbligo di restaurarli in magnitudine in qua erant ante eorum de-
structionem, donando loro anche i terreni del monastero stesso; il
cardinale Salviati si obbligava di fare a sue spese capellam magnani
et faciatam ipsius ecclesiae : il convento doveva essere chiamato :
domus S. Dionysii ordinis servorum B, M. Virginis de observantia :
non dovevano abitarlo meno di dodici monaci preti, che si obbligavano
alle funzioni diurne e notturne juxta morem romanae ecclesiae^ abolito
quindi il rito ambrosiano (3). Al mantenimento dei tre benedettini do-
veva provvedere il cardinale Salviati, che non se ne die gran cura,
poiché poco^ dopo assunsero questo peso gli stessi Serviti, i quali se
ne stancarono presto e tentarono accollarlo agli eredi del Salviati (4).
àarossa, al n. 30, nota e, cita una Bolla pontifìcia di Clemente VII del-
Tanno 1532 conservata nell'Archìvio del monastero di S. Dionigi, lo non
l'ho potuta consultare, ma per fare con tutta coscienza la storia di questa
basilica si dovrebbero vedere i molti documenti conservati nell'Archivio
di Stato che la riguardano.
(i) Bossi, Cronaca, ad annum y Lattuada, Descrizione di Mi/ano, III, 6.
(2) Archivio di Stato, cartella citata.
(3) Bolla di Clemente VII nella cartella citata.
(4) Archivio di Stato^ cartella n. 632.
74 FONTI E MEMORIE STORICHE
Intanto il 15 settembre 1536 moriva in Provenza il De Leva,
che con suo testamento del 2 settembre dell'anno precedente fatto
in Pavia, aveva disposto che il suo corpo avesse tomba a S. Dio-
nigi e che il figlio suo ed erede pagasse a quella chiesa un legato
di quattrocento scudi annui per venticinque anni, a fine di concor-
rere alla fabbrica della chiesa (i).
I Serviti, appena venuti in possesso della chiesa di S. Dionigi
reclamarono quel vaso prezioso di porfido ed i corpi dei santi, che
erano stati qualche anno prima portati in Duomo, ma i canonici
della Cattedrale non vollero render nulla, accampando a pretesto il
rito romano, che i Serviti avevano l'obbligo di osservare. Anzi il
primo di marzo 1538 fecero una solenne riposizìone di due di quei
corpi santi dietro Taltare maggiore del Duomo.
Ascoltiamo in proposito il buon Burigozzo : « El primo venere
« de marzo, che fu a dì primo de ditto meze, fu messo el corpo
« de santo Dominico [sic per Dionisio] in un sepulcro novo pox
u l'altare grande del Domo : et supra ditto sepulcro li miseno el
u vaso de porfido qual era sta in sagristia gran tempo in dibattere :
u alfine fu ordina restasse in Domo ditto corpo santo, sì ancora
« ditto vaxo, et questo fu per causa che la ditta giexia de santo
« Dominico (Dionigi], fu data à frati, quali non volseno tenere lo
« stile dell'offiziare al modo antico, ma al modo suo. E lì non vo-
« lendo loro celebrare al stile vero e mancare de tal efifetto, per
« questo li signori Ordinari non le volseno tornare le ditte reliquie.
u perchè mancando loro delli offizi, hanno de mancar loro a darghe
« ditte reliquie. E questo mettere tali reliquie al ditto loco, furono
« messe con gran trionfo e con sono de campane e processione, e
« con l'animo de tutto Milano, e qui restano » (2).
A questa funzione era presente Francesco Castelli, ordinario
della Metropolitana, che, parlandone nel suo Quodlibet (3), dice che
(i) Le iscrizioni poste al De Leva nella chiesa di S. Dionigi sono
in Forcella, Iscrizioni di Milano, V, nn. 175, 176, 181.
(a) Archivio Storico Italiano, anno 1842, loc cit., pag. 540-541.
(3) Cod. deirArchivio del Capitolo del Duomo, fol. 48 r. Vedi anche
Sassi, Archiep. Med, series, 1^72: MD XXXV Ul die veneris i.amartii. Nota
quod supradicto die reposita fuerunt corpora sanctorum Dionysii Archiep.
fìtediol. et Aurelii episcopi in parlibus Armeniae post altare majus eccUsiae
mediolanensis prope tumulum S. Galdini episcopi videlicet versus mtridio-
DI S. ARIALDD 75
allora vennero riposti dietro l'altare maggiore i corpi dei santi
Dionigi ed Aurelio. Dei tre fratelli Canziani non parla : essi dunque
restarono al loro posto di prima^ credo nella sagrestia del Duomo.
Nel 1543 i Serviti diedero principio alla fabbrica della loro
chiesa, a tre navate, con volte sostenute da pilastri, otto cappelle
oltre Taltar maggiore, « il tutto lavorato con gentilissima, vaga et
. rara architettura et dipinto de chiaro et scuro con le insegne
• dell' 111. Cardinale Salviati, « come si espressero gli ingegneri
chiamati dal P. Priore pel collaudo della chiesa (i). Il disegno della
chiesa, viene attribuito al Pellegrini (2). Il Lattuada ricorda alcuni
pregevoli dipinti qua conservati (3).
Tròppo presto però quella (;hiesa dovette subire gravi perdite.
Nel 1549 Ferrante Gonzaga, volendo cingere la città di nuove mura,
abbattè alcune parti della chiesa, che restò così guasta (4). Fra le
parti abbattute dobbiamo segnalare lo scurolo, dove, secondo la te-
stimonianza dell'Alcìati e di altri, ultimamente riposavano le ossa
di S. Arialdo, ed anche, a detta del Morigia, quelle di Erlembaldo,
che sarebbero state poste un* altra volta vicino a quelle del suo
compagno di lotta.
Nel 1576 S. Carlo per sé o per altri si accingeva a fare la vi-
sita pastorale a quella chiesa, e richiese ai frati l'elenco delle sacre
nftkm sagrestianif praeseniibus Rev.^o D, Joanne Maria Tonso vicario
archiepiscopali, et foto capitalo et officialibus tcclesiae^ magnaque populi
mediolanensis tnultitudine, de qua rogalum fuit instrumentum per spect.
D, Joannem Geordium Castanum, Joannem Petrum Bernarigium, Io. lac,
MoUtnum et Joa»^nem Seregnum Mediolani notarios pubiicos. Et ita ego
Franciscus Castellus Mediolanensis Ecclesiae Ordinarius, qui praedictis om-
fibus interfui et ad futura m rei memoriam seripsi.
(i) Archìvio di Stato, ivi, cartella 632. 11 Lattuada, Descrizione di
MUano, V, 330, ci dice che dinanzi alla chiesa si stendeva, come era
uso per le chiese del contado, il cimitero. 11 Puricelli, Ambrosiana,
n» 247, in fine, narra che al suo tempo v'era ancora un avanzo dell'an-
tico cimitero dalla parte sinistra di chi entrava in chiesa, che venne
distrutto Tanno 1640.
(a) Archivio di Stato, ivi, cartella 616. Ultimamente il Conte Fran-
cesco Malaguzzi Valeri parlando in questo Archivio anno XX Vili, fase.
XXXII (31 dicembre 190 1) delle opere di Pellegrino Pellegrini a Mi-
lano, vi notava (a pag. 343) anche la chiesa di S. Dionigi.
(3) Descrizione, etc, 1. e, pag. 329.
(4^ Lattuada, 1. e; Moriggia, Santuario, ecc. 1. e.
76 FONTI E MEMORIE STORICHE
reliquie e delle indulgenze. NeirArchivio Arcivescovile si conserva
la: Risposta delti frati di S. Dionisio alla petitione di MonsJ' illj^
Index reliquiarum (i), strano indice, giacché nessuna reliquia v*è
indicata ! Quei buoni frati non ponno che prendere in mano il Tra-
tato utilissimo à le anime devote ^ etc. nella sua terza edizione stampata
a Milano qualche anno dopo il 1538, e sulla fede di quel libro nar-
rano che nella loro chiesa si trovavano allora i corpi dei santi più
volte ricordati, ma che al tempo delle guerre, trasportati in Duomo,
furon posti dietro l'altare maggiore; soggiungono, sempre sulla fede
di quel libro, che nella loro chiesa si dovrebbero conservare altri
corpi santi, e cioè S. Arialdo, S. Erlembaldo, col suo maestro di
scuola e due suoi condiscepoli, S. Alberto, S. Eulalia, S. Arnoldo, un
osso di S. Giovanni Battista, ed altre reliquie, ma aggiungono che
non si trovano, e ne danno la colpa alle calamità, a cui andò sog-
getta la chiesa, le quali dispersero le carte ed ogni antico ricordo.
Solo dichiarano di possedere una cassetta contenente reliquie senza
nome. Sono reliquie delle quali abbiamo ricordi prima del 1528, e
di frequente se ne fa menzione anche appresso (2).
Dopo questa testimonianza, noi non ci afifaticheremo più col
Puricelli (3) nel cercare i corpi dei Santi Arialdo ed Erlembaldo a
S. Dionigi. Anzi quei buoni padri erano tanto persuasi di non avere
reliquie di valore, che' perduta affatto la speranza di riavere le
antiche reliquie, ricorsero al Cardinale loro protettore per ottenerne
altre (4), che di fatto ebbero nel 1599 da Roma (5).
(i) Archivio Arcivescovile, Visi/e pastorali ^ sessione X, Archivio
spirituale^ S. Francesco da Paola, voL VI, inserto n. 36.
(2) Archivio di Stato, cartella 632 e sopra pag. 67.
(3) Op. cit. pag. 384 e altrove. Le testimonianze, a cui il Puricelli
appoggia la sua tesi, sono ben poche e di nessun valore : p. e. il Mo-
rigia aveva detto che " vi erano „ in S. Dionigi quei corpi santi, e il
Villa, citato dal Puricelli a pag. 57-58, gli fa dire che ■ vi sono, ma non
si sa dove „. Il Monti, citato a pag. 33 34 è oratore, non storico, e si
appoggia al Corio che viveva prima del trasporto dei corpi santi fatto
nel 1528. La testimonianza del libro citato a pag. 25, dopo quanto dicono
i frati, non può avere alcun valore.
(4) MoRiGiA, Santuario della città e diocesi di Milano, dove si parla
di S. Dionigi. Il fatto è confermato da carte conservate nella cartella
suindicata dell'Archivio di Stato.
<5) Raggrupperò qui ancor pochi cenni di questa chiesa. I padri
serviti vi stettero fino al 1783, nel quale anno passarono ad occupare
DI S. ARIALDO 77
Intanto i corpi dei nostri santi, che si conservavano in Duomo,
subivano nel 1557 una nuova rìposizione narrataci dal Castelli,
testimonio oculare, con queste parole (i): MDLVII die martis
nono februarii. Nota quod die suprascripto, hora prima noctis exhu-
matafuerunt corpora S. Caldini Archiepiscopi Mediolani ac S. Dio-
nysii archiepiscopi mediolani, et S, Aurelii episcopi ridiciottcnsis,
presente et astante magna populi multitudine ac cleri, et fiterunt
rtposita in sagristia meridionali sub trimn clavorum sigillo, donec
construeretur novus scurolus subtum chorum noviter construendum,
de quorum memoria rogatum fuit instrumentum per Dominum Joan-
nem Petrum Bernadigium et Joannem Antonium de Bossiis Medio-
Ioni notitrios.
Postea vero, suprascripto anno die vero vetieris quinto martii
hora XX vel circa, suprascripta sanctorum corpora, nec non san-
ctorum Canta, Cantiani et Cantianillce ac S. Maximi martyris,
cineres 5. Pelagio^ virg, et mari,, caput S. Tecla, caput S, Cristinae
^rg. et fnart,, caput unius Thebeorum et os magnum sancii Juliani
episcopi cenofnanensis reposi taf uerunt in supradicto scurolo novo et
uausculo marmoreo adstante maxima populi et cleri multitudine, de
S. Maria del Paradiso in P. Vigentina. Questa chiesa, che esiste ancora,
non deve confondersi con l'altra dello stesso titolo, che sorgeva fuori
di P. Romana, e che venne distrutta, vedi sopra pag. 73, mentre quella
fa edificata solo nel 1590 dai padri del Terz' ordine di S. Francesco.
Quando Giuseppe II nel 1782 soppresse i frati conventuali del terz'or-
dine, la chiesa del Paradiso doveva scomparire ; ma apparendo, com'era,
grandissimo il bisogno d'una chiesa pel servizio spirituale in quel quar-
tiere popoiatissimo, i Serviti vennero invitati ad abbandonare la loro
chiesa di S. Dionigi, che era ridotta a misero stato, per occupare quella
del Paradiso, dove trasportarono anche la tradizionale festa del tredici
di marzo, nonché l'urna sepolcrale del De-Leva.
Nel 1783 S. Dionigi era atterrato per l'allargamento dei giardini
pubblici. 11 vaso di porfido, che servì dì tomba al corpo di S. Dionigi
e che vedemmo trasportato in Duomo nel 1528, ora serve di vasca per
Tacqua battesimale. In Duomo si trasferirono anche il corpo e la tomba
dell'Arcivescovo Ariberto il giorno 28 Marzo 1783. Vedi Annali della
Ven, Fabbrica del Duomo, voi. VI., anno 1783; e anche il Milano sacro
del 1784, pag. 99.
(i) Quod'libet, cod. del capitolo della Metropolitana, fol. 83 r. Vi si
parla anche del trasporto dei santi Carpoforo e Felice del 1576, di che
vedi anche [Adalberto Catena] La legione Tebea^ Milano, 1895, pag. 88
e segg.
78 FONTI E MEMORIE STORICHE
quibus omnibus rogata fueruut instrumenta per suprascriptos nota-
rios, quibus otnnibus ego Franciscus Castellus ordinarius interfui.
Ma non dovevano stare molto tempo in quel vasculo marmo-
reo, S. Carlo trovò che era luogo a corpi di santi poco opportuno,
comechè nascosto e sottratto alla devozione popolare. Egli aveva co-
strutto in quella stessa cripta sotterranea un altare, dove anche amava
celebrare Messa. Vi scavò dunque sotto l'altare stesso una tomba, e
nel gennaio del 1578, presente il Bescapè, cui dobbiamo la notizia, vi
depose i corpi dei santi Dionigi, Aurelio, fratelli Canziani, tutti quelli
insomma prima riposti in quel tumulo marmoreo, unendovi anche
il corpo di S. Mona trasportato in Duomo dalla chiesa di S. Vitale
nel 1576. Dopo di che summa diligentia decentiaque in cellula sub
terram fabricata, testudine supra eam ducta insculptisque literis,
firmi ter clausit (i). Aveva però prima levate alcune teste di corpi
di santi, collocandole in appositi reliquiari per essere esposte alla
venerazione dei fedeli. Possiamo leggere V iscrizione, della quale
ci parlava il Bescapè, nel Lattuada (2) e nel Forcella (3), e la ve-
diamo tuttora. Se confrontiamo Telenco delle reliquie dato dal Ca-
stelli per la riposizione del 1557 e quello del Bescapè e del Gius-
sani, tenendo conto anche delle reliquie poste in reliquiari separati,
troviamo che oltre al corpo di S. Mona, che appare solo in questo
ultimo elenco, la testa di S. Cristina, numerata tra le reliquie ri-
poste del 1557, è dimenticata nella riposizione del 1578; però al-
trove il Bescapè la ricorda (4) e con lui il Morigia, che la dice con-
servata nella sagrestia degli Ordinari insieme con altre 14 teste
di santi (5).
(i) A Basilica Petri, De vita et rebus gestis S. Caroli, lib. V, cap. II, e
Histor. Ecc. Med. cit., pag. 74; Giussani, Vtta di S, Carlo, lib. V, cap. II;
Morigia, Santuario^ in principio, dove parla del Duomo; Bescapè, Libro
delle antichità di alcune chiese di Milano, Bergamo, cb 1d xcvi, in prin-
cipio, dove parla delle reliquie della chiesa maggiore. Questi due libri del
Morigia e del Bescapè non hanno numerate le pagine. Confronta anche
i nostri breviari ai 25, 31 maggio, 12 ottobre; Bosca^ Martyrol MedioL,
a quei giorni e al 14 giugno, Acta SS, Mai, VII, 431, etc.
(2) Descrizione di Milano ^ I, 70.
(3) Op. cit, I, pag. 28 num. 37.
(4) Ltbro delie antichità di alcune chiese di Milano, in principio dove
parla del Duomo.
(5) Santuario, 1. e.
DI S. ARIALDO 79
Dall'esposizione di questi fatti, appare evidente che i corpi dei
iMKtri due santi Arialdo ed Erlembaldo, che certamente fino al 1528
rimasero a S. Dionigi, dopo quell'anno scompaiono, e non essi soli,
ma con loro scompaino anche tutti quei supposti corpi santi, dei
quali la fantasia popolare aveva arricchito quella chiesa, soli eccet-
tuati, come si vede, i santi martiri Canziani.
Nessun dubbio può sorgere sull'identità del corpo di S. Dio-
nigi, che morì esule in Cappadocia. S. Basilio, nella lettera a San-
t'Ambrogio (i), accompagnatrice del corpo del Santo, diceva: iV^wo
éubiUt, n€P9io ambigat, hic ille est invicttis athleta ... Una arca erat,
quae venerandum illud corpus suscepit; nullus prope ipstim jacuit,
insigne fuit sepitlcrum, martyris hotior ci delatus, Christiani, qui
ipsum ospitio exceperunt, tunc et suis manibus deposuerunt, et nunc
extuIeriMt,,,, Nusquapn mendacium, nusquam dolus, extra calutnniam
sit aptid vos veritas. Che quel corpo santo sia stato prima deposi-
tato a Cassano, poi trasportato a Milano sotto Ariberto, o, come
vorrebbe il P. Papebroch, sotto Angilberto (2), sono fole che la
critica rifiuta. S. Ambrogio lo collocò nella Basilica, che poi da
quel sacro deposito prese il nome di dionisiana (3), in una preziosa
arca di porfido, quella stessa che nel 1528 fu colle spoglie del santo
portata in Duomo.
Anche del corpo di S. Aurelio possiamo ben essere sicuri.
Costui fu vescovo di non si sa quale città d'Armenia, e morì a
Milano un secolo dopo S. Dionigi, nel 475, nel giorno anniversario
della morte di questo santo, accanto al cui sepolcro fu tumulato,
e sulla sua tomba si scolpì una iscrizione, che il Castelli lesse e tra-
scrisse fedelmente nel Quod libet (4). La fantasia medievale si sbiz-
(i) Epist. 197 dell'edizione dei PP. Maurini. Di questo santo vescovo
di Milano vedi quanto raccolse il Biraghi nella sua Historia Datiana,
Milano, 1848, pa^. 94 e segg.
(2) V. Castiglioni, Mediolanenses Antiquitates, Milano, 1625, 16-18;
Acta SS, Mai, VI, 42.
(3) Rer, Hai. SS,y tom. I, parte II, pag. 227^ Adveniens itaque Medio-
^ofutm, eie. Cfr. la cronaca di cui parla il Puricelli, op. cit, pag, 480
e altrove; ma più che tutto vedi l'iscrizione apposta al tumulo di
S. Aurelio, che risale al secolo V, dalla quale si ricava che il corpo di
S. Dionigi era già in quella chiesa, come avverte anche Giulini, Me-
morie, cit. all'anno 1023, II, 133-134.
(4) Cod. del Capitolo Metropolitano di Milano, fol. 48 v. : Carmina
iescripta in tabula lapidea sepukri sanctorum Dionysii et Aurelii, da costui
8o FONTI E MEMORIE STORICHE
zarii anche su questa figura di vescovo armeno, affermando eh' egli
trasportò a Milano il corpo di S. Dionigi, mentre S. Basilio d parla di
un Terasio, ch'egli chiama « compresbitero, carissimo e reli^osissimo
figlio nostro ». Quella stessa leggenda narra anche il trasporto del
corpo di S. Aurelio in Germania nel 830 (i). Alcuni nostri autori vor-
rebbero che ciò potesse forse dirsi di parte di quelle reliquie ; ma
la leggenda non ha fondamento storico; Ariberto nel suo testamento,
parlando della chiesa di S. Dionigi, da lui arricchita e dove volle
avere sepoltura, dice che ivi beatissintorum confessorum Dionisii et
Aurelii sacra cor poro requiescunt (2); ed il Bescapè scrive che di
S. Aurelio caput et quasdam reliquias vidimus (3). hioltre la lapide
trascritta dal Castelli indicava con tutta precisione il corpo del
santo, quando esso da S. Dionigi fu trasportato in Duomo.
Dei santi martiri Canzianì invece dobbiamo dire tutt* altro. La
leggenda li fa oriundi della famiglia Anicia, martirizzati presso
Aquileja sotto Domiziano; essa, alla fine del quarto secolo o sul
principio del quinto, doveva essere già formata, se, come pare
certo, a S. Massimo di Torino dobbiamo attribuire un'omelia su
questi santi, che si legge tra le opere di S. Ambrogio (4).
Dove riposino i loro corpi è questione intricatissima, che sei
città se li contendono (5). Ma io non ho bisogno di entrare in questo
ginepraio, bastandomi escludere Milano dal loro numero. Nessuna
pare la togliesse il Valerio, invece l'Alciati, al suo solito, la corruppe:
r iscrizione come si legge presso Forcella-Seletti, Iscrizioni cristiane
di Milano anteriori al secolo IX, Codogno, 1899, P^g- i^i* "• ^^ ^
esatta, rispondendo alla lezione del Castelli.
(i) Vedi questa leggenda in Analecta bollandiana, tomo XVII, 1898,
pag. 190 e segg. Tanto T iscrizione quanto la leggenda lo dicono tpi-
scopus reditionis, città che non si conosce. Vedi però Ada SS. Mai VI, 41.
(2) PuRiCELU, op. cit, pag. 485.
(3) Historia Ecclesiae Mediol^ in fine del libro restato incompleto,
Novariae, 1615, pag. 79.
(4) MiGNE, Patrol, Latina, XVII. 705, 706 tra le opere di S. Ambrogio;
e Patr. LaL LVII, Sermone LXXXIV, col. 700, tra quelli di S. Massimo.
L'edizione dei PP. Maurini non è che una riproduzione della edizione
curata dal P. Bruno Brum', Roma 1784; vedi però Savio, Gli antichi ve-
scovi di Italia, Torino 1899, pag. 292. S. Massimo cominciò, pare, il suo
episcopato negli ulUmi anni del secolo IV. Vedi Savio, op. cit pag. 293.
(5) Ada SS. Mai, VII, 428 e segg. Bosca, Mart^^. MedioL, ai
14 giugno.
DI S. ARIALDO 8l
i^enda di quei santi parla del loro trasporto a Milano, a S. Dio-
nigi Goffredo da Busserò lo esclude, dove narra il trasporto di
quelle reliquie in Sassonia, e per Milano ricorda solo un altare a
S. Maria Podone, e, cosa importante per noi, la festa che si faceva
in loro onore a S. Dionigi et laudabiliter aptum copia fandi; ag-
giunge che patirono il marthio al 14 di giugno (i). 1 nostri antichi
calendari sono concordi nell'assegnare la festa dei santi Canziani
al giorno 14 di giugno e alla chiesa di S. Dionigi (2), ma in nes-
suno di essi io ho trovato alcuna di quelle espressioni, che sono
di solito adoperate per significare il possesso dei corpi santi nelle
chiese ricordate.
Del resto anche altri leggendari di vite di santi, che servivano
per chiese ambrosiane, ponevano il martirio dei fratelli Canziani
non al 31 di maggio, come usavano fare i martirologi romani, ma
al 14 di giugno (3). Quindi è che la festa che si celebrava in quel
(i) De sanctis cantio, caniiano, cantianilla et proto martyribus est
fesium ad sanctum Dionisium et laudabiliter aptum copia fandi, Item
aliare in ecclesia sancte Marie pedonis... Fa un sunto della loro passione
e conclude: Et videte quam in kalendas aprilis in Saxonia provintia,
urbe ildensen celebratur adventus sanctarum reliquiarum istorum marti-
rum istorum cantianorum, ut legitur in vita sancii gotardi episcopi. Ri-
pete le notìzie della loro, passione e conclude : passi sunt die quartode-
cimo junii. Dell'opera di Gottofredo da Busserò, vedi quanto assen-
natamente scrisse il sac. dott. A. Ratti, in questo Archivio, anno XXVIII,
voi. XV, 1901, pag. 18-23.
(2) Vedi il Calendario Sitoniano in Rer. ItaL SS, II, parte 2, 1035,
KVlìl KaL julii; così pure il Calendario di Beroldo, ed. Magistretti, Mi-
lano, 1894, P2ig« 7- XVlll KaL julii» Degli altri calendari antichi, che ho ve-
duto all'Ambrosiana, nell'Archivio del Capitolo Metropolitano e altrove,
concordano solo alcuni; quelli che non pongono le notizie delle chiese
dove si facevano le feste dei santi, conseguentemente non hanno ad
sanctum Dionisium. Fu solo al tempo di S. Carlo che la chiesa Ambro-
siana, uniformandosi al rito romano, trasportò la festa di questi santi
al 31 maggio.
(3) Cod. Ambrosiano E. 22 inf., sec. XI, fol. 76 v. : Possi sunt beatissitHi
mortyres Cantius, Cantianus et Cantianilla in Acquilegensi civitate octavo
decimo kalendarum julii, imperantibus Diocletiano et Massimiano impera-
toribus, agente Sisinio cornile et Dulcisio preside. Regnante ^ e te. Altrettanto
nel cod. D. 22 inf., fol. 21 v. del sec. XII. Questo secondo codice serviva
per la chiesa di Olgiate Olona, era quindi certamente di rito ambrosiano.
Anche rispetto al primo il P. Van-Ortroy^ Analecta Bollandiana, XI,
2B2 e 302 ritiene per sicuro che dovette servire a chiesa ambrosiana.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXIII. 6
82 FONTI E MEMORIE STORICHE
giorno pei santi Canziani a S. Dionigi non era, come si potrebbe
credere, per ricordare il trasporto a Milano di quei corpi santi,
ma era in die eorum natalitio (i). Anzi la festa lungi dall'es-
sere stata occasionata da quel trasporto delle reliquie, ha dato
essa occasione a credere che quelle reliquie in S. Dionigi si con-
servassero. E davvero secondo i nostri antichi calendari ivi erano
celebrati come festivi oltre i giorni di S. Dionigi 25 maggio, e
S. Aurelio 9 novembre, anche questi giorni : 14 giugno i santi
Canziani, 24 giugno S. Giovanni Battista, i.^ agosto i santi Mac-
cabei, 14 settembre i santi Cornelio e Cipriano : ebbene la fantasia
popolare arricchì quella chiesa di tutti questi corpi santi o delle
loro reliquie (2). lo non ho trovato traccie anteriori al secolo Xl\'
che provino il possesso dei corpi dei santi Canziani alla chiesa
di S. Dionigi in Milano : la prima memoria è il cod. T. 175 sup.
Anche Gotofredo da Busserò, milanese, pone la morte di questi santi
ai 14 di giugno. Ad Aquileja si faceva la memoria di S. Proto, il pe-
dagogo dei santi Canziani, al 14 giugno. Vedi Ferrari, Catalogus sane-
forum lialiae, 14 giugno.
(i) Il Messale Ambrosiano del 1522 (V Acta SS. lAai, VII, 431) ai
14 giugno ricordava i nataliiia dì quei santi, come si vede nella seconda
orazione de proprio: Ipsomm, quorum nataliiia celebramus, etc.
(2) Arrischierò qualche supposizione per gli altri santi, dei corpi
dei quali si volle arricchita questa basilica. S. Arnoldo forse non è ori-
ginariamente che una corruzione del nome di Arìaldo ^Arioldo, Arnoldo).
S. Felicita madre dei Maccabei si univa ad essi. S. Lucifero fu il compagno
di lotta e di esilio di S. Dionigi; per Questo forse gli venne unito. S. Eulalia,
nel cod. Trìvulziano 514 e nel libro stampato a Milano nel 1498 è chiamata
Euxeria; vedi sopra pag. 66 e 67 nota. Ricordo che il Fiamma disse di
Ariberto che : Duxit in uxorem nobilem mulierem Useriam, quae donavii
monasterio sancii Dionisii Useriam : Cronica Major cap. 226. Il Puricelli,
op. cit., pag. 462 e segg., provò che questa vigna detta " Useria „ non
venne donata al monastero di S. Dionigi se non assai tardi^ dopo i
tempi di Federico Barbarossa ed Alessandro III; non possiamo quindi
credere al Fiamma la cui asserzione è confutata anche da altre gravi
ragioni. Vedi anche Giulini, Mem, cit., II, pag. 299. Però nulla vieta di
credere che in tempi posteriori una nobile donna detta Useria abbia
donato al monastero quella vigna^ che poi si disse di Isera, e che di
fatto appare nei possessi del monastero. Non si potrebbe sospettare
che il nome della benefattrice del monastero siasi poco per volta mu-
tato nel nome di una santa? Per ciò che è di S. Alberto, del maestro
di scuola e dei due condiscepoli di Erlembaldo non so assegnare alcuna
ragione che ne spieghi la comparsa.
1» S. ARIALDO 83
Ma tutti sappiamo oramai quale fede
:orpi santi.
I febbraio del 1528 certamente si con-
ri due santi Arìaldo ed Erlembaldo, ma
polcro da tempo non si vedevano più ;
:mpre onorate come tombe di santi. Si
vescovile e il notaio, che scrìsse l'atto,
iresenza dei corpi dei santi Canziani,
ra solenne la festa mentre dei nostri
iciatura, almeno solenne. Una difficoltà
l era che quei corpi erano due e i Can-
si saranno data quella risposta che alla
il Bescapè (i); le ossa che mancavano
chiese che si gloriano di possedere
i nostri santi passarono in Duomo sotto
■astica fece l'errore, perdonabile in quel
ne dei martiri Canziani i corpi dei mar-
cila per altro fu assai benemerita col
lo, né S. Lucifero, né ì santi Maccabei,
alcuno di quei santi, che entrarono negli
e dopo il 1528 scompaiono affatto (2).
IH ttiodica pars ossiitm desti, quorumdam
<se in aliis ecctesiis, quae eadem sé habere
esiis S. Caroli, V, 2). Non sono io il primo
corpi dei santi Canziani a Milano; lo stesso
di giugno, e l'Oltrocchi nella nota 6 alla
iussani, pag. 367-8, il Ferrari, i Bollandisti
isserò dubbi; come non sono il primo ad
posino in Duomo. Fu questa l'opinione del-
ecc, ad a. 1099, tom. II, pag. 676 e segg.;
io della diocesi di Milano, Milano, i8a8,
iasione di aver provato ciò, di cui prima
e quando nel 1403 un fulmine aperse l'urna
escovo Ariberto, i monaci ne trasportarono
^ore, luogo, come è noto, riserbato ai soli
sscovo Pietro Filargo, che fu poscia papa,
■> quel corpo nel suo antico sepolcro, impe-
ore. Vedi MoK. Germ. Hist.,Vm, 69, nota e.
84 FONTI E MEMORIE STORICHE
V.
S. Arealdo di Cremona.
Devo parlare di questo santo perchè alcuni lo confusero col
nostro (i) ed io pure vagheggiai per molto tempo questa opinione.
Le più antiche memorie sicure intorno ad Arealdo cremonese mi
vennero indicate da quel profondo conoscitore della storia di quella
città, che è Tillustre Presidente della nostra Società Storica: consi-
stono in tre lettere scritte nell'anno 1469 e conservate nel nostro Ar-
chivio di stato, Carteggio sforzesco, di quell'anno, mese di marzo. La
prima, la più importante ha la data 8 marzo 1469. E dei canonici
della Cattedrale di Cremona, che espongono al Duca come : « Al
« tempo de la felice memoria de la Ill.ma Madonna vostra madre, d.
« l'abbate de Ogni santi de Cremona cominciò ad litigare cum li vi-
u Cini de santo Nazaro de la dieta cita dicendo li avevano rubato il
M corpo di santo Arealdo. n La causa fu prima presentata « alla
banca » del vescovo, poi al luogotenente ducale, che impose u chi
« faccia restituire dicto corpo de santo cum cerimonie et chiericato
M al dicto d. abbate, n Ma a questa decisione s'opponevano i ca-
nonici : « Sapendo noi et ctmoscendo in quanto vituperoso loco
u dicto corpo santo era tenuto, che mai non li andava homo del
« mondo ad visitarlo, et era in più abiecta et infame via di Cre-
M mona et stava comò in una stala sotto lo feno : vogliamo sup-
« plicare la V. Ecc.za cristianissima si degni de essere contenta et
« mandar chi el dicto corpo santo sia riposto in la Chiesa catedrale
« de questa nostra cita, w Aggiungono che se il Duca darà il de-
siderato permesso un « uomo religioso » si è impegnato di ornare
a sue spese « una capella et arca magnifica et per acomperare una
« dote ad dieta capella, in la quale continuamente pregar Dio et
« celebrare ad quelle sante reliquie. » Finiscono col dire che tutto
il popolo, o, come essi si esprimono, « de li cento novanta » de-
siderano che quel corpo sia portato alla Cattedrale, e col dare
buona testimonianza del latore della lettera u Henrico de Carada. »
La lettera è sottoscritta : Capituìum Eccìesiae cathedralis Cremonae,
(i) Anche il Puricelli non è lontano dall'ammettcre in parte questa
sentenza, op. cit., pag. 384-385.
DI S. ARIALDO 85
La seconda lettera è la rìsposta che il duca indirìzza al ve-
scovo di Cremona, scritta in un latino migliore dell' italiano dei
canonici. Comincia : Ex literis ad nos nuper scriptis per venerabile
Capituluni cathedralis ecclesiae istius ttostrae urbis significatum est
nobis sacrum beati Arealdi corpus in loco admodum indigno et inde-
coro sine ulta veneratione jacere, et ingentem ex eo controversiam
inter venerati lem dominum abbaiem omnium sanctorum ac vicinos
sancii Nazari ejusdem nostrae civitatis viguisse proptereaquod utrique
eorum corpus ipsum ad ecclesiam suam spedare affirmabant. Dice
che ben volontieri annuisce alle suppliche del capitolo, che quelle
sante reliquie non rimangano più oltre in quel luogo, e prega il
vescovo che voglia farne il trasporto alla Cattedrale con quelle
cerimonie, che in simili casi sono solite usarsi ; e tanto più volon-
tieri si induce a dare questo permesso, perchè gli era stato riferito
hoc ex communi voto consensuque illius nostrae civitatis processisse.
La lettera porta la data del tredici di marzo 1469.
La terza, sottoscritta da Joannes Marcus Palavicino Scipione,
ha la data del 18 maggio dello stesso anno, è dettata in uno stile
trascurato; lo scrittore cerca giustificarsi dell'accusa di aver sottratto
0 fatto sottrarre il corpo di S. Arealdo, dicendo che se « quelli
- pilipmo il dicto corpo, non procedeva da mio proprio movimento,
« ma era solum per exeguire quanto mi havetì (sic) scripto Sua
« Excellentìa per due lettere duplicate et pur assai ponzenti » pro-
testando che « voglio che v. Magnificenza intenda che questa non
. • è mia farina, »• e che « non ho tranello. »
Di fatto le reliquie di S. Arealdo vennero portate in Duomo
nel 1484 : queir « uomo religioso » di cui parlavano i canonici, che
s'era assunto la spesa dell'arca, ove collocare il corpo del santo, fu
Isacco Restalli, canonico della cattedrale (i). Una scritta posta
sopra una lamina di piombo depositata in quella cassa diceva :
Divi Arealdi martyris ossa die XXVI septembris MCCCCLXXXIV
hoc in arca propria impensa Ven, Canonici D.ni Isaac de Restallis
Cremonae reposita fucre (2).
fi) V Obituario di Cremona pubblicato dal No vati, Archivio Storico
Lorna., anni 1880^1, ricorda un Nicolaus de Restallis morto nel 1388.
Vedi Arch. cit., anno 1881, pag. 490.
(2) Zaccaria, Cremonensiuni episcoporum series, Mediolani, 1749,
pag. 274 in nota al i di settembre.
8ò FONTI E MEMORIE STORICHE
11 Gavitelli dice che quelFurna fu posta nella parete destra
della capella del SS. Sacramento, che prima era dedicata a S. Ge-
rolamo, in alto, verso il coro della chiesa (i). In quei tempi molti
artisti di primo ordine, come Pietro da Rho, G. Cristoforo Romano
ed altri abbellivano Cremona di monumenti, che eccitano ancora
la nostra ammirazione ; ed anche varie arche marmoree per sante
reliquie furon allora eseguite (2). Non è improbabile che una di
esse sia appunto quella « magnifica arca « di cui ci parlavano i
canonici del Duomo, che il Restalli era disposto a preparare per
il corpo di S. Arealdo.
Checché sia di ciò, il santo non vi stette molto, poiché il
22 dicembre 1538, fu riposto in un'altra urna di marmo, collocata
nella parte sotterranea del Duomo con un altare dedicato al santo.
Tanto attesta il Gavitelli (3) e risulta confermato da una dicitura
posta sul rovescio della lamina di piombo trovata nella cassa del
santo, e conservataci essa pure, come la prima, dal solerte Zac-
caria (4) e diceva : MDXXX Vili die XXII decembris contrascripta
ossa divi Arealdi translata fideliter in praesenti arca. Da quelle
ossa però allora levarono il cranio e lo collocarono in una teca
di rame dorato, anche oggidì esposto con altre reliquie nelle so-
lennità alla pubblica venerazione. S. Carlo, quando con apostolica
facoltà visitò Cremona nel 1576, comandò fra Taltre cose che Tal-
tare di S. Arealdo venisse abbattuto e costruito in luogo più co-
modo (5).
Io non so di preciso se l'ordinazione di S. Carlo sia stata
(i) Ludovici Gavitelli, pairitii cremon,, Annales^ Cremonae, 1588,
pag. 103, ad a. 1305.
(2) Wedì Archivio StoK Lomb,, anno 1887, pag. 150 e Rassegna d'arte^
a. I, fase. I, nell'art, su Pietro da Rho e la porta Stanga. Vedi anche
VEmporium dell'ottobre 1901, pag. 269 e segg.
(3) Op» cit., loc. cit.
{4) Op. cit, loc. cit.
(5) Archivio Arcivescovile, Visita di S. Carlo a Cremona^ voi. IV,
quinterno 17: • Si faccino le finestre disegnate verso la canonica e si
" riporti l'altare di S. Arealdo al pilastro o ad altro luogo più comodo
" e quello di S. Silvestro allo altare dei SS. Pietro e Marcellino. Questa
** demolizione si faccia nel detto termine a spesa delli redditi di detto
'* altare, quando ve ne sieno, altrimenti a spesa della fabbrica, perchè
" questa demolizione si fa per decoro della Chiesa. „ Vedi anche vo-
lume IX, quinterno 9.
DI S. ARIALDO 87
eseguita, però penso che sì, poiché il Rossi nella sua tavola dittica
dei vescovi di Cremona, sunteggiando le parole del Gavitelli, non
ha cenno dell'altare di S. Arealdo (i).
Poco dopo, nel 1606 fu ricostrutta la sotto-confessione del
Duomo, e nel 1614 ai 7 di giugno il vescovo Giovanni Battista
Brivio prima di deporvi le reliquie dei santi conservate in Duomo
volle fame una processione, che riesci solennissima, minutamente
descritta dal Merula (2), nella quale si portarono anche le ossa di
S. Arealdo unite a quelle di S. Archelao diacono e martire, che
furono poi deposte sotto la mensa deiraltare maggiore della sotto-
confessione, dove al posto d'onore riposano le ossa dei santi Mar-
cellino e Pietro protettori della città.
In questo tempo molti identificavano S. Arealdo di Cremona
col nostro S. Arialdo ; il Merula, che allora scriveva, afiferma ciò
espressamente (3) ed anche i vallombrosani accettarono questa
credenza (4). Anche l'unione di S. Arealdo con S. Archelao, che
fu certamente diacono e martire, non si può credere accidentale,
bensì determinata da questa opinione, che allora doveva essere
comunemente ricevuta. A conferma di ciò si osservava che nella
chiesa di S. Domenico di Cremona eravi una reliquia con l' iscri-
zione Sancii Arialdi levitar (5) che sarebbe di qualche valore sto-
rico, ove si potesse precisare ch'essa rimontava ad epoca remota.
Il Merula ci parla di molte altre chiese, nelle quali si conservavano
delle reliquie di S. Arealdo (6) e anche nella nostra diocesi se ne
trova una ad Albizzate : ma in esse il santo è indicato col solo
titolo di martire (7). Anche i calendari cremonesi, che commemo-
rano S. Arealdo al i di settembre, data (dicono) del trasporto delle
sue ossa a Cremona, non gli danno che il titolo di martire, e ciò
(i) Tabula diptycha episc cremon., Cremonae, 1598, num. 55.
(2) Merula Pellegrino, Santuario di Cremona, Cremona, 1627, pa-
gine 152, 258 ed altrove di frequente.
(3) Santuario di Cremona, cit., al i di settembre, pag. 247 e scgg.
(4) Vedi sopra in queste Fonti e Memorie storiche, in Arch» Stor,
Lomb., a. XXVIII, voi. XVI, settembre 1901, pag. 23.
(5) PuRicELLi, op. cit., lib. I, cap. XXV, pag. 55; Merula, op. cit,
pag. 202.
(6Ì Op. cit pagg. 57, 116, 228, 290^ 316.
(7) Taccio della reliquia dì S. Arialdo conservata a Cucciago, che
certamente appartiene al nostro santo Arialdo diacono e martire.
88 FONTI E MEMORIE STORICHE
fin da remotissimi tempi, poiché uno dei tre calendari del secolo XV,
pubblicati dallo Zaccaria, ora perduti, al primo di settembre ricor-
dava appunto S. Arialdi Mari, (i), dove dobbiamo notare Vi per Ve,
Ed ora non tornerà sgradita, io penso, una parola sulla chiesa
di S. Arealdo di Cremona.
Fin dal secolo XIII, e fors'anco prima (2) esisteva fuori porta
Ognissanti, oggidì porta Venezia, un'abbazia di benedettini, che por-
tava quel medesimo titolo, ed esercitava giurisdizione nella propria
u vicinia » tanto entro che fuori le mura.
L'origine della chiesa di S. Arealdo è comunemente posta ai
primi anni del XIV secolo, allo scopo di accogliere ed onorare
le ossa di quel santo trasportate in quel tempo da Brescia a Cre-
mona (3). Essa in quei primi tempi era fuori le mura, secondo la
testimonianza del commendatario dell'abbazia d'Ognissanti in un
ricorso presentato a S. Carlo e conservato nell'Archivio Arcivesco-
vile di Milano (4). In esso il commendatario dice che in quel luogo
posto entro la città, nel quale l'anno 1527, per le guerre che danneg-
giavano i fabbricati fuori le mura, venne trasportato il titolo abaziale
d'Ognissanti, « prima, per causa della medesima guerra era stato
u portato il titolo di S. Arealdo, qual parimente era fuori della
a città, fra gli limiti della parocchia dell'abbazia ». Non so di pre-
ciso quando sia stata distrutta la chiesa di S. Arealdo fuori le
mura, e trasportato il titolo della chiesa non solo, ma certamente
anche il corpo del santo entro la città, in via Pegolia; ciò per altro
dovette avvenire qualche anno prima del 1469, poiché in quell'anno
i canonici del Duomo scrivevano al duca che quel santo corpo era
« in più abbiecta et infame via di Cremona ». Aggiungono poi
che u stava comò in una stala sotto lo feno, » il che s'accorda
con quanto dice il commendatario stesso, che cioè il luogo dove
fu trasportato il titolo (e noi aggiungiamo anche il corpo) di
(i) Zaccaria» Cremonensium episcop. series, loc cit.
(2) Merula, op. cit, pag. 249.
(3) Gavitelli, op. cit., loc. cit.; Manini, Memorie storiche di Cremona,
voi. Il, pag. 41.
(4) Archivio Arcivescovile, Visite p<i$torali a Cremona, voi. X, fase. 21,
visita all'abbazia d'Ognissanti; contiene una supplica del commenda-
tario all'arcivescovo in due varianti, una in latino, nella quale Arealdo
è sempre scritto Arìaldo, ed una in italiano. In essa il commendatario
per far valere sue ragioni fa la storia della chiesa e dell'abbazia.
DI S. ARIALDO 89
S. Arealdo, « nel quale ora (nel 1567) si esercisce la cura, non
- fu mai fabbricato ad eflFetto di chiesa, non avendone forma, ma
n sì bene forma di portico della casa ivi vicina di ragione della
• commenda, n
Già abbiamo visto che il corpo di S. Arealdo, rubato dai vi-
cini di S. Nazaro, fu portato in Duomo. Il monastero d'Ognissanti
era ridotto in quei tempi ad infelicissime condizioni, che il suo
abate Andrea Lotico, che si intitolava abbas abbatiae et monasterii
Omnium Sanctorum extra muros Cremonac, a nome suo, della sua
diiesa e del suo capitolo dichiarava propter bella in dies ingruentia
non posse suum habitare monasterium, imo cogi ad illum deseren-
dum, ne propter inopiatn cogatur mendicare (i). Erano quelli i tempi
ddla massima decadenza dei monasteri, ridotti a due o tre preti
0 monache, e molti di essi passarono in commenda: il che avvenne
anche del monastero d'Ognissanti.
Nel 1526 Cremona fu assediata dal Pesaro, e quella chiesa fu
del tutto minata ; Tanno dopo u fu forza abbandonarla » dice il com-
mendatario « solo portando un pezzo di muro, nel quale è dipinto
- r imagine della B. V. Maria, di gran devozione, qual fu collo-
• cato dentro la città, nel loco dove ora si esercita la cura d'anime
« e dove prima... era stato portato il titolo di S. Arealdo. n
Si confusero allora da alcuni i due titoli di S. Arealdo e d'Ogni
Santi, ma, se vogliamo parlare con precisione, quello era il titolo
della chiesa, questo del monastero. Nel 1576 S. Carlo ordinò che
• la chiesa di S. Arealdo si erigesse in nuova cura sotto il titolo
■ di questo santo per servizio di quei parrocchiani che stavano
• dentro della città, e la chiesa o cappella di S. Abondio (era fuori
te mura, vicino a S. Bernardo, nei possessi della badia) si erìga
« in parocchia per servizio di quelle anime, che abitavano fuori
« delle mura » (2).
Nel 1617 ai 22 d'agosto, essendo commendatore della chiesa
il cardinale Filonardi e vicario perpetuo D. Giulio Vertua, chiesa
e monastero andarono ceduti ai frati di S. Francesco di Paola, che
soppressero definitivamente il titolo di S. Arealdo, imponendo al
tempio quello del loro santo fondatore. Ultimo ricordo dell'antico
(i) Merula, op. cit., loc. cit.
(a) Archivio Arcivescovile, Visita di S. Carlo a Cremona, 1. e.
90 FONTI E MRMORIK STORICHK
patrono restò una pia confraternita chiamata c//^r/Vns S. Arealdi {\)
soppressa con tutte le altre da Giuseppe II (2).
Nel 1789 la chiesa ed il monastero già di S. Arealdo, poi di San
Francesco di Paola, abbandonati da quei monaci, che occuparono la
non lontana chiesa di S. Abondio, dove nel 1798 restarono secolariz-
zati, furono adibiti ad uso profano. A S. Arealdo è dedicata ancora
una delle perdute vie di quei dintorni ; circa cent'anni fa il Manini
leggeva sulla casa che allora portava il n. 1850 in contrada Pegolia
(che credo corrisponda ora al n. 8 bis\ la scritta, che ora più non
si vede: Aldes omnium Sanctorum (3).
Ma chi fu poi al trar dei conti questo santo Arealdo ? I più
antichi documenti cremonesi che citammo nulla ne sanno, se non
che era un martire. Il Gavitelli in un suo lavoro di preparazione
agli Annali^ che sì conserva ms. nella biblioteca governativa di
Cremona (4), dopo aver parlato delle reliquie di S. Arealdo
martire dice: et adhuc reperire nequivi an fuerit cremonensis seti
adifena, et quo loco et tempore fuerit affectus martyrio. Ma quando
poi diede alla stampa i suoi Annali aveva potuto ritrovare un
documento antico, ed ecco le sue parole : Anno Domini millf-
simo tercentcsimo quinto Raynerio episcopo Crcmonae mortuo, substi-
tutus fuit Gerardus de Madiis, Qui cum csset ex primoribus pa-
triciis Brixi(r iìlinc (ut comprehendi ex fragmentis auctoris inco-
gniti mihi datis, et ut opinor) asportari fecit Crenwnam ossa divi
Arealdi martyrio Brixiae affecti anno circi ter centesimo trigesimo
quarto Adriano imperante, et in tempio ad ajus memoriam erecto in
vico Omnium Sanctorum reposita,,.. Et ejus divi Arealdi tnemoria
celebratur Cremonae quotannis die primo septembris qua ipsa ossa
ducta fuerunt e Brixia Cremonam (5). Il Gavitelli avrebbe fatto
(i) Era detta anche caritas S. Nazarii dalla vicina chiesa di questo
nome ; vedi Arisius, Cremona liierata, li, pag. Xll. Il Bressianì inventò
molte antiche iscrizioni che si sarebbero trovate nella chiesa di S. Arealdo
e che parlerebbero anche di questa confraternita : il Vairani, Inscrip-
iiones Cremonenses, Cremonae, 1797, nn. 1243 e segg., le riferisce sulla fede
del Bressiani ; ma chi oggidì crede a costui ?
(2) BoNAFossA, Monumenta ecclesiae cremonensiSf ms. conservato nel-
Tepiscopio, tom. Ili, in fascicoletto a parte.
(3) 1. e.
(4) Cod. A. A. 3. 5, fol. 112 (o forse 212) v.
(5) Annales cit., pag. 103, all'anno 1305.
ni S. ARIALDO 91
meglio se ci avesse dato copia fedele deirantica scrittura da lui
veduta, o almeno se a quello, che essa diceva, non avesse unito le
sue particolari opinioni. A noi altro non resta che sottoporre ad
esame le sue parole per cavarne la verità e rigettarne gli errori.
Arealdo o Arìaldo o Areoaldo è nome certamente germanico
e non romano, ed un martire tra i barbari nel secondo secolo dif-
ficilmente si può accettare, tanto più che, come avverte il dotto
Brunati (i), quanto riferirono alcuni autori sulla fede d'una croni- •
dietta del XV secolo sui moltissimi martiri bresciani sotto Adriano,
è assolutamente falso.
Anche un vescovo di Cremona cognominato Maggi non esi-
stette mai: negli anni di pontificato assegnatigli dal Gavitelli (dal
1305 al 1308) certamente continuò a sedere sul soglio episcopale
Rainerio (2). Abbiamo poi più sopra veduto che la chiesa di S. Arealdo
era prima fuori le mura. La testimonianza dunque del Gavitelli si
riduce a ciò che sul principio del XIV secolo furono trasportate
da Brescia a Gremona le ossa di S. Arealdo, da uno che poteva
benissimo appartenere alla nobilissima ed allora potentissima fa-
miglia dei Maggi di Brescia, la quale in quei tempi aveva dato due
insigni vescovi a quella città.
Però se i Gremonesi ne sanno poco del loro S. Arealdo, an-
cor meno ne sanno i Bresciani. Ne parla il Faini nel Martyrolo-
gium Brixiense (3) e nel Coelum sanctac brixiensis ecclesiae (4), e
s'appoggia all'autorità di Ottavio *Rossi (5) che avrebbe ricavato le
notìzie del santo da antiche carte .da lui vedute. Dicono costoro che
(i) Vita o gesta di santi bresciani, Brescia, 1856, tom. Il, appendice
artìcolo 1, pag. 115-171. Tra i nomi dei supposti martiri bresciani presso
Anioldo non trovo Arealdo, non farebbe ciò meraviglia, poiché il Bru-
natì iateade parlare dei martiri bresciani conservati a S. Afra.
(2) Sakclemente, Series critico-cronologica episcopi cremon,, Cremo-
nae, 1814, P^S* ^^'9 Astegiano, Codex diplomaticus cremonensis, li, pag.
174- U Bressiani, Rose € viole della chiesa cremonese, pag. 64-65, inventò
un epitaffio di questo vescovo Mags^i. Viene il dubbio d'un vescovo
scttmattoo di nome Maggi, che spiegherebbe l'asserzione del Gavitelli.
(3) Al I.* di settembre. Il Brunati, Vita e gesta di santi bresciani,
dàdelFaiao questo giudizio: * Uomo studiosissimo delle patrie memorie,
ma dì nessun giudizio in fatto di crìtica storica. „
(4) Nel II catalogo, n. 13.
(5) AnnaUs Brixiae, che non ho potuto vedere.
92 FONTI E MEMORIE STORICHE
Arealdo era un buon padre di famiglia che viveva a mezzo il se-
colo sesto, e fu martirizzato con i due suoi figli Carillo e Oderico
Tanno 576 dai Langobardi, che in quell'anno, sotto il duca Achis
perseguitarono i cittadini cristiani e S. Onorio, allora Vescovo di
Brescia, costringendoli a rifugiarsi nelle selve. Di questo vescovo
Onorio notizie favolose ci conservarono il Malvezzi (i), il Caprioli ed
altri (2), come riconobbe lo stesso Faini, che seguendo, dice, gli
appunti di Ottavio Rossi si sforzò di tesserne una vita, che se riesci
meno favolosa, restò ancora affatto mancante di critica, e pure
ebbe Tonore d'essere inserta nella raccolta dei Bollandisti (3).
Fn essa il Faino non dice parola di S. Arealdo né de' suoi figli
e S. Onorio nel 576 è detto semplice prete, che fu fatto vescovo
solo l'anno dopo, cessata la persecuzione. Del resto i Langobardi
fecero sì dei martiri (4), ma solo tra i romani o latini, che essi al-
lora non s'erano ancora convertiti alla religione romana, ed Arealdo,
come dissi, è nome barbaro. E poi la chiesa avrebbe onorato an-
che i figli di lui, come sempre usa fare in simili casi. Eccoci dun-
que ricacciati nel buio.
Ciò che merita speciale osservazione è il sorgere improvviso
nel secolo XIV o XV di memorie di questo santo, senza che si
possa seguire una benché minima tradizione di memorie o di culto
né a Cremona né a Brescia, donde quel corpo si diceva tratto. 11
nome di Arialdo, con le sue varianti, era comunissimo nel medio
evo. Si potrebbe osservare che il tempo dal Cavitelli assegnato pel
trasporto di quel corpo a Cremona risponde a quello nel quale
avvenne a Milano una manomissione al sepolcro di S. Arialdo, ma
le memorie milanesi sono troppo concordi nell' asserire che Arialdo
si conservava tuttavia in quella chiesa di S. Dionigi, benché in altro
luogo da quello di prima.
In queste circostanze il meglio che si possa dire sul santo cre-
monese é un umile: « ignoriamo • (5).
(i) /?. /. SS^ XIV, 806^
(a) Vedi Brunati. op. cit I, pag. 79, nota 90.
(3) Actn SS, ApriUsy III, ia76-a8a
(4) Cfn Gregoru Magni, Optrm in Mignt, Patr, iat., LXX VII, 284-21^
3S3* 356.
(5) Tanto meno confonderemo il nastro S. Arialdo con S. Ayraldo,
vescovo di Maurìenne» sul quale vedi BibUoikica Hagiograpkica Latina
dei PP. Bollandisti» SHp^tmmtum, 1901, pag. 1310, e Dcssaix, Légin-
tUs ii tmdihoms /opmimrts et ia Sat*oyt, Annccy, 1875, pag. 67.
DI S. ARIALDO 93
VI.
Monumenti di S. Arialdo.
«
Oggi, che la canonica di P. Nuova non serba più alcun vestìgio
della primitiva costruzione, il più interessante monumento che ci parli
ancora del severo riformatore del secolo undecimo è quel vecchio
campanile senza campane, che si ammira a Cucciago, la patria del
santo (i) sollevarsi snello dal tetto d'una abitazione privata, nel suo
bruno colore di pietra annerita dal tempo. A prima vista si di-
rebbe opera anteriore al mille, tanta è la severa rozzezza della sua
costruzione. Pure la graziosita dei voltini delle finestre in doppio
ordine e il cordone che gira attorno in pietra a vista mostrano
una sveltezza e libertà di costruzione, che ci richiamano allo stile
lombardo, che nel contado, colla deficienza di opportuni materiali
di fabbrica, doveva essere assai più in ritardo che nei grossi centri.
Quella casa privata era una chiesa dedicata a S. Stefano, che pochi
anni or sono, colla nuova destinazione, subì anche il disonore di
vedersi imbellettata di calce. Sono quindi tanto più interessanti le
note manoscritte lasciateci dal sac. Angelo Ghezzi, già coadiutore
in luogo, erudito ricercatore di antichità, che, parlando di questa
chiesa, la riconosce, dopo qualche contrasto, per quella edificata da
S. Arialdo, ed avverte che « lo sfondo verso oriente nella parte este-
« riore mostra alcuni avanzi di lavori in cotto e presenta le finestre
« arcuate presentemente e da gran tempo murate. In questo sfondo
« stava l'altare di S. Stefano prima del 1863, epoca in cui si cessò
" dall'ufSciare questa chiesa, perchè fu aperto al culto il nuovo san-
« tuario I» (di S. Maria della neve). « La sagrestìa e la cappella altre
■ volte dedicata alla B. Vergine sono aggiunte posteriori e probabil-
■ mente da assegnarsi al secolo XVI verso la fine o al seguente. Anzi
* io congetturo che anche questa chiesa avesse V ingresso ad occi-
« dente e che lo sfondo orientale sopra accennato costituisse Tu-
(i) Alcuni, come dissi più sopra, pag. 68^ nota 2, fanno Arialdo na-
tivo di Cuzzago in Piemonte. Che il nostro Cucciago sia la patria del
santo è indubitato : Andrea di Strumi così dice : Igitur in Cutiago quO'
dam vico inter Mediolanum Comumque sito, millenario vigesimo distante
0 majore (Milano), quinto vero a minore (Como); Puricelli, 1. e, pag. 74.
94 FONTI E MEMORIE STORICHE
« nico altare ai tempi di S. Arialdb, per la ragione che Tantichis-
u Simo campanile trovavasi nella fronte anziché nella parte postica
^ della chiesa e più perchè a quell'epoca le chiese invariabilmente
^ avevano Toriente dietro l'altare, e la parte d'uscita verso occi-
" dente. All'epoca di S. Carlo esisteva già un altare dedicato alla
** Madonna nella parte meridionale, e l' ingresso era dalla parte di
•< settentrione, come rilevasi dall'atto di visita di M. Ormaneto. La
'< parte settentrionale dovette essere murata verso la metà del de-
u corso secolo XVIII, quando fu posta la prima pietra del nuovo
u santuario, ed allora dovette essere stata aperta la porta attuale
u orientale. Infatti sarebbe stato impossibile entrare per la porta di
u settentrione, che dovette essere impedita dal muro di cinta co-
^ struttovi secondo il rito dopo benedetta la pietra inaugurale del
*i nuovo santuario. »
Dà poi alcune notizie concernenti il santuario vicino di S. Maria
della Neve (i).
Che S. Arialdo abbia costrutta una chiesa a Cucciago lo dice
apertamente Andrea di Strumi, dove racconta che alcuni sacerdoti
congiurarono fra loro dicendo: Una iìluCj ubi isdcm ortiis est, per-
gamus, ecclesiam, quam olmi impendio proprio construxit, violemus,
dissipemus: e narra infatti che andarono a Cucciago: Noctc igitur
conveniunt condicta, ecclesiam extra vicum reperiunt etc, (2).
Presenta qualche difficoltà qxiéiVextra vicum, perchè presente-
mente la ex-chiesa di S. Stefano è nel paese stesso.
L'antico Cucciago però sorgeva più a sud-est, un duecento passi
almeno lontano dall'attuale, in quelle terre a coltivo che si deno-
minano Ronchi di S. Stefano, dove si scoprirono ruine di antichi
edifici e dove anche oggidì si vede un pozzo profondo. Ricavo dal
citato ms. del sac. Angelo Ghezzi una nota con la data del 1879
che dice: « Nei ronchi detti di S. Stefano in Cucciago, presso la
u vecchia chiesa eretta da Arialdo Alciati, essendosi costrutta nel
a decorso anno 1878 una casa, si rinvenne un sotterraneo cementato
« in cotto, e così solidamente costrutto, che fu attivato come can-
(i) Memorie riflettenti S. Arialdo dei sac. D. Angelo Gheazi, parroco
de/unto di Novedrate, già coad. titolare di Cucciago, fol. 1 1 ; la nota porta
la data: « Cucciago 30 settembre 1881 „ e la firma del Ghezzi. Queste
Memorie si conservono neirArchivio parocchiale di Cucciago.
(2) PuRiCELLi, op. cit., lib. Il cap. X, pag. 83.
DI S. ARIALDO 95
• tina: si rinvenne anche un antico busto in sasso goffamente scoi-
• pito, che attesta la verisimilità che le case di Arialdo ivi sorges-
« sere. Molti altri materiali in quelle vicinanze sepolti danno testi-
• monianza di vaste costruzioni per un tratto molto esteso. Anche
- un pozzo rovinato si rinvenne altra volta, che dà a credere
• che quei ronchi fossero abitati, mentre presentemente sono a col-
• tivo. n Ci narra poi anche che « molti avanzi di antichità vennero
distrutti dair incuria dei contadini »», dai quali veramente non pote-
vamo attendere nulla di meglio: altri però avrebbe dovuto impe-
dire quel vandalismo (i).
11 da Busserò dice di S. Arjkldo: Hic fundavit ecclesiam S. Pro-
taxi de Ctixago (2). Io credo però che egli confonda la chiesa di
S. Stefano con l'altra dedicata a S. Protaso, che poi si dedicò a
tutti e due i fratelli •• Protaso e Gervaso, la quale apparteneva ad
un convento di Benedett'mi soppresso da S. Carlo nel 1582, quando
la eresse in parocchiale. Altrove il da Busserò dice : Loco Cutiago
altare S. Stephani in ecclesia S. Vincentii: (3) ; anche qui non è
esatto. La Notitia cleri niediolanensis de anno ijp8 pone soltanto una
cappellania in Cucciago (4), mentre lo status ecclesiae tnediolanensis
de armo 1466 (5) non lo nomina neppure. S. Carlo trasportò la pre-
positura, cui apparteneva Cucciago da Galliano a Cantiì, e il car-
dinale Pozzobonelli, per troncare alcune questioni di precedenza,
eresse Cucciago in prepositura in luogo.
E pure degno di considerazione il palliotto all'altare maggiore
della parrocchiale, opera del secolo decimosettimo in istucco a finto
intaglio policromo, diviso in tre campi: nel campo di mezzo si vede
la Madonna col bambino seduta sulle nubi, a sinistra di chi guarda
e rappresentato santo Stefano, a destra è una figura di prete con
pianeta e stola rossa, la destra porta un libro, la sinistra è distesa
5ul petto, in testa porta un berretto da prete della forma usata
alla fine del XVI secolo, anche i paramenti sono di quell'epoca:
biotto questa figura è scritto in carattere corsivo dell'epoca e come
(1) Ms. cit, fol. 6 V. Il Ghezzi deve aver raccolto alcuni preziosi
avanzi di quelle escavazioni, ì quali passarono ai suoi eredi.
(2) Bis. del Capitolo Metropolitano e della Ambrosiana, citato, al n. 46.
Ì3) Ivi al n. 376 cod. dell'Ambrosiana.
(4) Pubblicala dal can. Magistretti» in quest'Archivio, a. XXVII,
ftsc XXVIII, dicembre 1900, a pag. 288, pieve di Galliano.
(5) Mazzuchelli, Osservazioni sopra il rito ambrosiano, pag. 357 e segg.
96 FONTI E MEMORIE STORICHE
intarsiato nello stucco Sancités Arialdus. Il palliotto in antico, e
sino a tempi non remoti, serviva all'altare della chiesa di S. Ste-
fano, da dove venne trasportato alla parrocchiale. Di S. Arialdo si
venera in paese anche una reliquia (una vertebra) collocata in reli-
quiario a forma di urna in lamiera di rame inargentato e dorato,
di stile barocco (i). Tutto ciò prova che nel secolo XVI si ebbe in
paese grande venerazione a questo santo, e possiamo risalire a tempi
più remoti, rifacendoci ad Andrea Alciati che, oriundo di quei luoghi,
si protestava devoto del santo da lui creduto un suo antenato. Anche
rovistando i registri parrocchiali ci incontriamo ben di frequente
in questo nome imposto anche a femmine come secondo nome :
nel 1879 venne eretta una società di mutuo soccorso fra quei ter-
rieri, posta sotto la protezione di S. Arialdo, la cui effigie, copia
del rame che adorna l'opera del Puricelli, si vede sulla bandiera
sociale. II cardinale Pozzobonelli ricorda nella visita pastorale da
lui fatta a Cucciago (2), un quadro grandtosis formae rappresentante
il martirio di S. Arialdo, appeso nella chiesa di S. Maria della
neve. Dove quel quadro abbia finito, non so: pare che poco dopo
la metà del secolo scorso si trovasse nella casa dei signori Meroni
ad Erba: ma quando quella casa con le sue suppellettili venne
venduta, non se ne seppe più nulla.
Anche i luoghi che furono il teatro della dolorosa morte di
Arialdo ne serbarono il ricordo.
L'isola del Lago Maggiore, sulla quale fu consumato il delitto,
non fu l'isola Madre, come dopo il Bescapè (3) comunemente si
disse, ma quella che noi chiamiamo isola Bella, e meglio si di-
rebbe Isabella dal nome della madre di Vitaliano Borromeo, ad
(i) Vedi la perizia degli ingegneri Cesa-Bianchi e Nava in Medio-
lanens beatificaiionis seu confirmationis cuUus S. Arialdo^ pag. 181 e segg.
(2) Archivio Arcivescovile, Visiiatìo oppidi cu: pitbis Canturii a Rev,^^
Archiep. PuteoboneUo peracta MDCCLXIV mense majo. In Pieve di Caniit^
Voi. 41, pag. 393.4.
(3) Novaria Sacra lib. I in tertninatione Vergantis e lib. II de epi-
scopo Oddone IL Trascuro l'opinione del Puricelli, che fa morire Arialdo
su una penìsola, e quella di altri, che lo farebbero morire sull'isolotto
vicino ad Angera. Vedi Pellegriivi, / santi Arealdo ed Erlembaldo^ ap-
pendice VII. A sostegno di quest'ultima opinione male si farebbe ap-
pello ad una recente ed incerta tradizione, che vige ad Angera, e che
deriva dal libro di Pesidkstro, Descrizione di Angera, Bergamo, 1779,
pag. 56 e 109.
DI S, ARIALDO 97
ofiore della quale da arido scoglio che era venne mutata in un
delizioso giardino. La descrizione del luogo del martirio, lasciataci
da Andrea di Strumi, ben s'attaglia a quell'isola, quale essa era
in quei tempi remoti (i). Inoltre colui che scrisse sul principio del
secolo XII la vita dei SS. Giulio e Giuliano, in un codice conser-
vato nell'Archivio Capitolare di Novara (2), riferendo, come pare
certo, alla morte di S. Arialdo una profezia, che sarebbe stata
fatta da S. Giulio, viene a dire che quel delitto si consumò sopra
una « piccola isola » (3), la quale qualifica male s'adatta all'isola Madre,
e bene risponde alla Bella chiamata in quei tempi anche Isella,
Fu di questo parere anche il dotto scrittore Lazaro Agostino
Cotta, che visse sulla fine del secolo XVII e studiò con amore
quanto concerne il Lago Maggiore e quello d'Orta; egli l'appoggiava
alla tradizione locale, narrando in un suo manoscritto, ch'io ebbi la
ventura di vedere nella libreria dell' ing. Stefano Molli di Borgoma-
nero con cavalleresca cortesia messa dall'egregio proprietario a mia
disposizione, che in tempi antichi sorgeva sul margine dell'isola
Beila prospiciente Pallanza una cappellina dedicata a S. Arialdo con
rimagine del santo, assai onorata dagli isolani, i quali con grande
loro dispiacere la viddero abbattere, quando i Borromeo mutarono
quell'arido scoglio in un giardino d'Armida (4).
(i) Puri CELLI, op. cit, pag. 109.
(2) Questo codice vemie ultimamente esaminato dal Prassi in una
nota alla vita dei santi Giulio e Giuliano, che si è pubblicata l' anno
scorso a Novara in occasione del centenario di quei santi.
(3) MoiCBRiTius, yiiae sanctorum, II, 46: Acfa SS, Jan. II, 1104.
(4) Nel tomo VI delle Rerum Novariensium del Cotta trovasi un ms.
della Corografica descriptio domini Macchanei a Lazaro Coita notis illu-
^^/a,che venne stampata pseudonima in Milano nel 1690, alla quale l'au-
tore aggiunse di sua mano nuove e buone annotazioni, preparate per una
ristampa dell'opera, che non si fece. A pag. 447-448 parlando dell'Isola
Bella si legge : Hoc inquam in scopalo S. Ariaidum laniatum firmamus,
proiier omnem dubitationem, quam Puricellus detinebaiur, Testes etiam
sunt non pauci ex insulanis, qui non sine religioso mcerore deieri viderunt
qwddam ptrinsigne et sane antiquum sacellum ad marginem, respicientem
oppidum Pallantiam, divo Arialdonuncupatum, cujus iconem veneraòan-
tur, U ms. venne consultato anche dal De- Witt che diverse volte lo cita
ne* suoi libri: Notiate di Stresa, Casale, 1884, pag. 153 e segg,, e II lago
^^giore, Milano, 1875, Voi. II, parte I, pag. 27, dove riporta la notizia
^ questa cappella dedicata al santo.
Artfu Stor. Lomt., Anno XXIX, Fase. XXXIH. 7
98 FONTI E MEMORIE STORICHE DI S. ARIALDO
In tempi assai più recenti Tabate Rosmini ebbe amore e de-
vozione a S. Arialdo, ed impose all'erudito suo discepolo Vincenzo
De-Witt di stenderne una vita (i). Né pago di ciò, volle che la bella
chiesa, che sorge nei recinti del suo convento sopra Stresa, venisse
adorna delle statue dei santi del lago, fra le quali dobbiamo am-
mirare la severa figura del diacono milanese in atto di predicare,
opera dello scultore Somaini.
Vi fu un tempo che anche a Varese, dove S. Arialdo diede
principio alla sua predicazione, si volle erigere un monumento al
santo. Nicolò Sormani (2) narra che D. Gerolamo Martignoni, con
alcune nobili famiglie di Varese, i ComoUi, i Frasconi, gli Origoni,
i Porcara, volle elevare al santo diacono un monumento sulla piazza
della città, là dove comincia lo stradone che conduce alla Madonna
del Monte ; il monumento doveva consistere in una colonna, che
venne regalata dal conte Carlo Borromeo, in cima alla quale do-
veva erigersi la statua del severo predicatore. Ma, non so per qual
motivo, il monumento non venne compiuto.
Un monumento assai più importante si sta ora erìgendo ad onore
di questo santo : la sua glorificazione sugli altari. Faxit Deus,
C. Pellegrini.
(i) De-Witt Vincenzo, luoghi sopracitati. Altro personaggio che ri-
cordava con grande trasporto questo santo fu oltre il P. Massara, il
P. A. Taglioretti, che ne parla nel suo libro Criterio dei Dogmi, Milano,
1860, voi. I, pag. 246.
(2) N. Sormani, Le glorie dei santi milanesi ^ Milano, 176 1, pag. 42
e segg.
TORNANDOCI SOPRA
lA proposito di alcuni recenti studi sul matrintomo di Valentina
Visconti col duca di Touraine),
EL 1898, in un articolo intitolato Valentina Visconti e il
^j_-.. suo matrimonio con Luigi di Touraitte (vedi questo
r<^>l Archivio^ XXV, fase. XIX), riassunti i dati cronolo-
gici del matrimonio per verba contratto da Valentina con Luigi di
Touraine e ratificato da Giangaleazzo Visconti TB aprile 1397, io
scriveva:
« Ma il matrimonio per verba non implica necessariamente
runione immediata degli sposi. Su questo punto le due parti
non hanno preso alcun impegno. E si capisce. Il matrimonio di
Valentina, frutto di lunghe e laboriose trattative, era un atto
essenzialmente politico, compiuto da' contraenti in vista di certe
eventualità presenti o future, da cui speravano trarre i maggiori
possibili vantaggi. La Francia vi vide un mezzo per estendere la
sua influenza in Italia e risolvere a modo suo la questione dello
scisma, Giangaleazzo si assicurava i frutti del colpo di stato
deir '85, e con l'alleanza francese si premuniva contro il pericolo
di un intervento imperiale. »
E vero che Giangaleazzo ci rimise l'Astigiano; « nondimeno
egli seppe rifarsi ad est di ciò che aveva perduto ad ovest: la
perdita dell'Astigiano fu largamente compensata dagli acquisti di
Verona, Vicenza e Padova, tolte, in poco più di due anni, agli
Scaligeri ed ai Carraresi. Contemporaneamente la Francia atten-
deva ad assicurarsi il possesso dell'Astigiano, base di operazioni
di qualsiasi intrapresa in Italia, e col favore di Clemente VII
estendeva le sue mire fin nel cuore degli stati della Chiesa. »
lOO TORNANDOCI SOPRA
E soggiungeva:
« Di fronte ai vantaggi politici derivanti dalla situazione creata
« dal trattato 27 gennaio 1387, l'andata di Valentina in Francia
« diveniva un fatto d'ordine secondario, che poteva essere proro-
« gato senza danno, e compiuto, di pieno accordo fra le parti, al
« momento più opportuno. Noi non abbiamo alcun indizio che in
u Francia si facessero premure per aflfrettarlo. E neppure a Mi-
u lano. » E qui metteva innanzi l'ipotesi che al ritardo potesse aver
contribuito la gran difficoltà di raccogliere l'enorme somma in con-
tanti che Giangaleazzo era tenuto a pagare per la dote della fi-
gliuola l'indomani dell'unione dei due sposi e provvederla di quel
ricco corredo nuziale che fu l'ammirazione dei contemporanei. « Ad
« una spesa così ingente non potevasi provvedere né con le en-
u trate ordinarie dello stato w (e qui rammentavo che negli anni 1387
e 1388 ci furono le guerre con gli Scaligeri e co' Carraresi, in cui
si profusero grandi somme di denaro) u né con quella dei beni
u patrimoniali del principe : era necessario ricorrere a' carichi
u straordinari e si ricorse. Ora, per quanto la volontà del principe
u fosse onnipotente, egli era troppo buon politico per dare a quella
u imposizione un carattere vessatorio ed odioso. La spesa fu n-
u partita fra le comunità, le chiese e gli ordini religiosi; ma tutto
u fa supporre che nella riscossione si accordasse un certo respiro,
u e che a raccogliere l'intera somma s'impiegasse uno spazio non
« minore di due anni, w
Queste cose io scriveva quattro anni fa. Un recente, diligen-
tissimo lavoro di F. Comani (i), è venuto in buon punto a dare la
dimostrazione documentata della mia tesi. Le carte dell'archivio
reggiano, da lui studiate con quell'acume che porta in tutte le sue
ricerche, provano luminosamente che Giangaleazzo, obbligato a
pagare l'indomani della consegna della figliuola, la somma di 300
mila fiorini e a fornire un ricco corredo di gioie e vasellame d'oro
e d'argento, fu costretto a ricorrere ad una taglia straordinaria,
che colpì, senza distinzione, laici ed ecclesiastici, e più di tutti gli
ufficiali dello stato, che furono soggetti alla ritenuta di due mesi
di stipendio; — che nella riscossione della somma (alla sola Reggio
(i) / denari per la dote di Valentina Visconti in questo Archivio^
serie III, fase. 39, pag. 37 e scgg.
TORNANDOCI SOPRA lOI
u imposta una taglia di 2000 fiorini), volle che si procedesse senza
misure vessatorie ed odiose, per non aggravare soverchiamente i
suddti, ed accordò un lungo respiro, con ciò mostrando che egli
non pensava menomamente ad una partenza immediata della fi-
gliuola; — che una prima sollecitazione del pagamento non fu
fatta che al 15 giugno, o, meglio ancora, nel settembre '88, vale
a dire proprio quando Antonio Porro era in Francia per ottenere
la ratifica del matrimonio e togliere le ultime difficoltà all'unione
effettiva degli sposi.
Di grande importanza è per noi la lettera che Giangaleazzo
scriveva il 6 settembre 1388 al comune di Reggio, pubblicata dal
Comani (2). In questa lettera è detto: « Ho atteso quanto più ho
- potuto il pagamento della quota imposta al vostro comune, e vi
• ho lasciato anche il tempo di raccogliere le messi. Non avrei
- difficoltà di concedervi una nuova dilazione, ma non posso, perchè
< urge la scadenza de' termini {nisi instantis temporis necessitas
« urgerei). Vi abbiamo tassato per soli 2000 fiorini, cifra molto al
« di sotto di quella che vi sarebbe toccata, tenuto conto della
* somma intera da sborsare, e senza la quale non può aver luogo
- la consumazione di un matrimonio così importante {stne qua tan-
•* htm matrimonium consumari non poterif). Ad ogni modo, è stato
a ed è mio proposito che i contribuenti siano aggravati il meno
- possibile, e perciò voglio che nella riscossione dei 2000 fiorini il
« riparto sia fatto con equità e sia evitato ogni procedimento ar-
** bitrarìo. »
Se, per dimostrare la mia tesi, avessi dovuto creare un docu-
mento, un documento più chiaro, più esplicito di questa lettera, non
sarei riuscito a fabbricarlo. E sia lecito a me di affermarlo, dal
momento che il Comani non si è espresso su questo punto con
tutta la chiarezza che sarebbe stata necessaria (2). La lettera, dun-
que, ci dimostra più cose:
(i) Op. cit, pag. 76, doc. 3.
(a) Il Comani, accogliendo la mia tesi sulle cause del ritardo di Va-
lentina, dice, a pag. 38, che la mia argomentazione " ha bisogno di
essere suffragata da ricerche d'archivio „ e queste ricerche ha fatto
nell'Archivio di Reggio e ne dà conto a' lettori nella prima parte del
suo lavoro. Ora io no^ so come possa dubitare che il suo studio abbia
qualche relazione coU'argomento della mia polemica col Camus (pag. 8,
n. i), dal momento che i risultati a cui giunge non sono in sostanza che
I02 TORNANDOCI SOPRA
i.o Che il viaggio dì Valentina per la Francia, essendo su-
bordinato al pagamento della prima rata della dote, dipendeva dal
tempo che Giangaleazzo avrebbe impiegato nel raccoglierla.
2.° Che Giangaleazzo, essendo stato costretto a imporre un
sussidio ai suoi popoli, non solo non ebbe fretta di riscuoterlo,
ma diede loro non meno di due anni di respiro per pagarlo, vo-
lendo che il sussidio non riuscisse troppo gravoso e raccoman-
dando che neiresigerlo si evitasse ogni sorta di vessazioni e di
molestie.
3.<> Che perciò appunto (a differenza di quanto s'era fatto
in occasione di altri matrimoni di principesse viscontee) nessun
termine fu stabilito per la consegna della sposa nel contratto di
matrimonio del 27 gennaio 1387, il che non toglie che un qualche
impegno verbale possa essere intervenuto fra le parti, e che il
tempo della consegna sia stato stabilito almeno approssimativamente.
4.0 Che di questo termine si parla la prima volta nel set-
tembre 1388, quando Giangaleazzo sollecitò il pagamento del tri-
buto, e il modo come se ne parla, s'accorda benissimo con la data
la dimostrazione di quanto io avevo affermato. Intanto questo desiderio
di tenersi lontano da ogni polemica Tha tratto, forse inconsciamente, a
fraintendere proprio quello che della mia argomentazione era la parte
sostanziale. A pag. 52 egli scrive: ** Ma, si obbietterà, gli storici sono
concordi neirammettere che Giangaleazzo aveva interesse ad affrettare
la consegna della sposa, anche perchè ritardando c'era pericolo che il
matrimonio non avesse compimento; sia che Luigi di Turenna rifiutasse
la ratifica all'operato de* suoi procuratori, sia che la Francia, abbando-
nando la causa del Papa Àvignonese, facesse dichiarar nullo un matri-
monio conchiuso sotto gli auspici di lui. ^ E in nota soggiunge : ** Questa
concordia sopra uno dei punti della questione mi esime da molte cita-
zioni. Vcdansi del resto il Romano e il Camus, j, Il lettore non ha che
da confrontare queste parole con quelle che io scrissi nel 1898 e che
ho riportate in testa a questo scritto, per accorgersi della svista in cui
è caduto il Comani. Il quale, del resto (devo dirlo a sua lode), rico-
nobbe subito Terrore, e, non potendo nell'^r^^ivio, cercò di rimediarvi
alla meglio negli estratti (pag. 56), sostituendo a " gli storici sono concordi
nelTammettere „ l'altra espressione • quasi tutti gli storici ammettono »
e annotando: " Il Romano è di opposto parere; ammette però che il
ritardo della ratifica era dannoso. „ Non credo di aver detto precisa-
mente questo; ad ogni modo, per non fare una questione di parole,
rimando il lettore a quanto già scrissi e a quello che dirò in seguito
sulla scorta dei nuovi documenti pubblicati.
TORNANDOCI SOPRA IO3
de] maggio o giugno 1389, in cui la partenza di Valentina effetti-
vamente avvenne.
5.0 Che, per tutte queste ragioni, è assurdo ritenere che
Gìangaleazzo abbia mai pensato a mandare la figliuola in Francia
durante gli anni 1387 e 1388; né egli poteva farlo per Ti m possibi-
lità di pagare la prima rata della dote, ne a farlo era tenuto in
forza del contratto. Se pure un accordo verbale ci fu su questo
punto, tutto fa supporre che il termine stabilito sia stato non mi-
nore di due anni.
Questo è quello che risulta dai documenti del Comani.
Le carte da lui studiate provano anche che, pagato il sussidio
di 2000 fiorini, il comune di Reggio fu costretto a pagarne un se-
condo di 1613, sempre per la dote di Valentina, avendo Gianga-
leazzo dichiarato che la prima somma era stata in gran parte con-
sumata nelle spese occorse per le guerre contro gli Scaligeri e i
Carraresi. Il Comani si domanda se Giangaleazzo abbia agito simu-
latamente di fronte ai sudditi, chiedendo loro i denari per la dote
di Valentina, e poi facendoli servire ad altro uso; e conchiude col-
Tammettere che vi possa essere stata simulazione, pur riconoscendo
che a questa affermazione non bastino i soli documenti reggiani.
Ora a me pare che qui il Comani sottilizzi un po' troppo. Egli dice
che Giangaleazzo « mostra una gran sollecitudine di consegnare la
" sposa e la dote fin dall'autunno 1387 »» e dubita che « la pretesa
•^ urgenza di spedire in Francia la dote di Valentina nel 1387 e
« 1338 fosse unicamente una simulazione, w Le cose non istanno
proprio così. Giangaleazzo s'era obbligato a pagare 300 mila fiorini
r indomani della consegna di Valentina, e per quanto egli sapesse
0 fosse persuaso che tale partenza non sarebbe avvenuta che fra
due anni, è naturale che non poteva aspettare proprio la fine dei
due anni per raccogliere il denaro, e, pur concedendo dilazioni
quante potè, cercò di esigerlo via via, aspettando a sollecitarne
la riscossione solo quando vide che i termini della consegna erano
molto vicini. Se egli chiede i denari di Valentina alla comunità di
Reggio nell'autunno del 1387, non è dunque perchè mostri una
gran sollecitudine di consegnare la sposa e la dote (di questa pre- ^
tesa sollecitudine non v'è traccia nel documento 29 settembre 1387);
ma perchè Giangaleazzo sapeva bene che, trattandosi di un carico
straordinario, le comunità dovevano essere continuamente eccitate
I04 TORNANDOCI SOPRA
al pagamento, altrimenti i denari o non sarebbero venuti mai, o
sarebbero venuti con molta lentezza (i).
Neanche nella lettera del 9 giugno 1388, in cui Giangaleazzo
mostra una certa fretta di esigere il sussidio, non è detto menoma-
mente che questo serva a far partire subito o poco dopo Valentina
per la Francia. Se anche l'avesse detto, nessuno gli avrebbe cre-
duto, perchè tutti dovevano sapere che Valentina non sarebbe
partita cosi presto, dal momento che la ratifica del matrimonio era
ancora di là da venire e l'attenzione del Visconti era rivolta ai pre-
parativi di guerra contro il Carrarese. Se dunque Giangaleazzo, otte-
nuto il pagamento del sussidio, fece servire il denaro ad un uso
diverso, non è il caso di parlare di vera simulazione, perchè il
fatto era, non solo giustificato dalle circostanze eccezionali dello
stato, ma anche abbastanza notorio; tanto vero che, quando egli
chiese nel marzo un supplemento di sussidio, accenna all'uso fatto
del denaro come ad una cosa che era oramai a cognizione di
tutti (2).
Piuttosto possiamo domandarci se il supplemento di taglia im-
posto al comune di Reggio sìa stata una misura generale per tutte le
città del dominio visconteo, e se tanto la prima quanto la seconda
volta le altre città siano state tassate nella stessa misura di Reggio
o diversamente.
Alla prima domanda possiamo rispondere, senz' altro, affer-
mativamente; ma più difficile è rispondere alla seconda. Qui si
cammina sopra un terreno infido, e basarsi su' soli documenti reg-
giani sarebbe pericoloso. Nondimeno sembra ben difficile che
(i) Di questi eccitamenti si trovano tracce anche nei documenti pia-
centini. Avendo il clero di Piacenza presentato delle lagnanze perchè
era stato tassato per la somma di 4500 fiorini, troppo superiore a quella
che gli sarebbe toccata per giustizia, un rescritto del Principe in data
9 marzo, indirizzato al Podestà e a' Referendari di Piacenza, diceva :
^ Che in vista della detta supplica, comandava loro di compellere con
rimedi opportuni tutti e singoli quelli del clero al pagamento del ri.
chiesto sussidio, non ostante qualunque privilegio: avvertendoli che non
avrebbe permesso che siano pagati i loro salari, fin' a che sia fatta
Tesazione del sussidio. „ Il Boselli, Storia Piacenfina, II, 63-4, trasse
questo documento dall'Archivio capitolare, senza dire a quale anno si
riferisca.
(a) Notorium vobis esse indubitcUum haòemus, etc. Lettera del 17 marzo
pubblicata dal Comani, op. cit.^ pag, 78, doc. n. 4.
TORNANDOCI SOPRA IO5
Gìangaleazzo, il quale nella distribuzione de' carichi voleva che
fosse sempre osservata la più scrupolosa giustizia distributiva, de-
rogasse a questo principio proprio in un' occasione in cui la sua
famiglia era direttamente interessata. Né mancano buone ragioni
che d confortino a questa opinione. Francamente, io non darei
ora una grande importanza alla notizia di Goro Dati, che fa ascen-
dere l'entrata dello stato visconteo alla cifra di fiorini 1,200,000,
per quanto a Firenze, da buoni calcolatori della forza del conte di
Virtù, dovessero essere su questo particolare sufficientemente in-
formati. Da un documento esistente in un codice della Braidense
e pubblicato fin dal 1877 (i) si desume che l'entrata ordinaria dello
stato visconteo era. come oggi direbbesi, preventivata il i.® gen-
naio 1388 nella somma mensile di fiorini 60087, soldi 23 e denari 4,
che per un anno intero darebbe la cifra di fiorini 744,954 all' in-
circa. Prendendo come base il comune di Reggio per calcolare
l'ammontare del primo tributo imposto per i denari di Valentina,
si avrebbe un totale di fiorini 310435, e, aggiungendovi anche il
secondo, che proporzionalmente sarebbe stato di fiorini 250,332, si
avrebbe una somma complessiva di fiorini 560,767.
Questa cifra è ben lontana da quella calcolata dal Comani in
fiorini 925,000, ma mi pare molto più vicina al vero. Il Comani
parte da una base poco solida. Egli pensa che, se il matrimonio,
tra dote e corredo, costò 525,000 fiorini circa (2), questa cifra rap-
presenti appunto l'ammontare della taglia imposta alla popolazione,
e che con l'imposizione del nuovo sussidio venne presso a che rad-
doppiata. Invece io credo che Giangaleazzo non pensò mai di far
pesare sulla popolazione l'intero ammontare della dote. In tutti i do-
cumenti non si parla che di subsidium dotis, e tutto fa supporre
che sussidio dovesse essere, non pagamento della somma intera. Al
resto dei 215,000 fiorini circa occorrenti (s'intende che qui si tratta
di cifre soltanto approssimative) lo si sarebbe provveduto con
avanzo della entrata ordinaria (poco meno di 30,000 fiorini all'anno,
(i) Eniruta ed uscita del ducato (sic) di Milano di un mese deltanno 13SS
in questo Archivio, IV, 889.
(2) Questa cifra, a rigore, è al disotto del vero, perchè non vi sono
comprese le spese dei festeggiamenti e quelle per V accompagnamento
di Valentina fino al ponte di MAcon, che secondo il contratto erano a
carico di Giangaleazzo.
I06 TORNANDOCI SOPRA
non molto, ma pur qualche cosa), con le entrate straordinarie, che
non possiamo calcolare con sicurezza, ma che ascendevano certo
da una somma rilevante, e col reddito dei beni patrimoniali del
principe, che non era, a quel che pare, indififerente.
Questi calcoli furono intieramente sconcertati dal sopraggiun-
gere della guerra contro Padova. Quando neir87fu fatto il primo
reparto del sussidio, Giangaleazzo era ancor lontano dal pensare
che, dopo quella collo Scaligero, avrebbe iniziata a un anno di di-
stanza, una nuova campagna col Carrarese: guerra dispendiosis-
sima a lui, non meno che alla republica di Venezia, sua alleata,
che, pel solo mantenimento delle truppe in campagna, dovette pa-
gare al Visconti un forte contributo mensile (i). Si può quindi cre-
dergli sulla parola, quando Giangaleazzo dice che per le necessità
della guerra ha dovuto metter mano sui denari di Valentina, ed
ora è costretto ad imporre un supplemento di sussidio. Certamente
la richiesta di un nuovo sussidio non dovette tornare ai sudditi
molto gradita, ma dobbiamo convenire che era un signore ben sin-
golare costui, che potendo imporre la sua volontà, sentiva il bi-
sogno di giustificarsi di fronte al popolo, aflfermando che V ultima
guerra era stata imposta dair interesse pubftlico e che la conquista
di Padova era necessaria alla tranquilla conservazione dello stato!
La somma di fiorini 560.767, pagata in due volte, rappresenta,
secondo me, nella cifra più prossima al vero, il sussidio versato
per la dote di Valentina Visconti. Essa è fondata sul supposto che
le altre città dello stato Visconti siano state tassate su per giù
alla stessa stregua della città di Reggio. Ed in fatti la cifra di fio-
rini 1613 imposta come supplemento di sussidio ha tutta l'appa-
renza d'essere il risultato di un calcolo proporzionale dipendente
dalla potenzialità contributiva maggiore o minore delle varie città
espressa nella cifra annuale del tributo. Ora noi conosciamo questo
tributo per Tanno 1388, ma non conosciamo la somma assegnata
per il sussidio a ciascuna città, sicché manchiamo nella questione
che ci interessa di un elemento indispensabile di giudizio. Solo
eccezionalmente sappiamo da Giovanni Mussi che Piacenza fu tas-
sata per 20.000 fiorini (2). Ora, siccome Piacenza pagava un tributo
(i) Vedi il mio lavoro Niccolò Spinelli da Giovinazzo diplomatico
del secolo XIV in Arch, stor. nap,, an. XXVJ^ 1901, 436.
(2) Chron. Placentinum presso Muratori, R. I. S., XVI, col. 548.
TORNANDOCI SOPRA loy
mensile di fiorini 2531, in proporzione di Reggio, avrebbe dovuto
essere tassata la prima volta per fiorini 12.655, e la seconda per
fiorini 9819, in tutto per fiorini 22.474. Invece, stando al Mussi
pagò 2474 fiorini di meno. Di Pavia sappiamo invece che fu tassata
per fiorini 25.000 (i) cifra alquanto al sopra dei fiorini 21.274
che, in proporzione di Reggio, corrisponderebbero al solo primo
tributo. Di un supplemento di tributo non è rimasta notizia. In
complesso quel poco che sappiamo non ci permette di afiermare
che la misura della distribuzione del sussidio fosse basata, con cri-
terio rigidamente proporzionale, sulla cifra del tributo annuo delle
singole città (2), ma possiamo dire che questa cifra, indice sicuro
della loro capacità contributiva, dovette senza dubbio essere tenuta
presente in quella distribuzione.
* *
Quanto ho detto finora è la risposta anticipata all' opuscolo
del sig. E. Jarry (3), il quale, illustrando alcuni nuovi documenti da
me segnalatigli, relativi al matrimonio di Valentina, ha esaminato
nuovamente la questione del ritardo della sua andata in Francia,
giungendo a conclusioni abbastanza diverse dalle mie. E a deplo-
rare che il Jarr^' non abbia conosciuto in tempo il lavoro del Co-
mani; questo lo avrebbe reso, probabilmente, più guardingo nelle
sue affermazioni. Egli non nega che le difficoltà finanziarie pos-
sano aver avuto qualche parte nel ritardo del viaggio di Valentina,
ma una parte affatto secondaria e quasi di nessun valore. Le ra-
gioni, secondo lui, sarebbero state ben altre.
(i) Bossi, Annaii di Pavia, ms. della Bibl. univ., n. 179 ad an. 1387.
(2) Ciò è provato anche da quel passo della lettera 6 settembre '88,
in cui Giangaleazzo dice che i Reggiani erano stati tassati per una cifra
inferiore a quella che sarebbe loro toccata in ragione della somma in-
tera. In questo passo mi pare che si accenni implicitamente al criterio
generale di una distribuzione proporzionale ed alle eccezioni a cui poteva
dar luogo nella pratica Tapp icazione di tale criterio. Ma il passo non
- preso troppo separate alla lettera. "^
(3) Actes additionnels au contrai de mariagi de Louis d* Orléans et
<i* Valentine Visconti ^Extr. de la Bibl, de Ncole des chartes, voi. 62, 1891).
I08 TORNANDOCI SOPRA
Esaminiamo, in poche parole, i punti più salienti della sua
memoria.
11 Jarry osserva che, se il matrimonio per verba non implica
necessariamente l'unione, on ne niera pas qu'il tte la rende vraù
semblablement prochaine, surtout après une conclusion des plus ra-
pides (p. 4). Lasciando da parte se possa dirsi delle più rapide
una conclusione che viene ad un anno di distanza dall' inizio delle
trattative, rispondo che come tutti i salmi finiscono in gloria, così
anche un matrimonio, deve, senza dubbio, una volta conchiuso,
condurre all'unione effettiva degli sposi; ma, trattandosi di matri-
moni principeschi e del secolo XIV, la prossimità dell'unione degli
sposi deve essere intesa in modo molto relativo, potendo essere
maggiore o minore a seconda degli oneri imposti ai contraenti, a
seconda degli scopi che questi si propongono. Matrimonio essen-
zialmente politico questo di Valentina, ciò che importava alle due
parti era di assicurarsi i vantaggi politici che esso traeva seco:
l'unione effettiva degli sposi poteva quindi essere prorogata, qua-
lora il prorogarla avesse giovato ad uno dei contraenti o a tutti
e due. Nei contratti di matrimonio di Elisabetta e Lucia Visconti
è stabilito un termine fisso per la consegna della sposa: nove o
dieci mesi. Nel contratto per Valentina, il termine è passato sotto
silenzio. Questo silenzio non deve proprio provar nulla? Ed è
possibile che Giangaleazzo, il quale, per sbarazzarsi di una sua
cognata, aveva bisogno di poco meno di un anno di tempo (Elisa-
betta non partì neppure al termine stabilito, ma aspettò più di due
anni), abbia avuto tanta fretta di allontanare la figliuola, l'unica sua
figliuola (i), mentre nulla l'obbligava a farlo, aveva anzi tutto l' in-
teresse di prender tempo per preparare la dote e il corredo?
Ma, incalza il signor Jarry, on trouvera bien singulier que, dans
l'impossibilité de faire face à ses engagefnents, le comte de Verttis au
lieu de retarder l'exécution d'une des clauses les plus dures du con-
trai, paraisse en hàter l'exécution, Je vise ici la prise de possession
d'Asti et de ses dépendances par le due de Touraine. Ma è appunto
questa fretta di dare esecuzione ad una delle clausole più dure del
contratto che conferma pienamente la mia tesi. Giangaleazzo, che
(i) Trattandosi di Giangaleazzo. Visconti, certi storici si credono
autorizzati a prescindere interamente dai suoi sentimenti famigliari, lo
non sono di questo avviso.
TORNANDOCI SOPRA I09
sapeva di avere ottenuto un grande risultato col matrimonio della
figlia, ma non era in grado, pel momento, di far fronte ai suoi oneri
fìnanziarii, e quindi di mandare subito la figlia in Francia, aveva tutto
l'interesse di sgombrare ogni dubbio sulla perfetta lealtà dei suoi
impegni politici, e di assicurarsi nel tempo stesso di quelli che la
Francia aveva contratto con lui. La consegna immediata dell'Asti-
giano, che egli fece passando sopra a tutte le difficoltà ed alla stessa
opposizione degli abitanti e al malcontento dei sudditi (i), era una
prova di buonvolere e un tratto di grande accorgimento politico. La
ratifica del matrimonio non poteva più impensierirlo, dal momento che
la Francia, prendendo possesso dell'Astigiano, s'era, a cosi dire, le-
gate le mani da sé stessa. Ed io credo che se con l'ambasciata del
Porro nell' *SS Giangaleazzo ottenne tutto quello che volle, più che la
benevolenza del re, vi contribuì la circostanza che la Francia non
era più in grado di disfare il già fatto, per non esporsi al pericolo
di compromettere i vantaggi politici che il matrimonio Visconti le
aveva procurato. Adunque è vero che nel maggio 1397 le due parti
erano egualmente premurose di dare esecuzione al contratto di ma-
trimonio ma, quando il Jarry soggiunge : etj par conséquent, disposées
à réuttir les deux époux sans retard, tira una conseguenza arbitraria,
una conseguenza che non scaturisce rigorosamente dalle premesse.
Eppure, chi lo crederebbe? queste due parti che nel maggio 1387
hanno tanta fretta di riunire i due sposi, tre mesi dopo, nell'agosto,
non sanno ancora che pesci pigliare. Andrà o non andrà Valentina
in Francia ? Mistero ! En aoùt ijSj on ne sait pas si Valentine re-
joindra san époux en France, ou si au contraire^ le due de Touraine,
(Kcompagnatit une arntée commandée par le due de Bourbon et de-
sUnée à conduire Louis II à Naples, ou rejoindra sa femme à Milan
« à Pavie pour d'Asti surveiller l' Italie centrale. Per fortuna,
Luigi II non si mosse e la spedizione di Napoli non ebbe più ef-
fetto, altrimenti il duca di Touraine avrebbe corso rischio di tro-
vare bensì la moglie, ma senza corredo e senza un soldo di dote.
Giangaleazzo allora era occupato nella guerra contro lo Scaligero,
e nessuno vorrà credere che quello fosse tempo da festeggiamenti
nuziali. L'amico Jarry che a quella ipotesi si è lasciato trarre dalla
sua fervida immaginazione, non dispera che da un momento all'altro
venga fuori un documento che dimostri come qualmente il viaggio
<li Valentina, circa l'agosto 1387, possa essere stato oggetto di di-
(i) Cfr. Ann. Mediol., presso Muratori, R. I. S., XVI, 803.
no TORNANDOCI SOPRA
scussione nel consiglio del re. In attesa che arrivino i nuovi docu-
menti, atteniamoci intanto, prudentemente, a quelli che abbiamo, e
che dimostrano tutto il contrario.
Senza dubbio, dice il Jarry, le condizioni politiche del Pie-
monte dopo l'ottobre 1387, poi la gravidanza della contessa di
Virtù, che diede appiglio a nuovi negoziati, furono le cause dirette
nel ritardo nella riunione degli sposi.
È proprio la tesi del sig. Camus, il quale dev'essere ben lieto
di aver trovato, dall'altro versante delle Alpi, un cosi valoroso
ausiliario (i).
Dissi già le ragioni, né occorre qui ripeterle, per cui non credo
che le condizioni del Piemonte abbiano menomamente influito sul
ritardo in questione. Potrei anzi, se ne avessi tempo e voglia, di-
mostrare al Jarry, che lo stato di guerra in Piemonte, non essendo
Giangaleazzo uno dei belligeranti, non era molto più sfavorevole
al passaggio di Valentina che non sarebbe stato un periodo di
pace. Questa affermazione può sembrare un paradosso solo a chi
non abbia una grande famigliarità coi nostri cronisti, i quali pro-
vano che, se la guerra era un flagello, serviva almeno a dare una
certa disciplina, una certa regolarità a' movimenti di quelle bande
mercenarie, contro cui non era difficile, all'occorrenza, premunirsi, e
che la pace era non di rado un flagello anche maggiore, perchè le
bande licenziate, rotto ogni freno di disciplina, si davano airap)erta
campagna, sostituendo allo stato di guerra regolare quello peggiore
di un brigantaggio disordinato. Ma, senza troppo insistere su questo
punto, io osserverò: le condizioni del Piemonte potrebbero aver
avuto qualche peso nel determinare il ritardo del viaggio di Va-
lentina nel solo caso che si potesse dimostrare che Giangaleazzo
abbia mai pensato ad effettuare quel viaggio nel corso degli anni
1387-^. Ma se i documenti provano che Giangaleazzo non ha mai
pensato ne potuto pensare, in quel tempo, ad un simile viaggio,
tirare in ballo le condizioni del Piemonte è per lo meno uno spreco
d' inchiostro.
(1) Il Bollettino storico bibU subalpino (Anno VI, n. 3-4 pag. 298)
constata con compiacenza " che pur ringraziando il Romano per la co-
municazione di documenti, l'illustre storico di Luigi d*Orléans dichiara
esplicitamente accostarsi alle opinioni del Camus e del Gabotto (anche
del Gabotto I), del quale chiama « très conscientieux » il libro sugli
• Ultimi Principi d'Acaia. „ Ed eccomi beli' e liquidato !
TORNANDCKI SOPRA III
Quanto alla gravidanza di Caterina Visconti, escludo assolu-
tamente che possa aver avuto alcuna influenza sul ritardo. La bi-
blioteca Trivulziana ci ha conservato Tatto di procura 31 maggio
13IB8 con cui Giangaleazzo e Valentina danno incarico ad Antonio
Porro, Faustino dei Lantani, Bertramo Guarco ed Andriolo Arese
(fi recarsi presso il duca di Touraine e richiedere da lui Tatto di
ratìfica. Questo documento, che nel codice trivulziano è unito ai-
Tatto di ratifica del 2 dicembre *88, meritava, da parte del Jarry una
più seria attenzione (i). Esso prova che, se Valentina non s*è mossa
da Pavia, è perchè la ratifica ducale non è ancora venuta e, se
non è venuta, è perchè le due parti sono d'accordo sul chiederla
e nel darla al momento opportuno. Così si spiega la ragione del
ritardo anteriore e quella del ritardo posteriore. Valentina non si
moverà che quando la ratifica sarà giunta a Pavia ed essa avrà
fatto i preparativi della partenza. Però la richiesta della ratifica
dimostra che entriamo ormai nel periodo risolutivo, e non a torto
il documento che registra il pranzo dato dal governatore d'Asti
al Porro e ai suoi compagni nel giugno dell* '88 determina lo scopo
del viaggio con le parole: prò complemento matrimonii domini ducis.
Anche Giangaleazzo, che è stato molto longanime nelle questioni
del sussidio, ora comincia ad essere esigente. Il 15 giugno rimpro-
vera il podestà e il referendario di Reggio di procedere con troppa
lentezza nell'esazione, e dice che d'ora innanzi saranno sospesi dallo
stipendio fino a che il sussidio non verrà riscosso. Il 6 settembre
le sollecitazioni si fanno più vive. Giangaleazzo dice chiaramente
che i termini si approssimano, che la consumazione del matrimonio
è vicina. Che vuol dir questo? vuol dire che un termine, se non
ben precisato, almeno approssimativo, per la consegna della sposa,
esisteva, che questo, per quanto prossimo, era ancora di là da venire,
e che se Valentina ha ritardato e ritarderà la partenza, la gravidanza
della contessa di Virtù non ha nulla a vedere in questa faccenda.
Se la gravidanza di Caterina non ebbe alcuna relazione col
ritardo di Valentina, la nascita di Giovanmaria avvenuta il 7 set-
tembre '88 non dovette influire che indirettamente sulla risolu-
zione di Giangaleazzo di chiedere, per mezzo de' suoi amba-
sciatori, qualche modificazione degl'impegni assunti nel contratto
di matrimonio. A tenore di uno degli articoli del contratto, egli
{i) Procura e ratifica sono nel documento riportato in appendice a
questo scritto.
112 TORNANDOCI SOPRA
doveva, consumato il matrimonio della figlia, far giurare i sudditi
e gli ufficiali della città che avrebbero riconosciuto come eredi
Valentina e i suoi figliuoli, qualora il signor di Milano fosse morto
senza eredi maschi. Giangaleazzo, che all'epoca del contratto do-
veva aver subito di mala voglia un simile impegno, prese proba-
bilmente occasione dalla nascita del figlio per domandare d'essere
liberato da tale obbligo. Senza dubbio la nascita di Giovanmaria
non eliminava l'eventualità prevista dal contratto, sebbene la ren-
desse meno probabile, ma è certo che la prestazione del giura-
mento doveva riuscire, per lo meno, inopportuna ora che il signor
di Milano aveva un erede (i). Ma non credo che questa sia stata
né la sola né la vera ragione, e se il re di Francia, nell'atto in cui
liberava Giangaleazzo dall'obbligo contratto, disse che v'era stato
indotto multis rationibus et causis per ipsos (wtbaxiatores nobis ore-
tentis explicatis et in scriptis positis, dobbiamo, meglio che non
abbia fatto il Jarry, cercare di sapere quali possano essere state
queste ragioni per indurre il re di Francia a cedere sopra un punto
tanto importante. Ora io penso che, a meno di ammettere che
Giangaleazzo, accettando quella clausola, non ne avesse misurata
tutta la gravità (ciò che mi pare poco probabile), egli aveva già
in mente, fin dal tempo della redazione del contratto, di esseme,
in qualunque modo, esonerato più tardi. Quella clausola era giu-
ridicamente nulla e politicamente pericolosa. Signore di fatto, che
governava lo stato milanese solo in virtù di un diploma di vica-
riato (2), che diritto aveva egli di disporre della successione, e di
una successione femminile, ricorrendo ad un atto arbitrario qual
era il giuramento imposto ai sudditi ed agli ufficiali dello stato?
e quali garanzie poteva dare un giuramento prestato in condizioni
sì singolari? Giangaleazzo doveva ben prevedere che, nelle condi-
zioni ancora incerte in cui versava lo stato, con tanti nemici occulti
e palesi che lo circondavano d'ogni lato, l'obbligo del giuramento
sarebbe stato causa di disordini e di ribellioni, ed avrebbe potuto
(1) Si rammenti che^ nell'ottobre dell' '88, poco dopo la nascita di
Giovanmaria, Giangaleazzo fece prestare a' rappresentanti di Milano il
giuramento di fedeltà a lui e a suo figlio colla promessa di osservare
il testamento da lui fatto in quella circostanza (Corio, Storia di Mi-
lano, II, 346), È noto che questo documento non ci è pervenuto.
(2) Cfr. il mio Niccolò Spinelli, ecc. in Arch. Stor, Nap., an, XXVI,
pag.. 473.
TORNANDOCI SOPRA II3
provocare anche T intervento imperiale e la revoca del suo diploma
di vicario.
Queste ragioni erano troppo gravi perchè Carlo VI non do-
vesse esseme scosso. Se la Francia aveva delle mire sullo stato
di Milano, doveva cominciare dal non creare troppi imbarazzi al
suo alleato e non metterlo, ancora vivente, alle prese coi sudditi
t coir imperatore. Così fu redatta la dichiarazione del 2 dicembre
1388(1) con la quale Carlo VI, a richiesta degli ambasciatori mi-
lanesi, liberava Giangaleazzo dall'obbligo del giuramento, avendo,
soggiungeva il re, piena fiducia che egli, Giangaleazzo, in caso di
morte senza eredi maschi, farà in modo che Valentina o i suoi
figliuoli siano messi in possesso dell'eredità, giusta quanto è sta-
bilito nel contratto, dal quale il re non intende derogare in nes-
suna parte, tranne in quella che riguarda il giuramento e nelle
altre modificazioni apportate con le sue lettere patenti (2). (Di
queste parleremo or ora).
Orbene, sulla portata di quest'atto non può cadere il menomo
dubbio. In virtù del contratto, Giangaleazzo promette:
I.* che, morendo senza figli maschi, lascerà eredi del suo
stato Valentina e i suoi figliuoU;
2.^ che obbligherà i sudditi a giurare di riconoscere tale suc-
cessione, qualora il caso contemplato nel contratto si avveri.
L'atto nuovo del 2 dicembre mantiene immutata la prima obbli-
gazione, ma sopprime la seconda, lasciando libero Giangaleazzo di
assicurare i diritti di Valentina e dei suoi figliuoli nel miglior modo
che crederà. La cosa è evidente. Ma così evidente non pare sia stata
pel signor Jarry, il quale sentenzia che « malgré la clause de non dé-
* rogation qui termine cet acte, on peut le considérer comme une
• abrogation pure et simple de Tarticle du contrat, puisque le sei-
■ gneur de Milan reste maitre de disposer de sa succession, » Il Jarry
(i) Jarry, pag. 18, doc I.
(2) u .^. habentes in ipso comite confìdentiam pleniorem, quod circa
contenta in dictis capitulis, adveniente casa de quo in ipsis fit mencio,
taliter providebit, eiusque libere dispositioni reliquentes ut providerc
possit, iUis melioribus modis qui sibi videbuntur, quod prefata Valen-
tina nata sua eiusque liberi de dicto matrimonio procreandi suum de-
bitum consequentur circa eius successionem prout inter ipsas partes
expactumitit et conventum. Non intendentes per aliqua suprascripta de-
rogare nec innovare circa alia in dicto tractatu matrimonii contenta etc „.
Arch. Star, Lomb^ Anno XXIX, Fase. XXXIII. 8
114 TORNANDOCI SOPRA
non ha letto attentamente la dichiarazione reale del 2 dicembre
1388, altrimenti non sarebbe giunto a una interpretazione così fal-
lace. Giangaleazzo non resta padrone di disporre della successione,
resta soltanto padrone del modo migliore di assicurare, in caso di
morte senza figli maschi, la successione di Valentina. E l'assicurò
così bene che quando per testamento volle stabilire V ordine di
successione, vi inserì quella clausola fidecommissaria a favore degli
eredi di Valentina, che turbò i sonni di Francesco Sforza e di Lu-
dovico il Moro, e diede appiglio a' duchi d'Orléans di elevare delle
pretese sul ducato di Milano. Quella clausola non scaturiva né dal
contratto del 27 gennaio 1387 e neppure, come pretende il Jarry,
dall'atto reale 2 dicembre 1388. L'uno e l'altro ammettevano la
successione di Valentina nel solo caso che Giangaleazzo fosse morto
senza eredi maschi, il qual caso non si avverò. Sicché l'aggiunta
della clausola fidecommissaria del testamento giangaleazzino fu un
atto di mera liberalità del principe, compiuto in piena libertà e di
sua spontanea iniziativa.
Un secondo atto di Carlo VI, pure in data del 2 dicembre
1388 (i) modificava e chiariva, a richiesta del Porro e dei suoi
compagni d'ambasciata, alcuni articoli del contratto relativi al pa-
gamento della dote e della diflferenza in meno risultata dalla va-
lutazione effettiva del reddito astigiano. Tra le modificazioni è
notevole specialmente quella che riduceva da 300 a 200 mila fio-
rini la somma da versarsi l'indomani della consumazione del ma-
trimonio, accordando pel pagamento degli altri 100 mila la dila-
zione di un anno (2). Ciò conferma ancora una volta la grande im-
portanza che ebbe per il signor di Milano il lato finanziario del ma-*
trimonio, e dimostra che, se a lui non era impossibile prestare
60,000 fiorini al duca di Borgogna, non era neppure così facile
affrontare la spesa di parecchie centinaia di migliaia di fiorini dopo
due guerre dispendiose che avevano esaurito il tesoro dello stato.
Potrà far meraviglia che Carlo VI accondiscendesse così
presto alle domande del Visconti ; ma, prescindendo anche da ciò
che queste domande avevano di ragionevole, e a cui abbiamo in
(i) Jarry, pag. 19.
(2) Io vado pensando che, per l'ottenuta riduzione della prima rata
di pagamento, Giangaleazzo si sia limitato a chiedere nel marzo delll' '89.
un sussidio minore di quello richiesto la prima volta.
TORNANDOCI SOPRA II5
parte accennato, non dobbiamo dimenticare che la Francia s'era
già troppo legata al Visconti, per voler compromettere la posizione
acquistata in Italia in seguito alla presa di possesso dell'Astigiano.
Da questo lato il Visconti aveva dimostrata tanta lealtà e buon
volere, che mostrarsi arrendevole verso di lui era, più che un do-
vere di benevolenza, un atto di saggia politica. Giangaleazzo seppe
dal canto suo trarre il miglior partito da tali disposizioni della
corte francese, sia coll'ottenere che l'asprezza di certe obbligazioni
impostegli venissero mitigate, sia con l'alleggerire a' sudditi, evi-
tando ogni metodo vessatorio, 1* onere gravissimo del contributo
dotale.
Queste considerazioni che scaturiscono direttamente dall'esame
obbiettivo dei nuovi documenti pubblicati, mentre da un lato c'il-
luminano sempre meglio sulla vera natura di quell'importante atto
politico che fu il matrimonio di Valentina Visconti, dall'altro non
fanno che confermare sostanzialmente quello che io scriveva quattro
anni addietro, e che ho voluto ripetere in principio di questo
articolo.
Siamo certamente molto lontani dal sapere tutto quello che vor-
remmo; ci aggiriamo ancora in un campo non scevro di dubbi e di
lacune. Ma ho fede che, continuando nelle ricerche, anche queste
lacune, anche questi dubbi scompariranno, purché nello studiare i
documenti si porti serenità di animo e giusta dirittura di giudizio,
si sappia far tacere l'amor proprio innanzi alle ragioni della ve-
rità, e si abbia il coraggio di dire, accorgendoci di aver torto:
abbiamo sbagliato !
G. Romano.
DOCUMENTO
Ralificatio fatta per dominum ducetti Turoniae prò matrimonio con-
tracto per procuratores suos.
In nomine domini Amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo
trecentesimo octuagesimo octavo Indiclìone duodecima ad morem
gallicane patrie die secunda mensis decembris Pontìfìcatus sanctia-
simi in Xpo patris et domini domini Ciementis divina providentia
pape septimi anno undecimo. Per hoc presens publicum Instru-
mentum cunctis pateat evidenter quod in domini nostri Regis fran-
corum et dominorum ducum Biturie et Burgundie patruorum suo-
rum ac domini ducis Burbonie avunculi sui nec non testìum et
notarij ìnfrascriptorum presentia personaliter con&titutus Illusttis
princeps et domìnus dominus Ludovicus germanus dicti domini
nostri regis dux turonie comesque Valesij et bellimontis super
Ysaram presente auctorisante et consentiente prefato domino nostro
rege ac plenam licentiam dante et concedente eidem domino Lu-
dovico germano suo infrascripta specialiter peragendi et complendi
asserens se habuisse et habere certam scientiam et plenam notitiam
de matrimonio annuente deo solemniter celebrato et contraete per
et ìnter Reverendum in Xpo patrem et dominum dominum Petrum
dei gratta parisiensem episcopum egregium militem dominum Ray-
naldum de corbeya primum in parlamento parisiensi presidentero
ac sapientem et circumsptectum virum magistnim lohannem de
bordis secretarium domini nostri regis procuratores et nuncios spe-
ciales prefati Illustris prìncipis domini ducis turonie ex parte una
et Illustrum dominam dominam Valentinam natam Illustris prìncipis
et magnifici domini Johannis galeaz vicecomitis et domini Medio-
lani comitis virtutum et imperialis vicarìj generalis ex parte altera
"em matrimonio contraete ut supra -constat plenius pu-
lento rogato et tradito per Pasquinum de capelits no-
ecretarium prefati domini comitis anno a nativitate
nini millesimo trecentesimo octuagesimo septimo die
is decima Indictione nec non de promiss io nibus factis
I
TORNANDOCI SOPRA II7
per dictos procuratores suos videlicet de faciendo et curando cum
effectu quod dictus dominus dux turonie personaliter et non per pro-
curatorem dictum matrimonium aprobabit ratificabit et solempniter
confinnabit et ad cautelara de novo solempne matrimonium per
verba de presenti contrahet cum dieta domina Valentina prout de
ipsis promissionibus et aliis constat plenius solempni et publico
Instnimento rogato tradito et subscripto per supradictum Pasquinum
de capellis notariura et secretarium ut supra anno die mense et
indictione proxime suprascriptis Sponte et ex certa scientia ac de-
liberato proposito et cum beneplacito et consensu prefati domini
nostri Regis nec non prefatorum dominorum ducum Biturie Bur-
gundie et Burbonie patruorum et avunculi suorum ac in presentia
et ad instantiam et requisitionem spectabilis et egregij millitis do-
mini Anthonij de porris comitis Polentij egregij et sapientis viri
donùni Faustini de Lantanis legum doctoris nobilium et circum-
spectonim virorum Bertrami de Guaschis gubernatoris comitatus
virtutum et Andrioli de Arisijs procuratorum ambassiatorum et
nundonim specialium prefatorum domini comitis virtutum et domine
Valentine et cuiuslibet eorum ad hec et alia infrascripta solempniter
et legitime constitutorum prout constat plenius publico instrumento
tradito et rogato per Johannem de sancto meniate publicum imperiali
auctoritate notarium die ultimo mensis maij anno millesimo trecen-
tesimo octuagesimo octavo indictione undecima secundum cursum
et stillum civitatis Papié cuius quidem procuratorij tenor sequitur
in hac forma:
« In nomine Domini Anno a nativitate eiusdem millesimo tre-
* centesimo octuagesimo octavo Indictione undecima die ultimo
» mensis maij hora vigesima prima secundum morem et stillum
« civitatis Papié. Pateat universis et singulis presens instrumentum
* publicum inspecturis quod Ulustris princeps et magnificus dominus
•» dominus Johannes galeaz vicecomes comes virtutum dominus me-
« diolani Imperialis vicarius generalis et Ulustris et inclita domina
*• Valentina eius nata et consors legitima Ulustris principis et pre-
« potentis domini Ludovici ducis turonie ac comitis valesij et bel-
•* limontis super hisaram Ducissa et comitissa ut supra verbo con-
« sensu et auctoritate prefati domini Johannis galeaz genitoris sui
« ibi presentis auctorisantis et consentientis diete nate sue ad in-
•« frascripta omnia et singula peragenda et complenda et quilibet
* ipsorum patris et filie communiter et divisim sponte et certa
■ scientia oninique modo jure forma et causa quibus melius et
« validius potuerunt et possunt fecerunt constituerunt et ordina-
Il8 TORNANDOCI SOPRA
« verunt faciunt constituunt et ordinant Spectabilem et egregium
u millitem dominum Anthonium de porris comitem polentij egre-
« gium et sapientem virum dominum Faustinum de Lantanis legum
a doctorem consiliarios prefati domini ibi presentes nec non egre-
u gios et circumspectos viros Bertramum de guaschis Gubernatorem
« comitatus virtù tum et Andriolum de arisijs secretarium prefati do-
u mini absentes tamquam presentes suos et cuiuslibet ipsorum
u constituentium veros legitimos et indubitatos procuratores nego-
« tiorum gè Stores actores commissarios ambassiatores et nuncios
u speciales et quidquid melius dici seu censeri possunt et quemlibet
a ipsorum in solidum ita quod occupantis conditi© melior non
u existat sed quidquid unus eorum inceperit alter persequi possit
« mediare et finire nominatim ac specialiter et expresse ad postu-
u landum et cum instantia requirendum a prefato Illustri principe
« et domino domino duce turonie quod intervenientibus et adhibitis
u solempnitatibus debitis et opportunis ratificet approbet et con-
u firmet matrimonium cooperante altissimo celebratum et perfectura
u inter Reverendum in Xpo patrem et dominum dominum Petrum
« dei gratia parisiensem episcopum egregium militem Raynaldum
u de Corbeya primum in parlamento parisiensi presidentem et sa-
« pientem et circumspectum virum magistrum Johannem de bordes
« secretarium prefati Regis procuratores commissarios ambassia-
u tores et nuncios speciales et procuratorio nomine prefati Ulustris
« principis et domini domini ducis turonie ex parte una et pre-
« fatam Illustrem dominam Valentinam ducissam et comitissam
u ut supra ex parte altera et omnia et singula acta gesta per dictos
u procuratores in contractu dicti matrimonij de quo extat instru-
« mentum publicum et solempne rogatum et traditum per egregium
« et circumspectum virum Pasquinum de capellis publicum impe-
u riali auctoritate notarium ac secretarium prefati domini comitis
u virtutum die octavo aprilis anno domini millesimo trecentesimo
« octuagesimo septimo decima indictione quodque idem illustris
u princeps d ominus dux turonie de novo ad cautelam solempniter
« matrimonium contrahat cum eadem domina Valentina seu cum
u prenominatis ipsius domine Valentine procuratoribus et procu-
« ratorio nomine per verba de presenti ad hec apta mutuo con-
« sensu interveniente prout postulat ordo juris. Quos quidem pro-
M curatores et quemlibet eorum in solidum ipsa illustris domina
« Valentina verbo consensu et auctoritate paternis constituit et
« ordinavit ac constituit et ordinat specialiter ad ipsum matrimo-
u nium de novo ad cautelam solempniter et legitime per verba de
TORNANDOCI SOPRA II9
« presenti contrahendum et hec omnia iuxta promissa per dictos
« procuratores prefati domini ducis prelibatis Illustri principi et
« domino domino Johanni galeaz et Illustri domine Valentine nate
« sue de quibus promissis constat solempni et publico instrumento
« rogato tradito et subscripto per supradictum Pasquinum de ca-
» pellis notarium et secretarium anno die mense millesimo et in-
« dictione suprascriptis et ad recipiendum et acceptandum nomine
* et vice prefati domini Johannis galeaz et prefate domine Valen-
« tine et cuiuslibet seu alterius eorum secundum quod ipsos et
* unumquemque eorum seu alterum eorum tangunt et concemunt
* omnia et singula supradicta fienda per prefatum dominum ducem
* ut supra cum quibuscumque promissionibus obligationibus solem-
« pnitatibus et clausulis opportunis et utilibus ad predicta vel
« aliquid predictorum. Et ad faciendum et firmandum vice versa
* nomine prefatorum domini comitis et domine ducisse et cuiuslibet
«• eorum omnes et singulas promissiones obligationes solempnitates
« et clausulas utiles et necessarias ad predicta et quodlibet pre-
* dictorum et prò predictis et quolibet eorum vel eorum occasione
« et in similibus fieri consuetas maxime secundum usum et stillum
« patrie gallicane. Et omnia et singula que prefati dominus comes
« et domina ducissa constituentes et quilibet ipsorum dictis procu-
- ratoribus suis et cuilibet eorum in solidum plenum liberum ge-
« nerale et speciale mandatum cum piena libera generali et speciali
« administratione ac potestate in premissis et quolibet premissorum
« et circa ea et in connexis et dipendentibus ab eisdem firmum
« ratum et gratum tenere et habere solempniter promitentes quid-
« quid per dictos procuratores suos et quemlibet vel alterum ex
* eis dictum gestum procuratum vel ordinatum fuerit in predictis
« et circa predicta vel aliquod predictorum sub omnium suorum et
« cuiuslibet eorum constituentium ypotheca et obligatione bonorum
a presentium et futurorum. Rogantes quoque me notarium infra-
« scriptum michique mandantes quatenus de predictis unum aut plura
« publica instrumenta unius eiusdemque tenoris conficere debeam.
« Actum Papié in camera cubicularia prefati Dlustris principis et
« magnifici domini domini comitis virtutum sito in castro magno
« prefati domini presentibus spectabilibus et egregijs millitibus
« dominis Manfredo marchione Salutiarum Spineta marchione (?)
« omnibus consiliarijs prefati domini ac egregio et circuijispecto
« viro Pasquino de capellis secretarlo prefati domini et Gurrono
« de Lampugnano omnibus testibus notis ydoneis rogatis et ad
* predicta specialiter adhibitis et vocatis.
I20 TORNANDOa SOPRA
approbavit ratifica vit et solempniter confirma vit ac approbat ra-
tificat et confirmat per presens publicum instrumentum dictum
matrimonium ut premittitur celebratum per dictos procuratores
suos eius nomine ex parte una et prefatam dominam Valentinam
ex parte altera et omnia acta gesta et promissa per ipsos procu-
ratores suos prò dicto matrimonio et occasione matrimoni j ante-
dicti et ad cautelam de novo contraxit et contrahit matrimonium
verum legitimum et solempne per verba de presenti cum preno-
minantis procuratoribus prefate domine Valentine ad hec specialiter
et legitime constitutis ibi presentibus agentibus et recipientibus
nomine et vice ipsius domine Valentine. Dicens et expresse pro-
testans sepefatus dominus dux turonie quod ipse accìpiabat et
accipit prefatam dominam Valentinam in suam legitimam uxorem
et consortem et in ipsam et dictos procuratores suos eius nomine
consentiit et consentit per verba ad hec apta tamquam in eius
veram et legitimam uxorem. Et viceversa dicti procuratores prefate
domine Valentine de novo contraxerunt et contrahunt ad cautelam
nomine diete domine Valentine et prò ea matrimonium per verba
de presenti cum prefato domino Ludovico duce turonie ibi presente
et acceptante dicentes et protestantes dicti procuratores dicto no-
mine quod ipsi dicto nomine accipiebant et accipiunt prefatum do-
minum Ludovicum ducem turonie prò viro et marito legitimo
prefate domine Valentine et in ipsum dominum Ludovicum con-
sentierunt et consentiunt per verba de presenti ad hec apta ut et
tamquam in verum matrimonium (sic) prefate domine Valentine.
Promittentes sibi ad invicem solempni stipulatione hinc inde partes
predicte modis et nominibus quibus supra predicta omnia et sin-
gula perpetuo firma rata et grata habere tenere attendere et adim-
plere et inviolabiliter observare et non contrafacere nec venire
aliqua ratione vel causa directe vel indirecte nec aliquo modo vel
ingenio de jure nec de facto. Super quibus diete partes quo supra
nomine petierunt per me notarium infrascriptum fieri publicum
instrumentum. Acta fuerunt hec apud malum dumum prope Ponti-
saram anno die mense indictione et pontificatu predictis presentibus
ad hec dictis dominis ducibus Biturie Burgundie et Borbonesij do-
mino Oliverio domino de eliconio connestabulario francie et dominis
de libereto et de riparia testibus ad hec vocatis specialiter et
rogatis.
(Bibl, Trivuiaiana. Cod. n. 1332, f. 29-35).
NOTIZIE SPARSE
SUL SANT'OFFICIO IN LOMBARDIA
DURANTE I SECOLI XVI E XVH
ONO semplici appunti tratti da volumi manoscritti, appar-
tenuti al S. Officio di Bologna ed ora posseduti dalla
Biblioteca comunale di quella città. E, ciò che è peg-
gio, sono appunti sparsi, franunentarl, riferentisi bensì ad un unico
s(^etto, ma slegati e, alcuni, incompiuti. In cosifiFatta materia però,
dove ancora tutto o quasi tutto manca, anche queste briciole pos-
sono avere un certo valore, in vista d'una storia della riforma re-
ligiosa in Italia ancora di là da venire. Questa ragione, sebbene
un pò* speciosa, valga a me di scusa presso i lettori se adempio
tanto meschinamente la promessa ad essi fatta altra volta in questo
stesso periodico (i).
Per quanto riguarda le terre lombarde obbedienti alla repub-
blica di Venezia, anco da questi appunti appare evidente il per-
petuo contrasto, in materia d'Inquisizione, tra la potestà laica e
Tecclesiastica, l'una ostinata nel voler rispettati i propri diritti,
l'altra tentante in tutti i modi di rompere i freni delle leggi e di
avere le mani libere (2).
(i) Vedi Archivio, XXII, 1895.
{2) Biblioteca comunale di Bologna : Decreta S. Congregationis S, Of-
ficH, grosso volume manoscritto, compilato nel 1669, dove i decreti sono
disposti per ordine alfabetico. A carte 32 il frate compilatore aggiunge
le seguenti note : ** I Venieti vogliono che ai processi assistano i Ret-
' tori o un loro vicario o altra persona da loro nominata, in venin
' modo dipendente dalla Curia Romana. Gli assistenti non giurano il
* silenzio, ma delle cose più gravi riferiscono al Principe. Assistono
' a tutto il processo e si nota negli atti la loro presenza ; anche trat-
* tandosi dì cosa di lieve momento, devono sempre intervenire, e senza
122 NOTIZIE SPARSE
È un curioso contrasto, ora più ora meno aspro ed acuto, se-
condo i momenti politici e secondo le persone che si trovano nella
lizza; un contrasto seminato di compromissioni, [di violenze, di
astuzie, di debolezze, nel quale a volta a volta ciascuno dei conten-
denti ha la sua sconfitta e la sua vittoria. La Curia romana, che
sa d'avere un avversario difficile e poderoso, giuoca d'accorgimenti,
e spesso tenta di conseguir di traverso quanto non può avere per
la via diritta: il Senato veneziano, sempre ossequioso a parole,
cerca di tener testa alle pretensioni degl'inquisitori e del nunzio
apostolico e non cede che quando il caso è disperato, pronto a ri-
valersi ad usura alla prima occasione che si presenti propizia.
Ma veniamo senz'altro alle notizie spigolate nei nostri mano-
scritti.
Nel gennaio del 1588 era stato arrestato come relapso certo
G. B. Betanio, bergamasco. Sebbene la cattura fosse avvenuta fuori
del dominio veneto, tuttavia per il conseguente procedimento il reo
avrebbe dovuto essere condotto a Bergamo, e del fatto sarebbe
stato obbligo d'avvertire l'autorità civile.
Ma il vescovo e l' inquisitore della città, gelosi dell'autorità pro-
pria e memori dei fastidi e degl'inciampi che il S. Officio aveva
avuto negli anni antecedenti per parte dei rettori veneti, seppero
condurre le cose tanto destramente che l' imputato potè di soppiatto
essere trasportato a Roma nelle carceri di quel S. Officio (i), e
*^ di loro i processi sono nulli. Curano che senza licenza del Principe
" non si mandino né processi né carcerati fuori del dominio : non con-
" cedono l'arresto di nessuno se non dopo un processo informativo, al
* quale pure devono assistere. L'ii ottobre 1597 il Governo impone ai
** Rettori di non lasciar incarcerare dal S. OflScio se non persone
* espressamente eretiche, e nel caso dubbio, avvertirne il Principe. In
** casi di malefici, bestemmie, sortilegi, se c'entra eresia, si tratta la
* cosa dal foro secolare e dal S. OflScio, ciascuno per la parte sua.
* Non permettono che si proceda per proclama contro chi va oltre
" monti per mercatura ; l' inquisitore proceda singolarmente, secondo
" le notizie che avrà. Non permettono di confiscare i beni degli ere-
** tici ed inquisiti, ma vogliono che in essi beni succedano gli eredi le-
** gittimi. L' inquisitore non deve far precetti agli osti, alle comunità, ai
" giusdicenti su cose che riguardano il loro mestiere e ramministra-
** zione della giustizia. ,
(i) I carcerati dalle -varie sedi del S. Officio di Lombardia, quando
il processo non si compiva sul luogo, si mandavano a Roma per la via
SUL SANX'UFFiaO IN LOMBARDIA I23
sottratto così ad ogni ingerenza dei magistrati laici, contrariamente
alle disposizioni del governo. I rettori di Bergamo rimasero male,
ma reputarono miglior partito, a cose compiute, trattenersi dal fare
vane rimostranze : in compenso però la Sacra Congregazione ro-
mana il 16 e il 18 gennaio scrisse al vescovo e all'inquisitore, pro-
fondendo ampie lodi alla loro prudente diligenza (i).
Di lì a quattr'anni, il 30 novembre 1592, la S. Congregazione
di Roma scrive di nuovo al vescovo e ali* inquisitore di Bergamo
una lunga lettera nella quale ordina loro di pubblicare un editto
contro quelli che tenevano libri proibiti, specialmente le opere del
Machiavelli; di non concedere più ad alcuno licenza di leggerne,
e di revocarla se mai a taluno fino allora l'avessero concessa (2).
Neppur questo era consentito dai decreti del governo, non poten-
dosi senza il debito permesso e la non meno debita revisione,
pubblicare editti di nessun genere. Il manoscritto non dice altro
in proposito; è da credere quindi che questa volta le cose siano
andate regolarmente.
Codesta dei libri era del resto faccenda grave ed importante,
e il S. Officio teneva gli occhi bene aperti sul loro commercio e
sulla loro introduzione nei vari luoghi, riconoscendo in essi uno
de* più validi strumenti per la divulgazione dell'eretica pravità (3).
Nel novembre del 1616, all'inquisitore di Bergamo, avvertito
segretamente da Roma di perquisire d'improvviso la bottega d'un
libraio, venne fatto di sequestrare un grosso pacco di libri eretici
provenienti dalla Germania. Le disposizioni del Senato vietavano
di Ferrara o di Genova, rimettendoli da un S. Officio all'altro : i con-
dannati alle galere poi si mandavan tutti a Genova (Decretay etc, ci-
Uto, e. 148, 615).
(i) Decreta S, Congr,, cit e. 523, 524^ Un'altra di cotali gherminelle
61 giocata ai rettori veneti di Bergamo nel novembre 1628, essendo
riuscito l'inquisitore a trar fuori dalle carceri della città un accusato e
a mandarlo nascostamente a Roma {Decreta S. Coftgr,, cit. e. 49).
{2) Decreta, etc*, cit, e. 537. Un nuovo speciale decreto condannante
fe opere del Machiavelli fu fatto il 5 ottobre 1600 {Decreta, etc, citato»
e 694,1
(3) Agli inquisitori nelle città di mare era imposto di visitar le
oavi per accertarsi che non portavano libri proibiti : Venezia però a
tale officio nominava una persona secolare (Decret,, etc, cit, e. 695, de-
<Teto dd giugno 1593).
124 NOTIZIE SPARSE
che atti simili potessero compiersi senza sua licenza ; avuti perciò
i reclami del libraio, i rettori della città intimarono all'inquisitore
di levare il sequestro, ma egli, anziché obbedire, aperto il pacco,
confiscò la merce, senza uno scrupolo al mondo. I rettori allora
gl'imposero di restituirla, egli ricusò dapprima, poi domandò dila-
zione per scrivere a Roma e chiedere istruzioni. E da Roma ^i
risposero ingiungendogli di tener fermo e di non restituire a nes-
sun costo i libri sequestrati. E per quella volta l'autorità governa-
tiva dovette striderci (i).
Ma non così eran procedute le cose qualche anno prima, quando
nell'agosto del 1609 il podestà di Bergamo avea vietato all'inquisi-
tore di percepire i frutti dei beni del S. Officio, finché per essi non
avesse ricevuta l' investitura dall'autorità temporale. 11 frate, nonché
riceverla, non volea neppure saperne di domandarla: ma il go-
verno non cedette, sicché egli pensò bene di consigliarsi con Roma.
D IO settembre la S. Congregazione, non sapendo che suggerimento
dargli, rispose vedesse d'aggiustarsi alla meglio e sentisse un po'
monsignor vescovo. E questo prudentemente persuase il caparbio
inquisitore a fare di necessità virtù e a chiedere la tanto malevisa
investitura (2).
Anche nello stesso 161 6 più sopra ricordato i rettori di Ber-
gamo eran riusciti a far prevalere le leggi dello Stato sulle arbi-
trarie pretensioni del tribunale della Inquisizione. U vicario del po-
destà aveva nel novembre proibito all'inquisitore di compilare pro-
cesso contro due satelliti del S. Officio, denunziati per bestemmie
ereticali, se i rei non fossero trattenuti nelle carceri della curia
secolare e se la sentenza non fosse fatta e registrata dal magistrato
civile. L'inquisitore insisteva perché i due imputati fossero conse-
gnati alle carceri del S. Officio e perché, trattandosi di familiari
suoi, la causa si dovesse fare dal solo tribunale inquisitorìale. Come
il solito, chiese consiglio ai superiori, e da questi gli fu risposto
che trovasse modo di farsi rilasciare i prigionieri, ma che poi con-
(i) Decreta, eie, cit., e. 701. Più volte il senato s'era occupato della
questione dei libri e sempre avea concluso coU'ordinare agl'inquisitori
di non intromettersi in materia di revisione di libri per la stampa:
nell'agosto 1625 stabilì poi che i libri provenienti da regioni sospette
d'eresia fossero per l'esame portati prima a un segretario del Senato
(Decreta, etc, cit.^ e. 690).
(2) Decreta, etc, cit., e. 106).
SUL SANX'OFFiaO IN LOMBARDIA I25
ducesse il processo con l'assistenza del podestà o del capitano, non
però del loro vicario, e se sorgessero nuove difficoltà, ne avver-
tisse il nunzio pontificio a Venezia, il quale ne avrebbe parlato in
Senato (i). Difficoltà per buona fortuna non ne sorsero : la curia
secolare il 24 novembre consegnò i due prigionieri, e il processo fu
fatto regolarmente e terminò il 3 gennaio 161 7 con la condanna
dei due disgraziati alla pena triremium in perpetuunt (2).
Era appena finita questa contesa, che ne nacque un'altra, sem-
pre suscitata dalla medesima causa, la smania degl'inquisitori d'u-
surparsi attribuzioni che lo Stato avea riservato a se stesso. E
questa volta l' inquisitore di Bergamo non voleva riconoscere il de-
creto che imponeva che i bestemmiatori ereticali dovessero essere
processati e puniti dal foro secolare, e che al S, Officio non spet-
tasse che d'assoggettarli all'abiura.
La S. Congregazione alla quale s'era rivolto gli scrisse nel
febbraio 161 7 lavandosi le mani e dicendogli che vedesse un po'
lui di rimuovere gli ostacoli e d' infliggere la dovuta pena agl'impu-
tati di bestemmia (3). Una faccenda da nulla I Naturalmente le cose
restarono com'eran prima, e in fatto di bestemmie l'inquisitore bi-
sognò si contentasse di lasciare il campo agli « Esecutori contro
la bestemmia », ch'erano stati appositamente istituiti dal governo
fino dal 1537.
Non lo fece però volontieri, e ne son prova i tentativi poste-
riori da parte di lui d'invadere quel campo. Ma fu tutto inutile, a
quei tentativi il governo oppose anzi nuove conferme della propria
l^ge. U 23 gennaio del 1626 infatti, il podestà di Bergamo, d'or-
dine del Senato, pubblicò un nuovo editto nel quale comminava
il taglio della lingua ai soldati bestemmiatori e la galera se reci-
divi, e vietava al S. Officio di procedere contro di essi. E l'inqui-
sitore questa volta non ricorse nemmeno a Roma (4): tanto, per
avere di quelle risposte, non metteva il conto,
(i) Anche i nunzi avevano però talvolta a Venezia scarsa fortuna
e rischiavano di sentirsi dire in faccia delle cose poco piacevoli* Il 13
maggio 1609, per esempio, scrive il frate compilatore del nostro mano-
scritto a Ce 536, Veneti dicunt Nuncio ut non ponat in animis civium
icrupulos, alias discedat a statu.,,, e da Roma poi si dovette scrivere al
povero nuncio che non ci badasse et continuet officium suum,
(2) Decreta, etc, cit, e. 81.
(3) Decreta, etc, cit.^ e. 81.
(4) Decreta, etCf cit., e. 81.
ia6 NOTIZIE SPARSE
Forse si ricordava ancora dell' intemerata che nel maggio 1623
gli aveva fatta il Senato, quando per abusi d'ufficio l'aveva chia-
mato a Venezia ad audiendum verbum : e non gli era accaduto di
peggio grazie all'intromissione del nunzio che, sollecitato da Roma,
era accorso in suo aiuto (i).
Certo, la mala abitudine della bestemmia, tra i soldati special-
mente, doveva essere largamente diflFusa e radicata, se il Senato
s'era indotto a minacciare i colpevoli con pene cosi gravi, esso
che, quando tratta vasi della milizia, chiudeva volentieri un occhio
e, per quanto era possibile, non si mostrava né intollerante né
avaro di concessioni. Basterà, ad esempio, ch'io riferisca come
quattr'anni prima i greci scismatici che militavano al soldo della
Repubblica avessero ottenuto d'aprire a Martinengo una chiesa per
le pratiche del loro culto, e un mese più tardi perfino il permesso
d'esercitare le loro funzioni anche nelle altre chiese di rito latino.
Il nunzio nel giugno 1622 se n'era fortemente lagnato in Senato, ma
senza molti complimenti gli si era fatto comprendere che la Re-
pubblica non voleva, per causa di credenze e di riti religiosi, dar
molestie a quei forestieri ch'essa avea condotti a stipendio per ra-
gione di milizia (2).
Passiamo a Brescia.
Nel marzo del 1592 è arrestato dalla curia secolare uno scel-
lerato che aveva percossa con un pugnale un'immagine di Cristo
e della Vergine. Non si trattava di vera e propria eresia, ma il de-
litto essendo empio e gravissimo, il reo fu mandato a Venezia, dove
il magistrato laico gli fece il processo e lo condannò ad essere im-
piccato ed arso. L'inquisitore di Brescia in questa causa era stato
lasciato interamente in disparte, con quanto suo rammarico ciascuno
può indovinare. Come se codesto cruccio non lo dovesse tormen-
tare abbastanza, di lì a pochi giorni gli e apitò da Roma un aspro
rimprovero perché aveva permesso che la cosa si fosse svolta a
(i) Decreta, eie, cit^ e. 541. Non c*è da maravigliarsi che gì* inqui-
sitori fossero così ostinatamente recalcitranti alla volontà del governo
e così ligi alla Curia romana da eccedere in zelo, spesse volte, la stessa
S, Congregazione. Per averli tali questa, con decreto del 13 dicembre
I5<M» aveva stabilito che a Venezia e nelle altre terre del dominio ve-
neto si mandassero sempre inquisitori nativi d'altri Stati ^Decreta, etc,
cit., e. 53o\
2^ Decreta, etc^ cit„ e, 535,
\
SUL sant'officio in LOMBARDIA 12J
quel modo e perchè non s'era nemmeno industriato ad esaminare il
reo sulla intenzione: al rimprovero teneva dietro un ammonimento di
voler in avvenire, in casi simili, compiere scrupolosamente il proprio
dovere (i). 1 cardinali della S. Congregazione avevano un bel dire:
per quanto il governo veneziano fosse ossequente verso la Chiesa
e procurasse sempre di eliminare le difficoltà e i contrasti e di
procedere d'amore e d'accordo con l'autorità ecclesiastica, non era
sempre né disposto né costretto dalle circostanze a tollerare gli
arbitri degl' inquisitori e le loro illecite inframmettenze, a disprezzo
Me pubbliche leggi.
Nel 1623 quello di Bergamo, come vedemmo, se Fera cavata
con un'ammonizione : ma non andò cosi liscia nel novembre del 1625
al vicario del S. Officio di Brescia, il quale, non so per che colpa,
ricevette improvvisamente dal Senato l'ordine perentorio d'uscire
dallo Stato entro ventiquattr'ore. E gli convenne obbedire: tentò, è
vero, il nunzio pontificio a Venezia di far revocare l'ordine, solle-
vando per volere di Roma vive rimostranze in Senato, ma fu tutto
inutile (2).
Un curioso processo si svolse a Brescia nell'agosto del 1643.
Il S. Officio, sempre vigilante, era riuscito a far incarcerare certa
Caterina de Rossi di Benedetto, da Poschiavo, una donna sui cin-
(i) Decreta^ eie, cit., e. 524. Questo processo ci dimostra che la tol-
leranza e la mitezza, dj cui comunemente si vuol fare un merito alla
Repubblica veneta, hanno un po' del leggendario. Quando non ne sca-
pitavano i suoi diritti, i suoi interessi e la sua politica, Venezia, seb-
bene più illuminata e prudente, era suppergiù (e non poteva essere
altrimenti) uguale agli altri Stati. Ricorderò qualche altro esempio di
condanne capitali per ragione religiosa pronunciate ed eseguite col
^neplacito e con l'opera del governo veneto. Nel novembre 1596
son paniti colla morte, a Venezia, due eretici bestemmiatori {De-
^^fl> ite, cit,, e. 8i) ; il 28 luglio 16^ a Padova è condannato a morte
wi altro bestemnùatore (/A., iV/., e. 82); nel 1637 a Vicenza la curia se-
colare fa trarre a forza dalle carceri del S. Officio un bestemmiatore
ereticale e lo fa impiccare (Jb. id., e 82): nel 1639 a Treviso, un cre-
sco, fatta Tabiura de vehemenh', è dalla curia secolare capite muktatus et
'omlmsius (Ib., id,, e. 541).
(2) Decreta, eie, cit, e. 541. Non fu questa la sola volta che il go-
J^o ebbe ricorso a siffatto rimedio: nel maggio 1590 Pinquisitore dì
^mco fu esiliato da tutta la Dalmazia {Decreta, etc, cit., e. 538); nel
vembre 1606 il vicario del S. Officio di Candia è obbligato ad andar-
^ne daU'isola (lè., ,,/., e. 540).
128 NOTIZIE SPARSE
quant'anni, passata per una serie d'avventure e di traversie le quali
avean finito col disordinarle il cervello, sempre forse un po' squi-
librato. Le colpe imputatele eran parecchie, e per que' tempi, non
leggere : prima di tutto la si accusava d'aver abitato pef qualche
mese in casa d'una sorella, Anna, luterana impenitente, presso la
quale convenivano eretici e propagandisti di dottrine condannate
dalla Chiesa; poi, d'aver mangiato vitello in quaresima e violato
il digiuno imposto a coloro che s'accostano al sacramento dell'Eu-
carestia; d'essersi per la sua condotta sconveniente fatta cacciare
da un monastero ove s'era ricoverata; d'aver finto santità e asse-
rito, con empia ed ostinata menzogna, di non aver mai bisogno di
cibo, bastando a sostentarla l'ostia della santa comunione, u cosa
« contraria alla natura », osserva l'inquisitore, e smentita dal fatto
ch'ella « appariva bene in carne, di color vivido, abbondante di
« sangue et gagliarda di forze non solo animali sensitive et mo-
u trici, ma vitali ancora ».
Il processo fu lungo e minuzioso e terminò con la sentenza
pronunciata solennemente nella cattedrale dall'inquisitore fra Cle-
mente da Iseo, per la quale era condannata all'abiura de vehementi
e a dieci anni di reclusione nella prigione segreta della torre de
la Pallada, iniuncta salutari penitentia di preghiere e di digiuni (i).
Uno degli ultimi processi compilati dal S. Officio di Brescia
fu quello contro il sacerdote Giuseppe Beccarelli d'Urago d'OgHo,
il quale il 13 settembre 1710 dovette pubblicamente abiurare le
proposizioni ereticali da lui sostenute contro il sacramento del ma-
trimonio, la penitenza, il digiuno, e sconfessare le dottrine etero-
dosse messe in voga da Michele Molinos (2) riguardo all'efficacia
dell'orazione mentale, ch'egli aveva professate. Il doge Giovanni
Corner il 27 settembre scrisse al vescovo di Brescia rallegrandosi
che il processo fosse finito con la condanna del prete colpevole, e
lodando lo zelo dell'inquisitore (3).
(lì Biblioteca comun. di Bologna : Sanctitates affectaiae ad ann., vo-
lume manoscritto proveniente dal S. Officio.
(2Ì Michele Molinos di Patacina nell'Aragona (1640-1697) fu il più
celebre sostenitore della dottrina del quietismo; nel 1687 furono incri-
minate 68 delle sue proposizioni, ed egli stesso fu condannato a per-
petua prigionia.
(3Ì Sanctit affect,^ cit, ad ann.
SUL sant'officio in lobibardia 129
A scusare tali insolite congratulazioni ufficiali si potrà addurre
la riprovazione formale da parte della Chiesa delle opinioni del
Holinos: comunque sia però, non posso nascondere l'impressione
penosa ch'esse producono nell'animo mio, cui pare di scorgere un
s^no evidente di quell'infiacchimento morale nel quale e per il
quale intristisce la vecchia e logora Repubblica. Siamo ben lontani
dai tempi di Paolo Sarpi, quando il governo, pure intimamente re-
ligioso, badava a contenere non a incoraggiare lo zelo dei padri
inquisitori e mostrava sempre di darsi fin troppo pensiero per con-
servare immacolati il decoro e la maestà dello Stato.
Prima d'uscire dalla provincia di Brescia, aggiungerò che il
nostro manoscritto ricorda parecchi altri eretici bresciani, special-
mente frati, quali ad es., fra Damiano di Brescia, fra Vincenzo Squar-
dafico, fra Paolino da Calcinate, fra Andrea da Mademo, certo Pierino
de Losate, « sindaco della terra n^ il maggior peccato dei quali è
queUo d'aver tenuto e letto Hbri luterani, d'aver nelle loro prediche
professate opinioni poco ortodosse, d'aver negati i voti e d'aver di-
chiarato (e questo si riferisce a fra Damiano) che « se non ci fosse
« scandalo e trovasse una donna che lo volesse per marito, la
« prenderebbe in secreto, per sedare la petulanza della carne ».
Contro tutti costoro il S. Officio procedette nel 1546 e 1549, e i pro-
cessi furono fatti a Bologna e finirono con condanne a penitenze
salutari e a rimozione dai gradi ch'essi tenevano nel loro Ordine (i).
Un'altra città lombarda appartenente al dominio veneziano era
Crema. Quivi per parecchio tempo non ci fu un proprio tribimale
del S. Officio, dipendendo essa, in materia d'Inquisizione, dal
S. Officio di Piacenza che ci teneva un vicario : soltanto nel lu-
glio del 1614 vi fu insediato uno speciale inquisitore, il quale na-
turalmente, secondo le prescrizioni del Senato, dovette presentarsi
a] doge prima d'assumere il suo ufficio (2).
Anche qui, tanto prima che fosse piantato il tribunale auto-
nomo, quanto dopo costituito, abbiamo i soliti dissensi fra l'autorità
laica e l'ecclesiastica, e sempre per le cause altrove menzionate.
Nel luglio 1597 i birri del capitano levano a forza dalle prigioni
(i) Biblioteca com. di Bologna: Volume manoscritto, già apparte-
OQto al S. OfRcio, formato di quaderni e di carie staccate, senza nu-
merazione e senza un titolo generale.
(2) Decreta, etc.^ cit, e. 531.
Arch. Star. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXIII. 9
130 NOTIZIE SPiUlBE
ecclesiastiche un carcerato che il vicario del S. Officio avea rifiu-
tato di consegnare, non ostante le ripetute richieste del governo (i) ;
nel marzo 1598, per cose attinenti al S. Officio, trovo ricordate
gravi e lunghe dissensioni fra il pretore di Crema e Tinquisitore
di Piacenza (2); verso la fine del 1601, avendo quel pretore fatto
imprigionare un familiare del S. Officio, è scomunicato, e solamente
dopo fastidiose trattative corse tra il Senato e la Curia pontificia^
il IO gennaio 1602, gli vien levata la scomunica (3).
Quanto a processi tenuti a Crema, uno solo ne registrano i
manoscritti da me esaminati, quello d*un tale che aveva ucciso un
testimonio il quale, in una causa d'eresia contro suo padre, aveva
deposto sfavorevolmente. Il colpevole fu consegnato al braccio se-
colare e impiccato il 2 dicembre 1599 (4).
Ma, benché non compilato a Crema, più importante fu un pro-
cesso d'eresia fatto sui primi del 1549 a Bologna, per ragioni di
giurisdizione ecclesiastica, processo nel quale il principale accusato
è appunto un cremasco, frate Aurelio da Crema. Era allora inqui-
sitore di Bologna il padre maestro fra Girolamo Muzzarelli, e se-
devano giudici con lui nel sacro tribunale l'inquisitore di Brescia
fra Stefano da Quinzano, priore di Vicenza, e fra Leonardo da
Olio. Dopo che l'imputato ebbe subiti parecchi interrogatori, venne
la volta dei testimoni, la cui audizione cominciò il 12 maggio.
Fra Angelo da Verona, priore di Milano, depose che frate Au-
relio era intimo amico del conte Fortunato Benzoni di Crema, il
quale era ritenuto eretico luterano, e che ne frequentava la casa, fa-
cendosi chiamare non già frate, ma sig. Aurelio; che aveva pure
strettissima amicizia con parecchi giovani frati eremitani, tenuti
anch'essi in conto d'eretici, coi quali disputava di cose di disci-
plina ecclesiastica e di fede, manifestando opinioni anticattoliche
e intendimenti di ribellione.
Il domani un altro testimonio, fra Angelo da Quinzano, priore
di Crema, asserì d'aver sentito ch'egli ammetteva la predestinazione,
e che l'anno prima, in convento, aveva più volte pubblicamente de-
rise le cerimonie del culto, ponendo in canzonatura il canto sacro,
(i) Decreta, eie, cit, e. 539.
(2) Decreta, eic,^ cit, e. 538.
(3) Decreta, etc^ cit., 324.
(4) Decreta, etc, cit, e. 91.
SUL sant'officio in LOMBARDIA J3I
i Hiattutini, il digiuno e così via. Confermò inoltre la sua intrinsi-
chezza cogli eremitani, nota a tutto il paese e cagione di scandalo
e di mormorazioni. Aggiunse che sapeva di certi discorsi poco edi-
ficanti da lui fatti a proposito deUa confessione con fra Pietro
Martire da Desenzano, e dei continui e amichevoli colloqui col
conte Benzoni e con certo Gian Antonio Fracavallo, cremasco, he-
reticorum primario.
Un terzo testimonio, fra Silvestro da Quinzano, che avea pre-
(ficato una quaresima a Crema, dove s'era poi trattenuto tutto Tanno,
affermò che Y imputato aveva « frequentissima conversazione » con
tatti quelli che a Crema eran considerati luterani, speciadmente col
priore di allora dei carmelitani, u luterano pubblico », il quale gli
prestava libri condannati dalla Chiesa; con frate Angelo eremitano,
eretico anche lui, e col sig. Fracavallo qui dicitur papa Simon he-
reiicorum. Citò anche la testimonianza d*un altro cremasco, certo
G. A. Verdeli, il quale assicurava d'aver udito con i propri orec-
chi l'inquisito mettere in burletta la confessione, la pluralità delle
messe, le processioni, la tonsura. Non si curava affatto di correg-
gere quelli che sapeva infetti d'eresia, basti l'esempio di una mo-
naca, suor Monica, sorella di certo Francesco Gambarocchi di
Crema, la quale era notoriamente luterana come il fratello, e alla
quale, in tutti i suoi colloqui con lei, egli non disse una sola pa-
rola di biasimo per tentare di ricondurla sul sentiero della fede.
L'ultimo testimonio interrogato dal sacro tribunale fu fra Gi-
rolamo da Guastalla che avea predicato a Crema la quaresima
del 1548 e che conosceva l'imputato fin da quando, quattr'anni
prima, s'eran trovati a Chioggia, dove gli aveva fatti certi discorsi
che, Dio guardi, sapevano d'eresia lontano un miglio. La sua de-
posizione confermò quella dei testimoni precedenti, non aggiun-
gendo che qualche ragguaglio di lieve importanza.
Esaurite le testimonianze, fu di nuovo esaminato il reo il quale,
stretto dalla cavillosa dialettica dell'inquisitore, si rassegnò a con-
fessare di essere intervenuto a conventicole di persone sospette
nella fede, d'aver avuto libri proibiti e d'aver fatti dei discorsi
poco ortodossi. Ce n'era abbastanza per essere considerato colpe-
vole. Non ho trovato nel nostro manoscritto come sia andato a
finire il processo : è facile però, dall'esame d'altri processi simili,
argomentare che il frate sarà stato condannato alla reclusione
132 NOTIZIE SPARSE
temporanea, alla perdita dei diritti e dei gradi che aveva nel suo
Ordine, all'abiura e alle consuete penitenze salutari. Queste erano
le pene che il tribunale infliggeva, trattandosi di frati, e quando
il caso non raggiungeva i termini d'un'estrema gravità (i), special-
mente prima del papato di Pio V.
Il processo riassunto, se per se stesso poco o punto differisce
da tanti altri compilati contro frati di diversi Ordini, acquista una
tal quale importanza in quanto viene indirettamente ad attestarci
come l'eresia serpeggiasse, in quel suo primo periodo di vita, nelle
nostre città più di quanto comunemente non si creda. Sarà stata
una fioritura effimera, destinata a morire al primo levarsi delle raf-
fiche della reazione cattolica; ma non per ciò cessa d'essere un
fatto di cui è necessario ed è giusto che la storia raccolga ed esa-
mini tutti i dispersi elementi,
E ora, lasciando la repubblica di Venezia, passiamo nel ducato
di Milano, dove, in generale, non ostante la boria spagnuola e l'ol-
tracotanza semi irresponsabile dei governatori, lo Stato nelle sue
relazioni con l'Inquisizione era molto più arrendevole e più umile.
Le condizioni politiche di que* tempi e la parte di campioni della
fede assunta dai re Cattolici ci spiegano chiaramente codesta re-
missività del potere laico e codesta sua acquiescenza nei riguardi
del S. Officio.
A Cremona certo Bergamino da Bergamo, incarcerato e pro-
cessato per colpa d'eresia dal S. Officio, era stato condannato al-
l'abiura de vehementi e alla galera per alcuni anni. La curia seco-
lare, verso la quale l' imputato era pure responsabile sotto un certo
aspetto, desiderando di rivedere per proprio conto la causa, richiese
ch'esso le fosse rimesso. L'inquisitore ricusò, e a nuove istanze
oppose un ordine venutogli da Roma con lettera del 6 febbraio 1588
nella quale gli s'imponeva categoricamente di non consegnare il
condannato, ma di mandarlo senz'altro a Genova a scontarvi la
pena. E il governo non fiatò più (2).
Qualche anno dopo (il tempo non è indicato, ma dev'essere
nel primo quarto del secolo XVII), il S. Officio di Cremona pro-
cessò e condannò un tale Baroncelli e i suoi complici che avevano
(i) Volume manoscritto cit., formato di quaderni staccati, e senza
numerazione di carte.
(a) Decreta, eie, cit. 148.
SUL sant'officio in LOMBARDIA I33
ammazzato un familiare della S. Inquisizione, ma l'autorità laica non
volle consentire che s'eseguisse la sentenza, non avendo avuto al-
cuna parte nel processo, benché si trattasse d'omicidio e non d'e-
resia. L'inquisitore, messo alle strette, ma deliberato a non cedere,
operò in modo che i condannati fossero nascostamente condotti
fuori dallo Stato: sotterfugio non nuovo, come vedemmo, nei me-
todi dei padri maestri del S, Officio e che aveva il vantaggio di
opporre alle recriminazioni sterili il fatto compiuto (i).
Altri due processi sono ricordati a Cremona nel 1610. Il pri-
mo è del gennaio e fu fatto contro lo stesso vicario del S. Officio
che aveva rivelato ad un inquisito i segreti dell* istrut toria col mezzo
d'un biglietto su cui erano scritti i nomi dei testimoni e un som-
mario degl'indizi raccolti dal tribunale a carico di lui : e tutto ciò
per due piastre e per un paio di guanti (munnscula chirotheca-
rum) (2). Pervenuta la denuncia all'inquisitore, era stato arrestato
e aveva senza reticenze confessata la propria colpa, per la quale
si era tirato addosso una condanna a dieci anni di galera, alla ina-
bilitazione perpetua ad munera S, Officii e ad essere confinato al-
l'ultimo posto tra i religiosi del suo Ordine. E qui il compilatore
ia rilevare che benigne futi actum, quia renunciatores secretorum
seu consiliorum aut vivi comburuntur aut furca suspenduntur (3).
D che, se potrà parere crudele ed eccessivo, dimostra chiaramente
la rigida imparzialità del sacro tribunale.
Il secondo dei due processi si fece nel maggio 1610 contro
certo Cesare de Pisce, accusato di tener presso di sé i libri del
Machiavelli. La confessione gli fu strappata con la tortura ; dopo
di che fu condannato all'abiura de levi e al carcere temporaneo (4).
Di Lodi, a proposito d'Inquisizione, nient'altro trovo nel no-
(i) Decreta, ect,, cit, e. 598.
(2) Decretai, etc.^ cit., e. 963.
(3) A dir vero gli addetti al S. Officio non erano pagati lautamente;
e ciò spiegherebbe in qualche modo la colpa del vicario. A proposito
di compensi, ricorderò una lettera della S. Congregazione ali* inquisi-
tore di Milano, sotto la data del 2 ottobre 1603, nella quale gli si dice
che delle " multe pecuniarie dia qualche ricognizione al procuratore
' dei carcerati, all'aromatario, al medico, al notaio e ad altri inser-
* vienti del S« Officio, secondo l'anzianità di servizio {iuxia femporis
' anttrioriiatem „) (Decreta, etc.^ cit., e. 41).
(4) Decreta, etc.y cit., i. 697.
134 NOTIZIE SPARSE
stro manoscritto in fuori d'una supplica fatta dalla città nel maggio
del 1628 per avere un inquisitore proprio e non essere più un vi-
cariato dipendente dal S. Officio milanese. Ma l'arcivescovo e l'in-
quisitore di Milano risposero nel luglio che la cosa non pareva
necessaria e che non era consuetudine del S. Officio di far tali
concessioni senza una ragione grave e imperiosa. E per qualche
tempo i lodigiani s'acquietarono a questa risposta; ma nell'agosto
del 1630 eccoli da capo a rinnovare la loro supplica con maggiore
istanza. Per farla finita, il S. Officio di Milano rimise la domanda
alla S. Congregazione romana, e questa di lì a non molto dichiarò
recisamente che non intendeva di consentire; e così non se ne fece
nulla (i).
Potrà sembrarci strano che con Lodi il S. Officio si sia con-
dotto diversamente che con Crema: la nostra meraviglia cesserà
però quando si consideri che nel caso di Crema si trattava d'una
terra la quale politicamente apparteneva ad uno Stato è, rispetto
all'Inquisizione, ad un altro; ciò che poteva generare degl'inconve-
nienti non lievi e complicare le cause con beghe intemazionali, te-
nuto conto anche della poco buona armonia che per lo più esìsteva
tra la repubblica di Venezia e i governatori spàgtiuoli di Milano.
Neppure a Mantova il manoscritto ricorda processi d'eresia:
vedo soltanto menzionata una licenza concessa nel settembre 1609
al duca di leggere libri proibiti trattanti de iocis et lasciviis, eccet-
tuate però le opere del Machiavelli e del Rodino (2). Povero Ma-
chiavelli ! il bando contro i libri suoi non soffre attenuazioni : la
S. Congregazione reputa per la salute delle anime più pericolose
le dottrine di lui che le svergognate oscenità di scrittori noti ed
ignoti del cinquecento e del seicento.
Da Mantova veniamo a Milano.
11 20 settembre 1572 l'inquisitore di Milano, padre Angelo
da Forlì, chiudeva il processo contro frate Ambrogio da Lodi e
pronunciava la sentenza. 11 disgraziato era stato accusato e con-
vinto di eresia e di falsità, e a carico suo stavano specialmente
certe poesie ch'egli aveva buttate giù ad ore perdute, e che eran
(i) Decreta y etc, cit., e. 599.
(2) Giovanni Bodin d'Angers (153096) scrisse un'opera sull'arte di
Stato: De la république^ che fu tenuta in molto conto, e un trattato di
Daemonomania che ebbe invece poca reputazione.
SUL sant'officio in LOMBARDIA I35
parse irriverenti e non soverchiamente ortodosse. Prima di dar
corso alla sentenza, gli atti furono trasmessi a Roma, donde fra
Antonio Balduzzi, commissario generale deUa S. Romana Inqui-
sizione, il IO dicembre li rimandò approvati, ma con una mitiga-
zicHie della pena, osservando che, quantunque iales deltnquentes
debita animadversione coerceri debeant ut caeteris in exemplum
transeant, et ne tam grave delictum prorsus inultum remaneat, tut-
tavia credeva conveniente di procedere con una tal quale indul-
genza verso frate Ambrogio, attenta ejus gravi aetate et longa
carcerum maceratione : lo condannava quindi alla perdita di ogni
cfflore, dignità, ufficio ac voce adiva et passiva, al bando dalla città
di Bifilano e al carcere in un luogo che gli sarebbe poi stato asse-
gnato (i). E probabile che il vecchio frate abbia potuto profittare
poco a lungo della benignità con la quale era stato trattato, e che
i malaimi cagionatigli dal lungo carcere preventivo, come aveano
spalto il suo giocoso spirito di poeta, abbiano in breve messo
termine alla sua triste prigionìa.
Un esempio di paziente condiscendenza verso la Chiesa da
parte del governo spagnuolo di Milano ce lo porge un processo
del 1600. Il governatore, il conestabile di Castiglia, aveva nel feb-
braio fatto imprigionare un famiglio del S. Officio, perchè s'era
lasciato trovare in possesso d'un archibugio rotato, contrariamente
alla grida che proibiva di portar tali armi. Per quest' arresto l' in-
quisitore andò sulle furie ed inveì e strepitò contro l'atto arbitrario
dell'autorità civile; ma a nulla giovando le sue lagnanze e le sue
sfuriate, risolvette di scriverne a Roma. Il papa, interessandosi
direttamente della cosa, ordinò se ne parlasse all'oratore di Spagna
in Roma , eccitandolo a intromettersi presso il governatore di
Milano perchè liberasse l'arrestato. £ infatti, la mediazione fu valida
e il famiglio fu lasciato libero con un rescritto dov' era detto che
gli si concedeva la libertà m in via di grazia. » Questa vittoria sa-
rebbe dovuta bastare, ma il S. Officio che non tollerava la più
lieve ombra nel campo di quelli che reputava i propri diritti e i
propri privilegi, non ne fu contento e ricorse di nuovo a Roma
contro il rescritto. E anco questa volta trovò l'appoggio del ponte-
fice, il quale il 20 aprile comandò che il procurator fiscale del
(i) Volume manoscritto cit, formato di quaderni staccati e senza
numerazione di pagine.
SUL sant'officio in LOMBARDIA I37
Anche a Milano, come, del resto, nelle altre sedi del S. Officio,
dopo il primo periodo del 1600 vere cause d'eresia non se ne trova
che molto raramente. L* Inquisizione, cessato oramai il pericolo
d'un' infezione ereticale, non si occupa, per lo più, che di processi
di sortii^, di stregonerìa, di violazioni di leggi canoniche, di
trasgressioni di precetti ecclesiastici: sotto l'aspetto storico perciò
l'opera sua perde gran parte d'interesse, e quel S. Officio che
avea vigilato con zelante energia a conservare cattolicamente in-
tegro il pensiero religioso d'un popolo, è ridotto a poco più d'un
tribunale correzionale o d'un ufficio di polizia, costretto ad occu-
parsi di quisquilie disciplinari e di miserie mentali riguardanti
sciagurati che o il vizio o il morbo ha tratto fuori dalla diritta via.
Di tal genere è appunto l'ultimo processo menzionato nei nostri
manoscritti, riferentesi a Milano, compilato dal S. Officio nel 1689
contro certa Lucia Gambona da Lugano. Questa povera donna,
d*appena trent'anni, fu il 5 settembre chiusa nelle carceri dell'In-
quisizione sotto l'accusa di professare dottrine quietiate e d'essersi
vantata di avere delle visioni celesti e delle conversazioni coll'an-
gelo custode e con l'arcangelo Gabriele. 11 processo cominciato
pochi giorni dopo e durato a lungo non ebbe vera conclusione,
giacché non s'arrivò mai a convincere l'infelice dei suoi errori: e
si che fu più volte esorcizzata e assoggettata a tutti gli scongiuri
e le lustrazioni che il codice del S. Officio prescriveva d' usare
in simili casi. Un giorno, durante una delle sue estasi, mentre in-
ginocchiata, con lo sguardo perduto nel vuoto, balbettava parole
incomprensibili, le bruciarono una mano con una candela, quasi
per avere una prova materiale della sua sincerità. Naturalmente la
poveretta se ne risentì, e codesto bastò a persuadere i giudici che
si trattava di frode. Altre prove suppergiù del medesimo genere
si ripeterono poi e sempre con lo stesso risultato, senza però che
dalla bocca di lei si riuscisse mai a cavare una confessione o una
ritrattazione purchessia. Si concluse allora (e a quei tempi altra
conclusione non era possibile) che le sue visioni eran tutte una
impostura e ch'essa era una solenne ingannatrice la quale forse se
zione all'inquisitore di Milano il quale aveva chiesto se i nobili si do-
vessero condannare alla galera: e fu che non si poteva dare una de-
cisione assoluta né escludere tale pena, ma che si sarebbe deliberato
volta per volta, secondo la qualità del caso (Decreta, etc.^ cit., e. 764).
I3|B NOTIZIE SPARSA
l'intendeva col demonio, e 3i sentenziò dovesse stare rinchiusa in
p^petuo in un carcere mite. E chiusa infatti rimase per circa
trentanni, finché nel 1719, a troncare le pene di quel corpo trava-
gliato e di quello spirito infermo, sopravvenne liberatrice la morte (i).
A compiere Pesame di quanto ne' nostri manoscritti concerne
la Lombardia, non mi resta che riferire due accenni a processi te-
nuti presso il S. Officio di Pavia. U primo parla deUa condanna in-
flitta il 27 giugno 1591 ad un tale che aveva percosso una persona
perchè gh aveva denunciata la moglie all'Inquisizione come sospetta
d'eresia: bastonatura che gli era costata cara, poiché egli avea
dovuto subire tre colpi di fune e poi partire in esilio (i). Il secondo
riguarda alcuni studenti dell'Università i quali, per avere eoa la
forza strappato dalle mani dei famigli del S. Officio im loro com-
pagno mentre era tratto alle carceri, il io agosto 1621 furono pu-
niti con una grave ammonizione e col carcere temporaneo (a).
E questo è tutto. Certo, non è molto, raflfrontandolo col desi-
derio legittimo di conoscere con maggiore ampiezza e precisione
di particolari lo svolgersi della controriforma, di quest'azione me-
ravigliosa per coerenza, per costanza e per energia, che, almeno
fino a mezzo il XVII secolo, procede imperterrita al suo scopo,
valendosi di tutti i mezzi che reputa adatti e convenienti, animata
sempre da una convinzione profonda e da una buona fede, che a
torto e con animo prevenuto si suole negare, intorbidendo i sereni
criteri della storia coi nostri anacronismi, con le nostre mutabili
passioni e coi nostri intolleranti preconcetti.
Ma, si sa bene, generalmente i desideri, anche i più ragione-
voli, non hanno limiti, tanto meno quando il loro soddisfacimento
è lontano e difficile : questa considerazione e la buona volontà
valgano a procurarmi il compatimento dei lettori.
Antonio Battistella.
(i) Sanciilaies affectatat^ voi., manose, cit, ad ann.
(a) Decreta^ etc^ cit., e. 93.
(3) Decreta, eie, cit., e. 93.
t
\ t
VARIETÀ'
LrO Staio di Monza.
' erudita Nota Metrologica , pubblicata dal chiarissimo
A. Mazzi in quest'ai rc/riV/o, mi porge occasione a scrivere
di un cimelio che si conserva in Monza, prima d'ora non
illustrato; ma che certo non manca d'importanza storica, e parmi
degno d'essere conosciuto più che non è.
L'importantissimo documento del 1369 (i), con cui il Mazzi dà
principio alla sua nota dice :
« Secundum mensuram sextarii de bronzo mensure mediola-
« nensis qui appellatur patronus, et quo utitur et usum est in ci-
« vitate Mediolani iam sunt CCCVIII anni, qui factus fuit anno MLX,
« Modius Venetus comuniter semper fuit star. LVI quartar. Ili, et
« hoc est. n
Sulla fine dunque del secolo XIV si conservava in Milano un
campione in bronzo dello staio, la cui grandezza o capacità era
stata stabilita fino dal 1060; e serviva come tipo per la verifica ed
il ragguaglio colle altre misure.
Ed un campione in bronzo od uno staio modello è il Monzese,
die si conserva presso la locale Congregazione di Carità. Certa-
mente non poteva essere una misura effettiva dì uso comune un
recipiente di bronzo fuso, che vuoto pesa chilogrammi 17,350. Che
se le misure campioni si conservano e si usano oggidì, tanto più
lo si doveva fare in antico, quando più facilmente si potevano
adulterare le effettive non soggette come ora a frequenti verifiche (2)
(i) Lettera 20 aprile 1369 dei Deputati di Milano al Podestà di
Bergamo, che trovasi in un Registrum Liiterarum manoscritto nella
Civica Biblioteca Bergomense. (Vedi Archivio Stor,, fase. XXXI, pag. 34).
(3) Gli Statuti delle varie città d' Italia contengono dei titoli speciali
contro i falsificatori dei pesi e delle misure, ai quali sono comminate
140 LO STAIO DI MONZA
Misure antiche di vario genere, anche fisse e scolpite in pi^ra,
esistevano in diverse città. Così a Milano nel Broletto Nuovo nella
Piazza dei Mercanti in una lastra di marmo, ora smarrita, era se-
gnato il campione del « cubito, n Negli Statuti dei Mercanti di
Monza si dice, che il passetto o braccio è falso, se non corrisponda
alla misura incisa nella pietra che è sotto il Palazzo del Comune,
ora detto Arengario: « Intelligatur passus falsus sì non inveniatur
u infra cloderam vel mensuram lapidis quae est subtus pallatium. »
E com'io notava nella pubblicazione di quegli Statuti (i), sino al
principio dello scorso secolo esisteva presso il Palazzo un gran
masso di serizzo siliceo del peso di circa cinque quintali (che ora
si conserva con alcune lapidi di varia provenienza sotto i portici
della residenza municipale), nel quale sono praticati tre incavi della
capacità dello staio, della mina o mezzo staio e del quartaro.
Tornando al nostro staio comincerò col darne la descrizione.
E un cilindro di bronzo di buona lega e sonoro, fuso di getto in
un pezzo solo, con due maniglie verticali alte 15 centimetri spor-
genti cent. 5, ed un orlo all'estremità superiore di 2 cent, di lar-
ghezza. Misura di diametro all'esterno cent. 37,7 e nel!' intemo 34,3;
poiché Torlo ha la superficie di 17 millimetri. La sua altezza è al-
l'esterno di cent. 21 e nell' interno di 20, essendo di poco meno
d'un centimetro lo spessore del fondo e di tutto il vaso. Non fanno
pene gravissime e persino il patibolo. Ai tempi poi di Dante era così
notoria la frode di Durante de' Chiaramontesi, doganiere e camerlingo
del comune di Firenze, il quale aveva adulterato lo staio, che per in-
dicare quella famiglia il poeta dice soltanto :
... quei che arrossai) per lo staio.
Farad. XVI, 105.
E altrove accenna allo stesso fatto, ed allo strappo di fogli da un re-
gistro del comune, narrando di certe
... scalee, che si fero ad etade
Ch*era sicuro il quaderno e la doga.
Purgai. XII. 105.
Sulla qual frode recano molti ragguagli i commentatori del poema, a
cominciar dai più antichi, come l'Ottimo, l'Anonimo Fiorentino, ecc,
(Cfr. P. Toynbee, A Diciionary of proper names, ecc., in the Works of
Dante^ Oxford, 1898, s. v. Chiaramoniesi, pag. 151). Ed il Landino assi-
cura che * acciocché non si potesse più defraudare, fu dippoi rifatto
u lo staio di ferro ,. {Dante con le spositioni di C. Landino, ecc. Venezia,
1578, Sessa, fol. 339 b).
(i) Statuti detta Società dei Mercanti di Monza ora per la prima volta
messi a stampa, ecc. Monza, 1891, Corbetta. Pag. 140, nota 43.
M^
LO STAIO DI MONZA I4I
parte della fusione due grosse punte pure di bronzo, sporgenti in-
ternamente di circa im centimetro, e saldamente ribadite all'esterno,
collocate in posizione diametralmente opposta a cent. 13,4 dal fondo.
Per determinare esattamente il volume o la capacità di questo
vaso approfittai del principio, che // litro è il volume d' un chilo-
grammo d'acqua distillata al suo massimo di densità, cioè a 4^
sopra zero. Così dal peso esatto dell'acqua ho dedotto, che la no-
stra misura fino alle due punte inteme contiene litri 11,850 e ri-
piena litri 17,775. Ora essendo il Moggio milanese, che si usava
anche a Monza, di litri 146,24, il suo staio è di litri 18,280. Il no-
stro vaso sarebbe dunque mancante di oltre un mezzo litro, il che
non parmi comportabile in una misura campione. — Le due quantità :
litri 17,775 ^^^ vaso pieno e litri 11,850 fino alle punte in teme,
non corrispondono neppure al valore del patrono calcolato dal
chiaris. Mazzi, il quale colla competenza rara che ha della materia
da ben tredici ragguagli ne dedusse la media di litri 13,3.
Noto che la differenza tra i due numeri da me trovati è di
litri 5,925 e che i due volumi suddetti sono precisamente il doppio
(litri 11,850) ed il triplo (litri 17,775) di questa differenza; per cui
le due punte segnano esattamente i due terzi della capacità del
vaso. Preso quindi per unità litri 5,925 ; fino alle punte si avreb-
bero due misure e ripieno sarebbero tre misure. Calcolato col
Mazzi il Moggio veneto dei grani di litri 334,61 ; il patrono^ che
secondo la carta surriferita del 1369 doveva entrarvi per volte
56 -^ , risultava di litri 5,896. Pare però allo stesso Mazzi (pag. 38
in nota) di poter stabilire la capacità del Moggio veneto in litri
337,92 ; con che il patrono diventerebbe di litri 5,955. Questi due
valori sono vicinissimi alla mia unità di misura, la quale non ne
differisce che di tre centilitri in più e in meno. Non potrebbe
dunque il vaso di Monza essere il campione dei tre patroni e dei
due patroni fino ai segni interni ? L' ipotesi a me stesso sembra
troppo avventata; ma quell'indicazione dei due terzi del volume
totale qual relazione può avere con im vero staio? In tutte le carte
antiche, come anche nella riportata in capo a questa nota, lo staio
è sempre diviso in quattro quartari.
Grandi lumi sul suo valore metrologico, e fors'anche sull'epoca
di questa misura, probabilmente ce li avrebbe fomiti una lunga
epigrafe di cui era fregiata, ma che pur troppo, non saprei indo-
vinare per qual ragione, andò quasi totalmente perduta, spietata-
mente abrasa con improba fatica a furia di scalpelli e di lime.
Pare che quest' iscrizione, fusa di getto circolarmente in rilievo sulla
142 LO STAIO DI MONZA
superficie esterna, occupasse tutti i 19 centimetri che stanno al disotto
dell'orlo superiore, e fosse divisa in sei righe, di tre delle quali (1,
IV e VI) si hanno traccie evidenti. Ora dell'epigrafe, che è in lettere
maiuscole di tre centimetri d'altezza, è conservato solo questo :
.» COIS MODE .>J
che precisa il primitivo possessore della misura : Comunis Modoetiae.
Dalla parte opposta, inseriti nell'iscrizione e della sua medesima
grandezza, erano quattro stemmi soprapposti due nella prima riga
e due nella seconda. Dei due superiori, che sono ben conservati,
quello a destra contiene il biscione visconteo e l'altro l'aquila im-
periale. Degli inferiori quello a sinistra sembra fosse quadripartito;
ma è totalmente abraso sicché non se ne può cavar nulla. L'altro
contiene un disco di molto rilievo, sformato pare dalla percussione,
forse rappresentante originariamente la luna piena qual era nel-
l'antico stemma di Monza; giacché l'odierno colla corona ferrea
e la così detta croce del regno non fu adottato dal Comune che
presso lo scorcio del secolo XVI. Di questi stemmi quello in cui
è rappresentata l'aquila imperiale ne accerta, che la nostra misura
non può risalire ad epoca anteriore al 1294; poiché solo da que-
st'anno in cui Matteo Magno accettò il vicariato imperiale, i Vi-
sconti acquistarono il diritto d'inserire l'aquila nel loro blasone.
Forse potrebbero meglio precisar l'epoca di questo cimelio le traccie
di alcune lettere male abrase in seguito alle due parole: Cois Mode,
che sono : ••• FP : CS, le quali se, come sembra probabile, fossero
^
FRNCS, e si riferissero a Francesco Sforza, segnerebbero la data
del 1450 o poco dopo, epoca che meglio si adatterebbe alla forma
delle poche lettere conservate, le quali segnano il periodo di tran-
sizione tra la scrittura gotica e lo stampatello romano. Ma anche
questa è un'ipotesi e nulla più.
Noto anche che nelle molte carte Monzesi, che da anni vado
esaminando nei varii archivii, non mi fu mai dato di trovare pa-
rola o frase, che almeno lontanamente accennasse a questa misura;
ragione precipua per cui in questa nota non ho potuto che proce-
dere per induzione, raccogliendo vaghe ipotesi più o meno pro-
babili. Mi sono però deciso a pubblicarla per far conoscere ima
misura in bronzo finora nota a pochissimi, e per eccitare altri più
esperti o più fortunati di me a nuovi studii, che conducano alla
completa illustrazione di questo cimelio.
A. V.
UNA MONETA MILANESE ANONIMA
Una moneta milanese ancmima
del successori di Oiovannl Visconti.
^OM'è risaputo, l'Arcivescovo Giovanni Visconti mori ìm-
I prowisamente il 5 ottobre 1354, " senza disposizione
• alcuna per lo stato » (i), e le cittì e i territori onde
questo si componeva furono divisi tra i figli di Stefano, già ri-
duamati d'esilio dall'Arcivescovo medesimo, cioè Matteo II, Ber-
nabò e Gaiezze IL Milano tuttavia e Genova restarono sotto la
comune dominazione dei tre fratelli (a).
Nel breve giro di meno d'un anno, tale condizione di cose
ebbe termine, poiché con la morte dì Matteo, avvenuta il 26 set-
tembre 1355, Bernabò e Galeazzo rimasero soli signori.
Di Giovanni, con Luchino dapprima, e poi solo, si hanno mo-
nete, benché quasi tutte più o meno rare ; di Bernabò e Galeazzo,
associati separatamente, ci rimane una serie monetale abbastanza
copiosa ; il breve periodo sovr-ascennato, della dominazione pro-
miscua dei tre fratelli, non ci avrebbe lasciato invece nessun mo-
numento numismatico, almeno secondo l'opinione prevalente.
Un nostro scrittore del secolo XVIII tuttavia, il Sellati, si
esprime a tal proposito come segue: » Monete che portino il nome
• di tutti e tre fin'ora non se ne sono vedute.... A me però fu
o dato di rinvenirne una d'argento nel ricco Museo del Padre
• Bdaestro Porta, la quale è certamente assai rara. Essa porta una
a croce circondata dalle parole -f- ■ M . B . G . VICECOMTES ., cioè
d Mathaeus, Bemabos, Galeaz Vicecomites. Dalla Parte opposta ha
■ una grande M nel mezzo, e intomo ~{- MEDIOLANV (3) ■.
E di questa moneta ci dà un rozzo disegno, che qui si ri-
produce.
FtcìimiU del diaegno del Bc1l>1>.
(i) LiiTA. Famiglie ctUbri d'Ifalia: Visconti di Milano, tav. HI.
(2) Verrl Storia di Milano. Tomo I. Milano, 1783 — (a pag. 2fi9^°>
(3) Sellati (F.)- Dissertazione soffra varie monete intdtt* spellanti al-
l'Austriaca Lombardia. In Milano, 1775 — (a pag. 3)-
144 ^^^ MONETA MILANESE ANONIMA
Vincenzo Promis, nelle sue classiche Tavole sinottiche, e dopo
di lui i benemeriti fratelli Gnecchi nella notissima loro opera sulle
monete di Milano, non prestarono fede al Bellatì, e ritennero questo
pezzo come un sesino di Bernabò e Galezzo, male attribuito.
il chiaro nummografo piemontese lo registra infatti tra le mo-
nete di questi due signori (i), e a lui l'abbagho del Sellati doveva
sembrar cosa troppo evidente, se non credette necessario di ag-
giunger sillaba nella colonna delle annotazioni.
Quanto ai Sigg. Gnecchi, essi citano la moneta del Sellati, e
osservano : « . . . non avendo mai potuto trovare in nessuna col-
« lezione tale moneta, riteniamo si tratti del Sesino di Bamabò e
« Galeazzo da noi descritto, male interpretato (2). »
Ma il sesino di Bernabò e Galeazzo ha il biscione nel campo,
non la grande M gotica che è propria del sesino di Giovanni
(fig. 1); mi par quindi inverisimile che il Sellati possa aver preso
abbaglio in questo senso. Piuttosto si potrebbe supporre ch'e|;li
avesse erroneamente interpretato appunto un sesino malconservato
di Giovanni, leggendovi fantasticamente: M . B . G . Vicecomiles
invece di Johs. Vicecomes. E la supposizione sarebbe avvalorata
dal fatto che nel suo disegno il Vicecomiles è scritto VICECOMTES
con un nesso che potrebb 'essere anche una falsa lettura per una
semplice E,
Senonchè, bisogna notare che le monete di Giovanni hanno
sempre la graffa VICECOES, non mai VICECOMES (3). È quindi,
per questo riguardo, aggiunto al resto, meno verisimile che il Bel-
(i) Promis (V.). Tavole sinoltiche delle monete battute in Italia e da
Italiani alfeslero dal stcolo VII a tutto l'anno MDCCCLXVIII. illustrate
con note. Torino, 1869 — (a pag. irg).
(3) Gnecchi (F. ed E.>. Le monete di Milano da Carlo Magno a Vit-
torio Emanuele II, descritte ed illustrate. Milano, 1884 — (a pag, 38).
(3) 1 nn. 3, 5 e 7 dell'opera dei Gnecchi sembrano contraddire que-
st'affermazione ; ma mi affretto a osservare che, in primo luogo i
nn. 2 e 7 sono monete riportate da vecchie pubblicazioni e suUe quali
UNA MONETA MILANESE ANONIMA 14^
lati abbia preso abbaglio neppure con un sesino di Giovanni, e la
sua moneta si presenta tanto più accettabile come vera moneta
dei tre fratelli, v-^^^^^*-
La forma VICECOMTES (con quel nesso) s'incontra del resto
precisamente su di una moneta di Bernabò e Galeazzo (i).
Quanto alla estrema rarità, o meglio alla odierna irreperibilità
della moneta riportata dal Bellati, essa potrebbe spiegarsi naturai-
molte con la brevità del perìodo storico al quale appartiene.
Le considerazioni che ho svolte mi' sembrano già sufficienti,
w non m' inganno, per far ammettere la possibilità d'esistenza di
una simile moneta.
Ma a queste considerazioni astratte mi è dato dì aggiungere
un argomento concreto, nel seguente curioso sesino (fig. 2) che
pochi anni fa ebbi la fortuna di acquistare per il R. Gabinetto
Numismatico di Brera:
+ MEDIOLANVM Croce.
+ MEDIOLANVM Biscione.
Questa moneta costituisce, come i lettori possono vedere a
colpo d'occhio, un vero anello di congiunzione tra quella di Gio-
vanni Visconti riportata alla fig, i, e il notissimo e comunissimo
sesbo di Bernabò e Galeazzo (fig. 3), che non ne differisce fuorché
per la legenda -j- 8 . G . VICECOMITES attorno al biscione.
fig. 3-
gli stesBÌ Sigg. Gnecchi esprìmono i loro dubbi ; in secondo luogo che
il tu 5, anch'esso riportato soltanto dalla Postrema Disseriatio del Bel-
lini (del 1774), non merita, a mio avviso, maggior fiducia.
(i) Checchi, Sufipiemenfo. Milano, 1894 — (a pag. 33, n. 3).
*ra. Stor. Lami., Anno ZZIZ, fuc. XZXIII. [o
UNA LETTERA INEDITA DI S. CARLO
147
desunta dal privato archivio del sig. conte Giorgio Dal Verme,
che ne ha all'uopo dato pieno e cortese assenso.
Tale lettera ha la data del 4 aprile 1576 ed è diretta dal car-
dinale di Santa Prassede al sig. conte Giano Dal Verme, del ramo
dei Conti di Bobbio, estintosi nel 1769, nell'intento di persuaderlo
a lasciar trasportare l'altare della Madonna dal luogo ove era, e cioè
a sinistra della porta maggiore del tempio, nella cappella di San Bo-
naventura, di suo juspatronato, nella chiesa di San Francesco
Grande.
Questo conte Dal Verme, chiamato Giano dal Litta, appar fir-
mato nel documento che offriamo come Jannes. Fu egli costante-
mente al servizio di Carlo V e assistette anzi all'incoronazione
dell'imperatore in Bologna nel 1530. Più tardi, venne eletto sena-
tore in Milano, ma non vi risiedette perchè colto dalla morte in
Bobbio nel 1582. D padre suo. Federico, ebbe vita avventurosa ed
era stato fatto conte di Bobbio nel 1532 da Francesco II Sforza.
Di questo Giano Dal Verme il cardinale Borromeo si firma
in quella lettera come parente e fratello amorevole pel motivo che <^vX<>f /^
aveva il detto conte preso in moglie nel 1538 una Eleonora Bor- ^ j^ r
romeo, zia di San Carlo, e perchè una di lui sorella Taddea, J^ * •
vedova di un conte Gambara, sposò in seconde nozze il conte Gì- ^
berto Borromeo, vedovo di una Medici e padre dell' illustre Arci- Ì •
vescovo.
Benché poi l'ufficio per cui si adoperava, con questo suo per-
sonale scritto, il cardinale Borromeo, non offrisse per sé grandi
difficoltà, al punto che si limita egli a presentare al conte Dal
Verme, colla commendatizia sua, per la stipulazione del caldeg-
giato istromento, il notajo stesso (era un Pomponio Bossi) che gli
Scolari della Concezione inviavano già quasi sicuri in prevenzione
di un favorevole accoglimento, pure è questo atto una novella
prova dello zelo con cui il cardinale/Arcivescovo di Milano, che
tanta fama lasciò di sé in tutta la Cristianità, disimpegnava nella
sua vasta ed importante Diocesi i doveri dell'alta sua carica.
Sul trasferimento dell'altare della Concezione che forma og-
getto di quello scritto, molto vi sarebbe a dire anche per le con-
seguenze che ponno trarsene sotto il rispetto artistico, ma per non
uscir ora dal campo prettamente istorico, diamo qui appresso, senza
ulteriori commenti, la lettera in questione.
\\-t f <
I
Litterae Sancti Caroli Borromaei perillustrem Comitem Joan-
ncm de Verme suadentis ad concedendum sodalibus Deiparae sine
labe conceptae sui juris sacellum in Templum Sancti Francisci Me-
148 UNA LETTERA INEDITA DI S. CARLO
diolani Sancto Bonaventuraae tunc dicatum, ut illuc ipsius Imma-
colatae Virginis Ara transferatur, jure tamen sepulcri ibi positi
praefato Corniti Vermensi Familiae permanente . 4 Aprilis 1576.
Molto IlLre S.rt
Havendo Mons. Reveren.mo Visitatore Apostolico ordinato in S.t Fran-
cesco di Milano che l'altare della Concettione della Madonna per diversi
rispetti concementi il decoro di quella Chiesa si trasferisca dal loco, dove
era, ad altra Capella in essa Chiesa, nissuna ci è parsa più a proposito,
che quella di S.t Bonaventura, che s'intende essere juspatronato di V.
S., la quale per la pietà sua confìdamo che non sarà difììcultà a conce-
derla alla Scuola della Concettione, si per l'opera in sé, che ad honore
della Madonna, et sì perchè verranno a partecipare spiritualmente li
defunti suoi et lei medesima delli Sacrifìcii et orationi che si faranno in
essa Capella, nella quale ha da restare la Sepultura della Casa sua, come
perchè per questa via verrà ad essere sollevata dall'obligo di ripararla
et ornarla, che sarebbe con non poca sua spesa conforme al'ordinazione
della visita Apostolica, essendo detta Capella molto male in ordine in
più cose, per non dire della satisiattione, che ne sentiremo Mons. R.°^
Visitatore, et io, et questi miei Deputati della Scuola; i quali essendo
come sicuri della buona volontà di V. S. mandano il presente notaro
apposta per stipulare l'Instromento opportuno sopra ciò; ed io ho voluto
accompagnarlo con questa mia, pregandola che per honor di Dio, et
della Beat.m* Vergine, et per decoro di quella Chiesa, et satisfattione
di noi altri non voglia mancare di fare quanto si desidera in fare ispe-
dire il suddetto Instrumento secondo le forrae^ che si le manda di qua;
che io in particolare lo riceverò a molto piacere e di tutto cuore me
Le oflfro et racc.<i« Di Milano li mj di Aprile 1576.
Di V. S. Molto IU.re
Parente et Fratello Amorevole
Il Card, di S.ta Prassede
A tergo — Al ìdolto Illre Ss Conte Jannes del Verme
a Bobbio,
U visitatore apostolico di cui si parla in questa lettera è monsignor
Gerolamo Regazzoni, vescovo di Famagosta all'uopo delegato dal pon-
tefice Gregorio XIll.
Diego Sant'Ambrogio.
CARNEVALE IN MILANO
149
Carnevale In Milano nel 1590.
»L carnevalone ambrosiano che da anni parecchi andava
sempre più snaturandosi e illanguidendo, è oramai un
ricordo storico: nullo oramai per tutti, è ridotto a ve-
roni che fanno dormire ed a fiere di poca allegria a porta Ge-
nova. Ma manca ancora la sua storia esauriente a ricordame le curiose
e aneddotiche vicende attraverso i secoli. Molti scrittori vi toccarono
inddentahnente, senza stenderne un lavoro speciale, eccezione fatta
per quello del Pagani che sebben dettato con lodevole intento,
nella parte documentaria è tutt'altro che definitivo (i).
Né ci sentiamo noi di tesserla questa storia, che in tanta parte
si confonde con quella del teatro milanese, data la natura degli
spettacoli carnascialeschi d'allora a base di rappresentazioni mito-
logiche e di tornei cavallereschi (2). Ma poiché siamo usciti dalla
stagione dei balli e delle maschere, non tornerà sgradito di ricor-
dare oggi — a titolo di pura curiosità storica, — come trascor-
ressero gli ultimi tre giovedì del carnevalone dell'anno di grazia
(i) PAGAin (Gentile). Saggio di carnevalografìa ambrosiana. !&* Milano
Sonzogno, 1884. Aggiungi : Ambrogio da Milano (C. Cantù). I carnevali
milanesi, in Mondo Illustrato^ di Torino, 1847, p. 119 segg.; Carnesec-
CHI (C). Carnevali milanesi, in Fanfulla della domenica a. Ili, 188 1 n. 9;
BiAKcui (A. G.). I professori ^ di ballare „, in Conversazioni della do-
fnentca^ n. 7, 1888; Arullani (V. A.). Due spettacoli carnevaleschi mi-
lanesi del secolo XVI, in Fila Nuova n. 13, a. II, 1890; Solerti (A.).
Rappresentazioni di poeti nel secolo XVI, in Intermezzo a. I., n. 17-18,
1890 (questi tre articoli, a proposito delle Pompe del Rainerio, stam-
pato nel 1553) ; Giarelli (F). Il carnevale di Milano in Natura ed arte^
15 febbraio 1899.
(2) Perle feste di carnevale dell'anno 1559, coll'assistenza di Leone
Leoni aretino cfr. il libretto di Ascanio Centorio d' Hortensii, I grandi ap-
parati, e feste fatte in Milano dalli Illust. et Ecc. S. il Duca di Sessa e S.
Marchese di Pescara, ecc. ecc , Milano, Antonii 1559. Più ricordata da nostri
scrittori la mascherata fuori carnevale del giugno 1574 in onore di Gio-
vanni d'Austria. E tacciamo dei carnevali della fine del quattrocento per
i quali giovano gli studi dell'amico prof Renier intorno ai poeti sfor-
zeschi Niccolò da Correggio e Gaspare Visconti, a proposito del suo
tt Transito di Carnevale „. Il cronista Ambrogio da Paullo ricorda con
dettagli le feste carnevalesche del 1502. E tra le poesie raccolte in Am-
brosiana (S. B. U. IV, 68 n. 32) v*è il Testamento del Carnevale di Mi-
lano (Milano, Tip. Carlo Bolzani, 1752).
CARNEVALE IN MILANO I51
nova, governatore di Milano, e don Francesco Ali cremonese t ve-
stito l'uno « di taffetà verde et tocca d'oro, » l'altro « di taffetà
verde e bianco » e ambedue « in habito donnesco, con cavalli bar-
dati sino a terra riccamente, et gentilmente. » Tra i capi giostra-
tori nota vasi per primo « il marchesino abbiatico del sig. Duca
con sette venturieri a cavallo vestiti di taffetà bianco, argentino
et incarnato con o ro garbatamente con i cavalli anchora, quali have-
vano un corno per uno in fronte » seguiti da trombetti e paggetti
a cavallo, dai medesimi colori e « con i stivaletti dorati. » Se-
guiva Carlo Brivio « con sei ventiu-ieri a cavallo, vestiti di vesti
lunghe di velo bianco figurato di turchino riccamente. Tutti i ca-
valli bardati senza croppiere, né staffili, ma con le bastine sole
et un corno per uno in fronte ». Poscia il conte Paolo Belgiojoso
a con sette venturieri » pure a cavallo e vestiti « di taffetà verde
rosso e bianco in foggia di mostri marini che coprivano le gambe,
vista bellissima, con una canna di melica, col mazzo di melica
attaccato, ma finta in mano. » Chiudeva il corteggio il carro « con
due cavalli finti de medemi colori portato, sedente di sopra un
huomo vivo in forma di Nettuno col tridente, garbatamente. » Pa-
drini della giostra don Pietro Pontio, il Capitano della guardia, il
conte Mattia Taverna, Hermes Visconti, il conte Lodovico So-
maglia, Francesco Tolentino ed altri.
Dei 29 gennaio 1586 è la supplica di fra Lucrezio Quinziani
diretta al marchese d'Este, per ottenere la sua liberazione dalle
carceri di S. Ambrogio Maggiore in Milano dov'era incarcerato,
essendo stato « preso in abito da mascara » il giorno di S. Paolo
25 gennaio « sforzato a mascherarsi a cavallo per piacere ad un
gentilluomo. » (i)
Ai 16 di febbraio 1587 notizia di altra atmellata « qua fatta
(i) Già dei 24 gennaio 1562 è la grida del marchese di Pescara,
vietante di mascherarsi u in habito da prete né da frate né da mo-
naca, pena la confisca dei beni o la galera , (Arch, di Stato. Culto,
Diversi n. 13).
Per insoliti rigori governativi, più che altro, veniva di frequente
tolto il permesso dei travestimenti e delle maschere per carnevale, già
nel quattrocento. I Registri dell'Archivio di stato milanese ce. ne of-
frono copiosi esempi per gU anni 1422, 1462, 1465, 1468, 1471, 1473, 1476
(Reg. Panigarola CC. 285; DD. 559 t.% 706 t.°, F. 108 t.^, 162, 217 t»;
p 106 t-U 14B1, 1483 (Gridario i2/x e 30/1 ad annum), 1487, 1494 {Reg.
^amg. EE. 80; DD. 443 t.'). Il Pagani segnala U divieto deUa Repub-
bhca Ambrosiana nel X448.
CARNEVALE IN MILANO 153
Correrie a tre lancie.
Il signor Conte Teodoro Trivultio
< venti scudi.
II signor Marchese Marino
// premio al signor Conte Teodoro.
0 signor Conte Litta ) ,. . ,.
n signor Conte Antonio Somaglia ) *^'^"^ "'="*^'-
// premio al signor Conte Litta.
n signor Francesco Brivio 1 *. . ^.
„. r^' r-' Ti^x ) dieci scudi,
u signor Gio. Giacomo Lattuà (
// premio al signor Brivio.
D signor Alfonso Cotta J ,. .
TI . ^ r> ux ) dieci scudi.
D signor Cesare Barbò f
// premio al signor Alfonso Cotta.
D signor Conte Teodoro Trivultio
n signor Baldassarro da Rhò
// premio al signor Baldassarro,
n signor Conte Litta f .
Il signor Conte Mercurino Valenza J
// premio al signor Conte Litta che portò l'anello,
11 signor Alessandro Vistarino
n signor Alfonso Cotta
// premio al signor Alessandro che portò l'anello,
A PRIMA LANCIA,
\ trenta scudi.
\ venti scudi.
D signor Conte Teodoro Trivultio i .
D signor Marchese Marino ( ^^^^ ^^^ **
// premio al signor Marchese Marino.
Ruppero poi questi signori Cavalieri nel Facchino molte lancie,
nel qual fatto egregiamente si portò il signor Conte Teodoro Tri-
vultio.
Comparsa fatta adi primo di Marzo ij^o sul Corso di porta Ro-
mana in Milano da Cavaglieri mascarati per correr* à l'anello
in vista del Cartello che siegue:
Due Cavalieri dell' Isola di fortuna mossi solo dalla generosità
degli animi loro, son venuti in questa nobilissima Città, per certi-
154 CARNEVALE IN MILANO
ficarsi à pieno con tre colpi di lancia à l'anello, se il valore nel-
Tarmi di questi nostri Cavaglieri inamorati, è tale, qual va' riso-
nando la fama per tutto il mondo. Et per ciò fare i sudetti due
Cavaglieri si troveranno giovedì primo di Marzo, sul corso di porta
Romana, dove cortesemente sfidano tutti con gli infrascritti capitoli :
Chi comparirà in campo prima de' Mantenitori, non sarà am-
messo al correre.
Chi non comparirà con habiti nuovi di cendalè, non sarà am-
messo al correre.
Chi perderà la staffa, e non arresterà, o scuoterà la landa, o
gli cascherà il capello, perda la carriera.
Chi farà ponteria, guadagnerà due colpi, e chi porterà via
l'anello, ne guadagnerà tre dell'altre, anchora che fussero tinte, e
non si guadagnerà colpo alcuno.
Nei colpi pari, chi avrà portato meglio la lancia, vincerà.
Chi darà di sopra della corda, non potrà più correre, inten-
dendosi senz'altro aver perso.
Che non si possi correre meno di dieci, né più di venti scudi.
Che nissuno possa per difensione della causa sua contendere
con gli signori Giudici, sotto pena della perdita del prezzo, che pre-
tenda di guadagnarli.
Gli signori Giudici sotto :
D signor Conte Jeronimo Morone.
U signor Castellano Maggio.
Mantenitori :
U signor Conte Don Andrea Manrique, il signor Alessandro
Vistarino, vestiti di taffetà bianco, rosso, et tanè figurati a qua-
dretti molto gentilmente, che cuoprivano i Cavalli con morioni
sfoggiati, et simitarre, et tenevano per uno in mano una lancia
corta dipinta, con una bandirola in cima, le quali doppo la com-
parsa correndo insieme, ruppero
Precedevano a questi signori:
4 Trombetti.
4 Paggi che a mano tenevano 7 bellissimi cavalli, et 2 altri
Paggi à cavallo, tutti vestiti de medemi colori.
n signor Conte Antonio Somaglia padrino, vestito tutto di tel-
letta d'ora ricchissimamente, et sfoggiatamente.
Vennero poi:
D signor Baldassarro da Rhò, il signor Marchese Marino, il signor
CARNEVALE IN MILANO I55
Gio. Giacomo Lattuà, il signor Don Francesco Filidoni, et uno Ca-
valiere incognito lodeggiano, vestiti di taffetà giallo, verde, et tur-
dùno in habito di pellegrini, tanto copiosamente, et gentilmente,
che si faceano conoscere per veri pellegrini.
Precedevano a questi signori:
Trombetti 4 vestiti de medesimi colori,
n signor Giovanni Barbò padrino.
Seguirono :
Il signor 0>nte Teodoro Trivultio, il signor Litta, vestiti d'A-
mazzone di taffetà bianco, morello, rancio, et tanè.
Precedevano a questi signori:
Trombetti 4.
Paggi quattro a cavallo, gli secondi con lancie in mano vestiti
de medemi colori.
H signor Cesare Marino padrino.
\ corrono dieci scudi.
Il signor Alessandro \istarino 1 ,. .
dieci scudi.
Correrie.
Il signor Conte Don Andrea Manrique
U signor Baldassarro da Rhò.
// premio al signor Don Andrea.
U signor Marchese Marino (
// premio al signor Marino,
Il signor Conte Don Andrea Manrique J .
n signor Gio. Giacomo Lattuà. (
// premio al signor Don Andrea,
U signor Vistarino \ a- ^
D signor Don Francesco Filidoni k
Il premio al signor Vistarino.
D signor Don Andrea i a- -
D signor Cavagliere Incognito (
// premio signor Don Andrea.
Il signor Vistarino \ a- *
Il signor Ottaviano Visconti (
// premio al signor Vistarino.
156 CARNEVALE IN MILANO
siRiìor Don Andrea J ,.
• A^ i. T^ j s venti scudi,
signor Conte Teodoro (
// premio al signor Don Andrea,
signor Vistarino )
. ^ ^ T .^ < venti scudi,
signor Conte Litta {
Il premio al signor Conte Litta,
signor Conte Teodoro ( . ,.
^^^ • Tr- ^- i venti scudi,
signor Ottaviano Visconti (
// premio al signor Conte Teodoro.
signor Conte Teodoro l a prima lancia dieci
signor Marchese Marino | scudi.
// premio al signor Conte Teodoro.
sijrnor Alessandro Vistarino \ ..
. ^ T-ij . J quattro scudi,
signor Francesco Filidom f ^
// premio al signor Filidoni.
Il Bissa, ai io di marzo spediva al d* Este « la terza et ultima
comparsa hier l'altro fatta da questi Signori che credo li debba
piacere più dell'altra. » Disgraziatamente non vi si trovano più al-
legate il testo del cartello, la sua risposta e la vignetta del carro
allegorico alla favola d'Arione come è indicato nella lettera.
Comparsa fatta a<ii S di Marzo ij^o sul corso di porta Romana in
Milano da Cai'aglieri tnascarati per correre a Vcmello in virtù
del Cartel seguente (i) :
Mantenitori :
D signor Conte Don Andrea Manrique, il signor Conte Antonio
Somaglia, vestiti dì taffetà verde, et tanè listati d'argento riccamoite,
et sfoggiataraente con raorioni et cimieri sup)erbi et copiosi di piume,
con tarche, et sìmitare, et erano cop>erti i cavalli leggiadramente,
et tenevano in mano un*astella per uno dipinta, la qual correndo
ugualmente doppo la comparsa» ugualmente, et in un medemo
punto gentilmente ruppero.
Prinedeixuto a qtiesti Signori:
Trombetti quattn> j vestiti de mede-
Paggi sei con 6 cavalli bellissimi a mano / mi colori.
vii Mancante»
CARNEVALE IN MILANO I57
Paggi quattro vestiti di nuovo dd Padrino con 4 cavalli leg-
giadri a mano.
D signor Alessandro Vistarino Padrino vestito et risplendente
tutto, riccamente, a ricamo d'oro.
Seguì il carro d'Armida, pieno di belle figure, et di valenti
musici, il qual comparì superbissimo et altissimo di braccia sedici,
la cui descritione, et dichiaratione dell* intentione dei Cavaglieri
che lo conducevano è narrata ne la risposta del detto Cartello che
si^ue (i):
Et erano gli assistenti sul carro vestiti garbatissimamente et
rìcchissimamente conform' à le lor proprietà et significato. Segui-
vano il carro trombetti 4 vestiti di tafietà verde, e morello li-
stato d'oro.
n signor Marchese Marino — nominato Adrasto il fiero, in-
ventore, et signore del Carro.
11 signor Ottaviano Visconti — nominato Tisiferro, folgore di
Marte.
Il signor Baldassarro Rhò — nominato il Principe Altamero.
n signor Conte Litta — nominato Ormondo il forte.
D signor Cesare Barbuolo — nominato Asimiro l'Audace.
D signor Conte di Valenza — nominato Aridamante il crudo,
vestiti di taffetà verde, e morello listato minutissimamente, sfog,
giatamente, et rìcamente d'oro con cimieri vaghi, et altieri d'oro-
imbrunito, et copiosi di piume di varij colori, con simitarre, et
scudi vaghissimi, sui quali erano dipinte la salamandra, et la morte,
con un motto così dicente Capitur arte. Gli cavalli riccamente d'oro
imbrunito di spesa di cinquanta scudi per uno.
Ruppero quei signori doppo la comparsa le astelle che dipinte
tenevano in mano correndo à due, à due:
Paggi 6 con lancie, a cavallo, vestiti de medemi colorì ordi-
natamente andando due inanzi a due cavaglieri.
U signor Gio. Battista Fiorenza padrino, vestito di seta verde,
et era tanto minutamente, et riccamente, che rubbava gli occhi.
Seguiva poi una Barca in conformità del dissegno che si vede (2)
ricca di marinai, et d'ogni minima cosa necessaria a così raro
artificio vestita tutta di turchino, et argento signorilmente, che a
guardarla rendeva godimento a l'anima, et a gli occhi, che parto-
riva dolcezza, et insieme ammiratione di così bella macchina, piena
(i) Mancante.
(a) Disgraziatamente non si trova più allegato alla lettera.
158 CARNEVALE IN MILANO
di eccellenti musici, cantanti et sonanti div^^e sorti d' istromenti,
da quali dolcissima et rara armonia si sentiva, et inanzi a questa
barca, a cavallo a un delfino sedeva Arione il quale, perchè la
barca non puotè entrare ne la lissa per esser caduta (come si so-
spetta per fatto iniquo di mano empia, che nascostamente sforzò
dal suo luoco il pontello maggiore de la culatta della poppa, che
sosteneva il tutto) non puotè nel luoco, che dovea essergli disse-
gnato nella lissa cantare i versi che seguono:
O sventurato, o misero Arione
Qual Fato, o qual Pianeta, o qual Destino
Fidar ti fé la vita a l'empio Pino
Privo d'amor, di fide, e di ragione?
O Trombetta del Mare, o Dio Tritone
Chiama ti priego al tintinnir divino,
Al porto di Corinto il mìo Delfino
Allettato da me col suon d'Anfione.
E, tu Nereo, che al perfido Pastore
Con Helena fuggendo, horrendi, e fieri
Fati predir osasti, e dishonori;
Poi che cosi ha ordinato il Re supremo,
Annoncia a questi perfidi nocchieri
E carcere^ e tormenti, e morte, e inferno.
Et io con canto etemo
Dirò le lodi del signor di Delo
Che fa venire al mondo, e caldo, e gelo.
PiTHiA D' Arione.
O Febo arcipotente.
La cui vaga sorella,
Quando le sei presente
Par divenir men bella;
Ma se la notte adduce
Rassembra un altro sol con la tua luce.
Dal tuo potente Nume
La bella Dea d'Amore
Riceve ogni suo lume
Sì ben, per farti honore,
Al morir tuo, la Dea
Cuoprì ogni luce, e ogni beltà c'havea.
Venendo apporti il giorno,
Et al partir la notte,
Tornando al tuo ritorno
Ale cimerie grotte :
Così fai tutfil Mondo,
Hor con l'un, hor con l'altra almo, e giocondo.
CARNEVALE IN MILANO
159
Così r immobil Terra
Dìvien per te feconda
Cosi il Nocchier non erra,
Col Pin solcando l'onda.
Ma dal tuo lume scorto
Arriva sempr* a salvamento in porto.
Però non mi negare
Il tuo favor divino
Perchè solcando il Mare
Con esso il mio Delfino
Farò col dolce canto,
Cangiar miei nemici il rìso in pianto.
Doppo la Barca seguivano sei Cavaglierì, qual caduta, en-
trarono.
D signor Conte Theodoro Triulzio inventore et signore della
barca, il signor Gio. Giacomo Lattuà, il signor Baldassarro Arri-
goni, il signor Francesco Brivio, il signor Antonio Canfora, il si-
gnor Alfonso Cotta, vestiti di taffetà bianco, et turchino inargentati
ricchissimamente adomati d* intomo de [specchij con fiocchi pen-
denti, et mostaccioni rilevati con mirabil arte, le simitarre, et i
scu(tì risplendevano tutti d'argento, et i morioni erano vaghissimi,
et i cimieri superbissimi, pieni d' infinità di bellissime piume.
Gli cavalli parevano tutto argento.
Ruppero doppo la comparsa questi Signori l'astelle dipinte che
n mano teneano correndo insieme a' due, a' due.
Precedevano a questi Signori:
Trombetti sei de' medemi colori vestiti.
Paggi sei a cavallo con lancie, vestiti di longo |superbissima-
mente de' medemi colori.
Il Signor Alfonso Castellione, Padrino garbatamente vestito.
Vennero poi :
D Signor Conte Lodovico Somaglia, il signor Forino, vestiti
^ taffetà morello con stille spesse inargentate in habito d'Orto-
^«ù, con i gerletti argentati alle spalle.
A questi signori precedeva :
Cupido su un [Asino vestito di rosso tenente in mano l'arco
^n frezza intomo al qual arco erajscritto ; In cuor villano non ha
forza Amore; et TAsino era tirato da due a piedi di rosso vestiti;
l6o CARNEVALE IN MILANO
et di dietro v'era il Boia similmente vestito, che frustava Cupido.
Invenzione bellissima che mosse a gran rìsa.
Trombetti 4 vestiti di giallo e morello.
Seguivano poi due Paggi a cavallo con lande in mano dei ine-
demi colorì.
D signor Besozzo padrìno rìccamente vestito.
Cokerie.
Il signor Andrea Mantenitore i
TI • r- i. T --.i. i venti scudi.
Il signor Conte Litta /
// premio al signor Conte Litta.
Il signor Conte Antonio Mantenitore J
Uo- \H \^ \H ' ì venti scudi.
Signor Marchese Marmo f
// premio al signor Conte Antonio.
Il signor Don Andrea (
Il signor Baldassarro Rhò \ ^^^ ^^^^^^
// premio al signor Baldassarro.
Il signor Conte Antonio J
D signor Cesare Barbò I ^^'^ ""**'•
// premio al signor Conte Antonio.
D signor Don Andrea l
Il signor Conte Teodoro Trìvultio / ^^"^ ^^^*-
// premio al signor Conte Teodoro.
Il signor Conte Antonio i
n signor Gio, Giacomo Lattuà | ^^^ ®^^^-
// premio al signor Conte Antonio.
D signor Don Andrea i
n signor Baldassarro Arrìgoni i ^^^ ^"^•
// premio al signor Don Andrea.
D signor Conte Antonio i
n signor Francesco Brivio I ""^^ ^"^•
// premio al signor Conte Antonio.
D signor Don Andrea j
11 signor Conte Teodoro ì """^ ^"^
Il premio al signor Don Andrea.
CARNEVALE IN MILANO l6l
Il signor Conte Antonio C *
Il signor Gio. Giacomo Lattuà \ ^^"^^ ^^"^^
// premio al signor Lattuà.
•
Ben triste invece, il ricordo dell'inizio carnevalesco del 1606
* Hieri (cosi scriveva l'agente Pietro Maria Mariano al marchese
* Francesco d' Este, in data io gennaio) si cominciò a far mascare.
« Per Milano non si può andare la mattina, né la sera per i ladri
« che svaliggiano et feriscono chi si diffende. È stato detto al
- Conte di Fonte [fuentes] che in questo e' hanno mano le sue
« genti, qual'ha risposto che dicano chi sono che li castigarà. Il
« giorno di Natale a vespro fu amazzato un gentiluomo sulla porta
« del Domo con una pistola, sono prigione molti gentilhomini per
« tal fatto. Il giorno di S. Giovanni nella Chiesa di S. Giovanni
* in Conca furono date delle ferite ad alcuni, di modo che il pò-
« vero Arcivescovo ha da fare a tenere racconciliate le chiese »
Ma come manca la storia del carnevale, così manca quella im-*
portantissima e altamente reclamata del dominio spagnuolo nella
Lombardia, che studiato a rigore di documenti e senza preconcetti
troppo nazionalistici, può e deve dare risultati ben differenti da
quelli fin qui ottenuti.
E. M.
Un tragico eminente
discusso e giudicato nella corrispondenza privata
di due illustri lombardi.
giudizi che dai contemporanei senza preoccupazione ve-
runa di quanto la posterità crederà dover pensare e de-
cretare sono recati intorno agli uomini grandi hanno
un particolare interesse per gli studiosi; e quest'interesse diventa
poi infinitamente maggiore quando d'un insigne parli un altro non
meno insigne di lui. Per siffatta cagione noi stimiamo che ai let-
tori dtlV Archivio non riuscirà disaccetto il rinvenir qui riferiti al-
quanti frammenti d'una corrispondenza privata che mentre ricordano
amicizie contratte in altri tempi in Roma fra uomini illustri, ritrag-
gono insieme le opinioni nudrite da un milanese di merito grande
intomo ad un altro italiano di fama ben maggiore della sua.
L'ammirazione sincera e disinteressata del primo dovrà ritenersi più
Areh. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXTII 11
l62 UN TRAGICO EMINENTE
merìtorìa ove si consideri come egli stesso avea tentato quella
forma letteraria nella quale il secondo trovò la sua gloria, e con
quanto ardore ei sapea difendere la sua reverenza contro le ob-
biezioni e le crìtiche di un altro interlocutore, che apparirà in
questo breve scrìtto, il quale aveva molti titoli alla deferenza sua.
Fra l'ammiratore milanese ed il suo grande concittadino di
altra parte d'Italia corre una certa analogia di destini. Entrambi
trovavansi a Roma per ragioni che in fondo nulla avevano a che
fare coUa maestà del luogo in cui risiedevano, ma l'affetto prìvato
che li teneva ristretti tra le mura della città eterna, in opposizione
fors'anco ai loro interessi ed ai loro doverì, non predominava sulla
loro intelligenza a tal punto da renderli insensibili alla grandezza
dell'ambiente. Reagivano anzi nobilmente contro ciò che vi poteva
essere di molle e di riprensibile nella loro vita, facendo proprie, più
che altri non avesse fatto da un pezzo, le memorie della gloriosa
città, facendone rinascere nei loro scritti l'anima classica.
Le Notti Romane dall'un canto, tragedie famose dall'altro fu-
rono il tributo pagato da questi spiriti eletti per redimersi dal-
l'accusa di aver in ozio amoroso perdute o alm^io fiaccate le loro
virili energie. Ho cosi dicendo nominato i protagonisti di questo
scritto. Esso dunque contiene notizie e giudizii d'Alessandro Verri
intorno a Vittorio Alfieri, tratti da lettere del primo al fratello
Pietro, ed in parte anche ad un mio antenato. Vi si trovano anche
talune delle risposte di Pietro ad Alessandro sullo stesso argo-
mento.
La corrispondenza fra i due fratelli Verri è una delle più no-
tevoli ch'io conosca per la varietà e l'importanza dei soggetti che
vi sono trattati, ma pur troppo io non posso recarne qui che
estratti da estratti, ricavati, anni sono, da una copia delle lettere
originali favoritemi dai discendenti della illustre famiglia a cui i
due insigni uomini appartennero.
Varie ragioni impedirono sinora la pubblicazione di quella
parte del carteggio Verriano che il Casati non potè aver fra le
mani; esse però spero cesseranno un giorno d'esistere.
Non sia frattanto discaro conoscere quanto in quelle lettere ho
trovato risguardante il sommo tragico nostro, Vittorio Alfieri.
La prima lettera in cui Alessandro Verri parla al fratello
Pietro dell'Astigiano spetta al a6 settembre 1781. Scrivea in essa
il nostro: «i È qui il Conte Alfieri torinese, di cui avevo sentito
« molto a parlare. Egli ha composto varie tragedie che, lette in
•< Torino, riscossero applausi molto significanti ed universali e
« perciò ero in grandissima curiosità di sentirle.
UN TRAGICO EMINENTE 163
« L'autore è un uomo veramente straordinario perchè ha ri-
« nundato ad una sua sorella in Torino il pingue suo patrimonio
■ per esser libero riservandosi un congruo assegnamento da con-
« sumare ove gli piaccia.
a Egli è anche più celebre per gli amori in Inghilterra con
• Lady Ligonier e per un duello fatto col di lei marito.
« Ha viaggiato tutta l'Europa e da qualche anno si è dedicato
« alla letteratura e specialmente alla poesia drammatica. Ha un
a ingegno elevato e sentimenti meravigliosi uniti ad una molto ele-
« gante e concisa maniera di verseggiare acquistata con molto
< studio della nostra lingua e dei nostri poeti che ha tutti letti,
- riletti ed esaminati incominciando dagli antichi fino a noi. Finora
« ho sentito due tragedie. Il suo talento principale è il sublime e
a Torrido; la natura non gli ha dato l'afiFettuoso; fra tutti gli autori
« somiglia a CrébiUon (i).
« Ne ha lette delle altre in qualche circolo ove era anche il
• nostro Taruffi e generalmente si conchiude che è un uomo
- grande, benché si vadano trovando alcuni difetti. La sua persona
« poi (sic) è un uomo della mia età (2), taciturno al sommo, inal-
« terabile, sofferentissimo nello studio e che non cerca di piacere,
« di modo che se piacciono le sue opere è mero effetto di valore
• intrinseco. »
Nell'anno successivo la rappresentazione deìV Antigone dà oc-
casione al biografo di Saffo di parlar nuovamente dell'Alfieri.
t Questi giorni » egli scriveva al fratello il 30 novembre 1782
■ sono nel maggior entusiasmo tragico. Il Conte Alfieri, di cui si
- parlava molto da vari anni, ora finalmente ha rappresentato una
• sua tragedia a questo Palazzo di Spagna, la quale fa strepito ed
- è generalmente ammirata. Il soggetto è l'Antigone (3). Gli attori
• non sono che quattro; due uomini e due donne; ma l'interesse è
« sostenuto e l'effetto sommo. L'elocuzione è bellissima, i concetti
• sono sublimi: farà epoca veramente e credo che questo autore
« fonderà la tragedia italiana. Ne ha composto quattordici, vi ha
• continuamente lavorato otto anni. Scrive con somma purità e
(i) Prospero Crébillon (1674-1762^ è riputato uno dei migliori tra-
gici francesi ; appena inferiore a Racine e a Corneille. Eccelleva sopra-
tutto nella rappresentazione del terribile, z^ino, Elettra, Radamisto e
Catilina, sono le sue tragedie migliori.
(2) Veramente A. Verri era maggiore otto anni di Alfieri, essendo
nato nel 1741.
(3) La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 novembre.
164 UN TRAGICO EMINENTE
« forza; il pensiero è sublime e Tespressione facile e senza difetti
w che pregiudichino al pensiero.
u Me ne ha lette cinque e già ne ero ammiratore alla lettura,
a ma in teatro poi fanno un sorprendente effetto. Si spera di
«udirne qualche altra. L'autore è anche attore e declama nello
u stile del celebre Kean. n
Senonchè la dimora in Roma deirAlfìeri, se era determinata
dalle stesse cagioni, ond'aveva origine quella del patrizio milanese,
non doveva essere altrettanto lunga e pacifica ed il Verri in una
lettera al conte Antonio Greppi in data 26 luglio 1783, racconta un
poco in ritardo le ragioni per le quali dopo non breve dimora il
tragico da lui tanto ammirato si trovò costretto a lasciar le rive del
Tevere :
u Non so » egli scrive « se sia giunto a vostra notizia che la
a Contessa d'Albania ossia la pretendente d'Inghilterra fino da due
« anni sono si trafugò dal marito pei suoi mali trattamenti e si
« ricoverò in Roma presso il cognato Cardinale d'Jorck.
u In seguito venne anche in Roma il Conte Alfieri, Cavalier
« piemontese, particolare servitore della Dama e che le dedicava
« in Firenze già da qualche ann© tutte le attenzioni. Il Conte si
u condusse così saviamente che incontrò il genio del Cardinale, per
u modo che era contentissimo che sua cognata avesse per amico
ti un uomo tanto di garbo. Avvenne alcuni mesi fa che si anuna-
« lasse gravemente il Conte d'Albania stabilito in Firenze, e, dispe-
« randosi della sua guarigione, il Cardinale d'Jorck facesse una
« corsa a Firenze. In tale occasione il Conte d'Albania pose in tal
« sospetto il Cardinale d'Jorck sull'amicizia del Conte Alfieri, che,
« appena ritornato da Firenze, fece tal fuoco, che fu consigliato
« Alfieri allontanarsi da Roma, e va girando per l'Italia ed era
44 ultimamente a Milano.
u 11 Cardinale andava dicendo che era tradito l'onore di Casa
M Stuard, e, se Alfieri non si lascia persuadere di partire, il Car-
u dinaie era capace di qualunque estrema risoluzione. Ora è venuta
u la Contessa di Stolberg, madre della Contessa d'Albania, ma non
« ha voluto abitare con la figlia, perchè è casa del Cardinale d'Jorck,
u il quale si è molto piccato di tale risoluzione, n
Nei mesi precedenti a questa lettera, la partenza dell'Alfieri da
Roma e il probabile suo passaggio per Milano avevano dato occa-
sione ad Alessandro di scrivere nuovamente di lui al fratello; ma,
come vedremo, questi, ben lungi dal condividere la calda ammira-
zione che Alessandro professava pel grande tragico, gliene fece
quasi rimprovero.
UN TRAGICO EMINENTE I65
« Vedrai » scriveva Alessandro da Roma il 19 aprile 1783
un autore che non somiglia ad alcuno ed una persona originale
scarsa di parole, molto sensibile, con apparenza di gelo; di me-
rito intrinseco con poca vernice. »
« Delle sue tragedie » aggiunge in una lettera del 3 maggio
chi ne dice bene e chi ne dice male, secondo la sorte comune di
tutti gli uomini. La critica più universale è sul suo stile, ma
nessuno gli nega forza e sublimità. Per me sono nel numero di
quelli che, non ostante i suoi difetti, ha gran stima di quelle
opere totalmente singolari; vedrai un uomo che non sa né il
francese, né l'inglese, né il tedesco, ma che ha i suoi modi e
costumi proprii senza affettazione. Merita veramente di essere
conosciuto da chi studia l'uomo e soltanto ti prevengo di alcune
sue opinioni singolari: per esempio di stimar discretamente il
teatro francese; di preferire gli antichi libri italiani ai moderni
del cinquecento e inoltre talvolta è taciturno più del consueto,
lo son certo che troverai un uomo che ha vere elevatezze e
forza e affatto lontano dalla servitù e nell'animo e nel corpo.
Onesto, umano, sincero nel medesimo tempo che non soffrirebbe
una ingiuria. Si è battuto in Londra con Lord D..., ed è famoso
« per le avventure colla di lui moglie. »
E in altra successiva del 14 maggio, aggiungeva queste cu-
riose osservazioni :
• La sorte di questo autore é un vero capriccio di letteraria
fortuna, perchè mentre lesse le sue tragedie fu generalmente
applaudito, e le ha lette per anni in varie società, e tutte le opi-
nioni hanno sempre combinato e in Firenze e in Roma col con-
chiudere ch'egli era uomo grande affatto superiore a tutti i nostri
tragici di modo che doveva sicuramente fare epoca. Fu recitata
Y Antigone lo scorso autunno in questo Palazzo di Spagna e ci
fece girare la testa a tutti. Lesse egli non è molto in Arcadia
una tragedia intitolata il Saulle^ nella quale fra le altre scene vi
è Saulle che delira per tristezza e Davide che suona l'arpa pro-
vando vari metri di canto; finalmente calma Saulle. Vi è anche
il gran Sacerdote che parla a Saulle con divina ispirazione ed
ho veduto moltissime persone uscire d'Arcadia con entusiasmo
benché fossero entrate con animo disposto alla critica. L'autore
stampa e le sue opere sono esposte a tante procelle che minac-
ciano naufragare. La mia opinione però é che queste opere du-
reranno benché ammetta che abbiano difetti rilevanti, w
Senonché Pietro, che fin'allora era rimasto senza esprimere il
proprio avviso, prendeva decisamente posto fra i detrattori d'Al-
fieri e il 7 maggio scriveva:
UN TRAGICO EMINENTE 167
6 cinquecentisti che l'hanno coltivata e perfezionata erano letterati
« gred e latini, come Bembo, Casa, ecc. L'indole della scuola an-
« tica è la semphcità e l'armonia del periodo; l'indole della scuola
« francese è la brevità nella elocuzione e l'impeto nei pensieri.
« Seneca, Luciano, Plinio il giovane ed Ovidio si accostano molto
« alla loro maniera. Gli altri vanno per tutt'altra strada. Vorrei poi
« che quando sì imitassero i francesi, si imitassero almeno non
« nelle frasi, ma nell'ordine e nella purità di lingua, mentre i libri
• loro sono generalmente scritti con ordine e con eleganza scru-
« pelosa e se essi non fanno mai un italianismo, né un anglicismo
« dobbiamo seguitare anche noi lo stesso rigore » (9 giugno 1783).
La replica di Alessandro deve aver ferito la suscettibilità molto
ombrosa di Pietro, giacché non solo apertamente tendeva a con-
dannare il suo stile e posporlo a quello di Alfieri, ma faceva anche
capire che tanto fiera insofferenza pel giogo della Crusca nasceva
in fin de' conti da minore attitudine a studiarne le leggi.
Benché punto sul vivo Pietro si contenne con abbastanza mo-
derazione e pur riconoscendosi direttamente in causa, così rispose
<2i giugno) :
« 1 libri sono importanti per le idee che contengono. La bella
« veste è un ornamento^ ma non necessario.
« Preferisco pertanto il Novum Organum di Bacone agli Aso-
« Ioni del Bembo.
« La mia storia » (e qui fa capolino la persona stessa dello
scrittore) « potrà fare epoca e riuscirà a togliere molti errori, am-
« mazzare il fanatismo, educare alla coltura, affezionare alla patria
« e al governo nonostante che vi fosse adoperata qualche decli-
« nazione o coniugazione usata dall'Italia soltanto e non dalla
• Crusca. Tu sai che era terminata vivendo Maria Teresa. Si dice
« che io l'abbia scritta per far la corte a Cesare e invece io l'onoro
« perchè egli pensa a modo mio. »
Un' ultima lettera di Alessandro, della quale non posseggo che
un breve sunto, chiuse per allora la disputa. In essa il convertito
alla fede di Toscana ammette bensì una diflferenza fra gli autori
pei quali la forma é necessaria e quelli in cui può parere superflua;
ma ritiene che tutte le opere letterarie, storiche e poetiche, per
conseguire vera e durabile efficacia, abbiano bisogno d'una forma
pura ed elegante.
La natura di questo breve saggio ed altre private cagioni non
ci consentono di intrattenerci adesso intorno alla controversia sorta
tra i Verri, cosi da potere giudicare e discutere intorno al modo
diverso col quale i due fratelli partendo, si può dire, da sentimenti
l6fl UH TRAGICO ElUIfENTE
iilrtitld, hì allunUnarono poi a poco a poco, fino a divenir quasi
rnpprcNrntHnti d'opposti principii, tanto in letteratura, quanto in
imlitica; tuttavia, da quanto io conosco delle loro corrispondenze
pi'IvAtr, pdSHo assicurare che l'osservazione di queste graduali
illvrr|{rnze del loro pensiero formerà una delle maggiori attrattive
drlln corriftpondcnza stessa, quando possa venir pubblicata, com'è
(I(-Hl<)rriii vivo di tutti coloro che in Pietro ed Alessandro Verri
rictmiiNcono due vere e pure glorie di Milano e d'Italia.
Emanuele Greppi.
BIBLIOGRAFIA
FnjCE Tocco. — GugUelmina boema e i Guglielmiii, Memorie della
R. Accademia dei Lincei, Roma, 1901.
— n Processo dei Gugiieimiti^ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei,
Serie III, voi. Vili, fascicoli 7, 8, 9 e io.
— Nuovi documenti intomo all'eresia, in Milano^ Archivio storico ita-
liano, dispensa 3.* del 1901.
Se la GugUelmina boema ha avuto l'onore di una letteratura più
copiosa forse che l'importanza sua non richiedesse, desiderava ancora,
prima che il prof. Tocco, colla sua singolare competenza, ristudiasse il
famoso processo, un esame diligente e spassionato di quelle strane
dottrine che da lei presero il nome.
Gli storici, non escluso il Corio, l'avevano infamata colla leggenda
(fi twtte le oscenità attribuite nel XIII e XIV secolo agli eretici, spe-
dalmente a quelli della Provenza. Il Puricelli fu il primo a sfatare la
Weca leggenda e a riconoscere che si trattava d'un peccato intellettuale
e non carnale, e sulle orme di lui camminarono il Muratori, il Giu-
lim (i), il Tiraboschi, il Tamburini, il Cafl& e gli altri tutti, eccettuato
rOgniben, il quale attinge direttamente al processo, abbonda di note
erudite, ma non ha coltura suflSciente per assegnare alle dottrine gu-
glidmite il posto che loro spetta nel gran quadro delle eresie medio-
evali, e sbaglia nel ritenere quello del 1300 un processo più politico che
religioso. Della coltura necessaria a tali studi sovrabbonda il Tocco, e
non è meraviglia che oggi ci offra del movimento guglielmita una sin-
tesi mirabile per chiarezza e dottrina.
(i) A proposito, del Giulini, mi permetta il chiaro professore di cor-
^ggcrgli per amor di verità una piccola svista, insignificante, del resto :
* Tanta è la forza delle consuetudini, egli dice, che lo stesso storico
il quale nei testo scrive della Guglielma e dei Guglielmiti traducendo
2 nasi a parole dal Puricelli, in nota poi torna all'assurda leggenda del
^orio e dei suoi seguaci „, La nota nell'edizione principe del 1760 non
c'è, e Quella da lui veduta a pag. 662 dell'edizione 1855, non è del Giulini,
ma dell editore Fabi, il quale non fa che ripetere quanto aveva stampato
nella Corografia d* Italia^ all'articolo Chiaravalle\ ed anch' egli non accetta
senz'altro la leggenda, ma si limita a riferirla, e chiude anzi la nota, in-
vocando quello studio imparziale e definitivo, che il Tocco oggi final-
mente ci ha dato.
170 BIBLIOGRAFIA
Che cos'era questo movimento? La leggenda di oscenità carnali é
completamente smentita dal processo; nessuna delle numerose e am-
plissime deposizioni ne fa il minimo cenno, e, se il più lieve indizio di
quelle turpitudini fosse apparso, ben si sarebbero affrettati gli inquisi-
tori a raccoglierlo. Dunque la leggenda s'è formata dopo ; il Tocco non
dice quando e forse un tale studio ha egli ritenuto estraneo al suo
assunto; io osserverò che, almeno in mezzo al popolo di Milano, essa
dovette farsi strada assai lentamente, se le sozze leggende, che già nel
secolo precedente si rimproveravano agli eretici e si ripeteron nel se-
guente per le streghe, non compaion da noi neppure nei due processi
di magìa muliebre (del 1385) contro le seguaci di Diana ed Erodiade,
da me illustrati (i): e siamo agli inizi di quella stregheria propria-
mente detta che poco più tardi tutte le riassunse.
Figlia o no di Princislao, re di Boemia, è certo che Guglielma era
una straniera venuta in Milano, verso il 127 1, quando le profezie di
Gioachino, sebbene il 1260 fosse passato liscio, eccitavano ancora gU
spiriti. Se fosse mescolata alle agitazioni del suo tempo, il processo, su
questo punto ambiguo, non permette di affermare; non v'ha dubbio
però che il movimento prenda origine da lei stessa: occorreva una forte
personalità e doti che le deposizioni ci dimostrano abbondanti in lei, ma
deficienti affatto nella vicaria Maifreda e in quel semplicione di Andrea
Saramita. Per spiegare il moto non occorre risalire, come fa il Puri-
celli, alle eresie del secondo secolo; basta ricordarsi che l'Abate
Gioachino aveva annunziato doversi aprire nel 1260 una nuova èra nella
quale il Vangelo della lettera succederebbe al Vangelo dello spirito, il
clero si spoglierebbe delle male acquistate ricchezze e la legge d'amore
governerebbe davvero la società umana. Da queste speranze e timori
rampollarono varie sètte: beghini, fraticelli, apostolici e così via: i
Guglielmiti sono una di queste. Per quanto diverse fra loro, un nesso
comune le congiungeva: la visione di un rinnovamento morale e reli-
gioso nell'età futura, questo rinnovamento chi lo concepiva in un modo
chi in un altro, e la dottrina di Guglielma lo concepiva così: poiché
l'incarnazione della seconda persona della Trinità non ha servito a
nulla, tanto è vero che il mondo va innanzi tale e quale come in pas-
sato, si incarnerà la terza; e poiché il Verbo si incarnò allora in un
uomo, questa volta, per cambiare, lo Spirito Santo si incarnerà in una
donna. — Su questo punto l' eresia di Guglielma era non solo affatto
nuova, ma anche singolarmente audace: nessuno aveva prima osato
affermare che la mutazione di dominio presupponesse una nuova incar-
nazione della Trinità; e, quasi ciò non bastasse, a questo nuovo mi-
(i) Rend. del R. Isiit lomb. di scienze e lettere, 1899.
BIBLIOGRAFIA I7I
Stero se ne aggiungeva un altro: il cambiamento di sesso, e un terzo
ancora, la identità del corpo della seconda incarnazione con quello di
Gesù: il mio corpo, diceva Guglielma, non è diverso da quello di
Cristo, e chiamava le stimmate a testimonio. Senonchè tanta audacia di
concezione nasconde una grande povertà di idee; all' infuori delle ac-
cennate novità, più strambe che geniali, tutto il resto non è che la ripe-
tizione della storia del Cristianesimo : Guglielma risorgerà, sarà assunta
al cielo lasciando in terra una sua vicaria, Maifreda, che andrà al posto
abusivamente occupato da Bonifazio Vili. Allora il genere umano for-
merà una sola famiglia, governata dall'amore e ubbidiente all'essere in
cui r amore s' impersona, alla donna. Dunque, mentre le altre eresie
mirano ad un rinnovamento radicale del cattolicismo, purgandolo di
questo o quell'istituto corrotto, l'eresia Guglielmita non innova nulla,
non tocca alcuna istituzione della Chiesa, è in ultima analisi una cari-
catura dell'eresia.
* •
Dottrine siffatte, quantunque contassero fra gli aderenti personalità
politiche come Francesco da Garbagnate; e uomini di valore come il
Dottor Femo, dottrine affatto prive di programma pratico, non potevano
prestarsi a fini politici. Non si può invero negare che Matteo Visconti
intervenisse in qualche modo nel processo, ostacolasse più o meno
apertamente i lavori dell'Inquisitore e tentasse ogni via per salvar
Maifreda. Ma di questo nessuna meraviglia: Maifreda era cugina di lui
e poiché gli altri accusati avevano gli Inquisitori trattato con somma
indulgenza, forse perchè anch'essi nelle stranezze guglielmite non ve-
devan pericoli gravi, aveva ben diritto Matteo di pretendere ugual
trattamento per Maifreda. E ad insistere ne' suoi tentativi poteva anche
incoraggiarlo, aggiungerò, 1' esempio di indulgenza, singolare davvero,
dato dall'Inquisitore pochi anni innanzi, nel 1295, i^ seguito a pressione
à*auiorevoli personaggi, verso quello Stefano Gonfalonieri, quattro e più
volte recidivo nell' eresia catara e complice nientemeno che dell' ucci-
sione di S. Pietro Martire! Questa volta il Vicario imperiale fu men
fortunato e non potè impedire che almen tre vittime fossero immolate
neUe persone di Maifreda, del Saramita e di Suor Giacoma: tuttavia
Pintrusione dell'autorità politica non può affatto dimostrare alcun carat-
tere politico nel processo della Boema, ma tutt'al più l'opposizione che
il Governo, in massima faceva al Tribunale ecclesiastico. Per questa
opposizione e più, io credo per istintiva e invincibile ripugnanza del
popolo, l'Inquisizione fu sempre da noi molto discreta ; e non solo, come
ritiene il Tocco, fino al 1295, ma per molto e molto tempo ancora,
com'io ebbi altre volte a dimostrare (i), si tenne lontana da quelle esa-
gerazioni onde ebbe in altri luoghi potenza e fama.
Ettore Verga.
(i) Arch. Stor. Lomò. XXIV, 1897.
172 BIBLIOGRAFIA
A. Colombo. — L'alloggio del Podestà di Vigevano e il palazzo del Co-
mune nel secolo XV, Nozze Colombo-Cariola, Mortara -Vigevano,
Stab. Tip. Cortellezzi, 1901, in-8, pag. 31.
A festeggiar gli sponsali del prof. Nicolò Colombo, autore di pre-
gevoli studi sopra l'origine ed il nome di Vigevano, il di lui fratello
Alessandro, cultore delle stesse discipline, ha voluto dar in luce questo
suo saggio assai interessante per la storia del costume in Italia: storia
che fino a tempi recenti si è troppo trascurata e che ora accenna a
fiorire, grazie alle indagini pazienti e fruttuose di valorosi eruditi, quali
il Mazzi, il Caudini, il Galli, a cui ben è doveroso aggiimgere il com-
pianto prof. Merkel. Dopo aver descritti gli utensili tutt* altro che lus-
suosi, de* quali nel 1445 era fatta consegna dai consoli del Comune al
podestà che entrava in carica, il Colombo viene ad illustrare rallegro
assegnato al primo magistrato cittadino, di cui enumera tutti i membri,
a cominciar dalla « caneva » per finir al « solaro. » Questa disamina
offre modo all'egregio Autore di sparger luce sopra la vita vigevanasca
del secolo XV e di chiarire parecchi piccoli problemi non sfomiti d'in-
teresse per la storia municipale, come a dire la suddivisione della città
in quartieri, le porte di essa, le loro insegne, ecc. Il lavoro erudito e
coscienzioso si chiude con un elenco dei Podestà o Vicari che ressero
Vigevano dal 1227 al 1466. Notiamo tra i nomi di costoro quello di un
Conradolo de Stanghi, podestà nel 1416, del quale è taciuta la patria, ma
che sarà certamente il pers^maggio cremonese noto ^j^ d'altra i>arte (i);
come cremonese è quel Bassiano de' Moscardi, che tenne lo stesso uf-
ficio nel 1434, e forse anche il Giovanni Pietro de' Glussiano del 1460.
PcH'hi s<mo i milanesi che app;iiono in questa lista: Stefano de' Forma-
giari, 1377; Jaco|xi de* Barba\-ara, 1410; Ambrogino de' Crivelli, 1413;
Filipp».> deiiU Aliprandi, 1404. Non manca qualche pavese e qualche
lodigiano.
B. FKUC1.VXGEU — > fì,'\tcquìsio di Pesiìro fatto da Cesare Borgia, Ca-
mermo, Savinì, loco, in 8, fv\i:, loi.
— // miifnmoH:^ dt LH^^r^sia B^r^ut rem GtoiuHnt Sforza Signore di
Prs.irxy, T^Kta \ Roux e Vurx^^^p^, iQoi, in 8* pa^. 85.
i>ue<a due lavori s^mtt^^ano a vavivU e^i è bene o.imprendeiii in
un s«.^Io e>a:'ie L<>ì mi-^ano <^p*-a:u:t^ a no istruire, col paziente con-
,j. j\.^ o -:u:. h^:l^ vii Ma^l-o e trarei:.^ ò: .VlanoI»>. v. L Stanga,
I.t \t ■ V '^* -N\«*t^.i .ì; i'- , ■„*, Cc-ni <t VI. M::anv\ iSq^. tav. XXV.
t- • *- -* ^ ^^ ::au -uo ù; ;u;:.^ : Sta: ^ d: NLIan > da Filippo Maria
\i>*.^ :-.; raA-t iiw '^xi era aivNru C l-.i-'-ale .lucale m Pa\Ta Tanno
1441 cv; '1 :a.o s:„a,.:a co^vc' a lavare vi .i:^ :1 1- r: ^re s.^p>ra una con-
it-ia va • V.::,.. *>. ;vi\v<i e ì::. aoi.ai;: viol o.-u^ù C:r, .\r:>i, Crtmoma
•;. *, l. iJCt
BIBLIOGRAFIA
173
fronte di fonti note e col sussidio di nuovi documenti, in gran parte
dell'Archivio di Stato milanese, la figura di Giovanni Sforza, Interes-
santi entrambi perchè, mentre ci descrivono le incertezze, le doppiezze,
le pusillanimità di uno dei tanti signorotti della Romagna, sul pimto di
essere travolto dalla tempesta scatenata da Alessandro VI, ci permet-
tono di vedere in un caso particolare alcune caratteristiche generali
della politica di quei tempi.
La signoria di Giovanni in Pesaro, che già aveva fiorito sotto
Alessandro e Costanzo, cominciò con buoni auspici. Ma il matrimonio
con Lucrezia Bolgia apri la serie dei guai. Finché piacque al Papa
l'alleanza col Moro e Venezia, della quale quel matrimonio era pegno,
tutto andò per il meglio, ma quando, maturato il disegno di costituire
uno Stato al Valentino, Alessandro VI orientò la sua politica verso il
Regno di Napoli, la posizione di Giovanni divenne imbarazzante: ge-
nero del Pontefice e stipendiato dalla Chiesa, parente del Moro, la cui
protezione, come dimostra il carteggio milanese, ambiva e ricompen-
sava con segreti servigi, doveva egli trovarsi molto a disagio: quando
poi, espressa apertamente dal suocero la volontà di sciogliere il matri-
monio, ei vide l'impossibilità di ottenere da Lodovico quell'appoggio che
si aspettava, dacché non volesse quegli alienarsi il Borgia, fu preso da
un vero sgomento. Il Feliciangeli ci descrive passo passo tutte le mene,
i sotterfugi, gli espedienti di Alessandro e dei cardinali a lui più fidi,
per dare apparenza di legalità a quella violenza, e gli atteggiamenti di
Giovanni, ora alteri ora supplici, e le esitanze a confessare la propria
impotenza virile; in questo quadro é tutta la impudente corruzione del
Cinquecento. La commedia fini colla confessione che il povero marito
dovette pur fare in piena regola, coi ringraziamenti del Papa al Moro
per la sua abilità nel piegar l'animo del nipote, e con un di^corsetto
latino pronunciato per l'occasione da Lucrezia Borgia, di sapore tutto
ciceroniano, al dir di Tommaso Tomiello procuratore del disgraziato
marito.
Questo episodio del nepotismo borgiano induce il Feliciangeli a fare
osservazioni notevoli e a concludere che, se l'inettitudine e l'animo
pusillo del genero possono in certo modo aver contribuito ad alienar
da lui l'animo del Papa, le nozze Sforza-Borgia furono esclusivamente
un fatto politico: contratte nel '93 a raffermare l'alleanza tra la Chiesa
e gli Sforza, annullate nel '97 perchè Lucrezia potesse render più saldi
i rincoli tra il Pontefice e il Re Federico di Napoli. Gli scopi politici
risultan chiarissimi da una lettera dell'ambasciatore sforzesco a Roma,
Stefano Taverna,
La comparsa sulla scena politica di Cesare Borgia inizia per Gio-
vanni una nuova odissea di mali. Egli aveva chiesto aiuto a tutti i Prin-
cipi, senza ottenerne più che parole: la cattura del Moro a Novara
troncò la via ad ogni speranza. Dei suoi preparativi di resistenza contro
il Valentino, poco si sa, ma sembra qualche cosa abbia fatto, spinto
fors'anche dal desiderio di rialzarsi nella estimazione dei sudditi. Del
BIBLIOGRAFIA I75.
A. Mazzi. — Sulla biografia di G^ Michele Alberto Carrara, Appunti
cronologici, Bergamo, Tip>o-Litografìa Mariani, 1901, in-8, pag. 221.
Pochi pareggiar possono nella profonda cognizione della storia ber-
gamasca il chiaro autore di questo libro, il modesto e valente direttore
della civica biblioteca della sua patria; ninno i>er fermo lo supera. Da
Im^i anni egli va dedicando la miglior parte della sua operosità all'in-
dagine delle vicende politiche, letterarie, civili della simpatica terra che
contò tanti ingegni gagliardi, e le sue pubblicazioni mostrano sempre
toeglio in lui il degno continuatore di quella tradizione che fecero glo-
riosa il Lupi, il Serassi, il Finazzi, il Tiraboschi. Ed il libro di cui ora
imendiamo far cenno sommario, è tale di sua natura da confermare anche
più la bella fama di squisito conoscitore delle cose orobiche, già con-
quistatasi dal Mazzi ; tanto grande vi si manifesta e dichiara l'erudizione
in fatto di documenti patri.
Michele Alberto Carrara è personaggio che non può certo aspirare
ad un posto precipuo nella schiera degli umanisti alla quale appartiene, né
per altezza d'ingegno né per abbondanza od eccellenza di produzione;
mttavia egli, viioi per la sua singolare alacrità, vuoi per le vicende a cui
si trovò mescolato, é certo meritevole di venir studiato con maggior
attenzione di quanto siasi fatto sin quL
Al Mazzi non é parso per ora opportuno aUargare le ricerche a
tutt*intera la figura del suo concittadino; egli ha giudicato che adesso
bastasse afìrontare risolutamente i problemi più oscuri della sua biografia,
forzandosi di i>ortare la luce dove finora non si avevano che tenebre
rotte a mala pena da qualche incerto bagliore. Dopo aver difatti accen-
nato ai biografi anteriori del Carrara, che poco o nulla seppero conchiu-
dere di buono, • ei viene a trattare dell'origine della famiglia, illustrando
i casi di Guido, padre di Michele e medico riputatissimo ai tempi suoi.
Passa quindi a tratteggiar i casi della infanzia travagliata da continue
malattie del futuro umanista, la sua studiosa puerizia, la Sua andata a
Padova nel 1454 per attendervi alle arti liberali. A questo pimto co-
rnincia il periodo più agitato della vita del giovine bergamasco, che di-
\Tde il suo tempo tra lo studio, le baruffe e gli amori: giacché mentre
lavora con somma costanza, si accapiglia col Porcellio e col Panormita
e stringe amorose relazioni con un' Orsola, la quale ben presto però gli
è rapita da morte immatura (1457). Dopo questa calamità il Carrara fa
ritorno a Bergamo per fuggir la peste; ma ripresa poi dopo un mese
la ria di Padova, ivi giunto inferma a sua volta e giunge quasi all'orlo
del sepolcro.
Risanato, prende la laurea in arti (1458); né pago di questo grado
vorrebbe continuare gli studi per conventarsi altresì in medicina, quando
la morte del padre (1459) lo richiama nuovamente in patria. Le tristi
condizioni della famiglia, rimasta senza capo, lo obbligano allora a
stanziarsi in Bergamo, dove però la sorte non cessa dal tormentarlo,
BIBLIOGRAFIA 1 ^^
ócì Convitto, da lui solo testé abbandonata per assumere invece altro
onorifico e delicato ufficio in questa nostra Milano.
Il Capasso, innamoratosi dell'interessante suo argomento, non ha
lìsparmiato fatiche per rintracciare negli archivi cittadini e negli altri
depositi scientifici di Parma tutto quanto poteva giovargli a ricostruire
resistenza trisecolare del Collegio Famesiano, uno dei più importanti
istituti d'educazione ch'abbian fiorito in Europa nel seicento e nel set-
tecento, e tale quindi che aveva difiuso in tutto quanto il mondo civile
il nome e la riputazione della modesta città emiliana, dove aveva sede.
Sulla scorta del valente scrittore noi assistiamo quindi ai primi tentativi
fatti da Ranuccio I Farnese, principe non privo di difetti, ma dotato in
pari tempo di qualità tutt' altro che comimi, per risollevare gli studi in
Parma e sopra tutto crearvi una scuola dove i giovani di nobil sangue
potessero conseguire quell'educazione che loro si conveniva. Egli s'era
volto a quest' effetto ai Gesuiti, i quali fin dal 1564 avevano, come da-
pertutto altrove, preso stanza anche in Parma; ma le sue preghiere non
ebbero dapprima favorevole accoglienza. Non sgomento per questo, su-
perando difficoltà parecchie, riusciva nell'autunno del 1601 a dar vita
al CoDegio da lui vagheggiato, di cui primo allievo fu un Alessandro
Lazaro padovano. Era l'istituto collocato nel palazzo Bemieri, e la di-
rezione come l'istruzione venne affidata a preti regolari.
Malgrado la buona volontà da tutti spiegata, sulle prime le cose
non camminarono. 11 Collegio era mal governato, né il numero degli
alunni s' aumentava così da porger sicura speranza di lieto avvenire.
Impensierito di ciò, il Farnese tornò alla carica coi Gesuiti, e tanto seppe
promettere eh' essi finirono per accettare l' incarico che dapprima ave-
vano declinato. Cosi il 27 gennaio 1604 furono in Parma sottoscritti i
Capitoli, in virtù de' quali il Duca rimetteva interamente nelle mani della
Reverenda Compagnia la direzione e l'amministrazione dell'istituto da
lui fondato.
Fu questo l'inizio della grandezza del Collegio Famesiano. Esperti
com' erano di ogni più squisito avvedimento pedagogico, i Gesuiti seppero
tradurre completamente in realtà l' ideale vagheggiato da Ranuccio, tras-
formando i giovinetti affidati alle loro cure in cavalieri adomi di tutti
que' pregi e quelle virtù che si consideravano allora necessarie in coloro
i quali erano chiamati ad occupare i più elevati posti nella scala sociale.
Perdo accanto agli studi letterari ebbero una parte singolarmente im-
portante gli esercizi cavallereschi: e nei divertimenti, nelle feste pom-
pose, nelle accademiche prove si volle che i giovani facessero mostra
non solo di dottrina e d' ingegno, ma di destrezza e di gagliardia.
Privilegi, regali, diligenze d'ogni sorta profusero al Collegio, dive-
nuto fonte j>eculiare d'orgoglio e di fama ai loro Stati, tanto Odoardo
(1622-1646) che Ranuccio li Farnese (1646-1694). E soprattutto durante il
principato di costui, il quale rese più rigorose le norme che regolavano
l'ammissione all' istituto, questo raggiimse imo splendore considerevole
non solo sotto il rispetto morale, ma altresì sotto il lato materiale. Gli
Arck. Star. Lomb.^ Anno XXIX, Fase. XXXIII. 13
BIBLIOGRAFIA
179
In questo periodo appunto cade la dimora nel Collegio Parmense
di due giovani milanesi destinati a lasciare larga traccia di sé nel campo
della vita intellettuale e politica italiana del secolo XVIII, voglio dire
Pietro Verri e Cesare Beccaria. Il Verri, dopo esser passato da Monza
a Roma, per le mani de' Gesuiti, Barnabiti, Scolopi, sempre scontento,
sempre irrequieto, trovò a Parma, dove aveva già ricevuta l'educazione
il cugino D. Francesco Trotti, un soggiorno che gli piacque, maestri che
^imò, condiscepoli di cui divenne amico. La sua bramosia d' imparare e
di eccellere gli fé* raggiungere tutti gli onori più ambiti dai collegiali :
fa * principe 9 dell'Accademia degli Scelti e sostenne più e più esperi-
menti pubblici di matematica e di filosofìa. Entrato nel Collegio l' anno
1747, ne usciva due anni dopo per intraprendere a Milano quella car-
riera forense di cui ben presto doveva disgustarsi. Quando Pietro Verri
cnu^ò nel Collegio, da un biennio già vi si trovava Cesare Beccaria, che
fu alunno dell* istituto stesso per ben otto anni. Ma del Collegio il futuro
autore del Trattato dei delitti e delle pene non serbò grata memoria. Può
darsi che gli insegnanti non leggessero bene in lui, carattere chiuso ed
alquanto fantastico; ad ogni modo egli pure ottenne onori accademici e
singolari distinzioni.
D Verri ed il Beccaria non furono i soli giovani lombardi, destinati
a levar fama di sé che trovassero luogo nel Collegio Famesiano. Da
esso usciron difatti anche il Conte Castone della Torre Rezzonico, i
conti Alessandro e Carlo Verri, Giuseppe Borri, G. B. Giovio, e più
tardi Gaetano Melzi e Camillo Ugoni (i).
n dominio borbonico, che si iniziò col principato di Don- Filippo,
pur non restituendo il collegio ali* antica grandezza, seppie però rialzarne
le sorti. L'opera sagace e vivificatrice di quel grande ministro che fu il
Du Tillot, ebbe anche qui camjK) di estrinsecarsi. Nel settembre 1702 i
vecchi privilegi furono riconfermati al Collegio, che vantò altresì ottimi
elementi nel direttore, il P. Giusepf)e Bajardi, ed in professori quali il
Roberti, il Gianelli, il Bettinelli. L* influsso di quest'ultimo ebbe a farsi
sentir soprattutto nel campo teatrale; giacché, creato Accademico, die
(i) Tra i molti documenti, di cui il C. ha arricchito la sua narra-
zione, non hanno trovato luogo gli elenchi dei collegiali, che in parte
ancor ci rimangono: e ben si comprende come l'esclusione di essi sia
Slata imposta da motivi giustissimi : il che non toglie però che, ove li
avessimo dinanzi, se ne potrebbe cavar materia ad interessanti spigo-
lature. Ma per accontentarci di quel tanto i^he ci è offerto, noteremo
come dall* « Elenco dei Ritratti ad olio de' Principi dell'Accademia degli
Scdti », ancor conservati nel Convitto nazionale, si p>ossa arguire come
I? T^y^^*^..i^obili famiglie d'ogni parte della penisola, ma più specialmente
deu Italia settentrionale, fosse divenuta una vera tradizionale consue-
tudine Quella d' inviare i loro fi^li a Parma : tanf è vero che vediamo
««gmr gli uni agli altri numerosi membri di una stessa casata. Così, ad
«empio, tra il 1744 ed il 1754 vediamo succedersi quattro marchesi Gam-
o ^^ V ^*^^^' ^^e Trotti, pur di Milano, e tra U 1747 ed il 1764
quattro Vern. Più tardi vediamo tenersi dietro gli Aresi Lucini, i Ca-
vnam di Mantova, i Premoli di Crema, ecc., ecc.
ÓIBLIOGRAFIA l8l
fario capire anche a coloro che si sforzavano di nulla sentire. Addi 20
ottobre 183 1 una « disposizione sovrana », suggerita alla regnante du-
chessa dalle sue « materne sollecitudini » in prò degli studi, fondeva
Tantico Collegio dei Nobili ed il Collegio Lalatta in un istituto nuovo,
più conforme alle esigenze della società contemporanea, il Collegio du-
cale Maria Luigia,
Tale la storia, narrata con erudizione solida ma non mai fastidiosa,
e con garbata spigliatezza di stile nel libro di G. Capasso : storia no-
levole per più e più rispetti, giacché dalle vicende di quel celebre isti-
tuto d'educazione che fu il Collegio di Parma esce fuori copiosa luce a
rischiarare la vita, i costumi, i sentimenti di tutto un mondo scom-
parso (i).
F. N.
E. Motta. — Alcune lettere d'illustri Italiane tratte dagli autografi in
Trivulziana, Nozze Castelli- MùUer, Bellinzona, Tip. Lit. Colombi, 1902,
in^, pag. 30-
In questo grazioso opuscoletto nuziale, impresso con amorevole cura
dalla Tipografia Colombi, il nostro solerte Segretario ha con gentile
pensiero voluto riunire insieme scritti di varie donne italiane insigni per
\'aIore d'intelletto. Apre la schiera Veronica Gambara di Brescia con un
viglietto da Correggio in data 27 maggio 1547 a Sigismondo II d'Este;
le tien dietro Margherita Trivukio Borromeo con una letterina a Giu-
stina Trivulzio d'Este, di cui il contenuto è assai lieve; ma l'epistola
garbatamente distesa prova com'abbia ragione l'Editore d'asserire che
il carteggio di codesta dama, ch'ebbe la ventura di dar la vita a colui
che fu il cardinal Federigo Borromeo, sia degna di vedere la stampa.
Dalle grandi donne del Cinquecento passiamo poi ad una leggiadra e
colta attrice del Settecento con Elena Virginia Riccoboni Balletti, a cui
segue quella gloria degli studi matematici che fu Gaetana Agnesi con
poche linee dirette ad un padre Crivelli, ov'è questione di studi. Sus-
seguono Elisabetta Caminer Turra, patrizia veneziana, che die saggi
non infelici del suo genio per la drammatica; Teresa Bandettini Lan-
ducci, che lasciò la danza per la poesia improvvisa; Marianna Dionigi,
che attese in Roma alle discipline archeologiche ed allo studio della
pittura; Ginevra Fachini Canonici, la dama bresciana, cui si deve un
Prospetto biografico delle donne italiane rinomate nella letteratura, che è
(i) Un rapido sguardo alle vicende dell' istituzione cosi accurata-
mente studiata nel suo libro, ha dato poi il Capasso nel suo vivace di-
sborso, letto per il III Centenario della fondazione del Collegio, l' 11 no-
vembre 1901 - Ved. // Collegio dei Nobili di Parma, Parma, Battei, 8, pp. 24.
E nella stessa occasione fu pure pubblicato un numero unico.
l82 BIBLIOGRAFIA
uno dei primi del genere, ma vale assai p>oco; Teresa Gonfalonieri Ca-
sati, che da Vienna il 14 dicembre 1823 narra alla diletta amica, la.
marchesa Beatrice Trivulzio Serbelloni, il colloquio avuto coli* Impera-
tore che, contro le attestazioni di certi storici, dice esserle stato largo
di compassione. La Costanza Perticari, che parla col solito ardore di
u quell'angelo » di suo marito, passato ad altra vita;. Clarina Mosconi,
celebre amica del Pindemonte, Isabella Albrizzi Teotochi chiudono quindi
la bella schiera.
L'egregio Editore ha saputo con sobrie ma opportune annotazioni,
appianando varie difficoltà, rendere veramente piacevole la lettura della
sua indovinatissima raccoltina, che sarà la benvenuta per tutti e singo-
larmente poi per i cultori degli studi italiani ne' secoli XVIII e XIX.
F. N.
G. Sforza. — // Manzoni giornalista, Nozze Greppi-Belgioioso, Modena,
Soc. Tipogr. Modenese, 1902, in-8 gr., pag. 11.
In quest'elegante plaquette, destinata a festeggiare le fauste nozze
del nostro egregio amico e collega Emanuele de' conti Greppi colla
contessa Bice di Belgioioso, Giovanni Sforza, il valente e chiaro diret-
tore dell'Archivio di Stato di Massa, che, come tutti sanno, ha dedicata
tanta parte della sua attività alla pubblicazione degli scritti di A. Man-
zoni, ci fa parte d'una sua curiosa ed inattesa scoperta: quella cioè che
anche l'Autore dei Promessi Sposi ebbe a pagare il suo tributo al gior-
nalismo. Veramente D. Alessandro non strinse mai molta lega coi giorna-
listi, pe' quali nudriva stima men che mediocre ; ma in certe occasioni,
trascinato dalla forza delle cose, non sdegnò di far udire la sua voce, gio-
vandosi di quella stampa periodica che in apparenza tanti fingono
sprezzare ed in sostanza temono o blandiscono. Il Manzoni scrisse un
primo articolo nel novembre del 1848 per la Concordia^ il più avanzato
tra i fogli piemontesi d'allora, che dopo l'armistizio Salasco, fonte di
tante agitazioni, « divenne l'organo degli emigrati lombardi, e prese
« una tinta di radicalismo, con qualche spruzzaglia repubblicana. » Di
ciò siamo fatti certi da una lettera del Manzoni stesso al Casati, ine-
dita finora, e che lo Sforza mette alla luce. Dell'articolo però, di cui
l'autore voleva si ignorasse la fonte, non sappiamo con certezza se sia
o no stato pubblicato.
Anche un' altra volta il Manzoni si fece giornalista: e ciò fu dojK)
il 1870, quando in certa sua lettera al Poujade, rimasta famosa, Adolfo
Thiers ebbe a paragonare l'unità d'Italia alla quadratura del circolo.
Ferito nei suoi sentimenti più sacri, D. Alessandro stese allora una
risposta allo statista francese, che sa di forte agrume, e che venne im-
pressa nel Corriere di Milano, a cui era stata diretta. Anche di questa
BIBUOGRAFIA 183
ri\'ace pagina lo Sforza dà la riproduzione a complemento opportimo del
suo brioso bozzetto sull* ingresso del poeta di Ermengarda nel regno
della stampa periodica.
F. N.
Ndio Smiragua Scognamiguo. — Ricerche e documenti sulla giovinezza di
Leonardo da Vinci (1452-1482), Napoli, Marghieri, 1900, in-8 gr., pag. 159.
G. B. De Toni. — Framntetìti Vinciani, Padova, Tipografia del Semi-
nario, 1900, in-8 gr. pag 61.
Dagli esploratori nel campo delle ricerche vinciane abbiamo, con
frequenza corrispondente all'interesse che il tema suscita nello studioso
moderno, comimicazione di nuove indagini o ricognizioni. Delle due pub-
blicazioni che ci stanno sott' occhio non s* è tardato che troppo a dar
conto ai lettori delV Archivio. Speriamo che ciò non renda inutili le brevi
note che seguono, mentre dà occasione a congratularsi cogli autori per
il riconoscimento che, de' loro studi complessi, ebbero dal R. Istituto
Lombardo di scienze e lettere nel recente giudizio sull'ultimo concorso
Tomasoni.
n periodo della vita di Leonardo, che va dalla nascita al trasferi-
mento a Milano dell* artista, oltre che nei lavori recanti copiosi contri-
buii a tutta la storia del Vinci, è stato più d'una volta oggetto delle pub-
blicazioni preliminari dei leonardisti. Così il MùUer-Walde, ne' fasci-
coli (i), dei quali il lettore attende la continuazione, tentò ricostruire la
personalità artistica del gran pittore nel tempo giovanile, dar le ragioni
dello s\'iluppo di questa, spiegarne le tendenze. Lo Smiraglia si applica
alla stessa epKJca con intenti vari, ma dando qualche prevalenza allo
studio dei rapporti esteriori e sociali dell'artista. Come l'Uzielli, egli
prende le mosse dal borgo natale di Leonardo, e, riferiti alcuni dati
storici, che ne riguardano il castello e il comune, volge le sue ricerche
alla famiglia da Vinci. Crediamo ch'egli tenda a deprimerne la condi-
zione quando nell 'accennare ad Antonio, ridottosi alla vita campestre,
riguarda come trascurabile l'ipotesi che la famiglia di Leonardo potesse
essere considerata tra le nobili. Certamente era tra le notabili, se pen-
siamo che l'ufficio che parecchie generazioni di essa hanno coperto, co-
stituisce, per le tradizioni democratiche di Firenze, un titolo di dignità
famigliare. Le accurate registrazioni nei PriorisH ce ne informano e
l'arme portata dalla famiglia n'è un segno. Se il padre di Ser Piero si
dedicò ai lavori de' campi, bisogna ricordare che questi, erano, come
(1) Leonardo da Vinci. Lebensskizze und Forschimgen ùber se in
Verhaltniss zur Florentiner Kimst und zu Rafael, Mùnchen, Hirth,
184 BIBLIOGRAFIA
sono, associati in Toscana a maggior gentilezza di vita che nelle altre
parti d'Italia. Parrebbe del resto essere stata questa l'occupazione degli
ultimi anni di Antonio, che aveva forse prima esercitato anch'egli l'arte
di noteria, e del quale sappiamo che condusse per moglie la figlia d*un
notajo. Le molteplici relazioni poi, che Ser Piero aveva a Firenze, in
parte documentate dallo Srairaglia, che ha fatto à questo riguardo note-
voli e pazienti ricerche, dimostrano una considerazione, che non dovette
essere acquistata d'un colpo, né per la sola attività individuale.
Troviamo invece ben giustificata la riserva che l' Autore fa circa
r asserzione delPanonimo, che Leonardo fosse per madre nato di ìm
sangue. Il modo con cui questa è ricordata nella portata del 1457 sembra
indicare notorietà ristretta al cerchio della famiglia o del villaggio.
I due paragrafi, che l'autore dedica alla denominazione « da Vinci»,
la quale è ovvio riteniamo per vero e proprio cognome, come quelli
di molte altre famiglie che li trassero dai luoghi d'origine, ci sembrano
dati piuttosto ad ahundantiam, che per sé concludenti. La citazione di fra
Luca, appoggiandosi in qualche modo ad un bisticcio, cui il cognome di
Leonardo ha dato occasione più d'una volta, potrebb' essere forzata. Un
poco artificiosa ci pare anche la discussione che segue, se Pisa e Fi-
renze possano contrastare a Vinci l'onore di essere il luogo natale dd
maestro; e qui pure in parte superfluo e in parte fiacco è l'argomento,
ch'egli ci dà per decisivo, e cioè le parole del Giovio : Leonardus a
Vincio ignobili Etrurice l'ico, etc. : ma assai interessante e prezioso riesce
l'elenco che troviamo di atti rogati da Ser Piero.
Di Anchiano lo Smiraglia riferisce qualche ricordo storico e la tra-
dizione che Leonardo vi nascesse, escludendo, come i documenti auto-
rizzano a fare, che i da Vinci vi ave-^sero possessioni al tempo della na-
scita di lui; non parla del casolare accennato dall'Uzielli, dove si vede oggi
uno scudo, la cui partizione ci sembra corrispondere all' arme di quel
casato, ma che, probabilmente per il carattere delle parti accessorie 0
per qualclie riserva sul tempo cui la pietra effigiata può ascriversi, non
fu ritenuta dal dottissimo promotore degli studi leonardeschi appartenere
alla famiglia da Vinci (i).
La data della nascita di Leonardo dà luogo ad un raff'ronto tra le
portate del 1457 e del 1470, che riesce all'intento di far rilevare le scon-
cordanze ch'esse presentano in ordine ad alcune cifre, ma, sia per ne-
gligenze ed errori avvenute nella stampa, sia per altra causa, il tratto
che precede la conclusione (la quale dà plausibile motiv^o delle \'ana-
zioni e non altera l'anno comunemente ricevuto), presenta qualche con-
fusione.
Notevoli, pel complemento che recano alle ricerche anteriori sul-
l'abitazione e sugli uffici di Ser Piero in Firenze sono alcune pagine
del secondo capitolo.
(i) Ricerche, 2.* ed., pag. 38.
i
BIBLIOGRAFIA 185
Dal 1467 in avanti è probabile che la famiglia da Vinci abitasse in
città, data la molteplicità degl'impegni che il notaio vi aveva. Per quanto
riguarda Leonardo, il suo tirocinio nello studio del Verrocchio portò
molto probabilmente seco la coabitazione delPallievo col maestro, come
anche TA. fa rilevare a proposito dei documenti riguardanti un* accusa
anonima al giovane pittore (già dairUzielli in parte (i), e dallo stesso
Smiraglia per intero pubblicati (2). L*A. accenna ad un passo (3) in-
teressante del Codice Atlantico che potrebbe effettivamente trovarsi in
rapporto con questo episodio della vita di Leonardo.
Lo sviluppo dell'artista nella bottega del Verrocchio, l'attribuzione
e Tesarne delle opere di Leonardo danno luogo in queste Ricerche ad
una trattazione alquanto ineguale, dove non ci consentono di seguir lo
Smiraglia né lo spazio né la p)ortata d'una discussione nella quale
Fautore ci sembra aver proceduto lestamente e con poca misura, di
fronte ad una critica d'arte che non si può combattere senza grande
ponderazione (4).
Il dire, per esempio, che l'Annunziazione dipinta sulla tavola del-
l'aitar maggiore della chiesetta, che venendo da Empmli troviamo ap-
pena entrati nel borgo di Vinci, « ha molto dello stile del discepolo di
Andrea del Verrocchio (5) », equivale, a nostro modesto avviso, a frain-
tendere i caratteri che appunto la scuola del Verrocchio imprimeva ai
suoi alunni.
Non omettiamo un' osservazione che ci occorre alla lettura . della
pag. 79, dove TA., parlando della Madonna della Caraffa e dell' asser-
zione dell'Amoretti, che questo quadro fosse nella Galleria Borghese a
Roma, aggiunge : « Comunque sia oggi non abbiamo più notizie neanche
del quadro di Villa Borghese. » Ricordiamo d'aver visto precisamente
in questa Galleria un dipinto, che può rispondere alla descrizione del
Vasari — fatta riserva per l'attribuzione, — ed è probabilmente quello
cui l'Amoretti s'è riferito: « ... non é da meravigliarsi », dice il Morelli,
assegnando il dipinto a Lorenzo di Credi, ed esprimendosi con la con-
(i) UziELu, Ricerche, serie II, Roma, Salviucci, 1884, pag. 201.
^2) ^^VC Archivio storico dell'arie, 1896, luglio-agosto.
{3) L'esame, che ho potuto fare, all'Ambrosiana, del foglio originale
(252 redo a, secondo la numerazione sancita dalla pubblicazione in corso),
Ae porta il frammento citato dall'A.. ci fa ritenere fedele la lettura del
^vi (a p. 8 del Saggio delle opere ai L. da V,) e l'attuale del Piumati
■ 9^- Ail.^ fase, xxu, 190 1), fatta eccezione per la parola ma che questi
sostituisce all'altra ora, la quale ci pare risulti dal manoscritto : ed esclu-
dere tanto la lezione data dallo Smiraglia, quanto la precedente del
Richter {The literary works by L. da V., II, § 1364). È d'uopo aggiungere
che u passo si trova cancellato (verisimilmente di prima mano) da una
unea trasversale.
(4) Invece qualche accenno a osservazioni geologiche, che le colline
n^e oflfrivano modo di fare all'adolescente, può far presagire la cura,
cne l ^utore ha messo, secondo il giudizio della Commissione, nella parte
( l p dtl lavoro presentato al concorso Tomasoni.
l86 BIBLIOGRAFIA
sueta vivacità, « che il dotto bibliotecario Amoretti, lo abbia citato con
questa paternità [vinciana] nella sua monografia su Leonardo, né che
gli editori fiorentini del Vasari (Vili, 17) abbiano anche in questo caso
seguito volentieri le pedate altrui (i) ».
All'esame della produzione artistica di Leonardo, l'A. frappone
alcune considerazioni sulle note letterarie di Leonardo (poesie, favole,
profezie o enimmi), che probabilmente a\'Tebbero trovato miglior posto
altrove. Il sonetto poi, riprodotto dal Codice Atlantico, che lo Smiraglia
propende a credere originale (2), può leggersi salva qualche variante,
con poche altre rime antiche, nell'opuscolo : La pestilenza del IJ48 (Fi-
renze, Camesecchi, 1884), che il De Toni ci indica nel lavoro che esa-
miniamo in seguito (3).
Ai capitoli che trattano della vita e dell'opera giovanile del Vinci,
lo Smiraglia ne fa seguire uno inteso a discutere l' ipotesi, ora è già
molto tempo emessa dal Richter, circa un viaggio di Leonardo- in
Oriente. L' A. riassume, con abbondanti citazioni dalle pagine vincia-
ne (4), che diedero occasione a quell'ipotesi, lo stato della questione, li-
mitata, come si trova ora, da considerazioni cronologiche, e la studia
particolarmente in rapporto ad una nota di viaggio per Roma e per
Napoli, alla quale l'inciso : vendi quel che non si può portare, sembra con-
nettere l'intenzione di un' assenza prolungata e di un soggiorno lontano.
Lo Smiraglia, riferiti in seguito i frammenti leonardeschi che sulle cosi
di Levante si esprimono nella forma più imaginativa, tende ad av\'ici-
narsi ali* ipotesi del Govi che « Leonardo abbia pensato piuttosto di
scrivere qualche romanzo in forma epistolare, ove si descrivessero paesi,
viaggi, avventure, in parte tolti da libri contemporanei, in parie da
narrazioni orali udite da viaggiatori reduci dall'Oriente, in jjarte ideati
da Leonardo stesso (5) » ; e conclude col ritenere, come i più, insufficien-
temente fondati gli argomenti del Richter, aggiungendo che il prt>babile
meditato viaggio per Roma e Napoli potrebbe con maggiore verosimi-
glianza collegarsi alla carica d'ingegnere militare che Leonardo occupò
presso Cesare Borgia.
Con questo capitolo termina il lavoro, seguito dalle pagine giustifì-
(i) Della pittura italiana. Le Gallerie Borghese e Doria Pamphili in
Roma, Milano, Treves, 1897, pag. 83, nota.
(2) Pag. 66.
(3) Frainnienti vinciani, pag. 38, n. III. E utile a me ed al lettore
ciò che il chiariss. prof. Novati, cui debbo la gentile conmnicazione di
quell'opuscolo, mi accenna : trovarsi il sonetto « Se vuoi star sano » in
gran numero di mss. a Firenze, appartenendo a quella ricca schiera di
poesie didattiche del scc. XIV, che divennero popolari e furono tra-
.scritte con frequenza da' Fiorentini nei loro zibaldoni e negli stessi libri
professionali, al medesimo modo che le ritrovàamo tra le note di Leo-
nardo.
(4) Per l'accenno a Bartolomeo Turco, cfr. la nota in q\XQS\! Archivio
XX Vili, 1901, I, pag. 246. (Appunti e notizie).
(5) Fag. 126.
i
BIBLIOGRAFIA. 187
catìve, dove lo Smiraglia presenta il risultato delle sue ricerche intorno
alla casa abitata da Ser Piero in Firenze (i) e ad alcune relazioni di
questo notajo ; pubblica alcuni dati, relativi ai Vinci, desunti dal Priorista
Fiorentino della Biblioteca di Napoli, seg. X, A. 22, e riproduce altri
documenti già posti in luce dall' Uzielli, dal Gaye, dal Durazzini, dal
Milanesi, ecc.
*
* *
La pubblicazione del De Toni non presenta, come la precedente, una
serie di ricerche collegate ad un determinato periodo della vita di
Leonardo, ma illustra con molta cura ed efficacia alcimi particolari isolati.
Il primo degli studi che la compongono versa intomo a Marco Antonio
della Torre ed all'eiK>ca del suo incontro con Leonardo da Vinci a Pavia.
Con un gruppo di documenti bene coordinati allo scopo della dimostra-
zione, TA. dissipa l'incertezza e le confusioni nelle quali incorsero pa-
recchi degli autori che trattarono delle relazioni del Vinci colF anato-
mico veronese.
Egli determina le varie fasi della rapida carriera del Della Torre
nello Studio padovano (1502-1509), ne accerta il soggiorno in Pavia sullo
scorcio del 1510 e nel 151 1 ; conferma la data della sua morte in questo
medesimo anno.
« L'incontro del giovane professore veronese con Leonardo », dice
adunque il De Toni, « puossi ammettere abbia avuto luogo nell'in-
verno 1510-1511; in marzo del 1510 il Vinci si trovava a Milano a lavo-
rare intomo ad uno scaricatojo per il Naviglio grande di S. Cristoforo
e nel giorno 4 maggio 151 1 era a Fiesole; per parte mia sono proclive
a ritenere che il celebre artista siasi recato a Pavia in sullo scorcio
del 1510 e vi abbia passato l'inverno e parte della primavera del 151 1,
lavorando insieme col Della Torre e preparando quei disegni anatomici
mirabili, in gran parte conservati in Inghilterra e che sarebbe vivo de-
siderio degli studiosi venissero presto dati in luce (2) ». Questo desiderio
è già in parte esaudito: i due magnifici volumi usciti per iniziativa del
Sabachnikoff, a cura del Piumati, meravigliando il mondo con una delle
più ricche manifestazioni dell'opera di Leonardo, rendono onore anche a
colui che, nell'aiuto scambievole, di cui parla il Vasari, v'associò sia pure
per poco tempo lo studio e il nome. Certamente le ricerche anatomiche di
Leonardo datano da tempo assai anteriore a quelle del Della Torre, si
svolgono in centri diversi (3). Attente e sottili considerazioni potranno
(1) Campo, nel quale i primi risultati sono, come è ben noto, dovuti
all'Uzielli (Ricerche, 1. ed., Firenze, Pellas, 1872, p. 65 e 154-156).
tz) Pag. 15. Tali codici vengono anche a confermare il periodo ac-
cennato di lavoro anatomico del Vinci (cfr. Dell'Anatomia fogli A, 17
recto).
(3) Leonardo era occupato come anatomico nell'Ospedale di Santa
Maria Nuova durante il secondo soggiorno fiorentino, e precedentemente
» Milano dovette attendere con assiduità ai medesimi studi.
l88 BIBLIOGRAFIA
forse individuare ciò che dalla collaborazione accennata derivi, come
s'avrebbe probabilmente un' idea assai chiara del contributo scientifico
che ciascuno ebbe a portarvi, il giorno in cui potesse rintracciarsi quel
codice della collezione Saibante (n. 834), contenente le lezioni anatomiche
del Della Torre, invano cercato dal De Toni.
Seguono a questa illustrazione, alcuni appunti concementi una frase
allusiva a Stefano Ghisi contenuta in un manoscritto vinciano (ms. Anm-
del, 263 (British Museum), e. 274 r. ; Richter, The literary works by Leo-
nardo da Vinci, II, pag. 465). I dati raccolti dall'autore possono, com* egli
accenna, tornare utili per ciò che concerne la dimora di Leonardo in
Venezia durante il 1500.
Ci auguriamo di aver presto comunicazione anche delle ricerche del
De Toni su Giuliano da Marliano, Nicolò della Croce, e altri dei per-
sonaggi che sono nominati nei manoscritti del Vinci o ebbero qualche
rapporto con lui.
Il terzo studio che entra a comporre questi « Frammenti Vinciani »
presenta un notevolissimo contributo alla conoscenza di im fonte del
manoscritto B di Leonardo. Istituendo un diligente riscontro fra il testo
vinciano e quello dell'opera di Roberto Valturio, l'A. ha dimostrato la
derivazione da essa di molte notizie di strumenti bellici e d'arte militare
contenute nel codice B. È anche confermata per tale raffronto 1* in-
tuizione del D'Adda (i) che, nel prezioso studio su Leonardo da Vinci e
la sua libreria, s'appose con tutta esattezza, nel riferire l'indicazione « de
re militari », che si trova nel noto elenco leonardesco del Codice Atlan-
tico, all'opera del Valturio.
Il lavoro dell' A. prova anche, se ciò occorresse, una volta di più,
che i fogli formanti il codicetto Ashbumham II (N. 2037 della Bibl. Na-
zionale di Parigi) appartennero al ms. B.
Lo studio sui fonti di Leonardo (2) va così allargandosi, e tanto il
(i) « Il Vegezio?... il Frontino?... il Comazzano?... Noi crediamo
piuttosto il Valturio » (D'Adda, Leonardo da Vinci e la sua libreria^
pag. 16). Questo paragrafo è uno dei più estesi, nella dotta ricerca del
rimpianto bibliografo milanese.
(2) A proposito della nota a p. 38, debbo accennare che l'asserzione,
di cui parla il De Toni, in ordine a un mio lavoro sul ms. H di Leo-
nardo (ved. c{MQ:si^ Archivio ^ XXV, 1898, pag. 73-116) corrispondeva sem-
plicemente e sinceramente allo stato soggettivo in cui io mi trovava.
All'aver condotto a termine quella ricerca, senza aver conosciute le in-
dicazioni, che il De Toni cita, e, quel che più mi spiace, la nota che
rUzielli pose a pag. LII-LIII e la seguente della Prefazione alla seconda
edizione delle sue Ricerche, diede certamente cagione la mia inesperienza,
che ben volentieri avrei lasciato, in c^uel punto, di dimostrare. Lo stesso
De Toni volle riguardo a quel mio primo lavoro usare una considerazione
ed una benevolenza, delle quali gli sono assai grato. Estendendosi dot-
tamente nella recensione, dov'egli se ne occujX) (Archivio Storico Italiano,
quinta serie, voi. XXIII, 1899, P^g. 207-211) ad alcune osservazioni sui
Èestiarii, egli suggeriva allora l'idea che Leonardo da Vinci avesse tratto
il passo, che riguarda la tigre (ms. //, f. 23 v. - 23 r.), invece che dal-
BIBLIOGRAFIA 189
De Toni che il Solmi, il quale si è presentato con lui al concorso già
accennato, si sono mostrati particolarmente attivi a questo riguardo,
acche la Commissione giudicante ne ha fatto a loro merito particolare.
Chiude la gradita pubblicazione vinciana una nota sulle osserva-
zioni di Leonardo intomo ai fenomeni di capillarità. E il trovarsi questa
ricerca associata alle altre prettamente storiche dimostra quanto si può
attendere dal prof De Toni per il progresso degli studi leonardeschi.
G. Calvi.
\ Acerba e da Plinio cumulativamente, da altro autore, che riunisse nella
descrizione i due metodi di caccia citati da Leonardo; e mette innanzi
Alberto Magno, del quale dà il testo a riscontro del passo del ms. H.
Riprendendo in mano il raffronto con Plinio ho dovuto tuttavia rile-
vare di nuovo coincidenze, che danno traccia più sensibile di deri-
vazione da questo autore (combinato dal Vinci coWAcerba), che da Al-
berto Magno. Le espressioni animai velocitatis tremendae {animale di
sfauentevoU velocità), equo quam maxime pernici (sopra veloce cauallo),
odore vestigans (mediante l'odore de* figli), abiicit unum e catulis (vno de*
figlioli), donec in navim regresso (insino aitanto ch'esso monta in barca)
sono in Plinio assai più vicine al testo di Leonardo (che ho posto tra
parentesi), che non avvenga delle parole di Alberto Magno, prodotte
dal De Toni.
BOLLETTINO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA
(dicembre i^oi — marzo 1^02)
I libri segnati con atteritco penrennero alla Biblioteca Sodale.
ALBERTI (A). L' influenza dell' invasione longobarda sul tipo nazionale
italiano. — Rivista italiana di sociologia^ luglio-agosto 1901.
ALINARI (ViTTGRio). Catalogo delle fotoincisioni dello Stabilimento foto-
grafico fratelli Alinari. Firenze^ tip. Landi, 1901.
Utilissimo per gli studiosi dell'arte. Vi sono indicati statue, quadri,
affreschi, bassorilievi, ecc., di Varallo, Milano, Pavia, Como, Cremona, Ber-
gamo, Brescia. Per cura dello stesso A. è pure usato il Catalogo generale
delle riproduzioni di disegni (Firenze, Laudi, 190 1) tratte dai dis^ni di artisti
italiani, conservati nelle gallerie di Firenze, Roma, Parma e Venezia.
* AMBROSOLI (Solone). Di una nuova zecca Lombardo-Piemontese. —
Rivista italiana di numismatica, fase. IV, 1901.
Un decennio fa scoprì vasi a Casargo in Valsassina e passò in mano del
cav. Gavazzi di Valmadrera un gruppo di piccole monete del secolo XV.
(Queste monetine le quali contraffanno le monete milanesi di quei tempi,
recano iscrìzioni enigmatiche ed in apparenza destituite di senso. L^Ambrosoli
riesce a decifrarle per concludere che quelle monete furono coniate a Va-
lenza dove non si sapeva che fossevi mai stata zecca.
ANDERSON (W.). The architecture of the renaissance in Italy. London,
Batsford, 1901, in-8, pag. 204.
ANDRICH (G. L.). La leggenda longobarda di Autari a Reggio. — Rivista
Storica Calabrese, serie III, a. IX, fase. 8-1 1. [Recens. in Boll, Stor.
Pavese, IV, 1901, 485].
' ANNONI (Ambrogio). La villa Litta-Modignani ad Aflfori, con 4 ili. —
Pro Familia di Bergamo, a. II, n. 60, 24 novembre 1901.
Fatta costrurre circa il 1687 da Pietro Paolo Corbella, segretario della
Cancelleria Segreta, nominato in quell^anno appunto marchese per il feudo
di Affori, da lui comperato Tanno innanzi. L'A. ci offre le notizie dMndole
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO I9I
Storica intorao a questa villa, dai Corbella passata nei d'Addai nei Tac-
doli, indi nei Litta-Modignani» Il tesoro più prezioso della villa è ima Ver-
gine col BamlMno del Luino.
* Archivio storico per la città e comuni del circondario di Lodi. A. XX, 1901 ,
fase IV. In-8 gr. Lodi, Quirico & Camagni.
Agnelu(G.). Ospedali Lodigiani: Ospedale degli incurabili; Ospe-
dale dei convalescenti; Ospedale degli Spagnuoli. — Lo stesso. An-
cora « Roncaglia » [in risposta all'opuscolo del Tononi « La Ron-
caglia delle Diete Imperiali w]. — Biagini (p. Enrico N.). Uno sguardo
retrospettivo ali* Elsposizione d*arte sacra tenutasi in Lodi dal 2 set-
tembre al 6 ottobre 1901. — Lo stesso. Il velo di S. Bassano — Ono-
ranze ad Agostino Bassi — Pubblicazioni in cambio.
ARMÒ (Roberto). Per la difesa della inondazione e pel risanamento
della città di Mantova ; pubblicazioni diverse. Padova, tip. P. Pro-
sperini, 1901, in-4, pag. 303 e tav.
AitUllANI (VmroRio Amedeo). Un'altra fonte dei « Promessi Sposi ». —
Fanfulla della Domenica, n. 51, 1901.
BARBERA (Piero). La stampa e il risolvimento italiano. — Rassegna Na-
zionale, I.* luglio 1901.
Cenni superficiali per la tipografìa di Capolago, per le battaglie soste-
note dal Conciliatore e pel Crepuscolo del Tenca.
BARINI (Giorgio). Noterelle Belliniane. — Rivista Musicale Italiana, fa-
scicolo I, 1902.
Relazioni del Bellini col Ricordi (1832) a proposito della Sonnambula.
BARTOLOMEI (dott. Alfredo). Del significato e del valore delle dottrine
di Romagnosi per il criticismo contemporaneo. Roma, Bocca, 1901,
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BEIXOOI (Rosolino). La Basilica di S. Andrea in Mantova, con ili. —
EmporiuìH, novembre 1901.
* BELTRAMI (arch. Luca). Relazione sullo stato delle Rocche di Romagna
stesa nel 1526 per ordine di Clemente VII da Antonio Sangallo il
Giovane e Michele Sanmicheli [di Osteno]. Manoscritto e disegni
inediti (Raccolta Beltrami). Milano, tip. Umberto Allegretti, 1902,
in-8, ili., pag. 38 (Nozze Greppi-Belgiojoso).
— Per la storia delle origini dell'Architettura Lombarda. — Perseveranza,
29 e 31 dicembre, 1901.
A proposito dell^opera del Rivoira, con speciale riguardo alla questione^
ancora discussa, dell^età della Basilica Ambrosiana.
192 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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Disino architettonico del secolo XVII dell' arch. Francesco Maria
Richino (raccolta Beltrami).
* — Commemorazione di Felice Calvi. — Rendiconti Istituto Lombardo,
serie II, voi. XXXV, fase. I, 1902.
— Memorie di architettura del risorgimento a Milano, con 9 ili. — La
Lettura, marzo 1902.
— Il museo d'arte recentemente ordinato alla Madonna del Monte, sopra
Varese, con 6 ine. — Rassegna d'arte, gennaio 1902.
— L'Arco di Tito nei recenti lavori al Foro Romano, con 3 ine. — Ras-
segna d'arte, gennaio 1902.
Riproduce nella prima incisione TArco di Tito, avanti il rìstauro del
Valadier, da un disegno eseguito nel 1774 dal celebre architetto berga-
masco Giacomo Quarenghi.
— La Corona ferrea secondo nuove induzioni; Ancora Legnano. — Cor-
riere della sera, n.* 20 e 41, 1902.
A proposito delle pubblicazioni in argomento del Venturi e del GiUerbock,
* — Leonardo da Vinci negli studi per rendere navigabile l'Adda. Nota.
— Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, voi. XXXV, 1902.
— V. Fabriczy e Gey mailer.
Bergamo. — V. Atinari, Beltrami, Bratti, Jacobsen, Locatelli, Muzio, Pe-
regalli, Solmi, Tasso.
BERGHINI (Vincenzo). Lettera inedita di Giuseppe Mazzini. — Rivista Sto-
rica del Risorgimento Italiano, voi. HI, fase. IX-X.
Lettera diretta a Camillo Ugoni, del 15 novembre 18)8, riguardante
i suoi propositi e le sue ricerche per la vita di Ugo Foscolo che aveva in
animo di scrìvere.
BERTANI (sac. prof. Feuce). Sull'antico diritto degli arcivescovi di Milano
di conferire laure teologiche. Appunti storici, critici, giuridici. —
Scuola Cattolica, gennaio 1902.
BOLLETTOIO BIBUOGRAFICO I93
BERTAM (sac prof. Feuce). Le esenzioni parrocchiali dei Seminari e
GìUegi arcivescovili della Diocesi di Milano. Studj storico-canonici.
— Scuola Cattolica, luglio-dicembre 1901.
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Quinta VALLE (F.). La sommossa e T incendio di Pavia nell'anno
1004. [Del tempo in cui avvenne l'incendio; Delle cause della som-
mossa; La sommossa e l'incendio; Le conseguenze immediate del-
Teccidio di Pavia]. — Comani (E.). Giustizia amministrativa sotto
Giangal cazzo Visconti [servizio di Stato per i reclami indirizzati al
principe; parere legale del Consiglio segreto per determinati affari
e specialmente in casi di giustizia amministrativa; sindacatura dei
pubblici officiali]. — Dell'Acqua (C). I sepolcri dei re Longobardi
in Pavia. [I. Dei sepolcri di Alboino, Rachis e Desiderio; II. Clefi
(573"574)- Autari (574-591); HI. Le sepjolture dei duchi Longobardi in
Pavia; IV. Agilulfo (591-615); AdaloalHo (615-625) Continua^, — Pa-
xisk (P.) n Broletto. Conferenza tenuta alla Camera del Lavoro la
sera del 30 giugno 1901. — Sant'Ambrogio (D.). Sull'ordinazione dei
Confratelli della Concezione di San Francesco di Milano e sull'ori-
ginale leonardesco della « Vergine delle Rocce. » — Bollettino biblio-
fico: Dell'Acqua (G.). Bibliografia storica Pavese. [I. Pubblicazioni
dal 1901 in avanti; II. Dal 1895 a tutto il 1900]. — Notizie ed ap-
punti: Pasquale II a Pavia; Roberto d'Angiò e Filipp>one conte di
Langosco; I figli di Bernabò Visconti. [Curioso elenco della metà
del secolo XV, esistente negli Archivj milanesi, e qui pubblicato
dal prof. Romano]; A proposito dello Spallanzani; Epigrafia Pavese;
A proposito di dipinti pavesi; Manoscritti donati al Museo Civico
[comunicazioni del prof. R. Majocchi]; Onoranze a Paolo Diacono
ed alla regina S. Adelaide; Partecipazione di Bramante d'Urbino
nel disegno della Cattedrale [M. Mariani]. — Necrologia: Domenico
Stefanini — Atti della Società.
Arck, Stor- Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXTIL 13
194 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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via che tennero i Cimbri per venire in Italia). — Salviomi (C). Di un
recente lavoro sui dialetti di Lugano e di Mendrìsio — Lettere da
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nella Biblioteca Angelica). — Torriani (sac. Edoardo). Catalogo dei
documenti per l'istoria della Prefettura di Mendrisio e pieve di Bi-
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in Mendrisio [Continua^ anni 1581-1606]. — Antichità di casa nostra nei
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Jacobsen, Jocelyn, Molmenti, Motta, Sgulmero, Torri.
BRESSLAU (H.). Eriauterungen zu den Diplomen Henrichs II. III. Gè
schichte der Kanzlei; Datierung; Itinerar, 1014-1024. — Neues Arcìd'^f
XXVI, 2, 1901.
BRUNELLI (V.). Mons. Stefano Paulovich-Lucich. — Rivista Dalmatica
Zara, ottobre 1901.
Contributo alla storia degli Italiani condannati allo Spielberg ed s
Lubiana.
BOLLETTINO BIBUOGRAFICO
195
' BRUZZONE (Pier Luig^. Le mogli dei Ghislieri e le nipoti di S. Pio V.
— Rwisia di Storia ed Arte, di Àlessandrìa a. X, fase. Ili, 1901.
• •
* BUCHI (Albert). Aktenstftcke zur Greschichte des Schwabenkrieges,
nebst einer Freibur^er Chronik Qber die Ereignisse von 1499. In^ gr.
Basti, Verlag der Basler ©uch-und Antiquariatshandlung , 1901.
[« Quellen zur Schweizer Geschichte » XX Bd.]
n Buchi, noto per Tedinone in questa medesima collezione delle
Fonti a storia Svi^^era (voi. XIII) del carteggio dell'umanista Alberto di
Bcnstetten, ricco di relazioni con la corte sforzesca e lo studio pavese, —
d presenu in questo nuovo volume, si può dire il completo codice diplo-
matico della guerra di Svevia sostenuta vittoriosamente dagli Svizzeri contro
l'imperatore Massimiliano nel 1499. ^ P^^ ^^ ^ ^^^ venne combinata
da Lodovico il Moro, che aveva del^ato a suo padere in Svizzera Galeazzo
Tisoontì, e per le quali trattative il B. offre nuovi documenti (c&. ad es. i
amn. 416, 444, 459). In questo volume sono riportati, ben inteso con altri
nuovi documenti, quasi tutti quelli importantissimi degli ambasciatori mila-
nesi, pubblicati già nel 1899 da Motta e Tagliabue (La Battaglia di Cohen.
Roveredo); sono riferiti con largo regesto in lingua tedesca a miglior con-^
sultazione degli studiosi tedeschi. Tra i documenti inediti (in numero di
2)4 sopra 710) sono notevoli le lettere d^H oratori friborghesi Rodolfo di
Praroman e Nicola Lombard (Basilea, 9 e 14 novembre 1499) ^^ informano
dd conquisto francese del Milanese, della fuga del Moro e dell'avversione
dd Milanesi al dominio di Luigi XII di Francia. Uopera documentaria si
completa coli' edizione di una cronaca friborghese della guerra sveva, fin
qui rimasta inedita.
* — Ludwig von Affry*s Beschreibung des Winterfeldzuges von 1511. —
Auseiger fùr schweizer, Geschichte n} 3-4, 1901.
La descrizione della spedizione dell'inverno 1511 degli Svizzeri in Lom-
bardia, a cura di Lodovico d'Affry, friborghese.
BUDE (Emoio). I pirati del Verbano. Dramma storico in 5 atti. In-24. Roma,
Libreria Salesiana editrice^ 1902.
BUSCWBCLL (d.r G.). Ein Schreiben des Bischofs von Chur, Johannes Pflug
von Aspermont, an den Kardinal Bellarmin Qber die Wirren in seiner
Diòzese, aus dem Jahre 1621. Nebst Bellarmins Antwort. — Rómische
Quarialschrift, XV, 3, 1901.
Una lettera del vescovo di Coirà, Giovanni Pflug di Aspermont al
cardinale Bellarmino intomo ai torbidi nella sua diocesi, dell'a. 162 1. Con
disposta dd Bellarmino. Sono a proposito anche della Valtellina, allora sotto
i Grigioni.
* CMJIETTE 0). Documents relatifs à Don Carlos de Viane (1460-461) aux
Archives de Milan. — Mélanges d'archeologie et d'histoire, XXI» année,
fase. V, agostoKlicembre 1901.
196 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* Campagne (La) marìtime de 1805. — Hìstorique de la campagne de 1809
(Armée d' Italie). — Revue (thistoire rédigée à ìéiat-major de farmie,
dicembre 1901.
CANTÒ (Cesare). Le origini, con prefazione del sac. Cario Molteni. Mi-
lano, casa edit. Benedetto Bacchini, 1901, in-i6, pag. 79 (« Biblioteca
del Novecento », n. 105).
CARDUCCI (Giosuè). Poesie, 1850-1900. Bologna, ditta Nicola Zanichelli,
1901, in-i6, con ritr.
Il volume comprende pure il primo canto della Canxpne tU LegtumOj
che non si poteva finora leggere se non in uno dei vcdimii ddla defimti
Rassegna settimanale.
CAhLETTA. La prima della « Francesca » di Silvio. — FanfuUa della
Domenica, n. 47, 1901.
A Milano nel 18 17.
CAROTTI (Giulio). Notizie di Lombardia. — Arte, a. IV, 1 901, fase. IX-X.
La data della morte di Bernardino Luini. — Un tondo del Sodoma-
La tavola della Madonna della grotta nella parrocchiale di Affori — La poeti-
cella di Lodovico il Moro nel Castello Sforzesco di Milano — L*£spo8ÌzioDe
di arte sacra a Lodi — La facciata del Duomo di Monza.
CARPINO (Vincenzo). I Capilupi poeti mantovani nel secolo XVI. Catam,
tip. Galeati, 1901.
Cfr. gli appunti nel Giornale storico, fase. 115, pag. 160 segg.
* CARRERi (dott. F. C). Il faldello di Aylixia da Dovara. Man(m>a, tipo-
grafìa Apollonio, 1901, fol. pag. 4 (Nozze Mazzoni-Tacconi),
Aylixia figlia del gran capoparte Bosio da Dovara andò sposa al conte
Inoco di Belforte (1259).
* Cartas de Antonio de Leyva à Carlos V. — Rcinsta de archivos, a. V. n. 6, 1901
Da Milano, in data 11 luglio e 20 settembre 1529.
CAVAGNA-SANGiULIANI (conte Antonio). II tempietto di San Fedelino sul
Lago di Mczzula. Studio critico. Pavia, fratelli Fusi, 1902, in-8 gr-
pag. 103-36 con 8 tav.
CECCHINI (Laui>omia). La ballata romantica in Italia. F/rrw-ff/r, Pararia, 1901
Della ballata tracciato lo svolgimento storico dal Berchet al Prati; cs»
più specialmente fiori nel Lombardo Veneto, il paese dove nacque ed ebbe
pieno svolgimento il romanticismo italiano.
]
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 197
GHEOCM (Eugenio). Antonio Salvotti e i processi del Ventuno. — Fath
fidk dtila Domenica, n. 37, 1901.
Agg. nel num. 38 la dichiarazione « I processi del ventuno », di
AlissaHÌr0 d'Ancona.
CHUESirm (O.). Note circa alcuni liutisti italiani della prima metà del
Gnquecento. — Rivista Musicale Italiana, a. IX, 1902, fase. I.
Francesco da Milano, liutista insigne, 1546-47.
* CMUTTONE (D.). I due Cod. mss. della u Francesca da Rimini n di
S. Pellico, esistenti in Casa Gavazza a Saluzzo e i loro Annotatori,
con una tav. — Piccolo Archivio Storico deWaniico marchesato di Sa-
}, a. I, n.* i-ii, 1901.
Dalla considerazione dei due manoscritti il C. ne cava la prova che il
primo annotatore della tragedia fu il Foscolo ed il secondo l'abate di Breme.
Nd medesimo fascicolo agg. : Vicario (mons. Mattia), Due lettere di S. Pel-
lico (18 J9 e 1848); Chiattone (D.). Una lettera di S. Pellico a Stanislao
Mardiisio. (Milano, 15 marzo 181 5, a proposito del fratello Luigi che sul
principio del 18 14 fu costretto a lasciare Milano, per questione di debiti).
* CIPOLLA (Francesco). Le Stresiane di R. Bonghi. Considerazioni. —
Atti R, Istituto VePieto, tomo LXI, disp. I, 1902.
Dialo^ filosofici che il B. stesso intitolò « Stresiane ]> a indicare
Torigine e il luogo dove furono scrìtti (1850-55). Interlocutori il Rosmini,
fl Manzoni, il march, di Cavour e Bonghi medesimo.
CIPOLLA (Carlo). Note bibliografiche circa Todiema condizione degli studi
critici sul testo delle opere di Paolo Diacono, relazione presentata
alla presidenza della R. Deputazione Veneta di storia patria. Ve-
nezia, 1901.
CMLUNI (Antonio). Il Conferenziere. Milano, libreria editrice Domenico
Briola, 1901.
Milano nel 1600. — Profezia di Gerolamo Cardano. — L'opera di Carlo
Maria Maggi — Carlo Tenca inedito. — Festa giubilare dell'Ascoli.
Cidlcit e Vaticaiit telecti. Phototypice expressi jussu Leonis PP. XIII,
Consilio et opera curatorum Bibliothecae Vaticanae, Voi. II: Pic-
turae, ornamenta, complura scripturae specimina Codicis Vaticani
3^67 qui Cedex Vergilii Romanus audit. Roma, Danesi, 1901, fol.,
I>ag. 21 e 35 tav.
Anteriormente è stato pubblicato il voi. I: Frammenta et picturae Ver-
rk'«w Cw/tcfj VaHam ^22$.
ipS BOLLETTINO BIBUOGRAFICO
COUNI-BALDESCHI (prof. Luigi). Alcuni documenti dell'Archivio comunale
di Jesi (secoli XIII e XIV). — Rivista delle Biblioteche e degli Archivi,
a. XII, voi, XIl, n.* 11-12, 1901.
Tra le nuove carte qui riportate è a notarsi la IV. a. 12^4, ) aprile.
Circolare di M. de Pirovano, arciprete della Chiesa Milanese, e general vi-
cario dell'arcivescovo di Milano, in cui sì ricorda agli arcivescovi, vescovi,
prelati, ecc., una boUa di Alessandro IV, che con somme lodi innalzava il
fervore religioso ed i meriti, che illustrarono Tordin^ dei Frati Predicatori
e dei Frati Minori, perchè li ricevessero nelle loro diocesi e li favorissero.
Cf llezione Gneccki. Italienisc/te Mùnzen. I. Abtheilung. Auction in Frankfurt
a/M. am 7 Jan. 1902 u. folg. Tage. (L.L. Hamburger, Experte). Frank-
furt, a. M., 1901.
* CMnmentarl deirAteneo di Brescia, per Tanno 1901. In-8. Brescia, tip. Apol-
lonio, 1901 [1902].
Maggioni (ing. Ejouco). Commemorazione di Giuseppe Verdi. —
Tonni-Bazza (Vincenzo). Benedetto Castelli e la Scuola di Galileo.
— Pennarou (prof. G). Commemorazione del conte Lodovico Bettoni-
Cazzago. — Bettoni (prof. Pio). Gasparo da Salò e V invenzione del
violino.
Como e Valtellina. — V. AUnari, Beltrami, Bude, Buschell, Cantii, Ca-
vagna, Fidèle, Cachet, Giornale, Hanotaux, Kébr, Krieg, Mefiti, Ricci,
Rotta, Sant'Ambrogio, Schellhass, Schnudt, Storia, Z.
Cremona. — V. AUnari, Carreri, Jacobsen, Kebr, Lucchini, Malaguzzi,
Sc/whf.
CRUGNOLA. La Certosa di Pavia. — // Politecnico, novembre 1901.
DA COMO (aw. Ugo). Di Gabriele Rosa (cont e fine.) — L'Università
Popolare di Mantova, 15 Marzo 1902.
* DALIARI (U). Carteggio tra i Bentivoglio e gli Estensi esistente nel-
rArchivio di Stato in Modena, — Atti e Memorie della R, Deputa-
zione dì Storia Patria, luglioKlicembre 1901.
Continuazione e fine di questo imperlante cart^[gio, che in questo fa-
scicolo abbraccia il perìodo 1 491-1542, con spedale interesse per le rda-
noni tra i Bentivc^lio, gli Estensi e Lodovico il Moro. Agg. le lettere di
Ippolita Sfona, figlia di Carlo Sforza, e moglie di Alessandro Bentivoglio,
datate da Milano negli anni 1515-1517 (dir. i n.' 647 e segg.y
* O'APmCORTA. La Casa Missaglia, con iU. — Pro Familia, a. DI,
n. 69, 1902.
* MVIDSONN (RobfrD. Forschungen zur Geschichte von Florenz. Dritter
Thcil (13 und 14, Jahrhundert). Berlin^ Miltler und Sohn, 1901.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 199
DELL'ACQUA ^arlo). Parole pronunciate nella grande [Gallerìa del pa-
lazzo Bellisomi in Pavia addi 21 marzo 1901, per la solenne inau-
gurazione dell* insigne monumentale Basilica suburbana del Salva-
tore. In-8. fig. Milano, Cogliati, 1901.
OELORIE (Amédée). Sous la chéchia. Carnet d'un zouave; De la Kabylie
à Palestro. Paris, Berger-Levrault, 1901, in-12, pag. VI-340.
DE SANCTIS (Guglielmo, pittore). Memorie. Studi dal vero. In-8 gr. Ron:a,
Forzani, 1901.
Alessandro Manzoni — Esposizione di Milano (1872).
DUCLAUX (Mary). Ausone ou Téducation des rhéteurs. — Revue de Paris,
15 novembre 1901.
' DIMOULIN (Maurice). Le gouvemement de Théodoric et la domination
des Ostrogots en Italie, d'après les oeuvres d*Ennodius (I." article).
— Revue Historique, gennaio-febbraio 1902.
Importance de Toeuvre d^nnodius. Sa Vie. Date de ses prìndpaux
ouvrages. Leur critique. Sources autres qu^nnodius concemant les Ostro-
goths en Italie.
ERRERÀ (Paul). Art et science chez Léonard de Vinci. Bruxelles, 1901.
* Etudes sur la Campagne de 1799. — Revue cfhistoire rédigée à VEiat-
Major, gennaio 1902 e seg.
FABRICZY (C. de). Un'opera di Alessandro Abondio. — Rassegna d'Arie,
gennaio 1902.
— Eine Buste Vincenzo Gonzaga's — Das Epitaph Giacomo Medie is
(1503). — Reperiorium fùr Kunsiwissenchafi, XXIV, 5, 1901.
Riassume gli articoli del Sant^ Ambrogio nella Lega Lombarda 7 luglio o
1901 e Monitore Tecnico 30 maggio 190 1 a proposito del busto di Vincenzo
Gonzaga, entrato nel museo di Milano, proveniente da Varese, e della tomba
di Giacomo Medici, in S. Tomaso, attribuita al Fusina.
— Der Palast Francesco Sforza's in Venedig. — Reperiorium fùr Kun-
siwissenchaft, XXIV, 4, 1901.
Riassunto del lavoro del BeltramL
FELICIANGEU (B.). Il matrimonio di Lucrezia Borgia cori Giovanni Sforza,
signore di Pesaro. Torino, Roux e Viarengo, 1901, in-8, pag. 85.
Vedi i cenni bibliografici in questo fascicolo àtWArchivio.
* FESTI (Cesare De). Briciole Lodronianee Castrobarciensi. 7V^«/o^ Tren-
tina, 1901.
aaO BOLLETTINO BIBUOGRAFICO
FEYLER (F.J. Le passag^ àa Grand S.' Bernard en 1800. — Revut AtUi-
taire Suisse, 45-™* anné«, 1900.
FIDÈLE (le R. P.). Avocai, religieux, martyr, ou Saint Fidèle de Sigma-
ringen, martyrisé par les protestants. Paris, Poussielgue, 1901, in-16,
pag. VII- 169.
5. Fedele di Signiarìngea ucdso ìa Valtellina dai Grigioncsi.
FILIPPINI (F.). Una narrazione contemporanea della battaglia di Pavia. —
Studi Storici, voi. X, fase. III.
Narrazione di uno spagnuolo, Jacobo de Neila, che nel 151; reggeva
il Colico Albomoiiino dì Bolc^na,
FIORINI (Vittorio). Periodo napoleonico dal 1799 al 1814. (<■ Storia poli-
tica d' Italia scritta da una Società di professsori, 1 fase. 72-73). M-
lano, dott. Francesco Vatlardi 1901.
FLORES (FsRDiNANDol. Del Torquato Tasso di W. Gcethe. — Atti R. Ac-
cademia d'Archeologia di Napoli, voi. XXI, 1901,
' FOA (Palmira). 1 concorsi Bettoni per novelle morali e i novellieri che
vi parteciparono. — Ateneo l^eneto, novembre-dicembre 1901.
FONTANA. Curiosità Verdiane. — Gaietta Musicale, n. 49, 1901 e segg.
Cfr. nella Rivista musicale, I, 1901, una copiosa biblii^rafia Verdiani
che vi si continua da parecchi numeri ed alla quale oramai rimandiamo.
FOSCOLO (Ugo). Lettere a Isabella Teotochi Albrizzi nella maggior parte
inedite. In-8. Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1903.
-~ V. Berghini, Bolle/lino storico, C/iialione, Levi, Sesler, Tobler.
FRANCESCHINI (G). 11 teatro dei . Promessi Sposi -.. — Rassegna Na-
sionale, i.° ottobre 1901.
A proposto delle pubblicazioni del Bindoni.
FRIZZONI (Gustav). Einige auserwahlte Werke der Malerei in Pavia. —
Zeilschrift f6r bildende Kunst, n. F. XII, fase. X.
iltura in Pavia.
a Basilica di S. Ambrogio, — Persevi-
delle lapidi nell'turio
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 20I
* GABOTTO (F.). La questione dei fuorusciti di Chierì : 1337-1354. — Aiti
R, Accademia delie scienze di Torino, voi. XXXVI, 1901.
Nel 1347 avviene la dediiione di Chierì ai Sabaudi, onde guerra aperta
con Monferrato e Milano, cui mette fine, dopo due anni, l'arbitrato di Gio-
vanni Visconti, che decreta rimanga Chierì col terrìtorìo ad Amedeo, ma
siano i fuorusciti riammessi in Città.
MGNOT (E.). La bataille de Lecco. — Nouvelle Revue, i." gennaio 1902.
QARZIA (R.). Una traduzione latina del u Cinque Maggio », — Bollettino
bibliografico sardo, I, io.
Wf tJ.). L'Etat Pontificai, les Byzantins et les Lombards sur le littoral
campanien (d'Hadrien I." à Jean Vili). — Mélanges d'archeologie et
(thisioire di Roma, agosto-dicembre 1901.
QERINI (G. B.). Gli scrittori pedagogici italiani del secolo decimottavo
Torino, Paravia, 1901.
GENÉE (Rudolph). MittheUungen fttr die Mozart-Gemeinde in Berlin. XII
Heft Berlin, Mittler, 1901.
Il fascicolo contiene il ritratto di Teresa Saporiti (milanese) la prima
che cantò la parte di Donna Anna nel Don Giovanni a Praga nel 17S7.
QEYHOLLER (Enrico di) & BELTRANI (Luca). — Alcune osservazioni sopra
recenti studi intomo a Bramante e Michelangelo Buonarroti. —
Rassegna d'Arte, dicembre 1901.
MAOOmilO. La lingua dell' Alione. — Archivio glottologico italiano, voi. XV,
n. 4, Torino, 1901.
OIAMPICCOLO (dott EIrminio). La filosofìa della politica di Antonio Rosmini.
Catania, tip. del Commercio, 1901, in-8, pag. 144.
(Giovanni). Canti popolari toscani. Firenze, Barbèra, 1902.
Tra quei canti v'ha pure la celebre' donna lombarda ^ in cui parecchi
credettero di ravvisare un riflesso della l^;genda langobarda di Rosmunda.
GIOBERTI. Il i>ensiero civile di Vincenzo Gioberti : pagine estratte dalle
sue oi>ere. Torino- Cirié, Renzo Streglio, tip. edit., 1901, in-8.
3. Alessandro Manzoni. 4. Silvio Pellico.
Gtenale di eradizioDe. Voi. VII, n.* 11-12. Firenze, dicembre 1901.
Moreto di Virgilio, tradotto dal Caro — Scandali ne' conventi di Milano
[notizia tolta dàiV Ettamerone di Margherìu di Valois] - Gabinat [grido val-
tellinese nel giorno dell'Epifania] - Una querela del Montazio contro Ausonio
Franchi ed Emilio Treves • Cartelloni teatrali antichi [del teatro ducale e
della Scala in Milano, 1778, 1780, 1794, 1796, 1800].
202 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
€REYERZ (L. von). Die sch6ne Mailànderin (Sage aus dem Wallis). —
Neues Bemer Taschenbuch, pel 1902.
La bella Milanese, leggenda del Cantone Vallese.
CiRIZiOTTI (dott. Archimede). Alcuni documenti relativi alla difesa di Bre-
scia nel 1866. Pavia, libr. Ottani, 1901.
HOTERBOCK (F.). Ueber Kaiserurkunden des Jahres 1176. — Neues Archiv,
Bd. 27, fase. I, 1901.
Diplodii dell' imperatore Federico I ddl'a. 1176.
NAASE (K.). Die Kònigskrònungen in Oberitalien und die eiseme Krone.
Strassburg, Schlesier und Schweikhardt, 1901, in-8, pag. 144. (Diss.
inaug.)
Le incoronazioni imperiali nell^Alta Italia e la corona ferrea, disserta-
zione inangurale.
NANOTAUX (G.). La crise européenne de 1621. Le problème protestant en
Europe. Les aftaires de la Vaiteli ine. — Revue de deux Mondes,
I.* gennaio 1902.
* HARRiSSE (Henry). AF>ocrypha Americana. Examen critique de deux dé-
cisions des tribunaux américains en faveur d*une falsifìcation éhontée
de la lettre imprimée de Christophe Colomb en espagnol annon9ant
la découverte du nouveau monde, et vendue comme authentique un
prix enorme. — Centralblatt fùr Bibliothekswesen, fase. I-II, 1902.
Processo in America per la falsificazione della celebre pìaquette colom-
biana dell'Ambrosiana, edita dal d'Adda nel 1866.
Itaiiaa Wall Decoratlons of the 15.111 and i6.tl> Centuries. London^ Chap-
mann and Hall, 1901.
Il volumetto elegante illustra i modelli, fatti es^;uire, dal 1883 in poi
per il South Kensigton Museum^ e tra essi l'appartamento oc Paradiso » d'Isa-
bella d'Este a Mantova, la Cappella dei Portìnari a S. Eustorgio e la Cap-
pella di S. Caterina a S. Maurizio, in Milano. Il testo è del Yriarte e del
Beltrami.
JACOBSEN (Emil). Italiànische Gemàlde in der Nationalgalerìe zu London.
Kritische Studien zum Katalog von 1898. — Reperiorium fùr Kun-
shvissenschaft, XXIV, 5, 190 1.
Boccacdno, Moretto, Borgognone, Gaudenzio Ferrari, Vincenzo Poppa,
Bemar. Luini, Scuola Milanese 1502^ G. B. Moroni, Palma, Ambrogio de
Prcdis, Romanino, Francesco .Tacconi, L. da Vinci [Vergine delle Rocde].
— La gallerìa del Castello Sforzesco di Milano, con ili. — Arte, a. IV.
1901, fase. IX-X.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 203
JAG06SEN (Emil). Demières acquisitions de la Galene des Offices, à Flo-
rence. — Casette des Beaux Aris, novembre 1901.
IV. G. A. Boltraffio : v leune homme vu de profil. d
KXSELYN FOULKES (Constance). — Notizie intomo ai pittori di « Barde ».
— Rassegna d'Arte, novembre 1901. •
Documenti milanese del perìodo sforzesco, con nomi di pittorì del
quattrocento di armature del cavallo o barde^
— Vincenzo Foppa e la famiglia Gay lina di Brescia (con una ine). —
Rassegna d'Arte, gennaio 1902.
KENR (P.). Papsturkunden in Mailand — Lombardei — Ligurien. Be-
richt ùber die Forschungen von L. Schiaparelli. (Aus den Nachrichten
der K. Gesellschaft der Wissenschàften zu Gòttingen 1902, Heft I
& II). — Gòttingen, 1902, in-8. gr. pag. 192.
Ricerche dello Schiaparelli intomo alle bolle papali conservate negli ar-
chivi di Milano, Gomo, Monza, Pavia, Lodi, Gremona, Mortara, Vigevano,
Treviglio, Varese, Intra. Gopiosi materiali, con pubblicazione in txtaso di
numerose bolle inedite. Per i feudi di Bergamo, Brescia e Mantova vedi le
precedenti comunicazioni del Kebr (1897 e 1899).
IRAUS (Fr. X.) Cavour. Die Erhebung Italiens ira XIX Jahrhundert (Welt-
geschichte in Karakterbildem). Mainz, Kirchheim, 1901, in-4, pag. 104,
illustrato.
RMEG (E.). Origine des églises évangéliques du Bergell, de la Haute-En-
gadine et de la vallèe de Poschiavo. — Liberté Chrétienne, novem-
bre 1901.
KRISTELLER (Paul). Fra Antonio da Monza, incisore (con 2 incisioni).
— Rassegna d'arte ^ novembre 1901.
LAENEN (dott. J.). Le ministère de Botta-Adorno dans les Pays-Bas au-
trichiens pendant le r^ne de Marie-Therèse (1749-1753). Dissert,
inaugurale. Anvers, librairie néerlandese, 1901, in-8, pag. 297.
Secondo i carteggi Botta-Adorao in Ambrosiana. Dissert. inaugurale.
LESE (Vincenzo). S. Alberta abate fondatore del monastero di Butrio e il
suo culto. Tortona, tip. Rossi, 1901.
Legkako. — V. Archivio, Beltrami, Carducci, Ciiterbock, RiboldL
LEONARDO DA VINCI. — Bildnis einer Prinzessin Este (frQher gen. Bianca
Maria Sforza). Originai in der Gemalde-Galerie der Ambrosiana zu
Mailand. Farbenholzschnitt von prof. Albert KrClger In fol. Berlin,
G. Grotesche Verlagsbuchhandlung 1901
204 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Leonardo da Vma. — V. Biltrami, Bollettino storico pavese, Carotti, Er-
rerà, Jacobsen, Malnati, Malaguzai, Marescotti, Mazzticchetti, Merej-
kowski, Sant'Ambrogio,
* LEONE (Andrea). Renato di Savoia. — Bollettino Storico- Biblio^afico
Subalpini, a. V, n. VI, e a. VI, n.» V-VI.
D^animo irrequieto e ardente al par di suo padre, Filippo Senza Terra,
Renato trascorse la sua vi^ alle corti migliori di Europa : i primi suoi anni
(n. 1473) U P^^^ A Milano, essendovi reggente Bona di Savoja. Brigò per
Francia nella Svizzera durante il periodo del conquisto di Lombardia e venne
ferito a Pavia nel 1525. [L'articolo continuerà].
LEPRERI (A.) Dottrine religiose e filosofiche di Ario e loro origine. One-
glia, Ghilini, 1901, in-8, pag. iii.
LEVI (Eugenia). Alcune lettere inedite di Ugo Foscolo. — Nuova An-
tologia, 16 febbraio 1902.
* LIEBENAU (Th. von). Ueber Kriegssitten. — Anzeiger fùr Schweizer^
Alterthumskunde, fase. II-III, 1901.
Dopo la disfatta dei Vallesani al ponte di Crevola presso Domodossola
(27 aprile 1487) i Lucemesi mossero lamenti presso il duca di \filano,
per i mali trattamenti usati ai feriti e morti confederatL II duca Sforza
rispose per le rime, provando quanto di delittuoso e di atroce avessero
commesso prima gli Svizzeri coi morti lombardi.
* LOCATELU (Giuseppe). Marco Alessandri, Direttore Cisalpino. Con ap-
I>endice di lettere inedite di Lorenzo Mascheroni. Lettura fatta al-
l'Ateneo di Bergamo, il 14 luglio 1901. Bergamo, Istituto Italiano
d'arti grafiche, 1902, in-8 gr., pag. 80.
LOCATI (arch. Sebastiano Giuseppe). L'antica sede del Comune millanese
nella piazza dei Mercanti. — Monitore Tecnico, n. 34, 1901.
Lodi. — Il tempio dell'Incoronata di Lodi: cenni storici e descrittivi.
Lotti, tip. E. Wilraant, edit, 1901, in-8, pag. 29 con 16 tav.
— V. Archii*io, Carotti, Kehr, Rotta, Silva.
LOMBROSO (Cesare). Nuo^i studi sul genio. I. Da Colombo a Manzoni.
In-8. Palermo-Milano, Remo Sandron, 1900.
I due studi sul Colombo e sul Manzoni che occupano ima buona metà
del volume, sono accompagnati da brevi notizie biografiche ed appunti su
molti altri uomini di genio ; ve n^ ha per Cardano, Petrarca e Gaetana AgnesL
Longobardi. — V. Albini, Bollettino Pavese, GpoUa, Gay, Giatnmùy Ro-
i*iglio, Tamassia,
BOLLETTINO BIBUOGRAFICO
205
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Maroucelu. — Pietro Maroncelli non fu delatore ? (1821). — Civiltà Cat-
tolica, fase. 1237, I90I»
Lo asserì Paride Zajotti e lo confermarono Cusani, Cantù, Rinieri e Del
Cerro. Secondo Tautore dì quest^articolo, nulla tolgono e nulla aggiungono
all'accusa e alle prove di delatore i lavori del Luzio sul Salvotti.
■AZZUCCHETTI (A.). Dell'auto ritratto di Leonardo. — Natura ed arte,
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HEOA (Filippo). I paratici milanesi. Milano, Giuseppe Palma, edit, 1901,
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906 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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— V. Alinari, Ambrosoli, Barini, Beltrami, Bertani, BertareUi, Bùclù,
Cahnetie, Carletla, Caroti, Cartas, ChilesotH, Cipollini, Colini, Collh
sionc, LyApricoria, De Sanciis, Duclatix, Fahriczy, Frova, Genie, Gior-
nale, Greyerz, Harrisse, Italian, Jacobsen, Kehr, Laenen, Leghamo,
Locati, Manf redini. Mantovani, Manzoni, Meda, Momigliano, Mùtta,
Mulilemann, Navenne, Parini, Perelli, Sant'Ambrogio, Poggi, Romussì,
Sacco, Scati, Sellane, Storia, Teatro, Tria, Verga.
MOLMENTi (P.). La a Vittoria «^ di Brescia. — Nuirva Antologia, 16 feb-
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mogcs ér Paris, Charles- La vauzelle, 1901, in-8, pag. XX VlII-529 et pi
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in occasione del 50 anniversario di sua fondazione.
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MUZIO (V.). Chiostro del rinascimento in Torre Boldone [Bergamasca! .
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' NAVENNE (F. de). Pier Luigi Farnese (suite et fin). — Revue Historique,
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Interessante per V intervento personale del governatore dì Milano, Fer-
rante Gonzaga, nella congiura a danno del Farnese (i). — Agg. Brosch (Mori:0.
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NAVONE (Giulio). Bonvesin de Riva. — Fanfulla della Domenica, n. 3, 1902.
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nalen Privat-und Strafrechts bis Bartolus. Erstes Stùck: Die Geltung
der Stammesrechte in Italien. Mùnchen, 1901, 1. Schweitzer Verlag,
"»^ gr., pag. Xn-313.
In due capitoli vi si tratta del diritto territoriale e di quello personale
loiigobardo nell'Alta e nella Media Italia; nel terzo dello stato del diritto
longobardo e normanno nell'Italia Meridionale.
(i) Nel Cod. Trivulziano 1587 è contenuta una relazione inedita del-
l'uccisione del Farnese; trattasi del racconto fattone in lettera, Modena i\
settembre 1547, da Francesco Villa al marchese Sigismondo d'Este.
ao8 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* Norme generali per la fmbblìcazione dei Testi Storici i>er servire alle
edizioni della Regia Deputazione di Storia Patria p)er le antiche
Provincie e la Lombardia. Torino, Stami>eria Reale della Ditta G.
B. Paravia, 1902, in-8 gj., pag. 22.
Studiate e proposte dai soci conte C Cipolla, prof. £. Merhel e pro-
fessor F. Nevati,
Novara ed Ossola. — V. Alinari, Bude, Kehr, Cipolla, Jacohsen, Kerh,
Rossi, Tenhulle, Torelli,
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Filippini, Frizzoni, Kehr, Laener, Legé, Maragliano, MorelH, Po-
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gennaio 1902.
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Francesco Afifaitati (1505) all'oratore veneto in Castiglia Pietro Pasqualigo.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 209
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POGGI (ing.). Le strade di Milano. Studi e proposte dell'ufficio tecnico
municipale. Milano^ Vallardì, 1901.
U capitolo che si indtola Noti;Je storiche è molto deficiente, non acr
cennando ai modi con cui si provvedeva anticamente alle strade della nostra
dttà. Si riportano soltanto in un^appendice brani di un opuscolo del 1788
dallo strano dtolo : Vista patriottica di Agostino Zerli^ sopra le strade della
città di Milano^ ed in una nota seguente le ordinanze del primo Regno
d'Italia.
* P0STIN6ER (C. T.). Documenti in volgare Trentino della fine del Tre-
cento relativi alla cronaca delle Giudicarle. Lotte fra gli Arco, i
Lodron, i Campo ed il vescovo di Trento. Notizie e ricerche sto-
riche. — Atti 1 R, Accademia degli Agiati, di Rovereto, serie III, vo-
lume VII, fase. I-II, 1901.
Relazioni di Gian Galeazzo Visconti col conte Antonio d^Arco, cui
mandava legato nel 1387 il suo oratore, Antonio de* Milii, ben noto giu-
reconsulto cremonese, più volte impiegato nelle podesterìe del Veronese
(c£r. pag. 117). L^alleanza col conte di Virtù e la conquista facilitatagli della
Riviera Trentina, truttò ad Antonio d^Arco non già i perduti domini a lui
promessi nei patti, ma una morte atroce a tradimento (cfr. pag. 12 esegg.).
Con nuovi documenti se ne precisa, rettificando i precedenti autorì, la data
al 26 dicembre 1587. Un contrìbuto assolutamente nuovo alla stona degli
Arco ed alle relazioni con la corte viscontea, e con uno dei condottieri più
rinomati del primo duca di Milano, con Ottone di Mandello, è offerto dal
Postinger colla stona degli sponsali di Vinciguerra d'Arco, figlio del^assas-
sinato Antonio, con Bianca, figlia di Ottone da Mandello; matrimonio ce-
lebrato nel 1389 in Pavia (cfr. pag. 162 e segg.). Il P., fornendo notìzie
sul soggiorno pavese dell'Arco, e biografiche intomo al Mandello, riporta
6:a i documenti in appendice (cfr. pag. 213 e segg.), i pattì nuziali e cor-
redo di Bianca da Mandello. Altro appunto di storia viscontea per Antonio
d'^Arco: dei 9 luglio 1365 è una procura di Antonio d'Arco nella persoxia
dì Aldrìghetto di Castelbarco a ad matrimonium contrahendum cum D.na
Malgarìta de Vercellis uxore q.™ Nob. domini Joannis de Vicecomitihus de Me-
diolano ; n progetto di matrimonio che ritiensi non siasi fatto (cfr. pag. 107),
essendosi dopo sposato con Orsola da Correggio.
PRIIIEGLIO (Umberto Di). La « Signora n dei Promessi Sposi e la sua
storia. — Gazzetta del Popolo della Domenica, di Torino, n. 4 e 5 1902.
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Dal libro del Reiset il Bossola tradusse e pùbblico nella Rivista di Ales-
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in Ale9sandria nel 1848 ».
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zia, Vicenza, Padova, Lodi e Lambrugo (Brianza). Milano, tip. Rifor-
matorio Patronato, 1901, in-8, da pag. 161 a pag. 193.
La presente Aggiunta è H contiiltiazione delle Gite e rilievi stetici ar-
cheologici nei dintorni di Milano e paesi e città limitrofe pubblicate dal can.
Rotta nel 1895 [Milano, ditta editrice Agnelli]. Si tratta qui dell'esposizione
d*aTte sacra di Lodi [settembre 190 1], della quale il R., era membro della
Giuria e di una cappella artistica del XIV- XV secolo, già appartenente alle
Benedettine, in Lànibrugo nel Pian d'Erba.
ROVI€LIO. La morte di Alboino. — Rivista Ligure di Scienze e Lettere,
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SACCO (prof. Antonio). Il Duomo di Milano e la sua facciata. Seconda
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— A proposito di un prototipo di Leonardo da Vinci (in risposta ad un
articolo di G. Frizzoni del 27 gennaio). — La Perseveranza, 31 gen-
naio 1902.
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del 1518; Una lapide e una preghiera alla Vergine nell'atrio di
212 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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Chiaravalle. — Lega Lombarda ^ 29 dicembre 1901 ; 30 gennaio,
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SANT'AMBROGIO (D.). — V. Bollettino Storico Pavese e Geymaller.
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al dicembre 1778. (Studi di Storia Acquese). — Rivista di Storia ed
Arte di Alessandria, novembre-dicembre 1901.
11 Chiabrera narra dellMnsurrezione di Pavia, incendio di Binasco, dei
moti di Milano, ecc., e dà le liste degli ostaggi presi fra le persone nota-
bili di quelle città, i quali vennero mandati in Francia passando per Acqui.
* SCHELLHASS (K.) Akten aber die Reformthàtigheit Felician Ninguarda's
in Baiem und Oesterreich (1572-1577 — (Cont) — Quelien und Por-
schungettf dell* Istituto storico prussiano, voi. IV, fase. II, 1901.
Atti per l'attività rìformatoria di Felidano Ninguarda (poi vescovo di
Como) in Baviera ed in Austria, 15 72-1 577.
* SCHIFA (M.). Il Muratori e la coltura napoletana del suo tempo. —
Archivio Storico Napoletano, fase. IV, 1901.
SCHNODT Games) & VAHL (Tom de). Il testamento di Andrea Br^no
[d'Osteno 1503]. — L'Arte, a. IV, 1901, fase. XI-XII.
SCHONE (d.r H.). Eine Streitschrift Galensgegen die empirischen Aerzte.—
Sitzungsberichte della R. Accademia delle scienze di Prussia, 1901, LI.
Contenuta nel Codice greco Trivulziano num. 685, e fin qui conosciuta
soltanto in traduzione latina, sotto il titolo Sermo adversus empiricos me-
dicos. Lo S. si riserva di ritornare su questo prezioso codice miscellaneo,
specialmente per trattare del frammento di Democrito.
SCOLARI (F.) Medaglioni comaschi: Candida Lena Perpenti; Teresa Ci-
ceri-Castiglioni — Plinio il giovane e Tultimo suo biografo. — Novo-
comunt, n.* 12, 15, 23, a. I, 1901.
SCHULZE (Carl). Stradivaris Geheimniss. Ein ausfùhrliches Lehrbuch des
Geigenbaues. Mit 6 Tafeln. Berlin, Fussinger's Buchhandlung, 1901.
n segreto di Stradivari. Il metodo della fabbricazione del violino.
SESLER (F.). Raffronti leopardiani : Foscolo e Leopardi. — // Saggiatore,
I, 9-10.
SFORZA (Giovanni). 11 Manzoni giornalista. Modena, Società tipografica
modenese, 1902, in-i6, pag. ii. (Nozze Greppi-Belgiojoso).
Vedi i Cenni bibliografici in questo fascicolo éitM^ Archìvio.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 21 3
Sforza e Visconti. — V. Atnbrosoli, Bollettino, BUchi, Calmeiie, Cartcts,
Da/lari, Faòriczy, Feliciangeìi, Gabotto, Leone, Leonardo^ Lieòenau, Man-
drot, Manfredini, Pélissier, Piva, Postinger, Romano, Rondolino,
Robert, Sorbel/i, Vigo.
SGllUiERO (P.)- Bardolino fino al 1460. Verona, G. Franchini; 1901, in-8,
pag- 43-
SH.VA (prof. Bernardo). Agostino Bassi, fondatore della teorìa parassi-
^ tana e parassiticida od antisettica, 1773-1856. Commemorazione letta
a Lodi il 26 settembre 1901. Lodi, tip. dell'Avo, 1901, in-8, pag. 56,
con rìtr.
SOUH (A.). Alberto da Gandino e il diritto statutario nella ginrìspru-
d^iza del secolo XIII. — Rivista Italiana di Scienze Giuridiche, vo-
lume XXXII, fase. MI, 1901-1902.
• SORBELU (A.) La data precisa della [morte di Giovanni Visconti. —
Aplologia Veneta, a. II, n. 6, novembre-dicembre 1901.
5 ottobre 1354.
Storia raedioevale del Cadore. Il dominio dei patriarchi d*Aquileja : il
patriarca Lodovico della JTorre. — Archivio Storico Cadorino, no-
vembre-dicembre 1901 (Lodi).
' TAMASSIA (Nino). Una professione di legge gotica in un documento
mantovano del 1045. — Atti del R. Istituto Veneto, tom. LXI, di-
spensa II, 1902.
TASSO (Torquato). La Gerusalemme Liberata, illustrata da Edoardo
Matania, con note di Eugenio Camerini ;e prefazione di Carlo Ro-
mussi. Milano, stab. tip. .edit. Sonzogno, 1902, in-4, fig., pag. X-319.
— V. Biancale, Flores, Proto, Vivaldi.
TtBtro (U) della Scala. Natale e Capo d'anno dell* Illustrazione Italiana.
Testo di Achille Tedeschi. Illustrazioni di A. Ferraguti, E. e F. Ma-
tania. Milano, Treves, edit., 1901, fol. ili., pag. 32, con tav. color.
I. L'inaugurazione e i primi tempi ; II. Il periodo Francese ; III. I
tempi di Salvator Vigano; IV. Frivolezze, gioco politico ed arte;
V. L'èra gloriosa della musica italiana ; VI. I primordi di Giuseppe
Verdi [e la follia per le ballerine ; VII. Dopo il cinquantanove ;
VIII. Gli ultimi trenfanni.
— V. Giornale d'erudizione.
TENHULLE (corate de). Deux études militaires historiques : Novare, Sa"
dowa. Bruxelles, Weissenbruch, 1901, in-8, pag. 340.
214 BOLI-FTTINO BJBLIOG^IAFICX)
* TDBLER (Rudolf). Lettres inédites de Ugo Foscolo à Hudson Gumey.
Giornale Storico della Letteratura Italiana, fase. 115, 1902.
* TOCCO (Feuce). Nuovi documenti sui moti ereticali tra la fine del se-
colo XIII e il principio del XIV. — Archivio Storico Italiano, fasci-
li!, 1901.
Cfr. la recensione in questo fascìcolo déiV Archivio.
TOBELU (arciprete). S. Silvano, patrono di Romagnano Sesia. Novara,
tip. Vescovile, 1901.
* TORRI (Luigi). Un grande dimenticato (Luca Marenzio). — // Saggia-
tore di Pisa, a. I, n. 2, 1901.
Luca Marenzio, n. a Coccaglio in quel di Brescia, cui nel secolo XVI
l'Europa intera proclamava « Principe dei madrigaìisU ».
TRIA (Umberto). Vincenzo Cuoco a proposito di due sue lettere inedite.
— Rassegna Critica della letteratura italiana di Napoli, a. VI, 1901,
n. 9-12.
Subito dopo la vittoria di Marengo, il Cuoco si ridusse a Milano, ove
dimorò fin quasi tutto il 1806, assai stimato e ben voluto da' letterati e dai
governanti e per il suo ingegno versatile, e per i suoi precedenti {>olitìci,
e per il Saggio storico, che pubblicò nel settembre del 1805. Dal Melzi nel
1802, gli fu affidata la direzione del Giornale italiano la quale egli conservò
fino all'agosto del 1806, pur occupandosi della compilazione e della pubbli-
cazione del Platone in Italia, pur attendendo a raccogliere i dati per <r una
statìstica generale della Cisalpina ». Durante la non breve dimora a Milano,
spesso il C, scriveva al fratello Michele Antonio. Di queste lettere, che
potrebbero dirci la vita vissuta dall'esule a Milano, due sole fin'ora sono
venute alla luce, ed il T., le pubblica qui con un buon commento. Sono
del marzo del 1802 e dei primi mesi del 1805.
VALLETTE (C). Poème sur la mort du general Desaix tue à la bataille
de Marengo. — Revue du Bas Poitou, I, 1901.
VEKTURI (Adolfo). La Corona Ferrea, con io ili. — Nuova Antologia,
I.** gennaio 1902. [V. Beltrami\
* VERGA (Ettore). La giurisdizione del podestà di Milano e i Capitani dei
contadi rurali, 1381-1429. — Rendiconti Istituto Lombardo, serie II,
voi. XXXIV, fase. XX, 1901.
Con postilla : « Alcuni dubbi sul valore delle espressioni : Comitatus e
Ducatus Mediolani,
— L* Esposizione cartografica retrospettiva di Milano e suo territorio,
con 7 ili. (Dair Emporium). — Le Comunicazioni di un Collega, di
Bergamo, a. Vili, n.' 7-8 ottobre-dicembre 1901.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 215
VEmE (LuccHiNO dal). Il generale Covone a Custoza, con ritr. — Nuova
Antologia^ 16 gennaio 1902.
Vigevano. — Veduta di un cortile del secolo XVI in una casa in Via
Cairoli a Vigevano. Tavola e figura (senza testo). — Arie Italiana
Decorativa, a. X, 1901, n. 8.
' Vl€0 (Pietro). Due documenti relativi a Gianfrancesco da Tolentino. —
Archivio Storico Italiano, fase. Ili, 1901.
Un mandato di papa Sisto IV [1484, 19 luglio] al conte Gio Francesco
M^uruzi a trattar e ccmduder pace coi duchi di Calabria, di Milano e altri
potentati.
Virgilio. — Pellegrini (A.). L* « Eneide » di Virgilio volgarizzata se-
condo un nuovo codice del secolo XIV. — Rivista [Abruzzese,
XVI, 9.10
Agg. La Roche (].). Dcr Hexameter bei Virgil in Wiener Studien vo-
lume X^CUI, I; Rasi (Pietro). Postille virgiliane in Studi italiani di filologia
classica^ voi. IX (1901).
— V. Codices.
VIVALO! (prof. Vinc). La Gerusalemme Liberata studiata nelle sue fonti :
azione principale del poema. Trani, V. Vecchi, edit., 1901, in-8
pag. VIII-351.
Vojrage (mon) en Italie. In-4, ili. Neuchàtel, Comptoir de pothotypie édi-
teur, 1901, livr. XX, (Lombardie et Parme).
WEIL (M. H.). Le prince Eugène et Murat (1813-1814). Opérations mili-
taires; Negociations diplomatique. Voi. MI. Paris, impr. Fonte-
moing, 1902, in-8, pag.492 et fìg.
G>1 secondo volume il racconto arriva sino all'S novembre 181 3.
2. La mort de Pline T Ancien. — Journal des Débats,2^ dicembre 1901.
APPUNTI E NOTIZIE
/^ Nuove pubblicazioni dialettali lombarde. — A quanti s'inte-
ressano all'antica poesia dialettale lombarda riuscirà accetto il sapere
che or ora il prof. Biadene, ben noto per le sue belle ed erudite pub-
blicazioni bonvesiniane, delle quali Y Archivio nostro ebbe già a tenere
parola (cfr. XXVIII, i88 segg.), ha dato alla stampa in un elegante vo
lume, impresso dalla ditta E. Spoerri di Pisa, // libro delle tre Scritture
e I Volgari delle false accuse e delle vanità di Bonvesin della Riva. Questi
testi, che avevano or sono pochi mesi già veduto la luce per cura del
prof. De Bartholomaeis, appaiono qui nuovamente, adorni di una erudita
Introduzione, di un diligentissimo apparato critico e d'un copioso Les-
sico, che reca utili aggiunte e chiarimenti a quello assai noto del Seifert.
Della bella pubblicazione, che ha così vivo interesse per Milano, forse
parleremo più a lungo tra non molto.
Il prof. De Bartholomaeis ha pur esso fatto prova del suo critico
acume nello studio d'un altro testo lombardo, divenuto pur esso molto
noto; il favolello bergamasco del marito confessore, che, dato fuori per la
prima volta dallo Zerbini nel 1886, fu di bel nuovo ristampato dal Lorck
nel 1893 (^)* Il .De B. si sforza di restituire all'antico testo le sue
originali sembianze metriche, deformate dai copisti; e poscia stu-
dia con molto amore i rapporti che intercedono tra il rozzo compo-
nimento lombardo e la novella quinta della VII giornata del Decameron,
la quale svolge, secondochè è noto, con geniale ampiezza, il medesimo
tema, graditissimo a tutta la novellistica medievale, del marito che, ca-
muffandosi da frate o da sacerdote, tenta sorprendere i segreti della
moglie; ma dalla temeraria impresa riporta i danni e le beffe.
/. È recentemente uscita in luce a Lipsia coi tipi di J. J. Weber la
traduzione tedesca del Lexicon Aòòreviaturarum, dell'esimio paleografo
Dott Adriano Cappelli, pubblicato la prima volta nel 1899, ^^^ ^ ™^'
nuali Hoepli. Accenniamo con compiacenza alla fortuna all'estero di
questo libro assai utile per chi ha a che fare coi documenti scritti del
medio evo. L'edizione tedesca, anch'essa accuratissima nella stampa,
riproduce in massima parte l'esemplare milanese: non mancano qualche
aggiunta e qualche miglioramento, com'è naturale in un libro riveduto
(i) Un frammento bergamasco e una novella del Decamerone nella
Miscellanea testé pubblicata a Roma in onore di E. Monaci*
APPUNTI E NOTIZIE
217
la seconda volta da un autore coscienzioso e sagace. Precedono alcune
oozioni sobrie e chiare sulla brachigrafìa medievale, cioè intorno ai
vari generi di abbreviature raggruppate in sei categorie, ciascuna trat-
tata a parte e illustrata con numerosi facsimili. Il dizionario contiene
sedicimila segni incisi, tremila dì più che nella prima edizione: oppor-
tnnamente accanto al segno si riporta la trascrizione diplomatica del me-
desimo, la traduzione in parola, e si indica il secolo e la parte di secolo
(principio e fine) a cui appartiene il documento d'onde quello fu tratto.
Segue una appendice di abbreviature nuova, ma priva di facsimili.
Quindi un repertorio alfabetico dei segni convenzionali, un altro di ab-
breviature di medicina del secolo XVII, un terzo per le varie forme di
numerazione romana e per quelle della arabica. Poi un dizionarietto
di sigle e abbreviature epigrafiche, distinte (opportuna novità) con segni
speciali quelle dell'epoca cristiana e quelle di monete e medaglie.
Qiiude il volume una ricca bibliografìa, pur nuova, di circa centotrenta
opere trattanti di abbreviature italiane e latine. Mancano invece i due
facsimili di documenti colla relativa trascrizione e le sei tavole di mo-
nogrammi imperiali che fìgurano nell'edizione Hoepliana. La quale, no-
nostante ie aggiunte introdotte in questa più recente, resta pur sempre
un'edizione pregevolissima sotto ogni rispetto.
/. Ancora l'iscrizione d'Alba. — Nel riferire il testo della lapide
che può supporsi apposta già per insegna ad una porta della città di
Alba chiamata Mediolanensis (cfr. ^rcAfwo, XXVIII, 451) siamo incorsi in
un'omissione che or dobbiamo correggere. Nel testo dell' iscrizione dopo
la data dell'anno segue il ricordo dell* indizione, così : indicione sep-
ToiA. Il testo dunque, fedelmente esemplato di sulla lapide originale,
die misura m, 0,97 per m. 6.46, suonerebbe così :
+ MCC.
LXXXIIII
INDICIONE
SEPTIMA
PORTA ME
DIOLANESIS
Scudo
che rect It croce
del Cornane
FACTA
TEMPORE
CPITANIE
Mi BONACVR
SII DE ALIATE
CIVlS MEDIOLANI
/. Altre relazioni tra Alba e Milano nel secolo XIII. — Sovra
un alto colle a due miglia d'Alba siede la terra di Diano, sede del
CoHùtaius Dianensis assai famoso nell'età di mezzo, che si sostituì anzi
2l8 APPUNTI E NOTIZIE
un tempo, ne' secoli X-XI, ad Alba stessa. Ora alle vicende di codesto
castello si riferisce la seguente iscrizione, cui TUghei^u, Italia sacra, ed.
Coleti, Venetis, 171 7, to. IV, e. a88, pubblicò assai scorrettamente, e che
noi oggi possiamo riprodurre qui riscontrata sul marmo originale an-
cora esistente, grazie alla cortesia del dotto collega prof. Federico £lu-
sebio :
^MCCLXXXXII DIE VII
I . DECEMBr' MVR' hP CASTRI
CVM DOMIB' CONNEXIS DCO C.
AST.** DIRUPT* FUIT TPR DNI b** D*
SCA IVLIA EPI ALBEN. P. HOIES ALBE
ET DIANI AD TRACTATV QVORVDA
DE DIANO TC REB*UUM DCI EPI EP {S$cJ
I CVI* REFECTO ICEPTA FUIT AVXILI
O ROMANE ECC. MEDIA P. EOS
DEM REb'lOS TPR DCI EPI. MC..,. (l)
LXXXXVIII DIE P. IVN.
Nella terzultima linea il media sta a significare mediolanensis, ab-
breviatura, a dir vero, fuori di ogni consuetudine, pure di non dubbia
lettura, sapendosi che la diocesi d'Alba ai tempi di Bonifacio III de)
Carretto^ vescovo di cui ragiona Tepigrafe, era dipendente dall'Archi-
diocesi di Milano.
/^ Un fonditor di campane milanese del secolo XIV. — Testé a
Foligno si rinvenne presso un fonditore di campane, ,che se n'è servito
come di materiale fuor d'uso per i lavori suoi (2), una vecchia cam-
pana del peso di tre quintali, proveniente da Visso, paese dell'Appen-
nìno centrale, la quale recava in giro, scritta sovra due righe in gotici
caratteri, la seguente iscrizione:
o
^ in nomine domini amen. anno domini millesimo III LXXXIin.
>J< MENTE SCAM . SPONTANEAM . HONOREM DEO. PATRIE LIBERATXONEM
lACOBVS DE MEDIOLANO FEaT.
Il nome di Jacopo da Milano torna nuovo tra quelli degli artefici
rpìlanesi del secolo XIV.
In quanto air iscrizione che precede' la sottoscrizione sua, essa è
ben conosciuta siccome quella che riapparisce con particolare compia-
cimento riprodotta sulle campane del medio evo ed anche di tempi più
(i) Rottura nel marmo che ha fatto sparire il secondo e.
(a) S'erano, a dir vero, intavolate pratiche da taluni amorevoli cul-
tori delle memorie cittadine per salvare codesto raro oggetto dalla di-
struzione; ma esse a nulla disgraziatamente approdarono.
APPUNTI E NOTIZIE 219
recenti. Per limitarci ad un esempio che primo ci soccorre alla me-
moria, rammenteremo cosi com'essa si legga pure in una bella cam-
pana fusa nel maggio del 12971 che la Confraternita del Corpus Domini
dì Sanseverino Marche volle affidata in deposito alla Pinacoteca di
quella città (i).
Perchè poi si sia presa l'abitudine di decorare con un'iscrizione
cosifiatta le campane ci rimane oscuro. Le parole che la costituiscono
sono quelle stesse le quali ricorrono sopra la famosa tavola di marmo,
sottoposta per ministero degli angeli al capo di S. Agata martirizzata,
secondochè attesta già il Durando nel lib. VII, cap. VII del Rationale
div. officiorum, Codesta tavola, trasportata, non si sa bene né da chi né
in che tempo, a Cremona, 9i custodisce e si venera tuttavia nella chiesa
di questa città dedicata da secoli moltissimi alla martire siciliana (2);
ma. non è a tacere però che Catania, la patria di S. Agata, vantasi
ancor essa di possedere sì prezioso monumento; tantoché — caso ab-
bastanza frequente, ove di reliquie si tratti — le tavole prodigiose sa-
rebbero due. Non è ufficio nostro portar giudizio sull'autenticità del-
l'una o dell'altra ; ma ben ci toma lecito esprimere il desiderio che del
ragguardevole cimelio cremonese, ii^teressante per più ragioni anche
alla storia dell'arte, venga una buona volta recata innanzi una diligente
illustrazione. F. N.
.\ Per una data a nativitate. — Nella mia memoria Le Sentenze
criminali dei Podestà milanesi, pubblicata nel fascicolo di Settembre del-
V Archivio, osservando che la lettera di nomina del Podestà Artale de
Allagonia era datata ji Dicembre 1402 deoma indictione, e quella di
conferma, per altri sei mesi, 7 Novembre 1402 undecima indictione, cre-
detti vedere in ciò un' incongrue«za cronologica che attribuii ad un
errore dell'amanuense. Il chiaro prof. F. £• Comani mi fa considerare
che le due date sono conciliabili, quando si conti il principio dell' anno
a Nairviiate, cioè a dire dal 25 Dicembre, invece che a drcumcisione
(1* Gennaio), com'è lo stile comune. Ammesso che la indizione si com-
putasse in Milano dal Settembre, l'indizione decima andrebbe dal Set-
tembre del 1401 a quella del 1402, e la undecima da quello del 1402 al
Settembre del 1403; ora, siccome il 31 Dicembre 1402, stile a nativitate,
corrisponde in realtà al 31 Dicembre 1401, stile comune, è naturale che
(1) Vedi V. Aleandri, Un^aniica campana in Arte e Storia, a. XIX
(III della III serie), n. 5, Firenze, 5 marzo 1900, p. 32. Detta campana fino
ai primi anni del secolo XVUI, appartenne alla chiesa di S. Benedetto,
membro d'antico convento di Benedettini sito in valle S. Clemente. —
Anche altre campane di Foligno e di Cremona recano la stessa leggenda.
(2) Sulla tavola cremonese vedi oltreché l'Arisi, Crem, iiter,,iy 297,
F. Aporti, Memorie di Storia Ecclesiastica Cremonese, Cremona, 1837,
Parte II, p. 201 segg.Troviam qui riportati i brani più salienti d'un Ordo
Uiamarum che prescrive il rito da compiersi nell'occasione della festa
della Santa e d una Messa quasi speciale alla basilica cremonese, che
solea celebrarsi nella stessa solennità.
220 APPUNTI E NOTIZIE
questa data cada nell'indizione decima, e il 7 Novembre 1402, uguale
per entrambi gli stili, nella undecima.
Che la cancellerìa viscontea contasse a nativitate hanno assai ben
dimostrato gli arguti studi del prof. Comani medesimo, Usi cancelie'
reschi Viscontei, pubblicati, non è molto, néìVArchtvio nostro: quegli
studi, quantunque condotti su pochi documenti reggiani, vengono a con-
clusioni le quali sono pienamente confermate^ mi piace notarlo, dai nu-
merosissimi nostrì registri ducali e dai registri di Provvisioni dell' Ar-
chivio civico, ove ad ogni passo troviamo la formola : Anno domini, etc...
a nativitate eiusdem ; e dagli Statuti medesimi della città, approvati
nel 1396 da G. Galeazzo Visconti, ove a pagina 500 (ediz. Suardi, 1480),
si legge: More mediolanensi annus incipere consuevit et de cetero incipÙMt
IN FESTo NATivTTATis Domini nostri Jesu Christi et Indictio Kalendis
mensis septembris.
Le parole degli Statuti mi inducono a fare qualche altra osserva-
zione sulle indizioni. Dal confronto di parecchie lettere ducali m' era
parso d'aver ricavato, per Milano, la conferma a quanto dice l'Alvino
(/ Calendari, Firenze, 1891) quando M* Indizione imperiate o Costanti-
niana assegna in genere il 24 Settembre : ma quel confronto avevo con-
dotto su lettere di varia data, tra la seconda metà d'Agosto e la prima
d'Ottobre, che non era facile trovarne di quelle cadenti proprio nel
primo o almeno nei primi di Settembre. Ora, armatomi di pazienza, ho
ripreso da capo l'esame, con questo secondo criterio, ed ho potuto as-
sodare che l'indizione qui da noi si computava, di regola, come dicono
gli Statuti, dal primo Settembre.
Infatti, proprio con questa data, ho potuto trovare tre lettere: 1407,
141 1, 1435 (i), le quali portano rispettivamente la nuova indizione
prima, quinta e decimaquarta. In parecchie altre dei primi del mese, tra
il 3 e il IO, ho pur veduto cambiata l'indizione, cioè:
3 Settembre — Anno 1410 Indizione quarta.
4
n
—
»
1408
n
seconda.
5
n
—
»
1392
»
prima.
5
n
—
»»
1394
»»
terza.
5
n
—
»
X4OI
w
decima.
6
»
—
n
1409
»
terza.
6
tt
—
v
I4I3
V
settima.
7
n
—
w
1396
V
quinta.
:o
»
—
n
1397
»
sesta.
E questo ci dà presumibilmente la conferma della regola. Tuttavia
qualche volta la regola par contraddetta. In una lettera del 1412, al
(i) Nei Registri di Lettere Ducali e in quelli di Provvisioni dell'Ar-
chivio Storico civico. Non cito i volumi perchè i documenti sono faci-
lissimamente reperìbili per mezzo dei registrì disposti in ordine cro-
nologico.
APPUNTI E NOTIZIE 331
nata l'indizione quinta (Rg. Lttt. Due. 1410-
ra del 1419, pure al s Settembre, ancora la
S, fol. 1770); in una terza infine, del 1403, al
incora la indizione decinia( Ibid., i4oi-i403,
)ni, come si vede, rarissime, non mi sembra
stanza potendo esse benissimo attribuirsi ad
chi trascriveva i decreti ; e credo potersi rite-
lO l'indizione partiva dal primo di Settembre.
Ettore Verga.
iull'arte DEI FusTAGNARt A MiLAHO. — Il slgnor
qui le dovute grazie, mi regalava tempo fa a
o di documenti e pergamene di sua spettanza,
itità molto maggiore andata miseramente di-
:riori all'anno 1500, e, sebbene non abbiano
non SODO prive di un certo interesse per la
e per quella delle chiese, monasteri ed ospe-
nisio, delle famìglie Reschisi o Raschisi, On>
a Porta ed altre.
nare sull'argomento per dare almeno, a van-
ICO o regesto del materiale anzidetto che tengo
Jegli studiosi, intendo qui segnalare uno dei
ia un' importanza maggiore degli altri, e cioè
\ Bapiìste dt Tradalt in arie fuslantorum if]4:
Iella piccola pergamena che contiene l'istru-
lai rogiti dal notajo Ottorino de Montebreto,
che fin dal 1890 scriveva in quest'i^rcAino
proposito dell'arte dei fustagnari che fu tra le
Milanesi nei secoli scorsi. Ancorchi non re-
re: * Malgrado lavori parziali, non inutili né
ra storia delle manifatture di Milano non è
ESta che rende utile l'edizione di ogni nuovo
n contributo. „
inno a nativitate eiusdem millesimo quadrin-
■ quarto, indictione septima die martis octavo
dotninus Bartholameus de Soris abbas artis
: ducatus Mediolani suo nomine ut Abbas ut
!t vice domini Mafioli de Vignalis sìmiliter ab-
is modo iure via et forma quibus melius suo
et potest, assumpsit et recepìt et assumit et
ninum Baptistam de Tra date filium quondam
Cumane parochie sancii Vincencii Mediolani
èm, ita et taliter quod ipse dominus Baptista
APPUNTI E NOTIZIE
223
émi donne incoronate " tenentium in manibus dextris spatam unam et
bflancìam unam in sinistrìs ^ nel 1471; di un frate ** cum capa tenentis
b«ealum unum in manu dextra, equitantis unum leonem „ nel 1471;
di una staffa e di due staffe " cum staferiis irt medio duorum candela-
brorum „ nel 1472; di una stella nel 1473; di due uomini lottanti nel 1474
e ^éVt Angelo Gabriele col giglio in mano nel I49Ò (x).
Vha di più. V'erano segni ^ signandi agugìas » e fin dal 1458 ri-
coire un * Agnus dey cum banderola una cum cruce in spatulis ipsius
Agtlus Dei et cum «diademate in capite ^, Nel 1488 V aquila bicipite già
serviva a bollare i saponi milanesi (2). Da ultimo notisi che in un rogito
dd già citato nòtajo Ottorino da Montebreto dei 30 giugno 1467, figurano
i nomi di tutti ò quasi i componenti il paratico dei fustagnari di Mi-
lano (3).
,% Un orologio a sveglia nel secolo XV. — Un astrologo, certo
Giacomo da Piacenza, monaco nel monastero dì S. Bernardino di detta
città, scrive, il 30 maggio 1463, a Francesco Sforza raccontandogli certo
prodigio celeste, forse la caduta di un bolide, osservato di notte da lui
e da altri suoi compagni e ne presagisce sventura. Pubblichiamo questa
ettera recentemente rinvenuta in Carteggio Sforzesco, detto anno, perchè
in essa si fa menzione, abbastanza chiara, di un orologio a sveglia che
il buon frate teneva presso il letto.
Jesus.
■ Dlustrissimo Principo Ducha, Aricordeve che di e nocte mi m'ari-
* cordo de li facti vostri: za più volte ò facto oratione a Dio prigan-
* dolo stretamente per la sua sacrissima passione che si volià dignare
per sua misericordia da volerme concedere questa gratia chi potesse
vedere alcuno signo, si puro la sua misericordia voliva lasare correre
quelb judicio sopra de nuy, el quale ve manifestai a boccha e ve ho
mandato in scrito per ordine. Si passando alquanti dì, siando mi a
dormire e' fui risvegiato e non so da chi, donde che credandome my
che lo risvegiarolo m'avesse disedato e' me levay e trova' che risve-
giarolo non era scargato anzi gi mancava meglio de una bora, donda
«
e
a
a
«
a
(i\ Rog. not, Giorgio da Molteno, 1394, 27 marzo e 1411, 12 marzo —
Dot Giovanni da Cermenate, 1408, ijt gennaio — not. Onrigolo di Sarti-
rana, 1408, 28 giugno, 1418, 30 maggio — not. Francesco Spanzotta, 1447
27 novembre — not. Ottorino da Montebreto, 1453,27 aprile, 14^1, io gen-
naio, 1464, 9 oprile, 147 1, 22 aprile e 15 ottobre, 1472, 16 maggio, 1 473
4 febbraio, 1474» 7 lugho — not. Maffeo Suganappi, 1490,23 gennaio. [Re-
gesti nei Codici Trivuleiani, n.* 1815, fol. 24 III, 70 111; n.° 1816, fol. 164,
167 t.*» 151 III; n.* 1820, fol. 455 IH, 513, 514, 514 IV, 517, 517 t.*, 517
III, 517 IV, 488 IV].
(2) Not. Giovanni Scazosi, 1458, io ottobre — not. Filippo Brenna»
1488, 12 dicembre. [Regesti nei Codici Trivuleiani, n." 1820, fol. 522 IV
é D.* /817, fol. 254 IV],
(3) Lod. Triv., n.^ 1820, fol. 516.
224 APPUNTI E NOTIZIE
che mi volìando ìnsire fora di cassa per alcuno mio bisogno e visto
in celo una stella, la quale dimostrava da essere grande corno sareve
la bocha de una zania et insiva fora una fìama cossi grande quanto
fareve due grande fornase che fossero acesse di grande fogo, e donda
a mi parìva che la fosse sopra di Milano e la prima volta che la
viste fò a XXVI dì de marzo, vegniando la domenega di nocte e
quando l'ave vista, quelo che a my parse anday e si domanday iney
compagny. Anchora puy gi haviva duj altri frati foresteri, l'uno di
queli sta a Sancta Maria di Rivanta e l'altro a Sancta Maria di Vi-
golzono si che tuti per ordine gè fece videro questo miracholo si che
a my me pare che may non fosse el mazore signale di questo, ex-
cepto el profondo di Godoma (sic) e de Sodoma e del signo che fece
Helia. Sicché a my me pare che Dio habia terminato da lasare cor-
rere questa disgratia sopra de nuy, si pratige mò quelo provedimento
che piase a la Sig.^t V.r» Ultra de questo e' ve haviso che questi
nostri frati di Lombardia si ano facto capitolo de volere impetrare
uno provilegio del Sancto Padre e si m'ànno lecto my a chi che sia
indigno procuradore del ordine per dovere fare cavare queste bolle
sì che el bisogna che la Sig.^t V.r«. gi meta mano con lo Sancto Padre
de recomodarnege che ne li volia concedere per che questo che fa-
cemo el facemo per prò vedere a molti tristi che vano fazando de
" molti scandoly, ben che mi ho volia che passando pascua da vegnire
" da la Sig.ri* V.r» e dirove a bocha più suctillemente che non ve scrivo,
" avisandove che dì e nocte non me vedo stancho da fare orazione a
" Dio per vuy, e per la cassa vostra, perchè me vedo essere strcto
" e obligato a doverlo fare. Pregove caritativamente che ve aricordate
" de li facti nostri de l'ordine che desseve Antonio da Piasenza che
non he andato niente a siguicione, ben che ne scrìsse una lettera
l'altro dì a la Sig."* V.r» e non habiemo sentito niente. Facta a di
XXX de Mazo, MCCCCLXUI.
Fra Jacopo
Ministro in sancto Bernardino in Piasenza.
A tergo: Sia data in proprìa mane de lo Ulustrìssimo prìncipo
ducha di Milano. ,
Importanti documenti sull'astrologia pei secoli XV e XVI conscr-
vansi in buon numero nel nostro Archivio di Stato, ed una parte di essi
fu in diverse riprese studiata dal prof. F. Gabotto il quale ne compilò
alcune notevoli memorie, edite nella Rivista di filosofia scientifica (1889)
e nella Letteratura (1891).
A. Cappelll
» • ^ La fondazione nel 1494 dell' Oratorio del Luogo Pio dei
VECCHI E dei ricchi PRESSO LA Cascima PORTELLO. — Pubblicandosi in
quest' Archivio XXV. 1898, p. 378, una lapide inedita del 1631 ed un
Codicetto del Pio Luogo dei vecchi e dei ricchi di San Giovanni sul
«
u
APPUNTI E NOTIZIE 225
Muro, vicino alla Cascina Portello, io esternava l'avviso che la fonda-
zione di quella chiesuola suburbana fosse dovuta al favore sempre go-
duto dai Deputati di quella Congregazione da parte dei duchi Visconti
e della Casa Sforzesca, e che la sua edificazione fosse da ascrivere
piuttosto al XIV che non al XV secolo.
Nulla poteva arguirsi al riguardo dai pochi resti sopravanzati; dopo
il restauro del 163 1, della pristina Cappella, mancandovi la serraglia della
vòlta absidale né residuandovi capitelli o pietre scritte e scolpite che
avrebbero potuto fornir luce in argomento ; ma ultimamente lo spoglio
delle Lettere ducali che conservansi nel Civico Archivio ha tolto di
mezzo ogni dubbio.
Data infatti dal 1484, e così dal governo del giovane duca Gian
Galeazzo Maria Sforza, sotto la tutela dello zio Lodovico il Moro, la
concessione agli Scolari di San Giovanni sul Muro di costruire una
chiesa o cappella alla B. V. ed ai Santi Rocco, Sebastiano e Cristoforo nel
pasquaro in capo al borgo di San Giovanni, presso la " sostra ducale „
in un remoto luogo disabitato, né il duca vi ebbe parte che per la re-
lativa e chiestagli autorizzazione.
Offriamo pertanto, qui appresso, a rettifica di quanto fu riferito
nel 1898, il testo medesimo della lettera ducale in questione, colla data
del 6 luglio 1494.
* Concessio scolarìum Sancti Johannis supra murum construendi
* ecclesiam sanctorum Rochi, Sebastiani et Christophori in capite burgi
* sancti Johannis. „
• Johannes Galeaz Maria Sfortia, Vicecomes, Dux Mediolani, etc,
* Papié Anglerieque Comes ac Genue et Cremone dominus. Apud nos
* nuper per nonnullos Nobiles istius inclite Urbis qui cedulam nobis
* porrcctam eorum manibus subscripserunt, supplicatum extitit, ut cum
* in capite burgi divi Johannis supra murum Urbis ipsius existat locus
* quidam turpis et inhabitatus, eis concedere velimus quo ibi capellam
* ad honorem Virginis Mariae ac Sanctorum Rochi, Sebastiani et Chri-
* stophori edifìcari facere possint, quemadmodum clarius ex infra-
■ scriptis verbis perspicere poterit. ** Ill.mo et E.mo Signore, hanno de-
■ liberato parendo a V. S. li gentilhomini infrascritti et vicini della pa-
* rodila de Sancto Johanne sopra el muro de Mediolano ad reverentia
■ et devotione de la Intemerata et gloriosa Vergene Maria et delli
* Sancti Rocho^ Sebastiano et Cristophoro di fare construere una Cap-
* pela seu devotione nel pasquaro posto et sito in capo del burgo
* del p.» Sancto Johanne et appresso la sostra de V. S. aciò se degnano
" pregare Iddio deffendi quella et el suo popolo de Mediolano da
' peste et altre tribulationi, supplicandogli se degna la prefata V. S.
" per sue lettere patenti dispensare et mandare che essa opera se possa
* fare; perché sarà summo bene d'uno loco abominoso farlo devoto et
* sacro, locché credono sia mente della precitata V. S., la quale, obstan-
' dogli cosa alcuna, se gli degna derogare. „ Nos autem perspicientes
* hoc nonnisi ad decus Urbis pretacte nostre cedere commodumquc
Arch. Stor. Lomb.^ Anno XXIX, Fase. XXXHI. 15
226 APPUNTI E NOTIZIE
" ibi commorantium concernere; et quod potissimum est ut intercessione
" Virginis Marie, sanctorumque ipsorum Rochi, Sebastiani et Christo-
*^ phori, apud omnipotentem deum nostrum epidimìe hujus contagium ad
• nihilum se reducat, decrevimus supplicantibus ipsis annuere. tenore
** ergo presentium eis licentiam concedimus praedictam capellam in
** memorato loco edifìcari faciendi cum juribus, fundamentis et edifitiis
• opportunis, aliquibus in contrarium facientibus non obstantibus. Man-
" dantes Vicario provisionum Comunis nostri Mediolani, ncc non duo-
" decim ibidem ac reliquis quibus spectet: quatenus has nostras cofn-
* cessionis litteras firmiter observent et observari faciant. in quorum
* fìdem presentes fieri jussimus et registrar!, nostrique sigilli imprcs-
* sione muniri.
" Datum Mediolani die 6 Julii 1484. „
** Signat. Jo. Galeaz, Maria dux Mediolani. ,
" Subscripsit : B. Chalcus. „
Il documento non ha per sé bisogno di commenti, ma notisi fra i
motivi addotti dai richiedenti quello che reputavano essi * summo bene ^
d'uno " loco abominoso farlo devoto e sacro, , locchè tornava a quei
tempi di maggior decoro ed abbellimento della città nei luoghi meno
curati e disadorni della sua vasta area.
Diego Sant'Ambrogio.
/^ L'Alciato a Ferrara. — Nel fascicolo di febbraio del Journal
des Savants testé pubblicato, il professor Emilio Picot, avvalendosi dei
copiosi materiali inediti recentemente messi alla luce da Giovanni Mar-
tinelli e da Giuseppe Pardi intorno alla storia dell'Università di Fer-
rara, nonché delle anteriori ricerche del Borsetti, de] Baruffaldi, del
Gennari, del Barbi-Cinti, del Bottoni, del Solerti, del Venturini, dell'e-
gregio consocio nostro conte Gir. Secco-Suardo, torna a studiare le vi-
cende di quello Studio celebrato, mettendo in luce come nei sec. XV e
XVI vi concorressero dalla Germania, dalla Francia, dalle Fiandre mol-
tissimi discepoli. E giovandosi poi delle liste di studenti pubblicate dal
Pardi, richiama particolarmente l'attenzione dei connazionali suoi sui
nomi dei Borgognoni, dei Savojardi, dei Delfinatesi che convennero nu-
merosi, nel Cinquecento soprattutto, sulle rive del Po, porgendo in-
tomo a loro notizie assai ricche ed interessanti con quella sicura co-
noscenza del Rinascimento francese che tutti gli riconoscono.
Ma le erudite indagini del .Picot non avrebbero diritto d'essere qui
menzionate, se nel rendere conto dei motivi che attirarono in precipuo
modo gli studenti stranieri a Ferrara a mezzo il sec. XVI, ei non ram-
mentasse r insegnamento di diritto che v'impartì dal 1543 al 1546 il ce-
lebre giurista milanese Andrea Alciato, ed, indottovi dal soggetto, non
pubblicasse, desumendole da una preziosa raccolta ms. di lettere scritte
a Gian Giorgio Trissino due volgari epistole dell'Alciato, evidente-
mente giudicandole inedite. Nella quale persuasione il dotto francese
s'inganna, giacché entrambi quei documenti — le uniche lettere in voi-
APPUNTI E NOTIZIE 237
0 dell'Aiciato — furono già stampate fin dal
Bossi, in appendice alla sua versione della ce-
, Vita t pontificalo di Leone X (i. X, pp. 165-7),
rio poi coli' e rudi zio ne che gli è consueta, il
est'Archivio medesimo, illustrando un manipolo
To, indirizzate dal milanese giureconsulto a
1, 1890, pag. 812 e 827).
del Picot viene a perdere per questo rispetto
sa riesce tuttavia interessante, giacché ci per-
1 andata a finire l'importante silloge di lettere
poranei al Trissino, di cui il Bossi s'era sugli
iT^ito. Essa fa oggi parte dei tesori bibliografici
lati dal barone Enrico di Rotschild a Parigi,
all'occasione che ci si porge di parlar dell'AI-
lese, per annunziare che il doti. Ottavio Ciar-
la R. Accademia scientifico-letteraria , sta da
i all'uopo di ricostruire sopra nuovi fondamenti
Del quale assai probabilmente ei darà alcres)
irteggio inedito col dotto svizzero Bonifazio
'va autografo nel codice G. H. 14 della biblio-
lilea.
5) fu l'inventore, come si sa, del magnetismo
tiano Giraud, nato in Pinerolo nel 1730 e morto
r, cercò d'imrodorlo nel Piemonte.
andò con ' nuovi documenti , sul Giraud, nel
IO (a. VI, n.' 3-6, pag. 356], produce un catalogo
< state istruite nella dottrina mesmeriana dal
in * Gabelli, medico delta città di Cremona. ,
iglia milanese, nota con sicurezza dal XII se-
e coBte Egidio 0«io, del quale rimpiangiamo ora
> giugno 1840, ebbe la sua educazione nel Col-
ito dai Padri barnabiti. Il padre Piantone, suo
li frequente in casa del conte Dandolo, dove
ilio Dandolo, superstite di una prima genera-
eva combattute le battaglie delle guerre del-
1849. Studente all' uniTcrsità di Pavia nell'in-
ccenno ad una guerra contro l'Austria, intcr-
I Ticino e va ad arruolarsi volontario nella bri-
f>Uce soldato combatti alla battaglia di Palestro,
a entrò nella R. Accademia militare donde rì-
eato col grado di sottotenente. Prese parte alla
,(•■
228 APPUNTI E NOTIZIE
campagna nell'Italia meridionale e fu all'assedio di Capua, dove ebbe
la menzione onorevole al valor militare. Nel 1863 fu trasferito col grado
di luogotenente nel Corpo di Stato Maggiore, e, promosso capitano,
nel 1867-68 fu mandato al quartier generale di Sir Robert Napier per
partecipare, quale rappresentante militare del nostro paese, alla spedi-
zione in Abissinia contro il Re Teodoro. Di tale sua missione egli ci
diede un racconto che comparve nel Bollettino della Società Geografica
del 1869 e fu ripubblicato dalla Rivista Militare Italiana nell'aprile del
1887, allorquando i fatti di queir anno erano venuti a ridargli un altro
interesse di attualità. Col generale Ezio de Vecchi ebbe parte ai lavori
geodetici in Sicilia, coi quali venne iniziata la carta d'Italia.
Fu al ministero della guerra col gen. Ricotti e, più tardi, al Comando
del Corpo d' armata di Verona col generale Pianell. Nel 1879 venne
mandato a Berlino quale addetto militare presso la R. Ambasciata,
posto che abbandonò dopo due anni per assumere l' incarico dell' istru-
zione ed educazione di S. A. R. il Principe di Napoli. Attese al deli-
cato ed importante compito per 9 anni, e cioè fino al 1890, epoca nella
quale ebbe il comando del 18.' reggimento fanteria. Fu promosso mag-
giore generale nel gz, comandando la brigata Bergamo, a Genova e
ad Udine. Nel 1898 tenente generale, resse per qualche tempo la di-
visione militare di Brescia» indi quella della sua Milano che tenne sino
alla morte.
Tali sono in riassunto le linee principali della vita militare di que-
sto illustre soldato intorno alla quale diffusamente si scrìsse in questi
giorni. A noi il ricordare in ispecial modo l'operosità sua nel campo
storico, che lo fece accogliere da lungo tempo fra i membri della So-
cietà Storica Lombarda. Col nostro compianto presidente Felice Calvi
ebbe dimestichezza e comunanza di lavoro. Frutto delle sue lunghe e
faticose ricerche negli Archivi cittadini fu la Storia della famiglia Osio,
pubblicata nel giugno 1896. Essa porta nuova luce intorno alle vicende
della monaca di Monza e costituisce un prezioso contributo alla nostra
stona comunale. Questo lavoro deirOsio dimostra una grande sicurezza
di metodo critico ed una vera attitudine a questo genere di studi nei
quali avrebbe raggiunto un posto eminente se le gravi occupazioni del
suo servizio non avessero assorbito troppa parte della sua grande atti-
vità. Da questa sua attitudine gli fu per altro reso possibile di impar-
tire una larga e solida cultura storica air Augusto discepolo, nel quale
trasfuse la passione per la numismatica, come mezzo geniale per se-
guire le intricate vicende del medio evo italiano. Nei brevi ozi conces-
sigli, si dedicava l'Osio con amore allo studio della storia, ed in tale
intento, aveva raccolto nella sua casa di Monza un gran numero delle
migliori opere storiche. Quest'uomo, dotato di una mente essenzial-
mente moderna, aveva il culto delle sane tradizioni ed alternava abi-
tualmente alla lettura dei sacri testi quella dei classici, sovrattutto latini.
O P £& IS
pervenute alla Biblioteca Sociale nel I trimestre del 1903
Annual Report of the American Historical Association 1889. Voi. 2. —
Washington, 1900 (d. d. Società).
Beltraio Luca. Relazione sullo stato delle Rocche di Romagna, stesa
per ordine di Clemente VII, etc. (Nozze Greppi-Belgioioso). — Mi-
lano, 1902 (d. d. A.).
Bernhardy a. a Venezia e il Turco nella seconda metà del sec. XVII.
— Firenze, 1902 (d. d. A.).
Bianchi Giovanni. Giulio Alberoni e il suo secolo. — Piacenza, 1901
(d. d. Stab. Tipogr. Piacentino).
Calleri Dino. Statuti del Comune di Treville nel Monferrato. — Ales-
sandria, 1901 (d. d. A.).
Carreri F. C. Il faldello di Ayliscia da Dovara. — Mantova (d. d. A.)-
Catalogo Me.odico degli scritti contenuti nelle pubblicazioni periodiche
italiane e straniere. P. I. (Biografia e Critica). IV Supplemento. —
Roma, 1902 (d. d. Biblioteca della Camera dei Deputati.).
Colombo Alessandro. Bianca Visconti di Savoia e la sua signoria di
Vigevano. — Pavia, 1901 (d. d. A.).
Constitutiones Dominii Mediolanensis, con appendice di documenti di
mano dei secoli XVI-XVII. — Mediolani MDLXXIII (d. d. s. Novati).
Festi (de) Cesare. Di un Lodrone, etc. (E^tr. dal Tridenium). — 1901
(d. d. A.).
HallerJ. Die Belehnung Renés von Anjou mit dem KOnigreich Neapel
(143J6). — Rom, 1901 (d. d. Editore Loscher).
Lasson Adolf. Giordano Bruno. Von der Ursache dem Princip und dem
Einen. — Leipzig, 1902 (d. d. Editore).
LocATEui Giuseppe. Marco Alessandri, direttore cisalpino (con lettere
inedite del Mascheroni). — Bergamo, 1902 (d. d. A.).
Maotu (la) Vito. Testo antico delle Consuetudini di Messina, etc. —
Palermo, 1902 (d. d. A.).
Milano Sanitaria. — Anno VII, 1902 (d. d. A).
Mojana (de) Alberto. La base de Tuto. — Monza, 1901 (d. d. s. A.).
Motta Emiuo. Alcune lettere di Illustri Italiane etc. (Nozze Castelli
Mailer). — Bellinzona, 1901 (d. d. s. A.).
Norme generali per la pubblicazione dei testi Storici per servire alle
edizioni della R. Deputazione di Storia Patria i>er le antiche Pro-
vincie e la Lombardia. — Torino, 1902 (d. d. s. Novati).
Poggi G. Le due riviere ossia la Liguria Marittima nell'epoca Romana.
— Genova, 1901 (d. d. A).
Poca VrrroRio. Series Rectorum Reipublicae Genuensis, etc. etc. — To-
rino, 1900 (d. d. A.).
Primo Centenario di Vincenzo Gioberti. Discorsi commemorativi. Ren-
diconto ai sottoscrittori. — Torino, 1901 (d. d. s. Novati).
RiBOLDi Ezio. Pinamonte da Vimercate. — Vimercate, 1901 (d. d. s. A.).
230 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
R6HRICHT R. Geschichte des ersten Kreuzzuges — Innsbruck, Wa-
gner, 190 1.
— Marino Sanudo sen. als Kartograph Palàstinas.
~ Deutsche Pilgerreisen nach dem Heiligen Lande. Neue Ausgabe.
Innsbruck, 1900 (d. d. s. Motta).
v^/v Rotta Paolo. Aggiunte alle gite archeologiche. — Milano, 1901 (d. d. s. A.).
Sant'Ambrogio D. Sull'ordinazione dei confratelli della concezione etc.
(Estratto). — Pavia, 1901 (d. d. s. A.).
Savio Fedele. Il culto di S. Vittore a Ravenna. — Roma, 1901 (d. d. s. A.).
Starrabba R. Consuetudini e Privilegi della città di Messina, da un
codice del secolo XV della Comunale di Palermo. — Palermo 1901
(d. d. A.).
Dal Vice-presidente March. C. E. Visconti:
Arrigoni Luigi. Collezione di autografi. — Milano, 1885.
Bembo Pietro. Della Istoria Viniziana. Voi. a. — Milano, 1809.
Bentivoguo (card. Guido). Oi>ere Storiche. Voi. 5. — Milano, 1807.
Cambiaghi Locatelo C. Dalle origini alla proclamazione del Maji. —
Conferenza.
Cantù Cesare. Gli Annali della Fabbrica del Duomo. Memoria.
Concini Concino, maresciallo d'Ancre. Memoria inedita. — Milano, 1847.
Davanzati Bernardo. Scisma d'Inghilterra ed altre oi>erette. — Mi-
lano, 1807.
Gay Roboldo. La terza Italia. Saronno, 1888.
Machiavelli Niccolò. Tutte le opere. Voi. 10. — Milano, 1809.
Martinez de la Rosa. La congiura di Bajamonte Tiepolo in Venezia.
Versione di F. Sanseverino. — Milano, 1844.
MiGNET M. Antonio Perez et Philippe II. — Bruxelles, 1845.
Porro Giulio. Il Conte Faustino Sanseverino. — 1878.
Salveraguo Fnjppo. Il Duomo di Milano. — Milano, 1886.
Sanseverino Faustino. Notizie sulla vita e le ojjere di Placido Zurla. —
Milano, 1857.
— Francesco Lucchi. Cenni Biografici. — Crema, 1848,
Segni Bernardo. Storie Fiorentine, colla vita di Niccolò Capponi, 3 voi.
— Milano, 1805.
Segur. Histoire de Napoleon et de la grande arnfiée, 2 voi. — Paris, 18^15.
Sommi Picenarni Guido. Cremona durante il dominio de' Veneziani. —
Milano, 1866.
Siciliani Cesira. Una visita agli Ossari di S. Martino e Solferino. —
Bologna, 1881.
Varchi Benedetto. Storia Fiorentina, voi. 5. — Milano, 1804.
Dal Socio Cav. E. Ghisi :
Annoni P. C. Un plagio dello storico Bernardino Corio. — Milaho, 1875.
Beltrami- Moretti. Visita alla Certosa di Pavia. — Milano, ig^.
Casati C. I capi d'arte di Bramante da Urbino. — Milano, 1870.
Longoni Glvcinto. Cenni sui dipinti di Marco d'Oggiono. — Lecco, 1858.
Massarotti-Neri. Gaudenzio Ferrari. — Varallo, 1874.
OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE 23I
Dal Socio Gian Franco Cagnoni :
Annuario Statistico della Provincia di Milano. — 1860.
_ Archi (Gli) di Porta Nuova. — Memoria della Consulta del Museo Patrio
di Archeologia.
— Discorso di D. Muoni alPAccad. Fisio-Medico-Statistica.
— Rapporto della Com. del R. Istit. Lomb. di Scienze e Lettere.
BiojfDELLL Importanza degli Studi Archeologici in Lombardia.
— Di una Tomba Gallo Italica a Sesto Calende.
Bdlettino di notizie statistiche ed economiche. — 17 Fase, del 1833,
e 1834.
Bossi Giuseppe. Descrizione del Monumento di Grastone di Foix.
Conto dell*Amministr. delle Finanze del Regno d'Italia nel 181 1.
Galleria Uboldo. — Descrizione di alcune opere di Belle Arti.
Guerrazzi. Al Principe ed al Po|>olo. — Intorno allo stato delle cose
in Toscana. — 1847.
Maittovanl Notizie storiche sulla Chiesa di S. Salvatore in Barzanò.
Marocco. Cenni storici sulla Porta Milanesia di Moncalieri.
Pro Caussa Italica — ad Episcopos Catholicos. — 1861.
Regolamento f>ei conti dei Comuni approvato da S. A. I. il serenissimo
Arciduca Viceré con Decreto 28 Giugno 1821.
Spettatore (Lo). — Varietà Storiche e Letterarie del Sig. Malte-Brun.
37 Fase, del 1804 e 1806.
Dal Socio Conte Giovanni Giovio:
Magenta Carlo. I Visconti e gli Sforza nel Castello di Pavia. 2 voi in
fol. mass. .ili. — Milano, Hoepli, 1883 (In legatura splendida).
Dal Socio Dott. Giovanni Vergani :
Vagliano (G.). Sommario delle Vite degli Arcivescovi di Milano. — Mi-
lano, 1715.
Muom (D.). Melzo e Gorgonzola. — Milano, 1866.
Grandi (E.). L'Osjjedale maggiore, il P. Istituto Ciceri. — Milano, 1898.
Maritccw (O.). Scavi nelle catacombe romane. — Roma, 1890.
AjKaouNi (C). La Galleria De Cristoforis. — Milano, s. a.
Castelu (aw. G.). La beneficenza. Inno Ambrosiano. — Milano, 1901.
J5 mar^o, rgo2.
li Bibliotecario
B. Sanvisenti.
Achille Martelli, gerente-responsabile.
UNA LISTA DI VESCOVI ITALIANI
PRESSO S. ATANASIO
ssENDo COSÌ rari i documenti riguardanti i vescovi dei
primi secoli cristiani, può far meraviglia che niuno fi-
nora (per quanto a me consta) abbia fatto oggetto dei
suoi studi e delle sue ricerche una lista di ben 15 vescovi italiani,
che si trova presso S. Atanasio.
Quest' illustre campione della dottrina cattolica, scrivendo nel
349 la sua Apologia contro gli Ariani (i), riporta i nomi di un con-
siderevole numero di vescovi, i quali avevano qualche anno prima
difesa la sua fama dalle calunnie dei suoi nemici. Chi anche per la
prima volta prenda in mano quella serie, vede tosto come in essa vi
siano due liste o cataloghi. Nel primo stanno mescolati insieme alla
rinfusa vescovi di tutte le parti del mondo ; nel secondo al con-
trario i vescovi sono raggruppati distintamente sotto l'indicazione
delle Provincie a cui appartenevano.
Gli eruditi fratelli Ballerini nei documenti ed illustrazioni che
aggiunsero alle opere di S. Leone Magno, già osservarono che
i 78 vescovi del primo catalogo furono (o tutti o per la massima
parte) quelli che personalmente assistettero al concilio di Sardica,
siccome si riscontra dalle loro sottoscrizioni a questo concilio. Al
contrario la seconda serie contiene i nomi di quei vescovi, che
sebbene non intervenissero al concilio, pure vi aderirono, proba-
bilmente per mezzo di lettere o atti compilati in comune nei con-
(i) È quella che nelle antiche edizioni dicesi seconda apologia. Essa
fu scrìtta in tempo anteriore all'altra^ che le antiche edizioni dicevano
prima apologia, e che ora dicesi apologia de fuga sua.
Arch. Star. Lomb., Anno XXTX, Fase. XXXIV. 16
234 U^A LISTA DI VESCOVI
cilii particolari delle loro province (i). Tal distinzione è conforme
alle parole di S. Atanasio, il quale dopo aver riportato un decreto
del concilio di Sardica, sottoscritto da Osio e da tutti gli altri ve-
scovi presenti, e detto che il concilio mandò quel decreto a coloro,
che non avevano potuto intervenire e che questi l'approvarono,
soggiunge : « 1 nomi dei vescovi che sottoscrissero nel sinodo e degli
altri vescovi (cioè dei vescovi assenti che approvarono), sono i se-
guenti » (2). Seguono quindi i due cataloghi.
Quanto air Italia è certo che nel primo catalogo si leggono i
nomi di tutti i vescovi italiani che apposero la loro sottoscrizione
al concilio di Sardica. Cinque di essi appartengono all' Italia su-
periore, cioè Protasio di Milano, Severo di Ravenna, Fortunaziano
d'Aquilea, Lucilio di Verona e Ursicino di Brescia. Gli altri ve-
scovi d' Italia, scritti nel secondo catalogo, furono collocati da
S. Atanasio sotto l' indicazione : Iti canali Italiae, 'Ev ?w xava'X{6>
T^; iTaXta;. Che questo sia un nome topografico per indicare una
parte d'Italia è evidente, poiché, se i vescovi ivi posti avessero
appartenuto indifferentemente a tutte le varie parti d'Italia, bastava
che S. Atanasio dicesse Ex Italia o In Italia. Quest'indicazione,
che si trova pure nel canone XX del concilio di Sardica (XI se-
condo la collezione di Dionigi il piccolo) formò già il tormento di un
collettore di canoni del medio evo, il quale così espresse la sua in-
certezza : Illud etiam omnino dtnoscere desidero^ qualiter illud intel-
ligendum sii quod in Sardicensi concilio cap, XI legitur: « ut qui
in canali sunt episcopi ».
La spiegazione, vanamente desiderata dallo scrittore anonimo
medioevale, fu data finalmente nel 1622 al mondo erudito dal Bergier
nella sua grand' opera sulle strade dei Romani, pur professando-
sene modestamente debitore ad un altro erudito, il Salmasio. Se-
condo il Bergier, la parola cattale nel canone XX del concilio di
(i) MiGNE, P. L., LVI, 56. I medesimi Ballerini da questa lista di
S. Atanasio e da altri documenti trassero i nomi dei vescovi presenti
a Sardica. In tutto sarebbero stati 97 ; vedi iòid. e Mansi, Concilia, III, 43.
(2) Hoc suum rescriptum Sardicensis synodus ad illos misif, quibus
accedendi facultas non esaet (p.*^ SovY^^tvta': àitavrijoat), qui et ipsis suf-
fragiis suis decreta synodi approbarunt, Eorum autem qui in synodo
scripseruntf aliorumqne episcoporum nomina haec sunt/ Migne, P. G.
XXV, 335.
\
\
PRESSO S. ATANASIO 235
Sardica significa una grande via pubblica, anzi come meglio spiega
il Ducange, quella strada principale che metteva alla corte, le
chemin de la Cour, su cui, come osserva lo Hennin, nelle note al
Bergier, era stabilito il cursus publicus (i).
Siffatta spiegazione per quel che riguarda il suddetto canone XX
apparisce indubbia a chi ne consideri attentamente tutto il contesto.
Erano intenti i PP. del concìlio Sardicese a stabilire delle norme
per impedire che i vescovi troppo frequentemente abbandonassero
le loro diocesi, affin di recarsi altrove, e specialmente alla corte,
come allora appunto avevano fatto e facevano i vescovi ariani, con
tanto danno della religione e della pace pubblica.
Gaudenzio, vescovo di Naisso, ora Nisch nel regno di Serbia,
fece la seguente proposta, che fu accettata dal concilio e rimase
nel canone XX: « Se noi vescovi, che residiamo presso le vie pub-
bliche oppure presso il canale, sapremo che passa per la nostra
città un vescovo, ci informeremo da lui della cagione per cui viaggia
e del luogo al quale vuol giungere. Se egli vuol andare alla corte
si ricerchino i motivi che ve lo spingono, in conformità di quanto
si è stabilito sopra (nel canone VII). Se egli va per invito dell* im-
peratore, non lo si impedisca. Ma se vi andasse per pompa, o per
altri motivi puramente umani (come già fu dichiarato sopra da noi)
oppure per intercedere in favore di qualcuno, il vescovo, che sta
presso le strade o il canale, non sottoscriva le sue lettere commu-
nicatorie, né abbia relazione con lui » (2).
Si osservi che Gaudenzio si mise nel numero di quei vescovi
che stavano presso il canale. In effetto, a Naisso facevano capo
parecchie strade principali dell* impero, e tra esse anche quella
che metteva in diretta communicazione tra loro le città, dove in
quel secolo IV furono più soliti a risiedere gli imperatori, ossia Co-
stantinopoli, Sirmio, Aquileia, Milano, Lione, Treveri, Arles e Roma.
Tenendo conto di questa circostanza e riflettendo alla differenza,
che nel suo discorso fece Gaudenzio tra il canale, e le altre grandi
(i) Bergier, De public is et militaribus Romanorum viis, in Antiqui-
tatts Romanae I. G. Graevu, lib. IV, 18^ 9. Trajéct. ad Rhen., 1699,
to. X, p. I, p. 454 e 760 ; Ducange, Glossariunt, ed. I^nschel-Favre,
Niort, 1883, voi. IF. p. 7r.
(2) Mansi, Co ft citta, III, 22.
I
236 UNA LISTA DI VESCOVI
strade pubbliche, ch'egli chiama semplicemente T^opó&oi (i), non ri-
mane più dubbio sull'interpretazione data dal Bergier e dal Du-
cange alla parola canale, per ciò che spetta al canone XX del
concilio di Sardica. Ond'esso dovrebbe tradursi così: Noi ve-
scovi che dimoriamo in città poste sulle grandi strade o su quella
principalissima (detta il canale) che mette in communicazione tra
loro le città più importanti dell' impero, ecc.
Un significato simile ha pure la parola canale nel testo di S. Ata-
nasio. Però varie considerazioni m' inducono a pensare che il S. Dot-
tore con le parole nel canale d' Italia non volesse solo indicare
la suddetta strada principalissima, ma sì piuttosto che intendesse
tutta una parte d'Italia, ossia quella che in modo particolare era
solcata dalla strada medesima. In tale ipotesi canale d' Italia sa-
rebbe r Italia superiore, dove si stendeva la via principalissima tra
tutte, che dall'Oriente per Aquileia metteva a Milano, e da Mi-
lano in Germania, in Gallia, nella Spagna e per tutte le varie dire-
zioni della penisola italiana (2). Onde nel pensiero di S. Atanasio
l'indicazione: In catiali Italiae sarebbe equivalente a quella parte,
d' Italia, che nel linguaggio ufficiale dicevasi diocesi d' Italia, e com-
prendeva tutta la gran valle del Po sino a Sinigalia inclusive e
la Liguria, per opposizione alla diocesi di Roma, a cui apparte-
nevano la Toscana, il resto del continente e le grandi isole. Questa
conclusione non potrebbe darsi come certa se non provando prima,
che i vescovi, nominati da S. Atanasio sotto la designazione nel
canale d* Italia^ stavano veramente nella diocesi d' Italia. Or chi
conosca quanto siano lacunose le liste episcopali dei secoli più
Questa difierenza non apparisce nella versione del concilio di Sardica,
fatta da Dionigi il piccolo, la quale porta semplicemente : Unusquisque
nostrum qui in canali constUutus est. Onde forse per essersi servito di
questa traduzione, il Goiofredo interpretò • canale » per via trasversale.
Così pure errarono i Maurini, nella nota a questo luogo di S. Atanasio,
intendendo ■ canale » per via trasversale in opposizione a via regia,
mentre il vero senso è precisamente il contrario. È rincrescevole che
l'Hefele, nc.'la sua pregiata Storia <iVi Concihi, Friburgo, Herder, 1873,
voi. 1, p. Ó04, abbia seguilo Dionigi il piccolo, meno esatto.
\z) Si vegga in particolare V itintrario if Antonino, che nel segnare
le distanze tra ì punti principali delle granviì strade spesso comincia
le sue indicazioni da Milano.
PRESSO S. ATANASIO 237
antichi, ben capirà che una prova intera e compiuta per tutti quei
vescovi è impossibile. Con tutto ciò le notizie, che ho qui radu-
nate sopra le parte maggiore dei vescovi nominati da S. Ata-
nasio, sono tali da renderla probabile, ed io m'induco a pubblicarle
neir intento, ch'esse servano ad altri, e specialmente a chi si oc-
cupa di storie municipali, come addentellato per nuove proposte e
nuovi risultati, che diano modo di giungere alla desiderata conclu-
sione, illustrando nello stesso tempo la storia dei vescovi antichi.
Ecco dapprima i nomi secondo il testo greco. 'Oi ev rcij x«-
n)itù Tf,; 'iTaXCo;, npo^àTto;, BtaTOp, 4>axouv8{vo;, 'Iftxjli?, NoupiTi-
Jio;, Sttsoìvtio;, 2ep91po;, 'HpaxXstxvò; , <l>a'j<7fCvo;, 'AvTWvtvo;, *Hpà-
ùjm;, OiKTàXto;, 4>ifiXt$, KpYi<77;Tvo;, Tlx\jhx^6;. In latino sarebbero:
Probatius, Viator, Facundinus, loseph (o loses), Numedius, Spe-
rantius, Severus, Heraclianus, Faustinus, Antoninus, Heraclius,
Vitalius, Felix, Crispinus, Paulianus (i).
Eccetto Felice, niun altro dei suddetti nomi si trova nelle liste
dei vescovi dell' Italia centrale o meridionale sì presso il Gams
die presso altri scrittori. Al contrario la più parte dei nomi stessi
si riscontrano tra i vescovi dell'Italia settentrionale e della dio-
cesi d' Italia, come ora appunto dirò.
Uno di essi si può identificare con certezza ed è Crispino,
di cui sappiamo da S. Atanasio ch'era già vescovo di Padova poco
prima del concilio di Sardica, ossia poco prima della fine del 343,
e governava ancora quella chiesa nel 356 (2).
Eracliano dagli storici pesaresi è considerato come il terzo ve-
scovo della loro città. Nella sua leggenda si dice ch'egli era stato
(1) MiGNE, P. G., XXV, 340. Questi nomi non si trovano esatta-
mente riportati né esattamente tradotti in tutte le edizioni. Nel Migne
per es.in luogo di Sirr|pàvxtoc fu stampato 'EtcY)pàvtioc, sebbene nella tra-
duzione si legga Sperantius, Più grave è l'errore di tradurre Oaooxtvog
per Gastinus, nome che non esiste. Altri tradussero Antonio in luogo di
Antonino Iwa^c da tutti è tradotto per Joseph, Sebbene il De Vit dica
che è lo stesso nome, tuttavia mi parrebbe più esatto tradurre losea.
(a) ^t\V Apologia a Costanzo, scritta nel 356, S. Atanasio afferma
ài non essersi mai presentato da solo all' imperatore Costante, ma
sempre accompagnato dal vescovo della città dove Costante risiedeva,
e se ne appella alla testimonianza dei vescovi allora viventi, tra cui
Crispino di Padova.
238 UNA LISTA DI VESCOVI
discepolo di S. Severo, vescovo di Ravenna, come già prima aveva
affermato Agnello, il biografo dei vescovi ravennati (i).
Faustino si può credere sia quello che, tutti gli storici bolo-
gnesi, cominciando dal Sigonio, dicono essere stato il secondo ve-
scovo della loro città, successore immediato di S. Zama. In un
antico catalogo dei vescovi bolognesi, edito dal Trombelli sopra
una copia del 1310(2), ma che ha tutto l'aspetto d'essere derivato
dagli antichi dittici, egli è chiamato Faustiniano, che è, come
ognuno vede, leggera mutazione. La distanza di tempo, che sa-
rebbe stata tra Faustino o Faustiniano, vivente com' io suppongo
nel 344, e S. Eusebio, terzo suo successore che certamente vi-
veva nel 381 (dopo Domiziano e Gioviano), conferma sempre più
r identificazione suddetta ed anche l'autorità del catalogo.
Antonino credo sia stato quell'immediato antecessore di San
Geminiano nel vescovato di Modena, che è così chiamato nella leg-
genda di questo Santo. S. Geminiano intervenne al concilio di Mi-
lano del 390, quando, come pare, già era assai vecchio e si trovava
debole di forze, poiché non potè sottoscrivere di sua mano le de-
cisioni del concilio, ma le fece sottoscrivere in suo nome dal prete
Apro (3). Onde accordando a S. Geminiano un episcopato alquanto
più lungo deirordinario, p. es., di un 30 anni circa, ed uno di venti
incirca al suo predecessore Antonino, questi per la ragion dei tempi
avrebbe dovuto vivere nel 343-344.
La stessa ragione dei tempi esiste eziandio per Viatore, se-
condo vescovo di Bergamo, dell' identificazione del quale già trattò
con la sua solita diligenza ed erudizione il Lupi, che appunto as-
segnò a Viatore il periodo 340-370. A proposito di questa data
osservo che la distanza tra Viatore ed il vescovo, di cui Ramperto
(vescovo di Brescia nel 820 incirca) dice che dalla sua lapide ri-
(i) Riguardo a S. Eracliano si veda un diligente lavoro di Callisto
Marini nel voi. VI della Nuova raccolta degli Opuscoli del Calogero
col titolo : Immediata dipendenza della chiesa di Pesaro dalla S. Sede,
(2) Vtterum PP, Latinorum Opuscula, to. II, parte 2.*, Bologna,
^755» P^g» 287. Si veda anche la Serie cronologica dei vescovi ed arci-
vescovi di Bologna, purgala da molti errori^ compilata da un sacerdote
della stessa città [Vincenzo Filippini], Bologna, 1787, p. 5 e sg.
(3) Ex iussu domini episcopi Geminiani^ ipso praesente, Aper pre-
sbiter subscripsù Migne, P, Z,., XVI, 1177.
PRKSSO S. ATANASIO 239
saltava essere stato consecrato da S. Ambrogio (374-397) può es-
sere accorciata ove si ammetta che questo anonimo fosse non il terzo
ma il quarto vescovo di Bergamo. La scelta ci è lasciata libera dallo
stesso Ramperto, poiché nel suo discorso afferma bensì il fatto
della lapide e della consacrazione data da S. Ambrogio, ma, forse
perchè non si ricordava esattamente, lasciò dubbio se si trattasse
del terzo o del quarto (i).
Quanto a Probatius, lo crederei identico al primo vescovo di
Reggio di Emilia. Una serie di vescovi reggiani, scritta nel se-
colo XIII e pubblicata dal Muratori (2) ed un'altra pubblicata dal-
TAffarosi (3) lo chiamano Protasiiis, Ma la somiglianza dei due
nomi è tanto grande, che si può benissimo ammettere un qualche
errore di trascrizione e leggere Probasius in luogo di Protasius,
Parmi inoltre assai verosimile che il nome Chromatius^ il quale vien
subito dopo nella lista, sia esso pure una trasformazione e corru-
zione del genuino Probatius, Né quest'ipotesi si può dire infon-
data, essendo certo, come già osservò il can. Saccani (4), che
prima del secolo IX la lista episcopale di Reggio contiene più
d'una confusione.
Vitali US non si trova registrato verso il 332 in nessuna lista
episcopale. Ma tra i vescovi di Cesena è notato un Naialis, che
per ragione del tempo che gli si assegna e per la somiglianza del
nome, potrebbe essere identico a Vitalius, La somiglianza del nome
sarebbe ancor più grande, se il greco 'OutxàXto; si traducesse per
VitaliSy come fece Pietro Nanni, traduttore delle opere di S. Ata-
nasio.
L'Ughelli dice di Natalis che la sua esistenza fu affermata
dal Manzoni, Caesenae Chronologiay 1643, il quale lo chiama legatus
Marci papae e quindi vivente nel 336, nel qual anno Marco fu
(i) Quantique ineriti vicini episcopi eundem [Fiiastrium] esse existi-
mabant, si quartus Pergamensis episcopus in epitaphio tertii episcopi,
hoc est praedecessoris sui, ni /attor, meminisse studuit, quod Ambrosius
ipswH episcopum, Phitastrius consecravit diaconum; Brunati, Vita o Ceste
di Santi bresciani, Brescia, 1854, voi. I, p. 275, nota 29.
(2) R. l. S., Vili, col. 1179.
(3) Presso il Saccani, Cronologia dei vescovi di Reggio- Emilia, Reg-
gio, Artigianelli, 189S, p. 2.
(4) Op. cit., pag. 23.
240 UNA LISTA DI VESCOVI
creato papa e morì. Ma a parlare più esattamente, non è tanto del
Manzoni tale affermazione, poiché egli nel testo della sua storia tace
interamente di Natale, e ne mette solo il nome alla fine nel cata-
logo dei vescovi, quanto di Cesare Brissio (i). Questi poi cita la te-
stimonianza del Rossi nella Storia di Ravenna, il quale però non ne
parla. Il P. Zaccaria, nella sua Series Caesenatium Episcoporuìu,
1789, mette anch* egli Natale al tempo del papa S. Marco, senza
nulla correggere né aggiungere.
Ma qualunque sia la fonte, onde è pervenuta Siffatta notizia,
non pare trattarsi d*un racconto puramente leggendario, poiché in
tal caso r inventore della notizia non si sarebbe limitato a questa
sola particolarità. È probabile perciò che la notizia, sebbene in
seguito sia stata trasformata, sia vera almeno in questo che il ve-
scovo Natale o Vitale di Cesena vivesse al tempo del papa
S. Marco (2).
11 nome Felice verso il tempo, di cui discorriamo, fu portato
da parecchi vescovi. Neil' Italia superiore se ne incontra uno a
Genova ed un altro a Belluno. Quanto al primo la sua esistenza
nel secolo IV fu ammessa dai Bollandisti (3), e sebbene non man-
chino argomenti od indizii in loro favore, tuttavia non oso di-
scostarmi dai più recenti scrittori genovesi Grassi e Belgrano, che
lo ritardarono sino al termine del secolo V^ (4).
L'esistenza del vescovo Felice di Belluno, secondo il Cappel-
letti, fu attestata dal Piloni, che scrisse nel 1607 la storia di quella
città, ed affermò il vescovo di Belluno essere stato presente al
concilio romano del 347 : u come si cava da una lettera scritta
da papa Giulio ai popoli di Antiochia. »♦ Il Piloni afferma bensì
la presenza del vescovo bellunese al concilio di Roma, e cita la
(i) Descript lo Caesenae in Thesaurus antiquae lialiae Graevii et
BuRMANNi, voi. IX, par. 8, p. io.
(2) Forse la primitiva notizia sarà stata espressa così : Natalis eUctus
o cnatus sub Marco papa. Poi da creatus^ eleclits si fece Ugatus a Marco
papa.
(3) Ada SS., to. II di luglio, p. 709.
(4) Grassi. De prioribus sanctisque genuensium episcopis, Genova,
1864, citato dal Belgrano nel Cartario genovese ad ittustrasione del Re-
gistro Arcivescovile in Atti della Società Ligure di Storia Pàtria, 1870,
voi. II, parte 1, p. 289.
PRESSO S. ATANASIO 24 1
lettera del papa Giulio, ma non dice il nome del vescovo (i).
Quanto alla lettera del papa Giulio essa non esiste, né autentica,
né spuria.
Laonde qui pure si rinnoverebbe il caso, che abbiam già visto
sopra per Cesena, d'una notizia, la quale, così come si trova espressa,
è falsa, ma che probabilmente è vera nel fondo ; e questo sarebbe
resistenza di un vescovo di Belluno contemporaneo del papa
Giulio I, e quindi contemporaneo del concilio di Sardica.
Pauliano è nome tanto simile a quello di Paolino, secondo
vescovo di Treviso, che non si deve aver difficoltà a identificarli
msieme. L'Ughelli ammise Paolino (ignoto al Burchelati, che nel
1616 aveva data la lista dei vescovi trevigiani) suU' autorità di
Luigi Contarini, il quale, dice egli, collocò Paolino il secondo della
lista ed all'anno 350, ma senza dire la fonte donde l'avesse tratto (2).
U Contarini, qui citato dall' Ughelli, credo sia un P. Luigi Conta-
rini crocifero, che visse a Veneiia nella seconda metà del secolo
XVI. Alcune sue opere sono divenute assai rare, e rarissima pare
che sia quella intitolata: DeW origine della patria del Friuli, (3) la
sola dove a me sembra che si potesse parlare di un vescovo di
Treviso, poiché il Cicogna non ne ebbe notizia che per quanto
ne aveva scritto il Sansovino [Venetia città nobilissima, libro XIII,
pag. 276). Siccome il Sansovino stampò la sua opera nel 1581, ed
ivi del Contarini afferma, che tuttavia scrive diverse materie e trat-
tati (4) ; quindi ciò che posso dire dell'opera predetta è questo, che
fu stampata prima del 1581.
Severo potrebbe essere il vescovo di Ravenna, che consta
essere stato presente al concilio di Sardica e che S. Atanasio stesso
nomina tra i vescovi del primo gruppo. Ma appunto perché fu già
nominato una volta nel primo gruppo, preferisco credere che si
tratti di un altro. Un vescovo di questo nome si legge tra i primi
vescovi d'Acqui. Questa città, che stava sulla via da Tortona a
Savona, era ben nota ai Romani per le sue acque termali, ed an-
(i) Piloni, Istoria dì Belluno, Belluno, 1607, p. 38 verso.
(2) Ughelli, Italia sacra, V, 489.
(3) Non posseduta neppure dalla biblioteca Marciana di Venezia,
dove ne feci ricerca.
(4) Cicogna, Delle Iscrizioni Venesiane, voi. Ili, p. 315-316. Del San-
sovino parla il Cicogna nel voi. IV, p. 72.
L
242 UNA LISTA DI VESCOVI
Cora vi si scorgono i resti di edifizi romani; ma non oso afifer-
mare che già nel 344 avesse la sede vescovile. Tuttavia, non tro-
vando altri vescovi di tal nome in altre sedi, credo si debba tener
conto di questo antico vescovo acquese.
Quanto a Facondino, sono assai inclinato ad identificarlo con
un S. Facondino, il quale ab antico è venerato a Rimini come
martire. Di esso nuiraltro seppero dire il Ferrano e sulla scorta
di lui i Bollandisti, se non che il suo corpo riposava nella cattedrale
di Rimini insieme con i SS. Gioventino e Pellegrino creduti suoi
fratelli e Felicita sua sorella, e che insieme erano venerati il giorno
2 settembre. Prima il GarufB, assai malamente, e poi il Tonini con
esattezza riportarono 1* iscrizione, scolpita sull'are^ sepolcrale dei
quattro Santi, la quale, a detta del Tonini che ne diede anche il
disegno, sta tuttora nella cattedrale di Rimini, nella cappella delle
Reliquie. L'arca e V iscrizione vennero fatte per cura di un Na-
tale vescovo di Ancona, forse riminese di patria. L' iscrizione,
posta nel mezzo in uno spazio, che occupa quasi un terzo di tutto
il davanti dell'urna, dice :
HEC SVNT NOMI
NASCORV : FELICITAS
PEREGRINVS
FACCONDINVS
IVV ENTINUS
In una riga in basso lungo tutta la facciata anteriore si legge :
IIEGO NATALIS PECCATOR EPS ANO CORPORA SCORUM
e di seguito girando nel lato destro dell'arca : condidit (i).
D tempo, in cui visse questo vescovo Natale (che manca nelle
liste dei vescovi anconitani), ci è ignoto. Da alcuni egli fu mala-
mente creduto vescovo di Rimini, ed assegnato all'anno 930. Il
Tonini dalla grafia dell'iscrizione crede che possa essere ante-
riore di qualche secolo al 930, e quel valentissimo paleografo che
è il conte Cipolla mi dice che la vista dell' iscrizione lo fa pensare
al secolo VII od Vili.
(i) Tonini, Rimini dal principio deli* tra volgare a W anno 1200, Ri-
mini, 1856, p. 61.
PRESSO S. ATANASIO 243
Ma qualunque ne sia il tempo (che è sempre però molto an-
tico), è qui sopratutto da notar il fatto che i suddetti quattro per-
sonaggi per ben due volte sono chiamati santi solamente e non
martiri, né molto meno fratelli. Il Tonini osserva che tale omis-
sione potè provenire dalla ristrettezza dello spazio libero nel
marmo (i). Ma se tal ristrettezza è vera per lo spazio quadrato che
sta in mezzo alla parte anteriore dell'arca, dove vennero incisi
i nomi dei Santi, non si può concedere per la linea che sta in fondo
presso alla base (dove si scrisse il nome del vescovo Natale), che
è lunga quanto la parte stessa anteriore. Tanto più che il copista
non ebbe nessuno scrupolo di valersi anche del fianco destro
dell'arca e continuar quivi V iscrizione della linea suddetta infe-
riore.
Dato quindi che nel secolo VII od Vili la tradizione riminese
considerava quei personaggi solo come santi e non come martiri,
può esser lecita la congettura ch'essi fossero vescovi di Rimini, e
vescovi del secolo IV, come indicherebbero varie circostanze, quali
la mancanza di memorie intorno ad essi, i loro nomi, che sono
proprii del tempo romano, e la stessa diceria popolare che fossero
fratelli. Questa sarebbe vera in ciò, che, se non furono fratelli per
sangue, furono per la somiglianza deila dignità episcopale e per
il comune sepolcro, che li accolse dopo morte.
Che se si pigliano questi tre santi. Peregrino, Facondino e
Gioventino, a colmare la lacuna che vi sarebbe nella lista episco-
pale di Rimini tra Stenio, vivente nel 314, e Giovanni che si vuole
vivente nel 360, e si suppone che essi siano stati nominati nel-
l'iscrizione secondo l'ordine cronologico della loro vita, e che
ciascuno abbia avuto una media di 15 anni incirca, il tempo, in cui
sarebbe vissuto il secondo di essi, cioè Facondino, corrisponderebbe
esattamente al tempo del concilio di Sardica, ossia al tempo in cui
visse il Facondino nominato da S. Atanasio.
Aggiungerò qui ancora una congettura intorno a S. Gaudenzio,
che qualcnno potrebbe credere fosse già vescovo di Rimini nel 344,
(i) Tonini, op. cit.. Il, 233. Quest'osservazione avrebbe maggior va-
lore, se si verificasse l'ipotesi del prof. Cipolla, che L'urna fosse una di
quelle che i marmisti antichi tenevano in deposito, già fatte, pronte per
la vendita, e a cui perciò lasciavano degli spazi bianchi per le iscri-
zioni. Resta tuttavia valida la risposta che dò nel testo.
244 ^^^ LISTA DI VESCOVI
poiché si vuole fosse vescovo di questa città e martire nel tempo
in cui si tenne a Rimini il celebre concilio del 359, nel quale i ve-
scovi occidentali, sotto la pressione dell'imperatore Costanzo e degli
ariani, sottoscrissero una formula ambigua di fede.
Tutte le notizie che abbiamo intomo a S. Gaudenzio le ab-
biamo dalla sua leggenda (identica a quella di S. Mercuriale ve-
scovo di Forlì, creduto suo contemporaneo) che fu scritta relativa-
mente tardi, e che a buon diritto dallo storico di Rimini, il Tonini,
fu detta favolosa e fonte torbida storica (i). Onde se già riuscirebbe
difficile l'ammettere, che per occasione del concilio di Rimini, gli
ufficiali dell' imperatore Costanzo uccidessero il vescovo di quella
città, e che gli scrittori cattolici contemporanei, i quali tanto dete-
starono r influenza funesta di Costanzo sui vescovi, tacessero di un
tal misfatto, molto più si rende difficile l'ammetterlo sull'autorità
d'una leggenda così mal sicura. Si può anzi assegnare, se non con
certezza, almeno con grande probabilità ciò che diede luogo a tale
leggenda e fu uno scambio di S. Gaudenzio di Rimini col ve-
scovo Gaudenzio di Naisso, il quale viveva veramente al tempo
del concilio ed ebbe non poco da soffrire per parte degli ariani.
Mentre i vescovi cattolici si adunarono a Sardica, i vescovi ariani
si adunarono a Filippopoli e quivi condannarono tra gli altri an-
che Gaudenzio vescovo di Naisso (2Ì, perchè non aveva imitato
Ciriaco suo antecessore, il quale aveva sottoscritto alla condanna
di S. Atanasio (3). Lo scambio era facile trattandosi di due vescovi
cattolici dello stesso nome, e di più essendovi di mezzo in quelle
controversie il concilio di Rimini e quindi anche (come facilmente
si suppose) il vescovo di questa città. Né solo Gaudenzio ma anche
Ciriaco fu messo nella lista dei vescovi di Rimini a questi tempi.
Al contrario le memorie che ci furono tramandate sul culto
di S. Gaudenzio, considerato sempre a Rimini come il patrono
principale della città, sono tali da farci ravvisare in lui non già
solo un martire impropriamente detto (poiché tale sarebbe se fosse
vissuto nel 359), ma un vero e proprio martire del tempo delle
persecuzioni.
(i) Tonini, op. cit„ II, 51.
(2) È il medesimo di cui ho parlato sopra, che propose il canone
XX di Sardica.
(3) Tonini, op. cit.. II, 73; S. Ilario, in Migne, P, Z.., X, 674.
PRESSO S. ATANASIO 245
In eflfetto, della chiesa, dove fu sepolto S. Gaudenzio, ci di-
cono gli storici riminesi, che essa, se non la più antica, fu certo
una delle prime della città (i). Essa aveva delle cripte, e nella
cripta principale stava riposto il corpo del martire. Il suo sarcofago
poi, quale ci viene descritto da uno scrittore del 1442, era magni-
fico, di marmo, fabbricato al modo antico romano, con pietre bel-
lissime di diversi colori (2). Inoltre, la stessa chiesa, detta prima
Confessione dei martiri, e poi S. Gaudenzio, stava fuori delle mura
della città, fuori della porta Romana, la qual circostanza ci fa pen-
sare ai tempi più antichi del cristianesimo in Rimini, quando non
sarebbesi tollerato che un defunto si seppellisse dentro la città,
neppure se martire o santo, e quando i cristiani si radunavano per
lo più in qualche recinto suburbano per compiere le loro religiose
funzioni e per seppellirvi i loro morti.
Dei quattro vescovi che rimangono, Eraclio, Numedio, Spe-
ranzio e Joses o Giuseppe, non ho potuto neppure approssimati-
vamente riscontrare la sede.
Osserverò tuttavia che il nome Sperahtius, non esiste nei vari
volumi del Corpus Inscripi. Latin,, il che dà quasi diritto a cre-
dere che non esistesse tra i Romani (3). Onde si può lecitamente
supporre che qui il testo atanasiano contenga una scorrezione e
che in luogo di ^TcepivTio; si debba forse leggere 'E^uTsepàvTto; os-
sia ExsuperantiuSj che è nome usato più d'una volta e special-
mente nei secoli cristiani e da cristiani, come si può vedere
nel Corpus Inscript, Posta la possibilità di tale scambio, non sarà
inutile ricercare se circa i tempi del concilio sardicese vi fosse un
vescovo Esuperanzio e qual ne fosse la sede.
Parecchi ve ne furono ed uno appunto nell'Italia superiore,
cioè a Tortona. Il fatto che egli viveva ancora nel 381, quando
(i) Tonini, op. cit., II, 36, 72.
(2) Quaedam sepuUura solemnissima marmorea ^ fabricata more ro-
mano antiquo lapidibus pulcherrimis diversorum coiorum, Tonini,
op. cit, II, pag. 128 e 61; Ughelli, op. cit.^ II, e. 414.
(3) Si trova appena a Roma una lapide di tarda età e di persona
volgare, che con lettere greche porta scritta la parola latina Isperantìa ;
Corpus Insc. Graecarum Itaiiae, etc, n. 2016. Ma dubito se T iscrizione
icDEPANTIA debba proprio leggersi come contenente un nome solo,
ed il nome hperantia.
246 UNA LISTA DI VESCOVI
assistette al concilio di Aquileia, ossia 37 anni dopo il concilio di
Sardica, non si opporrebbe a ritenerlo per il vescovo della lista
atanasiana, poiché un episcopato anche di 40 e più anni non è
punto impossibile, sebbene sia raro. Ma la più grande difficoltà ci
viene dal fatto che anche dopo Sardica, ossia nel 356, Tortona
ancora non formava una diocesi autonoma, ma apparteneva alla
diocesi di Vercelli, come evidentemente si rileva dalla lettera, che
nel suddetto anno S. Eusebio scrisse da Scitopoli, dov'era in esigilo,
ai suoi diocesani. Neil* intitolazione della lettera egli nomina espres-
samente i Tortonesi, e siccome né neir intitolazione stessa né nel
corpo della lettera fa menzione di un vescovo proprio che i Tor-
tonesi allora avessero, ne viene per ineluttabile conseguenza che
i Tortonesi non avevano vescovo proprio, ma erano diocesani di
S. Eusebio, al pari dei Vercellesi ch'egli nomina per i primi, dei
Novaresi, e degli Eporediesi (i). i^^^xrt
Un Esuperanzio s' incontra pure a Città di Castello (l'antico Ti-
fentum Tiberinmn), Ivi egli è venerato insieme con S. Crescenziano
ed altri sette santi, che dalla tradizione sono ritenuti come martiri.
Il Papebrochio, che studiò con la sua solita diligenza ed acribia
le loro memorie, ammise bensì il martirio per S. Crescenziano
(ucciso sotto Diocleziano, come dice la sua leggenda), ma non per
gli altri, che egli disse compagni bensì di S. Crescenziano nel
culto, ma non nel martirio: Nolitn ergo socios martyrii dicerc sed
cultiis. In suo favore citò un'antica orazione o colletta stampata
nel 1627 da fra Angelo dei Conti nei suoi Fiorì della Chiesa di
Tifemo, che la trasse da un antico calendario, dove ai santi sud-
detti non si dà il nome di martiri (2). 11 Magherini-Graziani, il più
(i) Chi non capisce la sconvenienza che un vescovo residenziale
scrìva ai suoi diocesani ed insieme ai fedeli di un'altra diocesi, senza
far menzione del vescovo di questa stessa diocesi né conosce la storia
dei tempi passati, né il mondo in cui vive ; non menta quindi che si
discuta con lui.
(2) Acta SS.» to. I, di giugno, p. 58. La colletta dice così : Da^ quae-
sumus, omnipotiHS Deus» ut qui Sanctorum tuorum Crescentiani, Justini,
Grìcinirtnit l'irìam. Or^ti» Exuperaft/ti, Benedicti, Euiropit\ atque For-
tunati soltmnia co/imus, etiam virtutes imitemur. Il Magherìni Graziam
tra Grìcinìano e Vìrìano aggiunge un Faustino che non veggo per
niente nominato nella trattazione dei Bollandisti, ai quali qui mi attengo
come ad autorità più sicura.
PRESSO S. ATANASIO 247
recente e più diligente storico di Città di Castello, sebbene non
faccia sua l'opinione del Papebrochio, la chiama però più d' ogni
altra verosimile (i).
Air opinione del Papebrochio aggiungerò un'ipotesi che la
compirebbe, spiegando come si trovino insieme raggruppati tutti
quei nomi, ed è che essi siano un resto degli antichissimi dit-
tici della chiesa Tifemate. Nella qual ipotesi, e posto eh' essi
siano scritti secondo l'ordine cronologico, noi potremmo vedervi la
lista (ora mancante) dei vescovi di Città di Castello, risalendo in-
dietro da Eubodio nel 465 sino al primo vescovo. In tal caso, dando
a ciascuno una media di 15 anni incirca, l'età di Esuperanzio, quinto
nella lista, verrebbe a coincidere coll'età dell' Esuperanzio del con-
cilio di Sardica, nominato nella lista atanasiana.
Tuttavia per la troppa incertezza di quest' ipotesi e per il fatto
che Città di Castello, città dell'Umbria, non apparteneva alla diocesi
d'Italia, non oso insistere su questa identificazione.
Pure per le medesime ragioni non mi fermo a parlare di un
S. Esuperanzio di Todi, del quale è incerta la stessa dignità ve-
scovile.
Quanto a Numedio osservo che un tal nome non si trova nel-
V Onomasticoft del De Vit, ed appena se ne ha un esempio nel
Corpus InscripL Latin., quantunque il Mommsen propenda a leg-
gerlo Numiedio anziché Numedio (2). Al contrario vi sono parecchi
esempi nel De Vit del nome Numidius e più ancora nel Corpus
del nome Numisius, Dato poi che questa fosse la vera denomina-
zione del vescovo atanasiano, osserverò che tutti gli esempi del
nome Numisius nell'Italia superiore, registrati nel Corpus, sono
della parte orientale di essa, ossia del Veneto, cioè di Aquileia,
Concordia, e Trento ; ve n'è solo un esempio a Cremona (3). Non
sarebbe quindi impossibile che il vescovo Numedio o Numisìo si
dovesse cercare nel Veneto.
Che se molto incerti sono questi indizi per Numedio e Spe-
(i) Magherini-Graziani, Storia di Città di Castello, Città di Castello,
Lapi, 1890, voi. I, p. 133.
(2) Corp. Insc. Lat„ voi. IX, n. 3870.
(3) Ib. voi. V, p. i.\ a Concordia, 1893; ad Aquileia, 1085; a Bre-
scia, 4203; ad Arco presso Trento, 4985; a Portogruaro^ 1935; a Cre-
mona, 4091.
248
1 VESCOVI PRESSO S. ATANASIO
ranzio o Eauperanzio, per gli altri due Eraclio e Joses o Giuseppe
mancano affatto anche gl'indizi più tenui.
Conchiudendo dirò : da quanto venni esponendo, pare potersi
ritenere con molta probabilità che col nome di •• canale d'Italia ■,
Atanasio intese indicare la •* diocesi d' Italia » e che a questa ap-
partenevano i quindici vescovi da lui nominati. Qui li espongo per
ordine alfabetico, con accanto il nome della loro sede o certa o
presunta.
Antonino, Modena
Crispino, Padova
Eradìano, Pesaro
Eraclio, ?
Facondino, Rimini
Faustino, Bologna
Felice, Belluno
Giuseppe, ?
Nu medio, ?
Pauliano, Treviso
Probazio, Reggio
Speranzio. ?
Severo^ Acqui
Viatorc, Bergamo
Vita I io. Cesena.
FEnELE Savio.
Milanesi prigionieri di guerra in Pavia nel 1247
RA certi documenti deir Archivio Vecchio comunale, ora
conservati nel civico Museo di Storia Patria di Pavia,
in una cartella racchiudente molti frammentari atti am-
ministrativi del secolo Xlll, ho ritrovato un fascicoletto di 32 fac-
ciate non numerate, in pergamena, di cm. 23 X i5> »" fitto carat-
tere notarile corsivo, ancora ben conservato, tranne che nella prima
e neirultima facciata, perchè hanno servito di copertina.
Gli atti raccolti nel fascicolo appartengono all'anno 1247 e fu-
rono redatti dai 14 ottobre al 23 dicembre ; riguardano tutti garan-
zie e sicurtà prestate da carcerati e da carcerieri ai due officiali
del comune di Pavia preposti alla direzione e sorveglianza delle
carceri comunali. L* importanza del fascicolo, utile sempre per la
conoscenza di usi e costumi di un'età che pochissimi ricordi ha di
se lasciato in Pavia, si accresce notevolmente dal fatto che i car-
cerati, di cui si tratta, sono quasi tutti di Milano, catturati in una
fazione militare seguita nella Lomellina ai 7 di ottobre di que-
st'anno 1247.
Né il Giulini per Milano, né il Robolini per Pavia, hanno un
accenno a questa fazione fra Milanesi e Pavesi, ed è tanto più
strano perchè il fascicoletto fu nelle mani del Robolini, che certa-
mente lo esaminò se in fine di esso scrisse : « Veduto ». E della
fazione tacquero anche gli antichi cronisti, sicché pare convenga
studiare questi documenti che ci rivelano una fase ancora ignorata
della lotta diuturna fra i due più potenti comuni della Lombardia.
Io credo che le fazioni guerresche del 1247 in Lomellina, con-
tinuatesi anche negli anni seguenti come vedremo, avessero per
loro causa occasionale il possesso di Vigevano. Esso era stato,
anche prima, motivo di una lotta accanita fra e due città.
Arch. Slor. Lomb., Anno XXIX« fase. XXXIV. 17
250 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
Vigevano faceva parte del territorio pavese. Già in un'altra
mia pubblicazione (i), ho fatto conoscere documenti provanti che
i Pavesi tenevano proprietà prediali in Vigevano fin dal 1 143; che
il Barbarossa con suo diploma 8 agosto 1164 attribuiva a Pavia il
possesso di Vigevano e il diritto di reggerla per mezzo di consoli,
e che il diploma fu confermato da Enrico VI ai 7 dicembre 1191.
Ho indicato anche T importante documento 24 agosto 1198 con cui
il comune di Pavia, in ricompensa dei servigi e della fedeltà dei
Vigevanesi, innalzava quel luogo alla dignità di borgo e conce-
deva facilitazioni per la esazione del fodro e delle tasse; ho ri-
portato anche Tatto 20 dicembre 1217, redatto in Piacenza e ri-
guardante la pace fra Milanesi e Pavesi, lottanti da lungo tempo,
i primi sostenuti anche dai Piacentini, per il possesso di Vigevano
e per un ponte sul Ticino in vicinanza di quella borgata. Le osti-
lità erano cominciate, giusta questo documento, cinque anni in-
nanzi, quando i Milanesi erano entrati in Vigevano a danno dei
Pavesi e avevano costrutto un ponte sul Ticino che univa quel
borgo al loro territorio. Nel Giulini (2) di tutto questo non è me-
moria; si ricorda soltanto la battaglia fra Milanesi e Pavesi a Mon-
temarro, in cui quest'ultimi perdettero 140 dei loro migliori cava-
lieri; è molto probabile che in seguito a quella vittoria Milano
pensasse a togliere ai vinti Vigevano. Negli anni successivi Milano
ebbe altri vantaggi contro Pavia, nella Lomellina; cosi nel 1214
occupò Valeggio o Vellezzo, Cozzo, Candia e Breme (3); Garlasco
nel 1215(4); Robbio ai 23 d'agosto del 1216(5); nel 1217 si ebbe
la sospirata pace. Per arbitrato del podestà di Piacenza fu deciso
non già che i Milanesi rilasciassero ai Pavesi per dieci anni il
castello di Vigevano, come scrissero il Giulini (6) e gli altri che lo
precedettero e lo seguirono, ma come appare dal documento sopra
ricordato, Milano si obbligò alla restituzione di Vigevano ed a di-
struggere entro dieci anni il ponte sul Ticino, con rinuncia alle
conquiste di Lomellina.
(i) R. Maiocchi, Pergamene pavesi dei sec. XII e XIII riguard. Vi-
gevano, Mortara- Vigevano, tip. Cortelìezzi, i9oa
(a) G. GiuuNi, Memorie di Miiamo, Milano, Colombo, IV, p. 213.
(3) Idem, iòid., IV, aaa.
(4) Idem, iòid,, IV, 2^5.
(5) Idem, iòid^ IV, a3a
(6) Idem, iòid., IV, 248,
IN PAVIA NEL 1247 251
Ma la pace non fu durevole. Milano agognava a Vigevano, e
quantunque i Pavesi ad assicurarsene il possesso ottenessero da Fe-
derico li il diploma 29 agosto 1219, riconfermato per maggior cau-
tda con l'altro dei 29 novembre 1220, Vigevano fu presto perduta
dai Pavesi. Un documento degli 11 gennaio 1221 ci mostra i Vi-
gevanesi, retti da un Marcellino Perego podestà mandato da Mi-
lano, rifiutare un abboccamento agli ambasciatori di Pavia recanti
una lettera imperiale di intimazione ai Vigevanesi di ritornare sotto
il dominio pavese. Ai 24 febbraio dello stesso anno, indarno Cor-
rado da Spira, cancelliere imperiale, minaccia di porre Vigevano al
bando dell' impero, se entro sei settimane non ritorna all'obbedienza
di Pavia; al i marzo i Vigevanesi respingono la lettera di Corrado
e chiudono le porte della loro terra in faccia agli ambasciatori del
Cancelliere e di Pavia. Altro rifiuto a nuovi precetti imperiali si
dà ai 2 ottobre 1222. In una pergamena del 28 novembre 1230 ab-
biamo il verbale di tre sedute plenarie del consiglio di Milano,
per rispondere ai messi di Pavia che domandavano la restituzione
di Vigevano e del ponte sul Ticino non ancora distrutto: i Mila-
nesi rifiutano ogni concessione se i Pavesi non giurano alleanza e
fraternità con Milano a danno dell'imperatore. Non acconsentì Pavia
e le trattative furono rotte. Con quel verbale si chiude la serie
dei documenti pavesi di cui ho dato cenno nella ricordata mia pub-
blicazione; però sappiamo che nel 1231 nella controversia fra le
due città si interpose papa Gregorio IX, ma senza risultato (i); che
^ 3 ^i giugno 1237 i Milanesi entrarono col carroccio nella Lo-
mellina e posero a sacco ed in rovina tutto il paese (2) e che ai Pa-
vesi non rimase se non una lettera consolatoria di Federico II (3),
e la triste rappresaglia del saccheggio di Morimondo, dopo riusciti
^^ani gli attacchi contro il vicino ponte di Vigevano (4).
Tralasciando gli altri fatti d'arme non seguiti in territorio lo-
mellino, troviamo nel 1242 ai 13 luglio i Milanesi, ancora in armi
contro i Pavesi, saccheggiare e distruggere Robbio (5); le scara-
muccie si fanno continue, fino a che nel 1245 i Milanesi dovettero
(i) G. RoBOLWi, NoHgie Star, di Pavia, voi. IV, parte I, p. 117.
(2) GiuLiNi, op. cit, IV, 382.
(3) E. Martenb, yet. Script. CoUecL, II, 1154.
(4) GiuuNi, IV, 387 seg.
(5) Idcm^ ibid.y p. 420.
252 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
provvedere a sé stessi dinanzi agli eserciti di Federico e del di
costui figlio Enzo, che agli 11 d'ottobre fu subito coi Pavesi al
ponte di Vigevano e alla distruzione di Morimondo (i). Nel 1246,
dice il Giulini (2), i Milanesi non fecero alcuna impresa guerresca;
però l'intenzione di tentare qualche cosa a danno dei Pavesi in
Lomellina loro non mancò. Insieme ai documenti che qui pubblico
ho trovato un altro fascicolo in pergamena di fogli 12, in cui sono
elencati i Pavesi che furono condannati dal Podestà per mancata
partecipazione ad un* impresa contro i Milanesi in difesa della Lo-
mellina nel 1246. Comincia così : Condempnaciones facte per D. Bo-
nacursum de palude imperiali gratia papié potestatetn, illorum mi-
litum papié qui non fuerunt in cavalcata facta per Comune papic
in lomellina apud Tromellum occasione qua Mediolanenses debebant
ibi lenire MCCXL Ì^I, indicione IIII, Quorum quilibet cofidempnatus
est in sold. sexaginta papienscs (3). Risulta evidente che i Milanesi
dovevano compiere una scorreria a danno della Lomellina: il punto
preso di mira era Tromello. Ma i Pavesi armarono la loro milizia
ed uscirono in campo; questo trattenne per quell'anno i Milanesi.
Non così nell'autunno dell'anno seguente. Credendo i Milanesi che
il loro disegno si potesse condurre con tutta segretezza, irruppero
nuovamente nella Lomellina, guidati da Beltramo Scanzio, che i
nostri documenti dicono potestas istorum cavalcatorum, e da un
Ardrico Marro, che era forse un comandante in secondo ordine.
Vedendo nella lista dei prigionieri molti cittadini di Piacenza e
qualche Vercellese, si può credere che, in seguito alle note al-
leanze, i militi di Piacenza prendessero parte alla fazione coi Mi-
lanesi. Non ardirei dire altrettanto per Vercelli, potendo i pochi
Vercellesi nominati nei nostri documenti essere arruolati fra le mi-
lizie di Milano, di propria e personale iniziativa. L'urto di queste
miliide fu sostenuto valorosamente da quelle pavesi; si venne alle
mani e sembra colla peggio degli in\-asori. Giacche è bensì vero
(1' GiuLiM. op, cit^ p. 4x4.
(a) Idem. ibìd. p. 435.
I3Ì II numero dei condannati ascende a circa 170 e non sono tutti
perchè il documento è frammentario. Da questo così largo numero di
renitenti è facile indurre dì qual larghissimo numero di militi Pavia po-
tesse disporre. L* Anonimo Ticinese nel 1330 scriveva che i Pavesi
potevano raccogliere on •• ano tv/ trim mù'ìa eifuìttam^ ptdiimm vero circa
IN PAVIA NEL 1247 253
che nei documenti nostri si allude a soldati pavesi tratti prigio-
nieri a Milano e là sostenuti in carcere; ma apparendo che i due
condottieri delle forze milanesi restano nelle mani dei nemici e
che il numero dei Milanesi catturati ascende a 74, dobbiamo rite-
nere che la vittoria fu dei Pavesi. L'episodio adunque rilevato dai
nostri documenti è un altro anello della funesta lotta fra Milano e
Pavia, che, pur datando da antico, fu inasprita pei Milanesi dal
parteggiare dei Pavesi per V impero, e pei Pavesi dalle usurpazioni
e dai danneggiamenti avuti, per rappresaglia, nel loro territorio e
specialmente in Lomellina.
I documenti sono anche importanti perchè rivelano, almeno in
parte, il trattamento che si faceva ai prigionieri di guerra. La loro
custodia era affidata a soprastanti generali (i), i quali, essendo in-
sufficienti le carceri comuni, distribuivano i catturati, per gruppi,
in case particolari, affidandoli alla sorveglianza di uno o pili car-
cerieri, che, sotto la garanzia di lire duemila pavesi, giuravano di
sorvegliarli e impedirne la fuga. I carcerieri, il più delle volte,
erano i padroni della casa scelta dai soprastanti generali come
prigione; e si può comprendere facilmente che non era tanto fa-
cile trovare fra i cittadini chi si sobbarcasse alle fatiche ed alla
responsabilità dell'odioso incarico.
Al pari dei carcerieri, anche i prigionieri dovevano dare ga-
ranzia e giuramento di non fuggire, di rispettare la incolumità dei
custodi, di non congiurare a danno dell'imperatore e del comune
di Pavia, di non limare e frangere i loro ceppi, di ritornare, entro
il tempo stabilito, in carcere, quando dato ostaggio, ne fossero stati
temporaneamente dimessi. Da ciò risulta che i prigionieri erano
incatenati, anzi il documento dice che i loro ferri erano ribattuti,
sicché non' ne potevano mai essere liberati : tuttavia per cause im-
portanti, i prigionieri, dando ostaggi, potevano allontanarsi dalla
(i) Da un fascicolo in pergamena dello stesso pacco dei nostri do-
cumenti, contenente le garanzie date da alcuni Piacentini prigionieri
a» guerra, risulta che i soprastanti generali delle carceri erano eletti
ual Consiglio e duravano in carcere per sei mesi. Queste sicurtà dei
Piacentini, date neiragosto 1247, sono accettate da Castello Cane et Bur-
rono mediabarba superstiiibiis carcerum comunis papié consdtutis a co-
fnune Papié secundi medii anni in millesimo ducentesimo XL VII in-
dtcttone quinta tempore potestarie domini U, Buterii potestatis comunis
pafne.
254 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
carcere e portarsi anche a Milano. La circostanza dell' incatena-
mento fa pensare che ai carcerati non fosse permesso di mendi-
care il vitto per la città, come altri documenti pavesi del Museo
civico del tempo di Gian Galeazzo e di Filippo Maria mostrano
facessero i prigionieri di guerra; essi dovevano con mezzi propri
provvedere al vitto, o forse accontentarsi delle limosine recate dai
pietosi alla porta delle carceri. Il Comune non provvedeva se non
nel caso di estrema necessità.
Uno speciale incaricato provvedeva a portare le ambasciate
dei prigionieri. Eletto dai soprastanti delle carceri, costui, che chia-
ma vasi audator, doveva servire quale intermediario fra i prigioni
e le loro famiglie; si recava frequentemente a Milano per essi, e
con ogni probabilità era per mezzo suo che i carcerati potevano
procurarsi i mezzi di mantenersi fra gli stenti della custodia. Egli
doveva anche occuparsi delle richieste e dei bisogni dei Pavesi
che erano in carcere a Milano; in questo modo si stabiliva quasi
una reciprocanza, Tunico mezzo per salvare i prigionieri da mal-
trattamenti.
Come i custodì delle carceri davano una garanzia di due mila
lire pavesi e costituivano fideiussori, così i carcerati, a maggior
conferma della promessa e del giuramento prestati, dovevano pre-
sentare fideiussori obbligati in solidnm pel prigioniero e per la
somma ordinariamente di due mila lire pavesi. Fanno eccezione
Beltramo Scanzio e Ardrico Marro tenuti a prestare, oltre V ordi-
naria di due mila lire, un'altra cauzione di diecimila; ma ciò si
spiega facilmente, essendo essi i prigionieri più importanti come
capi e condottieri della spedizione armata. 1 fideiussori dei carce-
rati sono tutti cittadini di Pavia: fra essi troviamo un solo mila-
nese: segno questo che la pietà era sentita profondamente nella
nostra città, anche verso i nemici.
Dei prigionieri uno solo morì in carcere, forse di ferite o di
stenti. Prima dì dare il suo corpo alla sepoltura, il Giudice del Po-
destà e ì due consoli di giustizia stabiliscono, facendo giurare due
carcerati conoscenti del morto, la identità personale dì questo per
impedire una sostituzione di persona. Accertato che il defunto è
veramente quel prigione che si dice, lo fanno seppellire presso una
chiesa della città.
1 documenti dì questo fascìcolo non ci forniscono alcun dato
IN PAVIA NKL 1247 255
suJla sorte toccata a questi prigionieri di guerra. Però un altro fa-
scicolo pergamenaceo della stessa cartella supplisce alla mancanza
e ci insegna che la prigionia durò per alcuni di essi fino al 1249,
per altri più a lungo. 1 Milanesi mal tolleravano che un loro con-
dottiero rimanesse prigione: si adoperarono quindi principalmente
per la fuga di lui e dei suoi compagni di carcere. Assoldato un
Giacomino da Villanova d'Ardenghi, costui venne a stabilirsi in
Pavia e prese abitazione nella casa attigua alla carcere del capi-
tano milanese. Senza dar sospetto entrò in rapporto coi custodi di
lui, fors'anche li corruppe con denaro; sta di fatto, che sulla fine
del 1248 si trovò rotto il muro fra la casa di Giacomino e la pri-
gione di Beltramo Scanzio e questi fuggito con Tebaldo suo scu-
diero e cogli altri compagni. La peggio toccò ai custodi, de' quali
il fascicolo ci accenna le condanne: Salioto Raso e Ottone Pata-
rino furono destituiti, incarcerati e condannati ad una multa di 200
lire pavesi; si fé loro carico di negligenza e persino di connivenza
essendosi accertato che cotidie stabant cum dicto Bertramo,,, come-
drudo et bibendo assidtie^ e perchè era impossibile che il career pò-
tuisset fractum esse qtiin ipsi Saliotus et Otto seitsissent. Otto altri
custodi furono destituiti e condannati in lire cento per negligenza
e la pena fu mitigata quia non inveniuntur de tanta culpa quanta
predicti Saliotus et Otto. Anche i due soprastanti delle carceri della
seconda metà dell'anno 1248, Lanfranco Botto e Giovanni da Gam-
bolò, furono condannati in lire 200 ed alla esclusione dall'ufficio di
soprastanti per totum tempus presentis guerre, Pietro e Carbone Rasi,
due altri favoreggiatori, furono condannati in lire cento. In contu-
macia poi fu condannato alla pena capitale (ad mortemy si capi
posset) lo scaltro Giacomino da Villanova d'Ardenghi. Tre altri
emissari <\cì Milanesi, Bozolino de Puteo, Manfredeto de Mediolano,
Guglielmo Cristiani qui dicitur Carnelevarius, furono banditi fino
a che pagassero lire 700, data facoltà a tutti di catturarli e di se-
questrarne i beni, promesse lire 100 di premio a chi consegnasse
al Comune di Pavia uno di quei banditi. Un Guglielmo Medici, fi-
nalmente, perchè si vantò di aver sospettato della fuga che si tra-
mava, e perchè tacque la verità, fu condannato ad una multa di
venticinque lire.
Rodolfo Maiocchi.
256 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
DOCUMENTf
1. — 124'], giovedì ij ottobre.
Garanzia e sicurtà fatta ai soprastanti delle carceri
DI Pavia, da undici prigionieri milanesi, di rimanere
A LORO DISPOSIZIONE NELLE CARCERI.
In Nomine domini nostri Jhesu Christi Amen. Securitates Car-
ceratorum Comunis Papié facte sub dominis Rainerio de Caneva-
novo et Rolando de Morzano superstitibus ipsorum carceratorum
qui capti fuerunt in lomellina per Comune Papié die septimo mensis
octubris quando Bertramus Scanzius et Ardricus Marrus et alii eo-
rum sequaces ibidem capti fuerunt Mccxlvii indictione V.
Die lovis XVI kalendas novembris. Testes Guido de Monte-
bello, Frater Martinus, henricus isembardus et Bertramus taberna-
rius, peliparius peliparius. In Papia in domo Jacobi Raxi.
Bertramus Scattztns civis mediolani
ArnixÌHs de Merlo de burgo porte coìiiacine
Panigata filùis pelegri villani de porta roiitana
Zaiietus de Cergttago civis mediolani de porta nova
Tebatdtis francisais de mediolano
Girardns Surdns civis mediolani de porta romana
Lantelmettis de piato civis mediolani de porta arcnza
Tinctns de linate civis ntediolani de porta romana
Arnoldus de bnstigaria civis mediolani de ipsa porta
Conradintis de pinarolo tambornator,
Zambelletus capud mazie qui dicitur panicus civis mediolani
de porta tonsa
onmes suprascripti de Mediolano sponte propria et non cohacti et
onines carcerati predicti ut dixerunt protestati fuerunt et confessi,
promittunt et conveniunt quilibet eorum in solidum, dictis super-
stitibus recipientìbus eorum nomine et nomine Comunis Papié stare
de cetero personalìter in eorum fortia et virtute dicti Comunis Papié
in carcere in domo et turri Jacobi Raxi et alibi ubi positi fuerint
per Comune Papié, uno tempore et dìversis, et una vice et pluribus,
per totum tempus presentis guerre, ferriati et dìsferriati, cum ho-
stagìo, et sine hostagio, ad voluntatem mandatum et dispositionem
Comunis l\ipie» suprascriptorum superstitum et eorum successorum
IN PAVIA NEL 1347 257
qui prò tempore fuerint et cuiuslibet ipsorum. Et quod de ipso
carcere ipsi carcerati vel aliquis ipsorum nec recedent nec exibunt
nec se unquam movebunt nec consentient se moveri nec exportari
nec eripi nec liberari in aliquo casu et eventu qui dici possent no-
minari vel excogitari aliquo modo sìve casu, absque licentia para-
bola et mandato Comunis Papié et dictorum superstitum et eorum
successorum vel alicuius ipsorum qui [prò] tempore fuerint. Et
si centra predicta et singula ipsi vel aliquis ipsorum fuerint et
venerint, reddibunt ad carcerem personaliter in fortia et virtute
suprascripti comunis et ipsorum superstitum et eorum successorum
et cuiuslibet ipsorum ad secundam dìem proximam post quam hec
vel aliquod predictorum commissa fuerint per ipsos carceratos vel
aliquem ipsorum ut dictum est. Et in carcere stabunt iuxta pre-
dictam condictionem et formam quandocumque eis vel alicui ipsorum
vel infrascriptis eius (?) fideiussorìbus seu alicui ipsorum.... domos seu
domum alicuius ipsorum fuerit requisitum per litteras vel nuncios
vel sine requisitione. Item quod predicti carcerati vel aliquis ip-
sorum non frangent nec frangi facient carcerem in quo positi sunt
et fuerint per ipsos superstites vel eorum successores qui prò tem-
pore fuerint per comune Papié. Item quod non limabunt nec limari
facient sibi ferrias nec dabunt nec dari facient aliquam potionem
vel confecturam suprascriptis custodibus uni vel pluribus per quam
possent eripi de carcere vel liberari et per quam ipsi custodes vel
aliquis ipsorum amitterent vitam vel membrum vel sanguinem. Item
quod non erunt consentientes ubi ipsi carcerati vel aliquis ipsorum
faciant aliquid ex predictis et singulis, nec exinde erunt in aliquo
tractatu. Item quod ipsi vel aliquis ipsorum non ibunt in aliquam
partem ubi credant cadere in periculum persone et quod ibunt per
rectam stratam ordinatam per Comune Papié et quod non tractabunt
alicubi malum vel detrimentum domini Imperatoris nec Comunis
Papié. Item si dicti carcerati vel aliquis ipsorum cum hostagio vel
?>ine hostagio irent mediolanum quod reddibunt ad carcerem in
fortia et virtute suprascriptorum superstitum vel eorum successorum
vel alicuius ipsorum ad terminum vel terminos sibi datos vel infra
terminum uno tempore et diversis et una vice et pluribus et di-
versis hostagiariis, quandocumque eis vel eius fideiussorìbus seu
alicui ipsorum vel apud eorum domos vel domum alicuius ipsorum
fuerit aliquatenus requisitum per litteras vel nuncios et quod se
l>ersonaliter presentabunt et consignabunt predictis superstitibus
vel eorum successoribus vel alicui ipsorum in eorum fortia et vir-
tute in carcere et se facient inlegare et clavum firmiter rebatti et
exinde non recedent absque licentia parabola et mandato supra-
258 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
scriptorum superstitum vel eorum successorum per totum tempus
presentis guerre iuxta predictam condictionem et formam interpro-
missam et conventam dictis superstitibus : Quod si ipsi carcerati de-
derint unum hostagium vel plures uno tempore et diversis et una
vice vel pluribus et diversis hostagiarìis, quod ipse hostagius vel
hostagii et quilibet ipsorum, prò se et eorum sacramento et facto
ipsorum carceratorum et eorum hostagiarie, attendent et observa-
bunt, in omnibus et per omnia, ea omnia et singula que suprascripti
carcerati vel aliquis ipsorum promiserunt superius occasione car-
ceris donec ipsi carcerati vel aliquis ipsorum reddibunt ad carcerem
in fortia et virtute suprascriptorum superstitum vel eorum succes-
sorum vel alicuius ipsorum cum requisicione vel sine requisicione
iuxta predictam condictionem et formam. Et hec omnia et singula
dictis superstitibus eorum et predicto nomine promittunt attendere
ut supra continetur : Et si ita non attendent promittunt dare dictis
superstitibus recipientibus eorum et predicto nomine penam librarum
duo milia papiensium prò quolibet ipsorum casu quo (?) ipsi vel ali-
quis ipsorum contra predicta et singula fecerint et venerint, rato etc.
qua pena comissa vel non comissa, soluta vel non soluta, exacta vel
non exacta, nichillominus predicta et singula sint et permaneant in
sua firmitate et omni suo robore et vigore. Et predicta omnia et
singula ipsi carcerati debeant et teneantur attendere et attendi fa-
cere iuxta predictam condictionem et formam simul cum expen-
sis etc. eundo stando et reddeundo tempore feriarum et non fe-
riarum, in causa et extra causam et in omni eventu et casu in
denariis numeratis tantum. Renuntiando omni decreto statuto et
ordini alicuius Civitatis et loci facto et faciundo contra predicta et
singula et renuntiando fori prescriptionibus, etc, et renuntiando
omnibus litteris impetratis et impetrandis a romana curia et impe-
riali et omni beneficio earundem et renuntiando omni iuri tam
canonico quam civili quibus se possent tueri contra predicta et sin-
gula, desistentes ex nunc sponte propria ab omni lite questione et
exceptione quas ipsi vel aliquis ipsorum movere possent contra
predieta et infrascripta omnia et singula. Credendo de pena et
ex|>€nsis et obligando etc. oblìgatìone in solidum etc. Renuntiando
epistole divi Adriani et hiis duabus novis consti tìonibus, una quarum
dicit quod prìncìpales debitores etc, altera denotat quod ne quis ex
rtis etc Et renuntiando il li iuri quo dicitur quod si principales
non re [spondent ?j etc Et renuntiando illi iuri quo se potuerint
dìct re so in tempore promissionis carceratos, scientibus tamen fir-
milor so in tempore promìssìonìs carceratos : et renuntiando spatio
termini quadrimestri tomporis. Insuper dìcti carcerati iuraverunt
IN PAVIA NEL 1247
259
personaliter ad sancta dei evangelia predicta omnia vera esse et
ea attendere et observare ut supra continetur et non contravenire
modo aliquo. Qua securitas et omnia predicta et singula teneant et
valeant per totum tempus presentis guerre et perpetuo et omni
tempore donec omnes et singuli carcerati predicti et eius fideius-
sores absoluti fuerint et liberati a carceribus et a predictis et sin-
gulis per Comune Papié et instrumenta publica fiant exinde manu
publica notarii papiensis. Dicti carcerati sponte propria renuntia-
runt omnibus probationibus testium exceptionibus et defensioni-
bus etc. Et hoc stetit in ter eos quod aliquid contra predicta et sin-
gula probari non possit ostendere nec opponi nec per cartam factam
exinde manu publica notarii papié. Dicti carcerati et quilibet ip-
sorum hanc cartam fieri iusserunt.
11. — 124-]^ ij ottobre.
Garanzia e promessa dei carcerieri fatta ai detti so-
prastanti PER LA CUSTODIA DEI PRIGIONIERI DATI LORO
IN CONSEGNA.
Eadem die et testibus. In Papia in suprascripto carcere. Olive-
rius de albaris, Zumignanus de puteo, Jacobus raxus, Oto patarinus
et Johannes decimanus custodes suprascriptorum carceratorum fue-
nint confessi versus dictos superstites recipientes eorum et predicto
nomine se accepisse et habuisse ab eis personaliter in custodia
et carcere suprascriptos omnes et singulos carceratos. Renuntiando
etc. quos omnes et singulos promisserunt representare et consignare
suprascriptis superstitibus personaliter vel eorum successoribus
quandocumque eis, vel eorum fideiussoribus, vel alicui ipsorum
fuerit aliquatenus requisitum per nuncium, vel litteras, vel alio
modo, sub pena librarum duarum milium prò quolibet ipsorum.
Rato etc. simul cum expensis etc. in denariis numeratis tantum.
Renuntiando omnibus et singulis quibus suprascripti carcerati re-
nuntiarunt superius. Credendo de pena et expensis et obligando
in solidum etc. Renuntiando in omnibus ut dicti carcerati renun-
tianint superius. Qui superstites nomine et a parte comunis papié
preceperunt dictis custodibus in debito iure et banno et pena li-
brarum centum papiensium prò quolibet ipsorum quatenus attendant
et observent et attendere faciant et observare dictis carceratis et
cuilibet ipsorum omnia que continentur in decreto comunis Papié
facto prò ipsis carceratis et aliis carceratis Comunis Papié et ea oc-
casione, et quod ipsos non dimitant exire carcerem vel aliquem
26o MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
ipsoruni occasione mendicandi ut eis prohibìtum per ipsum decretum,
et quod non recipiant aliquod servicìum in aliquo casu ab ipsis
carceratis, nec de rebus ipsorum vel alicuius ipsorum utantur dìcti
custodes. Renuntiando omnibus probacionibus testium, exceptio-
nibus et defensionibus etc. Et hoc stetit inter eos quod aliquid
non possit probari ostendi nec opponi contra predicta et singula
nec per cartam factam exinde manu publica notarii papié. Dicti
custodes hanc cartam etc.
III. — 124"]^ 14 ottobre.
Garanzia e promessa prestata da altri prigionieri agli
ANZIDETTI SOPRASTANTI DELLE CARCERI DI PaVIA.
Die Lune xiiij<* mensis octubris. Testes : Guido de Montebello,
Palmerius Cogabella et Bartholomeus Trovamala cives papienses. In
Papia in domo Ricardi de sancto Gabriele
Ardrictis Marrus civis mediolaui
Albertus de aimericis de Broiiate qui habitat mediolani in porta
nova
Ambrositis bastardus de aritis civis mediolani
Guillelmus henglesius de compito de porta arenza de tnediolano
nomen cuius iuvenitur inscriptus comuniter hengilerius
Matus de sancto angelo civis mediolani de porta rotnana
Jacometus de canturio de porta zobia civis mediolani
Millanus Reminzonus civis mediolani de porta zobia
Albertus filius petracii de lastricta de Roxate
Reforzatus guantarius de mediolano de porta arenza
Martinus Tilerius de cermagnano
omnes suprascripti carcerati comunis papié sponte propria et non
cohacti ut dixerunt protestati fuerunt et confessi, modo consimilii
in omnibus et per omnia fecerunt securitatem dictis superstitibus ut
alii carcerati fecerunt superius standi in dieta domo in carcere sub
pena librarum M.M. papiensium prò quolibet, rato etc. simul cum ex-
pensis etc. in denariis numeratis tantum. Credendo etc. et obligando
in solidum et renuntiando ut predicti, et renuntiando omnibus te-
stìbus etc. Et hoc stetit inter eos quod aliquid contra predicta pro-
bari non possit etc. Et iuraverunt personaliter etc.
IN PAVIA NEL 1247 261
IV. — /2^7, /^ ottobre.
Promesse e garanzie date ai soprastanti delle carceri
DA altri prigionieri.
Die mercurii xvj mensis octubris. Testes: Guido de Montebello,
Petrus nibeus de la turri et Johannes henlenus cives papienses.
In Papia in domo Gisolfi de verzario et filiorum eius,
Manfredus polenzouus qui dicittir pizattoxicnm civis Medioìani
de porta romana
Ubertus Medalia de septazauo
Henriciis de pelato de Roxate
Daniel de mediolano de porta comacina
Dianus filitis Alberti de porta romana
Morontis de liscate de districtu medioìani
Lancia Burrus de mediolano
Guillelmus Seregnus de mediolano
Ugetus de pignano de porta romana
Zaninus de Gavio
omnes suprascripti carcerati, sponte propria et non cohacti ut di-
xenint, protestati fuerunt et confessi, modo consimilli fecerunt se-
curitatem dictis superstitibus standi in carceribus in dieta domo et
alibi ut alii carcerati fecerunt superius sub pena etc. Come sopra
al n. III.
V. — 1247, ^1 ottobre.
Garanzie e promesse di carcerati verso i soprastanti
generall
Die Jovis xvj<> kalendas novembris. Testes : Rainerius de sancta
mustiola, Jacopus de sancta mustiola qui dicitur Alzatus et Guerzius
de rubis cives papienses. In Papia in domo Guillelmi et Carboni
de Solario fratrum civium papiensium.
Oldrattis brochinus de nezio qui dicitur stangar ius
Petrus rubens civis Medioìani de porta arenza
Armanus de mozia ferrar ius
Zaninus prestenarius de burgo Roxati
Moretus fragerius de Roxate
Golia de Mediliis de mediolano
Albertinus de agugnano civis medioìani de porta romana
202 MINANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
Uberttis Tavanus de Cassano de districtu mediolani
Morus Martinus civis mediolani de porta nova
Galferrus civis mediolani de porta comaxina
Gasparus de Canova de tnediolano
omnes suprascripti de Mediolano, sponte propria et non cohacti ut
dixerunt, protestati fuerunt et confessi modo, consimilli fecerunt se-
curitatem dictis superstitibus etc. Come sopra al n. III.
VI. — 72^7, i8 ottobre.
Promesse e garanzie di altri carcerati verso i detti
soprastanti.
Die Veneris xv kalendas novembris. Testes: Guillelmus de
sanato Alexio, henricus agiratus et Anselminus servitores Comunis
Papié. In papia in domo pagani gabi que fuit de carpanis.
Gandolfiis sartor de placentia
Henricus franzeritis civis placentie
Guillelmus de stra levata civis placentie
Petrus domenzus de placentia
Azinus Scarrezius de placentia
Guilielmetus de Sexto de districtu tnediolani
Amizetus de Carpiano de mediolano
A ventura de pontremulo civis placentie
Majfeus Malerba de placentia
Jacominus bigorra de ym^rio de districtu mediolani
Olricus opicerius de digitate vercellarum
omnes suprascripti carcerati sponte propria et non cohacti ut di-
xerunt protestati fuerunt et confessi, fecerunt dictis superstitibus
modo consimilli securitatem in omnibus standi in carceribus etc.
Come sopra al n. III.
VII. — ^24j, iS ottobre.
Garanzìe e promesse di altri carcerati.
Die Veneris xv kalendas novembris. Testes: Guido de Mon-
tebello, henricus agiratus et Simon de marchixiis cives papìenses.
In Papia in domo Otonis de marchixiis et Rolandi Nigri civium
papiensium.
IN PAVIA NEL 1247
263
Ventura de brivio de porta coniaxhta
Afftbroxius de orsenigo de suprascripta porta
Andriolus de Cantono de suprascripta porta
Guidotus de cornali inferiori
Mazia de solerio de porta suprascripta
Zambelktus de gatego de novaria
Christianus Canevarius de porta arenza
Petrus de dergano de porta comaxina
Ambroxius de dergano eius frater
Ambroxius de barlexina de ipsa porta
Zorgnus luxiardus de porta romana
Losyrus de dergano de mediolano
omnes suprascripti carcerati sponte propria et non cohacti ut di-
xerunt protestati sunt et confessi, modo consimilli, fecerunt securi-
tatem dictis superstitibus stando in dicto carcere etc. Come sopra
al n. 111.
Vili. — ^24y, 24 ottobre.
Altre promesse e garanzie di carcerati.
Die sabbati xv kalendas novembris. Testes : Guido de Monte-
bello et henricus agiratus servitor comunis papié. In papia in domo
Michaelis de travalio civis papié.
Ventura de brivio de porta comaxina
Andriolus de cantono de suprascripta porta
Guidotus de cornali inferiori
Zambelletus de gatego de novaria
Petrus de dergano de porta comaxina
Ambroxius de dergano eius frater
Zorgnus luxiardus de suprascripta porta
Losyrus de dergano de mediolano
Jacomus de albano de districtu verceltarum
Ambroxius de orsenigo de suprascripta porta
Mazia de solerio de suprascripta porta
Christianus canevarius de porta arenza
Ambroxius de barlessina da suprascripta porta (i).
omnes suprascripti carcerati sponte etc. Come sopra al n. III.
(i) Sono gli stessi, quasi tutti, del documento precedente, che rin-
novano la garanzia, forse perchè hanno cambiato di carcere e di custodi.
264 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
IX. — 124-], 1^ ottobre.
Promesse e garanzie di carcerati fatte ai soprastanti
generali delle carceri.
Die sabbati xiiij kalendas novembris. Testes: Guido de Mon-
tebello, Guillelmus de santo Alexio et henricus agiratus cives pa-
pienses. In papia in domo pagani gabi que fuit de carpanis.
Manfredus de Vertnezo de mazenta de districtu Mediolatìi
Otolinus sillonus de mazenta de districtu Mediolani
predicti carcerati et omnes carcerati predicti carceris inter se vi-
cissim fecerunt securitatem dictis superstitibus standi in carcere sub
pena librarum M. papiensium prò quolibet etc Come sopra al n. III.
Eadeni die. Testes : Guido de Montebello et henricus agiratus.
In Papia in domo Guillelmi et Carboni de solario fratrem civium
papiensium.
Cremaschifuis de Crema de burgo Roxati
Airoldinus de beloxio de suprascripto burgo
predicti carcerati et omnes alli qui sunt in suprascripta domo inter
se securitatem fecerunt dictis supertitibus standi in carcere sub pena
libr. M. papiensium prò quolibet etc. Come al n. III.
Eadem die et testibus. In Papia in domo Ricardi de sanato
Gabriele civis papiensis
Giliolus henglexius qui dicitur Valarius de placentia,
Perrinus de Augusta de pede montis
predicti carcerati et omnes alii de suprascripto carcere modo con-
similli etc. Come sopra al n. IH.
Eodem die et testibus in Papia, in domo Gisolfi de Verzario
et filiorum civium papié
Phiìipinus de ìrnrgo Rosate de districtu fuediolani
prcdictus carceratus et omnes alii qui sunt in dicto carcere modo
oonsimìlli etc. Come sopra al n. III.
F-adcm die. Testes: Rolandus de Verzario. Guillelmus de sancto
alexio et henricus agiratus cives papienses. In Papia in domo Ja-
iX^bì raxì
MiVìitiius dt Rwate de districtu Mediolani
prediciuii caivcratus et oìnius carcerati de suprascripta domo con-
sìmìUi nunlo teccrunt securitatem etc. Come sopra al n. III.
IN PAVIA NEL 1247 265
Die suprascripto. Testes : Guido de Montebello et henricus
agiratus cives papienses. In papia in domo Ottonis de marchixiis
et Rolandi nigri civium papié.
Jacominus de albana de districtu vercellarum
predictus carceratus et omnes alii de suprascripto carcere modo
consimilli fecerunt securitatem etc. Come sopra al n. III.
Suprascriptus carceratus est positus in carcere in domo mi-
chaelis de travalio cum aliis carceratis post predicta acta superius.
X. — 1247, 79 ottobre,
Bertramo Scanzio capo dei prigionieri dà garanzia di se
PER diecimila lire E COSTITUISCE I SUOI FIDEIUSSORI.
Die sabbati xiiij kalendas novembris. Testes: Jacobus raxus:
Oto patarinus et Oliverius de albaris cives papienses. In Papia in
domo Jacobi raxi civis papié
Bertratnus Scanztus civis Mediolani sponte propria et non co-
li actus ut dixit, prot estatus fuit et confessus, fecit consimillem se-
curitatem dictis supertitibus occasione carceris prout predicti car-
cerati fecerunt superius in omnibus et per omnia sub pena librarum-
decem millium papiensium etc. Come sopra al n. III.
Pro ipso Beltramo :
Niger de Zaciis filius GuiUelmi
Rolandus botus
Bergundinus Zazius fq. Guidonis
Lanfrancus medicus
Jacomus Cargnotus
Rufinus Capitaneus de porta laudensi
Rainerius botus
Gualterinus medicus
Siclerius medicus
Quintavalle de malfaxato
Petrus de Becariis
Petrus Cataxius
Lanfrancus Botus
Jacobus Salenbenus filius oliverii
omnes predicti Cives papienses fideiussores in solidum ut mos est
promitterunt obligando in solidum ut dicti carcerati fecerunt supe-
rius sub pena librarum decem milium papiensium, rato etc. cum
Arch. Stor. Lomb., Anno XXIX. Fase. XXX ÌV. 18
206 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
expensis etc. in denarìis numeratis tantum etc. Credendo et obli-
gando in solidum et renuntiando omnibus quibus suprascripti car-
cerati renuntiaverunt superius salvis tamen et firmis manentibus se-
curitatibus promissionibus obligationibus penis dispendiis et ceteris
actis per suprascriptum carceratum occasione carceris ita quod
sint et permaneat in omni suo robore et vigore cum integritate
omnimoda. Dicti carceratus et fideiussores renuntiarunt omnibus
probacionibus testium exceptionibus et defensionibus etc. Et hoc
stetit inter eos quod aliquìd contra predicta et singula non possit
opponi ostendi nec probari etc. Et michi hanc cartam etc
XI. — 124^, 20 ottobre.
Garanzia e fideiussori del prigionierio Enrico de Pelato.
Die dominico xiij kalendas novembris. Testes: henricus de
Verzario notarius et Gisolfus de Verzario et Guido de Montebello
cives papienses. In Papia in domo Gisolfi de Verzario et filionim
civium papiensium.
Henricus de pelato de burgo Roxati sponte propria etc. fecit
consimillem securitatem dictis superstitibus prout alii carcerati fe-
cerunt superius sub pena librarum duarum milium papiensium
rato etc. Come sopra al n. Ili,
Pro suprascripto henrico carcerato :
Baldus de curte Cremona
Gaiferus de morzano
Petrus razius filius Sillani profitens se esse emancipatum
Rufinus de palacio qui dicitur gallus
Oto patarinus notarius
Et Simon de abìate filius Johannis profitens se esse emancipatum
omnes predicti cives papienses fideiussores in solidum ut mos est
promittunt obligando in solidum etc. sub dieta pena librarum dua-
mm milium papiensium etc. Come sopra al n. X.
XII. — 124^, 2} ottobre.
Garanzia di dieci mila lire prestata da Ardrico Marro
altro capo dei prigionieri, e suoi fideiussori.
Die mercurii x kalendas novembris. Testes : Guido de Monte-
bello Castellanus Grassellus, Johannes tinctor et plures alii cives
IN PAVIA NEL 1247
267
papienses. In Papia, in domo Ricardi de sancto Gabriele civis pa-
piensis.
Ardricus Marrus civis ntediolani et carceratus comunis papié
sponte propria etc. fecit dictis superstitibus consimillem securitatem
in omnibus et per omnia occasione carceris prout dicti carcerati
fecenint superius sub pena librarum decem miliura papiensium etc.
Come sopra al n. IH.
Pro suprascripto carcerato;
Petrus de strata maior
Guilielmatius de strata
Jacobus canis notarius
Enricus medicus
Rolandus de Olevano
Guizardus porcus
Ricardus de marconibus.
Rainerius belixomus
Baldus de curte Cremona
Mussus scanatus
Ranisus de Uvergnaga
omnes predicti cives papienses fideiussores in solidum ut mos est
promittunt obligando in solidum etc. sub dieta pena librarum decem
milìum papiensium etc. Come sopra al n. X.
XIII. — 124^, 2 novembre.
Garanzia e fideiussori del prigioniero Panico de Maxate.
Die sabbati secundo mensis novembris. Testes Jacobus raxus
et Zumignanus de puteo cives papienses. In papia in domo Jacobi
raxi civis papiensis.
Panicus de Maxate civis ntediolani de porta arenza sponte pro-
pria etc. fecit dictis superstitibus consimillem securitate etc. sub
pena librarum duarum milium papiensium etc. Come sopra al n. 111.
Pro eo :
Jacobus de Cadrona
Faxadinus de malfaxato
Guido isembardus
Nicola de galobia
Omnes predicti cives papienses fideiussores ut mos est pro-
mittent obligando in solidum etc. Come sopra al n. X.
XIV. — 124^, 4 novembre.
Due prigionieri attestano con giuramento la identità
personale di un loro compagno morto in carcere,
prima che sia portato a seppellire.
Die iiij* mensis novembris, Testes: Magister Rolandus de
Sancto primo, Girardus ferrarius, henricus agiratus, Gaidus tusca-
268 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
nus et plures alii cives papienses. In Papia in domo Michaelis de
travalio civis papié in presencia Jacopacii de Cargnano ìudicis do-
mini Ugolini boreti potestatis papié et in presencia petri canis et
Rainerii de piperata consulum iusticie papié, Macia de Solerio et
Andriolus de cantano cives ntediolani de porta comactna iuraverunt
personali ter ad sancta dei evangelia et dixerunt protestati fuerunt
et confessi in presencia suprascriptorum iudicis et consulum quod
sunt carcerati comunis papié et quod bene cognoscunt et cognoscebant
Ambroxium de dergano civem ntediolani carceratum comunis papié
in domo suprascrìpti michaelis et quod dictus Ambroxius est modo
mortuus morte fatali et ostendendo cadaver suprascrìpti Ambroxii
dixerunt et protestati fuerunt in debito prestiti iuramenti quod est
cadaver et corpus mortuum dicti Ambroxii omni exceptione remota.
Qui iudex inspiciendo predicta et singula vera esse jussit dictum
cad aver esportari extra carcerem et sepelliri apud unam ecclesiam
papié. Dicti carcerati et iudex hanc cartam fieri jusserunt.
XV. — 124^, 4 novembre.
Garanzia e fideiussori di Lantelmeto de Plato e di Al-
berto DE LA StRICTA.
Die lune inj<* mensis novembris. Testes : henrìcus isenbardus,
Oto patarinus et Oliverius de Albaris cives papienses. In papia in
domo Jacobi raxi civis papié.
Lantelmetus de piato civis ntediolani de porta arensa sponte pro-
pria etc. fecit dictis superstìtibus consimiUem securitatem etc. sub
pena librarum duanim millium papiensium etc. Come sopra al n. DI.
Pro eo fideiussores ut mos est
Petracius agiratus fìlius quondam Rolandi
Bertolotus iilius quondam petri agudi agìrati
predìcti omnes cives papié fideiussores ut mos est promittunt etc.
come sopra al n. X.
Eadeni die. Testes: Simon Frenaretus et henricus agiratus. In
Papia in domo Ricardi de sancto Gabriele ci\'is papié.
, ttih'rtts <iV iiìsfricta n*ttis pf'tracii de barge Rosati sponte pro-
pria etc. fecit con sì mi] lem securitatem etc. sub pena librarum M.M.
papiensium etc. Come sopra al n. 111.
1V> eo tìdeìussoi^s ut mos est
Albertus de la turrì filius quondam Alberti
IN PAVIA NEL 1247 269
Johannes tarantola de sancto Martino in terra arsa posito juxta
papiam
Petracius de sicleriis
Omnes predicti cives papié fideiussores ut mos est prorait-
tunt etc. Come sopra al n. X.
XVI. — 1^41, S novembre.
Garanzia di lire due mila prestate da altri prigionieri.
Die Martis V raensis novembris. Testes Rufinus Curtexius,
Oto patarinus, Rolandus de verzario et plures alii cives papienses
in papia in domo Jacobi raxi civis papié
Beriramus scancius Girardus surdus
Lanklmetus de piato Pantcus de maxate
Ardrkus marrus
Henricus de pelato de burgo Roxati
Manfredus polenzonus qui dicitur pizattoxicum
Matus de Sancto Angelo
omnes predicti de mediolano et carcerati comunis papié sponte
propria etc. fecerunt consimillem securitatem etc. sub pena libra-
rum duarum milium papiensium etc. Come sopra al n. III.
XVII. — 124^, / novembre.
Garanzia e fideiussori di Ubaldo Francesco.
Eadem die. Testes Jacobus raxus, Zumignanus de puteo et
plures alii cives papié. In papia in domo Jacobi raxi civis papié.
Tebaldus franciscus de mediolano sponte propria etc. fecit in om-
nibus consimillem securitatem etc. sub pena librarum duarum mi-
lium papiensium etc. Come sopra al n. III.
Pro eo fideiussores ut mos est
Jacobus cargnotus Guillelmus de lavolta
Michael gardilionus Rufinus de guitaco
omnes predicti cives papié fideiussores ut suos est promittunt etc.
Come sopra al n. X.
MILANESI PRIGIONIERI t
XVIII. — 124Ì, IO novembre.
Garanzia e fideiussori di matus de Sancto Angelo.
Die Dominico X mensis novembria. Testes: Rolandus de ver-
zario et lafranchinus serviens Rubaidì canìs maiorìs civis papié.
In Papia, Malus de Saticlo Angelo civis mediolani et carceratus
comunis papié etc. fecit etc. consimillem securìtatem etc. Come so-
pra al n. III.
Pro eo fideiussores ut mos est:
Rubaldus Canis Major Alcherìus pasturìnus
perdicti cives papienses 6deiu3sores in solidum etc. Come sopra
al n. X.
XIX, — r24j, 22 ttovembre.
Garanzia e fideiussori di Panigata de Sexto.
Die venerìs x kalendas decembris. Testes: Guido de Monte-
bello, Mariscotus scanatus qui dicitur Comes et Zumignanus de
puteo. In Papia in domo Jacobi raxi.
Panigata de stxlo de medioiano sponte propria etc. fecit etc
consimillem securìtatem etc. sub pena librar. M.M. papiensium etc
Come sopra al n. III.
Pro eo fìdeiussores ut mos est
Cursus de Campexc filius quondam Alberti
Fulco de Campexe eius frater
predicti cives papienses fìdeiussores ut mos est promittunt etc
Come sopra al n. X.
XX. — f34j, 2f novembre.
Garanzia e fideiussori di Tinctus de Lonate.
Die lune vii kalendas decembris. Testes: Guido de Montebelio
et Cataxius de Cataxìis cives papenses. In Papia in domo Jacobi
raxi civis papié. Tiricliis de liliale de medioiano sponte etc. fecit
consimillem securìtatem etc. Come sopra al n. III.
l'ni eo lìdeiiissores in solidum ut suos est
(ìu.iitcrius vaoarubea Andreas vacanibea
pretlitli cives papienses lìdeiussores in solidum ut mos est prò-
luitiunt etc. Come sopra al n. X.
IN PAVIA NEL 1247 271
XXI. — 124^], } dicembre.
Garanzia e fideiussori di Enrico Franzeto di Piacenza.
Die martis tercio mensis decembris. Testes Guido de Monte-
bello et delacius marracius de sancto inventio cives papié. In Papia
in domo pagani gabi que est in contrata de rubis
henricus franzetus civis placentie carceratus comunis papié sponte
propria etc. fecit consimillem securitatem etc. sub pena librar. M.M.
papiensium etc. Come sopra al n. III.
Pro eo fìdeiussores ut mos est in solidum facius gabus et carbo
gabus etc. Come sopra al n. X.
XXII. — 124^ ig dicembre.
Garanzia e fideiussori di Ottolino da Magenta e di Gu-
glielmo Englesio.
Die Jovis xiiijo kalendas januarias, Testes : Tebaldus henlenus
et delacius marracius de sancto inventio cives papié. In papia in
suprascripta domo.
Otolinus de Mazenia de districtu mediolani carceratus comunis
papié etc. fecit consimillem securitatem etc. sub pena librar. M.M.
papiensium etc. Come sopra al n. III.
Pro eo fìdeiussores ut mos in solidum
Jacomus de Croto de porta pertuxi et Johannes et Lafrancus
eius filli patre filiis consentientibus etc. Come sopra al n. X.
Eadem die. Testes: Rolandus de verzario, Ricardus de sancto
Gabriele et Nicola Capellus cives papié. In Papia in domo supra-
scrìpti Ricardi.
Guillelmus henglexius de mediolano etc. fecit consimillem se-
curitatem etc. Come sopra al n. III.
Pro eo fìdeiussores ut mos est in solidum
Bergundius de portalbera iudex, henricus de melate. Ricardus
de belbello et Albertus de la ripa cives papié etc. Come sopra
al n. X.
27S MILANESI PRtCIONtERI DI GUERRA
XXIII, — 124J, 24 novembre.
I SOPRASTANTI GENERALI DELLE CARCERI COSTITUISCONO Mu-
TALBERGO MARTANO NUNZIO E AMBASCIATORE DEI PRIGIO-
NIERI DI Milano e di Pavia pel disbrigo delle loro
FACCENDE.
Die dominico vii kalendas decembris. Testes : henricus isem-
bardus et Guido de Montebello. In Papia. Dicti superstites nomine
et a parte comunis papié et prò ipso Comuni fecerunt et constì-
tuerunt mutalbergum martanum qui habitat in porta palacensi in
burgo novo eorum andatorem et nuncium spedalem ad faciendum
ambaxatas et negocia hominum civitatis medìolani et districtus car-
ceratorum comunis papié juxta offìcium eidem commissum et ad
eundum standum et redeundum dieta occasione per civitatem Me-
dìolani et dìstrìctum uxque ad annum novum proximum et ad vì-
sitandum agendum et procurandum ambaxatas et negocia hominum
papié qui sunt in carceribus in civitate medìolani et ad ea omnia
et sìnguìa procurando que suo officio pertinent sìve spectant. Ju-
rante suprascrìpto andatore ad sancta dei evangelia dictum ofRcium
bona fide sine fraude exercere sine malo et detrimento Imperìi et
comunis papié uxque ad dictum terminum. Et michi hanc cartam etc.
XXIV.
Elenco dei prigionieri milanesi sostenuti nelle carceri
del comune di pavia.
Infrascripti sunt carcerati comunis papié capti et detenti per
ipsum comune in cavalcata quam fecerunt bertramus scancius et
Ardrìcus mairus et eorum sodi cavalcatores mediolani in lomellina
mccxlvu die lune vii mensis octubrìs.
Albertus de aimericis de bronate cìvis roediolani stans in porta
nova
Ambroxius bastardus de henricis qui dicitur de arientis
hengUerius henglexìus de compito de porta arenza qui dixit
Quod vocatur Guillelmus.
IN PAVIA NEL 1247 273
Albertus filius petracii de la stricta de Roxate
Reforzatus guantarìus de mediolano de porta arenza
Jacominus de albano de districtu vercellarum
Gandulfus sartor de placentia de porta sancti laurendi
Matus de sancto angelo ci vis mediolani de porta romana
Jacominus bigorra de ynvorio de districtu mediolani
Amixius de merlo de burgo porte comaxine
Jacometus de Canturio civis mediolani de porta zobia
henricus franzerius civis placentie de porta sancti Brecii
Panigata filius pelegri villani de porta romana
Zanetus de ortegiario civis mediolani de porta nova
Guillielmetus de sexto de districtu mediolani
Tebaldus franciscus de porta arenza civis mediolani
Petrus Rubeus civis mediolani de suprascripta porta
Perrinus de augusta de pede montis
Ubertus medalia de septazano de districtu mediolani
henricus de pelato de loco Roxati
Petrus de dergano civis mediolani de porta comaxina
Guillelmus de stra levata de placentia de porta sancte brigide
Girardus surdus civis mediolani de porta romana
Lantelmetus de piato civis mediolani de porta arenza
Philipinus Martinus de burgo Roxati de districtu mediolani
Tinctus de linate civis mediolani de porta romana
Amoldus de bustigaria civis mediolani de suprascripta porta
Lancia Bumis civis mediolani de porta nova
Gasparrus de Canova civis mediolani de suprascripta porta
Guillelmus de seregno civis mediolani de porta comaxina
Zambelletus capud macie qui dicitur panicus civis mediolani
de porta tunsa
Martinus Tilerius de zermagnano de districtu mediolani
Zaninus qui dicitur esse de Gavio de districtu Janue
Zorgnus luxiardus civis mediolani de porta romana
Manucius de burgo Roxati
Armanus de Mozia ferrarius
Golia de raediliis civis mediolani de porta romana
Albertinus de agugnano civis mediolani de suprascripta porta
Giliolus henglexius de placentia qui dixit quod cognominatur
Valarius
Zambelletus de gatego de novaria
Conradinus de loco pinaroli tambornator
Glericus opizerius de civitate vercellarum
l^acinus scarrezius civis placentie
274 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA
Ventura de Pontremolo civis placentie
Ubertus tavanus de Cassano de districtu mediolani
Morus Martinus civis mediolani de porta nova
Daniel civis Mediolani de porta comaxina
Ventura de brivio de districtu mediolani
Ugetus de fignano civis mediolani de porta romana
Dianus filius Alberti de suprascripta porta
Moretus fragerius de burgo Roxati
Lo syrus de Solario civis mediolani qui dixit quod est de
dergano
Galferrus civis mediolani de porta comaxina
Petrus de menziis de placentia
Andriolus de cantono civis mediolani de porta comaxina
Guidotus de cornali inferiori de districtu mediolani
Ardricus marrus civis mediolani
Airoldus de beloxiìs de Roxate
Otolinus sillonus de mazenta
Christianus canevarius civis mediolani de porta arenza
Moronus de liscate de districtu mediolani
Ambroxius de dergano civis mediolani de porta comaxina
Ambroxius de orsenigo de districtu mediolani
Matheus malerba de placentia
Manfredus de Vermezo qui habitat ad mazentam de districtu
mediolani
Manfredus polenzonus qui dicitur pixattoxicum civis mediolani
de porta romana
Ambroxetus de barlessina civis mediolani de porta comaxina
Cremaschinus de Crema qui stabat in burgo Roxati
Mazia de solario civis mediolani de porta comaxina
Zaninus prestenarius de burgo Roxati
Amizetus filius Lanzani de carpiano civis mediolani de porta
romana.
XXV. — /^^7, 20 e 2j dicembre.
Garanzie e fideiussori di Ambrogio Areta e di Tebaldo
Francesco di Milano prigionieri.
Die veneris xiij kalendas januarii. Testes: Rolandus de ver-
zario, Ricardus de sancto Gabriele et Nicola de verzario cives
papié. In Papia in domo suprascripti Ricardi. Ambroxius areta de
medioìano sponte propria etc. fecit Rainerio de Canevanova super-
IN PAVIA NEL 1247 275
stiti carcerum comunis papié recipienti suo nomine et nomine Ro-
landi de morzano superstitis dictorum carcerum et nomine comunis
papié consimillem securitatem in omnibus prout alii carcerati etc.
sub pena librarum M.M. papiensiem etc. come sopra. Pro eo fide-
iussores in solidum ut mos est henricus isembardus et henricus
canis fìlius quondam Johannis cives papié etc. Come sopra.
Die lime x kalendas januarìi. Testes: Guido de Montebello et
Guifredus de sancto benedicto dves papié. In Papia in domo Ja-
cobi Raxi, Tebaldus franciscus carceratus comunis papié sponte
propria fecit consimillem securitatem etc. come sopra. Pro eo la-
francus medicus et Guido Vivendonus quilibet ipsorum fideiusso-
res etc. Come sopra.
XXVI. — I24g.
Condanna a morte in contumacia contro Giacomino da
VlLLANOVA d'ArDENGHI.
Jacomus de Villanova de ardenghis, quoniam ipse calumpniatus
fuit fraudem comisisse et culpam habuisse in fuga Bertrami scanzii
et sociorum et ipsa occasione requisitus fuerit ut coram potestate
papié et eius iudicibus veniret et ea occasione positus fuit in banno
comunis papié de libris ducentis papié quod bannum incurrit, et
quia manifestum est ipsum habere culpam in ipsa fuga et etiam
quia recessit cum dicto Bertramo et quia stabat in domo deversus
quam fractum fuit career predictum, Jdeo ipse Potestas condempnat
•
ipsum ad mortem si capi poterit : Et si quis ipsum Jacominum su-
prascripto Potestati et comuni Papié dare potuerit, centum libras
papié a comuni Papié habeat ille qui eum potestati et comuni papié
daret et consignaret personaliter.
XXVII. - 1249.
CONDANI^A DI ALTRI FAVOREGGIATORI DELLA FUGA DEI PRI-
GIONIERL
Bozolinus de puteo, manfredetus de Mediolano, Guillelmus
Chnstianus qui dicitur carnelevarius ; quoniam suprascripti calump-
niati fuerunt habuisse culpam in fuga suprascriptorum Bertrami et
soaorum et ea occasione requisiti fuerunt ut venirent coram po-
testate papié et eius judicibus et venire contempserunt et ea oc-
casione banniti fuerunt in libris ducentis prò quolibet, in quo banno
276 MILANESI PRIGIONIERI DI GUERRA IN PAVIA NEL I247
incurrerunt: Ideo quilibet ipsorum condempnatur per ipsum Pote-
statem in librìs quingentis prò quilibet de quo banno et condemp.
nacione non possint nec debeant exire nisi prius solverint ipsam
condempnacionem. Et quilibet eos et eorum bona possit cai>ere et
tenere et oflfendere sine pena. Et si quis predictos vel aliquem
ipsorum personaliter traderit in manibus potestatis et comunis papié
habeat de avere comunis papié libras centum papié prò quolibet
ipsorum bannitorum.
XXIII. - 1249-
Condanna di chi non svelò la trama pur avendola cono-
sciuta.
Guillelmus medicus, quoniam ipse debuit dicere se scire que-
dam de facto bertrami scandi et hoc relatum fuit potestati et eius
judicibus et ea occasione preceptum fuit ei ut diceret veritatem
per sacramentum in penam et bannum librarum vigintiquinque de
eo quod sciret de fuga et facto bertrami [Scandi et] dicere veri-
tatem negaverit quia postea incontinenti interrogatus dixit quod
aliter erat veritas quam ipse primo dixisset et hoc ad confes-
sionem et dieta eius et ipsa occasione. .... contra sacramentum et
incurrit ipsam penam librarum xxv papié : Ideo dictus Potestas
condempnat eum in libris x papié.
Un codice sconosciuto di privilegi bergamaschi
E il medico chirurgo Giambattista Grassi nel raccogliere
in sugli ultimi anni della sua vita, le memorie sto-
riche pertinenti alla valle nativa di Scalve (i), ebbe di
mira, più che un intendimento critico, lo scopo d'annuire, com'egli
stesso avverte, ad un desiderio degli amici, e la naturale sua com-
piacenza di buon patriota, né si peritò, pertanto, di salvare dal
naufragio della dimenticanza, insieme con documenti di notevole
interesse, le vestigia incerte o fallaci di leggende e tradizioni an-
che orali, non comprenderemmo veramente per quale opportunità
ora Eugenio Pedrini de' Batilli abbia curato la stampa e la divul-
gazione del manoscritto così come venne confidato dall'autore al
conte Francesco Lorenzo Albertoni da Cremona, senza nulla to-
gliere, né sollevar dubbi, né proporre almeno, se non risolvere,
questioni là dove la disamina obbiettiva é difettosa i>er mancanza
di fonti e la congettura poggia su interpretazioni errate. Ciò che
nel corso del volumetto ricorre ad ogni pie sospinto.
Il Pedrini, secondo argomentiamo dall'affettuosa dedica ch'egli
fa della stampa ai discendenti del defunto medico, rev. don Betto
e dott Silvestro, rimase pago a rievocare una memoria di qualche
orgoglio per quella famiglia; poiché il Grassi avrebbe dato « un
• primo esempio di schietta storia Scalvina n ; e, in quanto al rile-
vare le mende nelle quali gli storici bergamaschi, e prima e dopo
del Grassi, erano incorsi, s'accontentò di promettere una memoria
che se ne occupi di proposito (pag. Vili). Ma, poiché a differenza
(i) Dott. G. B. Grassi, A/cune notizie sulla Valle di Scalve scritte
mi 1S4J, con aggiunte trascritte nel iSj4,BergamOj stab. tipo-litografìco
Fratelli Bolis, 1899, in-i6, pp. XII^.
278 UN CODICE SCONOSCIUTO
di quanti, come il padre Celestino da Martinengo, il padre Calvi
e Gregorio da Valcamonica, per dire dei principali soltanto, l'ave-
vano preceduto nell' illustrare le vicende della Valle di Scalve, il
Grassi, per primo, non s'era accontentato d'accennarle in succinto
o toccarle per incidenza, intendendo, invece, di farne una narra-
zione cronologicamente compiuta, il Pedrini, a nostro avviso, avrebbe
seguito consiglio di gran lunga migliore accompagnando la pubbli-
cazione di note illustrative e dichiarative.
Con la scorta dei nuovi documenti e delle notizie, che la pro-
gettata memoria sua fa supporre, e con le argomentazioni eh' egli
dichiara di poter opporre alle errate affermazioni altrui, non gli
sarebbe riescito difficile compiere la storia della antichissima Valle,
poiché la trama gli stava già dinanzi, e per verità molto bene or-
dita. Non migliore omaggio poteva rendersi alla memoria del Grassi,
né vantaggio più rilevante procurarsi agli studiosi, che é facile
comprendere con quanta maggior sicurezza si sarebbero valsi del-
l' importante monografia.
Abbiamo detto importante, né ci fanno ricredere le deficienze
riscontrate qua e colà nell' opuscolo, che, come avvertimmo, è il
primo esempio di storia compiuta della Valle di Scalve. Nelle brevi
pagine, infatti, é condensata una grande quantità di notizie in mag-
gior parte inedite e attinte a documenti, per somma sventura an-
dati dispersi, che furono un tempo di pertinenza dell'Archivio di
Vilminore. Sfortunatamente il Grassi si è accontentato di sommarie
citazioni rade volte sostituite da più larghi regesti; ma è il caso,
invero, di far buon viso a triste sorte e d'accettare senza più il
compenso, sia pur tenue, alla perdita dei documenti. L'interesse
dei quali, non occorrerà forse che noi ricordiamo, risiede tutto nel-
r importanza avuta dalla Valle di Scalve in grazia della sua posi-
tura e dei contatti ch'essa manteneva con territori di comunità e
stati potenti: al nord la Valtellina, all'est la Valcamonica, al sud
e all'ovest la Val Seriana Superiore. La Valle Scalvina veniva
così ad essere la naturai via di transito e la chiave dei passaggi
dal territorio di Bergamo, e poscia della Serenissima, a quello dei
Grigioni e dei Tedeschi, cosi che i numerosi privilegi ond'essa fu
insignita; per non ricordare gli imperatori Enrico Ili (1047), En-
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI
279
rico VII (131 1) e Giovanni di Boemia (1331); da Azzone Visconti
e da' suoi successori e quindi dalla Repubblica di Venezia, non
attestano soltanto, come il Grassi vorrebbe (pp. i5-sgg.), la povertà
e la sterilità di quella regione, bisognosa di esenzioni, ma anche
quanto stesse a cuore la fedeltà di quei valligiani (i).
Il comune di Scalve, infatti, poteva nel 1542 dimandare a Ve-
nezia la riconferma dei privilegi suoi e dei comuni limitrofi di Ta-
leggio e d'Averara, « per esser dicti tre Comuni la muraglia de
• Bergamasca che loro confinano con il Duchado di Milano, et co'
« Grixoni, et co' thodeschi et comò nasce qualche guerra co' la
« Illustrìssima Signoria [Veneta] et alcuni de ditti signori conti-
- nuamente questi tre Comuni sono li primi sacheczatti et robbati
« et ruinatti n (2).
A questi privilegi il Grassi dedica appunto uno speciale capi-
tolo, r ottavo (pp. 15-sgg.), e, nella serie cronologica che ebbe
cura di tracciarne, subito dopo quello conferito, nel 1419, dal conte
Francesco Carmagnola a nome del duca Filippo Maria, ricorda per
ultimo l'altro del 1454 concesso dal duca Francesco Sforza a mezzo
di Bartolomeo Colleoni (3); ma un codice, fin qui sconosciuto, di
privilegi bergamaschi rende possibili alcune aggiunte non prive
d'interesse, nel rispetto specialmente della separazione giudiziale
ed amministrativa che la Valle di Scalve, insieme con Taleggio ed
Averara, si era conservata dal territorio della città di Bergamo,
- sino da i Duchi di Milano », come attesta chiaramente il padre
Celestino da Martinengo in quella sua voluminosa e farraginosa
Historia Quadripartita di Bergamo e suo territorio (4), e come,
(i) La fedeltà degli Scalvini alla Signorìa Veneta veniva attestata
più volte anche dai Rettori, di Bergamo (cfr. Grassi, op^ cit., pp. 19-sgg.)
ed il IO ottobre 1525 il Senato veneziano li commendava " sviscerati
" fidelìssimi di questo Stato », in quanto * nelle passate guerre e /ielle
■ presenti occorrenze mantengono a loro spese uomini nelle Terre dei
' Grigioni per darne avvisi delle loro motse ; e ne hanno dato avvisi
" a noi gratissimi, né di ciò hanno auto premio alcuno. » Cfr. Grassi,
op. dt., p. ai.
(2) Dal codice inedito di Privilegi, del quale parliamo in seguito,
f. 26 a.
(3) Il datum di questo doc^ reca nel Grassi l' indicazione in domi-
màtis Domni, Donati de Bonicellis, ma convien leggere : in domibus
domni Donati de Bonicellis,
(4) In Bergomo, per Valerio Ventura, M.DC.XVII, p. 550.
28o UN CODICE SCONOSCIUTO
d*altro canto, ci vien confermato dal documento inedito sopra ac-
cennato, che mira sovra tutto a mettere in luce e ribadire i diritti
di questa singoiar concessione.
Il codice, del quale intendiamo valerci per compiere, almeno
in parte, la rassegna cronologica dei privilegi Scalvini data dal
Grassi, ci venne cortesemente comunicato dall'amico prof. cav. Bar-
tolomeo Villa, che già ebbe a trarne qualche profìtto per una sua
operetta illustrativa delle Valli Brembana ed Jmagna con le loro
adiacenze (i).
È di piccolo formato (23 X i^) ^ ^^ bella pergamena rigata,
con fogli numerati 98, rimasti in bianco il 68* e gli ultimi sette.
La rilegatura in pelle, con impressioni a secco ed in oro, reca
sul frontespizio la scritta privilegio, con V o terminale raschiato.
A chi originariamente appartenesse il grazioso codicetto non è
segnato, ma il suo contenuto ce l'apprende, a nostro modo di ve-
dere, chiaramente. Dei 77 documenti, infatti, che si succedono dai
1438 al 1745, trascritti da varie mani nei secoli X\1-XVIII, la
maggior parte riguarda il comune d'Averara e, se con esso sono
più volte ricordati i comuni di Taleggio, Scalve, Omica, Rizzino,
Cusio, Cassiglio, ecc., la promiscuità deriva dal fatto che i privilegi
richiesti o difesi presso la Repubblica Veneta erano eguali per più
valli ad un tempo: ciò che il Grassi ha pure a\'\xrtito (p. 18).
Il codice, inoltre, ci serba documenti che riguardano unica-
mente Averara, com'è il caso, ad esempio, delle lettere ducali date
il 5 ottobre 1545 ed il 9 gennaio 1551 in favore di quel comune, che
si vedeva minacciato ne' suoi diritti da un Bernardino Botagisi, e
degli atti giudiziari che ne seguirono (2). Averara, eccezion fatta
(i) B. Villa, La Vaili Brembana con Taleggio e Strina e la Valle Ima-
gna con la Bremòtlla Vecchia, notisie storiche, geologiche, artistiche, ecc.,
Bergamo» tip. Natali di Maggroni e Secomandi, 1895; cfr. pp. 3, 4, ecc.
(a) Privilegi^ ff. ^a-^b. Cfr., più innanzi, i documenti del 1537,
giugno 11; luglio io; 1560, maggio 7; maggio 11 ; 1626, giugno 6; 1637,
agosto 14; dicembre 26; 1638, marzo 20; 1643, giugno 13, ecc. Sul
f. 87 rt si legge, poi, di mano del sec. XVIII, rinscrizione:
Sir LAUS DEO PATRI VIRGINIQUE MATRI
PRIVILEGIA AVERARIAE;
e seguono, infatti, i documenti del 1731, maggio fo; 1733» settembre
18; 1740, giugno 18 e 1745, novembre 25, che concernono esclusiva-
mente esenzioni daziarie del Comune d'Averara (ff. 87 ^i a).
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 281
per pochi documenti che concernono il territorio bergamasco in
genere, è nominata ed è parte principale in tutti i privilegi del
codice Villa, mentre gli altri comuni e le altre valli figurano in
esso saltuariamente, così che non ci sembra avventata supposi-
zione il ritenere di sua originaria pertinenza l'interessante rac-
colta.
* *
Tale provenienza accresce, per altro, il pregio del codice nei
rapporti specialmente della storia milanese, in quanto ci dà no-
tizie d*una regione che, molto più della Scalvina, partecipò alle
fortunose vicende dei Torriani e dei Visconti, dapprima, e dei Vi-
sconti con la Repubblica Veneta, dappoi.
Fin da tempi antichissimi, infatti, Averara, insieme con Ta-
leggio, appare unita alla Valsassina così per la giurisdizione eccle-
siastica, mantenutavi dagli arcivescovi di Milano (i), come per la
dvile, infeudata ai Torriani, altra « magna pars » nei rivolgimenti
politici della metropoli lombarda (2).
Anche ad Averara, quindi, si dovette recare molto probabU-
mente quel frate Bartolomeo, ministro dei Minori Osservanti, che
Ottone Visconti, per benigna concessione di Gregorio X, costituiva
nel 1273 suo procuratore ad esigere le entrate arcivescovili di
Arona, del Vergante, d' Intelvi e della Valsassina, che maturavano
già da quattro anni (3); ma poco dopo Averara, insieme con le
(i) GiULiM, MifHorU spettanti alla storia ecc. della città e campagna ai
Milano, Milano, F. Colombo, 1854-57, voi. IV, p. 722. Cfr. anche pp. 719-720
e M. Magistretti, Notiiia cleri Mediolanensis de anno ij^ circa ipsius
immunitatem in qucst' Archivio^ 9. XXVIl, fase. XXVIII, 31 dee. 1900,
PP- 300-301.
(2) G. Arrigoni, Notizie storiche della Valsassina e delle terre limi-
trofe dcUU più remote età fino al^anno 1844, ecc., Lecco, Fratelli Grassi,
1889» P< ^ e passim.
{3) GiULiNi, op. cit., voi. IV, p. 61 X. La procura fu pubblicata an*
che dair Osio, Documenti diplomatici ecc., Milano, 1864, voi. 1, p. 18,
dee. X, che tralasciò d'aggiungere Tatto d' autenticazione delle lettere
arcivescovili rogato il 7 maggio da " Ambrosius fìlius Durantis de Ripa
' vicinie Sancte Marie ad Portam Porte Vercelline „ in seguito a pre-
cetto di Guglielmo da Fagniano console di giustizia in Milano, e su
richiesto di frate Bartolomeo (R. Archivio di Stato in Milano, Docu-
menti Diplomatici, cart, I, copia di mano moderna).
Arch, Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXIV. 19
282 UN CODICE SCONOSCIUTO
terre limitrofe, accoglie di buon animo la signoria di Napoleone
della Torre finché ritoma a propositi di pace con l'arcivescovo
milanese e s' inizia così una lunga serie di brevi dominazioni con
vece assidua alternate a seconda del prevalere in Milano or del-
l'una piuttosto che dell'altra parte (i).
Le relazioni sono continue e meglio si assettano quando la
Valsassina, dopo Lecco e le Riviere, s' assoggetta al mite giogo
d'Azzone Visconti, e con essa fanno, naturalmente, esperienza del
nuovo dominio anche Taleggio ed Averara. Questi due territori,
però, godettero con Bernabò un breve periodo d'indipendenza
dalla Valsassina e dal 1368 al 1380 circa si ressero con propri
statuti e magistrature, corrispondendo direttamente al signore un
annuo tributo, ma la politica unificatrice di Giangaleazzo ripristi-
nava l'antica tradizione e ancora gli statuti del 1388 riconoscevano
al vicario visconteo della Valsassina il diritto di porre a sua volta
vicari in quelle minori giurisdizioni (2).
Piii complesse, ma per converso meno chiare, sono le vicende
che seguono alla morte del Conte di Virtù, e 1* ambiguità si fa
maggiore dopo la successione, storicamente accertata, di Filippo
Maria Visconti nel dominio della Valsassina, 1' anno 1421. Sette
anni dopo, allorché il Carnario, contestabile del Carmagnola ncl-
r esercito della Serenissima, comparve a Taleggio con un forte
(i) Arrigoni, op. cit., p. 75-sgg.
(2) Gli Siatuia et ordinamenta CommunUaiis yallis saxinat, et Mon'
tium Varennae, Exini dervij\ et Mugiaschae facta, ordinata et reformtì»
tempore..,. Domini Galeaz Vicecomitis (Mediolani, 1674) prescrivono p«f
l'appunto che il vicario della Valsassina * possit, et teneatur, ^W^
" sibi videbitury ponere unum Vicarium, vel duos de hominibus TalcgJJ
" in Talegium, et similiter unuiu^ vel duos de hominibus Averarilie'''
" Averariam, et eliam in Montibus praedictis, cum beneplacito, ctliccnti*
" praefati Illustris Domini Nostri fd. Galeaz VicecomitisJ. . I vicarimi-
" nori potevano giudicare " de causis pecuniariis „ e • in civili iudido tan-
" tum y,, poiché era di grave scomodo a quei di Taleggio e d'Avcran
" prò quolibet negotio coram ipso Vicario (Vallis Saxinae) comparcrc ■
(cap. V, p. 4). Altrove é fatto cenno del potere ch'essi avevano d'cleg*
gere sei uomini delle rispettive valli, " qui ad expensas Common'*
" et Moniium, .... secum vadant prò pacificando rixas, et rumorcs .
(cap. XXXVIII, p. 16). La conferma degli statuti da parte di Gianga-
leazzo, data a Milano il 21 novembre 1388, si trova a p. 109. Cfr. Ar-
rigoni, op. cit., pp. Ili e sgg. * i
1
J
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 283
manipolo d'armati, tutta la valle echeggiò del grido festoso di
« San Marcel ». Vedeseta soltanto si rifiutò alla dedizione, ma non
la ricusò, d'accordo, in questo, con Bergamo stessa, la Valle d' Ave-
rara (i). E che Venezia ne abbia sempre tenuto grata memoria
conferma Tesame del codice Villa, di cui diamo i regesti.
I. — 1420, luglio p (2).
« Exemplum unius Capituli contenti in Privilegio seu Capitulis
« Civitatis Bergomi sub anno 1428, die nono mensis Julii », È pre-
cisamente la copia del nono capitolo che conferisce la cittadinanza
veneta de inttis ai Bergamaschi tanto della città che del distretto,
riconoscendo loro il diritto d' essere trattati « in Venetiis in solu-
* tione datiorum et mesetarie » alla pari dei Veronesi e dei Pa-
dovani; f. I ei. .
IL — 1443, ottobre 16. — Venezia.
Lettere ducali di Francesco Foscari in favore d'Olmo e d'Ave-
rara ; f. 2 a.
Tali lettere confermano le precedenti del 16 luglio 143 1 die-
tro petizione degli ambasciatori d' Olmo ed Averara, « Antonius
• quondam Grotti de Lulmo et Luchinus de Botegisiis de Ave-
« rana ».
Fra le varie concessioni è notevole la seconda che suona cosi:
Item quod dicti Comune et homines de Lulmo ed de Averaria sint
immunes et exempti ac liberi ab omnibus et singulis oneribus, taleis et
condicdonibus et aliis quibuscumque gravaminibus imponendis per pre-
libatali] Dominationem, salvo tamen certo censu quem aliqui dictorum
Comunis et hominum solvere tenentur Reverendissimo in Christo Patri
Domino Archiepiscopo Mediolani, et hoc quia eis semper ita est hucus-
qnc observatum et concessum per Illustrissimum Dominum Vicecomi*
tem Mediolani ut apparet per publicata privilegia eis concessa (3).
(i) Arrigoni, op. cit., pp. 122 e sgg.
(2) Serbiamo l'ordine cronologico, segnando col numero romano la
disposizione osservata nel codice.
(3) Da alcune sue memorie particolari TArrigoni, op. cit., pag. iii in
nota, desumeva che nel 1344 l'arcivescovo Giovanni Visconti rinfeudava
284 UN CODICE SCONOSCIUTO
Responsio [in margine],
Quod contenti sumus quod sint immunes et exempti per eum mo-
dum quo fuenint sub Duce Mediolani moderno, sed de facto census vo-
lumus quod donec durabit presens guerra (i) dictus census converti et
dispensari debeat in fabricam reparationemque et cultum ecclesianim
existentìum in locis supra dictis.
*
E concesso, inoltre, ai valligiani d'Olmo e d'Averara di poter
usare liberamente « sale Brunino », purché non ne facciano ven-
dita a profìtto altrui e in danno della « Canepa n di Bergamo; di
eleggersi un proprio vicario « in civilibus tantum » da confermarsi
dal podestà di Bergamo, al quale, e non già al Podestà della Val
Sassina, si avrà ricorso per le cause penali (2); di non sottostare
ai gravami che s* imponessero alla Val Sassina ; d' esser trattati
u in facto bulletarum n alla pari dei valligiani della Valle Brem-
bana e del distretto Bergamasco in genere, osservandosi « circa
u factum datiorum » la consuetudine; ecc., ecc.
a Guglielmo, Pietro e Valeriolo Denti di Sellano i diritti di decima che
egli aveva in alcuni luoghi della Valsassina, alla cui giurisdizione ec-
clesiastica appartenevano, come già avvertimmo, Taleggio ed Averara.
Per ciò che concerne particolarmente la Valle di Scalve, è notevole l'in-
strumento del 6 novembre 1222 col quale Giovanni Tornielli vescovo di
Bergamo investiva la famiglia de' Capitani dei diritti sopra Scalve e Pa-
lodo, agendo per espressa autorità dell' arcivescovo di Milano (Grassi,
op. cit., p. 9).
(i) Si tratta della guerra di Venezia contro il duca di Milano. Per
gli episodi dal 1431 in poi nella Valle d'Averara, vedi Arrigoni, op. cit.,
pp. 126-sgg.
(2) Per la prima volta nel nostro codice, Averara e la sua valle
appaiono comprese nella circoscrizione territoriale e giudiziaria di Ber-
gamo, ma gran parte dei privilegi e dei documenti che seguono riflet-
tono per l'appunto la lunga lotta che Averara ed altri comuni sosten-
nero col capoluogo per mantenere di fatto, e non di nome soltanto,
quella qualifica di ** Valli separate » che ha durato sino al termine della
dominazione Veneta. É, per esempio, osservata ancora ufficialmente
nella Raccolta di terminasiotti, proclami et ordini per la città, e provincia
di Bergamo et altri per tutto lo Stato di T. F, stabiliti dagt Illustrissimi^
et Eccelentissimi Signori Girolamo Grimani, Alvise Emo, e Marin Gar-
zoni per la Serenissima Rep, di Venezia, etCj sindici inquisitori in Terra
Ferma negli Anni 1770, 177 1, 1772, in Bergamo, per V Erede dei Fra-
telli Rossi, Stampator Camerale, pp. 49^ 51, ecc.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 285
IIL — J460, febbraio 7. — Venezia,
In riforma d'un capitolo approvato il 19 decembre 1495 dai
Consoli de* Mercanti di Venezia, il Consiglio dei Dieci delibera
che « omnes de arte velutarìorum et samittariorum qui ex foren-
^ sico nato sunt in hac Civitate [ Venetiarunt et qui per habitatio-
• nem haberì debent Cives de intus et illi qui acceperunt
« uxorem venetam possint elligi et esse gastaldiones et iudices ipsa-
■ min Artium et participare de honoribus beneficiis et oneribus ip-
« sarum scolarum et artium »; f. 6 ò.
IV. — 14^4, fnaggio II, — Venezia,
Egualmente determinano Maffeo Michele, Benedetto Venerio e
Giacomo Mauroceno, capi del medesimo Consiglio, per i « Perga-
• menses et districtuales Pergami qui sunt de terris vallis et locis
• pergamensis dominii Venetiarum », che siano ascritti, in Vene-
zia, alla « scola fructarolorum »; f. 7 a.
V. — 1499, gitigno IO. — Venezia.
Determinazione dei Procuratori alle Biade in favore dei « ven-
« dadori Bergamaschi delle farine in Fontego de Rialto et de
• S, Marco » affinchè, a tenore di loro precedenti privilegi, deb-
bano esser considerati « per Venetiani de dentro » e possano go-
<iere « li honori et beneficii come fano coloro che sono nasudi
• citadini originarii de Venesia »; f. 8 a.
1 « vendadori Bergamaschi », in favore dei quali è fatta que-
sta deliberazione, sono cosi nominati:
Scr Antonio diete Togni. Scr Alvise Gisi.
Ser Zaneto de Zuane. Ser Alexandre de Zuane.
Scr Girardo Cagnelin. Ser Girarde ditto Cavalier.
Scr Abram de Zuane. Ser Martin Grasete.
Scr Bartolomeo Morexin. Scr Perin de Bello.
Scr Antonio da Spin. Scr Bernardo de Bortolcto (i).
Scr Martin de Antonio. Scr Zaneto de Simon.
Scr Piero Bondiol. Scr lacomo Rosseto.
\i) Così mi sembrò di poter sciogliere l'abbreviazione borlJ"^
286 UN CODICE SCONOSCIUTO
Ser Bernardin Guardabaso. Ser Lorenzo de Girardo.
Ser Adamo Gobo. Ser Zuan ditto Vechia,
Ser Lorenzo Martacin. Ser Piero de Girardo.
Ser Vielrao de Piero. Ser Antonio ditto Molena.
Segue la firma notarile:
Ego Melchior notarius suprascriptus suprascriptum exemplum fide-
litcr exemplavi ex alio exemplo manu ser lacchi Rosseti coadiutoris
officii Bladorum et in fìdem me subscripsi.
VL — ^^75, decembre 2}. — Venezia.
11 doge Pietro Mocenigo comanda a Francesco Marcello, po-
destà, ed a Francesco Diedo, dottore e capitano di Bergamo, che
cessino dal molestare i comuni di « Castri Picini (i), vallis Ta-
« legìi, Averarie et Scalvi » per il pagamento del secondo sussidio
« tamquam membra n della città di Bergamo, pagando essi, a te-
nore d'antichi privilegi, « tamquam membra separata et omnino
« segregata a citviate et districtu Bergomi »; f. io a.
Vili. — I4l6, luglio }, — Venezia.
Il doge Andrea Vendramin, in seguito alle buone ragioni esposte
da Giovanni Ambrogio « de Savionibus »» da Pizzino, interveniente
per i comuni di Pizzino, Taleggio, Averara e Scalve, in contrad-
ditorio con gli oratori della città di Bergamo « super negotio extimi
« fìendi », comanda ai suddetti podestà e capitani di Bergamo che
rispettino e facciano rispettare « ad imguem » le lettere ducali del
23 decembre 1475 (clr. n. VI); f. 14 a,
VII. — i4t6, settembre //. — Bergamo.
I suddetti podestà e capitano di Bergamo, pur rispettando i
privilegi antichi e recenti, stabiliscono la suddivisione dell'intero
(i) Pizzino, luogo di Val Taleggio, appartiene ora al mandamento
di Zogno. L'appellativo di castrum conviene alla fortezza che nel se-
colo XIV quei di Val Taleggio vi eressero e della quale restano an-
cora tracce nei pochi ruderi d* una torre. Cfr. Villa, op. cit, pp. loi,
f02 e 109.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 287
territorio bergamasco in cinquanta « caratti n, ventinove dei quali
spettanti ai monti ed alle valli e ventuno alla città di Bergamo ed
alla pianura; f. ii ò.
IX. — t4n> febbraio ii. — Venezia,
n doge Andrea Vendramin riconferma a Sebastiano Baduario,
podestà ed a Giovanni Mauro, capitano di Bergamo le lettere ducali
del 1475 e del 1476 (cfr. nn. VI e Vili); f. 15 é.
X. — iS^^ì agosto 20. — Bergamo.
Sentenza pronunciata da Paolo Valaresso, podestà, e da Vin-
cenzo Tron, capitano di Bergamo, nella causa insorta fra i comuni
di Val Taleggio ed Averara da una parte, e i vicini della Valle
Brembana Inferiore dall' altra, a cagione di certe partecipazioni alle
spese per il riattamento del ponte di Sedrina; f. 16 a.
La sentenza è in favore dei comuni di Taleggio ed Averara,
che son ritenuti esenti da ogni compartecipazione alle spese sud-
dette, obbligandosi « Laurentius dictus Furietus de Zonio exequutor
« sive exactor impense reparationis seu refectionis pontis Sedrine »
a restituire gli oggetti preventivamente pignorati.
Antonio detto u Gazina » da San PeUegrino interviene « sin-
« dicario et procuratorio nomine comunis hominum et vicinorum
« Vallis Brembane inferioris » insieme con « Domino Johanne Bap-
* tista de Asolario doctore eorum advocato ». Taleggio è rappre-
sentata da M Johannes Maria de Savionibus et Cataneus de Bela-
« vitibus I»; Averara da «Mapheus de Lulmo » (i).
(i) 11 Villa, op. cit., pag. 4» ricorda questa sentenza, ma il suo
breve accenno merita qualche correzione, anche perchè pone la data
del 1520, mentre si tratta del 1526, e fa definire il giudizio da un ^ Paolo
* Valaresso, podestà e capitano di Bergamo .. Il Lorenzo Furieto, infatti|
è nominato dal Villa come giudice dì Zogno, quando il documento dice:
' ad instantiam Laurentii dicti Furieti de Zonio asserti exequutoris sive
* exactorìs impense reparationis seu refectionis pontis Sedrine „ (f. 16 a).
IJ Villa poi (op. cit., p. 4, in nota), nonostante la designazione pre-
cisa del documento; che, notisi bene, è una sentenza e non può quindi
lasciare dubbi sulle località in discussione; crede che la controversia
non riguardi il ponte di Sedrina, ma quello di Zogno, trovando in una
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 289
XrV. — IS37* febbraio 7. — Venezia.
U doge Andrea Gritti comanda a Marc'Antonio Foscarini e ad
Ettore Lauredano, podestà e capitano di Bergamo, che faccian to-
sto la M elletta n di 3000 uomini dei 6000 deliberati fin dal 7522,
i quali rimangan pronti ad ogni richiesta « per andar sopra le ga-
• Ice.... per homeni da Remo »; f. 21 b,
XV. — ^537^ gi^g^o II. — Bergamo.
« Mapheus del Ulmo » e « ser magister Ambroxius de Savio-
• nibus de Talegio », nunzi di Averara e Taleggio, allegando le
lettere ducali e la sentenza del 1476 (cfr. nn. VII e Vili), si rifiu-
tano di mandare a Bergamo « unum remigem classiarium sive unum
■ galeotum prò illum mittendum ad Inclytam Civitatem Venetiarum
• ad servitutem galearum », e di pagare « expensam deputatam ....
« tenitorio Bergomensi prò Brenta », e ciò contrariamente al de-
creto dei Rettori di Bergamo, che finiscono però col dar ragione
ai reclamanti; f. 22 A (i).
XVI. — ^537* gi^g^^o 26, -7- Venezia.
B procuratore Vittor Grimani, avendo saputo da parte dei
messi dottor Giovanni Maria de Fin e Bartolomeo Minol la « dil-
« ficultà che alla giornata occorre nel mandar li homeni da
« remo richiesti, pretendendo alcuni sì come sono li loci de Tae-
• chio, Averaria, et Schalve, Sorisel, Poltrenga et altri loci exen-
• tarsi da questa gravezza per virtù de sui privilegi] », comanda ai
Rettori di Bergamo che tutti indistintamente debbano concorrere a
fornire gli uomini requisiti; f. 24 a.
XVII. — I33T, luglio IO. — Venezia.
I comuni d' Averara e Taleggio hanno mandato loro agenti
»Ua Signoria Veneta reclamando, in virtù dei noti privilegi, di
non esser compresi, anche per il contributo degli uomini da
(0 II decreto dei Rettori di Bergamo, in data del 4 giugno, è ri-
portato al f. 23 ^.
290 UN CODICE SCONOSCIUTO
remo, nel territorio bergamasco, « offerendosi tamen per la fede et
u bon animo loro verso il stato.... spontaneamente contribuirli
« homeni da remo.... li quali perhò se intendono esser contribuiti
« oltre a quelli esso territorio per la sua limitation è obbligato
u contribuir ». La proposta essendo piaciuta, si danno ordini ai
Rettori di Bergamo perchè vogliano rispettare in cotal senso i pri-
vilegi dei comuni ricorrenti ; f. 25 a.
XVIII. — IJ42, febbraio ij. — Venezia.
11 nobil'uomo maestro Francesco Mallipiero, in qualità d'avvo-
cato, e Davide de' Capitani (i), come nunzio ed oratore, presentano
al Collegio dei Sette Savi sopra il sussidio di Terra Ferma una
istanza a favore dei comuni d'Averara, Taleggio e Scalve, affindiè
non siano u astrecti a pagar cossa alcuna de li 8000 ducati ri-
« chiesti a la Cita et territorio Bergamasco », offrendosi per altro
a pagare la loro porzione di ducati 80 « oltra quello paga il terri-
u torio Bergamascho ", e ciò in virtù della loro separazione dal
territorio stesso; f. 25 b (2).
(i) I De' Capitani sono antichissima famiglia Scalvina. Nel 1222, anzi,
venivano investiti, come già accennammo, dei diritti feudali che il Ve-
scovo di Bergamo Giovanni teneva nella Valle e Corte di Scalvc e di
Palodo. Grassi, op. cit., p. 9.
(2) Interessante, per le notizie storiche in essa contenute, è la prima
parte di questa petizione, che ricorda come * del ano 1428 la llL""Si-
" gnoria prexe la Cita di Bergomo cum el suo territorio et destretto
^ de lecho, et valsasmina et valtulina, soto qual valsasmina era il Co-
* mun di Talegio et de Averaria et soto valtulina era il Comun de
" scalvo Da poi nel concluder de la pace tra la 111."»* Signo-
" ria nostra, et il Ducha di Milan fu posto un Capitolo che vegliando
'' questa valsasna et li ditti tre Comuni star a la obedientia del Duca di
** Milan potesseno star: se anche li piacesse star soto il Dominio di questo
" fedelissimo stato che così fosse observato. Et così li ditti tre Comuni
" Averaria Scalvo et la meyttade de talegio comparseno avantc la prc*
" libatta 111.™» Signoria pregandola li volesse acceptar per soi fidellisub-
" diti et perpetualmente defenderli dal Signor Ducha de Milano el da
" altri Signori et così foreno acceptati per fedelissimi subditi, et il rC"
" sto de Talegio valsasna et valtulina torneteno ala obedientia del Du-
*• cha de Milano^ et al presente li sono anchora.
" Per la qual cosa la 111.*"» Signoria concesse molti privilegii a dicti
tre Comuni et li fece exempti da ogni gravezza, Tallic, et altre anganc
i
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI
291
XIX. — 1^42, febbraio 20. — Venezia.
11 Consiglio dei Sette Savi sopra il sussidio di Terra Ferma
accoglie favorevolmente la petizione suddetta (n. XVIII),
XX. — iS43ì agosto jo, — Bergamo,
Antonio Marcello, capitano di Bergamo, essendo intervenuti
innanzi a lui Davide de' Capitani e Andrea Bottagisi d'Averara
in rappresentanza dei comuni di Scalve, Averara e Taleggio, per
lagnarsi che, nonostanti i molti privilegi attestanti la loro separa-
zione dal territorio Bergamasco, quelle comunità siano state mo-
lestate da « Corinus de Theotaldis datiarius pannorum Bergami
■ et districtus »• perchè, pagassero « dittum datium pannorum
« factorum in dictis eorum comunibus.... cum lanis factis et col-
• lectis ex nonnuUis eorum ovibus quas tenent ipsi vicini in dittis
• locis prò eorum tantum usu », assolve i reclamanti dall'osser-
• che havesse a concorrer et fosseno imposte per la prelibata III."*» Si-
' gQorìa corno appar per dictì sui privilegi] più volte confirmati, qualli
' sai privilegi] et exemption sono concessi a lì dicti tre Comuni per tre
• cause principalli.
• Prima per la fideltà et devotion grande |>ortavano a questo 111.™»
' stato, che forono sachezati et robatti più volte da li soldati ed agienti
' del Ducha de Milano, ma mai volseno ritornar soto il Dominio di esso
■ Ducha: ma sempre steteno fideli di questo 111.™® Dominio.
* Seconda per esser poverissimi, et lochi sterili dove si ricogiie so-
lamente feno: et la più parte sono pascholi da bestiame.
* Terza per esser dicti tre Comuni la muraglia de Bergamascha
che loro confinano ,, ecc.
* Dico adoncha li ditti tre Comuni non esser né mai esser stati del
temtorio Bergamascho: ma erano del distretto di Valsasna et valtu-
Tra i privilegi sono allegate le lettere ducali del 23 decembre 1475
(cfr. n. VI), e le terminazioni del 3 luglio 1476 (n. Vili), 15 settembre
147^ (n. VII), XI febbraio 1477 (n. IX). 20 agosto 1526 (n. X), 11 giugno
^537 (n. XV), e 10 luglio 1537 (n. XVII), tutte intese ad aficrmare la se-
parazione dei comuni ricorrenti dal territorio Bergamasco.
Al testo della petizione segue l'avvertenza ch'essa fu letta al Col-
legio dei Sette Savi il 14 febbraio, * domino Francisco Sonicha doctor,
. P'^^tor della magnifica et fidelissima Cita di Bergamo, et li altri etiam
mtervenienti ,; f. aga.
292 UN CODICE SCONOSCIUTO
vanza del dazio in controversia, condannando nelle spese l'agente
del fisco ; f . 30 a (i).
XXVII. — IS4S* febbraio 24. — Bergamo,
Cornelio Barbaro, capitano di Bergamo, sentiti in contraddi-
torio i procuratori dei comuni di Scalve, Averara e Taleggio, Da-
vide de* Capitani, Bernardo « de Guarinonibus vicarius comunis
« de Averaria » e ser Jacobo Ambrosoni d' Averara, da una parte,
e Conno « de Teutaldis », depositario del dazio dei panni per la
città di Bergamo dall'altra, sentenzia « mezetum ilLura album bas-
« sum acceptum a Joann^ Antonio de Vicominori et Scalvo per
u datiarios datii pannorum Bergomi absque bullo restituendum
« esse.... ipsi domino Joanni Antonio w; f. 38 a. Corino protesta
d'appellarsi ai « domini superiores », ma segue la dichiarazione
fatta il successivo 25 febbraio da « dominus Petrus quondam do-
M mini Bernardini de Moiolis incantator datii pannorum n, che ri-
nuncia all'appello interposto da Corino. « Michael Albricus scalvensis
« civis et notarius bergomensis et brixiensis exem piavi t » ; f. 39 b,
XXI. — IS4S' ottobre /. — Venezia.
11 doge Pietro Landò interviene presso il capitano di Bergamo
Paolo Contarini a favore del comune d'Averara minacciato da un
(1) In questa sentenza sono citati i privilegi del 23 decembre 1475
(n. VI). 3 luglio 1476 (n. Vili). 11 febbraio 1477 (n. IX). 20 febbraio 1542
(n. XIX). È accennata inoltre una " confirmatione omnium privilegio-
" rum, separationum et aliorum jurium dictorum Comunium facta per
" Excellentissìmum Consilium Rogatorum sub die secundo Augusti, 1520 ,
(f. 31 d), che non è riportata nel codice Villa, come pure non sono
riportate le lettere ducali dell' 11 giugno 1428 che, nella sentenza, fi-
gurerebbero concesse ai tre comuni ricorrenti (f. 30 b). Del mese di
giugno 1428, ma con la data del 2 invece che dell' 11, conosciamo la
ratificazione dei privilegi Seal vini fatta dal doge Francesco Foscari ap-
punto sotto forma di lettere (Grassi, op. cit, p. 18) e non è improbabile
che la sentenza voglia riferirsi ad essa. L' errore di data è ammissibile
tanto più che il codice Villa ci offre altrove dei casi analoghi, come,
per esempio, nella petizione del 13 febbraio 1542 (n. XVIIIX dove le
lettere ducali del 23 decembre 1475 (n. VI) sono assegnate al 3 de-
cembre (f. 26 by
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 293
tal » Bernardino di Botagisi », il quale « ricercando con vie in-
« dirette impatronirse di certi boschi comunali del detto Cora-
• mune » (i), aveva « data una certa accusa contro uno Zuan detto
« Mambrino, et altri del detto Comun avanti al Giudice.... del mal-
« lefìtio n di Bergamo « per aver tagliato legne in detti boschi
a comunali, volendo far la causa criminale, che è civile; et tirar
• essi homini a litigare a Bergamo contra la forma di.... privilegii »,
in forza dei quali gli abitanti d'Averara devono essere giudicati
in civilibus dal loro vicario (2) ; f. 32 a, — Segue la presentazione
di queste lettere al Con tari ni, fatta il 15 ottobre dai procuratori
d'Averara « ser Ambrosius de Chiusio » e « ser Johannes de la
« Vemiga », che ne ottengono il decreto d'esecutorietà; f. 32 b.
XXII. — JS4S' novembre 28. — Venezia,
U Consiglio dei Dieci, uditi in contradditorio Bernardino dei
Bottagisi ed i rappresentanti del Comune d'Averara, comanda al
Podestà di Bergamo di far osservare le lettere ducali del 5 otto-
bre 1545 (n. XXI). — Segue la presentazione di queste lettere al
detto podestà, fatta il successivo 9 decembre dai procuratori del
comune d'Averara « Ambrosius de Chiusio » e « Johannes Mam-
« brinus », che ne ottengono il decreto d'esecutorietà; f. 33 «.
XXIIl. — [iS4S?\ — [Venezia].
Si comanda ai Rettori di Bergamo di lasciare al Vicario di
Averara la podestà d* esaminare le cause promosse da Bernardino
(i) Questo Bernardino Bottagisi, cittadino di Bergamo, usava di
astuzie e di raggiri tutti suoi particolari per impadronirsi dei boschi
comunali ed il documento 18 febbraio 1551 (n. XXV) ce ne dà una
chiara idea. Le sue "vie indirette « consistevano nel * dar accuse de
* turbata possessione bora ad uno, bora ad un altro, de quelli poveri
* homeni che tagliano legne in essi boschi, et facendo poi che essi po-
' veri homeni, i quali per la impotentìa et extrema povertà loro non
* possono resister alte spese delle litte, gli faccino instrumenti de ac-
• cordi , ; f. 35 ^.
(a) Il Martinengo, op. cit., p. 555, parlando delle Valli d'Averara e
<lcll*Olmo, dice appunto che ** queste per particolare privilegio del lor
' Comune eleggono il Vicario da sé con assoluta autorità nel Civile,
' ma limitata nel Criminale; oltra la qual limitatione viene a Bergomo «.
Cfr. il doc. IL
294 UN CODICE SCONOSCI aro
Bottagisi contro « Zuan Mambrino della contrata de Umita e Cusio
« de ditto Comun »» (i), revocando le lettere con le quali avevano in-
giunto ai suddetto Vicario di non procedere nel giudizio ; f. 33 A .
XXVI. — JS47' novembre i, — Bergamo.
1 signori Angelo Marìa de* Prioli, Benedetto Boldu e Gioia
Francesco Salomone, « provisores » a ciò nominati, presentano a
Pietro Sanuto, pretore dì Bergamo, l'estimo generale da loro com-
pilato e pubblicato il 29 ottobre, secondo il quale, riferendosi alla
sentenza del 1476 (n. VII), si definisce che la « Città di Bergamo
« et suo territorio, escludendo la valle di Scalve, Averaria, et Ta-
« legio, sia e s' intenda esser in carati cinquanta » ; f. 36 a.
XXIV. — ij^iy gennaio 9. — Venezia.
Lettere ducali simili a quelle del 1545 (n. XXIII) mandate ai
Rettori di Bergamo in seguito alle lagnanze fatte al Consiglio dei
Dieci da Jacomo Caral, interveniente per la valle d*Averara; f. 34 b.
XXV. — /JJ// febbraio 18, — Venezia.
I sindaci delle contrade « de Cusio, Ornica et Caselio n (2) del
comune d'Averara si sono gravemente doluti innanzi al Consiglio
dei Dieci, dei raggiri messi in opera da Bernardino Bottagisi e dai
suoi aderenti per usurparsi i boschi di quella comunità; epperò
Giovanni Luigi Superanzio, Luigi Riva e Luigi Foscarini, capi dei
Dieci, fanno viva istanza ai Rettori di Bergamo onde vogliano
porre riparo a cotal nuovo genere di violenza; f. 35 b.
XXXV. — ^SSìf *^^SS^^ ^S' — Venezia.
II doge Francesco Donato comanda al podestà di Bergamo
Costantino de' Prioli. al capitano Francesco Bernardo ed al Prov-
(i) Ornìca e Cusio, paeselli dell'attuale mandamento di Piazza
Brembana, sul confine della Valtellina e della Valsassina. Cfr. Villa,
op. cìt., pp. 141 e 148.
(a) Cassigìio e un paesello delle vicinanze di Santa Brigida» a i>oca
distanza, come Ornica e Cusio, da Averara, dal qual comune dipen-
deva. Ora fa parte del mandamento di Piazza Brembana. Cfr. Viluì,
op. cìt., p. 141.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 295
veditore del Sale cavalier Domenico Mauroceno che deliberino di
|Hcno accordo circa la petizione presentata dai comuni di Scalve,
Averara e Taleggio, non avendo il Consiglio dei Dieci sufficienti
informazioni per pronunciarsi su di essa ; f. 45 a.
XXXVI. — ISS3' ^f^gS^^ J^- — Bergamo.
I suddetti ufficiali di Bergamo, sentite le ragioni addotte da
messer Davide de Capitani, agente in nome dei comuni di Scalve
e Taleggio, e da messer Giovanni Altobelli d'Averara, procuratore
dei comuni d'Averara e Taleggio, « considerata la povertà e la
« fedeltà delli detti comuni » (i), determinano che il futuro appalta-
tore dei dazi del sale di Bergamo debba tenervi tre a caneve » :
lina a Scalve, la seconda ad Averara, la terza a Taleggio, e che
i « Salaroli » di questi tre luoghi debbano vendere il sale al prezzo
di Bergamo, « vollendo solamente di più dinaro uno per lira Ber-
• gamascha da onze trenta n f. 4 5 ò.
XXVIII. — ^SS7t settembre 4. — Venezia.
II doge Lorenzo Priolo, dietro petizione degli ambasciatori di
Bergamo Conte Achille Brembato, cavaliere e Augustino Alzano,
comanda l'osservanza del privilegio di cittadinanza veneta concessa
ai Bergamaschi Tanno 1428; f. 40 a,
XXIX. — //^o, maggio 7. — Venezia.
S* ingiunge al Podestà di Bergamo che, a tenore d' antichi pri-
vilegi concessi ad Averara e ad Olmo, il Vicario d'Averara e non
quello « a platea ultra Gochiam » (2) definisca la controversia in-
sorta fra Marc' Antonio Bertolini da una parte e Giovanni Gia-
(2) A proposito della povertà di Scalve e delle terre limitrofe, ad
ogni tratto messa innanzi, vedasi nel Martinengo, op. cit., p. 550, una
descrizione davvero pietosa.
(i) Si tratta di Piazza Brembana, ora capoluogo di mandamento e
anticamente capitale del dipartimento Olire la Gogia, altro dei tre nei
quali era distinta la Valle Brembana. Cfr. Martinengo, op. cit., pp. 553
e seguenti ; Villa, op. cit., pp. 3 e 149.
ago UN CODICE sconosciuto
corno e Bernardino dall'altra, tutti di Olmo, « occasione nemorìs
" posili sub jurisdictione Vicarij de Averaria ■ ; f, 40 b.
XXX. — /J'éo, maggio 11. — Veneeia.
1 capi del Consiglio dei Dieci comandano al Podestà di Ber-
gamo che la suddetta contesa insorta fra Marc'Antonio e Giacomo
fratelli •• quondam Bertulin da l'Olmo nei Zuaniacomo ' e - Ber-
li nardo da l'Olmo « venga definita in prima istanza dal Vicario di
Averara e non a Bergamo ; f. 40 b.
XXXI. — if6i, dicembre 7. — Venezia.
* Havendo i Savii del Collegio udito in longa disputatione gli
•• Eccellenti domini Alphonso dalla Torre, Lattantio Marcbesini et
" Andrea Viscardi Ambasciatori della Magnifica Comunità di Ber-
" gamo, con Eccellenti dottori (sic) domino Francisco Assonica suo
41 avocato, con gli intervenienti per le vallade Bei^amasche me-
con l'Eccellente domino Vincentio Pellegrino loro
doge Geronimo Priolo comanda al podestà ed al
gamo che per i fanti adibiti alla custodia della
0, la comunità stessa debba provvedere Y alloco
serbata alle * dette Vallate insieme con il resto
cioè piano Romano et Martinengo " la provvista
et carbone " ; f. 41 b.
S\'ll. — iS9^, gennaio 2^. — Venezia.
rino Grimano comanda al capitano di Bergamo
Ibertus " che ritenga obbligati •• all'excavatione di
e i comuni di Scalve, Averara, Taleggio e Sorisole,
ielle lettere ducali del 5 novembre 1594 che ■ ad
one di Palma non restasse essente alcuno, così
ome non privilegiato ■; f, 47 A.
iVIIl. — ti<i^, gÌ"S»o IO. — Venezia.
rino Grimano significa al capitano di Bergamo Gio-
0 come il Consiglio dei Dieci, udite le ragioni ad-
1 Olmo e Pietro Merli, rappresentanti i comuni di
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 297
Scalve, Averara e Taleggio, in contradditorio con gli avvocati del
territorio Bergamasco, abbia deliberato di revocare le lettere du-
cali del 5 novembre 1594 e del 25 gennaio 1596 (n. XXXVII) ;
f. 4B a. — Il successivo 18 giugno i suddetti procuratori dei co-
muni ricorrenti chiedono alla comunità di Bergamo Tesecutorietà
di queste lettere, accompagnandole con la profferta, fatta il 20 mag-
gio, alla Signoria Veneta, di 15 guastatori, u acciochè in occasione
• di così importante fortezza [quella di Palma] ancor essi possano
* gloriarsi di haver prestato qualche aiuto »» ; f. 48 A.
XXXIII. — 161^, maggio 11. — Venezia.
11 doge Giovanni Bembo, sentiti in contradditorio i rappresen-
tanti di quelli del Piano e delle Valli Bergamasche da una parte,
e dall'altra Viviani Salvioni per il comune di Taleggio, Zuanc
Cainela per la Valle di Scalve e Bernardo Lazaroni per il comune
d*Averara, avverte gli ufficiali tutti del dominio, e segnatamente i
bergamaschi, che i suddetti comuni di Taleggio, Scalve ed Averara
devono contribuire ai carichi separatamente dal territorio di Ber-
gamo; f. 43 a. — Segue il decreto d'esecutorietà ottenuto, il 23
maggio, dal capitano di Bergamo Lorenzo Giustiniano per parte
di Bernardo « ab Ulmo », procuratore delle tre comunità nominate;
f. 436.
XXXIX. — 1626^ gi^g^o 6. — Venezia.
11 doge Giovanni Cornelio, desiderando ovviare ai danni che
quelli d 'Averara hanno ricevuto e ricevono tuttora per frequenti
alloggi di milizie, invita il podestà di Bergamo Nicolò Donato ed
il capitano Bartolomeo Mauro a ripetere i provvedimenti altre volte
ed in simili circostanze adottati a favore di quel comune; f, 50 a.
XXXIV. — 162^, maggio 77. — Venezia.
Il doge Giovanni Cornelio comanda al podestà di Bergamo Gio-
vanni Grimano ed al capitano cavalier marchese Antonio Mauroceno
che debbano restituire al comune d'Averara le spese da esso soste-
nute per la costruzione d'un lazzaretto eseguito di commissione
del Procuratore Generale e Provveditore Foscari a per la contu-
m matia delle genti che passano al... servitio n ducale ; f. 44 a.
Arch. Star. Lontb., Anno XXIX, Fase. XXXIV. 20
l SCONOSCIUTO
XXXII. — i6}6, luglio 8. — Venezia.
Il doge Francesco Ericcio comanda al podestà dì Bergamo
Francesco Zeno ed al capitano Aloysio Cocco che anche per le
valli di Taleggio ed Averara eseguiscano, * in proposito del Cam-
Il patico * ciò che loro è stato commesso per la valle di Scalve.
— Segue, in data del 35, il decreto d'esecutorietà; f. 43 i.
XL, — i6j7, decembre 26. — Verona.
Conformemente all'istanza d'Alvise Mandello intervenuto, in-
sieme col Tesoriere Generale Antonio Agnello, in nome del Ter-
ritorio di Bergamo, e contrariamente alle richieste del Comune
d'Averara, rappresentato da Giovanni Pietro Curtoni ed Agnello
Rovelli, r eccellentissimo signore Alvise Zorzi Procuratore di San
Marco e Provveditore Generale nello Stato di Terra Ferma, de-
legato inappellabilmente, nella presente causa, dal Senato, giudica
che il comune d'Averara debba concorrere insieme col territorio
di Bergamo •• all'a^ravio delle condotte di monitionì, utensili,
« arme et viveri per le soldatesche fossero in avvenire alloggiate..
" in essa Terra ■ : f. 50 b.
XLII. — ^^fj, agosto 14. — Venezia,
Il Consiglio dei Pregadì commette al Priore Generale in Terra
Ferma che ìn quanto alle spese militari da contribuirsi per il co-
mune d'Averara sia fatto pagamento * delli danari della Camara
""'''"" . . »- i^j.g stesso quella delibera-
onveniente; f. 15A. — 11 9
ritorio di Bergamo ser An-
i Rettori di Bergamo e ne
. - Venezia.
:a al podestà di Bergamo
:csco Salomone la sentenza
la faccia eseguire; f. 51 é.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 299
XLni. — 164^, giugno I}. — Venezia,
Il doge suddetto scrive al podestà di Bergamo Nicolò Tron
e al capitano Contarini, approvando la riduzione da lire 20.683 ^
ducati 800 ch'essi hanno fatto delle spese militari da contribuirsi
dalla Valle d*Averara; f. 52 b (i).
XLIV. — 16^0, luglio io, — Venezia.
Il doge Francesco Molino fa obbligo al podestà di Bergamo
Paolo Leoni ed al capitano Giovanni Balbi di esigere dalle Valli
di Scalve, Taleggio ed Averara V intiera somma dell' ultima con-
tribuzione, riservato loro il diritto di separazione dal territorio Ber-
gamasco e la facoltà « di poter essere successivamente risarcite di
• tutto quello che nelle passate contributioni » abbiano corrisposto
- oltre l'obbligo loro »» ; f. 53 «. — Il 2 settembre Giovanni Bat-
tista Amigazzi presenta queste lettere ai Rettori di Bergamo che
ne decretano l'esecuzione ; f. 53 h,
XLV. — 16^2, febbraio 8, — Bergamo.
I Rettori di Bergamo sentenziano che i comuni di Scalve, Ta-
leggio, Averara, Valtorta, Sorisole e Ponteranica non siano tenuti
alla contribuzione pretesa dalle « Arti et Fraglie » della città di
Bergamo nell' ultimo comparto « delli settanta quattro galeotti stati
« imposti alle suddette Arti, Fraglie, Terre e Castelli e luoghi se-
«* parati, che non hanno contribuito con li Territorii di Terra Ferma »»
con lettere ducali del 31 agosto 1651. Nella causa le Arti sono
rappresentate dall'avv. Pietro Salvagno e dal procuratore Giovanni
(1) A maggior segno della benevolenza della Signoria Veneta verso
U comunità d' Averara, il doge Ericcio prosegue : " Et perchè in avve-
* Dire possino nascer occasioni simili di spese, che meritano la bonifì-
* catione coiressempio stesso volemo quando succederanno, che di Re-
"gimento in Regimento ce ne sia datta da' vostri successori la no-
'titia, acciò osservata la parità del merito della spesa possiamo ordì-
* nare costà a' vostri Successori la bonifica tione senza che gì* Interve-
* nienti della Valle habbino da venire in questa Città a procurarlo con
* tanto dispendio, come è seguito per il passato „. (f. 52^).
300 UN CODICE SCONOSCIUTO
Andrea Locatello, il Territorio di Bergamo da Thomaso Averara
e da Giacomo Francesco Bagnati, avvocato, Ponteranica e Sorisole
dal conte Giovanni Grumello avvocato e da Simon Donati, procura-
tore, le altre Valli dal predetto Bagnati e da Giovanni Battista
Amigazzi, procuratore ; f. 54 a.
XLVI. — i^S^i settembre 14. — Venezia,
Lodo della sentenza soprascritta (n. XLV), trasmesso dal doge
Francesco Molino ai Rettori di Bergamo Giovanni Francesco Giorgio,
podestà e Pietro Murto, capitano, dopo aver nuovamente udite le
parti in contradditorio, e cioè Tavvocato Marchior Lanza per le
Arti di Bergamo, D. Pietro Barile, dottore, per il Territorio, D. Ales-
sandro Cattanio per Sorisole e Ponteranica, D. Giovanni Ronchi
per la Val di Scalve, D. Simon Mainetti per Averara ed Olmo,
D. Alessandro Marchesi, avvocato per Taleggio; f. 590. — Seguono
le presentazioni del lodo per ottenerne l'esecuzione: il 17 settem-
bre per parte di Simon Donati, procuratore di Sorisole e Pontera-
nica; la qual presentazione è denunziata, il 28, da Giulio Cesare
Sartorino, vice alabardiere a Tomaso Averara, Giovanni Antonio
Donarello e Francesco Corte, intervenienti per il Territorio di Ber-
gamo, ed a M. Antonio Calamita, Marc Antonio Rossi e Giovanni
Battista Pisenti, deputati delle Arti; il la ottobre per parte di
Simon Mainetti a nome delle Valli di Scalve, Taleggio, Averara
e Valtorta, ed anche questa presentazione è come sopra denun-
ziata, il giorno i6, ai deputati delle Arti; f. 60 a.
LVI. — J^S3p gi^^g^o 20 — Venezia.
Si comanda che i dazi aiuoli di Bergamo non molestino il co-
mune d'Averara che, in forza dì suoi privilegi, paga separatamente
ì contributi allo Stato; f. 67 ò.
LXXIll. — iàó), luglio 9. — Venezia,
Il doge Domenico Contarinì comanda al Provveditore di Ber-
i;amo Marco R usino che faccia rispettare ì diritti delle Valli d'A-
vt raia e dì Taleggio circa il dazio sugli animali « che si condu-
« coni> a* soliti pascoli ne* monti ^\ f. 8s rt.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 3OI
XLVII. — 7^7/, gennaio 14. — Venezia.
U doge Nicolò Sagredo avverte il podestà di Bergamo Carlo
Belegno ed il capitano Giovanni Michele come il Senato, apprez-
zando i meriti dei valligiani di Taleggio, Averara e Scalve, « posti
• alla custodia di codesti confini, e compatendo la sterilità del sito
* montuoso et alpestre », abbia deciso ch'essi non siano obbligati,
dal 1636 in poi, alla presentazione delle polizze per il pagamento
dei campatici, ma corrispondano il cinque per cento a ragione di
rendita, bonificando loro il totale delle « tanze » pagate e V im-
porto di quella del 1656 e concedendo anche una certa dilazione
per Testinzione dei debiti; f. 61 a.
XLVIII. — 1682, marzo 14. — Venezia,
11 doge Luigi Contarini avvisa il podestà di Bergamo Zaccaria
Salomone ed il capitano Luigi Foscarini d'aver riconfermato alle
Valli di Scalve, Taleggio, Averara e Valtorta le già fatte conces-
sioni circa il pagamento del campatico (n. XLVII); f. 63 b,
XLIX. — 1682, giugno 24. — Venezia.
Replica delle lettere precedenti (n. XLVIII); f. 64 a.
L. — 1682, settembre 26. — Venezia.
U doge Luigi Contarini comanda ai Rettori di Bergamo che
bonifichino alle Valli predette il dieci per cento sulla tassa del cam-
patico, pagando esse in una sol rata invece che in due; f. 64 b. —
Il 28 successivo, D. Leonardo Magni « diffensore » della Valle di
Scalve, a nome anche delle altre Valli di Taleggio, Averara e
Valtorta, presenta quelle lettere per ottenerne l'esecuzione; f. 65 a,
LI. — 1682, settembre 2^, — Bergamo.
I Rettori di Bergamo pubblicano le lettere precedenti (n. L)
comandandone l'osservanza; f. 65 a.
LIl. — 1682, settembre jo. — Bergamo.
H camerlengo Alvise Diedo riceve dal comune d'Averara, rap-
presentato da Giovanni Battista Cattaneo, lire 712 e soldi 2 in
L
302 UN CODICE SCONOSCIUTO
conto del campatico per il 1628, computato l'abbuono del dieci per
cento a tenore delle lettere ducali del 26 settembre (n. L); f. 65 b.
LV. — IT 02, gennaio 12, — Venezia.
Il doge Luigi Mocenigo avvisa il podestà di Bergamo France-
sco Fusculo ed il capitano Federico Barbadico che resta fermo ai
comuni delle Valli di Taleggio, Valtorta ed Averara il privilegio
d* eleggersi il proprio vicario. — D successivo 18, il signor Ales-
sandro Aregazzolo presenta queste lettere ai Rettori di Bergamo,
ottenendone Tesecuzione; f. 67 a (i).
LUI. — 1702^ —
I comuni d'Averara, Valtorta, Scalve e Taleggio domandano
alla Signoria Veneta di poter fare la consegna dei soldati requi-
siti, separatamente dal Territorio Bergamasco; f. 66 a.
LIV. — 1702, novembre 11, — Venezia,
II doge Luigi Mocenigo comanda al capitano di Bergamo Fe-
derico Barbadico che i comuni predetti siano compiaciuti nella loro
richiesta. — Il 2 gennaio 1703 il capitano stesso concede a Giu-
seppe Antonio. Regazzoni Tesecuzione di queste lettere; f. 66 b.
LVII. — 1710, giugno II. — Venezia.^
Il doge Giovanni Cornelio invita il podestà di Bergamo Leo-
nardo Delfino ed il capitano Vittor Pisani a non permettere novità
alcuna in danno della Valle d*Averara; f. 69 a.
LVIU. — /7/i/ marzo 20. — Bergamo,
In omaggio alle precedenti lettere ducali (n. LVII), il capitano
di Bergamo sospende l'appalto del dazio per il comune d' Averara,
circa r u aggravio del prestino, macina et soldo per lira delle
" carni w ; f. 69 i.
(i) Cfr. nn. II, XXI, XXII, XXIII. XXIX, XXX, e T introduzione.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI 303
LIX. — IT22, febbraio i8. — Venezia.
n doge Luigi Mocenigo comanda al capitano di Bergamo Paolo
Donato che faccia rispettare le concessioni del campatico per il
comune d'Averara; f. 70 a (i).
LX. — 1729, febbraio 7. — Venezia.
n doge stesso invita ancora il capitano di Bergamo a far com-
parire imianzi al suo tribunale i reggenti del comune d'Averara,
perchè mostrino i privilegi in forza dei quali si permettono « di
» vender a piacere il Tabacco ben che tolto al publìco Partito »;
f. 71 a.
LXI. — 1730, marzo 28. — Venezia.
Il doge stesso, ritenendo insufficienti i privilegi accennati, co-
manda al capitano di Bergamo che il comune d'Averara debba sot-
tostare, per la vendita del tabacco, alle comuni prescrizioni; f. 71 b.
LXU. — 1730, agosto 4. — Venezia.
Il doge stesso comanda al capitano di Bergamo che debba
far rispettare dai suoi daziaiuoli i privilegi del comune d'Averara;
f . 72 b.
LXXIV. — J731» maggio io. — Venezia.
Riconferma delle lettere precedenti, in considerazione anche
d*una sentenza del io maggio 1731; f. 87 A.
LXIIl. — 173 1\ gi^g*^o 7. — Venezia.
Riconferma come sopra; f. 75 a.
LXIV. — 173 Jj luglio 3. — Bergamo.
Il capitano di Bergamo ordina che siano pienamente osservate
le lettere ducali del 4 agosto 1730 (n. LXII); f. 75 ò.
(i) Cfr. nn. XLVIII, XLIX, L e LI.
UN CODICE
LXV. — tlJii luglio i4-ip. — Bergamo.
Si dichiara che il Comune d'Averara, e per esso i suoi rappre-
sentanti Giovanni Cattaneo e Santo Mariani, ha depositato presso
la Camera Fiscale lire 306 e soldi io per il dazio nuovo detto Ma
Cina « et imposta sopra minuti n; il qual deposito dovrà esser com-
pensato al comune stesso nell'aggravio del Campatico in forza del
decreto precedente [n, LXIV); f, 77 b.
LXVl. — 17JJ, settembre 18. — Venezia.
I capi del Consiglio dei Dieci raccomandano al capitano dì
Bergamo l'osservanza dei privilegi d'Averara rispetto ai dazi;
f. 78 b.
LXXV. — '73Si settembre 18. — Venezia.
Ordine come sopra del doge Carlo Ruzzini; f. 88 A.
LXVII. — ilJi- ottobre j. — Bergamo-
Francesco Bonfadini, podestà di Bergamo, ordina la fedele ese-
cuzione delle lettere del 18 settembre 1733 (n. LXVI); f. 79 è-
LXVIIl. — 17J4/ giugno j. — Venezia.
11 doge Ruzzini comanda al vicecapitano di Bergamo Antonio
Savorniano, che addebiti alla Camera la contribuzione dì lire 104.
pagata da Averara per la •> prestanza del Territorio * ; f. 80 6.
LXIX. — '7J9i aprile io. — Venezia,
II doge Luigi Pisani diffida il capitano e vice-podestà di Ber-
;jamo Vincenzo Gradonico a non esigere dai comuni d'Averara e
Valtorta la contribuzione della tassa imposta ìl 25 gennaio, non
appartenendo essi al Territorio Bergamasco; f. 81 b.
LXX. — 1740, aprile ri.
La Valle d'Averara, allegando l'esempio della Val di Scalve,
impetra l'esenzione della tassa imposta il 3 decembre 1739; f. 82 a.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI
305
LXXI. — 1140, maggio i^, — Venezia,
Lettere ducali al capitano di Bergamo Leonardo Delphino per
avvisarlo dell'esenzione dalla tassa accordata al comune d* Ave-
rara; f. 83 a (cfr. il regesto precedente n, LXX).
LXXIL — 1740, giugno 18. — Venezia.
Lettere come sopra circa il rimborso concesso al comune d'A-
verara delle spese da esso sostenute per alloggi militari; f. 83 b.
LXX VI. — 1740, giugno 18. — Venezia.
Lettere come le precedenti (n. LXXII); f. 89 b.
LXXVU. — ^74S^ novembre aj. — Venezia.
U doge Felice Grìmani autorizza il vice-podestà di Bergamo
Giovanni Giuseppe Gioanelli a rimborsare al comune d'Averara
lire 1484 pagate dal 1740 in poi per alloggi militari, condotte e
g^uardie dì sanità; f. 90 b,
Giuseppe Riva.
INDICE ALFABETICO DEI NOMI
DI LUOGHI E PERSONE CONTENUTI NEI REGESTI.
(Si cita il numero dei singoli regesti)
Abram de Zuane (ser), 5.
Adamo Gobo (ser), 5.
AgneOo Antonio, tesoriere gene-
rale ed esattore del Territorio
Bergamasco, 40, 42.
A&ricus Michael Scafvensis civis et
notarius Bergomensis et Brixien^
sis, 27.
Alexandre de Zuane (ser), 5.
AlCobelIo messer Giovanni d*Ave-
rara, 36.
Alvise Gisi, 5.
Alzano Augostino, aS,
Ambrosoni ser Jacobo d'Averara,
27.
Amigazzi Giovanni Battista, 44, 45.
Antonio da Spin (ser), 5.
Antonio ditto Molena (ser), 5.
Antonio dicto Togni (ser), 5,
Aregazzolo Alessandro, 55.
Asoiario (de) Johannes Baptista, doc-
tor, IO.
Assonica Francesco, cavaliere e
dottore, 31.
AVERARA, 2, 6, 8, IO, II, I3, 12, I5,
16, 17, 18, 19, 20, 27, 21, 22, 33,
3p6
UN CODICE SCONOSaUTO
26, 24, 25, 35, 36, 29, 30, 37, 38,
33. 39i 34» 32» 40» 42, 44» 45» 4^,
56, 73» 47» 48. 49» 50, 51» 52» 55»
53. 54» 57» 58» 59» 60, 61, 62, 74,
63» 64, 65, 66, 75, 67, 68, 69, 70,
71» 72, 76. 77-
Averara Thomaso, 45, 46.
Baduario Sebastiano, podestà di
Bergamo, 9.
Bagnati Giacomo Francesco, av-
vocato, 45-
Balbi Giovanni, capitano di Ber-
gamo, 55, 54.
Barile don Pietro, dottore, 46.
Bartolomeo Morexin (ser), 5.
Belavitibus (de) Caianeus, io.
Belegno Carlo, podestà di Ber-
gamo, 47.
Bembo Giovanni, doge di Venezia,
33-
BERGAMO, I, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, IO,
II, 13, 12, 14, 15, 16, 17, 18, 19,
20, 27, 21, 22, 23, 26, 24, 25, 35.
36, 28, 29, 30, 3^1 37» 38, 33» 39,
34. 32» 40» 42, 41» 43» 44» 45> 4^»
56, 73» 47. 48, 49» 50» 52, 55. 53»
54» 57» 58, 59, 60, 61, 62, 74, 63,
64, 65, 66, 75, 67, 68, 69, 71, 72^
76» 77.
Bernardin Guardabaso (ser), 5.
Bernardo de Bortoleto (ser), 5.
Bertolinì Giacomo, 30.
Bertolini Marc'Antonio, 29, 30.
Boldu Benedetto, provisore, 26.
Bonfadini Francesco, podestà di
Bergamo, 67.
Botagisi (di) Bernardino^ 21, 22^
23. 25.
Botegtsit's (de) Luchinus de Avera-
ria, 2.
Bottagisi Andrea d' Averara, ao.
Brembato Achille, conte e cava-
liere, 28.
BRESCIA, 27.
Cainela Zuane^ 33.
Calamita M. Antonio, 46.
Caral Jacomo^ 24.
CASELio (de) coniraia^ 25.
CASTRI piciNi comune, 6, 8.
Cattaneo don Alessandro^ 46.
Cattaneo Giovanni Batt., 52, 65.
Chalaiapeira (de) Joannes Antonius,
vicepodestà dì Bergamo, 11.
Chiusio (de) ser Amòrosius, 21, 22.
Cocco Aloysio, capitano di Ber-
gamo, 32.
Contarini Domenico, doge di Ve-
nezia, 73.
Contarini Luigi, doge di Venezia,
48, 49» 50. 51-
Contarini Paolo, capitano di Ber-
gamo, 21.
Contarini Pietro, capitano di Ber-
gamo, 43.
Cornelio Barbaro, capitano di Ber-
gamo, 27.
Cornelio Giovanni, doge di Ve-
nezia, 39, 34, 57, 58.
Corte Francesco, 46.
Curtoni Giovanni Pietro, 40.
cusio (de) contrata, 23, 25.
Dalla Torre Alphonso, 31.
De' Capitani Davide, 18, 19^ ao,
27/ 36.
Delphino Leonardo, capitano e pK>-
destà di Bergamo, 57, 58, 71,
72, 76.
Diedo Alvise, camerlengo, 52.
Diedo Francesco, dottore, capitano
di Bergamo, 6, 7, 8.
Donarello Giovanni Antonio^ 46.
Donati Simon, 45, 46.
Donato Francesco, doge di Vene-
zia, 35.
Donato Nicolò, podestà di Bergamo
39-
Donato Paolo, capitano di Ber-
gamo, 59, 60, 61, 62, 74, 63, 64.
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI
307
Erìccio Francesco, doge di Vene-
zia. 33^ 41, 43.
Fin (de) Giovanni Maria, dottore, 16.
Foscari, procuratore generale e
provveditore, 34.
Foscari Francesco, doge di Vene-
zìa, a.
Foscarini Luigi, capo dei Dieci, 25,
4^,49-
Foscarini Marc'Antonio, podestà di
Bergamo, 14.
Francesco Bernardo, capitano di
Bergamo, 35, 36.
Fusculo Francesco, podestà di Ber-
gamo, 55.
Gauro Giusto, capitano di Bergamo,
II.
Gioanelli Giovanni Giuseppe, vice-
podestà di Bergamo, 77.
Gioia Francesco Salomone, provi-
sore, a6.
Giorgio Giovanni Francesco, po-
destà di Bergamo, 46.
Girardo Cagnolin (ser), 5.
Girardo ditto Cavalier (ser), 5.
Giustiniano Lorenzo, capitano di
Bergamo, 33.
GocHiAM {ultra), 29.
Gradonico Vincenzo, capitano e vi-
cepodestà di Bergamo, 69.
Grìm&ni Felice, vicepodestà di Ber-
gamo, 77.
Grimanì Vitto r, doge di Venezia, 16.
Grimano Giovanni, podestà di Ber-
gamo, 34.
Grimano Marino, doge di Venezia,
37, 38.
Gritti Andrea, doge di Venezia,
"r 14.
Grumello Giovanni, conte e avvo-
cato, 45.
Gutgriftoniòus (di) JBfmardHs, vica-
rius comunis de Averan'a, 27.
Hieronimo Michele, podestà di Ber-
gamo, 41.
Hieronimus Albertus, capitano di
Bergamo, 37.
Jacomo Rosseto (ser), 5.
Landò Pietro, doge di Venezia^ 21.
Lanza Marchior, avvocato, 46.
Lauredano Ettore, capitano di Ber-
gamo, 14.
Lazaroni Bernardo, 33.
Leoni Paolo, podestà di Bergamo,
44.
Locatello Giovanni Andrea, 45.
Lorenzo de Girardo (ser), 5.
Lulmo (de) Antonius quondam Grot-
ti, 2.
Magni don Leonardo, difensore del-
la Valle di Scalve, 50, 51.
Mainetti don Simon, 46.
Mallipiero Francesco, avvocato, 18,
19.
Mandello Alvise, 40.
Marcello Antonio, capitano di Ber-
gamo, 20.
Marcello Francesco, podestà di Ber-
gamo, 6, 7, a
Marchesi don Alessandro, avvo-
cato, 46.
Marchesini Lattantio, 31.
Mariani Santo, 65.
Martacin Lorenzo (ser), 5.
Martin de Antonio (ser), 5.
Martin Graseto (ser), 5.
MARTINENGO, 3I.
Mauro Bartolomeo, capitano di Ber-
gamo, 39.
Mauro Giovanni, capitano di Ber-
gamo, 9.
Mauroceno Domenico , cavaliere,
provveditore del sale a Bergamo,
35» 36.
3o8
UiN CODICE SCONOSCIUTO
Mauroceno Giovanni, capo dei Die-
ci, 4.
Mauroceno Marc* Antonio, cavalie-
re, capitano di Bergamo, 34.
Mediolahi archiepiscopus, 2.
Melchior^ notarius Venttiarum, 5.
Merli Pietro, 38.
Michele Giovanni, capitano di Ber-
gamo, 47.
Minol Bartolomeo, 16.
Mocenigo Luigi, doge di Venezia,
55> 54) 59» 60, 6i, 62, 74, 63, 64.
Mocenigo Pietro, doge di Venezia, 6.
Moioiis (de) Petrus quondam Ber-
nardini, incaniator daiii panno*
rum Bergami^ arj.
Molino Francesco, doge di Vene-
zia, 44, 46.
Murto Pietro, capitano di Bergamo,
46.
OLMO, 2, 29, 46. Cfr. UifHo {de t).
Olmo (d') Bernardino, 29, 30.
Olmo (d') Giovanni Giacomo, 29, 3a
Olmo Valerio, 38.
Padovani, i.
PALMA, 37, 38.
Pellegrino Vincendo, avvocato delle
Valli Bergamasche, 31.
Perin de Bello (ser), 5.
Piero de Girard© (ser), 5.
Pino Bondiol (serX 5.
Pisani Luigi, doge di Venezia, 69,
Pisani Vitto r, capitano di Bergamo,
57,58.
Pisenti Giovanni Batl, deputato
delle Arti di Bergamo, 46.
mzziNo, 6, 7, 8, 15.
PLATEA ULTRA GOCHIAM» 29.
POLTRENGA, 12,
IX>NTERANICA, 45, 46.
PrioU (de*) Angelo Maria, pro\T-
sore, 26,
IVtolì (de*> Costantino, {XKlestà dì
Bergamo» 35, 36.
Priolo Geronimo, doge di Vene-
zia, 31.
Priolo Lorenzo, doge di Venezia,
28.
Rachinerio Giovanni, capitano di
Bergamo, 38.
Regazzoni Giuseppe Antonio, 54.
RIALTO (Fontego de) in Venezia, 5.
Riva Luigi, capo dei Dieci, 25.
ROMANO, 31.
Ronchi don Giovanni, 46.
Rossefus JacobuSf coadiuior officii
Biadorum Venetiarum, 5.
Rossi Marc'Antonio, 46.
Rovelli Agnello, 40.
Rusino Marco, provveditore di Ber-
gamo, 73.
Ruzzini Carlo, doge di Venezia, 75,
67, 68.
Sagredo Nicolò, doge di Venezia, 47.
Salomone Francesco, capitano di
Bergamo, 41.
Salomone Zaccaria, podestà di Ber-
gamo, 48^ 49.
Salvagno Pietro, avvocato, 45.
Salvioni Viviani, 33.
Sancto Piligrino (de) Antoninus die-
ius Casina^ io.
SAN MARCO (Fontego de) in Vene-
zia, 5.
Sanuto Pietro, pretore di Bergamo,
26.
Sartorino Giulio Cesare, vice ala-
bardiere, 46.
Savionibus (de) magisier Amaro-
xius de Talegio, 15.
Saviomòus{dé) Johannes Amòfoxius
et Castro Picèno, 7, 15.
Savionibus (de) Johannes Meeria, 10.
Savomiano Antonio, vice capitano
di Bergamo, 68.
SCALVI, 6, 3, II, 13, 12, 16, 18, 19,
20.« 27, 26, 35, 36, 37, 38, 33, 32-
DI PRIVILEGI BERGAMASCHI
309
44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 53,
ssDRUiA (Ponte di), io.
SQRISOLE, 16, 37, 45, 46.
Superanzio Giovanni Luigi, capo
dei Dieci, 25.
T.\LEGGIO, 6, 8^ IO, II, 13, 12, 15,
16, 17, 18, 19, 20, 27, 26, 35, 36,
37» 38, 33, 32, 44i 45, 4^, 73. 47,
4S, 49, 50, 5h 55, 53, 54-
Tkeo/alàis (de) Corinus^ datiarius
pannorutn Bergami et districtus,
ao, 27.
Tron Nicolò, podestà di Bergamo,
43-
Tron Vincenzo, capitano di Ber-
gamo, IO.
Ulfno {de r\ Antoniusqttondant Crot'
ii, 2.
VUno {de F) Mapheus, 15.
URNiCA (de) contrata, 23^ 25.
Valaresso Paolo, podeàtà di Ber-
gamo, IO.
VAULE BREMBANA, 2, IO.
VALLE SASSINA, 2.
VALTORTA, 45, 46, 48, 49, 50, 51, 55,
53» 54, 69.
Vendramin Andrea, doge di Ve-
nezia, 6, 9.
Venerio Maffeo Michele Benedetto,
capo dei Dieci, 4.
VENEZIA, I, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, II, 14,
15, 16, 17, 18, 19, 21, 22, [23], 24,
25, 35, 28, 29, 30, 31, 37, 38, 33,
39, 34, 32, 42, 41, 43, 44, 4^, 56,
47, 48, 49, 50, 55/ 53, 54, 59, 60,
61, 62. 74, 63. 64, 66, 75, 67, 68,
69, 71^ 72, 76, 77.
VERONA, 40.
Veronesi^ i.
Verniga {de là) ser Johannes, 21.
Vicecomes (dominus) Medioians\ 2.
Vicominori (de) Joannes Antonius,
27.
Vielmo de Piero (ser), 5.
Viscardi Andrea, 31.
Zaneto de Simon (ser), 5.
Zaneto de Zuane (ser), 5.
Zeno Francesco, podestà di Ber-
gamo, 32.
Zonio {de) Laureniius dictus Furie-
tus, exacior intpense reparationis
pontis Sedrine, io.
Zorzi Alvise, procuratore di San
Marco e provveditore generale
nello Stato di Terra Ferma, 40.
Zuan detto Mambrino d'Averara,
21, 22, 23.
Zuan ditto Vechia (ser), 5.
GIANFRANCESCO GONZAGA
SIGNORE DI MANTOVA
(1407-1420)
STUDI E RICERCHE (•)■
SANCESCO Gonzaga signore di Mantova, usando oppor-
tunamente, secondo i tempi, ora il valore delle anni,
ora la destrezza politica, non solo era uscito calvo e cod
onore dalle molte guerre e pericolosissime che lo avevano per piii
anni combattuto e tratto &no all'orlo del precipizio, ma ne aveva
anche acquistato aumento di territorio e di potere ; e stabilite in
pace le sue cose, amato e stimato dal suo popolo, era tutto intento
a guarire le molte piaghe aperte nello stato dalle guerre sostenute,
quando un improvviso malore lo colse, e fra il compianto di tutti
i suoi in pochi giorni lo trasse al sepolcro. Morì il / marzo del 1407
nel pieno vigore di tutta la sua attività hsica e intellettuale,
rontando appena quarantadue anni di età (l). Al suo cuore
di padre, quando si accorse che per lui era suonata l'ultima ora,
dovette egli sentirsi una stretta di ambascia inesprimibile, nel
pensare in quali condizioni di luoghi e di tempi lasciava l'unico
|ui in principio la squisita gen-
deH'Archivio Gonzaga, il quale
icerche, e qualche volta anche
di Mantova, cap. LXXIX in Mu-
SIGNORE DI MANTOVA 311
&glio, orfano anche deirassistenza e della vigilanza materna (i).
E' vero che Mantova usa da quasi ottantanni al dominio dei Gon-
zaga lo tollerava volontieri, ma non era ancora entrata nei
costumi della città la successione di padre in figlio per diritto
ereditario, e dal ribollimejito di liberi spiriti che fe^va in altre
dttà sorgevano pel Gonzaga minaccie paurose, che anche per le
vie di Mantova tornasse a ripercuotersi l'antico grido di libertà.
E fosse pure l'orfano accettato dal popolo per signore, non era
per questo assicurata la sua sorte. Uesempio dei figli di Gian
Galeazzo Visconti doveva presentarsi al pensiero del Gonzaga
come un fantasma pieno di spavento. Gian Galeazzo, morto pò- / V ^ '
chi anni innanzi, aveva lasciato per custodia dei figli la ve-
y«i,dova loro madre, \m forte esercito, e valorosi capitani già
*''.suoi compagni di lotta e di vittoria in cento battaglie; ep-
^ *• pure le sue ceneri erano per così dire ancor calde, e già da
ogni parte dello stato le città soggette insorgevano a ri-
volta e si gridavano indipendenti, tornavano ai perduti dominii
i Signori vinti e scacciati, e i suoi fedeli generali, parte si leva-
vano in aperta guerra contro gli orfani e la vedova, parte a pre-
mio di loro fedeltà si facevano dichiarare Signori delle terre che
avevano in custodia o che riconquistavano sui traditori : e così gli
orfani erano egualmente spogliati da nemici e da amici ; e in-
tanto la città capitale e tutto lo stato si divideva in due fazioni
arrabbiatissime, le quali, riadottando i nomi di Guelfi e di Ghi-
bellini, rinnovavano insieme tutta l'atrocità degli odi, delle per-
secuzioni e delle stragi, onde quelle maledette due fazioni erano
rimaste tristamente famose (2).
Senza che alcun documento lo provi, le voci stesse della na-
tura umana attestano e assicurano che siffatti dovettero essere i
pensieri che agitavano Tultima ora del morente^ Gonzaga. Ma
la buona fortuna dell'orfanello gli teneva pronto tale tutore che
meglio non avrebbe potuto desiderare Era quésti Carlo Mala-
(i) Margherita Malatesta, seconda moglie di Francesco Gonzaga,
era morta l* ultimo di febbraio del 1399. Il suo sarcofago in marmo
trovasi nella cripta di S. Andrea nel braccio sinistro in luogo assai
poco decente. Era prima nella Cappella di S. Bernardino nella chiesa
di S. Francesco.
(2) V. CoRio, Storia di MilànOy e tutti gli altri storici che raccon-
tano gli avvenimenti di Lombardia in questi tempi.
312 gianfrancp:sco Gonzaga
testa, signore di Rimini, che, fratello alla madre del fanciullo,
aveva in moglie una sorella del padre di lui ; onde l'orf anello
veniva ad essergli nipote due volte, e però a nessun altro più che
al Malatesta doveva stare a cuore la salvezza e prosperità di Im (i).
Oltre a ciò Carlo era un uomo da tener fede al suo ufl&cio sino
allo scrupolo, perchè fu per quel secolo esempio unico più che
raro di lealtà. Poggio Bracciolini, storico contemporaneo, lo disse
egregio nelle arti della pace e della guerra, degno di essere parago-
nato agli antichi ; e il Muratori lo dichiara uno dei più saggi e prodi
signori che si avesse allora Tltalia (2). Ed era di tanta religio-
sità, non solo nell'intimo sentimento del cuore, ma anche nelle
pubbliche pratiche della vita, che ugnale ai nostri tempi appena
si potrebbe credere in un uomo tutto dato al mestiere delle armi
come era lui.
A queste diverse ragioni di parentela, di carattere, di senti-
mento religioso, che facevano preziosa pel pupillo la tutela di
Carlo, si aggiungeva la speciale simpatia ed affezione che ave-
vano i Mantovani pel Malatesta, nella memoria e nel cuore dei
quali era sempre presente il ricordo di quanto egli aveva fatto
per loro nel 1394. In quell'anno il Visconti, respinti da ogni parte
i Mantovani, li aveva costretti a ripararsi nella città, e cinta questa
di fortissimo assedio li aveva chiusi siffattamente che, non trovando
da nessuna parte né modo né via da rifornirsi di viveri, la fame
li teneva già presi alla gola per forzarli ad arrendersi. Fu
Carlo Malatesta che li salvò, il quale moltiplicandosi in
premure e sollecitudini a Firenze, a Bologna, a Ferrara, a Pa-
dova, potè raccogliere aiuto d'uomini e di denaro, e messo in-
sieme buon corpo di truppa volò al soccorso del cognato e di
Mantova, spazzò via i nemici che erano corsi a contendergli il
passaggio del Po, li assalì nelle fortificazioni stesse dell'assedio,
s'impadronì del loro accampamento, e, fattine prigioni sei mila
a piedi e due mila a cavallo, ricacciò gli altri dispersi sul loro
cammino (3). Che se la tutela di Carlo era preziosa sotto l'aspetto
(i) La moglie di Carlo Malatesta fu Elisabetta Gonzaga.
(a) Poggi I Bracciolini, Hist. itb, V in Muratori, R> L S., p. 331.
D : * Fuit Carolus vir, tum belli, tum pacis artibus egregius, et priscis
" illis niajorìbus meo judicio comparandus „. Muratori, Ann. d'Italia^
ad a. 1408.
(3) Platina, Hist, ManL /io, IT, in Muratori, /?. /. S., p. 772. E.;
P. Bracciolini, liisL cit, lib. HI., p. 275. C.
SIGNORE DI MANTOVA 313
pditico, anche più preziosa per Iteducazione inorale e la sorve-
glianza del fanciullo riusciva la cooperazione di Elisabetta 'Gon-
zaga, moglie di hii, tanto più che non avendo figli era naturale che
essa riversasse sul nipote tutta l'affezione e la tenerezza del suo
cuore materno.
Francesco adunque morendo chiamò a tutore del figlio il co-
gnato Carlo Malatesta ; e insieme con lui chiamò pure la re-
publica di Venezia (i). Egli in sua vita era stato un prode e
fedele soldato della republica, e fu in questo pensiero che mo-
rendo volle affidata anche a lei la custodia del suo orfanello,
nella fiducia che la memoria dei servigi del padre parlerebbe
presso la Serenissima in favore del pupillo. Ma probabilmente an-
cbt un altro pensiero di avveduta politica si era presentato alla
sua mente. Mantova era tm possesso prezioso in quella lotta
accanita che si combatteva allora fra l'ambizione della Repu-
blica e l'ambizione dei duchi di Milano, perchè quale dei due
avesse in mano questa città fortissima poteva dire di avere par-
tita vinta. Nello sfacelo dello stato dei Visconti, dalla parte di
Milano non v'era in quel momento alcun pericolo ; ma l'acca-
sdamento dell'avversario dava troppo propizia occasione a Ve-
nezia di tentare con fortuna un colpo su Mantova ; ed il secolo
che correva, pieno di soprusi e di tradimenti, come nell'esempio
altrui poteva facilmente dar esca ai desideri della Republica,
così facilmente nella comune slealtà e perfidia di astuzie e di
colpi di mano avrebbe perdonato e coperto la mala azione di
^ma disonesta conquista.
Francesco riparò al pericolo affidando alla stessa Venezia,
alla sua lealtà, al suo onore la difesa dell'orfano, in quel modo
che i popoli e i re degli antichi tempi, veduta l'invadente ambi-
zione dei Romani e l'impossibilità di farvi riparo, col pretesto
di salvarsi da altri nemici invocavano la loro stessa protezione ;
e così col rimettersi nella loro tutela, assicurandoli della propria
(1) * In hoc statu rerum Franciscus anno septimo supra quadrin-
^ gentesimum et miUesimum nonis martiis moritur, relieto Johanne Fran-
^ CISCO impubere adhuc, utpote qui vix duodecimum attigerat annum,
in Venetorum ac Malatestarum tutelam, quousque adolevisset „ ; Pla-
A, p. .^2 g _ ^^ ^^. jj pjg^jjj^g^ ^j.j.j^ generalizzando la tutela in
*a casa dei Malatestì, mentre gli altri storici, e, quello che è più, i
^^ocumenti la restringono al solo Cario.
^•-c*. Stor. Lomb,, Anno XXIX, Fase. XXXI V. ai
314 GIANFRANCESCO GONZAGA
fedeltà e soggezione, si ponevano al riparo dal pericolo di averli
nemici.
Cosi nella sua disgrazia il giovinetto Gonzaga si presen-
tava al governo di Mantova protetto e difeso come non avrdìbe
potuto desiderare di meglio.
Il Malatesta, che era a Milano, appena ricevuto l'avviso, volò
a Mantova, e assunse la tutela del nipote.
Francesco Gonzaga tre anni prima di sua morte aveva fatto
riformare gli statuti della città, disponendo le cose in modo che
fosse assicurata nella sua casa la successione ereditaria al governo
di Mantova (i). Ora capitava di applicare quelle nuove disposi-
zioni per la prima volta ; e siccome la riforma più che da spon-
tanea volontà elei cittadini era venuta dall'influenza che Fran-
cesco aveva saputo far valere sul Consiglio della città; cosi il
partito dei Gonzaga non era senza qualche inquietudine sull'ac-
coglienza che verrebbe fatta alla presentazione del nuovo signore
nella persona del giovinetto Gianfrancesco. E infatti si levarono
da varie parti nel Consiglio più o meno forti opposizioni, non in
nome della perduta libertà, ma mettendo avanti la troppo tenera
età del nuovo principe che si proponeva eleggere, i pericoli che
minacciavano Mantova, la necessità di affidare a mani sicure la
tutela publica. Ma la morte di Francesco, avvenuta quasi improv-
visa e fuori d'ogni aspettazione, non aveva lasciato tempo agli
2uiiatori di un libero governo nella città, di intendersi fra loro e
accordarsi in uno sforzo comune : cosi quelle opposizioni non
ebbero che carattere individuale, e si trovarono a dover lot-
tare contro la volontà del partito Gonzaghesco che procedeva
avanti unito e compatto. E però non fu difiicile a Donato de'Preti,
uomo dotto ed assai stimato nella città, tutto cosa dei Gonzaga,
ribattere le ragioni degli oppositori, e persuadere il Consiglio che
valeva assai meglio un governo per successione che quello per ele-
zione, e che nessun pericolo poteva venire dalla tenera età di Gian-
francesco, dacché la Serenissima di Venezia ne aveva la tutela, e
un Carlo Malatesta presiederebbe al governo, finché l'età matura
gli permettesse di governare da sé (2).
(i) Carlo d*Arco, Dei Dowinaiori Gonzaga e del loro governo^
Mantova, V. Guastalla, 1871, v. IV, 212; Francesco Tonelli, Ricerche
storiche di Mantova^ Mantova, Pazzoni, MDCCXCVII, to. I, p. 274.
(2) M. Equicola, Istoria di Mantova, lib. Ili, Mantova, Osanna,
SIGNORE DI MANTOVA 315
Così Gianfrancesco senz'altra formalità fu riconosciuto per
successore del padre con tutti i poteri avuti da lui, e si confermò
definitivamente nei Gonzaga il diritto di successione nel dominio
di Mantova
Della facile acquiescenza dei Mantovani a sanzionare la perdita
della loro libertà, qualche scrittore rimase scandalizzato e la notò
col nome di viltà (i). Ma solo che vi si faccia un poco atten-
zione, si vede evidente Terrore di questo giudizio. Nella forma
di governo non vi è né il meglio né il f)eggio. Ogni governo é
baono quando risponde alle condizioni dei tempi, e gente saggia
e dabbene lo regge ; ogni governo é cattivo quando va a ritroso
dei bisogni del popolo, e gente senza senno o malvagia vi sta a
capo. Il governo a popolo era stato la fortuna d* Italia quando nel
secolo XII le genti italiane riscosse dal lungo letargo del Medio
Evo tornarono a riacquistare il senso della propria dignità, e
accomunando tutti in un medesimo intento le proprie forze riusci-
rono a dare al loro paese quel complesso meraviglioso di vigoria
fisica e morale che furono i Comuni. Ma cessato il pericolo e rag-
giunto rintento, le forze unite si disgregarono, Torgoglio, l'ava-
nzia, la prepotenza, che prima erano rimaste assopite nelTentusia-
smo della comime libertà, si risvegliarono e insorsero feroci da
ogni parte, le città ne furono straziate, e si combattè e si mori,
non per salvare la patria o la libertà, ma per decidere quale
dovesse essere il tiranno che vi stesse sul collo. A' tempi
di Gianfrancesco le tendenze politiche non erano a far ri-
sorgere i governi popolari, erano invece a confermare e in-
grandire i Principati ; e i vani sforzi che si videro fare qua e là
in contrario per le città d'Italia non distruggono, ma confermano
la regola Che avrebbe fatto Mantova della sua libertà ? Non certo
godutone il popolo. Quando mori Tavolo di Gianfrancesco non gli
fa dato per successore suo figlio, ma la città riprese nelle sue mani
il governo. Ebbene, dopo sei anni il popolo tumultuando domandò
il solito Capitano, preferendo un tiranno solo a molti (2).
MDCX; 1. DoNESMoNDi, Istor, eccies. di Mantova \ Tonelli, op. e l. e,
e toni in genere gli storici di Mantova. Donato de' Preti era " legum
• docior de collegio judicum . : v. Arch. Gonz. D. IV. 11.
CO D* Arco, op. cit, voi. IV, p. 22.
(2) D* Arco, op. cit., voi. IV, p. 18.
3l6 GIANFRANCESCO GONZAGA
Ne avrebbero sì vantaggiato i nobili, ma non per goderne da
buoni cittadini, sì per avere campo libero alle loro gare, alle ambi-
zioni, alle prepotenze. Ogni città d* Italia, che ne fece esperimento,
può stare in esempio. E codeste lotte e discordie fra i governanti
della città avrebbero portato inevitabilmente alla perdita della sua
indipendenza.
La republica di Venezia e i duchi di Milano agognavano bra-
mosamente il possesso di Mantova, e ben presto nell'urto dei par-
titi e nelle lotte delle private ambizioni e avarizie avrebbero saputo
trovare la via, o Tuna o Taltro, di mettervi le mani sopra, e soddi-
sfare la lunga fame che ne avevano avuto. Per Mantova fu una
fortuna di essere venuta a mano di una famiglia, ricca, potente
e generosa, come i Gonzaga, la quale identifecando il publico inte-
resse col proprio riuscì a salvarne per lungo tempo rindipendenza
e procurarle una gloria che molte città, anche assai maggiori, le
possono invidiare. E però lungi dal credere una viltà la proposta
del De'Preti e l'assenso del Consiglio, io credo che in ragione dei
tempi l'uno e Taltro prendessero il provvedimento che meglio ri-
spondeva ai bisogni della patria.
Il riconoscimento di Gianf rancesco Gonzaga a signore di Man-
tova avvenne il 20 marzo 1407, qttando egli non aveva ancora com-
piuto il suo dodicesimo anno (i).
(i) L'età precisa di Gianfrancesco si ha dalla seguente inscrizione,
che si vuole murata nella torre delForologio a ricordo del titolo che gli fu
dato di marchese. — ** A di 16 augusto 1328 virilmente se fece Signore
* de Mantova el magnifico messer Alois de Gonzaga, atavo del illustre
" signor Giovan Francesco de Gonzaga, il quale sucedette nella Signo-
** ria adi 9 marzo 1407 in la etade de anni 11, mesi nove, giorni nove,
* quale adi 22 di septembre 1433 el serenissimo Imperadore Sigismon-
* do quarto con le soe mane e bocha creò e fece marchese de Mantova
* sopra un trionfante tribunale su la piazza de s. Pietro de Mantoa. «
Dalla Raccolta ms. d'Inscrizioni, fatta dai fratelli Coddè, che si conserva
nella Biblioteca comunale di Mantova.
Ma nella trascrizione di questa lapide è incorso certamente errore
là dove si dice che Gianfrancesco succedette il 9 marzo al padre. Pro-
babilmente in quel punto la lapide era corrosa, ed il trascrittore cre-
dette dover leggere 9 dove realmente era scritto 20, errore assai facile
specialmente se la data, com'è probabile, era messa in numeri ro-
mani (XX-IX). La data precisa e indubitabile l'abbiamo dal Gridario ma-
noscritto di Gianfrancesco, ossia dal Registro, incominciato a nuovo
SIGNORE DI MANTOVA 317
Venezia accettò rincarico affidatole e mandò a Mantova a rap-
presentarla nel governo Franzi Foscari, e a custodia della città Gi-
rolamo Contarini con 150 lande (i). Ognuno però intende che
lopera di Venezia in questa tutela era più nominale che effettiva ;
e che in realtà tutto il peso di essa verme a gravare sul Malatesta.
Ma dell'opera di lui a favore del minorerme non ci è dato che ar-
gomentare dalla saldezza e sicurezza con cui si stabiliva in Man-
' " ' li
tova il governo di quel fanciullo, perchè nell'incendio, avvenuto
pochi anni dopo, del publico Archivio, andarono perdute molte
carte di quel tempo ; molte altre ne lasciò poi smarrire l'incuria o
l'ignoranza dei tempi seguenti.
'Fra le poche potutesi salvare viene prima la seguente grida,
con cui si apre il gridario del nuovo governo, e che certo dovette
sonare assai lieta all'orecchio dei cittadini, come promessa degli
onesti propositi con cui si presentava loro la tutela del Malatesta.
Porta la data del 24 marzo e dice cosi : t Per che la intentione
• del magnifico et excelso nostro signore messer Johanne Fran-
• òsco de Gonzaga segnore de Mantova etc. etc. è che le gratie
t le quale luy intende de fare siano libere e gratiose e senza al-
• cuno premio over tributo, per tanto se fa crida e mcUiifesto....
€ Chel non sia alcuna persona la quale olsi ni presumi dare
€ ni promettere alcuna cossa per obtenire alcuna gratia dal pre-
• fato nostro signore sotto pena : prima de perdere la obtenta
€ gratia, etc. » E qui seguono le pene fissate tanto per chi offre o
promette denaro od altro regalo per ottener grazie come per chi
l'accetta. E si armunziano i premi, secondo l'uso dei tempi, per chi
avviserà o denunzierà i colpevoli.
Segue seconda a due giorni di distanza una grida con cui si
concede la grazia del ritomo in patria a chi aveva dovuto allon-
tanarsene per condanna subita da un armo indietro, trarrne che fosse
di tradimento e di ribellione, ma se v'era darmo di terzi occorreva
il perdono degli offesi. Ai debitori si concedeva libero ritomo per
appositamente per lui, nel quale si scriveva ogni sua grida, o pubblico
bando, man mano che si facevano, il quale principia : ** a die dominico
• vigesìmo mensis marcii.... qua die prelibatus magn. dominus habuit do-
• minium et capitaneatum.... Mantue „. Arch. Gonz. F. I. 3.
(i) Marin Sanuto, Stor, Ven, in Muratori, /?, /. S., to. XVII,
e. 837 B.
3l8 G[ANFRANCESCO GONZAGA
un certo tempo, perchè potessero tentare un componimento od ac-
cordo coi creditori (i).
Fra le altre poche cose potute racimolare nel buio di questi
anni una ricorda la premura del Malatesta, subito nei primi mesi
della sua tutela, per assicurare lo stato del pupillo negli aiuti e
nell'assistenza di una forte alleanza. V'era lega tra Venezia, Pan-
dolfo Malatesta signore di Brescia, e Nicolò d'Este, marchese di
Ferrara, per la reciproca difesa, chi di una parte, chi di tutto il
proprio stato. Nell'agosto del 1407 vi fu accolto anche il Gonzaga
per tutto quanto il suo territorio dì qua e dì là dal Po (2).
Merita uno speciale ricordo anche il decreto in data 18 ottobre
di quel medesimo anno, col quale si ordina al giudice del banco
dei dazi di provvedere assolutamente e presto, che vengano pagate
3 Francesco da Parma, direttore delle scuole di Mantova, le somme
che ì suoi debitori sono tenuti a sborsargli come sua mercede per la
direzione delle scuole (3). Sarebbe molto interessante poter co-
noscere la natura di questi debiti, e vedere quali relazioni aves-
sero con la scuola ; ma dalle poche parole del decreto non è
possibile formarsi un'idea chiara. Io ho supposto che codesti de-
bitori fossero padri di fanciulli mandati a scuola, i quali doves-
sero sostenere le spese necessarie pel mantenimento dell'istruzione
o per lo meno concorrervi : e perchè forse essi curavano poco que-
st'obbligo, interviene il governo a richiamarli al loro dovere.
La lega ricordata piìi sopra mirava in genere ai bisogni di
questo o di quello stato, e preparava gli opportuni aiuti per le ira-
previdibili eventualità del futuro. Nuova lega fu stretta qui in
Mantova nel maggio dell'anno seguente 1408, col particolare in-
tento di mettersi al sicuro dall'invadente audacia e impudente
prepotenza di Ottobono Terzi tiranno di Parma. Vi entravano il
Gonzaga, Giovanni Maria Visconti duca di Milano, Nicolò d'Esle
di che pei debitori le leggi di allora tenevano pronta
me del Gonzaga fu stipulata a Venezia il 5 agosto del
isensu et aucloritate suorum tutorum te sta menta rio rum
fslalis Manlue. , Arch. Gonzaga B. XXVI. È notevole
del podestà di Mantova, perche mostra come era an-
lulorità del principe.
a quDScumque suos debitores occasione merceciis sue
i scolaniin. , Arch. Gonz. F. II. io. — V. app. n. i.
SIGNORE DI MANTOVA 319
marchese di Ferrara, Pandolfo Malatesta, e Cabrino Fondulo si-
gnore di Cremona (i). Ottobono, con le sue frequenti incursioni
nelle terre dei coniinanti, e coi saccheggi, incendi e stragi che vi
faceva commettere, aveva ripiene di spavento quelle popolazioni,
e i governi non avevano riparo contro di lui, perchè uomo di nes-
suna fede, e perchè astutissimo a trovar pretesti di discolpa river-
sava sugli offesi oltre il danno e le beffe anche la colpa. NelTAr-
chivio Gonzaga v*è una lettera di Gianfrancesco a Ottobono, la
quale si riferisce evidentemente al sistema, che aveva quel tiranno,
di accusare gli altri per difendere qualche prepotenza che aveva
già fatto o che aveva in mente di fare. La lettera in data 3 settembre
1408 è una dignitosa ma forte risposta ad altra che il Terzi aveva
scrìtta al Gonzaga, accusandolo di mancare a non so quali promes-
se ; e, a quanto pare, oltrepassando ogni misura nella sconvenienza e
villania, lo aveva anche chiamato fanciullo (2).
La guerra contro Ottobono terminò come terminavano non
raramente le guerre di allora, cioè con un tradimento e un as-
sassinio. Il 19 giugno del 1409 le truppe degli alleati die-
dero una rotta ad un corpo di gente di Ottobono, per la
quale le sue cose cominciarono a piegar male ; ond'egli
domandò un abboccamento all' Estense per trovar modo di
venire ad un accordo, com'egli diceva, o per g^dagnar tempo
a nuove insidie ed inganni, come la perfidia del suo carattere fa
sospettare. Ma mentre i due stavano discorrendo insieme nelle vi-
cinanze di Rubiera, imo del seguito del Marchese, forse a sfogo
di privata vendetta per ingiurie patite, con una stoccata nella
schiena stese Ottobono morto a terra. Nessuno si curò di punir
l'assassmo, nessuno di assicurarsi chi fosse : un solo pensiero fu
dì tutti, godere di quella morte comunque fosse avvenuta. Era tanto
l'odio che il Terzi aveva saputo accumulare sul suo capo, che quando
il suo cadavere fu portato a ludibrio nella vicina Modena, il popolo
a furia gli si gettò sopra, lo fece a brani, e ne attaccò i pezzi san-
guinanti alle porte della città, e, se la fama è vera, v'ebbe perfino
chi per eccesso d'odio bestiale mangiò delle sue carni (3). Con la
(i) Arch. Gonz. B. XXVI, ; I. De Delayto, Annales Estenses in
Muratori, R, L S., to. XVIII, e. 1054 E.
(2) Arch. Gonz F. II. 7. — V. app, N. 2.
(3) ■ Non defuerunt plurimi qui et dentibus et ferris discerpentes
« carne ac intestinis illius detestabilis cadaveris manducaverint. „ De-
UYTo, op. cit, e. 1065 C.
1
320 GIANFRANCESCO GONZAGA
morte di lui cadde in is faceto lo stato ch'egli si ^ra composto, e le
sue spoglie andarono divise fra gli alleati. A Mantova toccò la
grossa terra di Bozzolo (i). Veramente il Nardi, cronista contem-
p«>raneo e testimonio a quei fatti^ mette l'acquisto di Bozzolo ai-
ranno corrente 1408, e non al 1409, quando avvenne la morte di
vOttobono (2). Ma v'è HK>do di mettere d'accordo i due racconti»
supponendo (e credo che la supposizione colga direttamente
nel vero), che Bozzolo, stanca della tirannia di Oftobono,
appena fu conosciuta con certezza la lega formatasi in Mantova
nel 1408 contro di lui, senza aspettar altro gli si sollevasse contro^
e si desse spontaneamente al Gonzaga : quando poi l'anno ap-
presso si venne alla divisione delle spoglie, fosse dagli alleati con-
fermato a Mantova il suo possesso. Cosi il Nardi, testimonio agli
avvenimenti, riferirebbe il suo racconto al possesso di fatto ; il Pla-
tina, che lavorava sui documenti, si riporterebbe al possesso di di-
ritto.
Dello stesso anno 1408, si è salvata un'altra lettera di Gian-
f rancesco, la quale di per sé non avrebbe aknm valore, ma l'acqui-
sta dalla mancanza in cui siamo di altre notizie sulla tutela di
Carlo Malatesta, perchè ci mostra con quanta lealtà e zelo egli di-
simpegnasse i suoi doveri di tutore. Il castello di Piubega
parte era soggetto al Gonzaga, parte a Pandolfo Malatesta
come signore di Brescia, Pandolfo era fratello di Carlo tu-
tore di Gianfrancesco. Nella sua condizione del doppio do-
minio quel castello aveva dato luogo a contestazioni e pratiche
anche al tempo del morto signore di Mantova. In quest'anno Pan-
dolfo tornò di nuovo su codesta quistione e scrisse al Gonzaga
chiedendo facesse demolire il castello che aveva a Piubega. Vuoisi
qui notare che i due Malatesta si amavano di affetto veramente
fraterno, e in tutte cose procedevano fra loro di pieno accordo, e
in ogni occasione l'uno favoriva le cose dell'altro come le prop>rie
Ma in codesta quistione del Gonzaga Carlo dimenticò il fratello e
solo si ricordò dei diritti del suo pupillo ; e Gianfrancesco rispose
(i) * Mortuo Othone [Ottobono Terzi] lohannes Franciscus
" biennio post acceptam ditìonem Bozolum agri Creraonensis oppi-
" dum sese sponte dedens recepit. , Platina, op. lib. V, p. 796 C. D.
(2) " Secundo anno [MCCCCVUI] Johannes Franciscus.... territori ì
* Cremonensis castrum nomine Bozolum acquisivit , ; Neru, Chron, in
Muratori, /?. L S., to. XXIV, p. 1082 C.
SIGNORE DI MANTOVA 32 1
a Pandolfo che sentito il parere dello zio Carlo, f^rebb^ abbattere
il castello di Piubega quando da Pandolfo fossero soddisfatte le
tali e tali condizioni (i).
L'anno seguente 1409 ci presenta un piccolo attritp con l'altro
dei tutori, la Republica di Venezia. Il largo uso che si faceva al-
lora della navigazione nei fiumi del Mantovano, non tanto pei be-
nefid commerciali come per ragione di guerra, rendeva più che
necessario tenere esercitata la gioventù negli esercizi della naviga-
zione ed eccitarne con premi lo zelo e l'ardire. A questo hne nel 1409
Gianfrancesco indisse una regata sul lago di Garda, invitandovi
PW" maggiore solennità e più forte stimolo di emulazione anche i
rematori dei luoghi vicini. Ma Venezia, che vegliava sempre gelo-
sissima sulle sue cose, vfde in quella regata non tanto un diverti-
mento e un esercizio quanto una dimostrazione che voleva far
Mantova, per provare col fatto il diritto che pretendeva avere sul
lago per possedervi sulle sue rive il forte di Peschiera. E però, ap-
pena conosciuta la cosa, il Doge scrisse subito, e ricordando i pre-
cedenti accordi presi col padre del vivente Gonzaga, proibì assolu-
tamente la regata (2).
Intanto Gianfrancesco entrava nel suo sedicesimo armo, età
per quei tempi più che sufficiente in un principe a prender moglie.
La sposa, come allora si usava, era già stata scelta dal padre suo,
quando Gianfrancesco era ancora di tenera età, ed erano stati fis-
sati tutti i termini del contratto matrimoniale (3). Essa, come la
madre di Gianfrancesco veniva dalla casa Malatesta, allora delle
più gloriose che avesse l'Italia, sicché con lei s'imparentavano le
famiglie principesche d'Italia e di fuori (4). Questa casa divi-
devasi in due rami, quello di Rimipi, che er^ il principale, e
quello di Pesaro. Appartenevano ai primo ramo Carlo, il tutore del
Gonzaga, al quale come a primogenito era rimasta la signoria di
Rimini ; Pandolfo, signore di Fano, e in appresso anche di Brescia ;
e Malatesta, signore di Cesena. Chiamavasi di nome proprio Ma-
(i) Arch. Gonz. F. II. 7. — V. app. n. 3.
(2) Vedi la lettera in app. n. 4.
(3) Lo vedremo nell' Istromento dotale.
(4) Ricordo ad esempio per lltalia i Visconti di Milano ; per fuori
la casa imperiale dì Costantinopoli, dove pochi anni dopo entrò una
sorella della moglie di Gianfrancesco.
latesta anche il capo del secondo ramo, ed era signore di Pesaro
e di Fossombrone (i).
Tanto i tre fratelli di Rimini, come il Malatesta dì Pesaro, erano
celebrati uomini di guerra, chiamati or da uno stato or da un altro
a comandare i loro eserciti e condurre le loro guerre. Nell'anno in
cui avvenne il matrimonio del Gonzaga, il Malatesta di Pesaro
comandava le truppe della republica Fiorentina e de' suoi confe-
derati nella guerra contro Ladislao re di Napoli (2). La fan-
ciulla scelta a sposa di Gianfrancesco era figlia di questo Mala-
testa e di Elisabetta Varano dei signori di Camerino (3). Chia-
mavasi Paola Agnese, ed era presso a poco dell'età dello sposo (4).
Nessuna memoria abbiamo dei primi anni di Paolzi, ma guar-
dando alla famiglia in cui crebbe e all'educazione in uso a quei
tempi tra le fanciulle della sua condizione in Italia, è molto facile
intendere come passar dovesse la sua fanciullezza. Nelle classi più
elevate l'educazione della dorma era allora messa alla pari con
quella dell'uomo : nulla quindi di quelle delicatezze e morbidezze
di sentimenti e di modi, che 3 noi sembrano più convenienti e con-
facenti all'indole e al carattere della donna ; ma costanza, fer-
mezza, coraggio, tutte le virtù che meglio nobilitano il carattere
dell'uomo ; donde il vanto maggiore che più frequentemente si
trova ripetuto per le grandi donne italiane di quel tempo sì è di
avere mente ed animo veramente virili (5). E molte ve n'ebbe
Basta ricordare la Cia degli Ordelaffi per intendere a quale virilità
(1) Il ramo di Pesaro si era staccato da quello di Rimiai pel te-
stamento di Malatesta Guastafa miglia nel 1364. Dal detto Malatesta era
venuto Pandolfo, chiamato dal padre alla Simona di Pesaro, da Pan-
dolfo nacque Malatesta iuniore, padre della sposa destinata al Gonzaga,
(a) BRAcaoLiNi, op. e 1. e, lib. IV, p. 314 A.
{3) Che la moglie del Malatesta di Pesaro fosse Elisabetta da Vs'
rano è messo fuori di dubbio dall'istromento di nozze della loro figlia
col Gonzaga.
(4) L'isinimento di rinunzia per parte di Paola alla eredità di Casa
Malatesta. quando andò a marito, dice che essa era ' major quatorde-
* cim annorum, minor vigìntì quinque , ; ma questa era forma legale in
fa che segnare i punti estremi fra
■e r età del contraente. Tutte le cre-
ano a dare a Paola l'età di t6 anni.
rf*/ stcoto dil rinascimenlo in Italie,
II, p. 168.
SIGNORE DI MANTOVA 323
di sentimenti e di carattere era allora educata la donna delle classi
più elevate E come si voleva nei figli un'istruzione classica, pro-
fonda ed estesa quanto fosse possibile, così egualmente nelle figlie,
le quali perciò dovevano frequentare le medesime lezioni, udire
senza differenza alcuna i medesimi maestri dei loro fratelli. E
quanto anche le fanciulle sapessero approfittare di questa istru-
zione e levarvi nome e fama, senza cercarne altrove gli esempì, ne
abbiamo nella casa stessa del Malatesta di Pesaro. Battista di
Montefeltro, moglie a Galeazzo fratello di Paola, recitò orazioni
latine all'imperatore Sigismondo ed al papa Martino V, insegnò
filosofia, e ne disputò con celebrati maestri. Costanza Varano, figlia
a una sorella di Paola, di soli quattordici anni pronunciò un di-
scorso latino a Bianca Maria Sforza, e n'ebbe tanti applausi ed
elogi da tutta l'Italia, che ottenne a' suoi di essere reintegrati nella
perduta signoria di Camerino (i). E lo stesso Malatesta, padre di
Paola, spendeva i pochi riposi che gli lasciavano le fatiche delle
armi e delle guerre, nelle amenità delle lettere, come fanno fede
anche oggi parecchie sue poesie messe alle stampe, le quali gli
hanno guadagnato non infimo posto fra i verseggiatori di quel se-
colo (2). Donde non può esser dubbio che, se v'era uomo il quale
e per fermezza di carattere è per gentile culto alle Muse volesse nelle
%lie piena ed intera l'educazione che portavano l'uso e la
moda, quell'uomo doveva essere appunto Malatesta dei Mala-
testi di Pesaro. E della riuscita che vi fece Paola, senza prevenire
1 tempi, mi basta per ora ricordare che essa fu annoverata fra le
grandi donne di quel secolo, e fra le loro vite, scritte e stampate
ad esempio e ricordo della posterità, si trova pure la sua (3).
Forse a taluno parrà soverchia cura la mia, ma e per la verità
della storia e per quello che si dovrà dire in seguito di Paola,
io credo di dover notare di lei anche questo, che la sua educa-
zione fu inspirata a principi profondamente religiosi. Per esserne
convinti, senza ricorrere alla testimonianza costante di pietà che
essa diede per tuta la sua vita, basta guardare quello che fu in
(i) Cantù, Storia della leileratura italiana, Firenze, 1865, p. 124.
(2) V. E. Lamma, Rime inedite di Malatesta de' Malatesti in Ateneo
Veneto, serie 18», voi. I, Venezia, 1894, P- 3-
(3) V. Vespasiano da Bisxica, Notizie di alcune illustri donne del
secolo XV, in Archivio Storico Italiano, serie I, to. IV, p. 1, p. 444.
324 GIANFRANCESCO GONZAGA
punto di religione il padre di lei, per intendere con quanta solle-
citudine egli dovesse curare nei figli, non solo il sentimento in-
temo della religiosità, ma anche la pratica esteriore degli atti
religiosi (i). ,
Deireducazione ed istruzione di Gianfrancesco non ho tro-
vato altra memoria che questa, ch'egli ebbe a maestro un Masio
de' Malici di Borgo S. Sepolcro. Ma Tuso del secolo ed il se-
guito della sua vita attestano di lui pure la forte educazione che
ebb^, e un'istruzione quale i tempi volevano in un giovane del suo
nome e della sua qualità (2).
Gianfrancesco partì da Mantova per andare a tor moglie
sulla fine di luglio del 1409, lasciando qui al governo come suo
luogotenente con pieni poteri il conte Carlo Albertini da
Prato (3). Il Diario Ferrarese fa ricordo del suo passaggio per
quella città, notando che vi si fermò tre giorni — « e poi an-
< dette in Romagna molto bene in punto con una bella compa-
« gnia a sposare una figliola de' Malatesti 1 (4).
Il 22 agosto 1409 fu stipulato in Pesaro l'atto col quale Paola
rinunziava per sé e suoi discendenti a tutti i diritti che avrebbero
potuto venirle alla successione patema e materna, ed anche a
quella dei fratelli e delle sorelle, a compenso della dote che le
veniva assegnata pel suo matrimonio col Gonzaga. La dote fu
fissata in cinquemila fiorini d'oro, oltre un corredo conveniente al
suo grado ed alla sua casa (5). Subito dopo firmato l'istrumento
(i) Fra le poesìe del Malatesta ve n'ha parecchie di sacro argo-
mento e da tutte traspira un sentimento di religione veramente e pro-
fondamente sentita nel cuore. Vedi fra le altre la Canzone, che in ogni
sua strofa comincia col versetto biblico Domine, exaudi oraiionem. E
confermò la verità di questo suo sentimento nelle disposizioni testa-
mentarie che lasciò per la sepoltura del suo corpo e pel suffragio del-
l'anima. Più avanti, se tant'oltre arriverà il mio lavoro, vedremo una
curiosa lettera di argomento religioso, che il Mala(esta scriveva a Paola
da Roma il io decembre 1423.
(2) Di questo Malici non mi è riuscito trovar nulla né qui né al-
trove. A lode di lui e deiraffettuosa riconoscenza che seppe meritarsi
dal suo allievo, riporto in Appendice un decreto di donazione di al*
cune terre che gli fece il Gonzaga, V. append. n. 5.
(3) Arch. Gonz., Lib. Statut. lib. XIII, V. append. n. 6.
(4) In Muratori, /?. /. S., XXIV, p. 174 C.
(5) V. il relativo strumento in append. n. 7.
SIGNORE DI MANTOVA 225
di rinunzia e l'assegnazione della dote, il corteggio nuziale si avviò
verso la cattedrale per celebrarvi il matrimonio. La data dello
sposalizio è riferita dalla stessa Paola in una lettera allo Sceva
suo Incaricato a Pesaro, quando anni dopo nacquero contestazioni
sulla riniuizia ch'ella aveva fatto ad ogni possibile eredità di casa
Malatesta.* Nui fossem'o sposata adi XXII de agosto 1409 et quella
€ propria matina ne feceno renunziare prima, et immediate doppo
€ quello atto fossemo conducte al domo, dove foe contracto el
€ nostro sposalezo » (i).
Dove andassero gli sposi dopo celebrato il matrimonio non
apparisce da nessuna parte: certo a Mantova non vennero che
nel germaio dell'anno seguente. Il 6 di quel mese il Gonzaga da-
tava da Mantova un decreto, con cui ordinava che i tribunali re-
stassero chiusi dal giorno 8 a tutto il 20 per le solenni feste da
farsi in quei giorni a celebrare le sue nozze (2). Gianfrancesco
aveva preceduto la sposa, ma che egli pure per tutti quei mesi fosse
rimasto fuori con la moglie si desume chiaramente dal libro dei
decreti, dove nell'anno 1409 l'ultimo Decreto emanato diretta-
mente da lui è del 17 lue^lio : dopo quel giorno tutti i decreti
onanano in suo nome dal conte Carlo Albertini da Prato, suo
luogotenente, fino al 6 gennaio del 141 o, nel quale ricomparisce
direttamente Gianfrancesco col detto decreto sui tribunali per fe-
st^giare le proprie nozze (3).
Come è facile immaginarsi codeste feste furono solennizzate
colla pompa che si addiceva al nome e alla potenza degli sposi,
secondo che volevano i tempi. V'intervennero principi da ogni
parte dell'Emilia. Nicolò d'Este, marchese di Ferrara, i Legati
(i) Arch. Gonz. F. II. 7, Minute di Cancelleria.
(a) " Mandatum mag. lohannis Francisci de Gonzaga.... propter
* solerones festivitates nuptiarum celebrandarum per prelibatum excel-
* suro dom. in sua civitate. — Non reddatur etc... a die mercurii octava
* raensis januarii inclusiva millesimo quatrocentesimo decimo.... usque
* ad diera vigesimam quintam dicti mensis januarii inclusive. „ VI ja-
nuarii MCCCCX. Dal Registro dei Decreti^ lib. I. (F. II. io).
Poco dopo nello stesso libro s'incontra un decreto di grazia ai
carcerati, * contemplatione festivi tatum nupttarum ad adventum magni-
■ fice et excelse domine Paule ejus consortis ad maritum. „
(3) Che Gianfrancesco precedesse la sposa è chiaro dalle parole
del decreto di grazia qui sopra citato : " adventus.... domine Paule.... ad
maritum. .
326 GIANFRANCESCX) GONZAGA
delle republiche di Toscana, gli ambasciatori di Venezia (i). I
regali fatti alla sposa furono molti e di molto valore p>er quel
tempo. Il Cronista veneto nota che gli ambasciatori della Repu-
blica — « presentarono gioielli alla novizza per valuta di ducati
« mille e vesti in fronde di fregi d'oro, foderate di vaio per gran
« valuta 1 (2). Conservasi nell'archivio Gonzaga la nota di tutti
gli altri regali e di chi li fece, ed io la riporterò in appendice (3).
Qui a proposito di questi regali ricordo di passaggio Elisabetta
Gonzaga, moglie di Carlo Malatesta e zia di Gianfrancesco, di
cui già sopra toccai. Non è meraviglia che in tanta scarsezza di
documenti il nome di lei s'incontri ricordato appena una volta,
ma quell'unica volta ce la presenta appunto come una madre che
guidi la sposa a riconoscere il suo nuovo dominio. Poco dopo
l'arrivo di Paola in Mantova furono fatti gl'inventari in casa
Gonzaga di tutte le gioie, vesti, arazzi, ecc., che la casa possedeva,
facendone la consegna alla nuova padrona. In questa lunga ras-
segna Paola è sempre accompagnata dalla « Signora di Ri-
mini 1 (4).
Tra i festeggiamenti per quelle nozze è pur ricordata una gio-
stra corsa da 42 cavalieri. Il fatto di per sé non avrebbe nessuna
speciale importanza, perchè di siffatti divertimenti allora se ne
aveva spesso e con grande sfoggio di armi e di vesti : ma questo
di Mantova avrebbe una singolarità tutta sua. U Equicola
raccoglie dagli antichi scrittori la notizia «. che in quella
« festa la casa Gonzaga annoverò quarantadue uomini atti a por-
« tare arme, e virilmente adoprarle i.E questo può essere benissimo.
1 /adulazione degli scrittori che vennero poi allargò la cosa, e li
fece scendere in campo tutti quarantadue per onorare le nozze
del capo della casa (5).
Nell'archivio Gonzaga v'è un istrumento notarile originale in
data 23 aprile 14 io, il quale dice come quel giorno m una sala
del palazzo del Gonzaga, alla presenza di Carlo Malatesta e di
(i) Platina, op. cit., lib. V, p. 797 A.
(2) Marin Sanuto, op. cit., p, 846 B.
(3) V. append. n, 8.
(4) Arch. Gonz. D. XII, 6.
(5) V. Equicola, op. cit., p. 138; j4nt. Possevini junioris, Gon-
zagae, lib. V. Mantuae, Osanna, M.DC.XVII, p. 497; Volta, lib. VII,
p. 94.
SIGNORE DI MANTOVA 327
Malatesta suo fratello, signor di Cesena, a nome di Malatesta di
Pesaro e per persona da lui incaricata, fu sborsata nelle mani di
Gianfrancesco la somma di ducati cinquemila a saldo della dote
pattuita per Paola ; e che in quella occasione il Gonzaga, quan-
tunque fosse maritato già da più mesi, rinnovò « ad cautelam »
la cerimonia dello sposalizio (i). Uistrumento è redatto con
scrupolosa esattezza secondo tutte le forme legali del tempo, e
sono indicati come testimoni i personaggi più distinti che avesse
allora la città, fra gli altri il cronista Antonio Merli ; ma è la-
sciato in bianco il nome della persona che da parte del Malatesta
sborsava la somma. Che vuol dir ciò ? Io credo che la spiegazione sia
questa. Nel ristrumento di nozze fatto a Pesaro fu fissata la somma
della dote di Paola, ma non pagata : infatti vi si dice « danda
€ et consignanda i. Dev'essersi quindi stabilito per reciproco ac-
cordo, o allora o più tardi, che la dote si sarebbe sborsata in Man-
tova il 23 aprile ; e il notaio mantovano ebbe incarico di prepa-
rare ristrumento con l'indicazione di tutte le persone che si sareb-
bero trovate presenti all'atto. Ed egli lo preparò lasciando in
hnanco il nome della persona che da parte del Malatesta avrebbe
fatto lo sborso, perchè non si sapeva ancora chi fosse. Ma il Ma-
latesta non riixscì a mettere insieme il denaro, e l'istrumento che il
notaio aveva preparato rimase nella forma in cui era stato com-
posto, senza il nome di colui, che doveva fare lo sborso (2).
Che ristnmiento non abbia avuto la sua formale conclusione è
provato anche da un'altra lacuna, che s'incontra nella paternità
di un tal Francesco Gonzaga, parente del principe, dato con altri
Gonzaga come presente alla stipulazigne dell'istrumento.
E non deve far meraviglia che Malatesta di Pesaro mancasse
al pagamento pattuito, perchè le condizioni finanziarie della sua
casa erano deplorabilissime, come vedremo a suo luogo. E che
non riuscisse mai in sua vita a soddisfare al debito è provato dal
testamento che fece 12 anni più tardi, poco prima di morire, il
(i) • Quam quidem mag. dom. Paulam Agnetem, licet alias de-
* sponsatam.... iterato ad cautelam prelibatus mag. d. d. Johannes Frati-
* ciscus de Gonzaga in presentia supradictorum testium meique notarli
* infrascripti desponsavit et in suam legitimam uxorem et consortem
* accepit. „
(2) V. append. n. 9.
3a8 G1ANFRANCE5C0 GONZAGA
4 aprile 1422, nel quale impone ai figli di pagare a Paola ■ jure
■ institutionis ■ la sua dote (1).
II.
Qui s'apre una larga lacuna, cEe dall'aprile 1410 va sino al
decembre del 141 1. Tacciono i documenti, tecdono le memorie
stampate.
Riempio questa lacuna con alcune osservazioni sugli storici
mantovani che hanno raccontato le vicende di questi tempL Sono
stato molto incerto se dovessi farlo o no, perchè facilmente le
mìe parole potrebbero suonare presuntuose. Ma ha prevalso nel
mio giudizio la considerazione obbiettiva della cosa, perchè troppe
cose io dico diverse da quelle che gli storici mantovani hanno
detto di questi tempi, troppe ne taccio di quelle raccontate da
loro ; e chi confronti la loro narrazione colla mia ha diritto di
conoscere il perchè di questa differenza. Dirò dunque francamente
che gli storici di quel periodo hanno lavorato tutti di fan-
tasia, e che è così forte in essi il sentimento di male inteso amor
patrio che qualunque notizia, purché tomi ad onore dei Gon-
zaga e di Mantova, essi l'accolgono, l'abbelliscono, l'esagerano.
E si copian l'un l'altro senza alcuna osservazione, anzi spesso pre-
cisano meglio le circostanze del racconto dì altri, e ne aggiungono
anche delle nuove. H non solo accade che quanto essi dicono è
in opposizione a quello che narrano le cronache contemporanee
di altre città ; ma si dà pure il caso di vederlo apertamente sbu-
giardato dai documenti stessi, visibili a chicchessia, dell'archivio
Gonzaga. Nessuno sospetti esagerazione nelle mie parole, perchè
ho pronte le prove a convincere il lettore che esse rispondono alla
verità. Udite come uno di quegli storici racconta il matrimonio
di Gianfrancesco con Paola, e fate conto di udire con poche dif-
ferenze il racconto di tutti gli altri.
(i) * Item relinquo jure instituiioms supradicte Paule fìlie mee,
nnmmif- milia Hiii-atni niiri quOS 8 IHC habuìt prO dotibuS SUÌS pFO
Iter ipsam et magn. dom. prefatum doir.
lonzaga. Item relinquo eidem dicto jure
et in predìctis ipsam heredem instituo. .
SIGNORE DI MANTOVA 329
« Gianfrancesco, egli dice, tolse in moglie Paola Malatesta
figlia di Pandolfo signore di Brescia. La dote ch'essa gli recò
fu degna Jun re, poiché il padre diede al Gonzaga alarne terre
e castella del territorio bresciano, altre si obligò per iscritto di
dare in seguito. E questo matrimonio era stato preparato da
Margarita madre di Gianfrancesco, per affetto al figlio e alla
nipote, appunto afhnchè tante terre e castella non uscissero di
casa Malatesta e venissero a mano d'altri. La fanciulla venne
da Brescia a Mantova con pomposo corteggio, e l'onore di ac-
compagnarla l'ebbe Oprandino Arrivabene con altri di sua
gente, i quali, presi dall'amenità di Mantova e alla amorevolezza
dei Gonzaga, lasciarono la loro nativa Brescia e vennero a sta-
bilirsi in questa città. » (i).
Ora i docimienti del matrimonio di Gianfrancesco che si tro-
vano nell'archivio Gonzaga ci hamio detto poco fa che Paola era
figlia del Malatesta di Pesaro, e non di quello di Brescia. Lo
stesso Archivio fa vedere in parecchi luoghi che gli Arrivabene
erano in Mantova prima che Gianfrancesco sposasse Paola, e tene-
vano nella casa del principe onorevolissimo luogo. 11 decreto
di luogotenenza pel conte da Prato che fece il Gonzaga prims^ di
partire da Mantova per andare a prendere la Malatesta, è scritto
di mano di Cristoforo Arrivabene suo secretario (2). Un altro
secretario del Gonzaga a questo tempo era Venturmo Arriva-
bene (3). Si aggiunga che il Malatesta di Brescia ebbe figli ma-
schi non legittimi, nessuna figlia né legittima né naturale (4).
(i) " Haec eadem tempora salutem Mantuanis tulere, accepta a
' lohanne Francisco in matrimonium Paula Malatesta, Pandolphi, qui
' tum Brixianis imperabat^ fili a, Caroli nepti. Dos regìam magnificen-
' tiam aemulata est. Quippe oppida Brìxiani agri, Gonzagis in prae-
* sentem habita, pater aut mansura tradidit, aut possessa in futurum
* scripto fìrmavit. Celebres quoque nuptias nobiles exteri, moxque in-
* ter cives recepti, Arrivabeni reddidere. Nam cum Principis filiam
■ Brìxia adventantem Parens pomposo comitatu deduci cuperet, non
* alios potiores credidit, quibus puellam commendaret. Oprandinus
* magno munere funccus est^ et alii e gente additi, qui Mantuae amaeni-
* tate.... simul comitale lohannìs Francisci substitere. „ Possevino, op.
e L cit.
(2) V. append. n. 6.
(3) Arch. Gonz. Lib. dei Decreti F. IL io.
(4) V. LiTTA, Famiglie illustri d'Italia^ Malatesta di Rimini, Tav. XII.
Arch. Stor, Lomb,, Anno XXTX, Fate. XXXIV. 23
330 GIANFRANCESCO GONZAGA
Quanto poi alla ricca dote degna d'un re abbiam veduto che si
riduceva a cinquemila ducati ; e Paola per averla dovette rinun-
ciare per sé e per i figli da lei nascituri a qualunque diritto pre-
sente e futuro per qualsiasi eredità tanto di parte patema che ma^
tema ; ed erano già passati dodici anni dal suo matrimonio e la
dote non era ancora stata pagata! Tanto quegli storici amarono
la fatica di spolverare le carte antiche e ricercarvi la verità dei
loro racconti! (i).
Sicché sotto l'aspetto finanziario il matrimonio con Paola fu
un magro affare. E se il Gonzaga efcbe ragione a chiamarsene
fortunato, fu per le doti morali e intellettuali della donna, non
per altro.
Ma per togliere al lettore ogni sospetto di esagerazione nel
mio giudizio sugli storici mantovani è necessaria anche un'altra
prova. Quella del matrimonio di Paola gli ha mostrato che essi
non si diedero alcun pensiero di consultare le carte di quei tempi
per rintracciarvi la verità sulle cose che dovevano raccontare : or
bisogna anche vedere come in mancanza di documenti il loro rac-
conto regga all'esame della critica e come vada d'accordo con
quanto si trova scritto dagli storici contemporanei ai fattL
Udite che cosa raccontano del giovinetto Gonzaga all'anno
141 3 : « Papa Giovanni XXIII venendo a Mantova fu preso di
e tanta ammirazione per l'ingegno e la gpiandezza d'animo di
(i) Quanto alla confusione nel nome dei Malatesti giustizia vuole
ohe io noti come questo difetto fu comune anche ai contemporanei.
Cito ad esempio il Bonincontri. Narrando la guerra dei Veneziani con-
tro r imperatore Sigismondo, nella quale pei Veneti era generale in
capo il Maiatesta tutore del Gonzaga, a breve distanza, nello stesso
racconto prima lo dice " Carolum Malatestam Pisauri dominum „;poi:
" Carolum Malatestam Cesenae dominum „ e appresso : " Carolum Mala-
" testam Arimini dominum , ; Bonincontri Annales in Muratori, R. I. S.,
XXI. p. 105 C, 106 B, 136A. E non è meraviglia, perchè erano tutti più
o meno celebrati uomini di guerra, e nelle guerre d'allora da ogni
parte veniva fuori il nome Maiatesta; facilissimo quindi scambiarli l'uno
per l'altro. A crescere la difficoltà di distinguerli si aggiungeva che
non solo avevano comune il cognome, ma alcuni anche portavano il
medesimo nome. Così chiamavansi di nome proprio Maiatesta, tanto il
Signore di Pesaro, che quello dì Cesena ; e da qui a pochi anni, vivo
ancora il vecchio Carlo Maiatesta tutore del Gonzaga, dirigerà la bai-
tagha di Maclodio il giovane Carlo Maiatesta fratello di Paola.
SIGNORE DI MANTOVA 33I
t Gianfrancesco, che lo elesse a generale delle sue truppe per la
t difesa di Bologna, mettendogli a fianco Francesco da Prato,
« uomo esperto nelle cose di guerra... Gianfrancesco adunque andò
€ con gnin numero di fanteria e cavalleria a Bologna, vi sostenne
t con l'aiuto dei cittadini alcune gravi battaglie coi nemici, li
• vinse e con gran vigore difese la città, Neirìnvemo seguente
€ venuto il Pontefice a Mantova per andare al congresso di Lodi
€ con Sigismondo, menò seco il giovinetto Gonzaga con gran parte
€ delle sue truppe ; perchè molto confidava in lui avendone ben
• conosciuto l'integrità e la fede nella guerra di Bologna, nella
• quale egli aveva resistito alle molte sollecitazioni e ai doni del
• Malatesta che lo invitava a passare nelle parti del re Ladislao.
• E come re Sigismondo scendendo dalle Alpi per venire al con-
€ gresso di Lodi doveva passare per luoghi non troppo sicuri in
• causa dei molti tiranni, che vi dominavano ; il Papa gli mandò
« incontro con alcune schiere lo stesso Gonzaga, perchè con tutta
• sicurezza lo conducesse a Lodi. Ma né Re, né Papa si credevano
€ sicuri neppure in questa città, e però mandarono a Mantova il
• Gonzaga a preparare loro quanto fosse necessario. Ed egli
€ venne, preparò in breve tempo tutto l'occorrente, poi corse a Cre-
« mona, dove Papa e Re si erano trasferiti, e levatili di là li con-
I dusse alla sua Mantova » (i). Tutti gli storici mantovani ri-
petono la gloria di questo generalato del giovinetto Gonzaga (2).
(1) " Is [Giovanni XXIII] Mantuam iter faciens ingenium et ma-
gnitudinem animi lohannis Francisci admiratus, adolescentem copiarum
suarum ducem delegit, Francisco Prato adjuvante, qui multis ante
annis ordines ductaverat Johannes Franciscus cum magno peditum
atque equitum numero, mandato Pontifìcis Bononiam in praesidium
urbis, quam Malatesta Ariminensis Ladislai Regis mercenarius gravi
bello vexabat, proficiscitur. Ibi, adiuvantibus civibus, gravia aliquot
praelia cum hostibus fecit, quibus et superior factus et civitatem
acerrime tutatus est. Sequenti hieme [lohannes XXIII] Bononiam
atque inde Mantuam contendens magnìfìce ac splendide a lohanne
Francisco hospitio suscipitur ; quem inde haud ita multo post abiens,
cura magna copiarum parte Laudam Pompeiam, quo venturum re-
gem Hungariae sciebat, secum duxit. Multum enim buie Principi
fidebat, cujus integritatem et fidem Bononiensi bello optime norat,
cura sollicitationibus et donis in partes regias a Malatesta sollicitare-
tur. „; Platina, op. cit., lib. V, p. 797 C.
(2) Valga per tutti il Volta, Storia di Mapi/ova, lib. VII, p. 95;
3S2 GIANFRANCESCO GONZAGA
Solo il conte d'Arco la mette in dubbio, non trovando documenti
che la provino (i).
Vedremo in seguito a che si riduce questa celebrata impresa
militare di Gianf rancesco : per ora, come prova di critica storica
in chi la racconta, bastino queste osservazioni; — i. Che allora
ferveva lotta accanita fra Giovanni XXIII e Gregorio XII ; —
2. Che la difesa di Bologna era per Giovanni XXIII d'interesse
supremo per il prestigio del suo nome nella lotta che combatteva ;
— 3. Che questo Papa a giudizio di tutti gli storici tu t più sol-
« dato che prete 1 ; — quindi tal uomo in tale condizione, avrebbe
affidato le sorti di una guerra per lui pericolosissima a un ra-
gazzo di sedici anni, pur sapendo di metterlo a fronte di un Carlo
Malatesta, che era fra i capitani di guerra più esperimentati e
temuti di quel tempo! — Come prova di verità storica pCT ora
dirò solo, che papa Giovanni venne a Mantova una sola volta e
non due, re Sigismondo non venne a Mantova affatto ; e la marcia
di Gianfranresco per ordine del Papa incontro all'imperatore per
assicurargli la discesa dalle Alpi è tanto lontana dal vero, che il
papa, con cui era il Gonzaga, parti da Bologna alla volta di Lodi
pel convegno con Sigismondo nel novembre del 141 3, mentre quel
re, valicate le Alpi, fino dall'ottobre antecedente si trovava già a
Como ottimamente accolto e guardato da Lotterio Rusca, signore
di quella città, e dagli altri partigiani suoi (2).
Del resto non è il caso di scandalizzarsi troppo di questa cre-
dulità degli antichi storici e cronisti mantovani, perchè è un di-
fetto che essi avevano comune con la più parte degli scrittori con-
temporanei. La fantasia popolare faceva suoi tutti i fatti che ac-
cennassero in qualche modo alla lode del principe, e secondo sui
natura ricamandovi sopra spiegazioni ed aggiunte, da una cosa da
nulla sapeva trar fuori racconti pieni di meraviglia e di gloria E
* Gianfrancesco, dichiarato da Papa Giovanni XXIII capitano generale
* della sua annata, ecc. 1,
È curioso vedere con quanta ricchezza di particolari il Possevino
nella sua Storia descrive l'esercito del Re Ladislao e quello del Gon-
^*K«i gli sforzi del primo per condurre il secondo a battaglia, e la
prudenza del Mantovano, la ritirata di Ladislao, ecc.
(l) D*ArCO, Op. CÌt, voi IV, p. 32.
(-1) Canfi^, Storia dtiia ciiià 9 diocesi di Como, Uh, VI, Como, Osti-
nelli, i8ao, p. 465.
SIGNORE DI MANTOVA
333
gli saittori, che per la più parte componevano il loro racconto col
bagliore negli occhi dei premi che i principi davano o facevano
sperare di voler dare, erano felici d'incontrarsi in siffatti racconti,
che dessero campo a sfoggiare la loro bravura, e mettere in vista
il loro entusiasmo per il sovrano. Ben avrebbero potuto riparare
ai loro errori ed alle esagerazioni gli scrittori che vennero poi, fuori
come erano dal pericolo di quella potente attrattiva ; ma essi stet-
tero fermi dìlVuti possidetis e non si preoccuparono d'altro.
Io però nulla voglio dire che non si appoggi a documenti o a
memorie contemporanee ; e mi affiderò alla sola autorità degli sto-
rici mantovani, quando ciò che essi dicono abbia tutti i caratteri
della verisimiglianza.
Ed ora riprendiamo il corso del racconto alla fine del 141 2,
dopo la lunga lacima di assoluta oscurità che abbiamo accennato.
La nomina di luogotenente del principe data al conte Carlo
Albertini da Prato, qucindo Gianfrancesco andò a Pesaro pel suo
matrimonio, ci ha già detto ch'egli era la persona più importante
nel governo di Mantova. Di lui gli storici mantovani narrano
che co' suoi maneggi fu causa che il Malatesta si affrettasse ad
abbandonare la tutela del nipote ; che con sue arti seppe aggirare
sifiFattamente il giovane principe da allontanarlo quasi del tutto
dalle cure dello stato, e concentrare nelle sue mani ogni publico
potere: tasse, impieghi, leggi, ogni cosa doveva essere inspirata
da lui, 0 ricevere la sua approvazione (i) ; che, inorgoglito della
sua potenza e fattosi largo appoggio di seguaci, levò il suo pen-
siero a togliersi affatto d'attorno il Gonzaga, e dominare Mantova
con titolo e qualità di vero signore. E che sarebbe riuscito nel suo
disegno, se non era la sospettosa e previdente attenzione della
giovane sposa del Gonzaga, Paola Malatesta, la quale nel suo
affetto di moglie e di madre trovò l'energia necessaria a vincere
la cieca buona fede del marito, e spingerlo a un provvedimento sol-
lecito e risoluto come voleva la gravità del caso. Onde il conte fu
arrestato, arrestati con lui i fratelli e gli altri più compromessi
(^) * Si quid foris, si quid domi erat agendum [Carlo da Prato
^ con i fratelli], munera omnia obibant : tantae auctoritatis apud prin-
^ cipem habebantur. Exigebant ipsi vestigalia, porteria, proventus
, p"]nes. Si quid erat agendum quod auctoritatem Principis requireret,
^ 'psi ex animi sententi a tamquam domini approbabant. Ad hos omnia
^cferebantur ^. Platina, op. e Ice. cit, p. 799 B.
334 GIAN FRANCESCO GONZAGA
nella congiura, fatto processo, puniti i rei, assicurato lo stato al
Gonzaga (i).
Fin qui gli storici mantovani ; e al loro racconto fanno eco le
cronache di altre città (2).
A questi pochi cenni posso aggiungere per buona fortuna di-
verse notizie ripescate in alcuni fogli degli atti processuali di
quella congiura, che si sono salvati fra le carte dell'Archivio Gon-
zaga (3). Pur troppo sono pochi fogli, e le frequenti allusioni a
nomi e fatti a noi completamente ignoti lasciano infruttuose una
parte delle notizie che danno, sicché siamo ben lontani dall'avere
la luce che ci sarebbe necessaria ; ma pure raccogliendo quel poco
che se ne può trarre di sicuro, e aiutandoci con gli avvenimenti
politici del tempo ai quali spesso le parole degli accusati e dei
testimoni si riferiscono, è possibile ricostruire in parte l'opera del-
l'ambizioso ministro, e dalla parte che si viene a conoscere, ar-
guire e indovinare l'altra che ci resta ancora nascosta.
Notizie sufficienti e sicure ci dà lo stesso Archivio anche sulla
persona del ministro e su tutta la sua famìglia da Prato ; e perchè
la conoscenza di esse può giovare a meglio intendere la natura e
la portata della congiura, cosi prima di entrare in questo argo-
mento, dirò qualche cosa di quella potente famiglia
I conti Albertini erano originari di Prato in Toscana, come
dice il titolo aggiunto al loro cognome, e furono una gente assai
ricca e potente ; tanto che ne uscirono a breve distanza due cardi-
nali, zio e nipote, vescovi tutti due d'Ostia e Velletri, vale a dire
della sede episcopale che dà al suo titolare il primo posto nel
^i) " loliannes Franciscus, cognita per amicos Pratensis famìliae
' proditicinc... eam omnem cum reliquis coniuratis comprehendi ac in
' vinciila trudi iubet, Paula uxore nobilissima ac magni animi matrona
■ ad id adhortante. , Platina, 0[>, e loc. cit.
it\ ' M^ntiiaf> Mine i)ovÌt.is habìia cst, namquc Franciscus de Gon-
em Prati, ^ gubernatorem ipsius domìni
inciscum fratrem dicti Caroli, capiianeum gen-
i domini.... capi fecit et carceribus mancipari ..
arfisin.ia Muratori, ff. /. S, XIX, p. 844. D;
>. 888 C.
lei foiclì porta questo titolo: Cofiia Consiilulo-
'■tfpham et Caroli tir prato ctun quibusdam dictis
tu adi-frsnm domiituiH Io. Frantiscum dt Con-
SIGNORE DI MANTOVA 335
sacro collegio (i). All'avita loro nobiltà e ricchezza Lodovico il
Bavaro aggiunse nel 1329 nuovo lustro e nuova potenza, costi-
tuendo in feudo a loro favore parecchi beni di pertinenza impe-
riale nel territorio di Prato, a premio dei loro servigi (2). Nuovi
favori di rendite e feudi ottennero dall'imperatore Carlo IV : e
da Venceslao suo figlio ebbero nel 1366 l'investitura in feudo della
stessa città di Prato (3). Quando e perchè codesta famiglia si tra-
mutasse da Prato a Mantova non si conosce, ma ciò fu certamente
a' tempi di Luigi II, che resse Mantova dal 1369 al 1382, dacché
Gianfrancesco in un suo decreto del 7 agosto 14 io ricorda i ser-
vigi resi dal padre dei viventi conti da Prato al proprio padre
Francesco e all'avolo Luigi (4).
Di Francesco da Prato restarono quattro figli, tutti per diversi
rispetti uomini di valore, e tutti dediti come il padre a servire con
attività e zelo i Gonzaga. Primeggiava sugli altri per ingegno e
^1) Il piiiiio di questi due cardinali, Nicolò, nato nel 1250, ebbe
nome fra gli uomini di Chiesa e di Stato più influenti e potenti del suo
tempo. Entrato nell'ordine dei Predicatori da prima lesse scienze teo-
logiche nel convento di S. Maria sopra Minerva, quindi passò all'arci-
vescovado di Spoleto. Fatto nunzio di Francia e d'Inghilterra pacificò
i due re, Filippo ed Odoardo. Bonifacio VII! lo fece vicario di Roma
Benedetto XI lo creò cardinale vescovo d'Ostia e Velletri. Nel i30[',
ebbe la legazione di Firenze mentre più vi ferveva la lotta tra Guelfi
e Ghibellini. Assistè come legato pontifìcio all' incoronazione dell'impe-
ratore Enrico VII, e andò in Sicilia a incoronare Roberto. L'imperatore
Lodovico il Bavaro in un suo diploma all'altro cardmate e al costui
fratello, ricorda come titolo d' onore che erano nipoti ** recolende me-
■ morie olim venerabilis in Christo fratris Nicolai Ostiensis et Velie-
■ trcnsis Episcopi Cardinalis. „ (Arch. Gonzaga D. IV, li).
(2) Col diploma or ora ricordato al cardinale nepote e a suo fra-
tello in dai a 14 agosto 1329.
{3) l documenti si trovano nell'Arch. Gonz. D. IV, II, e molti altri
con essi, tutti relativi alla famiglia da Prato, ì quali ^mostrano quanto
essa era ricca e potente.
(4) ■ Attentis quoque servitiis per quondam magnificum militem
* dom, genitorem suum [del conte Carlo da Prato].... dom. Lodovico
■■ avo nostro.... impensis, etc. » (Arch. Gonzaga F. IL io, lib. dei De-
creti, p. 121). Che il padre degli attuali conti da Prato si chiamasse
«gli pure Francesco è detto nel decreto di Gianfrancesco a favore di
Francesco da Prato in data 14 Agosto 1410: • Attendentes.... opera
* fructuosa.... comitis Francisci nati nobilis strenui quondam militis dom.
* Francisci de Albertinis comitis Prati. ^ Lib. dei Decreti sudd. p. laB.
l
33^ GIANFRANCESCO GONZAGA
autorità il conte Carlo, ed a lui con facile deferenza si piegavano
i fratelli. Egli aveva preso la via della politica, Francesco delle
armi, Stefano delle leggi. Di Luigi, che era il quarto dei fratelli,
non mi è riuscito trovar nulla di certo, ma dai pochi cenni che si
hanno di lui non resta dubbio che fu egli pure uomo di vaglia ;
di gran vaglia anzi, se quel Luigi da Prato che s'incontra a questi
tempi nella storia di Bologna è lui, come credo probabile (i). Carlo
e Francesco si erano già fatti un bel nome fino dai tempi del morto
signore di Mantova (2) : e dal fatto che Stefano nei primi anni
di Gianfrancesco tenne per due anni la carica di Podestà di Man-
tova, dobbiamo arguire ch'egli pure aveva dato assai buona prova
di sé (3). Lo zelo dunque dei passati servigi, il nome della fami-
glia, la capacità loro, tutto concorreva a indicare al Malatesta i
fratelli da Prato come le persone più adatte su cui fare asseg^na-
mento pel governo di Mantova. Ed egli ripose in essi tanta fiducia
che, durante la sua tutela, non potendo egli occuparsi direttamente
delle cose mantovane, la somma del governo rimase tutta nelle
mani di Carlo da Prato.
Basta guardare alla storia d' Italia per intendere senz'altro
quanto poco il Malatesta potesse mettere l'opera sua diretta nel
governo di Mantova. Nel 1408 egli era governatore di Milano pel
duca Giovanni Maria Visconti e dirigeva l'assedio di quel ca-
stello (4). Nel 1409 s'affaticava al concilio di Pisa come media-
tore di papa Gregorio per indurre i cardinali da lui dissidenti ad
accettare un concilio che si raccogliesse a Bologna, o a Forlì, o a
Mantova (5). Nel 141 1 era governatore in Romagna per lo stesso
papa, e a nome di lui faceva guerra al suo competitore Gio-
vanni XXIII (6). Nel 141 2 guidava l'esercito veneto contro l'im-
peratore Sigismondo e i suoi Ungheri (7). Ch'egli in questo lungo
(i) Se ne parlerà più avanti.
(2) La cosa è ricordata da più decreti di Gianfrancesco, che do-
vremo ricordare in seguito.
(3) D'Arco, S/itdt intorno al Municipio di Mantova, voi. VI, p. 61.
(4) Delayio, Anna/. I. e, p. 1050. Cfr. Corio, Istoria di Milano, in
Vinetia, De* c:a valli, MDLXV, p. 695.
(5) L. Tonini, Rimini nella signoria dei Mala/esti, Rimini, tip. Al-
bertini e C, 18S2, voi. V, p. 29,
(6) Matth. des Grifonibus, Mem, histor, in Muratori, /?. /. S.,
XVIII, p. 219 A.
(7) Sanuto, op. cit.^ p. 858 C.
SIGNORE DI MANTOVA 337
periodo di tempo venisse sovente a Mantova e vi facesse anche non
brevi permanenze, quantunque non si trovi alcun documento che
ce lo dica, non è a dubitarsi. Ma le sue dimore ad intervalli, per
hmghe che fossero, non potevano raggiungere altro scopo che
di assicurarsi che tutto procedesse regolarmente nell'interesse del
suo pupillo. Occorreva dimque che altri in sua vece stesse conti
nuamente al timone dello stato, per reggerlo e guidarlo nel suo
cammino giornaliero, e a seconda dei casi prendesse gli opportuni
provvedimenti. Quest'incarico fu dato al conte Carlo da Prato. E
bisogna dire ch'egli vi acquistasse tutta l'approvazione e la fidu-
cia del Malatesta, perchè, quando Gianfrancesco andò a Pesaro a
sposare Paola, e stette assente da Mantova dal i6 luglio del 1409
fino al 6 gexmaio del 141 o, per tutto questo tempo, come fu già
accennato, il governo fu lasciato nelle mani sue con pieni poteri
come in quelle di luogotenente del principe (i). Confermano que-
sta fiducia in lui del Malatesta le munificenze permesse al pupillo
non solo verso il conte Carlo, ma anche verso il conte Francesco,
a] quale era in particolar modo affidata la cura delle armi.
Il 24 luglio 1410 Gianfrancesco stende un decreto a favore del
conte Francesco, e gli fa un succoso regalo di terre e di case per
Itti e i suoi eredi (2). E pochi giorni dopo in data 7 ago-
sto, stende altro decreto a favore di Carlo, nel cui princi-
pio si legge la seguente solenne dichiarazione : t Conside-
* rando le fatiche e le veglie che Carlo da Frato nostro
« consocio carissimo ha instancabilmente e di continuo so-
t stenute pel nostro onore e servizio ; considerando l'ardore della
t sua devozione, la prontezza de* suoi servigi, ecc., ecc.. » : e dopo
questo gli regala la bella somma di piìi che seimila ducati per
comprarsi una tenuta nel Veronese, sulla quale l'accorto ministro
aveva posto gli occhi ed il cuore (3). E soli sette giorni più
tardi, il 14 agosto, con altro decreto acconsente alla domanda fat-
(i) Arch. Gonz., Lib. Statut. lib. XIII, p. 217, rubrica 25. V. ap-
pend. n. 6.
(2) Arch. Gonz. F. II, 10, lib. dei Decreti, lib. I, p. 128 v. * Ei-
* dem corniti [frajicisco] suisque heredibus et successoribus de omni-
' bus et singulis infrascriptis terrarum petiis, domibus etc. possessio-
' nem dationem traditionem et absolutam donationem facimus... „
(3) Libro cit., p. 131.
33^ GIANFRANCESCO GONZAGA
tagli dal conte Francesco, e gli regala in perpetuo un tratto di
terreno con casa, corte ed orto qui in città in contrada Stabili (i).
E non solo Carlo Malatesta, ma anche il fratello Pandolfo,
signore di Brescia, mostra piena fiducia nella lealtà del conte Carlo
da Prato. Abbiamo veduto più addietro la controversia che era
tra Brescia ei Mantova in causa di Piubega (2). Ora nel novembre
del 141 1 Pandolfo acconsente di concedere in feudo al conte Carlo
da Prato la parte di sua proprietà, come il Gonzaga gli concedeva
la sua (3). E nello stesso mese in un altro decreto il Gonzaga, do-
vendo allontanarsi dal suo stato, nominava per la seconda volta
suo luogotenente con pieni poteri il conte Carlo (4). Forse non è
fuori di luogo il sospetto che i Da Prato fossero im poco indi-
screti e sapessero farsi pagare i loro servigi, ma comunque dati,
quei doni e l'altissimo potere conferito più volte al conte Carlo,
danno certezza assoluta che si viveva pienamente tranquilli sulla
fedeltà di lui e dei fratelli.
Or come si spiega che da lì a pochi mesi si vede quest'uomo av-
viarsi per vie tortuose e tuor di mano, la cui uscita portava a spo-
gliare dello stato il suo signore e mettersi al suo posto ? Aveva egli
saputo fingere fino allora con arte finissima d'ipocrisia o il pensiero
del nuovo indirizzo che volle prendere gli sorse poi? Il cuore
umano è un mistero, e uomo non sa leggervi dentro : esaminando
però le circostanze dei tempi a me pare di potere stabilire che la
condotta anteriore del conte fosse franca e leale. A mio avviso fu
tra la fine del 141 1 e il principio del 141 2 che gli balenò per la
prima volta nella mente l'idea di dare nuovo indirizzo alla sua
condotta. Secondo me gli avvenimenti di quei giorni gli presenta-
rono il miraggio di grandi speranze per Tawenire, ed egli si lasciò
vincere alla tentazione.
(i) Lib. cit, p. 128. Riporto per intero nell'append. al n. io questo
decreto, per esempio degli altri che semplicemente accenno.
(2) V. nota 22 e append. n. 3.
(3) Arch. Gonz. B. XXII, 5. " Instrumentum tenutae acceptae per Fran-
** ciscum de Zaifurdis nomine dom. Caroli de Albertinis, comitis Prati
* de castro pu ìlice, quod illi donatum fuerat, partem scilicet Brixiensem
** per dom. Pandulphum de Malatestis dominum Brixiae et partem Man-
• tuanam per dom. Io, Franciscum de Gonzaga dominum Mantue, et
*• juramentum fidelitatis hominura publice die XXII novembris 1411 ,,
(4) Arch. Gonz. F. II, 7, Lib. Stat., lib. XIII. rubr. 26. e. 217 v.
SIGNORE DI MANTOVA 339
Nel dicembre del 14 ii scoppiò la guerra tra la republica di
Venezia e il regno d'Ungheria, e Venezia affidò il comando delle
sue truppe e la direzione della guerra a Carlo Malatesta.
Uuso dei tempi portava che i principi minori prendessero
soldo in tempo di guerra presso gli stati maggiori con quel nu-
mero di genti che fosse possibile. V'era in questo il vantaggio di
mantenere un corpo di truppa coi denari altrui, agguerrire i propri
soldati, procacciarsi un qualche beneficio negli sperati frutti della
vittoria, e avere al bisogno uno stato potente che per dovere di ri-
cambio prendesse le vostre difese Con tali usi quale più bella oc-
casione poteva presentarsi al Gonzaga per procurarsi tutti co-
desti vantaggi, e mostrare nel medesimo tempo la sua gratitu-
dine a Venezia, e apprendere l'arte della guerra alla scuola di un
uomo che aveva nome fra i primissimi capitani di quel tempo?
Ma il Gonzaga non si mosse : non si mosse, quantunque il Mala-
testa avesse autorità da Venezia di condurre a quella guerra assai
numero di genti (i), e dato Tuso dei tempi, si possa tenere per
cosa indubitata anche senza averne le prove, che da Venezia stessa
gli venissero inviti a voler seguire l'esempio del padre, e mettersi
lui pure al seguito delle sue bandiere. Come può questo spiegarsi ?
Che ne lo dissuadesse il Malatesta è cosa ridicola pure a pensarla.
E né anche può supporsi fosse avversione di Gianf rancesco per
la vita militare. La vanità e l'ardore degli anni giovanili, l'esempio
degli avi, il proprio carattere, tutto lo spingeva alla guerra. L'op-
posizione dunque veniva da altri. Ma chi fuori del conte Carlo da
Prato poteva allora avere tanta autorità nel governo di Mantova,
da mettersi contro l'opinione e i desideri del Malatesta e di Ve-
nezia, tutori del principe, e far prevalere contro essi la propria opi-
nione? Non importa conoscere gli argomenti ch'egli può aver fatto
valere a favore della neutralità di Mantova : quando si tratta di
gettare uno stato nelle avventure di una guerra abbondano sem-
pre gli argomenti a chi parla in favor della pace. Ma questo deve
essere ben notato che al da Prato sarebbe stato impossibile spun-
tarla contro il Malatesta e contro Venezia, quando non avesse
avuto del suo parere lo stesso principe. Questi si avvicinava ormai
(i) Sanuto, op. cit., p. 861. B. " 1412, 28 gennaio. S'aspetta che nel
* nostro campo giunga el signor Carlo Malatesta, capitano generale
• nuovamente condotto con gran gente „.
340 GIANFRANCESCO GONZAGA
airetà maggiorenne, ed è naturale che l'opinione di lui avesse un
gran peso nelle decisioni del Consiglio. Il conte da Prato do-
vette dunque tirare dalla sua parte l'opinione del Gonzaga e farla
valere contro l'opinione del tutore La cosa è tanto chiara che
senza questa premessa resta inesplicabile la condotta del Gon-
zaga a questo tempo. Egli rifiuta di aiutare in guerra Venezia che
era la sua tutrice, ntìuta di s^uire il Malatesta che conduceva
quella guerra, il quale era suo tutore ; e l'anno appresso lo ve-
diamo impugnare le armi in altra guerra e scendere in campo a
combattere questo stesso capitano, che fu già suo tutore! Come
poteva ciò avvenire senza una rottura tra zio e nipote? Ma prima
di questa rottura era presso il Gonzaga ministro potentissimo il
da Prato e dopo la rottura il da Prato continuò, anzi crebbe nella
medesima potenza della sua fiducia presso di lui ; dunque è al da
Prato che deve riferirsi tutta la causa di quella rottura (i).
Che se qualcuno fosse curioso di sapere per quali modi il
da Prato sarà riuscito a tirare a sé il giovane principe, io non
saprei che ricordargli l'età e la condizione del Gonzaga, Egli era
sui primi passi dell'adolescenza, e come tutti quelli della sua età
doveva essere sovrabbondante di vita, intollerante di freno, sma-
nioso di libertà ; e le ricchezze, il grado, la potenza indubitabil-
mente facevano in lui crescere tutti i difetti e le debolezze dei
giovani suoi pari. Bastava saper toccare con arte codesti tasti per
cavarne il suono che si voleva. Stimolare le tendenze del giovane,
aggravare con accorte parole il peso della tutela, mettergli in-
nanzi ch'egli era ormai nell'età da sapersi governare da sé, fargli
pregustare le delizie dell'indipendenza e della libertà ; erano tutte
armi infallibili al segno nelle mani di un uomo accorto e scaltro
come il conte da Prato ; perché il giovine Gonzaga nell'inespe-
rienza in cui era del mondo e delle sue arti, e nella fiducia che
(i) Il conte Carlo non solo continuò, ma crebbe tanto nel favore
del principe, che nel solo primo anno della guerra combattuta dai Ve-
neziani e condotta dal Malatesta contro gli Ungheresi, Gianfrancesco
fece tre decreti a favore di lui, lasciandolo come suo rappresentante nel
Governo con la stessa estensione di poteri illimitati, come si era fatto
per la sua assenza quando andò a Pesaro a spK>sare la Malatesta. Il
primo decreto fu del i." febbraio 1412 (Statuti di Mantova, rubr. 27,
p. ai8; il secondo del 30 aprile (Ibid. rubr. 28, p. 218 v.); il terzo del
31 luglio). (Ibi rubr. 29, p. 219"^.
SIGNORE DI MANTOVA 34I
tutti attorno a lui avevano sempre mostrato verso il conte, di ne-
cessità doveva bere con assetate labbra il veleno di quelle insi-
nuanti parole. Così al momento in cui si sentì spingere ad al-
zare la fronte contro lo zio tutore, sarà stato tutto coraggio ed
audacia, sentendosi spalleggiato dalFautorità e dal nome del
conte Carlo. In questo modo resta anche spiegata la fiducia senza
limiti ch*egli ebbe poi nel conte, dopo che fu uscito di minorità ;
e non fa meraviglia che nell'ingenua sua lealtà riguardandolo
come amico di provatissima fede e quasi suo liberatore, tutto lo
Stato e sé stesso affidasse ciecamente alle cure e al potere di lui.
Ed ora guardiamo a che termine si appuntassero le mire del
conte Carlo da Prato.
L'anno avanti che scoppiasse la guerra tra Venezia e il regno
d'Ungheria, Sigismondo re degli Ungheri era stato eletto im-
peratore, e in tale qualità era divenuto anche capo supremo dei
principi italiani. E* ben vero che l'autorità imperiale riducevasi
ormai in Italia a poco più di un diritto di puro nome, perchè
dove gl'interessi e le ragioni politiche lo volevano, era libera-
mente disconosciuta ; ma il prestigio del nome durava sempre,
e al momento opportuno quell'autorità poteva essere di grande
giovamento. Alla probabilità di questo momento fissò lo sguardo
il conte Carlo da Prato. L' Italia in quei giorni era più che mai
lontana dalla possibilità di levare la fronte contro le pretese del-
l'impero. Lo stato della Chiesa era conteso fra due papi, corso dalle
arali di re Ladislao, straziato dai signorotti e dalle continue
ribelUoni che si andavano facendo nelle città. Il grosso e potente
stato dei Visconti era in isfacelo, e gli eredi del temuto Gian
Galeazzo appena a furia di stenti, di transazioni e di tunilia-
zioni, andavano lentamente ricomponendo un poco di stato sulle
rovine dell'antica grandezza. Degli altri stati d'Italia due soli,
il regno di Napoli e la republica di Venezia, trovavansi in grado
di sostenere i loro diritti. Ma Napoli era lontano, e Venezia in
guerra aperta col re degli Ungheri, che in quel momento voleva
dire con l'imperatore. Se Sigismondo usciva vincitore dalla guerra
con Venezia, il suo prestigio in Italia sarebbe cresciuto del cento
per uno, e col prestigio il valore e l'efficacia della sua autorità,
quando si fosse deciso a scendere fta noi e farvi riconoscere i di-
ritti della dignità imperiale. Il conte Carlo mirò alla possibilità,
anzi probabilità di questo avvenimento, e stabili di predisporre
342 GIANFRANCESCO GONZAGA
le sue cose in modo da trame a suo tempo il più largo profitto.
Egli era di famiglia ghibellina, stata sempre seguace degli impe-
ratori, e sempre da loro favorita. I Malatesta invece erano stati
sempre guelfi. E non è inutile ricordare anche questo che nello
sfacelo dello stato dei Visconti erano risorti in Lombardia gli
antichi nomi di Guelfi e di Ghibellini ; e le due sette combattevan
fra loro con rabbia di lotta non inferiore all'antica. Sono coinci-
denze di nomi e di fatti che in tempi normali si lasciano appena
avvertire, ma dove il concorso di speciali condizioni, nella effer-
vescenza degli animi, dà rilievo al ricordo delle loro memorie,
possono aver sempre grande influenza sulla eccitabilità delle pas-
sioni umane. Ora l'imperatore scendeva in guerra contro Venezia,
ed il guelfo Malatesta andava generale in capo contro l'impera-
tore, e a rinforzo delle sue truppe voleva seco anche il Gonzaga.
Davanti a tali fatti il conte ghibellino pensò di schierarsi subito
dalla parte imperiale, e per il momento, non potendo altro, si
contentò di sottrarre al nemico il supplemento di forze che po-
teva dargli il Gonzaga, riservando a miglior tempo più sicuro e
più diretto aiuto. Ma era nel suo interesse che l'imperatore cono-
scesse subito queste sue disposizioni d'animo, ciò che per ora aveva
fatto, ciò che sperava di fare in seguito. La cosa però non era
facile, perchè l'imperatore era lontano, Venezia e i Malatesta alle
porte di Mantova, e la più piccola imprudenza, destando il so-
spetto, poteva non solo render vana l'opera sua, ma perdere lui
inesorabilmente. Prudenza molta occorreva. A deviare ogni so-
spetto egli pensò che il mezzo più sicuro fosse quello di nascon-
dere i suoi progetti sotto la tonica d'im frate ; e per sua fortuna
aveva proprio qui sotto mano l'uomo che gli occorreva. Questi
era frate Gaspare da Mantova.
Per quante ricerche io m'abbia fatte non solo nell'Archivio
Gonzaga , ma anche presso l'ordine Francescano, non mi è riu-
scito di scoprire di che famiglia mantovana egli si fosse. Questo
ho trovato, ch'egli era dei Conventuali, uomo di forte intelletto
e grande pratica nelle cose del mondo. Infatti l'anno 1400 fu ele-
vato alla carica di padre provinciale del suo Ordine (i), e nel
141 3 l'imperatore Sigismondo lo nominò consigliere dell'impero
(1) [P. G. Venni], Elogio del B, Oderico da Pordenone, Venezia,
1761, tip. Tatta, p. 1^7.
SIGNORE DI MANTOVA 343
per le cose d'Italia (i). Dovette pure essere di una costituzione
fisica robustissima, perchè la carica di padre provinciale, con
rimportanza e la delicatezza che trae seco di autorità e di attri-
buzioni, ci assicura che nel 1400 non doveva esser più molto gio-
vane ; eppure nel 1444 lo troviamo ancora vivente nel convento
di Cividale di Friuli. Ma oltre la forte intelligenza e l'astuzia
del frate, un'altra cosa lo proponeva al conte Carlo come Tuomo
il più adatto a condurre il suo disegno. Il santuario di S. Maria
delle Grazie, incominciato nel 1399 da Francesco Gonzaga e com-
piuto da Gianfrancesco, era stato affidato da principio ai PP.
Francescani, detti Conventuali ; ma come essi, a quanto pare,
mostravano assai poco spirito religioso, e Carlo Malatesta era in-
vece religiosissimo e devotissimo di S. Francesco, così nel 1408
venne loro tolto il santuario, e al loro posto furono chiamati i
Francescani, detti Minori Osservanti, che vi stanno tuttora, i quali
per la tresca riforma dell'ordine godevano gran nome di santità
per tutta l'Italia (2). Naturalmente la responsabilità di que-
st'atto risaliva al Malatesta, che governava pel Gonzaga, e come
lo sfratto dato ai Conventuali delle Grazie era uno schiaffo per
tutto l'Ordine, tutti frati di quell'abito dovevano serbarne amaro
ricordo contro chi ne era stato l'autore : ma più d'ogni altro do-
veva risentirsene frate Gaspare (molto probabilmente di stanza
egli pure nello stesso convento delle Grazie) perchè lo schiaffa
più che gli altri colpiva lui, come mantovano, e come superiore
die era stato dell'Ordine appunto negli ultimi anni ; e se gli si pre-
sentava occasione da rifarai un tratto sul Malatesta e sulla sua
gente, non era il caso di aspettarsi da tal uomo e in tale tempo
la carità del perdono evangelico. L'uomo dunque non poteva es-
sere più adatto a condurre le pratiche ideate dal conte Carlo.
Lo scaltro frate, dissimulando sotto la povera lana chi fosse
e che volesse, divenne un esecutore attivo ed efficacissimo del Mi-
nistro. Per suo conto andò cinque volte dall'imperatore, e non di-
pese certo da lui se le lunghe pratiche non sortirono l'effetto de-
(i) Gli storici francescani lo dicono consigliere dell'impero, ma
^espressione non è esatta ; egli fu consigliere dell' impero, ma per le
sole cose d' Italia^ Consiliarium prò Italia, come dice egli stesso nel
processo.
(2) DoNESMONDi, Istoria ecclesiastica di Mantova, lib. V, p. 350;
Wadding, Annales Minorum to. V, p. 55.
314 GIANFRANCESCO GONZAGA
siderato. Scoperta la congiura dei fratelli da Prato, anche frate
Gaspare fu arrestato e messo prigione; e allora fece delle sue
cinque ambascerie una relazione per rispondere ai quesiti della
giustizia (i). La sua relazione è stata la mia guida principale a
rintracciare il secreto pensiero del conte Carlo da Prato. Ma non
tutto quello che il frate narra io credo dover qui riportare ; e del
suo racconto vi sono molte cose, che a me paiono inutili, ed io
le taccio : altre difficili a intendersi a che cosa si vogliano rife-
rire o per lo meno assai dubbie, ed io le taccio egualmente. Ne
prenderò solo quanto è strettamente necessario per intendere lo
svolgimento delle pratiche tenute ; e fra i particolari accennerò
solo quelli che mi paiono avere uno speciale interesse e che non
lasciano dubbio sulla loro verità.
Qui noto innanzi tutto che i secreti maneggi del conte Carlo
per mezzo del frate cominciarono in tempo che il giovane Gon-
zaga era ancora sotto tutela : ma il Malatesta era al campo dei
Veneziani, e forse da tempo lontano da Mantova, tutto occupato
nei preparativi e negli studi della guerra che era chiamato a
condurre L'imperatore Sigismondo trovavasi allora a Buda,
e il frate giunse in quella città nell'aprile del 141 2 (2), vale
a dire ch'egli parti da Mantova non appena con la buwia
stagione cominciò a svolgersi in aperta campagna la guerra scop-
piata nell'antecedente decembre. In questa prima ambasceria la
sua missione si limitava a fare a Sigismondo a nome del Gon-
zaga omaggio di sudditanza e di obbedienza quale vicario impe-
riale, e scusarlo che non avesse prima soddisfatto a quest'obligo,
perchè, avendo a tutori Venezia e il Malatesta, non poteva man-
dare publicamente ambasceria a Sua Maestà, né fare per essa quelle
publiche dimostrazioni che era sua intenzione di fare quando fosse
uscito di tutela, e che farebbe quando Sua Maestà scendesse in
Italia. Per questa ragione anche il frate avea dovuto andare molto
secretamente, e perciò pregava l'imperatore che volesse tener se-
(i) Ha questo titolo: • Haec est via quam feci eundo ad serenissi-
* mum Romanorum Regcm putans sempcr ex parte magnifici domini
* mei ire, et quae in hiis principaliter debebam agere. Ego frater Ga-
" spar de Mantua. . Non ha data.
(2) * Prima via fuit de mense aprìlis 1412 ad Hungariam usque
* Budam. . Dalla Rtlaziont dello stesso frate.
SIGNORE DI MANTOVA
345
oeU la sua missione, affinchè non ne venissero fastidi a Gianf ran-
Cesco da parte dei tutori (i).
La risposta dell'imperatore fu questa: t Gradire gli omaggi,
f accettare le scuse, approvare che tenesse nascosta la sua devo-
« àone airimpero in causa dei tutori ; e dove fosse necessitato,
« piuttosto che scoprirsi mandasse in prestito sue genti ai Vene-
c zìani 9 (2).
Oltre alle commissioni in nome del Gonzaga altre ne aveva
frate Gaspare nel nome particolare del conte Carlo, questa fra le
altre di far conoscere all'imperatore : t Che i suoi antenati erano
stati tutu di parte imperiale, che avevano seguito gl'imperatori,
e ne avevano ricevuto molti privilegi. Ch'egli e i fratelli vole-
vano essere come i loro maggiori, e che egli si era adoperato e si
adopererebbe sempre a tenere il Gonzaga nella fede dell' im-
pero » (3). E non in quella sola ambasciata, ma in tutte che ven-
nero poi, il conte ebbe sempre cura specialissima di mettere in
particolare rilievo agli occhi dell'imperatore la sua persona e i
suoi servizi (4) : donde appare evidente le sua mira a richiamare
(i) " Erant tutores propter quos non poterat ipse dominus nec
* oiiuere nec publice facete sicut intendebat quando esset extra tuto-
* riam, aut quando mayestas sua esset in lombardia : propter hoc ive»
* ram magis secrete quam potuissem ad presenciam sue mayestatis
" quod deberem rogare seu supiicare mayestati regie quod omnia di-
* gnaretur sua mayestas habere secretum ne sibi scandalum orìretur a
* premissis tutoribus suis. „ Dalla cit. Relaz,
(a) • Ymo ut bene zelaret se, si oporteret, potius deberet Venetis
* suas gentes mutuare et mittere quam se discoperire quovis modo. „
I>alla cit Relaz.
(3) • Pro dom. Karolo declarare debui quod sui antiqui fuerint
impcriales omnes, et quod secuti fuerint imperatores, et quod fuerint
multum privilegiati ab eis.... et quod volebat sequi vestigia eorum....
et qualiter ipse dom. Karolus iuxta suum posse reducebat dominum
su\im et semper reduceret ad obedientiam imperialem.... „ Dalla ci-
tata Rtlaz.
(4) * In omnibus ambaxiatis ad majorem efficaciam verborum do-
mini seu probationem quae dicebam ex parte domini nostri magni-
fici, dominus Karolus dicebat quod etiam dicerem illa impertatori ex
^ parte sui. Item dicebat dom. Karolus quod dicerem imperatori quod
^ jpsc tamquam principalis consiliarius et rector domini consulebat et
mducebat dominum ad fidelitatem imperii. „ Dalla cit. Relaz.
^rch. Stor. Lomb,, Anno XXIX, Fase. XXXIV.
2*?
SIGNORE DI MANTOVA 347
difese del suo signore, ma perchè era ignaro di ciò che poteva
essere avvenuto in Mantova durante la sua assenza, dovette tor-
narsene indietro assai male soddisfatto della sua ambasceria.
Tornato a Mantova trovò che le notizie riportate alFimpera-
torc erano false, e fu deciso che ripartisse subito a tranquilliz-
zarlo e ad annunziargli che quanto al giuramento di fedeltà an-
drebbe fra breve a prestarlo a nome del Gonzaga lo stesso conte
Carlo da Prato (i).
L'imperatore si rabbonì, e quando nell'aprile seguente fece tre-
gua con Venezia, vi volle compreso come suo amico anche il si-
gnore di Mantova (2). E al frate, in prova di sua particolare
soddisfazione dell'opera di lui, conferì la nomina di suo consi-
gliere per le cose d' Italia.
L'andata del conte Carlo a prestar giuramento all' Imperatore
ci è prova sicura che il Gonzaga era stato dichiarato maggiorenne.
Infatti più sopra abbiamo veduto che frate Gaspare nel suo primo
viaggio aveva incarico di scusare il suo signore presso Sigismondo
se non aveva ancora mandato a prestargli giuramento di fedeltà,
e la scusa doveva fondarsi sul fatto ch'egli era ancora minorenne
e perciò dipendeva dall'autorità de' suoi tutori nemici dell'im-
peratore. Ora se nel principio del 141 3 fa annunziare all' im-
peratore il prossimo arrivo del suo primo ministro a prestare in
suo nome quel giuramento, è chiaro ch'egli era fuori dell'autorità
dei suoi tutori ; e come col primo di giugno del 141 2 egli entrava
nel suo diciottesimo anno, molto probabilmente o allora o poco
appresso ^li fu dichiarato maggiorenne.
Il conte Carlo trovò l'imperatore a Udine, e in quella città
gli prestò solennemente giuramento di fedeltà a nome del Gon-
zaga, come Vicario imperiale. L'imperatore fu largo al conte di
quanti privilegi seppe domandargli pel Gonzaga, per sé, per altri,
solo quanto al titolo di marchese chiesto per Gianfrancesco eluse
la domanda dicendo di non poterlo fare prima della sua incoro-
(i) • Propter hoc deliberaium fuit quod tercio reverterer ad Im-
* pcratorein et sic recessi tertia vice et debebam reverti infra
■ XXV dies ut dom. Karolus iret ad eum.... veni ad eum circa medie-
** tatem februarii anni preteriti millesimo CCCC 13^ „ Ibid.
(2) Sanuto, op. cit, p. 880. Frate Gaspare si dà vanto che fu
opera sua se il Gonzaga fu compreso in quella tregua : ** Feci quod
* dominus meus fuit in tregua. „ Dalla cit. Relan,
348 GIANFRANCESCO GONZAGA
nazione. Il conte Carlo alla sua volta gli si obbligò di sborsare
per suo conto nelle mani del conte Bertoldo cinquemila ducati
quando questi venisse a Mantova con le sue genti, dei quali denari
si sarebbe poi rifatto su quelli che dovevano essere poi pagati per
tributo all'imperatore dai feudatari (i). Quando e perchè do-
vessero venire codeste genti non è detto nella relazione del frate,
ma certo riguardavano la discesa che Sigismondo meditava di
fare in Italia e che fece poco dopo.
Tornato a Mantova il conte Carlo si volse tutto a rinforzare
con altri appoggi i buoni principi della sua sperata fortuna. Il
3 di aprile conchiudeva a nome del Gonzaga una lega con Ca-
brino Fondulo, signor di Cremona, fervente ghibellino ; e il 13
dello stesso mese si faceva autorizzare a conchiudeme un'altra
coi duchi e i principi d'Austria (2). Di che tenore fosse la lega
con costoro, e se si facesse, non sappiamo, perchè non trovasi che
l'autorizzazione a farla Della lega con Cabrino esiste l'istrumento
originale, ma nella più parte è guasto dall'umidità e corroso dai
sorci. Vi si vede però benissimo che Mantova assumeva robbligo
di mantenere per cinque anni cinquecento lancie pronte a scendere
in campo, e che in caso di guerra fornirebbe al Cremonese quanti
soldati, galeoni e navigli potessero occorrergli. Che cosa Cabrino
dovesse alla sua volta dare al Gonzaga non mi è stato possibile
leggerlo. Nel processo che si fece in seguito contro i conti da Prato
fu richiamato in atto d'accusa anche il fatto di questa lega, e un
testimonio affermò che essa era stata fatta in vista degli interessi
dei fratelli da Prato (3).
(i) " Venit dominus Karolus Utinum ad praesenciam imperatoris....
" fecìt obedientiam et juramentum fidelitatis in manibus imperatoris
" in persona domini nostri magn. multum solemniter .... obtinuit pri-
" vilegia .... etc. Marchionatum de Mantua non obtinuit, quia Rex dixit
" non posse quovis modo ante coronationem suam, sed post faceret prò
" domino quidquid posset prò eo.... „
" Item promisit imperatori dare corniti bertoldo quinque millia et
" quingentos ducatos quum veniret Mantuam ciim gentibus suis, quos
" debebat recipere ipse dom. Karolus postea de pecuniis dandis per
" dominos.... j. Dalla cit. Relaz,
(2) Arch. Gonz. B. XXVI.
(3) " Quando fu fata la liga cum el signore de Cremona, ave re-
" sonamento miser Carlo cum lor frateli digando.... et sicché conclusono
SIGNORE DI MANTOVA 349
Una circostanza non indegna di essere ricordata della lega con
Cabrino Fondulo è questa, che essa fu conchiusa nel palazzo del
Gonzaga alla presenza di un rappresentante dell'imperatore ; ciò
die mostra chiaramente l'intima unione, a cui si mirava, dei due
stati sotto le ali dell'impero (i). E non può esser dubbio che
anche la lega col duca d'Austria non tendesse al medesimo scopo.
hatanto Gianfrancesco nella sua giovanile spensieratezza, pa-
reva trascinato dal suo destino a mettere sempre più in vista agli
occhi dei Mantovani il nome e la potenza del conte Carlo, ed
^li sempre più sottrarsi al loro sguardo, e ritirarsi nell'ombra.
L'ultimo di gennaio di quest'anno 141 3, col pretesto ch'egli spesso
doveva allontanarsi dalla città e anche dallo stato, tornò a no-
minare il conte Carlo suo luogotenente con pieni poteri, ordi-
nando a tutti i pubblici ufficiali di obbedire agli ordini e comandi
di lui come a* suoi propri (2). Il 16 aprile rimise nelle mani
del conte Stefano, fratello di Carlo, che era allora podestà di
Mantova, tutti i poteri speciali che in materia giudiziaria secoiìHo
gli Statuti erano riservati al principe (3). E cosi, come Tauto-
ntà militare era già nelle mani del conte Francesco, e la politica
in quelle del conte Carlo, affidando ora la giudiziaria al conte
Stefano, Gianfrancesco rimetteva nella sola famiglia da Prato
tutto il potere dello Stato.
Pareva che la fortuna avesse preso il conte Carlo per mano,
' de fare chel magn. et excel, nostro signore fesse la ditta liga più per
* so bene de loro che per bono del magn. et exc. nostro signore, e
* così fu fato. I, Dep. di Benvenuto de' Pegorini.
(i) Il Trattato con Cabrino fu fatto • in camera superiori pietà
' ad compassus, in qua presentialiter residet magn. dom. Hugo de Her-
* noust consiliarius et procurator dom. Sìgismundi regis Romanoruni
' posita in palatio habitationis magnifici domini Man tue. „ Arch. Gon-
zaga B. XXVI.
Quest'Ugo era un rappresentante speciale di Sigismondo, mandato
di quei giorni al Gonzaga come si ha dal racconto di frate Gaspare :
* Et sic recessi tertia vice et debebam reverti infra XXV dies ut dom.
■ Karolus iret ad cum [imperatorem] cum domino Hugone de Her-
** noust, quem ego reperì in palacio domìni nostri magnifici. »
(a) * piene pareant ed efficaciter obediant tanquam nobis. „ Libro
dei Decreti^ F. II, io. V append. n. 11.
(3) Ibid., V. append. n. 12.
350 GIANFRANCESCO GONZAGA
e volesse condurlo essa stessa direttamente al pieno conseguimento
de' suoi desideri.
Un improvviso intoppo gettò il turbamento in mezzo alla le-
tizia di così prosperi eventi. Si è detto che Sigismondo era
stato largo al conte Carlo di quanti privilegi seppe doman-
dargli, tranne la nomina di Marchese al Gonzaga. Ora quando
i richiesti privilegi arrivarono a Mantova si trovò che, oltre
al volerli far pagar troppo, non erano distesi nella pie-
nezza di concessione come si era promesso ; onde furono ri-
mandati per le necessarie correzioni (i). Ma mentre si atten-
deva che ritornassero allargati e modificati secondo le pri-
mitive promesse, ecco arriva invece l'avviso che 1* imperatore
era in gravissimo sdegno contro il Gonzaga e contro il suo mi-
nistro, accusandoli di aver disprezzato i suoi privilegi, aver man-
cato ai patti giurati, non tenuto fede alle loro promesse.
111.
Ma a questo punto il racconto comincia ad intrecciarsi con gli
avvenimenti d'altre parti d' Italia ; e però è necessario dar prima
uno sguardo a questi per intendere la ragione delle cose che si do-
vranno dire.
In Italia, ai tempi di cui discorriamo, l'autorità pontificia era
divisa fra i papi Gregorio XII e Giovanni XXIII ; ma il vecchio
Gregorio era sopraffatto dall'attività e dalle arti dell'astuto Gio-
vanni, e abbandonato da tutti, anche dalla sua Venezia, fu ridotto
a non avere altro rifugio che la piccola città di Rimini, né altro
protettore che Carlo Malatesta. Ma questi per nulla sbigottito del
comune abbandono, vero cavaliere dei deboli, lottò instancabile
per la difesa di quel vecchio ottuagenario, prima con le pratidie
politiche e poi arditamente con le armi. E si stava appunto com-
battendo tra lui e le truppe del papa Giovanni XXIII, quando l'in-
tervento dell'imperatore Sigismondo aprì finalmente la via per
(i) • Ipsa privilegia non fuerunt recepta tuoi quod non fuerunt
" visa bene piena tum quod petebatur nimis magna summa pecuniarum
* prò eis. Unus Johannes Kierchen reversus ad imperatorem reportavit
" ea ut ipsa reaptaret. , Dalla cit. Relae.
SIGNORE DI MANTOVA 35 1
togliere dalla Cristianità quello scandalo. La nomina ad impera-
tore, che cadde come abbiamo veduto nel 141 1, lo chiamava a cin-
gere la corona imperiale in Roma per mano del sommo pontefice,
ma da quale dei due papi si fosse fatto incoronare, restava sempre
ai seguaci dell'altro e dell'antipapa un appiglio per non ricono-
scere quella incoronazione, e quindi disprezzare la sua autorità.
Tra per questo, e perchè era uomo di molta religione, e la dignità
imperiale gli dava una specie di diritto e di dovere di prendere le
difese della Chiesa, così egli si volse con tutto l'impegno a voler
ntoraare la pace nella Cristianità. E come ciò poteva ottenersi
solo per mezzo di im Concilio generale di tutta la Chiesa, stabilì
di scendere appositamente in Italia per avere un colloquio con
Giovanni XXIII, che era il papa da lui riconosciuto, per indurlo
a intimare nella città di Costanza codesto concilio. Per luogo di
convegno si scelse la città di I-odi. Ma per quanto il motivo reli-
gioso entrasse per il primo nelle ragioni di quella sua discesa,
non se ne discompagnava anche l'intenzione politica di avvantag-
giarsi delle debolezze e discordie italiane a prò' dell'autorità im-
penale Per ciò che interessa la storia di Mantova sotto questo
rapporto, deve ricordarsi lo smembramento che era avvenuto dello
stato di Gian Galeazzo Visconti. Cremona era venuta nelle mani
di Cabrino Fondulo, Brescia in quelle di Pandolfo Malatesta.
Ma Pandolfo non era uomo da contentarsi di Brescia. Forte guer-
riero, ambizioso, audace, aveva già fatto sua anche la città di Ber-
gamo, ed ora volgeva lo sguardo a Cremona non aspettando che
il momento opportuno per gettarlesi sopra e conquistare quella
pure Intanto avveniva che suo fratello Carlo dava una gran rotta
all'esercito ungherese, ma rimastovi malamente ferito aveva do-
vuto ritirarsi dal comando dell'esercito veneto. A sostituirlo la
Republica chiamò suo fratello Pandolfo, il quale anche più di
Carlo diede addosso agli Ungheri, e fece prosperare le cose di
Venezia. Sospesa in seguito per una tregua la guerra, Pandolfo,
fatto anche più fiero per la nuova gloria acquistatasi contro gli
Ungheri, corse a Brescia e invase il Cremonese (i).
La tregua tra Sigismondo e Venezia fu fatta il 17 aprile del
(i) A. Campo, Storia di Cremona, lib. Ili, Milano, Bidelli, MDCXLV,
p. no.
352 GIANFRANCESCO GONZAGA
1413 (i): e appena quattordici giorni prima, come abbiamo
veduto, si era stretta la lega tra Cremona e Mantova. Ora scop-
piando poco dopo la guerra di Pandolfo contro Cabrino, presen-
tavasi subito il caso che Mantova dovesse mandare a Cabrino le
cinquecento lancie pattuite nell'alleanza e gli fornisse quanti sol-
dati, galeoni e navigli gli potessero occorrere.
Mantova però non si mosse !
Questo avveniva appunto nel frattempo che a Mantova si
aspettava il ritomo dei privilegi, che erano stati rimandati perchè
fossero corretti. Ma invece dei privilegi giunse i avviso che
l'imperatore era adiratissimo contro il Gonzciga e contro il suo
ministro: i. perchè avevano disprezzato isuoi pnvilegi ; 2. per-
chè non volevano dare aiuto al signore di Cremona ; 3. perchè non
facevano guerra ; 4. perchè il conte Carlo non aveva dato al conte
Bertoldo i denari promessi (2). Lasciamo la quistione del denaro
non pagato al conte Bertoldo, perchè a noi non interessa punto.
Guardiamo pmttosto, se ci riesce scoprire il motivo perchè Mantova
non si unì a Cabrino per combattere Pandolfo. E prima di tutto
ricordiamo che era di tutto l'interesse di Sigismondo che Cabrino
riuscisse vincitore e Pandolfo fosse schiacciato, perchè tolto di
mezzo questo egli era libero del più fiero e terribile nemico che
avesse in Lombardia, mentre in Cabrmo, pel proprio interesse di
lui, era sicuro di trovare il più valido appoggio del partito impe-
riale da quelle parti.
A questo tempo Carlo da Prato aveva predominio assoluto sulla
volontà del giovane Gonzaga, e però, volendo, gli era facilissimo
d'indurlo dove e come voleva. E certo niuna cosa allora voleva il
da Prato così ardentemente come stirpar via Pandolfo dalla
regione lombarda. Se dunque non si mosse a far dare aiuto a
Cabrino, vi dovettero essere ragioni assai forti che ne lo impe-
(i) S. RoMANiN, Storia documentata di ygHeaia, Venezia, Nara-
tovich, 1855, to. IV, p. 62.
(2) * Et post dies aliquos venit nuncium quomodo imperator erat
" multum turbatus et commotus contra dominum nostrum magnificum
■ et dominum Karolum propter ista :
■ I.** quia spreverunt dicebat privilegia sua
" a.** quia nollent dare subsidium domino Cremone
* 3.* quia non faciebant guerram ut scribebat
* 4.* quia dominus Karolus non dabat pecunias ut promisit co-
* miti. „ Dalla cit. Rfins,
mmm
SIGNORE DI MANTOVA 353
dissero. Quali? Siamo nella solita oscurità assoluta. Il motivo
messo avanti all'imperatore e a Cabrino per iscusarsi e difendersi,
io penso che dovettero essere senza dubbio le condizioni finanziarie
dello stato di Mantova, che da qualche accenno nelle ambasciate
del frate appariscono assai poco buone ; le quali condizioni po-
tevano farsi valere come impedimento insuperabile a mettere in-
sieme in tanta strettezza di tempo ciò che pochi giorni prima, in
previsione di più largo e comodo spazio, si era convenuto nei patti
di voler fare. Ma io credo anche, — e creder credo il vero — che
assai più delle strettezze finanziarie un motivo di scaltra previ-
denza politica trattenesse il conte Carlo dallo scendere allora in
campo contro Pandolfo. La lega contro Cabrino Fondulo era stata
fatta mentre Pandolfo era tutto occupato nella condotta della
guerra di Venezia contro 1* Imperatore ; ed io mi penso che le
mire del conte Carlo fossero di gettarsi sulle terre di Brescia in-
tanto che Pandolfo era distratto nella guerra veneta ; e allora,
mancando a* suoi il suo braccio e la sua mente, era facile mettersi
sotto i nemici e compiere la conquista. Ma ora ch'egli era tornato,
le forze unite di Cremoiia e di Mantova potevano sì dargli molto
da fare, ma erano ben lontane dal poterlo schiacciare ; e la guerra
tirata in lungo andava a risolversi indubitabilmente nella rovina
totale della famiglia da Prato, perchè Mantova non aveva alcun
interesse in quella guerra, e non avrebbe potuto che rimpiangere gli
uomini che vi si perdevano e il denaro. E sul publico malcontento
avrebbe avuto troppa buona presa Paola Malatesta, che certo
avrAbe detestato con tutta l'anima la guerra che l'inviso ministro
moveva a uno di sua gente. Poteva ignorare il da Prato i senti-
menti che quella donna nutriva contro di lui ? E con Paola si sa-
rebbero uniti gli amici di Casa Malatesta, che dovevano essere non
pochi per le continue relazioni di quella Casa con i Gonzaga, e per
la lunga fratellanza d'armi che Carlo Malatesta aveva avuto col
morto Francesco Gonzaga. Né certo i da Prato andavano liberi
da altri particolari loro avversari in tanta potenza che si erano acqui-
stata, specialmente fra i Nobili, che in altri tempi erano usi godere
degli utili e degli onori del governo, ed ora si vedevano messi da
parte. Tutti costoro erano tanti nuovi acquisti per ingrossare le fila
dei s^uaci di Paola. Ai quali se con lunga e dispendiosa
guerra si dava tempo di lavorare sulla eccitabilità del popolo, e
•muovere malumore e minaccia di tumulti, era certa e inevitabile la
354 GIANFRANCESCO GONZAGA
perdita del potente ministro. Solo dunque in una disfatta completa
e sollecita del nemico poteva sperare il conte Carlo ; e come que-
sta per il momento non era né sperabile né possibile, così egli ac-
cortamente si tenne in disparte, aspettando opportuna occasione
ai suoi disegni. Intanto a dare spiegazioni della sua condotta e
pacificare Tadirato imperatore fu mandato per la quarta volta a
segreta ambasceria l'attivissimo frate Gaspare (i). L'imperatore
era allora in viaggio verso Y Italia e si avvicinava alle Alpi, per
scendere a Como.
Il frate partì il i agosto e passò per Cremona a scusare il Gon-
zaga presso Cabrino. Ripreso quindi il cammino aveva sperato di
giungere all'Imperatore in meno di otto giorni, ma invece spese
nel viaggio un mese intero perchè due volte fu preso, incarcerato e
spogliato. Non dice da chi, ma probabilmente fu lo stesso Pandolfo
che gli fece mettere le mani addosso, messo in sospetto di lui. Il
furbo frate però riuscì a cavarsene, e il 2 settembre si presentò al-
l'Imperatore, che aveva già passato le Alpi e scendeva alla volta di
Como (2).
Ma qui il racconto di frate Gaspare, un poco per la scrittura
e assai pifi per il senso, riesce inestricabile. Questo è chiaro che
l'Imperatore accettò le scuse, e offrì di prendere il Gonzaga al suo
servizio con cinquecento lance (3). Ma in questo frattempo Gian-
f rancesco si era impegnato con le sue genti al soldo di papa Gio-
vanni XXIII.
Questo Papa l'anno precedente aveva ripresa Bologna, che nel
141 1 gli si era ribellata. Ora, nelle sue condizioni di lotta con papa
Gregorio XII, era per il prestigio del suo nome cosa di suprema
importanza non tanto conservare quella città, quanto impedire
che venisse nelle mani del suo avversario. Bisognava dunque as-
sicurarla potentemente contro gli umori ribelli che sempre bollivano
fra quei cittadini, e più ancora contro le arti e la forza di Carlo
Malatesta» che con forte esercito teneva leRomagne per papa Gre-
gorio, e spesso, vecchia volpe di guerra, si andava avvicinando alle
(1) * Et propter ista fui missus quarto ad impera torem ad ista
• declaranda et reconciliandum ipsum imperatorem ^» Dalla cit. Rtlaz.
(^2) Cantì', Storia della città e diocesi di Como, lib. VI, p. 465.
(3) * Et ideo rcmìsit me dicendo quod erat bene contentus quod
• dominus nostcr magnificus acceptaret et haberet quingentas lances. „
Dalla cit. Re/az,
SIGNORE DI MANTOVA 355
mura di Bologna. Vi raccolse dunque quanti potè uomini ed armi,
ed assoldò fra gli altri anche il signore di Mantova. La ferma
presa col papa impediva al Gonzaga di accettare il comando delle
cinquecento lance offertegli dall'Imperatore, e però fu mandato
per la quinta volta frate Gaspare a ringraziare dell'offerta e spie-
gare la ragione del non poterla accettare, e perchè la sua parola
avesse maggiore efficacia di fede, si volle ch'egli soprassedesse a
partire finché avesse veduto co'propri occhi la partenza di Gian-
francesco alla volta di Bologna (i). Questa avvenne il 19 di ot-
tobre del 141 3 (2).
Abbiam veduto più sopra con quanta spensierata liberalità il
Gonzaga andava accrescendo Ininfluenza e l'autorità del conte
Carlo da Prato. Ora partendo per Bologna si spinse tant'oltre in
questo abbandono del suo potere nelle mani di lui, che, ancora un
poco, e non gli restava più che cedergli affatto il posto ed andar-
sene In data dunque del 16 ottobre, tre giorni prima della sua par-
tenza, fece nuovo decreto col quale revocava i poteri straordinari
concessi in materia giudiziaria al conte Stefano suo fratello ;
quindi, fatto grande elogio della lealtà e della prudenza del conte
Carlo, raccoglieva nella persona di lui tutti i poteri dello stato,
conferendogli fino a nuovo ordine potere uguale al suo, non solo
pel tempo che ^li resterebbe a Bologna, ma anche dopo ; non
solo quando egli fosse assente da Mantova, ma anche se egli in
persona si trovasse nella città (3).
Gli storici mantovani dicono che Gian francesco, stante la sua
giovane età, fu accompagnato a Bologna nel comando delle sue
(i) u Et dominus meus magnificus nolluit quod ego recederem
" nisi viderem ipsum cum gentibus omnibus primo recedentem, ut pos-
■ Sem ex visu suum rccessum imperatori refferre. „ Dalla cit. Relaz.
(2) " lòhannes Franciscus magnifìcus Mantuae dominus XIX octo-
' bris capitaneus papae lohannis effectus, Bononiam cum multis gen-
* tibus adiit. „ A. Nerli, Chron., cit., p. 1082. D.
Nell'Archivio Gonzaga, nel Libro dei Decreti, n. 2, p. 310 sotto la
data del 30 giugno 1414, si ha la ricevuta che il Gonzaga fece per mano
del suo secretano Cristoforo Arrivabene al tesoriere pontificio delle
somme che * pluribus vicibus et diebus „ ricevette come parte dello
stipendio che gli era dovuto per il suo servizio e delle sue genti a
Bologna.
(3) " Tarn per totum diete nostre absentie tempus quam post....
parem habeat nobiscum potestatem tam nobis presentibus quam ab-
• sentibus. » V. append. n. 13.
SIGNORE DI MANTOVA 357
logna, ed era tanto avanti nella fiducia del papa ; — 2. perchè il
Luigi da Prato mantovano doveva essere un uomo di gran conto,
come appunto appare quello di Bologna, giacché vedremo che Tim-
peratore Sigismondo domandò di averlo presso di sé con quante
più genti potesse, e quando non potesse con genti, pur di averlo,
contcntavasi andasse anche solo (i) ; — 3. perché dal modo di
esprimersi della Cronaca di Bologna par chiaro che il Papa mandò
per legato il cardinal Fieschi a richiesta dello stesso Luigi da
Prato; e nel processo si ha che il cardinal Fieschi era parente
dei da Prato di Mantova (2).
Le quali cose mi è parso dover qui notare, perché quanto più
ingrandisce la potenza e Tiniluenza dei fratelli da Prato, tanto
aumenta la gravità del pericolo che corse il Gonzaga.
Le commissioni di frate Gaspare per Tlmperatore, dopo la
partenza di Gianfrancesco per Bologna, eran queste : — Ripetere
le proteste d'obbedienza da parte del Gonzaga ; — Che questi co-
stretto da necessità aveva dovuto prendere soldo col pontefice ; —
Che servendo al papa e alla Chiesa credeva servire a lui e all'im-
pero; — Che se avesse voluto avrebbe potuto essere nella parte
contraria alla Chiesa ; — Che era sempre pronto ad ogni comando
dell'imperatore, avuta però licenza dal sommo pontefice durante
la ferma che aveva con lui (3).
Occorre appena avvertire che la necessità di prendere soldo
presso il pontefice veniva dalle strettezze finanziarie, per le quali
non gli era possibile di mantenere più oltre le sue truppe, A quanto
pare il conte Carlo aveva aperto delle pratiche con lo stesso impe-
ratore per mezzo del fratello Luigi, ciffinché prendesse al suo soldo
il Gonzaga con cinquecento lance ; e l'imperatore sarebbe stato di-
spostissimo ad accettarlo, ma quanto al pagargli il soldo, la qui-
stione era molto dif&cile a sciogliersi, perché se il Gonzaga era nel-
Tasdutto» poco meno di lui vi penava Sigismondo (4).
(i) * Scripsit Luysio de prato quod iret personaliter ad ipsum
cum pluribus gentibus quibus posset : saltem iret cum domino Man-
• Ulano. , Dalla cit. Relaz. di Fra Gaspare.
(a) Dalla testimonianza di un Enrico tedesco (23 marzo 1415) si ha
che il conte Carlo faceva pregare un suo fratello di latte: " quod mit-
* teret ipsum recomandatum Pape Imperatori et cardinali de Flisco
suo affini. „
(3) Balla cit. Relaz,
(4) Sigismondo per scendere in Italia aveva levato in Isvizzera
35^ GIANFRANCESCO GONZAGA
E cosi neirincertezza di una decisione, tardando da una parte
la risposta delFimperatore, e premendo dall'altra la necessità del
denaro, il Gonzaga colse l'occasione che gli si offriva, e accettò il
soldo di papa Giovanni XXIII (i).
L'imperatore accettò lieto le scuse portate dal frate, vedendo
confermata la buona volontà del Gonzaga a stare con lui, e scrisse
due lettere che lo stesso frate doveva subito portare, una al Papa,
pregandolo a voler dare licenza al Gonzaga di passare con le sue
genti al suo servizio ; l'altra allo stesso Gonzaga, perchè appena
avuta licenza, andasse da lui. Scrisse anche a Luigi da Prato in-
vitandolo ad andare egli pure da lui con quante più genti poteva,
e se non poteva con genti, andasse solo (2).
Papa Giovanni XXIII era allora a Bologna, andatovi il 12 no-
vembre 141 3, e — « quando entrò in quella città... menarongli le
€ redini il signore di Mantova con altri cavalieri di Bolo-
€ gna (3). »
E* noto che stimavasi grande onore reggere le redini alla ca-
valcatura del Pontefice, ed è naturale che trovandosi il Gonzaga a
parecchie centinaia di soldati, ma perchè non aveva modo di pagarli,
lungo il viaggio gli si sbandarono quasi tutti, onde egli giunse a Como
presso che solo.
(i) Nella relazione di frate Gaspare al luogo ricordato poco fa,
di difficile lettura e più difficile intendimento, si legge : ■ Luysìus [de
** prato] in somma dixit quod non daret ultra lanceas assìgnatas do-
" mino mantuano unum solidum nìsi imperator esset personaliter in
" mantua vel in bononia. n
A me pare che queste parole vogliano dire che presso Timpera-
tore, intermediario Luigi da Prato, si facevano pratiche perchè pren-
desse al suo soldo il Gonzaga con cinquecento lance, e che V impera-
tore facesse rispondere a Luigi ch'egli darebbe le 500 lance al giovane
principe, ma non un soldo di stipendio, finché non fosse o a Mantova
o a Bologna. E allora Luigi che era a Bologna, gli trovò soldo presso
il pontefice. Frate Gaspare ricorda ch'egli non doveva toccare nella
sua ambasceria " practicam quam inceperat dom. Karolus de prato prò
** magnifico dom, nostro, cum non posset plus sustinere gentes suas, ,
(2) • Imperator omnia gratissima habuit. Ipse imperator primo
u scripsit pape rogando ipsum ut vellet sibi concedere quod dominus
" magnificus veniret ad eum cum gentibus suis: secundo scripsit do-
" mino nostro magnifico quod habita licentia.... vellet ire ad euro.
« Item scripsit luysio [de prato] quod iret personaliter ad ipsum
** cum pluribus gentibus posset: saltem iret cum domino mantuano. »
Dalla cit. Relaz,
(3) Cronaca di Bologna in op. cit., XVIII, p. 603. D.
SIGNORE DI MANTOVA 359
Bologna fosse dato a lui, che superava di nobiltà tutti gli altri
nobili, il primo posto in quell'onore.
Letta la lettera dell'imperatore, il papa negò di cedere il Gon-
zaga, dicendo di volere condurlo seco. E infatti, quando sulla fine
dello stesso mese di novembre mosse alla volta di Lodi ebbe il
Gonzaga in sua compagnia (i).
Del convegno ira il papa e l'imperatore a Lodi a noi basta ri-
cordare che vi si stabilì di aprire il concilio a Costanza secondo il
desiderio dell'imperatore, e che dalla stessa Lodi furono datate le
lettere pontificali che indicevano l'apertura di quel concilio.
Nel ritornare da Lodi a Bologna papa Giovanni XXIII passò
per Mantova. I tempi erano feroci nelle passioni, ma ferventissimi
nel sentimento religioso, e l'arrivo del Pontefice in una città era
sempre un avvenimento del massimo entusiasmo per le popola-
zioni. E così fu per Mantova. E' vero che la cristianità era divisa
fra quei tre papi, ma qui si riconosceva Giovanni XXIII, e la massa
dei fedeli, senza sollevarsi a tante disquisizioni e distinzioni, si
contentava di sapere che quello era il papa, per venerarlo come
capo supremo della sua religione, Vicario di Gesù Cristo.
Gianfrancesco, il quale per natura era portato alla magnifi-
cenza, (e l'età giovanile dava naturalmente nuova spinta a questa
tendenza) preparò al pontefice accoglienza molto sontuosa. La
fama, come suole, ne sparse largamente la notizia, e la disse anche
più grande che essa non era, onde tra per la curiosità di assistere
a codesta festa e pel desiderio di vedere e riverire il pontefice,
all'arrivo del papa si riversò in Mantova tanta calca di gente, che
la città non bastò ad alloggiare tutti, e la sera molti dovettero
uscirne a cercare un ricovero per la notte nelle terre vicine (2).
Il papa entrò in Mantova il 16 gennaio 1 414 e vi stette fino al 15
del successivo febbraio (3) ; ed erano con lui 13 cardinali, e tutto
Io splendore della corte romana (4).
(i) « Ipse [papa] immediate dixit: ego vollo dominum Mantuae
" prò meutveniat mecum.... Et ita fuit papa Laude et dominus noster
« com eo. , Dalla cit. Relaz^
Gli storici mantovani qui pure si sbizzarriscono a raccontare me-
raviglie dei servizi resi dal loro signore al papa e all'imperatore.
(2)L. C. Volta, Storta di Mantova, Mantova, Agazzi, MDCCCXX VII,
lib. VII, p. 96.
(3) « Octavo autem anno.... (1414) XVI januari lohannes papa de
* Cremona Mantuam venit, ex qua recessit XVI febriiarii sequentis. „
Nkrli, Chron, in op, cit. XXIV, p. 1082 E.
(4) DoNESMONDiy Storia ecclesiastica di Mantova, lib. V, p. 359.
360 GIANFRANCESCO GONZAGA
Dopo il convegno di Lodi il Gonzaga era tornato a Mantova
per preparare l'accoglienza al sommo pontefice, intanto che questi
s'intratteneva con l'imperatore a Cremona (i). Anche frate Ga-
spare era tornato da Lodi a Mantova, ma fu fatto ripartire alla
volta di Cremona, apparentemente per informare il Gonzaga del
giorno preciso che il papa partirebbe per Mantova, in sostanza per
continuare le sue pratiche con l'imperatore, e vegliare all'utilità
e vantaggio dello stato mantovano (2).
Dice il Volta che Giovanni XXIII, per testimoniare al Gonzaga
il suo gradimento delle festose accoglienze fattegli, gli diede l'in-
vestitura d'Ostiglia, Villimpenta, Poletto ed altri luoghi, toglien-
dole al monastero di S. Zenone di Verona che li aveva in pos-
sesso (3). La cosa avvenne molto diversamente. Il Gonzaga te-
neva già da molto tempo quei luoghi dai monaci di S. Zenone,
pagando loro in censo annuo quattrocentoquattro mine di fru-
mento. Ma l'enfiteusi era vicina a scadere. Or egli trovandosi a Bo-
logna a servizio del Pontefice, pensò di trarre profitto delle buone
disposizioni che il papa gli dimostrava, e gli domandò che volesse
cambiargli in perpetua l'enfiteusi a tempo che aveva in quei
luoghi, e gli diminuisse a sole duecento mine di frumento le quattro-
centoquattro che fino allora aveva pagato. E il papa, a cui tornava
assai conto tenere il Gonzaga legato alla sua causa, facendo il ge-
neroso con la roba altrui, in data 23 novembre del 141 3 gli rila-
sciava un breve secondo la sua domanda, dichiarando di conce-
dergli la richiesta enfiteusi e la diminuzione del censo anche senza
la licenza o il consenso dell'abate e dei monaci di S. Zenone, e di
chiunque altro (4).
(Continua), F. I'akducci.
(1) Volta, op. cit, lib. VII, p. 97.
(2) * Recessimus de Laude et venimus Mantuam,... post recessum
■ dominus meus voluit ut irem usque Cremonam ut informarem de
** adventu suo [del papa]....
■ Item videretn si pax vel tregua fieret inter dominium venetum ...,
* et quod dominus noster non esset exclusus. , Dalla cit. Rela»,
(3) Volta, op. cit.^ lib. VII, p. 97.
(4) • Etiam absque abatis et conventus dicti monasterii aut ali-
* orum quorumcumque licentia vai consensu. ^ V. app. n. 13.'
NOMI LOCALI LOMBARDI <*^
.AAaa</C/c(i ) ' '^^^ vv€>e-^<
I. Mugglò. , , ,
(W due i luoghi che portati questo nome : un comune
vicino a Monza, e ima frazione del comune di Albate
in provincia di Como. La più antica forma del nome
è Ameglao, cui segue più tardi Megloe (i), e paion riferirsi, l'una
e laltra forma, al Muggiò di Monza.
Due quistioni son da risolversi a proposito di questo nome :
quella delia base radicale, e quella della desinenza. Intorno al-
luna e all'altra ebbero ad esprimere il loro pensiero due autorevo-
lissimi studiosi : il Flechia, Di alcune forme dei nomi locali dell'I-
talia superiore, p. ii n, e il Meyer-Liibke, Die Betonung im Gal-
lischen (Estr, dai Contoresi dell'Accademia di Vienna, CI. sto-
rico-filologica, voi. CXLIII), p. 55. Il Flechia paragona Ameglao
ai nómi gallici come Milhau, senza però pronunciarsi intorno alla
origine di Milh-y e lasciandoci anche il dubbio, in fondo, se il pa-
(i) V. Cossa, Dì alcuni luoghi abitati nell'agro mil. e com. che dal
medioevo in poi cambiarono nome o più non esistono in Giornale del-
ibisi, Lomb., HI, 185 1, p. 6. — L'epitesi, meramente grafica, dell'-^^ in
Megloe, Fenegroff ed altri (Caloe Calò, Bechaloe^ in questo Archivio,
a. 1900, p. 322, che si ragguaglierà certo a un Beccalo) e Beccalo si
legge infatti nell* Indice del Giulini *, VII, 25), si rivede anche nei testi
volgari lombardi dell'età di mezzo (p. es. amigoe amicò, ecc., in Be-
scapè, Keller, Die Reimpredigt des Pietro da Barsegapè, p. 23) ed è da
attribuire ad una falsa ricostruzione. Come cioè doveva dirsi /ro, frode,
e si scriveva froe, come verilà, virtù venivan ricostrutti, per giusta
tradizione etimologica, in veritae, virine, cosi, estendendosi falsamente
il vezzo, si venne ad aggiungere -^ anche a tali voci ossitone cui esso
per nessuna ragione spettava.
(*) Trattandosi di un lavoro di natura del tutto speciale si sono ab-
bandonate per eccezione qui le regole tipografiche adottate per V Archivio.
La Dn^EzioNE.
Arck. Star. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXIV. 34
362 NOMI LOCALI LOMBARDI
ragone non sia istituito in primo luogo per la desinenza. Il Meyer-
Liibke va più in là, non s'accontenta di porre Muggiò sulla stessa
dere se non si presenti una più ovvia, una più casalinga dichiara-
stula addirittura e per questi e per quelli la base Aemilius. Que-
sta conviene certo alle forme galliche, ma va assolutamente ricu-
sata per il nome lombardo, poiché qui da /; non si poteva venire a
gg(i), naa solo a ;, onde la giusta risposta, prescindendo per ora
dalla desinenza, che in Lombardia avrebbe trovato Milhau, sa-
rebbe stata * Mijò, poi * Mjò (cf. mjò migliore, fjo figliuolo) ; e
viceversa, perchè il ll(i) o Ih della Gallia potesse corrispondere al
gg(i)* lombardo, occorreva fosse un ll(i) risalente al lat -ci- (frane
or etile = lomb. ori già). Questo deve aver sentito il Flechia,
quando si astenne dal postulare una base comune per i termini
galli e lombardi, che a lui pareva di non dover considerare come
cosa diversa. Ma scindere dovrem pure i nomi gallici, che certo
rispecchiano AEMILIUS, dal lombardo. Questo altro non sarà che
uno dei tanti derivati dal lat. META (i), o meglio dal diminutivo
METULA (2). A questa base radducevo io già (Romania XXVIII
99-101) la voce mucchio (lomb. mùCy e mugid), e confortavo, tra
altro, il mio etimo col bresciano mécol mucchio, 1. e, p. 100 n. Un al-
tro bel conforto le viene appunto dagli antichi Ameglao Megloe
contrapposti a Muggiò, Il qual Muggiò andrà dimque coi nnll.
Muggio, Muggiasca (in valle di Muggiò), Muggiasco (Lecco e Ber-
gamo), Mugcna (Lugano), Muggiano (Milano e Novara), ecc
Quanto airelemento derivativo, s'accordano il Flechia e il
Meyer-Liibke nel ravvisare neir^^, onde poi ò (3), im -avo da man-
darsi coir-tfz;^ di Andecavo Pictavo, ecc (v. Meyer-Liibke, o. e,
PP- 54-5)» ^"^àt, il francese ha -ou (Anjou, Poitou, ecc). Alla quale
affermazione devo io opporre ch*è in ogni modo troppo assoluta ;
che la presenza del derivativo -avo nei territori cisalpini non con-
sta per nessun esempio sicuro, e che, per quanto in massima
(1) Cfr. Meda (^Monza), Mede (Mortara), Medole (Brescia), Medassino
(Voghera), Meda-lunga (Lecco). Molto verosimilmeute rivengono alla
stessa base il bologn. e lucch. Medicina; v. però Pieri, Topon. del Scr-
chio e della Lima, 183.
(2) Questa base anche nel soprasilv. mtgliàk, Huonder, Vok. von
Disentis, § 9, in nota.
(3) L' -ò si ragguaglierebbe cioè a quello di Nicolò = Nicolao, del
vcn. Aimorò Ermolao, e forse di Bamaòò, che sarà • Barnabà(s) * Bar
NOMI LOCALI LOMBARDI 363
possibile, non è buon consiglio rammetterla in base a una voce
più che problematica, e per la quale corre prima l'obbligo di ve-
dere se non si presenti una più ovvia, una più casalinga dichiara-
zione:
Questa più casalinga spiegazione io credo di averla trovata,
ed essa ci porta ad -dio, onde Ameglao altro non sarebbe che
'ammucchiato*. Può parere strano che già s'ammetta pel sec. X,
— che a tale età risalgono gli esempi di Ameglao, — la espun-
zione del -/- ; ma la cosa parrà, credo, ad ognuno più ovvia, ove
si muova non dalla normale soppressione del -/-, ma da quella
che poteva aversi nel caso speciale di un suffisso avente una spic-
cata funzione morfologica ; quella riduzione che vediamo oggidì
compiersi appunto in -àio, ridotto a -ti od -(J, anche in dialetti che
nonnalmente conservano il -a?-, succedaneo di -/-,e che ha il suo pre-
ciso riscontro nella soppressione del -/- di -ATis ecc, indicat pres.,
e di -ATE ecc, imperat, in dialetti, come il bergamasco e gli emi-
liani, che solitamente conservano il -/-, e trova un riscontro ana-
logico nella riduzione ad -à che subisce la desinenza infini-
tivale -ARE pure in dialetti centrali e meridionali che altrimenti
punto non sopprimono il -re, e dove, da altare mai non si ver-
rebbe ad * alta, nonché nella desinenza d'imperfetto -éa ecc., dif-
fusa per lingue e dialetti che rispettano il -v-. — Altri esempi di un
tale -do sono Fenegrao (Monum. H. P., XIII, doc. 846, ann. 988 ;
e la forma ritoma in un apografo del sec. XI di un docum. del 995)
per il moderno Fenegrò (Como), e, particolarmente probanti que-
sti, Turao e Musao (Mon. H. P.. XIII doc. i.) (i) per i moderni Tu-
fate e Mozzate (2), che ora suonano in Lombardia Turda e Mozda,
ma dove il -/- della forma aulica sarà di schietta tradizione etimo-
logica.
Circa alla riduzione in -ò di questo -do, esso è fenomeno noto
(i) n docum. è deira. 712, ma si tratta di copia del sec. XII.
(2) Il docum. 519" (a. 926; autografo) dei Mon. H. P., XIII, ha un Mor-
cao, nel quale nome Teditore ravvisa Marcò sul lago di Lugano. Egli avrà
certamente ragione, se nel (prima) Calauna dello stesso documento si
deve riconoscere Carena, villaggio assai vicino a Marcò, riconoscimenio
a cui invero nulla s'oppone. ~ Siccome io, Ball, st. d, Svize. it,, XX, 40,
spiegavo -co per * capo „, e questa dichiarazione trae conforto dalla
topografia, così in -cao riconosceremo viva la fase necessariamente
anteriore di questo -fd, fase che forse si tramanda fino ai nostri dì
nel Morcó (falsamente ricostrutto in Marcate), che è nome d'una punta
di terra nel Lario, ed è nota a tutti grazie al cap. 5* del Marco Visconti.
364 NOMI LOCALI LOMBARDI
nella regione alpina lombarda (v. La Lettura I 721) e nel dialetto
pavano, e i nomi locali ci ajuteranno appunto a riconoscerne il
più ampio dominio suo nel passato della pianura lombardo-emi-
liana. A p. 41 del XX voi. del Bollett stor. della Svizzera ital., già
spiegavo io da * Populatu il lugan. Povero. Ma qui, V-ò da -àtu ar-
riva sempre si può dire sino alle porte di Lugano. Più notevoli,
come spettanti a territori che oggi più non hanno il fenomeno,
sono i com. Muggiò e Fenegrò, il brianz. Vigano (i) che sarà un
* Vicanatu (cfr. berg. Vigano^ bellinz. Vigàna, ossol. Viganella
lug. -^, valses. Viganallo, ecc.), e ritoma più in giù, come nome di
una frazione del comune di Gaggiano (Abbiategrasso) (2). Nella
provincia di Pavia il fenomeno era comune fino a tutto il sec. XV,
e vedine Boll, della Società storica pavese, II 201. Ne restan te-
stimoni il vogher. lo lato, e il ni. Remondò (3) di qua dal Ticino, in
territorio di Trivolzio. Questo Remondò ritoma nella Lomellina,
nel comune di Zerbolò (4), e in compagnia di Travacò (5), vicinis-
simo a Pavia, di Gambolò e di Cambiò (6). Le antiche carte latine
(i) I documenti hanno, per Vigano, la forma Viganorium (e Viga-
nore\ che ritengo essere delle ricostruzioni fatte sulla norma di rasóo,
= rasorio rasojo, fióo fiore, ecc. — Tuttavia, siccome i nnll. Baraanò e
Romano sembran celare degli antichi genitivi in -orum (v. Cossa, o. e, 6;
un analogo genitivo conserva Pavia in S. Giovan Dona chiamato sempre
auh'camente S. Giovanni Domnarum, e volgarmente anche S. G. di dònn\
cosi potremmo chiederci se una ugual desinenza non fosse da ricono-
scere pure in Vigano, che al postutto potrebbe anche rappresentare
una formazione in -orium ; cosi come il vicinon " territorio dei vicini ,
degli antichi statuti di Biasca (che si rivede nel ni. t^isnù di Arbedo
presso Bellinzona) può essere vicinorum e ♦ vicinorium. — Circa all'-d,
tanto in Vigano che in Romano e Barbano, esso non sarebbe regolare,
dato •orum e 'Orium, ma si può spiegare dalla tradizione scritta sosti-
tuita alla tradizione orale.
(a) Nella Brìanza, si hanno anche Calò (Calodium nelle carte; v. più
avanti le note che rig^ardan Rhò e Salò) e Brusco, che ben potrebbero
contenere -<l/o.
(3) Si sarà detto prima di un terreno dissodato, " rimondato ,.
(4) Ziròolò -=. Gerbulato, da »èrb terreno non dissodato.
(5) Travacò = Travaccato, da travóca, che a Pavia s'adopera nel
significato di * edificio fatto per sostenere un certo corpo d'acqua che
serve per V irrigazione n. Si paragona idealmente al ni. Fossarmaio, cioè
* fosso armato „ eh* è pure dì Pavia.
(6) Cambiò è * campo beato ., nelle carte; formazione possibile;
ma anche potrebbe trattarsi di un ^Cambiato, d'altra origine, cosi in-
terpretato etimologicamente.
NOMI LOCALI LOMBARDI 365
hanno per questi nomi costantemente delle rispondenze in -àto (i).
Nel territorio piacentino, è notevole il ni. Seminò San Miniato.
L'origine di -do da -àto riman quindi la più probabile, per
quanto \-ào, e quindi ò^ possa avere altre origini : così da -àdo in
?ò e nel sost Vòo di Vallintelvi « solco o spazio tra campo e
campo*» It. VADU; onde il ni. Vòo (v. il Monti, Voc. com.) e
Vho (2), nome di un comune in prov. di Cremona (Piadena ; chia-
mato già S. Maria in Vado), di una frazione di Modignano (Lodi)
e di una frazione di Tortona ; — da -ago in fò faggio, It. FAGU,
e nel parm. frò fragola, It FRAGU / — da -avo -àpo in co capo (3).
Nessuna di queste formole può far concorrenza ad -àto. Piut-
tosto mi chiedo se una concorrenza non poteva sorgere da -àcu, da
quel suffisso cioè onde si hanno i numerosissimi nomi locali in
'ago, e di cui v. il Flechia, o. e, 12 sgg.. Ben è vero che il Meyer-
Liibke è alieno dal l'ammettere che questo -g- secondario possa,
come il primario, andare smarrito. — Ma io credo che a una tale
conclusione si possa invece venire. Nel dialetto di Venezia, c*è
(i) Da gente che conosce i luoghi ho che nelle parti di Gallaratt
e Somarate, questi paesi si chiamano Galarò, Samara, Non ho tuttavia
potuto constatare, se per avventura colà non sia -d la normal risultanza
di un à riuscito finale. Non lungi da Galarò, c'è Rhò, che, giudicato dal
punto di vista puramente lombardo-occidentale, potrebbe voler dire non
altro che • arato „. Senonchè c'è un Ro a Montichiari (Brescia) e un altro
a Copparo (Ferrara). A volerli giudicare e dichiarare insieme, mi par-
rebbe che fosse da pensare al lat. rapum (cfr. il ven. rao\ ridotto
com'è • CAPU in co, — Per Rhò, le carte latine hanno Rode e Raude -do,
e queste forme, specialmente l' ultima, hanno indotto gli studiosi locali
alla fantasìa che in Rhò fossero da riconoscere i Campi Raudii, Quanto
a me, ra' accontento di notare che Pò è frequentemente ricostrutto,
nelle carte latine di Pavia, per Paudum -de, certo sulla norma per cui
a Lo (cfr. Los Lodi, nel Crisostomo pavese) corrispondeva Laude, e
che, in carte latine di Verona (v. Cipolla, Un amico di Cangrande I della
Scala, p. 46), la voce fò, faggio, è ricostrutta per fodum,
(2) Uh di questa forma non credo lo si debba al fatto, possibile
certo, che un momento si scrivesse Vaho (pron. Vóo), con h indicante
0 stacco tra le due vocali ; ma si spiega da una servile imitazione di
Rho. E qui lo si deve, ognun capisce, ai pedanti che pensavano a Rhodos,
(3) Invece di co, il mil. ha eòo. La lunga e la breve devono spie-
garsi dalla diversa età in cui ne' diversi luoghi l'-do di eòo s' è chiuso
in "6, La qualità poi di quest'd, a Milano, dipende dalla sua quantità ;
in 6n di parola, una lunga accentata dovendo sempre sonar chiusa, e
una breve aperta (cfr. póo poco, nò no)
366 NOMI LOCALI LOMBARDI
aveta gugliata, e questo aveta non si spiega che coH'ammettere
come punto di partenza * avo ago ACU ; e questo * avo già m'in-
coraggiava (Boll. st. d. Svizz. it XXII 97) a riconoscere in Po-
schiavo un * POST-LACUM (cfr. il mil. Poslaghetto). Si tratta in
questi due esempi, è vero, di -u limgo, ma credo sia cosa fortuita,
e in ogni modo non mancano gli esempi in condizione diversa. Nel
territorio pavese, i nnll. Gius sago, Gerenzago, LardiragoMarci-
gnagOy Pabiago suonano Giussà, Zerenzà, Lardirà, Marsgnà, Papié,
e così a Pavia hanno Pastura per il Pasturago di Abbiategrasso,con
un -à che par rispondere a -àto, quasi si trattasse di * Giussàte ecc
Ma le forme antiche di quei nomi hanno costantemente -aco -ago,
concordando così, com'è giusto che sia, colla moderna forma il-
lustre. Ben è vero, dopo quanto è detto in Bollett della Soc. stor.
pav. II 196-7, che potrebbe trattarsi di una risoluzione specifica-
mente pavese. Ma che anche altrove, in Lombardia, si venisse da
-àco -ago ad -do, come vi si veniva da -àto, -àdo, è provato da ciò
che qualche nome ci offra insieme -ago ed -àte. Così il Monti, Voc
Com., Appendice s. Tonzàa', dà, come riflessi volgari di Ponzate,
le forme Ponzàa e Ponza gh. Ver curate dà il Giulini qual forma an-
tica di Vercurago. Nello scritto del Cossa sopra ricordato, p. 17,
si allega da un documento del 11 40 un Certenade a pud S. Abun-
tì?iww(i),€ facilmente, soggiunge il Cossa,nella provincia di Como.i
Ora, nell'antico dominio comasco, in un territorio che jeri ancora
spettava alla Diocesi di Como, cioè nel Luganese, c'è appunto Cer-
tenago e, a lui vicinissimo, Sant'Abbondio. Il Coronate di Abbia-
tegrasso, si chiamava anche Cornago, e Coronagum è la forma dei
documenti (v. Giulini', VII, 316) (2). Corbesate, frazione del co-
( i) Per -ade, cfr. Arbigiadef Laniade, Agredade nel Giulini *, VII 314,
318, 331, e Casirade = Castrate (Treviglio), Catcinade =^ Calcinate (Mar-
tinengo), Divelade, in docum. del 990, 973, 959, ap. Mazzi, Corografia
bergomense, 121, 134, 241. — Circa alla sostituzione, meramente rico-
struttiva, delF-^ air-o, v. Flechia, Di alcune forme dei nomi locali del-
V Italia superiore, p. 74 sgg. È evidente che la ragione ultima è questa :
nella pronuncia volgare -a (rispettivamente -ad) tanto rispecchiava -àte
quanto -dto {està estate, abà abate, mercà mercato), e nel ricostruire que-
sto 'à si preferì il primo, forse per V influenza di civitate, o per quella
di derivati latini come arpinate ecc., che dovevano avere una certa
diffusione fra i letterati medievali, se se ne poteva avere, p. es., ber-
gontate, ecc.
(2) Neir Indice corogr. del XIII voi. dei M. H. ?., si legge Cuxadt =
CusagOf ma a p. 1078 n. è detto: „ Citxadi ignoto, ma forse Cusago ,.
NOMI LOCALI LOMBARDI 367
mune di Bomasco (Pavia), che suona dialettalmente Corbsà, com-
par nei documenti come Corbexago, La Cronaca di Cremona dal
MCCCIC al MCDXLII, pubblicata da Fr. Robolotti nel i. voi.
della Biblioteca Historica Italica, parla, a p. 175, di Medolato del
bergamascho, un nome che non potrebbe non corrispondere a Medo-
lago (i). In tutti questi nomi, e nei parecchi altri che una ricerca
sistematica certo riuscirebbe ad aggiunger loro, non v'ha certo so-
stituzione di -àio -e a -ago, o viceversa. V*ha confusione tra Tuno
e l'altro suffisso, e questa confusione non si può spiegare in miglior
modo (2) che ammettendo il confluire in -do (-d) di -àto e di
-dco (3).
(i) Di MedolagOf v. il Flechia, op. cit^ 44-5, Mazzi, Corografia bergo-
znense dei secoli Vili, IX e X, pp. 323-3. Per quanto la forma più an-
tica (a. 917 ; Medolaco nel 952) sia Mediolacus dovrem pur riconoscere
in questa non altro che una introduzione arbitraria di medius; che
Medo- non può in nessun modo risalire a medio. Onde penseremo me-
glio a METULA. — Quanto all'alternare di -ago e -àio in questa parola,
esso prova certo meno che non negli altri esempi, trattandosi di ter-
ritorio dove 'àto non si riduce ad -oo, ma, attraverso ad(o) ad -àt. Debbo
tuttavia ricordare, che non manca, nella Lombardia orientale, la riso-
luzione di 'àio per -ào. Il saggio di Avenone (Valsabbia-B rescia) nel
Papanti, mi fornisce pensa/ {la pensa/ =» Pa pensa/) pensato (bis), e sco-
mensa/ cominciato, che rispecchiano un -avo da -ào (cfr. tardi/ tardivo),
e, nel femminile, nàa andata, tomàa ritornata; il saggio di Trobiolo,
pure in provincia di Brescia, mi dà buia " buttato „, fià fiato, e naa
andata, sconsolaa. Nel saggio di Olmenetta (Cremona) : pensaa allato a
ptrdonnat e a -oda. — Gli esempi di Avenone e di Trobiolo, luoghi
della Vakabbia vicini a Sa/ò, sono particolarmente importanti per la
storia di questo nome. Essi rendon lecita la domanda di sapere, cioè,
se anche qui non s'abbia un * salato dal germ. " sala „, base frequente
nella toponomastica alto-italiana. La forma più antica di Salò par essere
Salaude (in docum. del 1016 e del 1186, ap. Bettoni, Storia della Riviera
di Salò, IV, pp. 8, 15), più tardi e* è Salodo e Salodium (cfr. ancora oggi
salodiano di Salò) ; e si T una che l'altra potrebbero esser non altro
ehe delle ricostruzioni, sul genere di Paude^ fodunt, di cui in una delle
precedenti note
(2) Teoricamente si può certo pensare che da -ào si venisse a -avo
e quindi ad 'ago (cfr. Vincislago, Venceslao, a p. 180 della Cronaca
cremonese qui sopra menzionata). Ma se -avo veramente occorre (v. una
delle precedenti note e Arch, gioii. U, XIV, 239 n)^ non vedo che occorra
la fase -ago, all' infuori del territorio pavese antico (v. Bolleit. della
Soc, star, pav, II, 197-8), dove ha una ragione locale, e quindi potrebbe
suffragare solo gli esempi pavesi come Gerenzàgo, ecc. Pei quali, trat-
tandosi di territorio dove il -e- anticamente si risolveva alla pedemon-
tana, si potrebbe del resto anche chiedere se non rappresentino questa
successione : -ago * -àjo, * -do, -ago,
(3) È così che la doppia forma medievale {Gaitedum e Gatlerium;
NOMI LOCALI LOMBARDI 369
Lascio da banda il VlCUS Laevorum che è assolutamente in-
sostenibile, e mi fermo alla proposta del Rossi-Case, non perchè
questi abbia prodotto degli argomenti validi, ma perchè la sua eti-
mologia ha avuta la fortuna, come's*è detto, di piacere al Meyer-
Lùbke II quale però, com'è naturale, trova alquanto avventurosi
i mezzi dichiarativi del Rossi-Case e ne propone di più ragionevoli ;
più ragionevoli ma non meno artificiosi. Prescindendo infatti dalla
circostanza che il VlCTUMULAE di Livio è solo una congettura, per
quanto fondata, e che il VlCTUMIAE dello stesso Livio difficilmente
s'identifica con VlCTUMULAE (v. L. Schiaparelli, 1. e, p. 258), ri-
man sempre che la risposta normale lombarda di VlCTUMULAE o
• VlCTOMULAE (i) sarebbe stato * Viciómol(e) (a) con o chiuso
se si suppon breve Yti della prima base (3), con o aperto tutt'al
più (4) se si muove dall*^ breve della seconda.
Ognun vede qual divario corra tra questo * Viciómol(e) e Vi-
ghan(o) ; e Thanno visto, s'intende, anche il Rossi-Case e il Meyer-
Liibke, che quindi, a togliere le dissonanze pongono in opera ogni
più potente ordigno. Ma invano, che il g(e) al posto di c(e) e Yé al
posto di 6 non si lascian di leggeri sgominare. — Per il primo fatto
non conosco io in Lombardia nessun sicuro esempio che lo corro-
bori (5), e anche i difensori dell'equazione non ne conoscon né di
(i) VlCTOMULAE (con o breve) sarebbe cioè suggerito dall' Oòtxxó^iXa
eh' è ofiferto da autori greci in corrispondenza al passo di Livio.
(2) Data la sincope della vocal postonica, si poteva anche venire,
in epoca antica, a • Victumbl(e) onde '^Viciombi{e)\ e, supposta una ugual
sincope in tempi recenti, si poteva averne, dato il fenomeno vigeva-
nasco e lombardo di -/- in r, • Viciombr{e).
(3) Se lo si suppon lungo, il volgare avrebbe ù nella tonica.
(4) Dico " tuttalpiù V perchè non voglio escludere la possibilità che
Xó breve conservasse il suo carattere anche se seguito dalla nasale. In
realtà, ne' dialetti della pianura lombarda, Vó breve cui sussegue una
consonante nasale, si ragguaglia a o chiuso (mil. bon bonus, ecc.^ come
presoti prigione, òm homo, come pòm pomum).
(5) n mil. lùgiàf piagnucolare, deve risalire, come credo d'avere
altrove avvertito, a ♦ iucfulare, o forse meglio a * Iugulare (cfr. piango^
àtri da piangere). Il com. rUgi, eruttare, si risente di riigi ruggire. Il
blen. siranogià, passar la notte fuori del letto, sta sotto l' influsso di
verbi in -ogià aventi cattivo sapore (cfr. il belli nz. Hnògià far lo scio-
perato) o è stato fatto a noe, notte, sulla norm. di oc, occhio, ógiada^
occhiata, ecc. — A mio avviso, il miglior modo di difendere il ^é) sa-
rebbe stato questo : che il g{i) grafico per c{f), tanto radicato nelle con-
370 NOMI LOCALI LOMBARDI
sicuri né di malsicuri. Per il secondo, — meramente grafico tanto a
giudizio del Rossi-Case che del Meyer-Liibke, — sfido pure a tro-
varmi un secondo esempio. Uo, — poiché di o si tratterebbe, — non
era certo ignoto ai nostri antenati del M. E., e possiamo ragionevol-
mente credere che i molti nomi locali di oscura ragione etimologica i
quali contengono un o, già avessero questo suono nel sec. XII ; ma
nessun documento latino rende quel suono altrimenti che per o. I
documenti volgari lombardi dei sec. XIII e XIV non hanno nessun
segno speciale per o, come non ne hanno nessuno per u. Per trarsi
d'impaccio ricorrono agli esponenti grafici più vicini, e quindi,
come rendono ti per u, così o per o. Mai non accade che per 3 scri-
vano e. Non sarebbe egli dunque una cosa oltremodo strana, che
alla costante consuetudine si sottraesse, con uguale costanza, solo
la penna di quanti, — nessuno eccettuato, — dovevan mettere in
carta il presunto * Vigiovan? — 1\ v poi e il « nella dichiarazione
del Meyer-Liibke, — di quella del Rossi-Case non mette conto par-
lare, — sono intimamente connessi. Il dotto cattedratico di Vienna
muove da un *Victomel, con un -el insolito, dice egli, e che quindi
era soggetto a tramutarsi in ;// o in en, come si vede accadere in
mùggine = lat. MUGIL. Ora, che si potesse passare 2l ulh cosa ben
o\^ia ; ma il passaggio a en non si può giustificare con mùggine,
dove si parte da -IL (-ILIS in Isidoro di Siviglia) e dove pure l'a-
dattamento pili naturale portava a -ILE o a -XILO, avendosene in-
fatti il gen. miizaoy il sic. mul-etto, e forse il com. mugro
(= * viùjolo * muoio * mùvolo) allegato dal Monti e da lui tra-
dotto per 'storione'. Ma dato un -menio), ottenuto come pretende
il Meyer-Liibke, era facile che m-n si andassero dissimilando
per v-n.
Ma certo il Meyer-Lubke non avrebbe sfoderata la sua ta-
gliente spada in favore di VlCTUMULAE, ove avesse conosciuto il
ViCUS Gebuin rivelatoci da Nic Colombo e che di tanto ci allon-
tana da VlCTUMULAE di quanto ci raccosta a Vigevano. Ricorre
esso in sette documenti della 2.* metà del sec. X, senza la concor-
renza di nessun'altra forma, all'infuori di quella ben poco mo-
mentosa di Giòuin, per cui vedi, del resto, le forme franche pure
con Gì-, in un documento del 981.
suetudini medievali di Lombardia, avesse finito per esser preso come
un g reale. Ma. a tacere anche che del fatto mancherebbero altri
esempi, sorgerebbero qui le ditìScoltà di cui si tocca più in là a pro-
posito di Gebuin,
NOMI LOCALI LOMBARDI
37J
Cos'è ora questo Gebuin? A dichiararlo già s'è provato N.
Colombo ; ma non si può dire che siano queste le più felici pa-
gine del suo libro, per quanto abbia egli ragione di ravvisare in
Gebuin un nome proprio di persona da giudicarsi come i nnpp.
Ardoino, Aldtdno, e molti altri analoghi, di cui può vedersi una
lista nel Bruckner, Die Sprache der Langobarden, p. 233, e ai
quali lo stesso Colombo, 83, aggiunge Geroin (a. 963). Indipen-
dentemente dal nome locale che qui ci occupa, compar esso qual
nome proprio (Gibuinus) in documenti milanesi del sec. XII (v.
Giulinì', VII, Indice generale 106, 107, col i ), e comparirà
forse altrove, cKl avesse la pazienza di compulsare a tal uopo le
scritture medievali. E* nome d'origine germanica e si compone di
un radicale geb(aX che tanto il Bruckner che il Colombo connet-
tono col ted. geben (ingl. /o give, got giban), e del sostantivo
wini da mandarsi coll'anglo-sass. e coll'ant. alto-ted. wini amico,
che si rivede, qual primo elemento del composto, nei nomi Gui-
fàfredo, GuinibaldOy Guinigi, ecc. Uu di -uin non è che l'espo-
nente grafico di «/, quando questo sia a formola intema.
Data la qual base, e riconosciuto che tanto le voci geba e
wini, quanto la possibilità di comporle insieme in una sol voce, son
comuni alle diverse schiatte germaniche (i) che si son succedute
sul nostro suolo, sorge il problema di sapere a quale di queste sia
realmente da attribuire il nome Gebuin. Nella mancanza di altri
criteri per decidere la questione, parrà ragionevole di ritenere che
il nome spetti a quella tra le popolazioni germaniche nella cui
onomastica esso veramente compare. Ora, per quanto può valere
Vattestazlone dei documenti, il nome Gebuin manca alla onoma-
stica dei Goti e dei Longobardi (2). Lo conosce invece quella de'
Franchi. Il Waltemath, Die frànkischen Elemente in der fran-
zòsischen Sprache Paderbon 1885, allega, a p 23, un Gkiboino
figurante in un documento del 694, e dalla Chanson de Roland è
(i) Per i longobardi, v. Bruckner, op. cìt., passim. Per i nomi
degli ostrogoti composti mediante -wm, v. Fard. Wrede, Die Sprache
der Ostgoten in Italien, p. 83, s. « Odwin „. Per i franchi, vedansi il
lavoro del Waltemath, e quello del Mackel, Die germanischen Elemente
in der franzòsischen und provenzalischen Sprache (Heilbronn, 1887),
Indice, p. 199, s. Gebouin.
(2)11 Geboin addotto dal Bruckner è nella combinazione Vicus
'«, e SI riferisce appunto, come appare dall'identico esempio ac-
o aa IN. Colombo, a Vigevano. Nulla prova dunque per i Longobardi.
37^ NOMI LOCALI LOMBARDI
ben noto quel barone Gè- o Gibuin, cui Carlo, prima di avviarsi
all'inseguimento de^Saraceni, affida la guardia del campo di Rcm-
cisvalle, che è da lui incaricato di scortare le salme di Orlando»
di Olivieri e di Turpino, e che muore ucciso da Baligante (i).
D'origine franca dobbiam dunque ritenere che sia il cisal-
pino Gebuin. Dove però la matassa subito s'aggroviglia. Dopo un
silenzio di circa un secolo e mezzo (2), che incombe sul nome, esso
riappare alla luce del mondo in due forme quasi contempo-
ranee (3) : Vegevan(ensem) e Viglevanum (4), due forme che
quindinnanzi ricorrono continuamente e promiscuamente, preva-
lendo il -^/-, — e riuscendo esso anzi a un completo trionfo nelle
carte latine, — man mano che i tempi si fanno meno remoti.
Non dubito di asserire che una sostanziale differenza tra la
forma con -g- e quella con -gì- non intervenga. Questa non fa al-
tro che ricostruire quella sulla norma di giaza gianda = GLACIES,
GLANDE. Un altro rapporto tra le due forme non si saprebbe esco-
gitare. E con ciò è detto che Vegevano già avesse nel suo g ima
palatale, quella palatale che si continua fino nell'odierno Vige-
vano, e che non poteva essere nella base germanica.
La qual palatale come si spi^a? Un trapasso diretto ad
essa dalla gutturale di Ghebuìn non è possibile. La gutturale dei
nomi germanici, anche se seguita da e od i, rimane inalterata in
Italia, e vedine Bianchi, Arch. glottol. ital. X 398-40 (5). La con-
(i) V. E. Stengel^ Das altfranzòsische Rolandslied. Kritische Aus-
gabe. I, p. 386 s. " Gebuin „. È notevole rilevar qui come nella redazione
franco-italiana della Chanson (V^) compaja (^abufn, dove il f (= jb so-
noro) ci dice la via per cui sì sarebbe messo in Italia il g di Gebouin.
(2) In un documento del 1056 (N. Colombo, p. 69) compare uico
UI....GINE; l'intiera forma è cioè resa illeggìbile da una macchia d'in-
chiostro. — Nella copia di un diploma del 1064 (N. Colombo, p. 42) si
legge Veglevani, dove, trattandosi appunto di una copia, sarà lecito il
procedere con qualche diffidenza.
(3) N. Colombo farebbe più antico il comparire di gè- che non
quello di -gle-) e infatti, ne' documenti da lui contemplati, la prima forma
occorre nel 1133» la seconda nel 1191. Ma tra quelli pavesi del Majocchì,
s'ha -gle- già nel 1143. Onde potrem ritenere meramente fortuita la
precedenza cronologica di -gè-,
(4) Prescindo per ora da altre differenze che non sia quella tra
'g- e -gì'.
(5) Il Bianchi tratta qui anche del rendere che facevano in To-
scana la gutturale germanica seguita da i o e, pei segni g o gh^ e mo-
NOMI LOCALI LOMBARDI 373
tinuazione diretta di VlCUS Gebuin ci avrebbe quindi condotti a
• Vigkevano. Ma una tal forma è esclusa dalla moderna pronun-
cia, dalla ricostruzione di questa per Viglevano fin dal sec. XII,
dal fatto che non una sola volta si scriva -gie-. La spiegazione
della palatale è quindi giuocoforza cercarcela per vie oblique. E
a noi s'impone Tesarne di queste tre possibilità :
che lo scritto Vigevano, con -gè- presuntamente gutturale,
venisse poco a poco letto come se il j' fosse palatale, allo stesso
modo, p. es., come noi leggiamo guidrigildo, ecc., e che questa let-
tura finisse col passare dai letterati al popolo ;
die Ghebuin sia venuto a pronunciarsi con g palatale, per
essere passato in Italia quando la favella di Francia già aveva ri-
dotto alla palatale la gutturale della base germanica (v. Mackel,
0. e, 150) (i), quella riduzione francese, cioè, a cui dobbiamo
d'avere, p. es., Gerardo allato a Gherardo ;
che col g palatale, si risalga a un gì il cui / compaja inorgani-
camente nella parola.
Alla prima e alla seconda di queste ipotesi si deve però muo-
vere ima grave obiezione. Il g che, data Tuna o l'altra, sarebbe ri-
sultato, era quel g che negli antichi documenti volgari di Lombar-
dia è rappresentato dai segni q o z, segni cui compete il suono di z
sonoro (cfr. zente o qente gente, reqer o rezer reggere), suono che
stra come invalessero colà ambedue le grafie. Non parmi che la stessa
cosa si possa affermare per la Lombardia, che anzi, in questa regione,
la persistenza di gè gi con g gutturale, si rivede ancora più tardi nei
documenti volgari, nei quali s* ha, p. es., pregerà «- pregherà preghiera,
logi «> loghi luoghi, ecc. Ma nel secolo X, nel secolo di Gebuin^ non
era forse possibile, per la gutturale, altro spediente grafico che il sem-
plice g, E che sarebbe, del resto^ un Gebuin con g palatale ?
(i) Supposto che, come si ritiene per la formola latina ga-, anche
per la gutturale delle formole germaniche ghi ghe, l'evoluzione palatina
sia da riportarsi al sec. Vili, ciò non vorrebbe dire di necessità che debba
essere di quel secolo o anteriore ad esso \* introduzione di Ghébuin in
Lombardia. Trattandosi d'un nome proprio, poteva la forma guttu-
rale mantenersi tra i franchi stessi per tradizione letterata, e, del resto,
non tutti i popoli di Francia parteciparono all'evoluzione delle gutturali
verso la palatina. — D'altra parte, nulla ci obbliga ad ammettere che
l'introduzione sia posteriore alla conquista franca, ben potendo, per
questa o quella via, de' nomi franchi essere penetrati in Italia in con-
seguenza de* vari rapporti, che, anteriormente alla conquista, corsero
tra Franchi e Longobardi.
374 NOMI LCXXALI LOMBARDI
certo veniva attribuito anche al gè o gi delle scritture latine Può
darsi, abbenchè raramente, che i documenti volgari adoperino anche
il segno g, ma questo sempre ha allato a sé le grafie con g o s (i), e
in ogni modo mai non accade che quel g venga ricostruito per gì.
Lo stesso dicasi del g d'origine francese (cfr. la parentela Zirar-
ditti, e, abbenchè non si tratti di gè o gi, il ven. zardin giardino,
daira. frane jardin) (2). Il g di Vegevano è invece quello che nel
volgar lombardo risultava da gì, quello che s'ode in giazz ghiac-
cio, gianda ghianda, gha ghiaja, gira ghiro, vegià vegliare, strigia
striglia, ecc, è questo che i documenti soglion ricostruire per gì e
che mai ha allato a se né f né z, precisamente come allato a Vige-
vano mai non occorre nelle carte un Veze- o un Ve(;evano.
Rimane la terza ipotesi, alla quale quasi ci costringono le con-
siderazioni ora svolte : Vigevano é dalFanterior fase fonetica
♦ Viglevano. Ma donde proviene il /? Veramente di consonanti
inorganicamente aggiunte v*ha tanti esempi non ancora spiegati,
che potremmo considerar tale anche quella di Viglevano, accon-
(1) Una parola che in più documenti ha costantemente g{i) è già-
ser giacere. Crederei che la ragione ne vada cercata in ciò, che un
giorno nella i* persona del presente indicativo, in quelle tutte del
congiuntivo, si sarà venuti a * zazo^ giaccio, ecc. (col primo z sonoro
e il secondo sordo). Il g[i) sarebbe poi stato introdotto per toglier la
cacofonia, e sarebbe poi stato esteso a tutte le voci. — Nessuno, credo,
vorrà poi invocare, per la possibilità che un g(é) potesse imbrancarsi
colla risultanza palatina di gì, il fatto che ìie' dialetti dell'Alta Italia,
antichi e moderni, s' abbiano esempi come Ta. pav. zeregado chiericato,
il vie. sérega tonsura, " chierica „, Ta. berg. zexia chiesa, che ritrovo
anche negli Statuti di Valle Intelvi (v. P. Conti, Memorie storiche d*
Vair Intelvi, p. 233). Sono esempi (o meglio, * è un esempio „ poiché
molto verosimilmente dipende zexia da zeregado, o viceversa) sui ge-
neris, come dimostra la loro stessa diffusione, che aspettano una dichia-
razione, e non potrebbero da soli infirmare la nozione nostra circa ai
ritiessi lombardi di / preceduto da gutturale.
(2) Per le voci francesi la cosa risulta forse meno evidente, ma
pur non mi pare dubbia, se anche per la sorda eh s'abbiano esempi
come Chiartorssa Chartreuse (Crisostomo), con un chi- che corrisponde
esattamente a quello di chiamar (— damar). Oggidì in Lombardia diciamo
Gilardi, Geltrude, e anche giardin, giald (ven. zalo^ boi. zat). Un esempio
antico è ^enie, gentile, e esempi moderni sono il berg. sista (s sonoro)
— gesie stirpe, razza, il mil. zòja e giòja giojello. In Bescapè : mancar
allato a mangiar.
NOMI LOCALI LOMBARDI 375
tentandoci di riconoscere il fatto. Qualche contaminazione lessi-
cale che a noi ora sfugge, potrebbe esseme stata la causa. Tuttavia,
una spiegazione m*è venuta alla mente e non mi par del tutto in-
degna di venir sottoposta al giudizio de* lettori. Si tratterebbe di
dò, che allato alla tradizione che mette capo a VlCUS Gebuin
se ne avesse un'altra, latente per qualche tempo e che metteva capo
a ♦ VlCXJLUS Gebuin. Qui poteva formarsi un * VlGLOGHEBUlN
onde poi si poteva giungere o a * Vigogle-, con una facile meta-
tesi del /, e quindi a Vigoge- (con g palatale), oppure a * Vigio-
gke-, da cui, per metatesi reciproca tra le consonanti della seconda
e terza sillaba, * Vi(go)ge' (con g palatale) (i).
Ma la questione del gè non è tutto nel nome Vigevano, Altre
elaborazioni fonetiche scorgiamo nella forma, che obbligano la
nostra attenzione a soffermarsi. Al posto di bu (cioè bw) abbiamo
V. E* questo un ben notevole fenomeno che trova il suo riscontro
e la sua conferma nella risoluzione alto-italiana del lat HABUIT,
ecc, cui corrisponde nelle antiche scritture ave, conservato moder-
namente nelV-^y di condizionale (mì\. poTtaràf=^porta7-ave por-
terebbe). — Uà postonico porta certo l'impronta della fonetica lo-
cale (cfr. vigev. Vgévan, ùrdan ordine, thman termine, ecc.) ; e
quanto alF^ protonico di molti esempi antichi e dell'astig. Ve-
gévo (Alione; ed. Daelli, 224), esso vorrà dire una assimilazione
air^ della tonica.
Nic Colombo si preoccupa anche delle ragioni accentuali
della voce, e, supposto che Gebuin suoni Gebuin, si sforza di to-
glier l'ostacolo. Ma l'accento germanico vuol Gebuin, e -givano
sarà un bell'esempio della conservazione di questo accento (2).
esempio da aggiungere a quelli che già ricorda il Bianchi, Arch.
glott it X 403.
(i) Potrebbe taluno credere che il Gebuin de' documenti già sonasse
colla palatale. Sennonché nulla ci legittima a ritenere che il nesso ^/ già
si fosse ridotto, nel sec. X, a ^, e d'altra parte sarebbe strano di non
incontrare mai la ricostruzione per gi (Glebuin). — Gebuin, del resto,
doveva essere conservato dalle scritture più che come una forma reale,
come una forma tradizionale, tradizione smarritasi poi nel periodo che
corre tra la fine del sec. X e i primi decenni del XII.
(2) Che sarà Trivano (Como), per cui l'Indice corografico, che sta
in fondo al XllI voi. dei Monumenta Historiae Patriae, ha Trebuano?
37^ I^'OMI LOCALI LOMBARDI
Rimane che si tocchi di taluna tra le parecchie forme strava-
ganti (i) di quelle sole però che risultan non essere il prodotto
d'un errore, d'un arbitrio individuale o di un capriccio etimologico.
C'è in primo luogo un Vigevio che compare in una scrittura di su
la fine del sec. XV e in un documento volgare del 1527. Rico-
struisce assai verosimilmente un Vigévi (cfr. Vigivini -civ- in im
docum. del 13 io, Nic. Colombo, p. 65), adoperato forse un mo-
mento a Vigevano o in qualche angolo del suo territorio. Crederei
di poter così argomentare dal rlci, ricino, del vigevanasco odierno,
e dal fatto che a Voghera sia -/ la normal risoluzione di -ino atono
(v. Nicoli, Dial. di Voghera, $ 59). — Il Vigivano -gli-, che abbonda
sopratutto in documenti del sec XIII, tanto potrebbe essere una
ricostruzione fittizia di é in / fatta sulla norma di tanti altri é che
venivan così restituiti, quanto potrebbe rappresentare una pro-
nuncia reale determinata dalla palatina che precedeva allV e rin-
saldata dall'i che compariva nei derivati (2). — Anche il / di
Vigei'aluni, che occorre in due scrittori (Nic. Colombo, p. 27), po-
trebbe giustificarsi colla intromissione del sufiìsso -ULO.
Carlo Salvioni.
(i) Tra queste non è da contare Vigluvium che come ben dimostra
Nic. Colombo, pp. 17-8, non si riferisce a Vigevano. Ma ha torto il Co-
lombo di ravvisarvi o Ciivio o la Val Cuvta, invece di Viggiù»
(a) Cfr. il sempre usato viglnón (— * vigivnoM) vigevanasco.
VARIETÀ
I porci di Sant'Antonio in Brescia.
I.
lettori ricorderanno per certo l'arguta novella del Sac-
chetti, nella quale si racconta la mala ventura toccata
ad un gottoso che aveva tentato di uccidere due porci,
due di quei porci che sotto V egida di Sant'Antonio andavano li-
beramente vagando per le vie delle città e spesso spesso entra-
vano ospiti poco graditi nelle case, quando addirittura non adden-
tavano e mutilavano fanciulli. Ad un amico che prudentemente lo
ammoniva : « Oihmè I non ischerzate con Sant'Antonio, » il gottoso
rispondeva: « Se' tu di questi sciocchi ancora tu, che credi che
rf santo Antonio abbia ad insalare carhe ? per cui ? per la sua fa-
* miglia ? Tu sa' bene che colassiì non si bee, e non sì mangia, ma
« questi suoi gaglioffi col T nel petto, sono quelli che divorano, e
• dannoci a credere queste frasche » (i).
Ma per verità, se queste frasche trovarono assai facile ac-
coglienza nel volgo credulo, tanto che a mandre a mandre crebbero
quasi dovunque i maiali appartenenti ai canonici regolari (2), non
(i) Sacchetti, Nov. CX, ed. Fanfani, I, 443.
(2) Air ingordigia dei frati allude senza dubbio l'Alighieri ne' vv. 124
sgg. del e. XXIX del Paradiso:
Di questo ingrassa il porco sant'Antonio,
Ed altri ancor che son peggio che porci.
Pagando di moneta senza conio
Dell'uso di lasciar vagare per Padova codesti animali si lagnò an-
che y Petrarca in una nota lettera a Francesco di Carrara^ e l'arguta
novella del Sacchetti è un'altra conferma della libertà che essi gode-
vano in Firenze. Vedi in proposito: Cibrario, Dell* Economia politica
dei J/. E., Torino, 1861, t. i, p. 15.
Arck, Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXIV. 25
37^ I PORCI DI SANT'ANTONIO IN BRESCIA
tardarono però nemmeno le leggi a cercare di limitare una con-
suetudine, la quale risolvevasi in un pericolo continuo per 1* igiene
delle città. Difatti quasi tutti gli statuti dei nostri Comuni non solo
sancirono pene più o meno severe contro chi solo lasciasse vagare
per la città siffatte bestie, ma stabilirono anche in quali mesi ed in
qual numero esse si potessero tenere ed allevare dai cittadini (i).
E sovente perchè la cosa fosse anche più chiara, come a Modena
e a Pistoia, si affermò recisamente che a tale disposizione dovevano
essere sottoposti anche i signori canonici (2).
Tuttavia questi non si arresero né sempre ne intieramente.
Forti della riverenza che il popolo aveva per il loro santo patrono,
invocando a difesa dei loro presunti diritti l'assistenza che essi
prestavano agli infermi, resistettero con ogni mezzo alle leggi co-
munali dettate da evidenti ragioni di igiene, e spesso, quando le
città passarono sotto il governo di un signore, trovarono in costui
appoggio e protezione.
II.
Così accadde anche a Brescia. Qui pure, sino dal 1335, s'era fatto
espresso divieto di tenere « porcos vel porcas a calendis mensis
(i) Cfr. gli Statuti di Acqui (Staiuta Gvitatìs aquarum, MDCXVIII,
cap. 55); Benevento (Statuta condita a Sixto ^y Chianciano (Fumi, Gli
Statuti del Chianciano del 1287 ; Orvieto, 1874; cap. 184); Cremona (Sia-
tuta, ediz. del 1578, rubr. 417); Ferrara (Staiuta, provisiones et ordi-
namento, Ferrariae, 1533, lib. VII, rubr. 3); Forlì (Statuia^ed. del 1595,
lib. 1, rubr. LXXXVIll); Gradara (Statuti di Gradara in Collezione di
Documenti storici antichi pubblicati per cura di Ciavarini, Ancona, 1874.
to. Ili, rubr. 139); Parma {Statuto communis Parmae, Parma, 1856; ag-
giunte, p. 4c8); Piacenza (Statuto Piacentiat, 1561, ed. 1560; rubr. 30, fol.41,
liber quartus); Novara (Statuta Novariae^ MCCXCVH, Novara, 1879,
rubr. ex CHI); Teramo (Statuti del Comune di Teramo, Firenze, Bar-
bera, 1889, lib. IV) ; Treviso (Statuta provisione sque ducalis civitatis Tar-
risii, Venezia, 1579, lib. Ili); Cervia (Statuta civitatis Cerviae, Ravenna,
1588); Bovcgno (Statuti del Comune di Bovegno pubblicati da B. Nocara,
Milano, 1898, p. 70 e 82); Montecastello (Kirner, Statuti ed ordini di
àfontecastello, contado di Pisa, Bologna, 1890, p. 56).
(2) Negli Statuti di Modena (libri quinque Sfatutorum,.,. Mutinae, 1590,
nibr. 87, lib. V) si prescriveva c'ie nessuno potesse tenere • porcos qui
■ vadant per civitatem etianisi essent porci sub nomine Divi Antonii ,;
in quelli di Pistoia {Sla/nfa civiltifis Pistorii, Florentiae, 1546, rub. VI,
cap. 146) si stabiliva che nessuno, • nec etiam quilibet commendator
• Sancti Antonii , potesse tenere * aliqueni porcum intra muros civi-
■ tat's vcttris •.
I PORCI DI SANT ANTONIO IN BRESCIA
379
* aprilis in antea usque ad quartam decimam diem sancti Mi-
•ichaelis » (i); ma del divieto non si preoccuparono affatto i frati
ospitalieri, quando vennero qui pure ad erigere uno dei loro ospe-
dali (2), e, sia che li comprassero, sia che, come è forse più proba-
bile, li ricevessero in dono, essi mantennero una così copiosa famiglia
di suini, che in numero di circa quattrocento, indisturbati, giravano
per le vie ficcandosi dapertutto e mettendo a serio rischio la in-
columità delle persone.
Per ciò, rinnovandosi nel 1385 gli statuti cittadini, si ordinò
che nessuna persona o collegio o convento o congregazione (forse
Tesempio dei canonici era stato contagioso) potesse allevare codeste
bestie, se non tenendole rinchiuse in casa o nelle stalle, « ita ut non
« possint ire per civitatem .. fetorem facere vel nocere in stratis
« vel viis, nec etiam nocere euntibus per ipsas stratas vel vias nec
f pueros parvos mutilare vel ledere in aliqua parte personarum »;
e tutto ciò sotto pena di 40 soldi pianeti ogni qualvolta si fosse
trovato un porco per le vie della città (3). Tuttavia per riverenza
a Sant'Antonio si concedette che in ciascuna quadra della città si
potessero allevare due porcelli maschi, castrati, i quali per essere
riconosciuti avrebbero dovuto aver l'orecchio sinistro tagliato o
tutto od in parte e portare poi un campanello. La nera famiglia
(i) Nello Statuto del 1355 fatto sotto la signoria di Barnabò Vi-
sconti (Bibliot. Querin. di Brescia, inedito n. 6) furono per la prima
volta introdotte queste disposizioni (fascicol. 166, v. parag. XllI); esse
mancano affatto negli antecedenti statuti del 1277 e 1373. Vedi Valen-
Twi, Gli Statuti di Brescia, Venezia, 1898, estratto dal Nuovo Archivio
Veneto^ to. XV e sg.
(2} Non ci consta in qual anno si stabilissero in Brescia i Gino-
nici di S. Antonio. Mons. Fé (Storia, Tradizione ed arte nelle vie di
Brescia, Parrocchia di S. Nazzaro e Celso, Brescia, 1895, p. 47), reca
un'iscrizione lapidaria, la quale contiene il no:r.e del fondatore del-
l'Ospedale, (che fu Io stesso Poncius de Foeto, di cui si farà parola
più tardi), ma manca della data. Siccome però negli Statuti del 1355
non è fatto cenno dei Canonici, e la petizione al conte di Virtù fu
mandata nel 1387, così credo che si possa fissare l'epoca della fondazione
dell'ordine in Brescia fra questi due limiti estremi di tempo.
(3) Statuto di Giov. Galeazzo Visconti (cod. della Quer. n. 7) : " Salvo
* quod in qualibet quadra civitatis Brixie teneri et stare possint et
* allevari seu nutriri duo porcelli masculi, castrati et non plures, ad
■ reverentiam S. Antonii, quorum porcellorum quilibet habeat auriculam
■ dextram incisam in toto vel prò parte et portare debeat unum campa-
* nellum ad collare ut ab aliis dignoscatur.... qui esse possint numero
* triginta octo, videlicet duo prò qualibet quadra et non ultra „.
380 I PORCI DI SANT'ANTONIO IN BRESCIA
subiva dunque una doppia diminuzione; da 400 si riducevano a 38,
e per di più i superstiti venivano sottoposti all'oltraggio di un con-
trassegno!
III.
I canonici si commossero. Reggeva allora l'ordine col titolo di
precettore lo stesso Ponzi de Foeto che aveva fondato V ospe-
dale; egli propose dunque agli anziani che da due i porcelli fos-
sero portati a cinque o almeno almeno a quattro e che fosse poi
tolto l'obbligo del campanello. Ma gli anziani rifiutarono qualsiasi
nuova concessione; laonde egli ricorse addirittura al conte di Virtù,
signore di Brescia, per ottenere che le cose continuassero come
prima, u ne elemosine pauperum infirmorum Sancti Antonii pri-
u ventur in domo Sancti Antonii noviterque acquisita in civitate
u Brixia » (i). Messa abilmente sotto questo punto di vista la que-
stione, si capisce come essa trovasse favore presso il conte. Il Re-
ferendario ebbe quindi ordine di chiamare a sé il Precettore e gli
anziani per riconciliarli, ed ove questi non avessero voluto recedere
dalle loro deliberazioni di imporre loro che non ostante il disposto
degli statuti si osservassero le antiche consuetudini. Gli anziani
dovettero dunque chinare il capo ed accettare le prime proposte
del Precettore, ed i porci, pur ridotti di numero e sfregiati al-
Torecchio, furono lasciati vagare per le pubbliche vie, senza l'ol-
traggioso accompagnamento del campanello.
IV.
Non durò tuttavia molto a lungo questo stato di cose. La re-
verenza per sant'Antonio, che ai tempi del Sacchetti era ancora
così grande da far considerare come pericoloso il toccare i sacri por-
celli, andò poi scemando tanto, che i canonici si videro costretti
ad invocare l'autorità dei magistrati e dei principi per salvarli dal-
l' ingordigia di « alcuni presuntuosi, che non temevano né Dio né i
santi, n A tale scopo difatti nel 1416 il duca Filippo Visconti pubbli-
cava un bando con cui si imponeva che nessuno osasse toccare i
sacri animali (2), e nel 1435 i^ Consiglio speciale di Brescia era chia-
mato a deliberare su analoga petizione del precettore Egidio Pa-
li) Vedi documento III A.
(2) Vedi Archivio Sior. Itah, app. IV, n. 16, p. 148, Firenze, 1847;
MopRio, Storia dei Municipi (Ree. di L. Farina).
I PORCI DI SANT'ANTONIO IN BRESCIA 381
sturelli (i), il quale invocava in proprio favore le benemerenze che
si era acquistato nel suo ufficio; egli rammentava difatti di avere
impiegato quasi tutte le sue rendite neirerezione della nuova chiesa
di Sant'Antonio, d'aver edificato un ospedale per i pellegrini, nel
quale si esercitavano opere di carità, u quod nunquam factum est
« per aliquos eius precessores, » E ancora per quella volta il Con-
sìglio si arrese alle preghiere; i canonici poterono continuare a te-
nere le loro bestie ed anzi si minacciò di una multa di dieci lire
pianeti chi le uccidesse o ferisse (2).
Ma r igiene e la pulitezza dovevano alla fine trionfare della
superstizione popolare e degli appetiti molto volgari dei canonici.
Si cominciò quindi nel '46 a ridurre da capo a 32 il numero dei
porci che il convento poteva allevare ; ne le proteste dei pietosi
loro patroni trovarono così benevola accoglienza come pel passato;
difatti nel '63 si rinnovò il divieto di tenere e di lasciar errare
per la città i suini, ed il decreto non fece alcuna eccezione per il
convento dei canonici (3). Questi d'altra parte s'erano già tanto cor-
rotti che già nel 1459 il Consiglio raccomandava al cardinale il desi-
derio del precettore perchè l'ordine si riformasse (4). Né bastò la ri-
forma; nei primi anni del secolo XVI il papa dovette addirittura tra-
sformare gli spedali in altrettante commende. Così ci spieghiamo tanto
più perchè negli statuti del 1557 il divieto di nudrir porci divenisse
assoluto e generale. 11 buon tempo per costoro era proprio finito !
' A. Zanelli,
(i) Il Fé, op. cit., p. 47, riporta oltre la precedente un* altra iscri-
zione lapidaria del Museo cristiano dì Brescia, nella quale si legge che
' vir frater Egidius Pasturelli... praeceptor domus Sancti Antonii Brixiae „
fece edificare la chiesa di Sant'Antonio nell'anno 1445. Ma o la data si
riferisce all'apposizione della lapide o è sbagliata, perchè nella peti-
zione presentata al consiglio nel 1435 ^^ stesso Pasturelli ricordava la
recente costruzione della chiesa.
(2) Provvis. 10 e 19 luglio 1446 (Arch. Com. di Brescia, Reg. 454,
^ 36» te. 37). Così il Podestà come il Consiglio fecero fare una grida
' de porcis non tenendis nisi ad numerum XXXII, per do. preceptorein
' S. Antonii et omnino fìat „.
(3) Con provvis. a6 luglio 1463 (Arch. Com. Brescia, Reg. 500, e. 44)
il Consiglio generale deliberò ^ quod de cetero sit in arbitrio dom. iu-
'dicum clausorum posse condempnare quamlibet personam que re-
' periretur porcum aliquem extra stabulum et domum ire permisisse...
' non obstante statuto de dieta poena loquente „•
(4) Con provvisione del 14 giugno 1459 (Arch. Com., Reg. 498,
e 216), si raccomandò al Cardinale la riforma che il precettore di san-
f Antonio intendeva di introdurre nel suo convento * pellendo mendi*
' cantes forenses qui inhoneste vivunt et inducendo nostrales bonae et
■ honcstae vitae ».
382 I PORCI DI SANT'ANTONIO IN BRESCIA
DOCUMENTI
1.
Statuto di Gian Galeazzo Visconti (1385)
(Bibliot. Quer. VII, 1046, p. 199).
Item statutum et ordinatum est quod nulla persona, collegiura,
conventus vel congregatio audeat, nec presumat tenere in civitate
Brixie et suburbiis porcos vel porcas nisi teneat eos et eas inclu-
sos vel inclusas in domibus vel stabulis, ita quod non possint ire
per civitatem Brixie nec suburbia, et quod non possint fetorem
facere vel nocere in stratis vel viis nec etiam nocere euntibus per
ipsas stratas vel vias nec pueros parvos mutilare vel ledere in
aliqua parte personarum suarum ; et si qua persona, coUegium vel
conventus, cuiusvis status conditionis vel dignitatis existat, tenens
porcum vel porcam unum vel plures, dimitteret ipsos porcos vel
porcas sive extra domos vel stabula per civitatem Brixie vel su-
burbia, cadat in penam soldorum quadraginta planetorum prò qua-
libet vice et prò quolibet porco vel porca, quem vel quam sic sive
dimiserit et intelligatur dimississe sive quotiens porcus suus repertus
vel reperta fuerit extra stabulum vel domum suam seu habitationis
sue, et quilibet possit accusare vel denuntiare ludici seu officiali
clausorum Brixie vel alicui ex notariis suis et stetur sacramento
ipsius accusatoris vel denuntiatoris et habeat medietatem condem-
pnationis et alia medietas sit comunis Brixie et ultra hec possit
quilibet impune interficere ipsos porcos vel porcas repertos vel
repertas sive per stratas seu vias civitatis vel suburbiorum Brixie.
Salvo quod in qualibet quadra civitatis Brixie teneri seu stare pos-
sint et allevari seu nutriri duo porcelli masculi castrati, et non
plures, ad reverentiam S. Antonii, quorum porcellorum quilibet
habeat auriculam dextram incisam in toto vel prò parte et portare
debeat unum campanellum ad collum ut ab aliis dignoscatur et de
hoc statuto fieri debeat crida in qualibet quadra singulis sex men-
sìbus ex parte dicti ludicis ad hoc, ut non possit aliquis allegare
se non habere notitiam ipsius statuti. Et quod Antiani quadrarum
teneantur et debeant sub pena librarum viginti quinque mezanorum
prò quolibet Antiano conducere seu expellere et expelli et fugarì
facere de suis quadris extra portas civitatis Brixie intra quinque
1 PORCI DI SANT*ANTONIO IN BRESCIA 383
dies continuos a die cride computandos quoslibet porcos el porcas
habentes ambas auriculas vel unam ex eis incisas vel incisam,
exceptis porcellis signatis et tenendis in qualibet quadra ut supra;
quos porcos vel porcas sic expulsos vel expulsas custodes portarum
nullomodo permittant redire vel intrare dictas portas sub pena amit-
tendi pagas suas prò qualibet vice qua contrafactum fuerit, et possit
quilibet impune interficere quoslibet porcos vel porcas repertos in
civitate Brixie habentes auriculas taliter incisas, exceptis porcellis
portantibus campanellum ut supra, qui esse possint numero trigin-
taocto, videlicet duo prò qualibet quadra et non ultra. Qui ludex
seu officialis clausorum teneatur possit et debeat in et super pre-
dictis procedere summarie et sine aliquo litigio et sine aliquibus
solemnìtatibus curie vel statutorum comunis Brixie et executioni
mandare ad instantiam cuiuslibet accusantis vel denuntiantis, et
etìam ex officio suo sub pena soldorum centum dicto ludici prò
qualibet vice qua contrafecerit vel neglìgens fuerit circa processum
vel executionem predictorum vel alicuius eorum.
II.
Provvisione del Consiglio speciale 12 luglio 1435
(Ardì. Coni. Brescia — Reg. Provv. 487, e. 324).
[omissis]. Item audita petitione tenoris infras. prò parte
venerabilis d. preceptoris ordinis seu monasterii sancti Antonii ci-
vitatìs Brixie Magnifico et generoso militi D. Antonio Veneiro Brixie
Potestati nec non egregiis abati, ancianis etc . . . . suplicatur ut, at-
tento quod in edificio ecclesie Sancti Antonii noviter fabricate
libanti animo expendidit pene omnes eius intratas et de cetero etiam
cxpendere intendit in eius melioramentis ut dare concernitur ; at-
tento etiam quod edificare fecit hospitale unum ad honorem beati
Antonii et ad hospitandum pauperes et maxime peregrinos qui
vadunt ad S. Antonium de Viena, in quo hospitali, ut est omni
populo manifestum, exercet continue opera pietatis, quod nunquam
factum est per aliquos eius precessores, etc, dignemini ob reve-
rentiam beati patris Antonii eidem confirmare ac successoribus
suis quandam provisionem olim antiquitus factam et concessam. ..
qua continetur quod non obstantibus aliquibus statutis in contra-
num editis fratres S. Antonii possint tenere prò qualibet quadra
civitatis Brixie porcellos quattuor. Et quia sic etiam semper fuit
soUtum observari, et quia sunt aliqui presuntuosi qui non timent
384 I PORCI DI SANT'ANTONIO IN BRESCIA
deum ncque sanctos, qui ad eorum libitum interficiunt dìctos por-
cellos S. Antonii nec aliquam licentiam petunt ipsi domino pre-
ceptori, reverente!* supplicat ut ordinare velitis atque statuere quod
aliqua persona non audeat ncque presumat interficere aliquem
porcellum seu porcellam S. Antonii nisi cum licentia prefati d.
preceptoris.
Et super diete petitionis continentia matura deliberatione pre-
habita, multisque superinde habitis consiliis, coloquiis et prius ple-
naria informatione suscepta a civibus fide dignis de consuetudine
antiquitus observata, audito etiam tenore provisionis antedicte pre-
senti Consilio lecte per cancellarium comunis Brixie, cupientes
etiam prefati d. preceptoris iustis petitionibus compiacere ob reve-
rentiam Dei et beati Antonii, exigentibus etiam ipsius d. preceptoris
laudabilibus operibus et bencmeritis et eius bone vite scientia, cum
auctoritate et consensu prefati vicarii ... providerunt et ordinarunt
quod non obstantibus aliquibus statutis in contrarium factis pre-
fatus venerabilis d. frater Egidius de Pasturellis preceptor et gu-
bernator ecclesie et domus S. Antonii civitatis Brixie et eius qui-
cumque successores possint et valeant tenere et teneri facere et
impune in civitate Brixie quattuor porcos seu porcellas prò qualibet
quadra eius seu ad rationem quattuor porcellorum prò qualibet
quadra, qui iuxta solitum possint ire per civitatem, se pascendo:
nec possit aut debeat prefatus d. preceptor nec eius successores
tenere plurcs porcos qui vagare possint seu discurrere per civita-
tem quam dictum est ad numcrum quattuor prò qualibet quadra
civitatis Item providerunt.... quod nulla persona cuiuscumque con-
ditionis existat, audeat nec presumat interiìcere nec ledere aliquem
ex dictis porcis seu porcellis aliquo tempore anni, nisi cum bona li-
centia prefati d. preceptoris seu eius successorum sub pena librarum
decem planetarum comuni Brixie aplicanda et solvendi carnes dicti
porci interfecti. Et quod de predictis fiat publica proclamatio et
preceptum, maxime de ultima parte per preconem comunis Brixie.
III.
Provvisioni-: del 25 Gennajo 1379 (i).
In Christi nomine, amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo
trecentesimo octuagesimo nono, iudictione duodecima, die xxv men-
sis lanuarii. Convocatis et congrcgatis infras., Abate et Ancianis
(i) Fa se^uitu alla provvisione precedente.
I PORCI DI SANT'ANTONIO IN BRESCIA 385
negotiis comunis Brixìe presidentibus ac additis in presentia et de
voluntate do. potestatis eiusque vicarii nec non do. Referendarii,
sono botti campane grosse turris de Dom, more et loco solitis prò
infrascriptis peragendis
[seguono i nomi dei convocati].
Coram quibus lecte fuerunt littere cum supplicatione ipsis
litteris introclusa tenoris infrascripti.
Lettera al conte di Virtù.
Dorainus Mediolani etc. comes Virtutum, imperialis vicarius —
A tergo:
Egregio militi domino Po testati nec non Referendario nostris
Brixie. — Recepimus supplicationem prò parte fratris Pontii de
Fatheo preceptoris domus S. Antonii civitatis nostre Brixie, cuìus
exemplum bis in volutum vobis destinatum ; quare attendentes quod
emolumentis pauperibus infirmis sancti Antonii preceptoris nostri
exhibendis statutorum continentia detrahere et preiudicari non
debent, imo ipsis pauperibus infirmis quanto honestius fieri po-
test sit opportunis favoribus assistendum, volumus quod habitis
coram vobis dicto preceptore et deputatis et Ancianis civitatis
nostre Brixie, illis melioribus et honestioribus modis quibus co-
gnoveritis expedire, procuretis partes ipsas... (?)... contentorum in
supplicatione predicta concordare per modum de quo idem pre-
ceptor valeat contentare Quod si facere et exequi predicti deputati
et Anciani voluntarie contentabuntur, bene quidem; sin aliter, fa-
ciatis ipsi preceptori super contentis in eadem supplicatione con-
suetudines alias in pretacta civitate nostra Brixie observatas ejQFectua-
litcr servari, statuto in contrarium non obstante. Datum Mediolani,
xiii Januarii 1389.
Franciscolus.
B
Petizione del p. Ponzo al Conte di Virtù.
Illustri et benigne dominationi vestre suplicatur prò parte ve-
stii fidelis oratoris fratris pontii de fatheo preceptoris domus et
ecclesie ac hospitalis sancti Antonii . civitatis Brixie. Quod intuitu
et ob reverentiam litterarum dominationis vestre transmissarum
potestati et deputatis et Ancianis civitatis Brixie super facto te-
386 I PORCI DI SANT'ANTONIO IN BRESCIA
nendi porcellos in predicta vestra civitate, idem preceptor domus
predicte sanati Antonii suam porexit petitionem coram deputatis
et Ancianìs predictis continentem quod non obstante quod per
tempora retro acta consuetus sit tenere et quod tenuerit in civitate
predicta porcellos et porcellas numero quasi quatuorcentum, para-
tus erat componere de numero solummodo de quinque vel ad
minus quatuor prò qualibet quadra diete civitatis Brixie absque cam-
panella, capientes in summa porcellos septuagintasex, cui petitioni
consentire noluerunt, asserentes se velie servare statutum super
bis conditum per eosdem. Quare cum prò parte eiusdem preceptoris
non deffecerit nec deficiat compositi o predicta, dignetur prefata
clemens et benigna dominatio vestra ob reverentiam S. Antonii
prelibati edicere et mandare quod non obstante statuto predicte
tenere possit porcellos et porcellas in civitate predicta in numero,
modo et forma solitis consueti, et predictam requirit suplicans an-
tedictus ut dignetur dominatio vestra de predictis gratiam facere
ne elemosine pauperum infirmorum sancti Antonii priventur in
domo sancti Antonii noviter aquisita in vestra civitate predicta
plusquam in aliis civitatibus vestris.
Quibus litteris et supplicatione lectis, auditis, intellectis, prefati
abbas et anciani.... deliberaverunt quod frater Pontius de fatheo
preceptor domus sancti Antonii civitatis Brixie et successores sui
possit et valeat tenere seu teneri facere in civitate Brixie et subur-
biis porcellos vel porcellas septuaginta sex, vidicet quatuor prò
qualibet quadra et sine campanello, qui tamen porcelli seu porcelle
sint et esse debeant cum auricula dextera incisa in toto vel prò
parte. Et hoc non obstante quodam statuto comunis Brixie posito
sub rubrica de porcis non tenendis in civitate nec suburbiis Brixie (i)
in quo inter cetera continetur quod in qualibet quadra civitatis
Brixie teneri et stare possint et ale vari seu nutriri duo porcelli
masculi castrati et non plures ad reverentiam sancti Antonii, quo-
rum porcellorum quilibet habeat auriculam dexteram incisam in
toto vel prò parte et portare debeant unum campanellum parvum
ad collum ut ab aliis dignoscantur. Et hec omnino facta, provisa,
statuta et ordinata fuerunt in perpetuum et voluntate fratris Gu-
lelmi de Zaberna diocesis Zabernensis predicti ordini sancti An-
tonii, sindici et procuratoris dìcti fratris Pontii de fatheo.
(i) S'allude allo statuto del 1385.
UNA CONDANNA A MORTE CONTRO CARLO VISCONTI 387
Una condanna a morte
contro Carlo Visconti figlio di Bernabò.
L 28 giugno del 1399 il cavaliere marchese Pietro de
Cavalcabò (i), Pode3tà di Milano, dal suo banco
giuridico, posto nella arrengheria della loggia degli
Osij in piazza Mercanti, dinanzi a gran folla di popolo ivi, se-
condo il costume, radunato, pronunziava una sentenza capitale,
in contumacia, contro Carlo figliuolo del fu Bernabò Visconti Si-
gnor di Milano. Uaccusa si componeva di due capi : tentativo
di avvelenare G. Galeazzo, conte di Virtù, e cospirazione coi ne-
mici di lui per abbatterne il dominio e sovvertirne lo stato.
Quante molestie abbia procurato Carlo allo zio, quanti intri-
ghi per molti anni ordito a fine di spodestarlo e vendicare il pa-
dre, han dimostrato i geniali studi del prof. Giacinto Romano,
dai quali intera e netta balza fuori la figura di questo indomito
ribelle (2). Con Giovanni Akwood e col conte d'Armagnac, valo-
roso e magnanimo, caduto per la causa di lui sul campo di Ales-
sandria, coi Fiorentini, coi Carraresi, coi duchi di Baviera, con
tutti, perfino coi Gonzaga, a cominciar dall'anno medesimo della
cattura del padre suo, tramò contro lo zio, né mai gli die* pace,
quantunque riuscisse ad amareggiarne forse, non ad impedirne i
trionfi.
In questa guerra sorda ed accanita G. Galeazzo die* prova, è
d'uopo confessarlo, d*una lunga pazienza : ben due volte dimo-
strò il desiderio di un accordo che ponesse fine a sì acerbe ire,
e lo promosse: nel 1391, un mese appena dopo la celebrata bat-
taglia d*Alessandria, offrì, narra il Romano, sulle notizie dei
contemporanei, di pagare a ciascuno dei tre fratelli mille fiorini
al mese, e sembra perfino volesse loro cedere le città di Cividale,
Feltra e Bassano di recente conquista. Uaccordo, soggiunge il sul-
lodato professore, rimase lettera morta, ma nel 1 393 riprendeva le
pratiche, secondo le quali Carlo, in cambio di una provvisione di
mille fiorini mensili, doveva rinunciare a qualunque diritto sulla
(i) Su costui ved. Tiraboschi, La Famiglia Cavalvaòò, Cremona, 1814,
p. 36; Arisi, Crem. lifer., I, 188. Era stato podestà di Firenze nel 1386.
(2) Nuovi documenti viscontei tratti dall'Archivio notarile di Pavia
in ([Mtsì^Arch., XVI, 297 sgg. ; e G. Galeazzo Visconti e gli eredi di Ber-
^bò, ibid., XVllI, 5 sgg., 391 sgg.
388 UNA CONDANNA A MORTE CONTRO CARLO VISCONTI
eredità patema e materna. Neppur questa convenzione, dichiara
ancora il Romano, ad onta del giuramento, fu rispettata. Tutto
era inutile, il turbolento nipote non piegava né restava dal co-
spirare ; non era possibile con lui alcuna conciliazione, e G. Ga-
leazzo stesso doveva essersene ormai persuaso quando, nel suo te-
stamento del 1397, pur dimostrando ancor viva la sua preoccupa-
zione pei figliuoli di Bernabò, di Carlo non faceva neppure il
nome Era proprio Tanno in cui il secondo Armag^ac minacciava
un'altra spedizione contro la Lombardia !
Il Romano, considerando questa lotta acerba ed incessante,
si domanda a chi ne spetti la responsabilità e trova, com'è na-
turale, assai difficile una risposta decisiva. La sentenza che pub-
blichiamo porta su questo punto qualche lume. Innanzi tutto alle
losche imprese di Carlo Visconti, già note, una nuova se ne ag-
giunge: il tentato avvelenamento dello zio, descntto con abbon-
danza di particolari. Se è vero il racconto del cronista pistoiese
Sozomeno, che cioè Carlo nell* '88 quando era in Cortona presso
Uguccione Casali, signore di quella città, i industria Comitis
€ Virtutum... per quemdam familiarem et medicum voluit veneno
€ interfici, sed tamen, re comperta, medicus in quatuor partes fuit
€ divisus » (i) non avrebbe fatto che render la pariglia allo zio ;
ma ad ogni modo è sempre un titolo di più nella carriera di que-
sto intraprendente avventuriero.
Alcune parole del documento fanno intendere che nel tempo
di questo tentativo Carlo e U suo famigliare Maffiolo, incaricato
della faccenda, dimoravano in Venezia : t dictus Matìollus morte
€ preventus non potuit de Venetiis Papiam redire, ut dicto Berto-
€ lollo promiserat et dixerat ad portandum pulverem, tosichum et
€ venenum prò abverando Serenissimum Ducem » ; il che ci mette
sulla via per fissare la data del fatto. Di una stabile dimora di
Carlo in Venezia non accadde al Romano di trovar traccia nelle
pur numerose fonti colle quali ha ricostruito l'itinerario delle pe-
regrinazioni di lui: però nelle prime trattative corse, nel 1391,
fra G. Galeazzo e i figli di Bernabò, quali ci son descritte da So-
zomeno. si era stabilito che i medesimi dovessero abitare in Ve-
nezia (2) ; il tentativo dunque sarebbe da porsi tra la fine del *9i
e il 1393 quando ebbero principio le seconde trattative. Queste
(i) Muratori, /?. /. SS., XVI, 1038.
(a) Id., ìbid., XVI, 1147: ■ Comes Virtutum fecit concordiam cum
• filìis D"» Bernabovis, hac conditione ut singolo mense deberet dare
■ eis florenos M et certa castra in Paduano, et ipsi deberent habitart
* VtntHis et numquam contra co aliquid innovare i».
UNA CONDANNA A MORTE CONTRO CARLO VISCONTI 389
indicazioni del documento ci inducono inoltre a pensare che la
convenzione del 1391 sia stata, in realtà, almeno in parte, eseguita,
e il documento medesimo ce ne dà più sotto una bella prova.
Sozomeno, che in più punti appare poco benevolo verso il conte
di Virtù, dopo aver accennato alla provvisione di mille fiorini,
conclude : t Sed postea eos [filios Bemabovis] decepit nihil eis
• dando ». Invece nella sentenza si dice esplicitamente che Carlo
era stato t provvisionario » e aveva ricevuto la provvisione dal
duca: € D.s Karollus tunc provixionarius prefati D.ni Ducis et
e provixionem ab ipso recipiens ». Né si può supporre falsa que-
sta circostanza in un documento che veniva letto davanti al po-
polo, in mezzo a gente che ben doveva sapere com'erano andate
le cose
Che la convenzione sia stata in tutto eseguita, cioè che G. Ga-
leazzo abbia ceduto le tre città del Veneto ai nepoti, credo anch*io,
col Romano, insostenibile, e per le buone ragioni da lui esposte e
per quest'altra considerazione che, se quelle città fossero state dav-
vero cedute e possedute, non avrebbe mancato il Podestà di di-
chiarare nella sentenza una circostanza tanto aggravante per l'ac-
cusato ; ma che G. Galeazzo abbia, almeno per qualche tempo, pa-
gata la provvigione mi pare omai cosa certa.
Così la bilancia della responsabilità in questa aspra lotta fi-
nisce a pendere dalla parte di Carlo Visconti. G. Galeazzo non
mancava di buone intenzioni, ha più volte iniziato accordi e, in
certa misura, ha pur mantenuto i patti. Carlo invece rispondeva, se
l'accusa non è inventata di pianta, il che parmi poco probabile, con
un tentativo di omicidio, e continuava ad ordire intomo allo zio
una rete d'insidie così ampia da metter capo ai duchi di Baviera
da una parte e ad Isabella di Francia dall'altra. Era naturale che
dopo tanti anni, quando G. Galeazzo avea ormai il consenso uni-
versale del suo popolo, un atto solenne marchiasse la condotta del
ribelle; il processo del 1399 instituito non per denuncia, come la
maggior parte dei processi d'allora (i), ma per inquisizione diretta
del potere giudiziario, ci appare come espressione di coscienza po-
polare, come pubblica sanzione dell'operato del duca. Carlo Vi-
sconti non posò tuttavia ; ci voleva la strepitosa vittoria di Brescia,
che rimandò scornato in Baviera il suo paladino Ruberto, per con-
vincerlo della vanità de' suoi sforzi.
Ettore Verga.
(i) Verga, Le sentenze criniinaii dei Podestà milanesi in questo
Arch., XX.
390 UNA CONDANNA A MORTE CONTRO CARLO VISCONTI
DOCUMENTO
ARCHIVIO STORICO CIVICO
Dicasteri : Giustizia punitiva — Sentenze dei Podestà,
IV, 148 V. e sgg.
Dominum Karollum de Vicecomitibus, filium quondam Magni-
fici Domini D"» Bernabovis, civem Mediolani et oUim habitatorem
diete civitatis et ipsius civitatis ortum, Porte Romane, Parrochie
S. Stefani in BroUio, nefandum ignominiossum et crudellem pro-
ditorem prefati 111™' Principis et ex"»» D"» D°' Ducis Mediolani ut s.,
et tunc provixionarium prefati D"» Ducis, et etiam sue mediola-
nensis patrie manifestissimum proditorem ac totius Status prefati
Serenissimi D"' Ducis turbationis et subversionis machinatorem et
hominem malie dispoxitionis, pessime vite et conditionis conversa-
tionis et fame:
Contra quem processum fuit et est per nos et dictum nostrum
judicem malleficiorum per modum inquixitionis contra eum formate,
in eo de eo et super eo quod ad aures et notitiam nostram et no-
strorum dictorum judichum, fama publica precedente et clamoxa
insinuatione subsequente et rejQFerente ac frequentante, non quidem
a malivollis ncque suspectis personis, sed potius a fide dignis, et
maxime ex informatione super predictis habita, cognita, vixa et
prehabita, pervenit quod
predictus I> KaroUus, civis mediolanensis et proditor sue pa-
trie et prefati serenissimi D"> et status sui et subditorum suorum
mallo modo et ordine, scienter et dollose, deum pre ocullis non
habendo, sed spiritu diabolicho instigatus, animo et intentione tur-
bandi, inquietandi et totaliter subvertendi bonum ac pacifichum
statum prefati Ser™* D"' Ducis et subditorum suorum et sue patrie
mediolanensis, ac privandi ipsum prefatum D™ Ducem statu suo,
et etiam fatiendi nequiter et crudelìter prefatum D™ Ducem vene-
nare et morì, tractavit et ordinavit, scienter et doloxe, cum Mafiollo
dicto de Cremona, cive et oriondo civitatis Mediolani, ipsius D"» Ka-
rolli familHare, noto et domesticho, ut veniret Papiam caussa vi-
dendi si poterat reperire modum fatiendi prefatum Ser™ D™ Ducem
venenari et ipsum mori fatiendi ;
quo consillìo et ordine ac mandato per ipsum D«» Karollum
UNA CONDANNA A MORTE CONTRO CARLO VISCONTI 39I
sic datis, cum ipso Mafiollo et per ipsum Mafiollum volluntarie su'
ceptis, predictus Mafiollus juxta mandatum et ordinem predictos per
ipsum D™ Karollum factos, venit Mediolanum ad domum Bertolloli
de Cremona, filii quondam Ambrosii, porte Comasine Par. S. Pro-
taxii in campo intus, et ibi ipse Mafiollus pluribus diebus stetit et
sic stando ipse Mafiollus de multis et multis consulit cum predicto
Bertololo, et inter allia secrete ei occulte dixit ipsi BertolloUo :
« Audi, Bertollole, habeo tibi aliqua exponere et dicere parte D"»
Karolli, sed vollo antequam alliqua tibi dicam mihi promitas cum
sacramento quod ipsa secreta tenebis et nemini manifestabis » ; qui
BertoloUus respondidit: « dicas audacter que vis, quia si erunt
tallia que per rae fieri possunt, libenter exsequar, sin autem de pre-
dictis numquam loquar n. Et ipse Mafiollus tunc respondit : « D* Ka-
rollus mihi impoxuit et in mandatis dedit, ut tibi dicam si vis te
cooperari ad tosichandum et venenum dandum 0°° Duci Mediolani,
quod tibi fatiet multa bona, talliter quod semper eris dives ». Et
ipse Bertollollus respondit : « quid michi dicis esset nimis pos-
sibille executioni mandare, sed cogitabo modum et postea respon-
debo tibi ». Et ipse Mafiollus respondit: « optime dicis, sed caveas
quod nemini pandas, et si dispoxueris te ad fatiendum, tibi dabo
raodos et res opportunas prò fatiendo predicta ». Et ipse Berto-
loUus respondidit : « si feceris id quod dicis et D* Karollus fatiat
ea que michi dixisti usque nunc, cogitavi velie facere et fatiam ».
Et predicta verba ipse Mafiollus tribus vicibus dicto Bertolollo dixit
et semper ipse BertoloUus in eius propoxito mallo perseveravit;
sed predicta atrocissima crimina ipse D* Karollus, licet animum
haberet propoxitum et intentìonem fatiendi et exequendi et in eis
semper perseveraret, executioni mandare non potuit, sed per ipsum
non remansit quin fierent et executioni mandarentur. Sed dictus
Mafiollus, morte preventus, non potuit de Venetiis Papiam redire ut
dicto Bertolollo promixerat et dixerat ad portandum pulveres tos-
sichum et venenum prò abeverando Ser."' D."™ Ducem prelibatum.
Item in eo de eo et super eo quod predictus D* Karollus,
tunc provLxionarius prefati D"' Ducis, et provixionem ab ipso re-
cipiens, mallo modo et ordine, scienter et doUose, spiritu diabolicho
instigatus, animo et intentione turbandi statum pacificum prelibati
D*" Ducis et subditorum suorum, tractavit et procuravit cum quam-
pluribus dominis, comunitatibus et principibus, quorum nomina prò
melliori tacentur, adversariis et inimicis capitalibus prefati D"» Du-
ds, destinando predictis adversariis et inimicis quamplures et va-
rias litteras et brevia, suo sigillo sigillatas et sigillata, et se cum
eis inimicis capitalibus ligare voUendo et recipere ab eis magnam
392 UNA CONDANNA A MORTE CONTRO CARLO VISCONTI
quantitatem denariorum et pecuniarum ad hoc ut mellius et habillius
posset ojQFendere prefatum Ducem et eius subditos et subvertere
et perturbare prefatum Statuiti pacifichum et tranquillum prelibati
D"* Ducis et subditorum suorum, et per ipsum non remansit quin
predicti crudelissimi tractatus et conspirationes fierent, et execu-
tioni mandarentur; sed eius pessimam voluntatem et intentionem
pravam executioni mandare non potuit ut eius propoxiti et inten-
cionis erat.
Et predicta omnia et singulla commissa et perpetrata fuenint
per suprascriptum D™ Karollum de Vicecomitibus, superius inqui-
xitum, talliter ut supra, loco et tempore in dieta inquixitione con-
tentis. Comittendo predicta contra bonos mores sue genitallis pa-
trie, formam statutorum provixionum et consuetudinum Comunis
Mediolani ac decretorum et ordinamentorum et edictorum 111"™' D"'
D°'» nostri.
Qua de causa suprascriptus D» Karollus de Vicecomitibus, pro-
ditor et ignominioxus ut s. superius inquixitus, in fine rite legip-
time et perhemtorie, secundum formam statutorum Comunis Me-
diolani, citatus monitus et requixitus fuit per Ambrosium de Tre-
chate, servitorem malleficiorum comunis Mediolani, et Marchetum
dictum dominum Balzarum de Grivio (?), publicum tubatorem Co-
munis Mediolani, quatenus certo termino eidem statuto et asignato,
et jam diu elapso, coram dictis nostris judicibus personaliter ve-
nire et comparere deberet ad standum et parendum mandatis die-
torum nostrorum judichum, et ad respondendum suprascripte in-
quixitioni contra eum formate, de prodictione, ut s. et se a dieta
inquixitione et ab omnibus et singullis in ea inquixitione con-
tentis dejQFendendum et excuxandum ; et non venit nec comparuit
dominus Karollus superius inquixitus, sed venire et comparere recu-
savit, et mandata ipsorum nostrorum judichum penitus contempsit,
passus fuit se poni, legi, scribi et publicari in hanno, de contemptu,
inhobedientia, prodictione ac malleficiis supraspriptis et de omnibus
et singullis in dieta inquisitione contentis, et ultra de certa quantitate
peccunie in dicto hanno specificatis, in quo hanno tanto tempore stetit
et perseveravit semper in contumacia pjersistendo et perseverando,
quod de predictis in dieta inquixitione contentis habetur prò con-
victo et confesso secundum formam statutorum comunis Mediolani
etc, prout hec et allia in actis nostris et curie nostre plenius con-
tinentur et evidenter aparent;
Idcirco nos Petrus marchio de Cavalchahobus, Potestas ante-
dictus prò tribunali seden tes ut s., sequentes et sequi vollentes for-
maro juris, statutorum, decretorum, ordinamentorum et provixio-
UNA CONDANNA A MORTE CXJNTRO CARLO VISCONTI
393
niun prelibati D"' D"> nostri, et Comunis Mediolanì, et ex vigore
arbitrii et bayllie nobis in hac parte concessorum et atributorum,
omnique allio modo jure, via et forma quibus mellius possumus et
<ie jure debemus, predictum
Dominum KaroUum de Vicecomitibus proditorem et nefandum
inpominiossum ut s. superius inquixitum,
Quod si quo tempore pervenerit in nostri fortiam vel Comunis
Mediolani vel successorum nostrorum, quod ducatur ad locum ju-
stitie consuetum et ibidem caput a spatulis amputetur et anima a
torpore separetur ita et talliter quod confestim moriatur, et eius
penna alliis transeat in exemplum, in hiis scriptis prò tribunali
sedentes ut s. sententialiter et juditialiter condempnamus et pronun-
mraus.
APPENDICE.
Carlo Visconti a Parma.
Il Giulini (i) sotto Tanno 1379, dice : « Nel mese di marzo Ber-
« nabò, a dire del Corio, divise il suo Stato in cinque parti, e ne
« assegnò da governare una a ciascuno dei suoi cinque figliuoli le-
• gittimi. A Marco assegnò la metà di Milano che a lui era toccata,
• a Lodovico Lodi e Cremona, a Carlo Parma, Borgo S. Donnino e
• Crema, a Rodolfo Bergamo, Soncino e la Chiara d*Adda, ed a
• Mastino, ancor fanciullo sotto la custodia della madre, Brescia colla
« riviera e la valle Camonica ». Questo egli giudica un pessimo di-
visamento perchè di uno stato forte se ne venivano a far cinque
<ieboli e conclude : « forse Tessersi solamente trapelata tale dispo-
« sizione contribuì alla totale distruzione de' figliuoli e del padre ».
Dà infatti precisamente il Corio tale e quale quella notizia (2),
e aggiunge che Bernabò mandò nel marzo ciascuno dei suoi figli con
nobile comitiva ai rispettivi domini. Se non che non è egli il primo
a narrar questo fatto come possono far credere le parole del Giulini.
Per quanto riguarda almeno il nostro Carlo, scrive Tanonimo par-
mense, identificato dal Ferrai, negli Annales Mediolanenses (3) : « Die
• W Martii D. Bernabos Vicecomes posuit D. Carolum filium eius in
« lenutam et possessionem Civitatis Parmae et jurare sibi fecit fide-
(i) Mem, Cont. II, 314.
(2) Storta di Milano, ediz. 1856, II. 288.
(3) Muratori, R. L SS., XVI, 771. Cfr. questo Archivio, XVII, 287.
^^k. Stor. Lomb., Anno XXfX. Fase. XXXIV.
36
394 "■''A CONDANNA A MORTE CONTRO CARLO VISCONTI
a litatem ab ofìicìalibus et a quibuscumqiie aliis et stipendiariis e.\i-
v stentìbus in ipsa civitate "; e negli Additamenta alla Istoria par-
mense del Cornazzani (i) sotto l'anno 1358: « Carlo Visconte, figliuolo
" di Bernabò il quale stava in Parma e ne era Signore, si partì et andò
" al Padre ». Dunque la disposizione di Bernabò, che il Giulini inclina
a credere appena trapelata, avrebbe avuto esecuzione e per parecchi
anni, fino alla cattura del Visconti. A conferma di queste notizie ecco
un documentino ufficiale, che mi fu comunicato dall'egregio e dotto
amico mio professore Giuseppe Callìgaris, E una letterina scritta da
Carlo Visconti al duca di Savoia, un mese dopo aver preso pos-
sesso della sua nuova sede di Parma.
■ lllustris Princeps et Magnifice tamquam pater carissime *.
« Literas Paternitatis vestre nobis prosperum et jocundum sta-
tum eiusdem vestre Paternitatis nuntiantes, gratanter et illari animo
suscepimus; de quanim missione non modicas grates eidem vestre
Paternitati regratiamur, notìftìcantes vobis quod altitonantis gratia
corporea sospitate cum tota nostra comitiva in Parma vigemus. De
eadem vestra Paternitate nobis carissima, quam dictus altitonans
juxta votum conservare dignetur, sepius audire preoptantes.
Karolus Vicecomes natus Mei et Ex™' Dni Dni Mediolani etc,
in Parma etc, locumtenens prefati Domini, Datum Parmae lercio
apriliS MCCCLXXVUIJ " (2).
Carlo Visconti si firma luogotenente, e l'aver mandato i propri
figli a governare le provincie come semplici governatori o lut^o-
tenenti del principe, è ben altra cosa, mi sembra, che l'aver fatto
dnque stati d'un solo, come opina il Giulini interpretando le pa-
role del Cono, e come pure lascerebbe intendere l'espressione del
cronista parmense.
(0 Muratori, R. I. SS., XVI, 753.
(2) Si trova nell'Archivio di Stato di Torino. Lett. Princ. foresi, Mi-
lano, Doc. 2.
" ' ' oliata da mano moderna sulla lei-
MASTINO VISCONTI 395
Mastino Visconti.
genealogisti caddero facilmente in grossi errori, par-
lando dei figli di Bernabò Visconti, sia per difetto di
notizie, sia per l'eccessivo numero dei figli medesimi;
sia infine per l'oscurità, in cui vissero non pochi fra questi.
Tra i molti altri discendenti legìttimi, che diede a Bernabò la
moglie Regina della Scala, ve ne fu uno chiamato Mastino, al quale
poi, nella spartizione dei domini fatta da Bernabò nell'anno 1379 (i),
toccarono Brescia, la Riviera del Garda e la Val Camonica. Ma il
giovanetto non godè a lungo la signoria; perchè, caduto il padre
nel 1385, anche Mastino, che s'era chiuso nella fortezza di Brescia,
dovette arrendersi dopo non lunga resistenza ed andarsene esule (2).
Qie età aveva Mastino Visconti, quando fu costretto ad an-
dare in esilio? 11 Cono ed il Giulini gli attribuiscono non più di
cinqtie anni, il Volpi sei (facendolo nascere il 26 febbraio 1379) ;
glie ne concede otto compiuti il Calco (facendolo nascere l'ultimo di
febbraio del 1377), quasi nove gli Annali Vicentini, nove compiuti
il Litta, dieci il Muratori; finalmente glie ne darebbe anche piti di
dieci l'Odorici, se si dovesse credere che, nel suo contorto lin-
guaggio, lo storico di Brescia volesse dire che Mastino aveva
quasi IO anni nel 1379 (3).
Alcune di queste opinioni si dimostrano errate con la massima
facilità. Così è impossibile ammettere quella dell'Odorici; perchè,
se Mastino avesse avuto circa io anni nel 1379, cioè quando il
padre gli assegnò il dominio di Brescia, avrebbe avuto circa 16
(1) CoRio, Historia di Milano, Padova 1646, pp. 497-498.
(a) Odorici, Storie bresciane^ Brescia 1857, voi. VII, pp. 216-217; Ro-
MAKo, Giangal. e gli eredi di Bernabò in Arch. Stor, Lomb. XVIII, 1891,
p. 10-I3. Fonti principali: Ann, Mediai, in R, L S., XVI 786; Ann. Piceni,,
ibid.,XIlI 1261, Chron. placenLf ibid.,XVI 544, Chron, regien.^ ibid.,XVIIl 92.
(3) CoRio, op. cit.; Giulini, Mem. stor, a. 1385, 1. LXXII, p. 374; Volpi,
Istoria de' Visconti^ I, 362, Napoli 1737 ; T. Calchi, Genealogia Viceca-
mitum in appendice al Volpi op. cit., II, 291, Napoli 1748; Annales vi-
ctHtÀfì, R. L S., XIII, 1261; Litta, Fam, Risconti, tav. V. L'Odorici, op. cit.,
VU, ai6, si esprìme così: * Avendo già Barnabò diviso lo stato, al mi-
' Dore di tutti Mastino, giovinetto di forse dieci anni, aveva data la
* nostra dttà. 1, Il Muratori, Ann. 1385, gli attribuisce io anni ; ma cita
come prova gli Ann, medioL, che a dir vero glie ne attribuiscono sola-
mente otto.
396 MASTINO VISCONTI
anni nel 1385 e quindi non avrebbe potuto fare quel patto, di cui
ci informano gli Ami. Vicentini^ secondo il quale Giangaleazzo gli
avrebbe dovuto passare una pensione fino al compimento del suo
15° anno (i). Ugualmente impossibile è d'ammettere con il Cono
ed il Giulini che i cinque anni non fossero già superati nel 1385,
dacché il Corio medesimo e con lui il Giulini dicono (cadendo in
contraddizione) che Mastino è menzionato nel trattato di pace fra
Bernabò, Regina e gli Scaligeri, trattato che porta la data del 26
febbraio 1379, la quale non è contestata da alcuno (2). E questo
medesimo trattato dimostra falsa la data del Volpi, non potendo
Mastino esser nato proprio il giorno medesimo nel quale si fir-
mava il trattato, in cui s'era convenuto qualche cosa in suo favore.
Ma se Mastino era già in vita nel 26 oi febbraio 1379, non è am-
missibile però che nascesse in queir inverno medesimo fra il 1378
ed il 1379; perchè, proprio in queir inverno. Regina prese parte
alla guerra contro Verona (3), e ciò non avrebbe fatto se si fosse
trovata negli ultimi mesi di gravidanza o nel puerperio, perchè
quella dura vita di strapazzi avrebbe messo in pericolo lei stessa
e la creatura che portava nel seno. Alla guerra che s*era combat-
tuta, pure contro Verona, nel primo semestre del 1378, Regina in-
vece non aveva partecipato (4); e ciò potrebbe lasciar credere che
Mastino nascesse in quel tempo, se non avessimo una testimonianza
in contrario, che ci viene dagli Annales tnediolanenses.
Gli Ann. medioL dicono espressamente che Mastino nacque
nel marzo 1377, e che in tale occasione furono fatte grandi feste
e stettero chiuse le botteghe per tre giorni (5); e questa testimo-
nianza risolverebbe la quistione, se non fosse grandemente scossa
la fede in questi annali, centone tardivo, derivato da fonti di troppo
diverso valore, ed a volte meno autorevole del Corio. Senonchè
la data degli Ann, niedtoL trova questa volta un valido conforto
nella testimonianza autorevole degli Ann. vìcent. (il cui autore.
Conforto Pulice, fiorì circa il 1387), i quali dicono che nel 1385 Ma-
(i) Ann. Vicent.y loc. cit.
(a) Trovasi nel Dumont ed è riassunto dal Giulini, op. cil, a. 1379,
1. LXXII, pp. 312 sgg. Il Corio lo ricorda, sbagliando il mese, sotto la
data Taprile 1379. Il medesimo G>rìo dice che nel marzo 1379 Mastino
fu destinato al dominio di Brescia a norma di una divisione anierior'
menti fatta da Bernabò di tutto il suo stato {Hisioria est. p. 497 498).
(3) Odorici, op. cit., VII aii, Giulini, op. cit., a. 1379, 1. LXXII, p. 812.
{^^ Oix)Rici. op. cit., ao8; Giullm, op. e loc. cit., 311.
(5> R. L S.. op. e loc. cit., X\*I, 763 B.
MASTINO VISCONTI 397
stìno aveva quasi nove anni; il che torna a cappello perchè, se Ma-
stino era nato nel marzo 1377, come vogliono gli Ann. medìoL,
egli aveva precisamente otto anni ed alcuni mesi nel maggio T385,
quando cadde suo padre.
Questo è quanto, intorno alFetà di Mastino, esplicitamente ci
dicono le fonti. Altri indizi, che forse si avevano un tempo, della
data della nascita di Mastino sono irremissibilmente perduti o al-
meno per ora non si rintracciano. E perduta V iscrizione posta sul
suo sepolcro a Bergamo, scomparsa oggi insieme con la chiesa di
S. Giovanni della Cittadella, in cui si trovava (i).
Certamente però i fatti che di Mastino si ricordano neir anno
1335, confermano indirettamente che nel 1385 egli era in età molto
giovanile. Tutte le cronache ce lo rappresentano condotto da amici
fedeli a Brescia (2), difeso dai fratelli, dai Gonzaga (3); i patti della
resa in suo favore non furono dettati da lui ma dai suoi difensori,
come attestano espressamente diverse fonti (4).
Un altro fatto ci permette di credere che ventanni dopo, quando
morì, Mastino fosse ancor giovane ; poiché i figli che lasciò erano
ancora fanciulli e, sebbene vi fosse tra essi un maschio, niuno se
ne curò, evidentemente perchè era un bambino, e la città di Ber-
gamo passò a Gianpiccinino figlio di Carlo Visconti (5). Bisogna
dunque supporre che solamente da pochi anni, Mastino avesse po-
tuto consumare il matrimonio con la giovine Scaligera, alla quale
era stato promesso in marito, mentre egli era ancora infante ; dato
che sia veramente costei la madre de' suoi figli.
(i) Ricorda la morte di Mastino il Chron. berg. in R,L S., XVI 971 C.
Essa avvenne il 19 giugno 1405. Del sepolcro fa cenno il Ronchetti,
Mem. istor, delia città di Bergamo, Bergamo 1819, VI, p. 26, avendone
notizia da un frammento dì cronaca, che ora trovasi stampato nelle
Breves chronicae bergomenses del can. Finazzi {Miscellanea di storia
italiana V. 275).
(2) ■ reductus fuit per el Medexina virum facetum valde^ ecc. „ Chron,
placent. in /?. /. S,, XVI 544 B.
(3) Chron plac, ed altre fonti citate in principio.
(4) * Reddiderunt cittadellam „ (non reddidit) dicono gli Ann. me-
dioL 785 E. ■ D. Guido Gonzaga, qui erat custos ac dux eius [scil. Ma-
* stini], eum reduxit Venetias et dedit civitatem D. Corniti [scil. Virtu-
* tum] , Chron, reg. 92 D. Similmente il Chron bergom. 854 D. Resta
oscuro il perchè, se c'erano a Brescia alcuni fratelli di Mastino, chi
dettò i patti fu invece Guido Gonzaga.
(5) Chron, bergont,, 9170,9728; Volpi, 1, p. 362; cfr. Litta e R'-n-
CHETTI.
398 MASTINO VISCONTI
Ma per essere incapace di comandar soldati nel 1385, per aver
figli giovanissimi nel 1405, non è mica assolutamente necessario
che Mastino fosse nato nel 1377 e non qualche anno prima; mentre
di lui si raccontano altri fatti che si spiegano un po' a stento qua-
lora si voglia proprio tenere per fermo che la sua nascita avvenisse
nel 1377.
Il giorno IO ottobre del 1385, cioè pochi mesi dopo la caduta
di Brescia, Giangaleazzo inviava al Reggimento di Reggio nel-
r Emilia severissime disposizioni contro le persone che andavano
nel Reggiano con lettere di Carlo e Mastino Visconti (i). O Carlo
aggiungeva di suo arbitrio, o in qualità di tutore, il nome del fra-
tello al nome proprio nella intestazione delle lettere, oppure Ma-
stino aveva più di sette anni nel 1385.
Ci risulta inoltre che Mastino non ristava dall'agitarsi in cerca
d*aiuto e protezione (2) nel 1390, quando, se fosse nato nel 1377,
avrebbe avuti solamente 13 anni. Nel 1391 prese parte ad un ac-
comodamento con Giangaleazzo (3). Nel 1393 la signoria di Firenze
gli diresse una lettera, in cui lo esortava a sottomettersi a Gian-
galeazzo, e lo chiamava col titolo di miles^ mentr'egli avrebbe con-
tati air incirca 16 anni (4). NelKottobre di quel medesimo anno suo
fratello Carlo Visconti, stringendo una convenzione con Gianga-
leazzo, usava nel parlare di Mastino le identiche parole che usava
parlando di Lodovico, altro fratello non più giovinetto, parole che
implicavano che Mastino avesse come Lodovico piena potestà di
sé e piena libertà di contrarre (5) ; e lo stesso giorno infatti Ma-
stino medesimo stringeva una convenzione della quale ci rimane un
solo frammento, ma che si ha ogni ragione di credere che fosse
analoga a quelle di Carlo e di Lodovico (6).
Ora è da osservarsi che se vi sono statuti, i quali abbassano
fino a 12 anni l'età maggiore, lo statuto milanese (che è quello che
(t) Archiv. di Reggio Emil., Cart, del Regg,
(2) Romano, op. cit. in Arcfu lomb, XVIII, 1901, p. 42 e cfr. 20, 24, 35,
(3) i'^i 43-44-
(4) ivi 45 e docum. n. VII, p. 315-316.
(5) Romano, Nuovi docum. viscontei in quest* -<4rc/r., XVI, 1880,
p. 318: " dictus dominus Karolus scit quod illustris dominus Lodovicus
" et dominus Mastinus fratres sui facturi sunt simile contractum... Co
'• gnoscens rectas praedictorum fratrum suorum intentiones.... promitiii
" etc. Predicti Ludovicus et dominus Mastinus et uterque ipsorum con-
'* trartus ab ipsis... cellebrandus... integraliter observabunt „.
(6) Romano, Nuovi docum, cit.y ibid., XVI, 1889, p. 301, nota.
i
MASTINO VISCONTI 399
a Giangalea2zo avrebbe dovuto, se non erro, interessare maggior-
mente di rispettare, trattandosi di convenzioni con un pretendente
alla signoria viscontea; affinchè questi non potesse mai sollevare
eccezioni contro la validità dell'atto) non concedeva la libera ca-
pacità giuridica ai giovini prima dei 20 anni (i). Ciò desta il so-
spetto che nemmeno la data del 1377 sia da tenersi per sicura e
che sia prudenza il contentarsi di dire che nel 1385 Mastino non
era certamente in età maggiore e non aveva, secondo ogni proba-
bilità, raggiunti i 15 anni, perchè la menzione esplicita dei 15 anni,
riferita degli Annales vicentini come contenuta nel trattato per la
resa di Brescia, ha troppo chiaramente l'impronta di una notizia
di fonte ufficiale.
Quest'ultima rimane dunque a stretto rigore l'unica notizia ve-
ramente incontrovertibile che abbiamo intorno alla sua età. Pur es-
sendo in particolar modo probabile che Mastino sia nato nel 1377,
tuttavia è possibile che nascesse invece in uno degli anni dal 1371
al 1376; nei quali anni consta che Regina della Scala non mise
alla luce altri figli, poiché dalle notizie, sebbene incomplete, che
abbiamo di tutti i figli nati da lei (2), risulta che videro la luce
prima del 1371, meno Mastino (3).
F. E. COMANI.
(1) Salvigli, Man, di storia del dir. ital.* § 159, p. 242; Fertile,
St. del dir. ital.^ § 103, n. 25, 111, 216. Gli Statuta Mediolani editi nel 1480
da Paolo de Suardis portano a 18 anni l'età per stare in giudizio;
in tutti gli altri casi esigono ancora i 20 anni (Rubrica gener, de ex-
iraord. ciuil., fol. 234 t, nella copia della Biblioteca nazionale di Napoli,
una delle più pregevoli secondo Manzoni, Biòl, statutaria, I, 266-267).
(2) Vedi LiTiA e Volpi, op. cit., I, 360-369.
(3) So per cortesia del eh. bibliotecario sig. Motta che il testamento
di Bernabò (su cui vedi Romano, / Visconti e la Sicilia in quest'<^rrA.
XXIII, 1896, pp. 21-22) in cod. Trivulz., n. 1741 non contiene nulla
che lasci supporre l'età di Mastino alla data del testamento medesimo
<i6 novembre 1379). Nell'Archivio municipale di Brescia scarseggiano
i documenti di quest'epoca. Nessuno serve a risolvere la nostra qui-
stionc; anzi nei pochi documenti di Bernabò e di Regina il piccolo Ma-
rtino non è nemmeno menzionato, sebbene fra gli atti del governo
trascritti in calce allo Statuto del 1355 (ora depositato presso la B. Que-
tiniana) vi siano documenti posteriori al 1379 a carte 225 e sgg.
V
400 PER l'ingresso di cristierna sforza in vigevano
Per l'ingresso di Cristierna Sforza in Vigevano^
EL 1534 e Vigevano fu pure onorata dalla presenza
di Cristierna figlia del re di Dcinimarca, e sposa
del duca Francesco Sforza. Nel solenne ingressa
di questa Principessa narra il Sacchetti, dietro Tautontà di Si-
mone dal Pozzo, che sei personaggi distinti del comune ebbero
Tonore di portare il baldacchino, fra' quali nomina il nobile Ge-
ronimo Ridolfo, il dottor fisico Gio. Giacomo de Bergondi, e
Mr. Geronimo Parona, che dopo la morte di Francesco Sforza fu
il primo referendario cesareo » (i).
Maggiori notizie sopra tale ingresso crediamo non si cono-
scano : di più non dice il Sacchetti (2) ; Vlstoria del Pozzo, che
sarebbe riuscita fonte preziosissima ai ricercatori delle antichità
vigevanesi, non vide mai la luce, ed oggi anzi è perduta, e final-
mente, secondo quel che ci è noto, nessun altro scrittore ne ha
toccato.
Perciò reputiamo non del tutto ozioso offrirne qui alcune
nuove, dovute in parte a Simone stesso, il quale non si conten-
tava di narrar le cose in uno solo de' molti volumi, che ci ha la-
sciati, ma amava ripeterle in vari luoghi, onde quello, che non
ci è più concesso di leggere nella sua Istoria^ possiam ricavare
da altre note, quantunque, senza dubbio, molto meno largamente.
* *
La dominazione di Francesco II sopra Vigevano non fu,
certo, mite, che da una parte il duca, stretto da numerosi e ur-
(i) BiFFiGNANDi, Memorie storiche della città e contado di Vigevano,
Vigevano, 1870, p. 268.
(2) Sacchetti, Vigevano illustrato, Milano, 1648, p. 89, parlando
della famiglia Bergondi, dice: * E d'essa famiglia vivea nel principio
• del secolo prossimo passato il Dottor Fisico Gio. lacomo de Ber-
• gondi, uno di quelli, che portarono l'Ombrella, o Balduchino di tela
• d'argento, all'entrata in questa Città della Duchessa Christierna....
• come scrive il Pozzo nel sopraciiato libro al fol. 212. » Così a p. 120:
• .... Hieronimo Parona, ch'era stato anco uno dei sei, che portorno
• il Balduchino d'argento all'entrata della Duchessa Christierna.... ^
Così a p. 128, trattando de' Rodolfi, dove si riferisce ancora al Pozzo
• nel libro coperto di corio turchino. ,
PER l'ingresso di cristierna sforza in vigevano 401
genti bisogni, chiedeva troppo spesso nuove somme di danaro, di
cui talune abbastanza rilevcinti ; dall'altra la città, ridotta in mi-
seria per le guerre, le spogliazioni, le devastazioni, la peste degli
anni precedenti, non riusciva a metter insieme pochi scudi senza
ricorrere ad espedienti dolorosi e pericolosi. Tuttavia, liberata al-
fine, grazie allo Sforza, da Svizzeri, da Spagnuoli, da Francesi,
e a lui riconoscente per più d'un benefizio e d'un onore ricevuto.
Vigevano amava quel duca e approfittava volentieri d'ogni oc-
casione per dimostrarglielo. Le prove non mancsuio.
Il 14 giugno 1530 nel Consiglio dei 12 di provvisione, con-
soli Bartolomeo de' Natali e Jeronimo da Parona, il podestà Gio-
vanni de Pisoni annunziò aver il duca scritto che il fratello suo
Massimiliano era morto, e che « ut fient honores in remedium eius
« anime vult celebrari officium per sacerdotes spacio trium die-
« rum » ; e allora e prefati domini [del consiglio] ordinaverunt
€ celebrari debere in ecclesia S.ti Ambrosij [la cattedrale] per
€ omnes órdines ecclesiarum diete terre [sci. Vigevano] per tres
€ dies continuos omni solemni ordine quo fieri potest, et ex nunc
€ ordinaverunt miti debere mediolanum ad accipiendum ceram et
« insigna prò dicto funere illustrando, etc. », e e ... ad exequen-
« dum premissa elligerunt d. Johannem Andream de cochis et d.
• Alex, de bellaciis » (i).
Nella seduta del Consiglio generale dei sessanta, che si fece
il 14 agosto 1530, il console Giovanni Maria del Pozzo e exponit
f qualiter providendum est de aliquibus personis idoneys qui ha-
t berent conferre de privilegis et immunitatibus petendis ab Ill.mo
€ domino D. Duce Mediolani nostro antequam publicari faciet
« hanc terram in titulum Civitatis ac etiam qui habeant providere
€ de aliquibus pecunijs prò aliquo munere fiendo prelibato Duci
« et congratulary de ejus adventu ut moris est » ; ed ecco i consi-
glieri scec^liere Giovanni Maria del Pozzo, Pietro Maria de' Bossi,
consoli, Cristoforo de' Rodolfi, Antonio Maria da Parona, Stefano
(i) Tribunale XII di provvisione, anni 1523-1531, voi. 6", consiglio
14 giugno 1530. La spesa tuttavia non fu sostenuta dal Comune, poiché
nell'atto del consiglio successivo, a8 giugno, leggiamo queste parole:
Il console leronimo da Parona, espose " qualiter Mag.cus dominus Gu-
■ bcrnator retulit habuisse litteras ab Ill.mo domino domino Duce Me-
' diolani disponentes quod expensa facta in funeralibus IlLmi d. Maxi-
• miliani Sforcie deberi solvi per personas ecclesiasticas et quid agendum
• sit circha hoc ordinari petunt {sic), „ Non è registrata la deliberazione
del consiglio.
Tutti i documenti appartengono all'Archivio civico di Vigevano.
402 PER l'ingresso DI CRISTIERNA SFORZA IN VIGEVANO
del Pozzo, Jeronimo da Parona, figlio di Francesco, Vincenzo de*
Bastici Borioli, Giovanni Andrea de* Cocchi, Giovanni Giacomo
de' Cotti Morandi, Guglielmino de' Previde Massaia, Vincenzo
de' Bossi, figlio di Pasquino, e Jeronimo de' Rodolfi Merchisoti,
dcindo ad essi tutti < omnimodam autoritatem potestatem et bay-
• liam circha peticiones fiendas p.to II Imo D. D. circha reforma-
« tionem statutonun et ad perquirendum pecunias necessarias
t circha premissa omni meliori modo etc. et ex nunc prout ex
• tunc aprobaverunt et ratificaverunt ac aprobant et ratificant
€ quicquid actum factum gestumque erit per ipsos utsupra ellectos
• dantes quoque autoritatem obligandi et vendendi nomine pre-
• fati comunis tantum de bonis diete comimitatis quantum opus
• fuerit prò premissis peragendis » (i). Jeronimo de'Rodolfi Mer-
chisoti e Vincenzo de' Bossi riuscirono ad ottenere da Pollo Lo-
mellino, mercante genovese, nove balle di lana, che furono messe
in pegno per novanta scudi presso Jorio Centorio, vercellese Ma
la città non aveva denari, e perciò nella seduta del 9 ottobre 1530
i consiglieri stabilirono di nominare tante persone quéinte, obbli-
gandosi ciascuna per dieci scudi verso i due su citati, eran neces-
sarie a garantirli per l'intera somma, « et quos ellegerint in casu
renitentie debcant compelli per mag.m d. potestatem prò dieta
sumam videlicet prò scutis decem prò quolibet » I nomi riferiti
sono però solamente otto : Pietro Maria de' Bossi, Giovanni Maria*
del Pozzo, Jeronimo de* Rodolfi Merchisoti, Guglielmo de' Pre-
vide, Tommasino de' Bossi, Jeronimo de' Previde Maffini, Vin-
cenzo de' Bossi e Vincenzo de* Bastici Borioli (2).
Nel consiglio del 20 novembre 1530. poi, rinnovarono agli
eletti il 14 agosto l'autorità di far tutto il necessario (3).
In che cosa sia consistito il dono ce Io dice pure Simone del
P077.0 ne* ricordi lasciatici sulle feste onde i Vigevanesi onora-
rono il Duca venuto a celebrare lerezione del loro oppidum in
città Scrive egli che il 5 dicembre 1530. appunto durante tali
feste, € Communis Vigle\*ani presentavit prelibato duci bazillam
e unam areenteam et bochalle ac cum carta instrumenti donatio-
« nis Domus Episcopati que alias erat d Joh. petri de grava-
• rona » (4\ La solennità stessa di queste feste mostrò allo Sforza
quanto Vii:^vano ì:j1ì fos^se riconoscente del benefizio e dell'onore
ncevuto.
y\\ Convocati Consìjjììo G^rieraìe, anni i5aS-i53i, f. 108 e scg.
( -^^ C, C G. i5j8-^^i, k ii6 e scg. Consigli ;o 9 ottobre 1530.
i^^"^ C C G. 15^831, f. lia.
V4^ C C, G, i>:*S'3i» f, ij^r, cfr. Bifignaxdi, op. cìt^ p- 275, nota.
PER L INGRESSO DI CRISTIERNA SFORZA IN VIGEVANO 403
Finalmente, allorché si cx>nobbe la ricuperazione del castello
di Porta Giovia, il tribunale de* 12 di provvisione, nella seduta
del 25 febbraio 1531, presenti il podestà Giovanni de' Pisoni e
il console Guglielmino de* Previde Massara, ordinò « fieri solemni-
f tates et leticiam et accendere ignem leticie in tribus locis in foro
€ et super turem » (i).
Non è quindi da meravigliare se la città preparò come me-
glio potè un*onorevole accoglienza a Cristiema quando, pochi
mesi dopo il suo arrivo in Italia, venne a visitare la dimora ca-
rissima agli Sforza, tanto più che ben vivo doveva tuttavia essere
il ricordo delle feste celebratesi in Milano per la stessa occasione.
Già allorché, nell'ottobre del 1533, era giunta la notizia che
Massimiliano Stampa aveva in Fiandra concluso il matrimonio
di Francesco II con la Principessa di Danimarca, i 12 di provvi-
sione, nella seduta del 13 ottobre e ordinaverunt pulsari campane
i ac illares ignes fieri sive falò ut vulgo dicitur ad demonstran-
i dum talia fore nobis grata » (2).
Quando poi, nel gennaio del 1534, si seppe che la duchessa
« in p.o ingressu status Mediolani » sarebbe venuta a Vigevano,
riunitosi appunto 1' 11 di quel mese il consiglio generale dei ses-
santa, il console Giovanni Maria del Pozzo dichiarò che era ne-
cessario farle un dono t .... opus est, ut aliquo munere condonatur
« ad honorem sue ex.tie et utilitatem p.te Civitatis ». I consiglieri
elessero Pietro de' Tocchi, Jeronimo da Parona, Pietro Maria de'
Bossi, Giovanni Andrea de' Cocchi, Guglielmo de' Previde e Gi-
rolamo de' Rodolfi Merchisoti, dando loro t omnimodam autho-
* ritatem » quale avrebbe avuto l'intero Consiglio, di far tutto
tinello che avrebbero giudicato opportuno, anche di « compelle
e quoscumque debitores prò eorum talijs prò habendis pecunijs ad
(i) Tribunale XII provvisione, 1523-31, seduta 25 febbraio 1531.
(a)T. XII P. 1532-1533, voi. VII, f. 186 r e sg.
* ^533» l^ie lune 13 octobris.
• Convocato et conjf.to Consilio domino rum duodecim presidum pro-
• visionum civitatis Vigl.ni ctc.
• Itcm quia hodie rclatum est qualiter 111. D. Maximilianus stamppa
■ procurator III mi d. d. Ducis Mediolani nostri desponsavit Christia-
* nam [in margine: in sponsam] filiam Regis Dacie Nepotem ex so-
rorc Caroli imperatoris die 28 septcmbris proximi preteriti in flan-
dria nomine prelibati Ducis
* Ordinaverunt p.ti Domini pulsari campane ac illares igncs fieri
* sWc falò, ut vulgo dicitur, ad demonstrandum talia fore nobis grata. „
»
404 PER L INGRESSO DI CRISTIERNA SFORZA IN VIGEVANO
« dictum munus perficiendum » (i). Che cosa riuscisse a fare quella
commissione non sappiamo : di tal dono non si parla più. Pro-
babilmente Cristiema venne a Vigevano molto prima che non si
credesse e il Consiglio deliberò di renderle onore in altro modo.
Il giovedì santo del 1534 il podestà di Vigevano, Boniforti
de* Petra, ad istanza dei consoli Girolamo de' Rodolfi Merchisoti
e Tommaso de' Ferrari Fantoni, convocò il Consiglio generale dei
sessanta « premissa debita citatione quorumcumque per Mathenm
• pregutium, per matheum de s.to naz.o magnini et vincm de iu-
« dicibus alieti servitores ». E* questa forse Tunica volta in cui
i consiglieri sono convocati direttamente per mezzo de' servitori,
essendo la formola consueta sono campane fremisso ut mos o
moris est — come, del resto, gli statuti stessi prescrivono (2) —
(i) C. C. G. 1532-35, f. 163 r e sg., consìglio 11 gennaio 1534.
" Item expositum fuit per d. lohannem nìariam de Putheo consulem
" utsupra [l'altro console era Pietro de' Garroni] qualiter lU.ma d. d.
Ducissa Mediolani nostra in p.o ingressu status Mediolani veniet
" Vigl.ra Quare opus est, ut aliquo munere condonatur ad honorem
• sue ex.tie et utilitatem p.t« Civitatis.
• Quare p.ti domini Consiliarij ellegerunt ìnfras.tos videlicet...
'* Dantes predictis omnibus omnimodam authoritatem quam haberet
'* totum concilium c.a dictum munus et expendendi ad totum quod eis
" videbitur opportunum. Dantes quoque predictis omnibus omnimodam
■ authoritatem posse comprile quoscumque debitores prò eorum talijs
■ prò habendis pecunijs ad dictum munus perfìciendum. j,
(2) Dicono infatti gli Statuti del 1532 (copia a stampa esistente
neirArchivio civico di Vigevano), f. V r., cap. De poena non venientium
ad Cosiiium: * Omnes consiliarij, qui per tempora erunt, teneantur
accedere ad Consilia Immediate postquam pulsaverit ter campana quae
appellatur muleta, sub poena soldorum decem Imperìalium prò singulo
et sìngula vice.... ,. Nel capitolo che tratta dei Servitori non prescri-
vono però, in modo particolare, che essi debbano portar la citazione
ai consiglieri.
Vuoisi tuttavia notare che neppure trattando dei preconi o tuòatori
gli Statuti assegnano loro esplicitamente e specificatamente Tincarico di
gridare la seduta, sebbene, oltre la formola ricordata, leggasi bene
spesso negli atti di questi tempi anche : " sono campane et preconis
* premissis, ut mos (moris) est..., ^
I servitori avevano per segno un berretto metà bianco e metà
rosso. Prima dei nuovi statuti forse tali colori si notavano in tutto il
loro abito, che nell* atto del consiglio dei XII di provvisione 12 ot-
tobre 1531 (Tr. XII P. a 1523- 1531), podestà Giovanni de' Pisoni, con-
soli Jeroninio da Parona e Giacomo de' Moi*selli, si legge : * Ordina-
PER l'ingresso di cristierna sforza in vigevano 405
ed è anche forse Tunica volta che son radunati di sera, coi lumi,
poiché in testa all'atto si legge appunto : « 1 534, Die Jovis Sancti
i hora prima noctis sequentis quinque luminaribus accensis », il che
non abbiamo visto notato in nessun altro luogo. Perchè tutto ciò ?
* verunt etiam vestiri debere rolandum prearzam servitorem comunis
'^ Viglevani Albi et rubrj iuxta insigniam dictis comunis, « e in quello
dello stesso consìglio, 21 ottobre : " Ordinaverunt fieri mantum sive
* capam unam ad devisam pM comitatis (sic) loh. lac.o montano, ac
berretam unam ad ss.tam devisam omnibus servitoribus. „ Uad ssjam
devisam devesi intendere come divisa, sì che questa consistesse solo in
un berretto, e il vestiri del resoconto antecedente significa soltanto
■ fornir di berretto? » O il Consiglio nel 21 modifica la deliberazione
presa nel 12, non solo, ma anche una consuetudine durata fino a quei
giorni?
Nei Conii dei tesorieri (voi. IX) troviamo pagato nel 1529 a Gian Gia-
como de* Montani, servitor et tubicina di Vigevano, '* prò birre to uno
* sibi dato per Com. in soliium festum s.ti Ambroxij, ut moris est „
16 soldi, e così, per lo stesso motivo, a ciascun de' servitori Matteo
de' Preguzzi e Rolando Prearza ; a Battista Capo di ferro e a Vin-
cenzo de* Giudici, pure servitori, no.
Ricorderemo che Gian Giacomo de' Montani si trova eletto servi-
tore e tubicinem dal Consiglio generale il 26 settembre 1529 (C. C. G.
i528-*3i, f. 46): poi non vien più nominato nelle elezioni dei servitori,
allora trimestrali, mentre non si eleggono neanche più tubicini. Riap-
pare — vigenti gli statuti del 1532 — nel consiglio del i gennaio 1533
(C. C. G. i532-*35 f. 81) eletto servitore, mentre vien scelto tubatore,
Paolo da Cannobio. Nel '31, dunque, quando si delibera di acquistargli
un manto ad devisam, dovrebb'essere, stando alle nomine consigliari,
soltanto tubatore. Invece i Conti dei tesorieri (voi. IX), registrando
il pagamento del salario, lo qualificano nel '29, nel '30 e nel '31 ser-
vitor et tubicina, mentre nel '33 (le spese del '32 mancano) lo dicono
solo appunto servitor, E il salario corrisponde al suo doppio ufficio,
perchè mentre i servitori, fino al '33, prendono ogni trimestre libre 6
unperiali, egli riceve libre 6 e io soldi; di più ogni anno egh ha " prò
pulsate tube ad computum d. unum cum dimidio in die et prò cla-
mide et cerotetis „ libre 7 e io soldi. — Andati in vigore gli statuti
^cl 1532, i quali, lasciavano al Comune di stabilire la paga, questa
dev'essere stata aumentata. Infatti nei conti dei tesorieri (voi. IX),
anno 1534^ troviam date a ciascuno de' servitori G. G. Montani, Matteo
de' Preguzzi, Rolando de Ferraria, Vincenzo de' Giudici Alietti, libre
9 ogni trimestre. Cosi nel 1535 e, certo, nel 1533, nel qual anno è
registrato un pagamento a Vmcenzo de' Giudici appunto di libre 9
per tre mesi. Paolo da Cannobio, tubicina, riceve nel 1535 libre 5
al mese.
4o6 PER l'ingresso di cristif.rna sforza in vigevano
Testimonianze esplicite con le quali dare a siffatta domanda una
risposta sicura, o, almeno, cenni atti a metterci sulla buona strada
non n'abbiamo, e però, dovendo tirar a indovinare, altra ragione
non sapremmo addurre che l'urgenza dì provvedere. Infatti ÌI Con-
siglio trattò unicamente del modo di ricevere la duchessa. Ecco,
senz'altro, l'atto.
* 1534. Die Jovis Sancii hora p.« noctìs sequentis quJnque lumina-
ri bus accensis.
■ Convocato ci Cong-W Cons.o Generali Dominorum sexaginta Ci-
vitatis Vigl.oi de m.w Mag.d D. Boniforli de pelra hon, potestalis Civi-
vilatis predicte et ad Inslantiam D. Hieronymi de rodulfis merchisoti et
D, Thome de ferrarijs fantoni Consulum prò infrasc.'» peragendis prc-
missa debita citatione quorumcumque per Matheum pregutium , per
malheum de a.'o naz.° magniui et vinc." de iudicibua alieti aervìtores
ut retulerunt etc. In quo quidem con,° interfuerunt infrascripti Domini
et primo prefatus.
Mag.="' D. Pretor, D. Thomas de ferrarijs fantoni, D, Hierony.» de
rodulfi merchisoti, consules, D, Petrus de Tochis. D. Ant.' m.« de Pa-
rona, D. Vinc' de bastis borioli, D. Marchiis ant.' de bergondijs. D. loan-
nes angelus de gravarona alioli, D. Hierony.* de Parona, D. lohannes
Andreas de cochis, D. felix de cacijs, D. Alovisus de bellacijs, D. Gulier-
itiinus de previde massara, D. lohannes maria de Put.*, D. lohannes ant.'
de podexijs, D, Alex.' de rodulfis rose, D. Petrus de pregutijs, D. Vinc.'
de carbonibuscagnazini, D. Ant.' de Collis quaglini,D. Franchus degriSs
fanzini, D. Zaninus de bastis donoti, D. baptista de Decemb. cusini, D. lul-
lianus de mascharonibus, D. Petrus de garronibus, D.llierony.' de previde
maflìni, D. Matheus de poi.' ardicij, D. Christ.* de rodulfis d. SarafH,
D. frane' de natalibus, D. lacobus de madijs, D. Bemardinus de gusbertis,
D. Matheus de natalibus Dionisij, D. lacobus de Stevis, D. Hierony.* de bifF.
quatia, D. Michael de caballis, D. Petrus de morsetlis, D. Petrus d«
araldo maroncini, D. Barth.m de biffignandis belhomi, D. Vinc.' de mor-
sellis maze, D. Vinc' de pregutijs, D, Petrus m." de laqua, D. Vinc.' de
ludicibus brusa, D. Stephanus de bellacijs, D. Petrus m.* de vastamìlijs,
D. Dominicus de gusbertis, D. lacobus de Collis tibaldi, D. lohannes
Ant.' de ottonibus museti , D. lohannes Ant.* de ferrarla prearza ,
D. Bemardinus de fumo mine, D. Barth." de Tegamalis vagini, D, Mel-
chion de podexijs, D. lohannes Andreas de boxijs, D. Ambrosius de
previde massara.
In quo quidem Con.a sic utsupra cong.i^ expositum fuìt per dictos
Dominos Consules causam presentis cong."** hanc esse videlicet Qua-
liter die hodie per Mag.""» d. lulium Butigelam Ducalem aulicum pre-
sentate fuerunt litcere credentie HI.'»' d. d. Mediolani nostri petentem
in adventum 111.°" Ducìsse Mediolani nostri Civitas Vigl.oi ornarì et
decorati varijs (?) omamentis ad honorem et decus diete Civitatis et
ita fieri pelunt aliter protestantur etc.
PER L INGRESSO DI CRISTIERNA SFORZA IN VIGEVANO 407
Quare p.ti Consiliarij premissis intellectìs ad decus et honorem
prelibate Ill.me domine nec non et diete Cìvitatis ordinant infrascrìpta
fieri et executioni demandari omnibus remedijs videlicet p.o
Ad portam S.ti Martini ubi erit prelibate introitus fieri Arcus trion-
falis frondibus et insignibus Ducalibus et Regis Dacie insìgnitus more
antiquorum.
Dieta via S.d martini panorum tegi usque ad forum ac via strari
herbis frondibus ac floribus.
In introitu diete platee magne alius fieri arcus primo simili frondi-
bus lauri ac hedere et florum cum Cesarijs Ducalibus et Dacie insi-
gnibus illustrarì.
Forum quoque diete Cìvitatis usque ad Ecclesiam Divi Ambrosij
fregi cum columnis frondibus sertis ac similibus insignis.
Ordinant et iuvenes diete Civitatis quotquot haberi poterint colore
albo giploide serico albo bireto albo ac penis albis vestiri et ornarì. «
Tutto ciò si legge nel f. 184 r ; il f. 185 è per circa due terzi
in bianco : a' piedi c'è quest*aggiunta :
* Ilem quoniam teste antiquorum proverbio pecunie nervus sunt
belli addendo alij sex alias ellectis noviter ellegerunt quoque infrasc.to»
ad perquirendum pecunias prò provisione adventus Ill.me d. d. Ducisse
Mediolani nostre
D. Vinc.m de boxijs, D. Franc.m de putheo, D. Vinc.m de bastis
borìoli. D. lohannem mariam de Putheo una cum dominis consulibus
adeo quod maior pars ipsorum facere possint cum omnimoda authoritate
potestate et licentia et quicquid per ipsos actum fuerit ex nunc prout
ex tunc aprobaverunt et aprobant et ratificaverunt et ratifìcant. ,,
Talvolta Simone del Pozzo, il cancelliere autore dei resoconti,
lasciando un tratto in bianco, avverte che lo fa per avere spazio
da scrivere, se mai dovesse aggiungere qualcosa. Qui forse doveva
registrare la nomina de' sei alias ellecti con l'autorità loro con-
cessa di far quanto credevano necessario. Se così è e solo cosi, alla
lacuna possiamo in parte, cioè per il nome degli eletti, supplir con
un altro atto e precisamente con quello successivo, dell' 1 1 aprile,
dove il segretario riporta l'intera lista, perchè a quella commissione
si dava im altro incarico. I nomi da aggiungere sono : Cristoforo
de' Rodolfi, Pietro de' Tocchi, Giovanni Andrea de' Cocchi, Gu-
glielmino de' Previde, Jeronimo da Parona, figlio di Francesco,
Pietro de' Bossi (i). Noteremo tuttavia che queste persone, se
cambi il Cristoforo de' Rodolfi in Jeronimo, son quelle appunto
aUàs ellectis per il dono.
(I) C C G. 1532-35 f. 186 r.
4o8 PER l/lNGRESSO DI CRISTIERNA SFORZA IN VIGEVANO
* *
Tutto era ormai in ordine, e Ventrata della Duchessa immi-
nente, quando il 25 aprile, sabato, un vento impetuoso che buttò
a terra i frutti delle piante, spezzò rami e sradicò alberi, prostrò al
suolo quasi tutti gli apparati disposti, con grandissima spesa, fuori
della porta S. Martino e nella città (i). Si ebbe perciò a rimediare
a quella specie di disastro con la massima sollecitudine, perchè
gli Sforza dovevano arrivare tre giorni dopo, il 28. Ed ecco la
breve descrizione lasciataci da Simone del Pozzo.
* 1534. Die martis 28 aprilis reparatis maxima celerìtate prefatis
ornamentis in mane hora 16 dici prc.t« Cristierna Ducissa Vigl.ni hoc
ordine ingressa est, videlicet, p.o totus clerus una cum episcopo infulis
albis videlicet sericijs et argent'js extra portam s.ti martini ei obviam
iverunt, quae decosculta cruce extra lecticam equum ascendit cui su-
praposito balduchino sìve ombrella telle argentee portato per d. mar-
chum de otonibus et d. lohannem Iac.<n de bergondiìs ambo medicine
Doctores, per d. Hìerony.» de rodulfìs marchisoti, d. Thomam de fer-
rarijs fantoni tunc consules, per d. lohannem marìam de Putheo et
d. Hierony.ro de parona nobiles usque ad ecclesiam chadredalem et
postmodum usque ad castrum comitati sunt : hic ordo datus fuit a prìn-
cipe. Doctores legum tane non aderant quia mors in annis preteritis
surcpserat. Incedebat vaiata invenum numero XXXVII albis vestibus
sericijs vesti torum extra porta s.ti martini. Ibi erat erectus arcus trium-
phalis, via autem a dieta porta usque ad ecclesiam s.ti Ambrosij et
usque ad castrum drapis tecta collonis frondibus et hedera ìndutis in-
signijs imperialibus ducalibus ac regis Dacie indecunque apositis. ,
* *
Quanto costò a \'igevano tale festa? La cifra precisa non ci
è nota. Forse 575 o 475 scudL
(i) C. C. G. 1532*35. ultima facciata. ' 1534* Die sabbati festum
S.IÌ marci 25 aprilis ingens vis ventorum hora la vel c.« exorta est
que fnictus deiecit arborum, ramos fregit et arbores plures evulxit
ornamentaque extra portam s.<ì martini ac per loca civitatis qua itura
erat Christierna filìa regis Dacie frane.® sforcia a® Duci Mediolani
desponsata maxima ìmpensa facta fere omnia prostravit In mane
dieì sequentis pruina dequoxit ac devastavit totam vindemiam totius
dominij Mediolani, «
>
PER L INGRESSO DI CRISTIERNA SFORZA IN VIGEVANO 409
Nella preziosa raccolta dei volumi lasciatici dagli antichi te-
sorieri mancano le spese del 1536 : il tesoriere stesso Tavverte, poi-
diè dopo le parole : « Hic incipit ratio Anni 1536 », scrive : e Pre-
f sens ratio agitata f uit per parochias ut in libro viridi ad suas
• rationes » (i). Onde i debiti pagati dal Comune in quell'anno,
che non dovettero esser pochi, ci restano sconosciuti, e solo alcune
insufficienti note possiamo riferire.
Nel verbale della seduta consigliare tenuta il 26 ottobre 1534,
consoli Francesco del Pozzo e Giacomo de' Morselli, cominciamo
a leggere : t In quo quidem Consilio sic utsupra congregato expo-
f situm f uit per dictum frane"» de Putheo consulem utsupra causam
t presentis congregationis esse qualiter in adventu lU.me Ducisse
• nostre Mediolani ad ejus honorem preparandum fuit necesse ac-
« cipere cèrtam honestam denariorum quantitatem videlicet s.
(sic) ab Zacharia hebreo habitatore Viglevani et ab alio Zacharia
f hebreo qui inabitat novarie cum interesse quod omni mense cur-
f rit, et prò cautione dictorum scutorum specialiter se obligavit
• D. Hieronimus de parona et alij cives ad hoc ellecti quare dicti
« Ebrej modo instant habere dictos scutos quare provideri petunt
f aliter etc. » (2).
Del debito con Zaccaria di Novara non abbiamo trovato altra
traccia; di quello invece con l'ebreo abitante in Vigevano sono
rostrate le somme che ogni mese, a cominciare dal maGfgio, nel-
lanno 1534, il tesoriere Antonio Colli gli pagò per interessi. La
prima nota è appunto la seguente : e Zacharia hebreo prò inte-
i resse unius mensis finiti die 1 5 may ut patet instrumento rogato
« d. Scipione de puteo die 15 ApriHs de scut. centum mutuat. Co-
t munitati in adventu Ill.me ducisse et hoc ex ordine Consilij de
« XII presidum sub die 7 may 11. decem octo » (3) E così poi
gcmpre L. 18 per ciascuno dei mesi successivi (4): la bellezza di
L 2x6 all'anno per 100 scudi, che, se il conto toma, è come dire
un interesse del 33,25 circa per cento all'anno! (5). Quando il
Comune abbia trovato senz'altro i 100 scudi ignoriamo.
(i) Conti dei tesorieri 1527-38, f. 294 r.
(a) C. C G. i532'35' f- 217.
(3) C. T. 1527 '33. f 255.
(4) C. T. i527-'38, f. 257 e sgg.
(5) A proposito di quest'ebreo, nell'atto consigliare del 19 ot-
tobre 1533 (C. C. G. i53a*'35» ^- i44) si legge : « Item exposuit D. pc-
" trus de araldo maroncini [un consigliere] qualiter D. Zacarias Ebreus
' f. q. D. Lazari, dicit quodamodo in antea non intendit nec vult a civibus
Àreh Stor, Umb,, Anno XXIX, Fase. XXXIV. 97
4IO PER l'ingresso di cristierna sforza in vigevano
Oltre a ciò, i conti dei tesorieri registrano molti pagamenti,
soprattutto per mutui
Infatti, sempre appunto per mutuo in adventu della Duchessa,
troviamo versate: Nel 1534 a Cristoforo da Groppello, L. 2, soldi
io ; a Giovanni Rodolfo Prealza, L. 10 ; a Giovanni Garrono,
L. 2, soldi 14 (i) ; nel 1535 a due persone L. i ciaiscuna ; a sette
L. I, soldi io ; a tre L. 2 ; a una L. 2, soldi 6 ; a otto L. 2, soldi 10 ;
a una L. 2, soldi 13 ; a sei L. 2, soldi 14 ; a cinque L. 3 ; a due
L. 4 ; a quattro L. 5 ; a cinque L. 5, soldi 6 ; a due L. 5, soldi 8 ;
a una L. 6 ; a una L. 7, soldi 5 ; a una L. 8, soldi 14 ; a una L. io ;
a una L. io, soldi 12 (2); nel 1537 a Giovanni Antonio de' Te-
gamali L. 5, soldi 4, e ad Ambrogio Cazelli L. 2 (3). In tutto
L. 204, soldi 18. Ancora : nel 1534 il tesoriere paga a Vincenzo de'
Ferrari Lanzalotti pò clonis (?) et aliis date per l'arrivo della
Duchessa L. 13, soldi io (4); nel 1535 a Giovanni de' Merli di
Mortara per danni soflFerti L. 16 (5); a Pietro Maria Barbassi per
assi dati prò ordinando pontem ticini L. 5, soldi 8 (6) ; a Fran-
cesco da Novara, cordarus, per corde date, L. 8 (7). In tutto L. 42,
soldi iS. Finalmente troviamo notati nel 1535 otto pagamenti di
L. 5, soldi IO (8) e uno di L. 5, soldi 8. e nql 1537 due di L 5,
soldi IO, e uno di L. 5, soldi 12 ad altrettante persone vestitesi di
bianco. Di qui appare l'importanza, per i nostri conti, della la-
cuna del 1536. poiché in essa probabilmente dovevano essere sc-
ornati i denari dati alle altre 25 persone, se, realmente, come abbiam
visto nella descrizione di Simone, 37 furon quelle che si vestirono
di bianco, e le restanti spese Quella cifra ammettendo, e ammet-
tendo che ciascuna sia stata retribuita in niedia L. 5, soldi io, si
* et homìnibus civitatis Vigl.iù dare ad usaras nisi ad denarios octo Impl^
* prò singula lib. Impl. singulo mense modo quod provideatur quod si
' aliquì Elbreij sive sabbatarìj venerìnt in dieta Civitate et qui modo
* sunt non possint nec valeant dare et ipsi ad usuras nisi ad dictum
* interesse dictorum d. octo prò singula lib. Impl. Et ita fieri petit prò
■ comodo et utilitate diete Civitatis. ,
(i) C T. i5a7-'38. f. 262 e sgg.
(a) C T. a. e f. 278 e sgg.
(3) C T. a. e. f. 316 e sgg.
(4) C T. a. e. f. a6o r.
(5) C. T. a, e, f. 280.
(6) C. T. a. e. f. 282 r,
(7) C. T. a. e. f. 286.
(8) A uno dei creditori non furono versate per la questione del-
Vequaiantim,
PER l'ingresso di cristierna sforza in vigevano 411
viene ad avere un altro pagamento di L. 303, soldi io. In totale
risulterebbe quindi una spesa di L. 451, soldi 5, pari a scudi 6g,
lire 2, soldi 16, che, uniti ai 100 ottenuti dallo Zaccaria, di Vige-
vano, sono scudi 169, lire 2, soldi 16.
Ma noi abbiam detto che, forse, al Comune la festa costò
scudi 575 o 475. Perchè?
Ecco. Nel consiglio del io marzo 1534 il console Gian Maria
del Pozzo e Gian Giacomo de' Morselli, proconsole invece di Pie-
tro de* Garroni, lessero una lettera ricevuta dal senato milanese,
in cui il duca ordinava loro di riunire il consiglio generale e far
eleggere due o tre cittadini, che si trovassero il giorno 1 5 a Milano
senza fallo, perchè doveva t far intendere alcune cose alli agenti 9
di Vigevano, e chiesero, secondo il solito, che si deliberasse. I
consiglieri elessero Jeronimo da Parona e Tommaso de' Ferrari
Fantoni (i). I quali, recatisi a Milano, ne riportarono la poco
lieta novella che il duca voleva raccogliere da tutto lo stato la
somma di centomila scudi, lasciando facoltà ai singoli comuni
di cavarli da dove loro fosse piaciuto o sembrato opportuno : la
risposta doveva essere a lui recata il venerdì della settimana suc-
cessiva, giorno 27. I consiglieri, avvisati nella seduta del 19 marzo,
considerando t rem esse magni ponderis et considerationis », de-
liberano di rimandare ogni decisione alla prossima domenica, t ut
« omnes bene considerati, et instructi valeant ad minus diete Ci-
€ vitatis et Comitatus damnum » (2). E la domenica, giorno 22,
eleggono Jeronimo da Parona, Tommaso de* Ferrari Fantoni, Vin-
cenzo de' Bastici BorioH, Gian Maria del Pozzo, t qui habeant ire^
« Mediolanum occaxione diete obligationis fiende... dantes eiis-
« dem omnimodam autoritatem obligandi dictam comunitatem
« [sci. Vigevano] et comitatum prò dicto redutu constituendo ver-
« sus R.m senatum in et super illis rebus quibus suprascriptis do-
« minis vidébitur oportunum et diete comunitati et comittatu mi-
« nus nocium et damnosum. promittentes et oblieantes, etc. » (3).
Il 15 aprile Tommaso de' Ferrari, tornato da Milano, riferiva al
Consiglio che, dei centomila scudi, la parte spettante a Vigevano
cx)l suo contado era di mille, t cum spe def alcandi scutos centum »
e con facoltà t imponendi tale onus in et super quas vel quibus
« magis agentibus dicti comunis placuerit » Allora i consiglieri,
se ben intendiamo; ordinarono alla commissione dei dieci dele-
(i) c. c. G.. 153235, r. 178.
(2) e. e G. 1532.35, f. 1 79 e sg.
(3) C. C. G. 1532-35, f. 182 r.
412 PER L INGRESSO DI CRI5TIERNA SFORZA IN VIGEVANO
gati ai festeggiamenti per l'arrivo della duchessa, che trovassero
il modo di pagare tale porzione « ac recuperandi >, cioè di far
pagare al duca i denari spesi per quelle feste ■ simul danis et in-
c teresse secuto et secuturo > (i). E la commissione, se, ancora,
bene interpretiamo, riusci al secondo scopo, poiché nell'atto della
seduta consigliare del i ' maggio così si legge : « In quo quidem
■ Consilio sic utsupra congregato expositum fuit per jamdictos
■ Dominos Consules causam presentis cong> hanc esse videlicet
■ qualitcr legati nostri missi Mediolanum occaxione subsidij im-
c positi loto statui et precipue prò exigenda portione civitati Vi-
€ gl.ni contingenti que est s. 430 vel circa cum alijs expensis factis
• in adventu IH D. D. Ducisse nostre... ■ (2).
La questione del circa sembra definita dal resoconto della se-
duta 25 maggio 1534, nella quale, parlandosi della parte dei cen-
tomila scudi, due volte la si dice di 435 (3).
Ora due sono i problemi da risolvere per sapere quanto vera-
mente costarono le teste : primo, se il Comune ottenne di pagaie
solo 900 srudi, invece che 1000, come gliene era stata lasciata spe-
ranza ; secondo, se realmente tutta la somma dai 425 ai 900 o ai
1000 fu impiegata nelle feste. Ma del primo non possiamo dare
la soluzione, perchè non n'abbiamo documento o argomento al-
cuno ; all'ultimo risponderemmo di sì, se fossimo proprio assolu-
tamente sicuri, come ci pare verosimile, che, per ottenere il con-
dono, il Comune dovette presentare tutti i conti.
Perciò appunto abbiamo detto che la festa costò, forse. 475
o 575 scudi, l'n ultimo scrupolo c'induce ad aggiungere che tale
spesa, in conclusione, venne ad essere sostenuta da Francesco II.
nnn dal Comune dì Vige\'aDo. che la computò nella quota dei
mille scudi.
Felice Fossati.
(0 e. e. e. 153*35. r. iSc) e sf.
(ai e. e. G. 153J-ÌV r. 191 r.
(3» e. e. G. i53a-35 C •«-
BIBLIOGRAFIA
E. Selctti, Marmi scritti del Museo Archeologico di Milano^ Catalogo.
Milano, Tipogr. P. Gonfalonieri, 1901, in-8, p. Xll-350.
Lo studioso e l>enemerito editore spiega brevemente nella prefazione
Torigine, i confini e lo scopo della pubblicazione. — Avuto l'incarico
dai colleghi della Consulta del Museo Archeologico di Milano di ordi-
nare le pietre scritte, che stavano in loro custodia, nel portico della
Rocchetta del Castello Visconteo-Storzesco, ed associatosi all'uopo il
cav. Vincenzo Forcella, dovette necessariamente delle iscrizioni stesse
ricercare la provenienza e fare la classificazione in ordine di tempo e
di materia; e così in breve si trovò raccolto fra le mani un materiale
prezioso, che credette bene far pubblico come primo fra i cataloghi a
stampa del nuovo Museo. « Non ebbi intenzione », avverte il Seletti,
P- n, u di pubblicare un'opera critica epigrafica col commento delle sin-
« gole iscrizioni, lavoro che in buona parte fu già eseguito da altri, come
« è dato poi rilevare dalle citazioni bibliografiche ; ma si è cercato, tra-
M scrivendo con diligenza le iscrizioni e delle più antiche presentando i
«disegni a ricordo delle forme, di compilare un catalogo convenevole,
« che servisse di guida al visitatore, e, col rendere più agevole la lettura,
n valesse a far conoscere l'importanza epigrafica del cittadino Museo. »
I marmi scritti del Museo Arch. di Milano provengono da tre colle-
zioni principali. La prima e la più ricca è quella Archinto, fondata
da Ottavio Archinto, uno dei LX Decurioni di Milano, che la raccolse
dal 1648 al 1652 nel suo palazzo lungo Ma fossa intema del Naviglio
in via Fatebenef rateili ; donde passò dopo il 1833 nel palazzo Archinto,
ora Collegio Reale delle Fanciulle, in via della Passione; finché, ve-
nuto lo stabile in possesso del Comune, quei marmi furono consegnati
al Museo nel 1865. La seconda, di circa cinquanta pezzi, è la collezione
Picenardi, acquistata nel 1868, la quale contiene iscrizioni di Brescia,
dissotterrate nel villaggio di S. Eufemia a 4 km. da quella città;
di Como, raccolte nella seconda metà del seicento dal vescovo monsi-
gnor Caraffini ; di Napoli, regalate ai Picenardi dall'abate Giovanni Re-
calcati; di Cremona, riunite o comperate in occasione di scavi in città
0 nel suburbio. La terza h la collezione Castìglwnij che comprende una
L
414 BreLIOGRAFIA
numerosa serie di iscrizioni e monumenti provenienti per la maggior
parte dalla demolita basilica Naboriana e dal chiostro di S. Valeria, la
quale fu donata al Museo dalla contessa Carolina Borromeo vedova Ca-
stiglioni nel 1868. A queste collezioni vanno aggiunti i marmi prove-
nienti dalle scoperte fatte via via negli edifici pubblici e nel sottosuolo
delle strade, e quelli regalati da altri cittadini benemeriti, dei quali
è dato un lungo elenco nell'indice a pag. 347.
Tutto questo materiale, che comprende 447 iscrizioni, e, abbracciando
un periodo di circa 2000 anni, forma una specie di commento scritto della
storia di Milano, è diviso in tre classi principali : di iscrizioni romane,
a cui ne precedono due gallo-italiche e due greche, dal n. 5 al 272 ; di
iscrizioni cristiane dal 273 al 299; di iscrizioni medievali e moderne
dal 299 al 447. La prima classe delle iscrizioni romane, secondo l'ordine
tenuto nel Corpus Inscr. Lat., è suddivisa in diverse categorie d'iscri-
zioni relative a divinità, imperatori, consoli, magistrati, militari, artefici,
commercianti, famiglie, a cui si aggiungono i frammenti senza nome
proprio certo; le cristiane non hanno suddivisione propria, ma sono or-
dinate cronologicamente ; e così le medievali e moderne sono raggrup-
pate in due grandi categorie, d'iscrizioni sepolcrali e di carattere pub-
blico, e ciascuna di esse alla sua volta è ordinata cronologicamente. Per
ogni lapide o marmo scritto sono date le dimensioni, la provenienza, la
bibliografia e il numero di catalogo; ma ciò che costituisce una novità,
se non in senso assoluto, certo in senso relativo per un catalogo, è che
di tutti i monumenti scritti antichi, e di quasi tutti i medievali e mo-
derni, è data la riproduzione per incisione in legno o per zincotipia, ri-
cavata da disegni e fotografie ; di guisa che, insieme al fac-similc di
ogni iscrizione, il lettore si trova dinanzi l'imagine del monumento di
cui essa è parte.
Ognun vede l'importanza grandissima di queste riproduzioni , e per
la retta interpretazione di ciascun monumento, e per lo studio generale
dell'epigrafia e della paleografia. L'esattezza della trascrizione è e sarà
sempre la condizione prima di ogni raccolta epigrafica; ma anche l'oc-
chio più esperto, per suggestione propria o d*altri, può esser tratto in
qualche abbaglio; e allora non v'è che la riproduzione meccanica del-
l'oggetto che possa fare da termine inappellabile di paragone e ri-
chiamare lo studioso all'interpretazione obbiettiva dello scritto. Non è
raro poi il caso di iscrizioni che di per sé non danno una spiegazione
chiara ed esauriente, o, invece di una sola, offrono parecchie spiega*
zioni ; e allora la natura e le proporzioni del monumento inscritto pos-
sono fornire un criterio decisivo per l'interprete : quindi è che l'ideale
più vagheggiato di un epigrafista e di un archeologo moderno è quello
di poter valersi sempre di raccolte facsimilari. Così si è fatto in parte
nel Corpus. Inscr. /tal. del Fabretti e più nel Corpus Inscr. Etrusc. del
Pauli, per la riproduzione delle iscrizioni ; così e meglio si è fatto per
le iscrizioni e i monumenti licii {Tituli Lyciae lingua Lycia conscripti)
editi lo scorso anno dal Kalinka, cogli auspici dell'imperiale Accademia
BIBLIOGRAFIA 4I5
di Vienna. Se mai un giorno si penserà ad un rifacimento dei famosi
Corpus delle iscrizioni latine e greche, così dovranno fare i nostri suc-
cessori (i). L'aver il Seletti ideato e fatto tanto da solo è il miglior elogio
che si possa tributare all'opera sua, la quale, non è lecito dubitarne, rac-
coglierà per questo il plauso e le simpatie di tutti gli studiosi.
Quanto alla parte descrittiva e bibliografica del suo lavoro, essa è
condotta con precisione, con cura e con sobrietà. Niente sarebbe più fa-
cile a questo ngriardo che proporre aggiunte j ma in parecchi casi l'edi-
tore dice espressamente di essersi astenuto a bella posta dalle soverchie
citazioni, riferendosi a qualche più ampia pubblicazione speciale : in altri
casi la dichiarazione non è espressa, ma facilmente si sottintende. Io per
parte mia non propongo qui altro che un'aggiunta all'iscrizione 370, per la
quale, trattandosi d'un monumento su cui l'ultima parola non fu detta
ancora (2), credo utile ricordare che trovasi pure pubblicata nel Supfle-
mentum lUslicum I, al C. /. L. n. 129$, con una noticina del Mommsen.
Del resto il bel volume parla da sé e non ha bisogno di elogi per esser rac-
comandato al pubblico. Auguriamoci piuttosto che gli altri cataloghi delle
raccolte splendidamente installate nel castello monumentale trovino
tutti un editore ben preparato, amoroso e diligente come il Seletti.
B. NOGARA.
Reinhold Ròhricht. — Deutsche Pilgerreisen nach dem Heìligen
Lande, Innsbruck, \<po. — GeschichU der Ersten Kreugsuges, Inn-
sbruck, 1901.
11 primo di questi due Importantissimi studi si può considerare come
la terza edizione di un lavoro che apparve vent'anni or sono e che fu
già assai lodato e apprezzato. E' però necessario notare che nella prima
stampa, fatta colla collaborazione del Meisner (3), l'elenco dei pelle-
grini ne comprendeva poco più d'un centinaio e che, essendo le narra-
zioni dei viaggi riprodotte dai testi nella forma originale (antico tede-
sco), non a tutti era dato di poterle consultare^ sebbene gli autori vi
avessero aggiunto un glossario per le parole più oscure e difficili; inol-
(1) Speriamo che con tale criterio sia condotto anche il Corpus Inscr.
^t. M. Aevi, di cui la nostra Società si è fatta promotrice, qualora be-
nigni i fati arridano a tanta impresa. (V. quest'ilrtr/r., igoi p. 184).
(2) Fa specie il trovare questo monumento fra le iscrizioni di
carattere pubblico medievale e moderno. Il monumento è senza dub-
bio antico e antiche sono le parole incise sull'orlo dei quattro pozzetti
angolan : medioevale è soltanto l'iscrizione di Valperto : sarebbe stato
meglio perciò pubblicare il monumento fra le iscrizioni antiche senza
nome certo, e a questo luogo, fra le iscrizioni medievali, riprodurre
1 iscrizione di Valperto.
V ^«J^* ^^™rcHT u. H. Meisner, Deutsche Pilgerreisen, ecc., Ber-
lin, tooO.
4l6 BIBLIOGRAFIA
tre a quell'edizione era unita una bibliografia delle opere che si riferi-
scono alla storia della Terra Santa, dall'anno 333 al 1876.
Nella ristampa che seg^i pochi anni dopo e a cui attese soltanto
il R. (i), il numero dei pellegrini, dei quali erano date più ampie e
particolari notizie, sali a trecento circa; furono invece omesse le nar-
razioni in antico tedesco e quella bibliografìa, che il R. rifece comple-
tamente e pubblicò poi a parte (2).
Questa nuova edizione merita di ess3r segnalata, e perchè il R., pro-
seguendo nelle sue fortunate ricerche, ha saputo aumentare il numero
dei pellegrini, l'elenco dei quali giunge ora sino alla fine del sec. XVII
(1699), e perchè l'introduzione, nel testo e soprattutto nelle utilissime
note, è, si può dire, tutta rinnovata.
I pellegrini tedeschi, come quelli d'ogni altro paese, intraprende-
vano il lungo viaggio non sempre per divozione o fervore religioso,
ma più sovente per smania di avventure o per semplice curiosità o per
visitare i mercati di Oriente, e stringere cosi nuove relazioni commer-
ciali; alcuni poi se ne andavano, pellegrini di professione, a sciogliere
i voti di coloro che più non potevano mantenere la solenne promessa,
o che forse non si sentivano il coraggio di decidersi e preferivano di
pagare il sostituto : e pare che questi uomini prudentemente divoti non
fossero pochi, poiché si formarono anche alcune confraternite o soda-
lizi che, come si usava un tempo, in certi paesi, pel servizio militare,
offrivano, a chiunque avesse sborsata una data somma di danaro, il
vice-pellegrino.
Quasi tutti, in generale, venivano ad imbarcarsi a Venezia, poiché
pochissimi si arrischiavano a seguire la via di terra, ed a Veneria fa-
cevano pure, in gran parte, ritomo ; è naturale quindi che molti, e
specialmente gli svizzeri, arrivassero alla terra di S. Marco, valicando
le Alpi : il S. Gottardo ne vide infatti scendere parecchi, i quali non
mancavano poi di fermarsi nelle principali città italiane, e soprattutto
a Milano, che fu visitata da molti, sia andando che ritornando da Ve-
neria.
II R. narra con la consueta chiarezza come si organizzassero le
carovane dei pellegrini, e come si regolassero quelli che partivano
soli; descrive il loro soggiorno a Venezia, gli alberghi in cui trova-
vano alloggio e quel famoso Fondaco dei Tedeschi, di cui già si occupò
il Simonsfeld; assai interessanti sono poi i patti che il pellegrino strin-
geva col padrone della nave e le clausole del contratto (cfr. pag. 10-12),
che determinavano in modo preciso i diritti e i doveri dei due con-
traenti, per evitare possibili contestazioni da una parte o dall'altra.
Prima di approdare a JaflFa (e lo sbarco richiedeva non poche for-
malità) i pellegrini ricevevano preziose istruzioni sulla condotta che
dovevano seguire, secondo i vari paesi che avrebbero attraversato per
iO R. R., Deutsche Pilgcrrcisen, Gotha, 1889.
\2) R. R., Bibliothcca geographica Palestinar, Berlin, 1890.
BIBLIOGRAFIA 417
giungere al Santo Sepolcro; sciolti i loro voti e compiute le desiderate
divozioni, tutti, o almeno la maggior parte, andavano a visitare Be-
thlehem, alcuni arrivavano sino ad Aleppo, altri si fermavano ad Ales-
sandria, al Cairo, ecc.
All'Introduzione segue Telenco dei pelleg^rini, cominciando dal 1300,
col viaggio di Fredericus quondam decanus ecclesie Goslariensis dictus
de Jerxom (Jerxheim), fino al 1699, anno in cui partì Enrico Guglielmo
Lndolph; e le notizie che il R. ha raccolto, tanto sulle comitive come
sui viaggiatori isolati, sono molte e pregevoli, specialmente per quelli
che vissero nel sec. XV e nei seguenti. Fra coloro che passarono da
Milano, ricordiamo Hans v. Eptingen, che nel 1460 ritornò in Germa-
nia pel S. Gottardo ; Ludwig Tschudi Glarus, che, dopo aver visitato
Maria-Einsielden, giunse a Milano, attraversando egli pure il S. Got-
tardo, e quivi fu accolto molto cortesemente dal governatore francese, il
Lautrec (15 19), dal quale ebbe inoltre lettere di raccomandazione; Hein-
rich Wòlfli, canonico, che fu a Milano, sempre pel S. Gottardo, nel
1520, e così Jodocus v. Meggen (1542), Jacob Wormser (1561), Alexan-
der V. Pappenheim (1563). Osserviamo infine che il R. ha opportuna-
mente registrato il nome di parecchi pellegrini che, pur essendo di altro
paese, si accompagnarono a carovane tedesche ; e fra questi troviamo
qualche lombardo (cfr. pag. 196, 212, ecc.) : il volume si chiude poi
colle canzoni del pellegrino {Pilgerlicder), le più antiche che cono-
sciamo, e delle quali un saggio era stato dato anche nella seconda edi-
zione.
Gli studiosi delle crociate dovevano già non poca gratitudine al R.
per i Regesta e per la Storia del Regno di Gerulasemme (i), e più ri-
conoscenti gli saranno ora ch'egli ha pubblicata questa Storia della
prima crociata, che spiega in modo chiaro e sempre rigorosamente do-
cumentato quegli avvenimenti che precedettero e prepararono il nuovo
regno latino ; cosicché essa può a buon diritto considerarsi come la prima
parte della Storia di quel Regno.
Il R. studia anzitutto le varie cause che diedero luogo alla crociata ;
esamina quali fossero le relazioni fra i cristiani e i mussulmani fin dai
tempi più antichi (sec. VII), e quale la condizione dei cristiani nella
Terra Santa sotto la dominazione dei Califfi d'Egitto, per concludere
che soltanto quando i Turchi Selgiucidi s'impadronirono della Pale-
stina, i cristiani, e più esattamente i pellegrini, incominciarono ad esser
perseguitati e maltrattati. Il R., contro l'opinione del compianto e bene-
merito Riant, ammette con ragione che Gregorio VII, commosso dagli
appelli dell'imperatore Michele, preparasse una spedizione, dalla quale
fu in seguito distratto a cagion dell'infuriare della lotta per le investi-
ture ; e dimostra che si può pure ritenere autentica la lettera che Alessio
scrisse a Roberto di Fiandra nel 1088 (cfr. pag. 15-16), lettera che il
Riant invece ritenne apocrifa.
(i) R. R., Regesta Regni Hierosolymitani^ Innsbruck, 1893; e Ges-
chickte des Kónigreichs Jerusalem, Innsbruck, 1898.
V
4 rè BÌBLlOGRAriA
E* del resto evidente che l' Europa insorse e s*apparecchiò alla guerra,
scossa dalle disperate invocazioni d'aiuto di Alessio I, che seppe dimo-
strare con efficacia e abilità i gravi danni che il terribile nemico poteva
minacciare all'impero bizantino; tuttavia noi crediamo che le cause che
hanno cooperato assai a rendere popolare la crociata, a diffondere in
modo così rapido l'entusiasmo per la santa guerra, si devano ricercare
nella generale miseria, triste eredità che le guerre continue e feroci ave-
vano lasciato e lasciavano dietro a sé, nella potenza, sempre crescente
e sempre più vittoriosa, del papato e nel maggior ascetismo : e di ciò
appunto il R. ci ha dato convincenti prove.
Esaminata quindi l'opera dei principali organizzatori del grande
movimento, specialmente di Urbano II (i) e di Pietro l'Eremita, il R.
fa il racconto delle due spedizioni che seguirono a breve intervallo di
tempo, di quella cioè « popolare », che diede luogo al massacro degli
ebrei in Germania ed ai sanguinosi conflitti nell'Ungheria e nell'impero
greco, e dell'esercito più regolare, o se non altro meno indisciplinato,
condotto da Goffredo e dagli altri noti principi e cavalieri ; e con ric-
chezza di notizie particolari, consentita solo a chi ha, come il R., profonda
conoscenza dei fonti, sono narrati gli avvenimenti che si svolsero dal
1096 al luglio 10Q9. Per ciò che riguarda l'ordine cronologico il R. si è
in parte servito degli studi dello Hagenmeyer (2) ; quanto ai fonti, se
non si può dire ch'egli abbia avuto singolari preferenze, è però certo
che le cronache d'Alberto d'Aix, di Raimondo d'Agiles ed i Gesta Fran-
corum d'autore anonimo furono da lui considerati come i più degni di
fede (3).
Molto importante ci sembra l'ultimo capitolo, dedicato tutto a Gof-
fredo e al suo governo : qui il R. ha messo in chiara luce le non liete
condizioni del nuovo regno, reso subito assai debole dalla partenza della
maggior parte dei crociati, e gli effetti diversi che l'esito della guerra
aveva prodotto nell'Oriente e nell'Occidente. Mentre i mussulmani, se-
condo il loro costume erano rimasti quasi indifferenti, l'annunzio della
presa di Gerusalemme destò nuovi e più grandi enttisiasmi in Europa,
che non apportarono beneficio alcuno alla nascente dominazione latina;
ed è notevole ciò che il R. dice dei progetti e dell'opera dell'Arcivescovo
Anselmo di Milano (cfr. pag. 222-3).
(i) Il R. non ricusa di accogliere come autentica la lettera che Ur-
bano II avrebbe inviata ad Alessio il 25 dicembre 1096, annunziando l'ar-
rivo dei crociati (cfr. pag. 23 V
(2^ Dico in pane, poiché H. Hagenme\'ER terminò di pubblicare la
sua ottima Chronolo^ie de la première croisade, (in Revue de TOrieni
latin, VI, 214-03; 4tKH54o; VII, 275-330; 430-503; VIII, 318-381), dopo
che il R. aveva già ecita la presente opera.
(3^ E' supt^fluo aggiungere che il R. tenne conto di tutti i numerosi
studi che sì pubblicarono in questi ultimi anni ; così ci è grato notare per
esempio, che, circa la partecipai io no dei lombardi alla crociata, non
sfuggirono al R. le o<>erv.i/K>ni che il Motta scrisse in questo Archivio
nel tSq^
ftlfeUOGRAt^IA 41$
Infine^ a complemento di questa pregevole storia, il R. pubblica
quattro excurfus^ dei quali senza dubbio riporta la palma il primo, che
tratta dell'Oriente avanti la proclamazione della crociata; così il suo
lavoro rimane più compiuto ed è quanto oggi si può desiderare di me-
glio, dopo gli studi del Sybel, del Riant, e del Kugler.
ARTURO MAGNOCAVALLO.
Conte Girolamo Secco Suardo, // Falaszo della /Cagione in Bergamo ed
edifici ad esso adiacenti. L antica demolita basilica di S. Alessandro
in Bergamo, Memoria. Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1901,
con illustrazioni.
Pel carattere prevalentemente tecnico di questa interessantissima
pubblicazione dobbiam limitarci ad un breve cenno bibliografico.
La parte prima illustra lo scalone, che oggi vien detto della Biblio-
teca e che tempo addietro si chiamava del Palazzo vecchio. Contro l'opi-
nione espressa da qualche scrittore che l'origine dello scalone non ri-
salga oltre il 1 566, l'Autore si studia di provare, con ricco corredo d'osser-
vazioni storiche e di confronti, come lo scalone sia coevo col Palazzo e
come una scala sul lato orientale del palazzo stesso non sia mai esistita,
contrariamente a quanto da altri fu detto : fra le prove ch'egli adduce per
assicurare che lo scalone esisteva nel secolo XV è lo Statuto della città
pel 1491.
La parte seconda è destinata a illustrare il palazzo del Comune.
Del palatium comunis Pergami rifa la storia. Esaminando le forme della
piccola facciata orientale ancora esistente e tenuto conto della tradizione
(conservata in documenti grafici e manoscritti) di quello che furono le
forme della facciata meridionale nel suo piano superiore, egli conclude
che non v' ha dubbio che il palazzo fu edificato nel secolo XII e che
quindi i documenti di quell'epoca i quali discorrono genericamente di un
palazzo comunale si riferiscono realmente a questo, non ad altri oggi più
non esistenti : ma che le arcate e le finestre a sesto acuto e le trifore
eleganti a colonnine abbinate con belle basi e capitellini costituiscono
uno dei più notevoli esemplari dello stile gotico del princìpio Jel se-
colo XIV.
Per risolvere il problema della data della costruzione del palazzo,
"autore intraprende un diligente studio archeologico. Egli osserva giu-
stamente che quando si tratta di costruzioni medievali nessun docu-
mento può parlar più chiaro dell'edificio stesso: se anzi la via delle
indagini è esclusivamente la diplomatica, le conclusioni possono essere del
tutto contrarie al vero. Egli conclude che la fronte occidentale rimase
salva dall'incendio del 15 13 e dai restauri intrapresi dall'architetto Isa-
bello che raffazzonò o ricompose l'attuale fronte settentrionale. Questa
parte del libro del Secco Suardo è di notevole interesse anche per le
molte notizie nuove e pei richiami dei documenti sul palazzo vecchio,
420
sul faiatium farentatki Stiardorum et Colionum, sM'kospitìMm Coum-
HÌs Pergami, sul palazzo pretorio, già casa di ZentiJino Suardo.
La parte terza è dedicata alla stona edilizia dell'antica basilica di
S. Alessandro, che venne demolita nel i;6i per la costruzione delle
nuove mura della città. Un disegno nel Fondo di Religione nell'Archi-
vio di Stato di Milano riproduce lo spaccato di quella basilica ; esso
presenta due stili marcatamente distinti : « l'originario del secolo IV
lineile colonne coi capitelli e nelle cornici architravate sovrappostevi,
<[ le quali però non sopportavano il peso dell'edificio inquantocbè dalla
« detta cornice architravata si dipartivano i peducci degli archi, i quali
ti in realtà (non gli architravati) portavano il peso del tetto. Gli archi
Il giungevano in prossimità del sofBtto : e dalla loro spinta li garantivano
CI i due muri, che li dividevano dal coro e dal portico. E' la forma degli
Il archi sia della nave principale che delle due minori non che quella
li della centinatura delle finestre, che subì una profonda modificazione,
li trasformandosi da romana, ossia a pieno sesto, in gotica, ossia a sesto
Il acuto ed a curvatura trilobata, n 11 che avvenne probabilmente nel prin-
cipio del XV secolo, introducendo si nelle navi minori i nicchioni, entro
i quali si collocarono gli altari. Quanto alle finestre il Secco Suardo
ne osserva la relazione con gli archi trilobati della basilica di S. Francesco
in Assisi e altri ; quando i canonici di S, Alessandro si decisero a mo-
dificare lo stile della loro basilica, avendola trovata con finestre a cen-
tinatura semicircolare, si limitarono, conservando la loro luce originaria,
a convertire la precedente centinatura in altra trilobata, quanto alle fine-
stre delle navi ; quanto a quelle det coro le decorarono pure in tutto
il loro contomo dì una ricca cornice conforme al gusto del tempo. Lo
studio che il Secco Suardo intraprende per ricomporre la storia della
distrutta basilica è quindi del maggiore interesse, e noi ci auguriamo
con lui, che si intraprendano dei restauri seni intorno agli edifizi an-
tichi più notevoli di Bergamo e specialmente del Palazzo vecchio.
F. M.
Luca B^^tRAUI, — LiOnaido da Vinci e la sala delle «Asse» nel Ca-
stello di Milano. — Milano, Allegretti, .MCMll, pp. 70.
In occasione del ripristino della decorazione pittorica nella Sala
detta delle « Asse 11 ad iniziativa dell'avv. Pietro Volpi, che volle in
modo così nobile onorare la memoria della defunta consorte Alessan-
drina Volpi Bassano, l'arch. Beltrami puU>lica questo scritto, ricca-
mente corredato di disegni, destinato a rifare la storia di quella sala
che si trova al pian terreno della torre situata all'angolo nord del ca-
stello Sforzesco di Milano. E' a pianta quadrata, coperta da vòlta por-
tata da lunette e riceve luce da due finestre in corrispondenza ai lati
della torre prospettanti il fossato. Il Beltrami, esposte le condizioni di
fatto che si riferiscono a questa parte del castello, riporta i documenti
BIBLIOGRAFIA
421
speciali sulla decorazione. Una lettera del 21 aprile del 1498 di Gual-
tiero, famigliare ducale a Lodovico il Moro, nota : Lunedì si desarmerà
la Camera grande da le asse cioè da la tore, Magistro Leonardo fromete
finirla per tuta seftembre, Leonardo da Vinci nelVepoca stessa lavorava
alla Saletta negra e ai Camerini : e la sala dalle « Asse », della quale è
ricordo più volte, da lui decorata, è oggi ripristinata in tutta la sua
veste smagliante. Nel 1893-94 il dott. Paul Miiller Walde ottenne che
vi si intraprendessero indagini per rintracciarne la decorazione della
vòlta e si rinvennero infatti alcuni frammenti raffiguranti grandi tronchi
d'alberi che, innalzandosi lungo le pareti, si ramificavano in corrispon-
denza al piano d'imposta delle lunette, trasformando la vòlta in ampio
pergolato, nel quale l'intreccio fittissimo di rami trova una nota vivace
nel motivo di corde dorate a nodi raggruppanti si intomo alla serraglio
della vòlta, dove campeggia lo stemma ducale in anello dorato. Ritro-
vata parte di una iscrizione all'imposta di vòlta, in uno dei lati della
sala, fu potuta completare quella e rinnovare le altre che per for-
tuna eran state raccolte nei Diari di Marin Sanudo. D' accordo
con l'architetto Gaetano Moretti, direttore dell'Ufficio Regionale per
la conservazione dei monumenti in Lombardia, il lavoro fu affidato al
pittore Emesto Rusca e, dopo lunghe ricerche per ricomporre tutto lo
schema generale della decorazione, costituita da un intricatissimo vi-
luppo di rami complicato dal raggirarsi di corde che si sbizzarriscono
in nodi e per rintracciare il fogliame per ricomporre le masse, le mo-
venze, i contomi, ristabilire le parti forate del pergolato, per ricono-
scere le tonalità originali, le gradazioni di colore, le intensità di luce
e di ombre, il lavoro fu compiuto diligentemente e genialmente cosi
che, levate le impalcature, la grandiosa composizione si presentò equi-
librata, armonica, attraentissima.
Dalla interessante pubblicazione del Beltrami, che di tutti i restauri
del castello Sforzesco ^ l'anima, si vede come l'idea originalissima trovi
molti pensieri e note nei manoscritti di Leonardo. Nel momento pre-
sente in cui uno stile che si vuol chiamar nuovo, perchè si vanta di
una veste decorativa ispirata direttamente alla natura, cerca dì affer-
marsi ufficialmente, è bello constatare il carattere eminentemente no-
strano della decorazione floreale, ma sarà di meraviglia soltanto per
chi non conosceva intimamente l'arte del Rinascimento trovarlo cosi
meravigliosamente sviluppato precisamente in quel periodo e per opera
di questa scuola italiana che sembra più direttamente bersagliata dai
nuovi apostoli dello « aesthetic Style ». Per tutti gli altri questa ten-
denza che ci viene dal Nord non è che un provvido ma non nuovo rimo-
dernamento di idee del passato.
F. M.
422 BIBLIOGRAFIA
Cesare Faccio. — Giovanni Antonio Bassi (Il Sodoma) pittore vercel-
lese del secolo XVI, Vercelli, Gallardi e Ugo, editori, 1902, ili. pp.
Come nota l'autore, questo libro ebbe origini modeste. Quando, nel
1895, Tavv. Antonio Borgogna che, per la dispersione della Gallerìa Scarpa,
conservata in Motta del Friuli, aveva avuto occasione di arricchire la pro-
pria collezione d*opere d'arte, di una delle ultime tavole rivendicata al
Sodoma dalla critica moderna, donava alla città di Vercelli la protome
del pittore, ch'egli aveva fatto ritrarre, il colonnello Faccio aveva rac-
colto quanto era noto intomo alla vita e alle opere dell'artista vercel-
lese ed ora pubblica in un bel volume, corredato riccamente di ripro-
duzioni dirette, una interessante monografia.
Del Sodoma il Vasari aveva cercato evidentemente di menomare
la fama e come artista e come uomo : contribuirono al contrario a farne
rilevare le grandi qualità d'artista il senatore Morelli e Gustavo Friz-
zoni, mentre il Dellavalle prima, il Bruzza poi, s'eran studiati di assu-
merne le difese per quanto riguarda la natura dell'uomo ed i suoi co-
stumi, che il triste nomignolo affibbiato all'artista (e che il Faccio si
studia provare debba essere Sodóna, non Sodoma, e quindi di nessun
carattere infamante) aveva fatto supporre fin qui del tutto pervertiti.
L'esame diligente dei fonti per la biografia, e specialmente per quello
che si riferisce al luogo di nascita del Bazzi, inizia nel volume del Faccio
la narrazione delle vicende della sua vita. Il Sodoma nacque nel 1477 *
vent'anni dopo egli aveva già compiuta la sua prima educazione arti-
stica con Martino Spanzotti, presso il quale il padre lo aveva allo-
gato. Sulla guida dei documenti sembra accertato che il pittore, per di-
verse ragioni d'indole famigliare, disamoratosi della sua Vercelli, che
allora faceva parte del ducato milanese, si condusse a Milano, dove lo
sfarzo della corte di Lodovico il Moro e la fama di Leonardo lo chia-
mavano. Da Milano, nel 1501, come narra il Vasari, gli agenti di Giulio
ed Antonio Spannocchi lo condussero a Siena, dove Ser Pandolfo Petrucci
dominava su quella repubblica. Si sa che quivi il pittore eseguì vari
ritratti, uno dei quali potrebbe essere quello della Galleria Staedel di
Francoforte, già dato a Sebastiano del Piombo e dalla moderna critica
restituito al pennello del Vercellese. D'altri suoi ritratti non si saprebbero
indicare che quelli rinvenuti dal Morelli, fra cui tre figure maschili,
condotte al carboncino, una nella raccolta degli Uffizi, una seconda nell'Al-
bertina di Vienna, la terza nel Museo Britannico ; ai quali il Faccio asr-
giunge l'effigie d'uomo con barba nera e largo cappello rosso a cencio
nella sala del Prometeo della Galleria Pitti. Fra le prime opere del
periodo senese del Bazzi eran due tavole, perdute, per Enea Savini della
Costerella incorniciate dal celebre intagliatore Antonio Barili. Rimane
invece la Deposizione dalla Croce, dipinta per la cappella dei Cinuxii
in San Francesco, ora nell' Istituto di Belle Arti di Siena, che il Friz-
BIBLIOGRAflA
423
zoni ascrìve al periodo giovanile dell'artista, confermando così l'opinione
del Della Valle e degli annotatori del Vasarì : in quest'opera sono
una delicatezza e un sentimento che ricordano i migliori pittori lom-
bardi di quel tempo. Cosi di un tondo della galleria di Siena, traspor-
tato dall'Eremo di Lecceto, nel suburbio della città, raffigurante un
presepio : motivo che il Sodoma ripetè, con varianti notevoli, nel tondo
della galleria Borgogna di Vercelli, già dato a Cesare da Sesto.
Nel luglio del 1503 il pittore prometteva a Don Andrea Coscia, na-
poletano, cellerario del monastero di S. Anna di Creta, a poco più di
sette chilometri da Pienza, di eseguire le pitture per ornare il refettorio,
per compenso di 20 scudi d'oro e le spese. I dipinti che vi si vedono son
di\isi in sei grandi scomparti, disposti a tre a tre sulle pareti dei lati
minori della sala. Sulle pareti dei lati maggiori, ai quali dovevano es-
sere appoggiati i seggi dei monaci e al disopra di questi, il pittore
dispose un fregio con tondi che racchiudono teste di santi alter-
nati con quadretti a monocromato. Sul muro di fronte all'ingresso, nel
quadro principale, è raffigurato il miracolo della moltiplicatone dei pan!
e dei pesci : nello scomparto a sinistra si vede la turba già satolla ;
quello di destra è del tutto sciupato dall'umidità. Nella parete di contro,
sulla porta d'ingresso è raffigurata una Pietà : nel compartimento a sini-
stra è S. Bernardo Tolomei, fondatore dell'ordine degli Olivetani, circon-
dato dai confratelli vestiti delle loro tonache bianche ; nel compartimento
di destra è sant'Anna in trono e la Madonna col bambino. Nello spes-
sore del muro dell'unica porta che dà accesso al refettorio è un tondo
con la mezza figura del Redentore.
Nel 150$ il Sodoma era intento ai grandi dipmti dell'archicenobio
di Montoliveto di Chiusuri, che rappresentano il lavoro suo capitale. L'o-
pera era stata commessa al Signorelli, che aveva abbandonata l'impresa
nel 1498, chiamato, sembra, ad Orvieto, dopo aver condotto a termine a
Montoliveto nove istorie con varii episodi della vita di San Benedetto.
Il Bazzi, colorando le ventisei storie che completano il giro del chio-
stro, continuò quella serie con altri fatti della vita del Santo. Oltre questi,
in vari locali del monastero il pittore raffigurò : L Incoronazione della
Vfrgine, il Salvatore con la croce, la Madonna coi Santi Pietro e Mi-
chele, il cominciamento della religione olivi tana, (risto alla colonna,
tristo che porta la croce. L'autore della monografìa eh.* stiamo esami-
nando, si allontana (jui, nell'elenco di questi affreschi e nella loro de-
signazione, dagli annotatori del Vasari, e si studia di demolire certe
facili leggende create sull'asserzione dell'autore delle Vite, intorno a
questi dipinti : i quali provano, come aveva osservato il Frizzoni, che il
pittore, dal 1498 al 1501, segui la scuola di Leonardo da Vinci. Fra le
opere di questo periodo l'autore mette il tristo che -porla la Croce, del
quale è ricordo, ma che si credeva fosse andato perduto ; il Faccio invece
osserva che potrebbe essere quello del palazzo dei marchesi di Beaurc-
gard in Chambery, scoperto sotto una moderna impiastricciatura.
^^el 1507 il Sodoma era a San Gimignano, dove fresco a chiaroscuro
^na parete della cappella delle carceri, ora ufficio dell'economato mu-
434
DÌcipale, che rimane (un'ora, con sant'Ivoue in atto di render giustizia
a una turba di poveri e di orfani dinanzi alla porta del tribunale : è
lavoro affrettato e di poco valore, come aveva notato il Frizioni. Nel
1507 capitò a Siena il fastoso Agostino Chigi, che si condusse a Roma il
pittore. Qui finisce il primo perìodo dell'attivi^ del Balli.
Giunto alla corte pontificia l'artista ottenne di dipingere nel palano
Vaticano in una delle camere innalzate da Nicolò V, presso a quella in
cui lavorava il Perugino. Qui il Faccio esamina con acume quanto ne
scrisse in proposito, contraddicendosi, il Vasari, per concludere che il
Sodoma non potfe metter mano ai dipinti suoi nella Camera della Se-
gnatura prima del 1508, e che quindi Raffaello precedette, per ordine
di tempo, il Bazzi nella decorazione delle stanze, non questi quello; al
Sodoma spetta quindi la parte ornamentale e architettonica di quella
stanza e, pel Frizzoni, il tondo del centro della vfllta coi putti reggenti
lo stemma dei Della Rovere e otto piccolissimi quadri posti fra quelli
di Raffaello, con scene mitologiche e fatti di storia antica. Cosi stando
le cose non si riesce davvero a spiegare l'animosità del Vasari verso il
nostro pittore. TI quale, il 38 ottobre i^io. a Siena, conduceva in moglie
Beatrice di Luca di Bartolomeo d'Egidio, detto Luca de' Galli, oste
alla locanda della Corona: in quella città allorn condusse a termine i
dipinti del palazzo Chigi con le gesta di Giulio Cesare e altri fatti tratti
dalle Metamorfosi di Ovidio, oggi scomparsi. Quanto alla vita coniu-
gale del pittore, fc possibile sfatare altre false asserzioni del Vasari, coi
fatti alla mano : lungi datl'obbligare la moglie a dividersi da lui, rat-
tristandone l'esistenza, come lo scrittore delle Vite aveva asserito, i do-
cumenti rinvenuti dal Milanesi assicurano che il Bazri la tenne presso
di sé sempre, rendendola madre di più figliuoli, a un de' quali pose
il nome di Apelle, mentre la figlia Faustina andò poi sposa a un allievo
di Giovan Antonio, ciot Bartolomeo di Bastiano Neroni. detto il Riccio,
pittore e miniatore, A questo periodo dell'artista appartiene Ta grande
tavola da altare, già a Colle Val d' Elsa nel senese, ora nella R. Pi-
nacoteca di Torino, rappresentante la Vergine in trono col Bambino e
ai Iati, ritte, santa Caterina e santa Lucia e, dinnanzi, san Girolamo e
san Giovanni in ginocchio. I documenti estratti dal libro delle Prov-
vigioni di San Gimignano provano che il Bazzi fece una seconda ^ta
in quella terra per eseguirvi un grande affresco sotto la loggia di fronte
alla Collegiata, che gli fu pagato 142 lire, nel luglio del i;i3. Dopo
quest'opera vanno ricordati i grandi affreschi sulla facciata della casa
in Siena di messer Agostino dei Bardi, che gli diede in compenso un
cavallo. Il documento relativo chiama il pittore /ohannes Antonims fa-
cobi de Vèrse dì Savoia. Fra il 1514 e il 1515 il nostro si trovava di
nuovo a Roma e vi compiva i dipinti meravigliosi della Farn>'.si.n.i ; ne
fanno fede una lettera di Pietro Aretino al pitore e altri fatti. Nella
celebre villa di .Agostino Chigi, bella delle pitture di Raffaello e dei
suoi nel pian terreno, egli eseguì quel vistoso ciclo di figure con le ge-
sta del grande Alessandro, fra le quali meravigliosa dì genialità e di
BIBLIOGRAFIA 425.
delicatezza la scena delle nozze di Alessandro con Rossane, uno dei ca-
polavori dell'arte italiana del Rinascimento.
Il Razzi compi in meno dun anno gli affreschi della Farnesina.
Nel giugno del 15 15, dopo una gita a Piombino, si recava a P'irenze
a far correre sui cai all'i, come scriveva Jacopo V d'Appiano, signore di
Piombino, a Lorenzo de' Medici. Qui l'autore del bel libro che stiamo
esaminando, riporta molte prove curiose dell'amore che il pittore por-
tava ai cavalli, amore che, come suppone il Blanc, egli aveva forse
derivato dalle lezioni di Leonardo. £ sembra che dall'epoca delle
corse al pallio, che ebber luogo allora a Firenze, prendesse origine il
nomignolo di Sodoma al nostro pittore che, avendo vinto, era circon-
dato dai fanciulli che lo seguivano schiamazzando, e gridando con ev-
viva quello che essi credevano il suo soprannome. Sul quale nomignolo il
Faccio si studia di provare come non Sodoma, ma Sodòna dovesse essere,
cioè u uno di quei nomignoli di officina o di scuola, senza una signifìca-
«zionc al mondo, né fìsica né morale, che, dati una volta per celia da
te un compagno burlone, rimangono, senz'ombra di ragione, saldati alla
«personalità su cui sono stati in mal punto scaraventati». Certo è che,
meritato o no (e questo allo studioso dell'arte importa poco) il so-
prannome antipatico rimase al pittore nella storia. 11 Cristo alla colonna,
dell'Accademia di Belle Arti di Siena, già in S. Francesco, di fort<» mo-
dellatura, superbo di colore (15 10-17), gli affreschi nell'oratorio su-
periore di S. Bernardino coi fatti della Vergine (15 18) con alcune figure
di santi, eseguiti in concorrenza con Domenico Beccafumi e con Gi-
rolamo del Pacchia, gli affreschi della Compagnia di Santa Croce, di
cui tre, guasti dai restauri, si conservano tuttora uno nel monastero
di Sant'Eugenio — ora villa Guiccioli — due nella Pinacoteca di Siena,
la motte di LucreBÌa romana della R. Pinacoteca di Torino e quella di
Annover, la Carità del Museo di Berlino, rivendicata al Bazzi dai Mo-
relli, V Adorazione dei Magi in Sant'Agostino di Siena, che al Lanzi pa-
reva cosa tutta leonardesca, sono gli ultimi dipinti della seconda maniera
del pittore vercellese.
I documenti chiariscono vieppiù la vita e l'attività artistica del Bazzi
nel terzo periodo della sua vita; e il libro che stiamo esaminando ri-
chiama ordinatamente, ricavandone il succo, le notizie sui rapporti del-
l'artista, col marchese di Mantova, col duca di Ferrara, col pontefice,
dal quale ottenne il titolo di cavaliere. Un san Giorgio nella collezione
del Cook di Richmond presso Londra, può essere quello ricordato nella
lettera del Sodoma all'Estense. A proposito del fatto di trovare nel
novembre del 1518 il Bazzi abitante temporaneamente a Reggio Emilia,
dove si firmava come testimonia a due atti e del chiamarvisi egli cit-
tadino parmigiano, non siamo d accordo con quelli che credettero che
il Sodoma facesse ciò per uno di quei capricci che gli avevan procu-
rato il soprannome di Mattaccio. E' noto infatti che in vari luoghi la cit-
tadinanza veniva concessa allora anche ai pittori di grido, con qualche
facilità; abbiam trovato nei documenti del tempo di artisti come TOmo-
Arch. Stor, Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXIV. 28
4^6 BIBLIOGRAFIA
deo, il Foppa e altri che vantavano due o tre cittadinanze diverse,
che davan loro diritto a esenzioni e a privilegi speciali : è probabile che
anche il Bazzi, cavaliere senese e ricercato dal papa e da principi, iossv
realmente stato creato cittadino parmense.
Le opere ascritte al Sodoma in Lombardia sono diverse : un gran-
dioso affresco detto il Madonnone nella villa Melzi a Vaprio d'Adda,
erroneamente attribuito a Leonardo prima che il Morelli lo restituisse
al Vercellése, una Madonna col bambino e cherubini nella collezione
Morelli, una Maddalena e un frammento di Madonna nella collezione
del sig. Gustavo Frizzoni a Milano, una sacra famiglia presso donna Laura
Minghetti, <c alla quale si accosta sensibilmente nelle forme e nella sfu>
(c matura certa Madonnina attribuita al Vìnci, che è nella Pinacoteca Car-
« rara riparto Lochis, n. 136, in Bergamo », a Milano, in San Tom-
maso, dietro l'aitar maggiore un Cristo morto sorretto dalla Vergine t
adorato dalla Maddalena, che si accorda con un'altra Pilota comprata nel
1891 in Milano ed ora a Firenze presso il sig. Enrico Costa, una Vergine
col Bambino degli eredi Ginouillac di Milano, la Vergine col Bambino
della Pinacoteca di Brera, ispirata a Leonardo molto da vicino e il
cui fondo a paesaggio potrebbe ben essere del maestro che creò la di-
vina Vergine delle Roccie. Al rinvigorimento del gusto prodotto dall'in-
flusso leonardesco sul Vercellese devesi anche la celebre Leda col cigno
della galleria Borghese : uno studio a sanguigna per la testa di questa
Leda nella sala dei disegni del Museo artistico del castello Sforzesco
richiama talmente i tratti della Madonna di Brera da provare la unica
provenienza dei due dipinti. Allo stesso periodo il Faccio ascrive la
Vergine col Bambino della collezione di Lord Battersea, esposta nel
1898 a Londra al Burlington five arts club, nonché, seguendo il Frizzoni,
il tondo della galleria Borgogna di Vercelli, da riportarsi pure alla
stessa epoca del soggiorno di Gio. Antonio in Lombardia. Aggiungasi
a queste opere la Madonna col Bambino della raccolta Layard a Ve-
nezia. In tutte più o meno ricorrono le stesse caratteristiche del maestro
Vercellese e le traccie di certa fretta e sbadataggine, sopra tutto nelle
linee mosse e ondulate del disegno degli occhi e dei. capelli. La di-
mora del Sodoma in Lombardia non durò oltre il 1524. Il Vasari registra
fra le sue opere una bara da portar morti, che gli annotatori fiorentini
delle Vite dicono incominciata nel 1525, per la Compagnia della Trinità
di Siena e che sarebbe quella, secondo alcuni, che si conserva tuttora
nella parrocchia di S. Donato.
Certo è che nel 1525 il Bazzi fece ritorno in Siena, perchè il 3 di
maggio di quell'anno la Compagnia di S. Sebastiano in Camollia gli
diede a dipingere « in tela e olio » il gonfalone col S. Sebastiano che
si ammira nella galleria degli Uffizi, la meravigliosa figura che è il vero
Apollo dell'arte cristiana, come fu giustamente notato. In S. Domenico di
Siena eseguì poi quegli affreschi di S. Caterina che soUevaron sempre, dn
Annibale Caracci all'Ingres, cosi unanime coro di lodi. Rappresetano lo
svenimento di Santa Caterina dopo le stimmate, l'estasi della santa i
la decapitazione di un reo, l'anima del quale vien salvata per interces-
BIBLIOGRAFIA
427
sione di lei. Le altre pitture della cappella son d'altri. Alcune nuove
pitture il fìazzi vi eseguì, fra cui uno stendardo nella sagrestia descritto
dal Frizzoni, che restituì al pittore anche gli affreschi della cappella del
Rosario. Eseguì poi un'altra bara per portar morti, oggi divisa in quattro
quadri, nella chiesa de' Santi Giovanni e Gennaro.
Nel 1527 s'era condotto a Firenze, e il Faccio ascrive a quell'anno i
dipinti del refettorio di Monte Olivete fuori porta S. Frediano. Nel 1529
era di nuovo a Siena e vi eseguì alcune belle figure pel palazzo dei Si-
gnori, un san Vittorio con la spada alzata e san t'Ausano in atto di
battezzare i neofiti, poscia fresco la cappella di S. Jacopo degli Spa-
gnoli da assegnarsi, sulla guida dei documenti, al 1530. Fra il 1530 e
il 1535 condusse altri lavori in Siena : l'affresco detto la Madonna dei
CaUolari, sul canto presso la piazza dei Tolomei, una Natività in un
tabernacolo sovra la porta dei Pispini, la Pietà sulla casa già Bambagini,
e un'altra Pietà della galleria Borghese a Roma. Verso il 1532 completò
i dipinti del l'oratorio di San Bernardino, aggiungendovi V Assunzione
iella Vergine, e nel 1534 fresco una figura del beato Bernardo Tolomei
nella sala delle Balestre nel palazzo pubblico di Siena. Nel 1535 eseguì
la grande J^ e sur r esione j firmata, ora nella R. Pinacoteca di Napoli e
un'altra Resurrezione, ora nel gabinetto del Sindaco di Siena. Né l'attività
fenomenale del pittore finisce qui. Il 6 marzo 1537 la Signoria gli commet-
teva la pittura a fresco della Cappella dì piazza sotto il palazzo pubblico,
che non fini, per trasferirsi, già sessantenne, a Piombino presso quel
signore Giacomo V d'Appiano, dove lo ritroviamo nel 1538. Un ultimo
lavoro suo a Siena è la Vergine col Bambino e i santi Giuseppe e Cal-
listo, ora nella Cappella di Piazza. Nel 1540 era a Volterra, ove
avrebbe eseguito per Lorenzo di Galeotto de' Medici la caduta di t e-
ionie, ora perduto, il cui progetto potrebbe esser quello che si vedf
in un foglio della raccolta degli Ufiìzi, benché porti il nome di Baldas-
sarre Peruzzi. A Volterra, nella chiesa della Compagnia della Croce,
^i dà al Sodoma una tavola col crocifisso e santi e un bel paesaggio di
fondo. A Volterra lasciò uno scolaro, il celebre Daniele Ricciarelli, e
altri due quadri d'ineguale valore, il Cristo morto e il sacrificio d' Abramo j
ora nella cattedrale di Pisa; in questa città finì pure la Vergine in
trono con vari santi nel Museo Civico.
Lasciata Pisa per Lucca per lavorarvi, in quest'ultima città si osserva
un suo Cristo crocifero alquanto annerito. Di altre sue opere e altre pe-
regrinazioni non si hanno prove, chi eccettui una salita al Calvario
nella sagrestia di S. Giacomo e una mediocre Natività della Vergine
nella chiesa del Carmine, nella quale, nonostante i tipi dei visi muliebri
ovali e dolci caratteristici del Vercellese, si nota un notevole convenzio-
nalismo. Il pittore, che aveva dato cosi nobile esempio di eccezionale at-
tività, si spense a Siena il 15 febbraio del 1549. Il Faccio, nel suo libro
interessantissimo e steso con diligenza grande sulla guida dei documenti
e della critica moderna, finisce ricordando alcune altre opere del Ver-
cellese, alle quali non è possibile per ora trovare un posto determinato
nella cronologia dei suoi dipimi. L'ultimo capitolo è dedicato ai costumi
428 BIBLIOGRAFIA
e al nomignolo, che sembra immeritato, del maestro ; segue un^appendice
con la cronologia della vita e delle opere e coi documenti.
Abbiamo voluto intrattenerci un pò* diffusamente sul libro del Faccio,
sia perchè l'argomento che tratta si riferisce a un artista che soltanto da
poco tempo la ciitica moderna ha fatto conoscerò a dovere, sia perchè
il nuovo materiale critico e storico che ne forma il substrato, permette di
conoscere intimamente e in tutta la sua evoluzione il pittore che ha
tanti rapporti con la scuola di Leonardo.
Francesco Malaguzzi.
DAVIDSOHN Robert. — Forschungen sur Geschichte von Florenz^ III Th.,
13 und 14 Jahrhundert. I, Regesten unedirter Urkunden zur Geschi-
chte von Handel, Gewerbe und Zunftwesen. II, Die Schwarzen und
die Weissen, Berlin, 1901 ; pp. XVlII-339.
La storia dell'industria e del commercio in Italia si è arricchita d'un
contributo assai notevole coi milletrecento e più regesti di documenti,
dal 1209 al 1330, che occupano i quattro quinti di questo volume. Quan-
tunque piuttosto scarse sian le notizie riguardanti Milano, il libro merita
da parte nostra più che un semplice appunto, perchè è tale da offrire
una miniera ricchissima di ragguagli e di raffronti anche a chi voglia
trattare argomenti di storia commerciale ristretti alla Lombardia. Co-
mincierò coiracccnnare ai regesti che più direttamente ci interessano.
Un d'essi (anno 1273, num. 83) ci rivela un credito di società fiorentina
verso il Capitolo del clero milanese; un altro (1278 n. 88) accenna alla
iniziativa di otto mercanti di Asti per strìngere un accordo con quelli di
'Roma, Genova, Siena, Lucca, Pistoia, Milano, allo scopo di trattare
col Re di Francia pei loro commerci a Nimes; accordo che sortì buon
esito e riuscì a concretare il trattato con Filippo il Bello, registrato nel
lÀber jurium genovese, (//. P, M.y I, 1451) ; un terzo è la ricevuta fatta
da un fiorentino, nelle case degli Agliate, a Guglielmo Catelano, con-
nestabile del comune di Milano, per una somma dovutagli da certi pro-
venzali (1292, n.172) ; a questo si connette' l'incarico dato dal medesimo
(tuglielmo a due fiorentini di stringere un trattato di servizio col co-
mune di Bologna per le truppe assoldate sotto la sua costableria (do-
cumento che lascia intravvedere qualche cosa di interessante e merite-
rebbe d'esser letto nell'originale; 1292, n. 172), come pure alcuni altri ove
un troppo fugace accenno ci segnala la presenza abituale di fiorentini
nt ircbcrcito del nostro comune : siamo agli inizi delle milizie merce-
narie. Altrove troviamo la nomina di due milanesi, fatta nel Consiglio
dei trecento in Firenze, per rappresentare, insieme con un fiorentino, il
comune in un processo intentatogli da un Giovannino de Summo, mer-
cante di Milano, da\*anti a Matteo Visconti, Vicario Imperiale, a Ga-
K^azto V*i>contì, Capitano del Popolo, e al Podestà, per danni di quasi
tremila fiorini incontrati in Firenze (1301, n. 374).
BIBLIOGRAFIA 429
Alle famose banche fiorentine affidavano i pontefici i proventi delle
decime; cosi Tarcivescovo di Milano sborsa diecimila settecento trentadur
fiorini d'oro al procuratore della ditta dei Bardi (1302 n. 426) e un'altra
grossa somma nel 1310 a quello degli Scali (735).
Infine \m bel documentino accennante alla vendita di nove ball<'
d'acciaio fatta da un milanese e da un comasco a Firenze (13 io, 589) ci
prova l'esportazione da Milano di questo metallo, così ricercato nelle in-
dustrie delle armi d'allora, che, come già ebbe a dimostrare lo Schultc,
si preparava nelle nostre fucine (i).
Tre dei regesti riguardan direttamente i Visconti. Nel primo (i3o<^^
n. 496) Beatrice estense, moglie di Galeazzo, nomina tre membri della
società commerciale fiorentina degli Acciaiuoli suoi procuratori per riti-
rare dalle ditte Spini, Peruzzi, Acciaiuoli e Pazzi, il donum (interesse)
che le spetta pel danaro affidato a quelle società ; nel secondo l'Ufficiai» •
della Mercanzia di Firenze dichiara al podestà di Piacenza di esser
pronto ad assistere la medesima Beatrice per le riscossioni di una somma
affidata alla società dei Pazzi (1319 n. 718) ; il terzo infine ci dà un bel-
l'esempio di rappresaglia medievale : undici fiorentini avvisano da Pia-
cenza l'ufficiale della Mercanzia della loro città, di essere stati, durant*
il loro viaggio per Milano, incarcerati per ordine di Galeazzo Visconti o
messi ai ferri, a causa del credito di Beatrice verso la società dei
Pazzi ; dichiarano essere il principe adiratissimo, perchè da quindici anni
non siagli riuscito né di ritirare una somma di cinquemila fiorini né di
avere alcuna soddisfazione, e volerli mantener prigioni fino a che non
abbia conseguito la restituzione del denaro ; i poveretti pregano di prov-
vedere (1319 n. 719).
Null'altro che interessi direttamente Milano. Ma, ripeto, non pos-
siamo dispensarci dall'acce nnare, sia pur brevemente, agli altri materiali
contenuti in questo utilissimo libro.
Numerosi regesti illustrano il commercio dei fiorentini nelle fiero
della Sciampagna, della Provenza e della Fiandra, le loro relazioni con
tutti i principali mercati dell'oriente e dell'occidente, le principali case
di commercio toscane, che avvolgevano in una rete d'affari l'Europa in-
tera: gli Acciajuoli, i Bardi, i Cerchi, i Frescobaldi, i Granfigliazzi, i
Moazi, i Nerli, i Peruzzi, i Puci, gli Scali, gli Spini, gli Strozzi, i Vil-
lani e cent'altri. Il cerchio degli affari delle banche fiorentine, che lo
Schulte (I, 231 sgg.) aveva così ben delineato, mettendo in luce special-
mente i cospicui e frequenti prestiti all'alto clero tedesco, si allarga ora
di molto, e si può dire che la maggior parte dei capitali d'Europa pass;t-
van per le loro mani. La merceologia occidentale, già dallo Schulte me-
desimo con abbondanza di particolari illustrata, trova qui nuove. ed am-
pie conferme. La immensa esportazione dei grani, dai porti del regno
di Napoli, per opera dei fiorentini, testimoniata da un numeroso gruppo
(1) Geschichte des miiielalterlichen Handels und Verkehrs Bwischen
\^estd€uUchlani und Italien, Leipzig, 1900, I. 695.
430 BIBLIOLRAFIA
di regesti, è, direi, una rivelazione. — Tra le tariffe doganali del tre-
cento in Italia era fino ad ora la più completa la nostra, compresa negli
statuti del 1396; ma ora essa trova due valide concorrenti, alle quali
l'età maggiore accresce autorità, in quella del 1306, che ci indica gli og-
getti di importazione ed esportazione tra Firenze e Genova (panni di
Milano e di Como e tele di Lombardia, fra gli altri) (n. 517) e in quella
del 1320 pel traffico tra Firenze e Bologna (n. 730) ; la milanese tuttavia
resta sempre la più interessante, perchè, intesa a determinare un dazio
del cinque per cento sul valore della merce, ci dà il prezzo effettivo di
tutte le mercanzie registrate.
Un altro manipolo di documenti riguarda i mestieri : alcuni ci ri-
velano in Firenze, già nel XIII secolo, una florida industria delle armi
(corazze, ccrvelliere, lancie, gorgiere, freni, sproni) in concorrenza con
quella di Milano ; altri ci danno interessanti esempi di società industriali,
che vengono opportunamente ad aggiungersi ai materiali studiati da
Max Weber (1) ; altri sono instruìnenta fosturae, cioè contratti per
Vapprrntissage, tra garzoni e maestri nclTindubtrie tessili, e illustrano
i rapporti tra le varie classi operaie nonché il lavoro delle donne e dei
fanciulli ; materiali preziosi senza dubbio, ma non affatto ignorati fino ad
ora, come mi sembra credere il Davids'^hn, giacché, almeno per quanto
riguarda l'industria della seta, abbiamo su questo importantissimo argo-
mento bclJe pagine del Sieveking e del Broglio d'Ajano, nella invidia-
bile raccoha dello Schmoller (2) e in quella del Brentano (3) ; documenti
simili ho fra mano anch'io, e vedran la luce in una memoriuccia sul-
l'industria della seta in Milano nel quattrocento.
Altri regesti infine concernono le corporazioni d'arti e mestieri; al-
cuni le mostrano nell'esercizio delle loro funzioni politiche, cosi prepon-
deranti in Firenze, altri, più interessanti per noi, in quello dell'arte
loro. La letteratura delle corporazioni italiane è abbastanza ricca per nu-
mero di memorie, ma lascia ancor molto a desiderare per la qualità. Si
tratta per lo più di studiosi locali che si limitano all'esame o, meglio,
al riassunto degli statuti delle varie Arti; e siccome quegli statuti in
gran parte si assomigliano tutti, le numerose memorie che li riguardano
ripeton quasi sempre le medesime cose, e, prese insieme e sfrondate
dalle ripetizioni, riescono a dare un contributo assai meno importante
di quello che sulle prime parrebbe. Pi^cemi tuttavia notare come non
sian da porre fra questi i lavori del Gaudenzi, il quale delle corporazioni
studia con grande acume l'intima natura e le differenze sostanziali che
(i) Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalier nach
sudeuropàischen quelUn, Wien, 1889.
^2) Sieveking, Die Genueser Seidenindu strie in 75 und 16 Jàhr-
hundert, in fahrbuch fùr Gesetsgebung Verwaltung und Volkswirtsckaft
in Deuis. Retch., di G. Schmoller. Leip7ig, 1897.
(3) Broglio d'Agliano, Die V enetianischer Seidenindustrie und ihrc
organisation bis sum Ausgang des Mitielalters^ in Mùnckener Studien,
1893.
BIBLIOGRAFIA 431
«nono fra regione e regione (1), del Doren (2), del Filippi (3), e di qual-
che altro. Nello stato in che si trovano oggi gli studi sulle università
delle Arti, i regesti del Davidsohn tornano utilissimi, dacché ci forni-
scono notizie che escono dal solito campo degli statuti per portarci in
quello dove si esplicava praticamente l'attività di quei sodalizi che rias-
sumono la vera storia del popolo italiano. Son nomine di commissari
per trattar questioni di pedaggi, di rappresentanti per compiere determi-
nate operazioni e contratti (n. 1185), modificazioni di rapporti tra maestri,
compagni e discepoli, operazioni finanziarie e prestiti al comune, con-
Feozioni per Timportazione e la vendita del sale, giuramenti di sensali,
banchieri e cambisti, controversie tra arte e arte, giudizi e condanne
contro membri colpevoli, contro falliti e fugUiviy contestazioni e delibe-
razioni su questioni tecniche, petizioni di vario argomento ai consigli
del comune, regole intomo alle rappresaglie e così via discorrendo.
Ciascun vede che, pur trattandosi di documenti per la maggior parte
fiorentini, il loro interesse è assai più che regionale, dacché si riferi-
scono a fatti e costumanze che, mutatis mutandis, nell'età aurea della
vita comunale, erano o diventavano generali.
Ettore Verga.
(i) Le società delle Arti in Bologna nel sec. Xlll^ i loro Statuti e
Matricole, in Bollett. dell Istituto storico italiano^ 21.
(2) Entwickelung und or^anisation der Florentiner Ziinfle^ in /j
^nà 14. jahrh.j in Stanis und socialtuissenschaftl, Forschungen^ XV.
(3) Lo Statuto delVarte di C alimala del 1301, Torino, Bocca, 1889.
BOLLETriNO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA
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* AiiuariO della Nobiltà lliUiua. Anno XXIV, 1902. In-a^. Bari, Direzione
del Giornale Araldico.
V Annuario 1903, non meno copioso di materia dei volumi precedenti,
è ami questa volta di molto arrtccliito. Infatti le famiglie per la prìnu
volta inserite in questa eiitione sono ben ili; di esse i; appartengono
alla Lombardia e sono; AnelU (Milano- Ot^ebbJo); De Baggio (Bassano);
Brtmbati (B-rgaino); Biisea Arctnali Visconti (Milano); Oirhontra (Son-
drio); Q'cogna-Ma^iani (Milano); Canfalonierì (Milano); GaadotS (Pavia);
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 433
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I. In casa Trivulzio e in casa Visconti d'Aragona. — IL I Belgìoioso.
Nozze, separazione e fuga della Principessa. — III. La Principessa e la
t Giovine Italia. » — IV. Un traditore. — V. Processi contro i Belgioioso,
Cospiratrici belle. — VI. Gli esuli italiani e il salotto della Principessa a
Parigi. — VII. I filosoli intomo alla Dea. — Vili. Alfredo de Musset ed
Enrico Heine. — IX. Il dolce signore.... Il cieco Thierry. — X. Una folla
d'immortali. — XI Le amiche e le nemiche di Parigi. — XII. La fuga e
le passioni della Duchessa de Plaisance. — XIII. La Principessa pubblicista e
benefattrice dei contadini. Suo incontro con Luigi Napoleone. — XIV. La
rivoluzione del 1848. Il battaglione della Principessa. — XV. Ancora nel
1848: a Milano, a Venezia, a Parigi. — XVI. Nel 1849. La Principessa al-
l'assedio di Roma. — XVII. La Belgioioso in Oriente e gli arem. —
XVIII. Ritorno in Francia e in Italia. — XIX. I salotti di Torino. Alla vi-
gilia della guerra del 1859. — XX. Dopo la battagUa di Magenta. — XXI. A
Blevio sul lago di Como. — XXII. Gli ultimi anni a Milano, [v. Comandim],
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Cfr. i cenni bibliografici in questo Archivio.
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Panigarola ora nella Pinacoteca di Brera. — La Perseveranza,
17 marzo 1902.
— Il Romanzo di Leonardo da Vinci [del Merejkowsky]. — Alla Basi-
lica di S. Ambrogio [lapide deirarch. Landriani]. — Un'opera igno-
rata di Leonardo da Vinci. La sala delle « Asse » nel Castello di
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* — Le decorazioni pittoriche della Cappella Grifo nuovamente tornate
in luce. — La Perseveranza, 28 maggio 1902.
BENADDUCI (Giovanni). Contributo alla Bibliografia di Francesco Filelfo.
(Estratto dal voi. I degli Atti e Me Norie della R. Deputazione di
storia patria per le Marche). Tolentino, tip. F. Filelfo, 1902, in-4,
pp. 78.
Parte I. Opere. A, Manoscritti. B, Edizioni. (Epistole latine, Epistole
latine scelte, Formulari di epistole latine e volgari, Epistole volgari. Ora-
zioni latine, Orazioni volgari. Prose varie. Poesie latine, Poesie greche,
Poesie volgari, Commento al Canioniere del Petrarca, Versioni dal greco.
Opere del Filelfo non rinvenute finora o a lui attribuite erroneamente; Al-
cuni codici greci raccolti dal Filelfo e conservati nella Laurenziana di Fi-
renze, descrìtti dal Bandini; Codici greci portati in Italia dal Filelfo re-
duce da Costantinopoli). — Parte II. Scritti sulla vita d^l Filelfo e in-
torno alle opere sue,
BENELLI (Zulia). Epigoni Foscoliani. Lettere di Giulio Foscolo e della
Quirina Maggiotti. — Rivista delle Bibliotec ie, a. XIII, voi. XIII,
n. 1-2 (cont.),
BERCHET (Giovanni). Due articoli sul Tiraboschi e sul Roscoe, ripub-
blicati da Guido Mazzoni. Firenze, tip. G. Barbèra, 1902, in-i6, pp.
Sono estratti dal Conciliatore tu 26, 20 novembre i8i8e n. 35,24 di-
cembre 18 18.
Bergamo. — V. Annuario, Atti, Bercìiei, De Bart/tolomaeis, Galletti, Mas-
zoleni. Savio, Serassi, Tasso, Zdekauer.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 435
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guerre. ^Journal des Savants, febbrajo 1902.
BESTA (prof. Enrico). Per la determinazione dell'età e della patria della
così detta Lex Romana Rhaetica Curiensis. Torino, Bocca, 1901.
Monografìa diretta a confutare gli argomenti addotti dal dott. Zanetti a
favore dell'origine rctica della legge.
BIANCHINI (D.)- Lettere inedite di Ugo Foscolo. — Medusa, I, n. 3 e 4.
BIANCHINI (G.) IppK)lito Nievo a Verona. — Fanfulla della Domenica,
n. 12, 1902.
Bibliotheca hagiographica latina antiquae et mediae aetatis. Bruxelles,
i89B-i90i. Due voi. in-8, pp. xxxv-1387.
I pp. Bollandisti hanno condotto a termine questo vasto repertorio agio-
grafico che contiene in n. 90^1 titoU la recensione di tutti gli scritti d'ngio-
grada composti in latino prima del 1501. Ricco il materiale per TAlia Italia.
Bmiothèque de Bibliographles crltiques. I.«r volume. In-8, Paris, A. Picard.
Contiene, tra altre bibliografie, quella di Alfredo Lkroux: Conflits
entre la Fratice et l'Empire pendant le moyen Age (p. 73). Nel V capitolo,
le Confiit en Italie,
BIFFI (dott Serafino). Opere complete. Milano, U. Hoepli, 1901, in-8, cin-
que volumi con ritratto.
BOBE (W.). Ein Meisterwerk des Sperandio im South Kensington-Museum
zu London. — Zeitschrift fur hildende Kunst, gennajo 1902.
Un capolavoro di Sperandio nel Museo South Kensington di Londra.
" BtIiettiBO della Società Pavese di storia patria. Anno II, fase. MI. Pavia,
Fusi, 1902.
Damiani (Andrea). La giurisdizione dei Consoli del Collegio dei
Mercanti in Pavia [Introduzione. Appunti bibliografici sugli Statuti
citati. — Parte I. La Mercanzia (i. Cenni storici sull'origine e sullo
scioglimento della Mercanzia in Pavia. 2. Costituzione della Mer-
canzia). — Parte II. I. Consoli (i. Norme che concernono i Consoli.
-- La parte III ed ultima al prossimo fascicoh], — Mariani (M.). Per
la storia della zecca pavese. Ricerche e documenti [documenti dal
1451 al 1457, che autorizzano a supporre che la vita della zecca
siasi spinta fors'anco al di là del 1457]. — Majocchi (R.). L' intro-
duzione della stampa a Pavia [Dai nuovi documenti pubblicati qui
dal M. appare, che tutto quanto si è detto circa 1* introduzione della
tipografia in Pavia, anteriormente al 1472 non ha fondamento : il
contratto per la stampa della Practica del medico Ferrari fu stipu-
436 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
lato la prima volta ai 4 gennaio del 1472, e ricorrendo ad un tipo-
grafo di Milano, il noto FilipfK) di Lavagna. Il primo introduttore
della tipografìa in Pavia, non è il Ferrari, ma Manfredo Giiarguaglia
medico e professore come lui. Il primo tipografo è un Giovanni da
Sedriano, allievo ancora del Lavagna, che s' impiantò in Pavia una
tif>ografia alla fine dell'ottobre 1472, della quale però non si cono-
scono sinora le produzioni. I libri che si danno per stampati in
Pavia prima del 1475, non presentano garanzia alcuna che renda
certa la data della loro origine, hanno invece contro di sé forti argo-
menti che li dimostrano usciti alla luce parecchi anni di poi]. —
Rasi (P.). Dell'arte metrica di Magno Felice Ennodio vescovo di
Pavia. — Peroni (Baldo). L'assedio di Pavia nel 1655. [II. Le ope-
razioni militari. III. La vita cittadina. IV. Conclusione]. — Salvioni
(Carlo). Dell'antico dialetto pavese [tre testi dei secoli XIV e XV,
il cui contenuto idiomatico serve a gettare luce sul dialetto di Pavia
in quel giro di tempo, conservati nelle Biblioteche Universitaria e
del conte Cavagna-Sangiuliani in Pavia ed alla Zelada. Annotazioni
fonetiche e morfologiche. Saggi dell'antico parlare pavese. (Saggio
del Crisostomo, della Leggenda di S. Maria Elgiziaca. Il sonetto di
Lancino Curzio. Il testo del Lampugnani)]. — Quinta valle (Fer-
ruccio). L'ingresso del duca Alessandro de* Medici nella lega di
Bologna, secondo i documenti dell'Archivio notarile di Pavia (1533)-
— Romano (G.). Le due nuove epigrafi in S. Salvatore [critiche al
testo delle epigrafi in onore di Paolo Diacono e della regina Ade-
laide]. — Pavesi (U.). Museo pavese del Risorgimento Italiano [doni
e ricordi varjj. — Recensioni e Bollettino bibliografico. — Noiisif
ed appunti : Nuovi documenti per la storia della controversia tra il
vescovo di Pavia e i canonici di Piacenza circa le decime di Por-
t'Albera; Teodelasio, abbate di Bobbio, e Guido vescovo di Pia-
cenza; Torello da Strada, pavese, trovatore; Mercanti lombardi in
Puglia nel secolo XV : Un gentiluomo pavese giustiziato a Firenze
nel 1597 ; Un nobile pavese prigioniero dei Turchi ; L'epitaflSo di
Sebastiano Bassini. — Atti d4la Società — Recenti pubblicazioni.
* Bollettino Storico della Svizzera Italiana. Anno XXIV, 1902, n. 1*3. Bei-
iinzona, C. Colombi.
Salvioni (Carlo). Noterelle di toponomastica mesolcina. — Am-
BROSOLi (Solone). Contrafiazione bellinzonese di una moneta franco-
italiana. — Viaggio della poetessa Federica Brun nei baliaggi italiani
(1795). — Vegezzi (can. P.). Note e documenti inediti di Stefano
Franscini. — Il testamento dell'architetto Domenico Fontana. — Come
erano le condizioni del commercio di Bellinzona di fronte alla Me-
solcina negli anni 1497-1498. — Tagliabue (Emiuo). Un passaporto
mesolcinese del 1625. — Lettere da Roma ai Nunzi pontifici in Svizzera
negli anni 160^1615. — Tgrriani (ab. Edoardo). Catalogo dei docu-
menti per r istoria della prefettura di Mendrisio e pieve di Balema
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 437
dall'anno 15CX) al 1800. — Varietà: Il castellano di Gnosca nel 1356;
Leventinesi nelle guerre di Lombardia; Un libro donato da un
Morosini ; Un artista di Sonvico a Massa Carrara ; Baciocchi e
Rainaldi a Brissago ; Schioppi acquistati in Lugano ; Poesie in onore
di landf'ogti bellizonesi ; Per la genealogia degli Orelli. — Cronaca.
— BolUHtno Bibliograjico.
[^ ' BONI (sac. dott Giuseppe). La cappella di S. Contardo nella chiesa di
BronL Pavia, tip. fratelli Fusi, 1902, in-8, pp. 16. (Nozze Boni-Saglio).
Autore del disegno della cappella fu l'architetto Bernardino Lonati (1547)
die il B. vuole pavese. Ai Lonati è dovuta la bramantesca chiesa di S. Maria
in piazza di Busto Arsizio.
' BONELLI (G.). I nomi degli uccelli nei dialetti lombardi. (Estratto dagli
Studi di filohgia romanza pubbl. da E. Monaci e C. De Lollis). To-
rino, E. Loescher, 1902, in-8, pp. 100.
BONNAFFE (Edmond). Etudes sur l'art et la curiosité. Paris, Société fran-
^aise d*éditions d'arts, 1902, in-8, ili.
Li tuaggi«ìr parte degli articoli riuniti in questo elegante volume com-
parvero già nella Gaiette dés Beaux Aris, Notiamo lo studio su Sabba da
Castiglione.
BOUYIER (F.). Bonaparte en Italie, 1796. a.« édition. Paris, Léop. Ceri',
1902, in-8, gr., pp. xi-745.
BORfMMIEO (card. Federico). Vita della venerabile serva di Dio suor Ca-
terina Vannini di Siena. Mjnza, tip. de* Paolini, 1901. in-i6, pp. 205
e ritr. [u Collana di vite di santi n a. LI, disp. 306].
^teoA. — V. Elenco f Foà, Hauche, Lac, Largajolli, Manolesso, Perini,
fragni,
BBINDLEN (L). Die Opfer des Simplons wahrend der letztcn 3 Jahrhun-
derte. — Blàiter aus der fVai/iser-Gesc/iithte, VI Jahrg., 1901,
Sion, 1902.
Le vittime del Sempione durante gli ultimi tre secoli, con qualche nome
di feriti Italiani. Agg. nel med. fascicolo dei Blàtter l'articolo, interessante
anche l'Ossola, di R. Roten: Die Expedition nuch Berisal und Beset^ung des
Simplons durch die Oberwalliser im Marx 1814^ e ancora Jmesch D, Sagen
àts Simplon^ThaUs,
MOSCHI U restauro di S. Maria deUa Pace. — Atti Collegio degli in-
gegneri ed architetti in Milano, a. XXXIV, n. 3-4, 1901.
MESONI (prof. E.). Die drei Oberitaliànische Seen. Lugano, sein See und
seme Verbindungslinien, San Salvatore-Generoso-Brunate-Como, sein
438 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
See. — Die Brianza- Varese. — Die Verbindungslinien von Mailand. —
Der Langensee-Pallanza-Locamo. BclHnznna, Colombi, 1902, in-i6.
illustrato, pp. 466-VI, con carte panorami ed ili.
BUCCI (Eugenio). [E. B. di SANTAFIORA]. L'armata del Risorgimento: saggi
illustrati di monografie storico- marinaresche. Torino, tip. Roux &
Viarengo, 1902. in-i6, fig., pp. 71,
BUSTICO (C). Alcune lettere inedite di N. Tommaseo. — FanfuUa delia
Domenica, n. 11, 1902.
Otto lettere, talune tratte dalla collezione Vanbianchi di Milano.
BUTTI (Attilio). Un uomo che non e* è nei Promessi Sposi. — Medusa à\
Firenze, a. I, 2 marzo 1902.
Il padre di Lucia non è mai nominato e qui s* indaga perchè.
CAEMMERER (V.). Magenta. Der Feldzug von 1859 bis zur ersten Entschei-
dung. In-8. Berlin^ Mittler, 1902.
CALMETTE (Joseph). La Diplomatie carolingienne, du traité de Verdun à
la mort de Charles le Chauve, 843-877. — Bibliothèque de PÉcoU des
hautes éiudeSy fase. 135.
In appendice, delle quattro dissertazioni, l'una è consacrata all'elezione di
Carlo il Calvo a re d'Italia ed agli atti dell'assemblea di Pavia.
* Calvi. — Felice Calvi. Necrologia. — Bulleitino Istituto Storico Ita-
liano, n. 23, 1902.
Agg. i cenni necrologici del Calvi e del Vignati in Riv, Slor, Itaì.^ 1902.
fase. I, 136.
' CANTARELLI (L.). La diocesi italiciana da Diocleziano alla fine dell'Im-
pero d'Occidente. — Studi e Documenti di Storia e Diritto di Roma,
XXII, 1-2, 1901.
Premessa un'accurata classificazione delle fonti, enumera i vicarii italìae
dal 320 al 599; quindi di ciascuna provincia (Venetia et Histria, ^Emilia et
Liguria, Flaniinia et Picenum Annonarium, Alpes Cottiae, Retia prima et
seconda) raccoglie notizie e dà la serie degli ufficiali.
* CARASSAI (B.). La politica religiosa di Costantino il Grande e la pro-
prietà della chiesa. — Archivio Società Romana di Storia Patria,
XXIV, 1-2, 1901.
Confuta l'opinione del Seeck sulla inesistenza dell'editto di Milano del 31 ^
Catalogo della Biblioteca Cattolica circolante SS. Redentore in Cassano
d'Adda. Treviglio, tip. Messaggi, 1902, in-i6, p. 32.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 439
' Catalogo metodico degli scritti contenuti nelle pubblicazioni periodiche
italiane e straniere. Parte I (Scritti biografici e critici): quarto sup-
plemento (Biblioteca della Camera dei Deputati). Roma, tip. della
Camera dei Deputati, 1902, in-8 gr.
CHECCHI (E.) & D'OVIDIO (F.). Un'inavvertenza del Manzoni. — Fanfulla
della Domenica f nn. 11- 12, 1902.
CHULA (sen. Luigi). Ancora un po' più di luce sugli eventi politici e
militari dell'anno 1866. Firenze, G. Barbèra, 1902, in-8 pp. X-675.
Cfr. Villari (P), Un nuovo libro sugli avvenimenti politici e militari
del 1866 in Cernere della Scra^ n. 157, 1902.
CNIATTONE p.)- Come fu accolta la « Francesca da Rimini » di Silvio
Pellico. — Piccolo Archivio Storico dell'antico Marchesato di SaluazOy
a. I, fase. III-VI, 1902.
La tragedia apparve la prima volta al Teatro Re dì Milano il 18 agosto
181 5 e con solenne vittoria. — Pel Peljico agg. le memorie edite nel me-
desimo fascicolo : Gahotto (F.). Lettere inedite di Silvio Pellico a Carlo Mu-
letti; Rinieri (J.). Il « Cola da Rienzo », la « prima poesia » di Silvio
Pellico; Chiattone (D,), Cimeli Patriottici (Un gergo di setta? La carta senza
còlb del vecchio Schiller).
CHUOUET (A.). Stendhal-Beyle. Paris, Plon, 1902.
Agg. in proposito: D'Ancona (A,). Stendhal-Bcyle, in Giornale d'Italia
17 aprile 1902, e Lumbroso (A,), in Rivista storica italiana, fase. 2, 1902,
pp. 207 scgg.
CIANCiOSI (A.). T. Grossi notaio ed un rogito patriottico. — Rivista
Abruzzese, XVII, 2.
* CIPOLLA (Carlo). Note bibliografiche circa l'odierna condizione degli
studi critici sul testo delle opere di Paolo Diacono. — Miscellanea
di Storia Vetìeia, serie 2* voi. Vili. Venezia, 1902.
1. Exposiro in Regulam S. Benedicti. — II. Homiliae. — III. Homiliarium.
— IV. Collectio Epistolarum S. Gregorii. — V. Historia Langobardorum. —
VI. Historia Romana. — VII. Gesta Episcoporum Mettensium. — Vili. Vita
S. Gregorii I. — IX. Epitome Sexti Pompei Pesti de Verborum significatu.
— X. Ars Donati. — XI. Carmina. — XII. Epistolae. — XIII. Scripta vel
dubia vel apocrypha. (2. Chronica S, Siri),
' — Recensione di K. Haase, Die Kònigskrónungen in Oberitalien imd
die u eiseme » Krone (Strassburg, 1901). — Rivista Storica Italiana,
aprile-giugno 1902, pp. 146-150.
440 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Codogno. — a." Supplemento al Catalogo generale 1895 della Biblioteca
popolare circolante di Codogno. Codogno, tip. A. G. Cairo, 1901,
in- 16, pp. 24.
Coilezione Gnecchi. Italìenische MQnzen 11. Abtheilung: MQnzstfltten Maccagno
bis Musso. Mit 15 LìchtdrucktSLieìn. Frank/urta. M., Osterrieth, 1902
(Auction L. & L. Hamburger, mai 1902).
Maccagno (lav. XII) — Mantova (tav. XIII, XIV, XV) — Mesocco
(tav. XVU) — Milano (tav. XVII-XXIII) — Mon^a — Musso (tav. XXVI).
COMANDINI (Alfredo). L* Italia nei cento anni del secolo XIX, giorno
per giorno illustrata. Dispense 27-31. In- 16, ili. Mi/ano, Antonio Val-
lardi, 1902 [cfr. Archìvio Storico Lombardo. II 1901 p. 422].
Queste nuove dispense abbracciano il periodo 1829-18 n* Dobbiamo
ripetere che la parte illustrativa, assai bene scelta, è riccamente consa-
crata alla storia milanese. Anche le date storiche, vagliate con rigore, of-
frono un contributo copioso alb cronologia lombarda del novecento.
— La Belgiojoso esule. — Gazzetta di Venezia, n. 148, 31 maggio 1900.
Manifestazione del giornale VEsnle verso la principessa Belgiojoso, in
Parigi, e nelfa. 18^^. Ne risulta quale fosse la posizione di questa donna,
non certamente e princesse malheureuse », ia mezzo agli esuli italiani già
nel marzo 1833, quando la spedizione mazziniana nella Savoia — che as-
sorbì largo sussidio di lei — era ancora di là da venire; e vi si vede la
presentaz one pubblica, ufficiale di lei agli esuli italiani ed ai liberali fran-
cesi come simbolo della gentilezza, della intellettualità, del sentimento ita-
liano, confortati dal prestigio del nome e dal fascino della misteriosa bellezza.
Como e Valtellina. — V, Alacevic, Annuario, Barbiera, Besfa, Boi/eftino,
storico, Brusoni, Cianciasi, Collesione, Croce, Egger, Foày Hunziker,
lUastrazijne, le klin. Lettere, yfario, Aferoni, Monti, Plinio, Ramsauer
Rivista, RosMi, Rott, Sa*if Ambrogio, Savio, Valtellina, Zwiedineck,
COOK (Th. A.). The shell of Leonardo, I-III. — Monthly Review, aprile-
maggio 1902.
Trattasi del da Vinci?...
CwreatL —Colombo (Giuseppe), De Cristofqris 4M alachia) e Negri (Gae-
tano). Discorsi per T inaugurazione del monumento a Cesare Cor-
renti in Milano, 24 novembre 1901. Mdan:*, tip. G. Martinelli, 1901,
in-8, pp. 35 con tavola.
' Crkmo.na, — Al D.' Carlo Calzi, prof, di filosofia e vicepreside nel R, Li-
ceiì Manin di Cremona (Necrologia). — Atti L R. Accademia degli
Agitici in Rovereto, serie III, voi Vili, fase. I, 1902.
~ V. Uin.titì, Maiaguzzi^ M iim^ P.iscil, Rotidolino, Staffetti, Wymann,
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 44I
CROCE (Silvio). La villa de Vertemate Franchi e il 283.""* anniversario
della sommersione di Piuro. Chiavenna, 1901.
CRUTWELL (Maud). Andrea Mantegna. Nfzv York, Macmillan, [ 1901, in-12,
pp. 132 e ili.
DE BARTHOLOMAEIS (V.)- Un frammento bergamasco e ima novella del
Decamerone. Scritti vari di filologia a Emesto Monaci per l*a. XXV
del suo insegnamento (Roma, Forzani, 1901).
* DECIO (dott F. Carlo). Appmiti storici sulla ospitalità e sulla cura
dei tignosi in Milano dal XV al XIX secolo. (Estratto dal Giornale
Italiano delle malattie veneree e della pelle, fase. I, II e IV, 1901). Mi-
lano, tipografìa degli Operai, 1901, in-8, pp. 44 con ili.
DEL LUNGO (Carlo). La peste nel racconto del Manzoni e le idee di un
medico lombardo. — Nuova Antologia, 15 maggio 1902.
11 « Medico Lombardo » è Enrico Acerbi {1785-1827).
DOLLMAYR (H.). Giulio Romano und das classische Alterthum. Wien,
Tempsky, 1902, in-4, pp. 50.
DONNEI. Les Lombards à Termonde et dans quelques villes des Pays-
Bas. — Annales du Cercle Archéologique de Termonde, 2." serie, t. Vili.
ORUMONT (E.). « Napoléon III et le comte Arese. » — Casette de France,
8 aprile 1902.
DUC de CONEGUANO. Le maréchal Moncey, due de Conegliano, 1754- 1842.
Paris, Calraann-Levy, i<x>2, in-8 gr., pp. 626.
Per la storia nostra sono a notarsi le pagine che riferiscono documenti
relativi alle campagne del 1 800-1 801, quando il MonGey, passato il Gottardo
col suo corpo d^armata, viene a formare Pala sinistra dell^esercito d'Italia e
riporta successi sul Mincio e sull'Adige. Così pure allorché comandò l'esercito
di occupazione nella Cisalpina dal marzo al luglio 1801.
* DUMOULIN (Maurice). Le gouvemement de Théodoric et la domination
des Ostrogo^s en Italie, d'apres les oeuvres d'Ennodius. — Revue
Historique, marzo-giugno 1902.
I. Comment Théodoric a-t-il conquis l'Italie? — II. Nature du pou-
voir de Théodoric. — III. Théodoric gouverne à la romaine. — IV. Sa
cour. — V. Les fonctionnaires. — VI. Théodoric et le Sénat; Le Consulat.
— VII. Le gouveraemeat de Théodoric. — Vili. Politique religieuse de
Théodoric. Conclusìon.
E68ER (I.). Die Barbareneinfalle in die Provinz Ratien uncl deren Be-
setzung durch Barbaren. Wien, Gerold, 1902, in-8 gr., pp. 234.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXIV. 2q
443 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Elenco storico dei viventi patrizi bresciani e le loro ascendenze fino a
1796 con appendice. Brescia, tip. Centrale, 1902, in-8, pp. «0-97.
ERRERÀ (P.). Art et science chez Léonard de Vinci. — Revue de {'Uni-
versili de Bruxelles, VII, a.
ESSLINfi (prince d'} & MONTZ (Euciène). Pétrarque, ses études d'art, son
iniluence sur les artistes, ses portraits et ceiuc de Laure, V illustration
de ses écrits. Paris, Gazette des Beaus Arts, 1902, in-4 gr., pp. 300,
con 194 ili. nel testo e 21 tavole fuori testo.
Io questa splendida pubblicazione è da notarsi la tavola che riproduce
il frontespiiio del famoso ms. dì Virgilio colle note del Servio, miniato
da Simone di Martino, ms. che dalla Biblioteca del Petrarca, è entrato dopo
assai vicissitudini nell'Ambrosiana, dopo aver pauato pei la celebre biblioteca
dei Visconti in Pavia. Nel cap. I è detto del soggiorno del Petrarca nel-
l'Alta Italia (IJ47-49 » Mantova, Ij5)-ij6i 3 Milano, I}j4 suo incontro
coir imperatore Carlo IV a Mantova, i);8 viaggio a Bergamo, 1360 viaggio
a Parigi come ambasciatore di Galeazzo Visconti al re Giovanni, i)6) sog-
giorno a Pavia, 1364-1)68 soggiorno ■ Padova, Pavia, Venezia, Bolina e
Milano). Tra le illustrazioni nel lesto annoveransi il Regitole e la veduta
di Pavia tolte dal Guaita e dal Mùnster.
* Études sur la campagne de 1799. — Revue d'/iisloire, redrgée à rÉtnh
major de farmée, HI' année, gennaio e febbraio 1902.
Cfr. il cap. VI, il generale Jouberl al quartiere generale di Milano,
novembre 1798.
' FACCIO (Cesare). Giovan Antonio Bazzi (II Sodoma), pittore vercellese
del secolo XVI. yercelH, Gallardi & Ugo, 1902, in-8 gr. ili, pp. 236.
I. Le origini. — II. La vita e le opere (1.' periodo). — III. Idem
(%' perìodo). — IV. Idem (j.* periodo). — V. I costumi e il nomignolo.
— Cronologia della vita e delle opere. — Documenti, — Indice sommario
delb vita e delle opere. — Indice delle illustrazioni, — Indice generale del
volume. — Cfr. la recensione in questo fascicolo itXV Archivio.
FALCHI (A). Leonardo musicista. — Rivisia d'Ilalia. V. i.
FALDELLA (Giovanni). La biblioteca Negroni in Novara, inaugurandosi il
busto del suo fondatore, atldi 29 ottobre 1901. Novara, tip. di G, Gaddi,
1901, in-4, PP- =^-
' FERRARI (GiOSEi'i'E, rrlalurr). Contro la esclusione del nome di Re^io
nell'Emilia dalla iscrizione posta sul inoniimento della Lega Lom-
bar<la eretto in Legnano. Ahr/e/ia, Vincenzi, 1902, in-8. (« R. Depu-
tazione di storia ])atria jkt le pro\'incie modenesi, S«>ttosezìone di
Reggio -).
f
BOLLETTINO BmLIOGRAFICO 443
FERfttÉRES-SAUVEBOEUF. Lettres sur Tarmée d* Italie (1799). - R€Vi4e de
Paris f VII, 19, 1901.
Art Roe pubblica parecchie lettere di questo intrigante mandato dal Tal-
leyrand a Milano, contemporaneamente al generale Scherer, per sorv^liare
Inazione militare e riferirne al ministro d^li esteri, quasi controllo all^ Am-
basciatore Rivaud. Sono testimonianza del disordine e delle disfatte francesi
dal 17 aprile al i maggio del 1799. (Cfr. Riv. Stor, Ital, I, 1902, p. 114).
FOÀ (Arturo). {Ugo Foscolo. — L'amore in Ugo Foscolo. — Ugo Fo-
scolo e il pensiero contemporaneo. Torino, C. Clausen, i<x>2, in-i6,
pp. 270.
* FOÀ (Palmira). I concorsi Bettoni per novelle morali. — L'Ateneo Ve-
neh, gennaio-febbraio e marzo-aprile, 1902.
li, Carlo Bettoni e il primo concorso per novelle morali. — III. Sto-
ria del primo concorso e accuse mosse ai giudici. — IV. Altri concorsi
Bettoni per novelli morali. — V. Francesco Soave e Girolamo Padovani.
FOERSTER (R.). Die Bilder des Studiolo der Isabella Gonzaga in Mantua.
— Jahrbuch dei Musei Prussiani, XXII, 3.
I ritratti dello studiolo di Isabella Gonzaga in Mantova.
Foscolo. — V. BenelH, Bianchini, Foà, Levi, Neri.
* FUMAGALLI (Carlo). Il Castello di Milano e i suoi musei d'arte. Tavole
sessanta in eliotipia. Milano, stab. Montabone, 1902, fol. in cartella.
' 6AB0TT0 (F.). Una supplica degli uomini di Borgo S. Stefano di Ge-
nova per Prospero da Camogli (io maggio 1477). — Giornale storico
e letterario della Liguria, a. Ili, nn. 3-4 (1902).
Supplica a favore del Camogli, imprigionato in Milano, indirizzata alla
duchessa reggente Bona di Savoja, e tolta dall'Archivio di Stato milanese.
6ACH0T (E.). La bataille de Vaprio. — Nouvelle Revue, i aprile 1902.
GALLETTI (prof. A.). Le teorie drammatiche e la tragedia in Italia nel
secolo XVIII. Parte I (1700-1750). Cremona, tip. Fezzi, 1901, in-8.
6. La tragedia e le teorie tragiche dal 1715 al 1735; Pietro di Calepio
e il suo Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia.
GEFFROY (G.). U histoire de « la Cène » de Léonard de Vinci. — Revue
hebdomadaire, 1 marzo 1902.
GELU Oacopo). Alcuni celebrati armajuoli milanesi. — Emporium, feb-
braio 1902.
444 BOLLETTINO UIBLIOCRAFICO
GERINI (G. B.). Un avventuriere pedagogista: Giuseppe Corani. — Nuovo
Risorgimento, X. 3, 4, 5, 1900.
6ER0LA (dott. Giuseppe). Sull'orìgine boema del Castelbarco. — Triden-
him, a. IV, 1901, fase, VI.
fiERSPACH. Una Crocifissione del Luini. — Empormm, maggio 1902.
GIOJA (Melchiorre). Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità,
cause, nuova maniera d'organizzarlo (opera edita nel 1803). Palermo-
Milano, (R. Sandron). (Bellinzona, tip. E. E, Colombi e C.) 1903,
in-i6, pp. XV-153 e ritr. [« Biblioteca rara » voi. VI, serie politica].
6[iUUErn} (C[ARLo]t. Spigolature storiche. Montebello nel Vogherese an-
ticamente Oltre-Po Pavese. Terza edizione riordinata con aggiunte.
CasUggio, tip. E. Sparolazzi, 1902, Ìn-8, ili, pp. 125.
— Spigolature storiche. Due battaglie combattute nel secolo XIX a Mon-
tebello nel Vogherese anticamente Oltre-Po Pavese. Costeggio, tipo-
grafìa Sparolazzi, 1902, in-8, pp. 40.
ESPENBERflER (I. N.). BeitrSge zur Geschichte der Philosophie des Mìt-
telalters. Ili, 5. Die Philosophie des Petrus Lombardus und ihre
Stellung im zwOlften Jahrhundert. Mfmstrr, Aschendorff, 1901, in-6,
pp. X1-139. [« Beitrage zur Geschichte der Philosophie des Mtttel-
alters «, 5].
A^. gli artìcoli di Fr. Bu«nger sulla dottrina di P. Lombardo sulla
opera di Cristo, ic ZtiUehrìJt far wssinschaftlicbe Thtohgie XLV, 1903,
fase. I, e di 1. Gotochick sulla dottrina della riconciliazione nel M. Gvo, da
S. Agostino innanzi, in Ztitschrifl far KirebengtschicbU, voi. XXIII, fase. I.
6REC0 (Errico). L'Armida del Tasso. Avellino, tip. Pergola, 1901, in-d,
PP- 15-
■ GREPn (conte Giuseppe). La rivoluzione francese nel carteggio di un
osser%-atore italiano (Paolo Greppi), raccolto e ordinato da G. Greppi.
Volume secondo. Milano, Ulrico Hoepli, 1902, in-16, pp, xu-348>
con ritratto.
Ne riparleremo. [V. Montieoh].
HAGENMEYER (H.). Epistulae et chartae ad historiam primi belli Sacri
speclantcs. Die Kreiizugs-Briefe aus den Jahrcn 1088-1110. litnsbruck,
Wagner, 1901, tn-8, pp. x-488.
Agg. del med. .\. la * Chronologie de la première crotsade (1094-1 100)
in Revue di ì'Oritnl latin, 1. Vili, nn. j-4, 1901 e fast - Per il Rubrichi
cfr. la recensione in qucst) f.ticicolo dt:\V.-trchini'.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
445
HAUCHE (Ewald). Am Gardasee. Skizzen und Carakterbilder, 2.' edi-
zione. Innsbruck, Edlinger, 1901.
Hlstoire generale du IV siede à noe jours, ouvrage publié sous la direction
de Ernest Lavisse et Alfred Rambaud. T. XI : Révolutions et Guerres
nationaleSy 1848-1870. Paris, Colin, s. d., in-8; pp. 1014.
Le rivoluzioni dUtalia sono in questo volume studiate da A, Pingaud,
Del P. è pure V Italie de 1810 à 1841 nel voi. X della medesima storia del
Lavisse.
HORNE (H.). Quelques souvenirs de Sandro Botticelli. — Reuue archéolo-
gigney s. Ili, XXXIX, 1901.
Un documento dell'archivio di Milano che sì può attribuire al 1485-86,
parla di prova data dal Botticelli insieme a Filippino, Ghirlandaio Domenico,
dopo i freschi della Sistina, nell'Ospedaletto di Lorenzo il Magnifico. [Riv»
Slor, ItaL I, 1902, lOj],
Nistorical Atlae of modem Europe, fase. 28.
Contiene, tra altre, la carta dell'Italia dal 11 67 al 1250, a cura di
miss Lina Echenslein.
MOFFER (H.). La correspondance de Souwarow pendant la campagne de
1799. — Historiscìie Vierteijahrschriftf IV. Jahrg Heft, III.
HUN2IKER (I.). Das Schweizerhaus nach seinen landschaftlichen Formen
und seiner geschichtlichen Entwickelung dargestellt. II Abschnitt:
Das Tessin. Mit 163 photogr. Ansichten und skizzierten Grundrissen.
Airaiif Sauerlander, 1902, in-8, pp. xu-169.
Le case svizzere rappresentate nelle loro forme caratteristiche e nel loro
sviluppo storico. II. parte: // Cantati Ticino — V'è compreso lo smdio sulle
abitazioni della Val Formazza.
Ulottrazione d'arte grafica antica: incisioni in legno dal 1500 al 1800: rac-
colta fatta per cura di Piero Borgo- C ar atti- Agnelu di 445 clichés
in legno usati nelle edizioni dell'antica tipografia dei fratelli Agnelli
in Milano e Lugano, ora ditta Pietro Agnelli. Milano, tip. Pietro
Agnelli, 1902, in-4 fig., pp. 59. (Ediz. di soli 2d esemplari).
JECKLlN (F.). Ein Inventar des Schlosses Klaven. — Biindnerisclies Mo'
nalsblali, n. 11, 1901.
Un inventario del castello di Chiavenna.
* URCHEISEN (F.). Bibliografia di Napoleone. Torino, Unione tipografico-
editrice torinese, 1902, in-8 gr., vm-i88.
Ne riparleremo.
44^ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Lac de Garda et ses environs. Milano, tip. Beraardoni-Rebeschini, 1902,
in-16, fig., pp. 48.
LANCETTI (Vincenzo). Biblioteca Napoleonica. — Rivista delle Biblioteche
a. XIII, voi. XIII, n. 4, aprile 1902, a p. 64.
Il L. lasciò mss. non già una Storia di Napoleone, ma una Bibliografia
napoleoaica; la stampa, gii principiata, rimase ìnierrotta per ordine della
Censura austrìaca nel 1843. 11 ms. della biblìc^rafìa fa parte della colleiionc
di autografi del socio nostro avv. cav. Emiìio Sehtti.
LARGAJOLLI (dott Filippo). Un gruppo di lettere di Gerolamo Tartarotli a
G, M. Mazzucchelli (1748-1758). Trento, Trentina, 1905, in-8, pp. sa.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 447
* LUZIO (A.) & RENIER (R.)- La coltura e le relazioni letterarie di Isa-
bella d'Este Gonzaga. 6 : Gruppo dell* Italia Centrale. — Giornale
Storico della Letteratura Italiana, fase. 116-117, 1902.
Vi si discorre di: Nicolò Macchia velli, Giov. e Bernardo Rucelai, An-
tonio Cammelli detto il Pistoia, Nicolò Campani detto lo Strascino, Ber-
nardo Dovizi detto il Bibbiena, Benedetto Moncetti, Bernardo Accolti detto
runico Aretino, Biagio Pallai detto Blosio Palladio, Carlo Agnello, Fr.
Maria Molza, Giampietro Bolzani detto Pierio Valeriano, Fabrizio e Vittoria
Colonna, Vincenzo Calmeta, Giov, Bruno de' Parcitadi, Francesco Roello,
Marco Cavallo, Fabrizio Varano, Alfonso Alfani.
* MALAQUZZI VALERI (Francesco). Pittori lombardi del quattrocento. Ri-
cerche. (Con 30 illustrazioni). Milano, tip. editrice L. F. Cogliati,
1902, in-8 gr., pp. 253.
L Bernardino Butinone e Bernardo Zenale. — II. Cristoforo Moretti e
P influsso di Pisanello nella scuola lombarda. — III. Bonifacio e Benedetto
Bembo. — IV. Zanetto Bugatto e i ritrattisti della corte di Francesco e di
Galeazzo Maria Sforza. — V. Bartolomeo da Prato e il Poppa. — VI. Giov,
Ambrc^o Bevilacqua, — VII. I Zenoni da Vaprio. — Vili. I maestri mi-
nori. — Ne riparleremo,
— Note sulla Scultura Lombarda : I. Alcune sculture del Museo Archeo-
logico di Milano da assegnarsi alFAmadeo (con 6 ine). — II. Ancora
della porta degli Stanga e un bassorilievo inedito di Pietro da Rho
(con 4 ine). — Rassegna (fArte, febbraio 1902.
* MANOLESSO FERRO (G.). La fuga del cardinale Molino, vescovo di Bre-
scia (1768). — Ateneo Veneto, marzo-aprile 1902.
Mantova. — V. Annuario, Appello, Bianchini, Bade, Bonnaffé, Collezione,
Crutwell, Dolmayr, Foerster, Luzio, Metani, Paz, Perini, Quaglio,
Reggiani, Romanov, Virgilio, Wyzewa.
MANZONI (A.). I Promessi Sposi : storia milanese del secolo XVII. Nuova
edizione sull'ultima corretta dall'autore di Ferdinando Galanti, Pa-
dova, fratelli Salmin, editori, 1902. In formato minuscolo, p. xv-1102
con ritratto.
— V. Bellezza, Butti, Checchi, Del Lungo, Mazzoleni, Novali, Tolstoi,
Vanzolini,
MARCHOT (Paul). Dans quel sens en France et en Italie le boucher est-il
le tueur de « boucs ? « — Studi di filologia romanza, IX, i.
■ARIO (I. W.). Lettere di Giuseppe Mazzini. — Nuova Antologia, 16 set-
tembre 1901.
Con lettere inedite al Rosales (dalla raccolta Gironi) negli anni 1835-56.
44^ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
MAZZALORSO (Giuseppe). Della dottrina morale di Gian Domenico Ro
magnosi. Bologna, lib. Treves di L. Beltrami. 1902, in-8, pp. 72.
MAZ2^TINTI (G.). Per Piero Maroncelli. — Rivista d^ Italia, maggio 1902.
MAZZI (Curzio). Le carte di P. Giordani alla « Laurenziana. , — Rivista
delle Bibliotec/ie, a. XIII, voi. XIII, n. 2-3, 1902 (continuazione).
MAZZOLENI (prof. Achille). Nel campo letterario. Bergamo, tip. R. Gatti,
1902, in-i6.
6, Echi del centenario tassiano. — 7. Pazzia e prigionia del Tasso. —
8. Intorno all' Aminta. — 9. Inezie pariniane. — io. Echi del centenario
mascheroniano. — 11. Di un riscontro manzoniano nel Goldoni.
MELANI (A.). La reggia mantovana. — Emporium, febbraio 1902.
— Per la Porta Stanga a Cremona. — Arte e Storia, n. i, 3, 4, 1902.
Sostiene il M. che Giancrìstoforo Romano non può essere P autore
della porta Stanga.
— Chiavi e serrature. — La Raccolta Garovaglio nel Museo Archeolo-
gico di Milano. — Arte Italiana Decorativa, febbraio 1902, con ili.
— Se la Corona ferrea fu una collana. — Emporium, aprile 1902.
MEREIKOWSKI (Dimitri). La Résurrection des dieux; traduction du russe
par Jacques Sorrèze. Paris, Calmann-Lévy, 1902, in- 12, pp. 718.
Abbiamo citato nel p. p. fascicolo (1902, p. 206) la traduzione francese
del Persky.
* MERONI (canonico Venanzio). La Pieve d' Incino o Mandamento d* Erba.
Memorie storiche (con illustrazioni). Milano, Remo Sandron editore,
1902, in- 16, pp. 160.
Prefazione, — Sguardo generale alla storia della Pieve d' Incino — Sin-
gole parrocchie e Comuni della Pieve. Incino (la parrocchia) — Indno (il
comune) — Erba (il comune) — Chiesa di S. Marta in Erba sussidiaria ad
Incino — Parrocchia di S. Maurizio di Erba — Badia di S. Antonio Ab-
bate — Convento dei Riformati nella Chiesa di S. Maria degli Angeli in
Erba — Appendice I. Permuta di terreni tra il Capitolo d' Incino e qucUo
di Monza. — II. Canonica de Inzino, 1398. — III. Visita pastorale 145$.
— IV. Istanza per diritto di decime. — V. Prospetto censuario della Pre-
benda preposimrale e del Capitolo d* Indno nel 1760. — VI. Benedizioni
delle campagne, 1590. — VII. Elenco dei RR. Sacerdoti esistenti nella
Pieve d'Incino neira. 1775. — Vili. Clero della Pieve d'Incino nel 1902.
— IX. Incinum Offitiales in Plebe Incini in synodo 37 a. 1687. — X. Co-
mune d'Incino. Consuntivo 1775. — XI. Ferrovia Nord, Mflano-Erba. —
XII. PrivUegi ai Castellani d» Herba, 141 2. — XUI. Oblazione di Erba per
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 449
disinfeudazione, 1647. — ^V» istanza pel mercato di Erba, i68o. — XV. Co-
mune d'Erba. Consuntivo 1780. — XVI. Colèra nella Pieve d'Incino, 1856-67
— XVII-XVIII, Compartimento territoriale della Pieve d'Incino, 1760. —
XIX. Censimento 1881. — XX. Note di confronto degli abitanti della
Pieve. — XXI. Anziani della Pieve. — XXII. Podestà della Pieve. —
XXni. Mestieri della Pieve. — XXIV. Notaj che rogarono in Pieve d'In-
cino. — XXV. Bilancio consuntivo del Convento de' Minori Riformati di
S. M. d^li Angeli di Erba, 179$. — XXVI. Ruolo de' Religiosi di S. M.
degli Angeli, 1795).
Milano. — Conseils d'un Milanais à don Juan d'Autriche. — Revue Hi'-
spanique, 1901, nn. 25-28.
— Del monastero delle Angeliche di S. Paolo in Milano : cenni storici.
Milano, Arte Sacra, editrice, 1901, in-8, pp. 30.
— Un joueur de souplesses, [milanese] à Lyon, en 1494. — Bulletin Histo-
rique du Diocèse de Lyon, III* année, n. 15, maj-juin 1902.
— V. Annotti, Annuario Barbiera, Beltra ni. Bollettino pavese, Brioschi,
Brusoni, Bustico, Carassai, Chiaitone, dandosi, Col/eaione, Comandint,
Correnti, Decio, Drumont, Fumagalli, Galli, Cerini, Greppi^ Horne, Il-
lustrazione, Lemmi, Locati, Malaguzzi, Manzoni, Metani, Momigliano,
Moretti, Novali, Perini, Pio IV, Prove nzal. Ratti, Revel, Ricci, Rog*
giero, Rinieri, Riva, Rivista, Roberti, Romussi, Rondolino, Ronzoni,
Rotta, Sant'Ambrogio, Savio, Simonsfeld, Suida, Verga, Zanardi.
M issale ambrosianum ex decreto Pii IX p. m. restitutum, jussu Leonis
pp. XIII recognitum, Andreae Caroli cardinalis Ferrari Archiepi-
scopi auctoritate editum. Editto typica. Mediolani, typ. Jacobi Agnelli,
1902, in-4 fig., pp. xxiu-682.
MOMIGLIANO (F.). La morte di Giuseppe Mazzini e di Carlo Cattaneo. —
Rivista Ugure, XXXIII, 4, 1901.
■ONTI (doti. Santo). Storia ed arte nella provincia ed antica diocesi di
Como. Dispense 15-17. — Fol. ili. Como, Ostinelli, 1902, da p. 337
a 408.
MOHTICOLO (Giovanni). Lettera a Sua Eccellenza il conte Giuseppe Greppi,
senatore del Regno (A proposito della sezione ottava del Congresso
intemazionale di scienze storiche). Roma, tip. Cooperativa Sociale,
1902, in^, pp. 26.
Monza. ~ V. Collezione, Metani,
MRANDO (Giuseppe). L'origine dell'anima umana secondo la dottrina di
Antonio Rosmini. — Rassegna Nazionale, 1° marzo 1902 e sg.
/
/
450 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* MORETTI (arch. Gaetano). La Basilica di S. Maria in Aurona a Milano
e Tarchitetto prof. Gaetano Landriani. — La Perseveranza, 21 aprile
1902.
MOLLER (Carlo). Contese fra Intra e Pallanza dal 1472 al 1508. — La
Vedetta d' Intra, nn. 31-37, 1902.
Narrazione documentata che ci dà una abbastanza' compiuta idea di quel
che fossero anche sul Lago Maggiore, in quei tempi di rivalità feroci, sif-
fatte contese municipali. Del Mùller, che attende a raccogliere i materiali per
una storia della sua Intra, è a notarsi l'articolo Una gloria intrese (maestro
Giorgio da Gubbio) in Vedetta nn. 31 agosto e 3 settembre 1901.
MONTZ (Eugène). Études iconographiques. La Legende du Sorcier Virgile
dans l'Art des XIV, XV et XVP siècles. Av. ili. — Monatsberichte ùber
Kunstwissenscftafty di Hugo Helbing (Monaco), Jahrg, 2, Heft 3, 1902.
MOntz. — V. Essling (prince d').
NERI (Achille). Per la bibliografìa foscoliana. — Rassegna Bibliografica
della Letteratura Italiana, a. X, p. 85-88.
Novara. — La piazzs. delle Erbe di Verona. — Novara. — Concorsi
(con 3 illustrazioni). — Nuova Antologia, 1.° febbraio 1902.
— Novara a Ferdinando di Savoja, duca di Genova: numero unico pel
monumento inaugurato il 27 ottobre 1901. Novara, tip. Novarese edit.,
1901, fol. fig., pp. 14.
* — Onoranze ad Antonio Frizzi, a Bartolino Pioti ed a Domenico
Maria Novara : discorsi di A. F. Trotti e Giuseppe Agnelli. — Atti
Deputazione ferrarese di storia patria, voi. XII-XIII, 1901.
Novara e Ossola. — V. Annuario, Brindeln, Brusoni, Faccio, Faldella,
Espenberger, Hunziker, Mailer, Pomello, Revel, Riva, Rossi, Tallone.
* MOVATI (Francesco). Le ferriere milanesi nel sec. XV e la casa Mis-
saglia. — La Perseveranza, 26 marz o 1902.
* — Alessandro Manzoni ed il R. Istituto Lombardo. — Giornale Storico,
fase. 116-117, ^902, pp. 456-58.
* OBERZINER (G.) I Liguri antichi e i loro commerci, cap. II : I Liguri
antichi e i loro prodotti commerciali. — Giornale Storico e Letterario
della Liguria, a. Ili, 1902, fase. 3-4.
P. La sala delle « Asse ». — La Lettura, giugno 1902.
Agg. La sala delle a Asse » di Leonardo da Vinci nel castello sfos^esco
in Emporium^ n. 90, 1902.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 451
* PASCAL (Carlo). La dottrina epicurea nell'egloga VI di Virgilio. —
Atti R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. XXXVI, disp. 4-5.
PASCAL (E.). Eugeniusz Beltrami; con ritratto. Varsavia, 1902.
Pa\ta. — V. Annuario, Bollettino, Boni, Calmette, Dumoulins, Giulietti,
Perini, Rasi, Rivista, Torraca.
* PAZ-Y-MÉLIA (A.). Códices mas notables de la Biblioteca Nacional. —
Revista de Archivos, Biblioiecas y Museos, fase. 1-2, 1902.
Illiistrazione d'un pregevole codice di Plauto (sec XV) ornato di ricche
miniature, d'una delie quali si offre la riproduzione, già appartenuto al pro-
tettore di Andrea Mantegna, il marchese di Mantova Luigi III di Gonzaga
(1444-1478).
* PERINI (QuiNTiuo). Numismatica italiana, XVII. La grida di Enrico VII
imperatore del 131 1. — Atti L R. Accademia degli Agiati in Rove-
reto, s. Ili, voi. VII, fase. Ili- IV, 1901.
Scopo di questo interessante studio è quello di far conoscere le monete
messe al bando da quel decreto, pubblicato in Milano ai 29 settembre 15 H)
e poi a Pavia colla data 7 novembre ijii e non del 13 io, come erronea-
mente è ritenuto da molti scrittori.
* — Numismatica Italiana, XVIII. Contributo al Corpus Nummorum Ita-
licorum. — Atti I. R. Accademia degli Agiati in Rovereto, s. Ili,
voi. VII, fase. III-IV, 1901.
Dezana — Messerano — Crevacuore — Frinco — Crema — Brescia —
Castiglione delle Stiviere — Verona — Piacenza.
PETIT-DUTAILLIS (Ch.). Charles VII, Louis XI et les premières années
de Charles Vili (1422-1492). [Lavisse. Histoire de France, t. IV,
2.* partie, fase. 5]. Paris, Hachette, 1902.
Pio IV. — Pope Pius IV, and the Hook of Common Prayer. — Tablet,
5 aprile 1902.
PuNio. - WOLFFLIN (E.). Plinius und Cluvius Rufus. — Arc/tiv fùr la-
teinisclte Lexicographie, XII, 3, 1901.
Agg. la memoria del Dedefsen intomo a ciò che si deve a Plinio per
la storia degli artisti, in Jahrhuch deìV istituto archeologico, di Roma, voi. XVI,
1901, fac. 3. [V. anche Puhirenti],
POiELLO (Arturo). Paolo Perez, prete dell'Ordine della Carità. Verona,
tip. Civelli, 1902.
* PROYENZAL (dott. Dino). Di un carteggio inedito di Francesco Maria
Zanotti (Codice Ambrosiano Y. 107, P. Superior). — Atti I, R. Ac-
cademia degli Agiati di Rovereto, s. Ili, voi. Vili, fase. I, 1902.
45^ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
PULVIRENTI (Leonardi Seb.). Per le orazioni di Cajo Plinio Cecilio Se-
condo. Acireale, tip. dcWEinaf 1901, in-8, pp. 12.
* QUAGLIO (N.). Illustrazione della leggenda Ghiozzi e Fedele Magrini. —
Aiti Deputazione ferrarese, di sloria patria, XI, 1899.
Bartolomeo Ghiozzi nacque in Mantova (1671); perchè versato ni^li
studi matematici e fisici si formò attorno a lui una leggenda, riproduzione
di quella del dottor Faust.
RADINI (F). Memorie di un milite volontario casalasco riguardanti i fatti
d'armi cui prese parte. Casal maggiore. Granata, 1901, in- 16, pp. 84.
RAMSAUER (Franz). Die Alpenkunde in Altertum. — Zeitschrift des
Deutschen und Oesterreichischen Alpenvereins, Bd. XXXII, Jahi^ng
1901 (Mflnchen, 1901 in-4 gr., iU.) [v. anche Zwiedenek],
I. Le più antiche notizie sulle .\lpi e sui loro nomi. — II. I primi
passaggi delle Alpi. — III. La conquista romana dei paesi alpini. — IV. La
configurazione, l'altezza e l'estensione delle Alpi. — V. La divisione antica
delle Alpi. — VI. I valichi alpini nell'antichità. — VII. 1 territori delle
regioni delle Alpi nell'antichità, la loro popolazione ed organizzazione dì
stato. — Vili. I prodotti delle r^oni alpine nell'antica letteratura. —
IX. I laghi alpini nell'antica letteratura. — X. La sfavorevole riputazione
delle Alpi presso gli scrittori classici (i).
* RASI (prof. Pietro). Saggio di alcune particolarità nei distici di En-
nodio. Nota. — Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, voi. XXXV,
fase. VIII, 1902. [V. Bollettino Società Pavese],
* RATTI (sac. Achille). Milano nel 1266 da inedito documento originale
dell'archivio secreto vaticano. — Rendiconti Istittito Lombardo, s. II,
voi. XXXV, fase. XII, 1902.
RAULICH (Italo). Storia di Garlo Emanuele I, duca di Savoja, con docu-
menti degli archivi italiani e stranieri. Volume II: Dairoccupazione
di Saluzzo alla pace di Vervins (1584-1589). Milana, U. Hoepli,
1902, in- 16.
REGGIANI (L.). Enrico Tazzoli. Torre Picenardi, Puppo, 1901, in-i6, pp. 41.
RENÉMONT (G. de). Gampagne de 1866 (étude militaire rédigée confor-
mémentau programma des examens d'admission à TEcole supérieure
de guerre). II. Opérations en Allemagne et Italie. Limoges et Paris,
Gharles Lavauzelle, 1901, in-8, pp. 367 et fig.
RENIER. V. Lusio.
(i) Nel med. volume è a notarsi l'importante memoria cartografica: Ober-
huminer (Eugcn). Die Entstehung der Alpenkarten, con ili.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 453
REVEL (G. di). Carlo Alberto. Da Milano a Novara. — Rassegna Nazio-
nale, i6 febbraio, 16 marzo 1902.
REZZESI (Pietro). Antonio Cammelli detto il Pistoia: studio (1897). So«-
driOf stab. tip. Quadrio, 1902, in-i6, pp. 27.
RHODES (W. E.). Les Banquiers Italiens et leurs avances d'argent à
Edouard I et à Edouard II. — (Historical essays by members of the
Owen's College, Manchester, published in commemoration of its
jubilee, 1815-1901. London Longmans, 1902).
y * RICCI (Serafino). La chiesa di S. Raffaele e le gite ai monumenti
milanesi. — Il Museo topK)grafico della Lombardia. — L'Alba,
24 marzo e 9 maggio 1902.
* — Per una gipsoteca d'arte a Milano. — Lega Lombarda, n. 33, 1902.
RINIERI (Ilario). I costituti del conte Confalonieri e il principe di Cari-
gnano. Torino, R. Streglio, 1902, in-8, pp. 150.
* RIVA (Giuseppe). Per una nuova edizione dell'Azario, cronista novarese.
Lettera al Presidente della Società Storica Lombarda. — Bulleitino
dell'Istituto Storico Italiano, n. 23, 1902.
* Rivista Italiana di Numismatica. Anno XV, 1902, fase. MI, in-8 gr. Mi-
lano, tip. edit. L. F. Cogliati.
Gnecchi (Ercole). Appunti di numismatica italiana, XVII. Uno
scudo d'oro di Gian Giacomo de Medici, marchese di Musso. —
Dessi (Vincenzo). Due tremissi inediti di Carlo Magno. — Ro-
STOWZEw (M.). Tessere di piombo inedite e notevoli della collezione
di Francesco Gnecchi a Milano e la cura munerum. — Amrrosoli
(Solone). Alcuni acquisti del Gabinetto Numismatico di Brera (1887-
1900). Monete di zecche italiane [Milano, Matteo II, Bernabò e Ga-
leazzo III, signori. — Pavia, Francesco Sforza, conte. — Mesocco,
G. G. Trivulzio — Bellinsona, Uri e Untervalden]. — Rica (Se-
rafino). Di una medaglia autoritratto di Antonio Averlino detto
« il Filarete » nel Museo Artistico Municipale di Milano. — Spin-
GARDi (Arturo). Le medaglie dei Congressi degli scienziati italiani,
1839-1875 [Sesto Congresso, Milano, 1844]. — Varietà : Il Congresso
intemazionale di scienze storiche in Roma. — Atti della Società
Numismatica Italiana.
* ROBERTI (Melchiorre). Le rappresaglie negli statuti padovani. Nota.
— Atti e Memorie R. Accademia delle sciente di Padova, N. S. vo-
lume xvn, 1901.
A p. 146-147 v'è il ricordo delle rappresaglie concesse nel IJ02 dal
Comune di Padova ad Elena della Torre, figlia di Salvino, moglie di Nic-
colò I da Carrara e nuora di Ubertino, contro Milano.
454 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICX)
ROGGIERO (Orazio). La zecca dei marchesi di Saluzzo. — Stndj Saitészesi,
(Pinerolo, Chiantore, 1901-1902) [« Biblioteca della Società storica
subalpina » X].
Vi lavorarono nei primi anni del 1500 il celebre scultore milanese
Benedetto da Briosco ed il compatriota suo Francesco da Civaie maestro
della zecca del marchesato (cfr. anche Piccolo Archivio storico di SaJuno I,
1-2, p. 149).
* ROMANO (G.). Niccolò Spinelli da Giovinazzo diplomatico del secolo XIV.
Contributo alla Storia politica e diplomatica della seconda metà
del Trecento. Con documenti inediti tratti da archivi italiani e stra-
nieri. Napoli^ stab. tip. Pierre & Veraldi, 1902, in-8 gr. ili. pp. xn-646.
Cfr. specialmente i cap. IX, Niccolò Spinelli al servigio di G, Galeai^o
Visconti (i 384-1 392) e cap. X. Lo Spinelli ne* nego:^iati per V alleanza franco-
milanese. Sua morte (1392-1396).
ROMANOV (N.). Donatello. Moskva, Sytin, 1901, in-8, pp. 40.
ROMIZI (prof. Augusto). Storia del Ministero della Pubblica Istruzione.
Parte I'. 2.' edizione. Milano, Albrighi, Segati e C, 1902.
I. II Ministero della Pubblica Istruzione durante il R^;no di Carlo Al-
berto. — II. I primi ministri di V. Emanuele II per 1* istruzione pubblica.
• »
/ ROMUSSI (Carlo). Il Duomo di Milano. Mi/ano, U. Hoepli, edit (stabili-
mento M. Bassani), 1902, in-foL, pp. xv e 43 tavole.
* RONDOLINO (F.). La pittura torinese nel Medio Evo. — Atti della Società
di Archeologia e Belle Arti di Torino, voi. vn, fase. Ili, 1901-1902.
In Pinerolo nel castello dei Principi d'Acaja lavora nel 1328 un Berardo
da Milano, In Aviglìana fra il 1392 ed il 1395 maestro Pietro pittore da
Milano. Le relazioni che correvano nel 400 fra le corti di Torino e di Mi-
lano diedero per avventura opportunità al cremonese Cristoforo Moretti, emulo
del Bembo, al soggiornare che fece in Torino « con grande vantaggio dei
nostri pittori, i quali dovettero apprendere da lui a sopprimere gli orna-
menti d*oro ed a portare ne* dipinti morbidezza e libertà di figura ed a
curarsi della prospettiva. » Fra il 1464 ed il 1465 il Moretti attendeva In-
fatti in Torino a dipingervi la parte superiore della torre comunale, e fra
il 1463 ed il 1466 vi preparava stemmi all'impresa del toro da fregiarne
il bravio destinato a chi avesse vinto nelle corse dei cavalli. Pare vero-
simile che il Moretti abbia dipinto nella sacrestia di S. Antonio di Ranverso
l'affresco della salita al Calvario. — Le carte torinesi ricordano un'altro
pittore lombardo, Galeaixp da Turate, che nel 1462 già poteva mutuare al
Comune di che pagare certo tasso impostogli dal duca. Ma delle sue opere
sappiamo appena che lavorò a colorire stemmi e pennoncelli per le festose
accoglienze fatte nel 1466 ai duchi di Savoia ed a Filippo di Bresse, ed a
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 455
dipingere il toro sui tocchi dei decani od uscieri comunali. L'anno 15 13 va
segnalato per la cittadinanza torinese concessa al pittore Martino Span:^oUi
da Varese, abit. in Chivasso, il maestro del Soddoma e probabilmente an-
che di Defendente Ferrari (f 1528).
RONZONI (D.). L'apologia di Antonio Raudense e la fortuna di Dante nel
Quattrocento. — Giornale Dantesco, X, 1-2.
* ROSATI (prof. d. Luigi). Gli Statuti della Confraternita dei calzolaj te-
deschi in Trento. — Aiti I. R. Accademia degli Agiati, in Rovereto,
s. Ili, voi. VII, fase. III-IV, 1902.
Statuti del secolo decimoquinto che vengono qui riprodotti nel loro
testo tedesco, colla versione coeva eseguita e scritta dal notaio Prospero Mario
da Bormio, in V. Tellina. Chi era costui e quando viveva? Non fu pos-
sibile al R. di trovarlo, che aggiunge il nome suo essere sfuggito anche al
P. Giangrisostomo Tovazzi, il quale perciò nella sua lunghissima lista dei
notaj non lo ha. All^epoca del martirio di S. Simonino (1475), abitava a
Trento una famiglia da Bormio, di cui è nominato un tal Cipriano come
amico del padre del piccolo martire. Era forse il nostro Prospero un membro
di essa?
ROSSI (Quintino). Congregazione di Carità di Cossogno. Origine, dona-
zioni, lasciti e controversie [1547-1901]. Intra , tip. Intrese, 1902,
in-8, pp. 14.
ROTT (Edouard). Histoire de la Représentation diploma tique de la
France auprès des Cantons Suisses, de leurs alliés et de leurs
Confédérés, II, 1559-1610. Ouvrage publié sous les auspices et aux
frais des Archives fédérales suisses. Berne, Benteli, 1902, in-8 gr.,
pp. VI-724.
ROTTA (can. Paolo). UflScio funebre ambrosiano con aggiunte sui riti
antichi, sulla messa e sepoltura dei defunti: notizie storiche litur-
giche. Milano, G. Agnelli, 1902, in-i6, pp. 100.
— Il Vespro domenicale ambrosiono : osservazioni storico-liturgiche. Mi-
lano, ditta G. Agnelli, 1902, in- 16, pp. 70.
SALVIONI (Carlo). La Divina Commedia, VOrlando furioso e la Gerusa-
lemme liberata nelle versioni e nei travestimenti dialettali a stampa.
Sagginolo bibliografico. Bellinaona, C. Salvioni, 1902, in-8 gr., pp. 41
(Nozze Maggini-Salvioni).
y
/
^ * SANTAMBROGIO (d.' Diego). Un presumibile resto scultorio del distrutto
sarcofago del 1355 al giureconsulto Giacomo Bossi, già nella chiesa
di San Marco. — Politecnico, febbraio 1902.
* -- Sugli affreschi di Casa Prinetti in via Lanzone. — Lega Lombarda
7 e 19 marzo 1902 (Cfr. anche Perseveranza, 19 marzo 1902).
456 BOLLETTINO BIBUOGRAFICO
* SANT'AMBROGIO (d/ Diego). — Un'artistica pergamena in Milano, del
1479, riferibile alla Cappella della Concezione di San Francesco
Grande. — Sempre intomo al quadro leonardesco di AflFori e della
data sua. — Arte e Storia^ nn. 5-7, 1901; nn. 9-10, 1902.
* — Di una nuova lapide relativa al soppresso Monastero di Castellazzo
presso Vigentino Milanese. — Un pallio dei Panigarola alla Ma-
donna del Monte. — La Chiesa e il Convento delle Benedettine di
Lambrugo. — Legd Lombarda, nn. 100, 129, 132; 1902.
* — Nel Castelio . di Porta Giovia. Sulla flora della sala delle « Asse. »
— Lega Lombarda, 15-16 giugno 1902.
* SAVIO (FmÈLE, S. J.). La legende des SS. Fidèle, Alexandre, Carpo-
phore et autres martyrs. — Analecta Bollandiana, t XXI, fase. 1, 1902.
I. Les légendes actuelles et la l^ende primitive. — 2. Epoque de li
l^;ende primitive.
* SCHIAPARELU (L,). I diplomi dei Re d'Italia. Ricerche storico-diplo-
matiche. Parte I. I diplomi di Berengario I. — Bullettino Istituto
Storico Italiano, n. 23. 1902.
SCHOTTE (d.' Ludwig). Der Appeninenpass des Monte Bardone und die
deutschen Kaiser (« Historische Studien » XXVII). Berlin, E. Ehen-
ring, 1901, in-8, pp. 137 e una carta. [Cfr. Recensione in Bollettino
Storico Pavese, II, 1902 n. i-a, p. 266 sgg.].
— Die Lage von Parma und ihre Bedeutimg im Wechsel der Zeiten.
Eine Studie. (Abdruck aus der Festschrift des geographischen Se-
minars der Universitàt Breslau, 1901, pp. 190-220). [Cfr. la recen-
sione di J. Jung in Mittheilungen dell' Ist Stor. Austriaco XXIII, 2,
P- 307 sgg.].
SERASSI (Pier Antonio). Lettere a Giuseppe Beltramelli, a cura di Ar-
naldo Foresti. Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1902, in-8,
pp. 4a (Nozze Ruffoni-Rienzi-Lochis).
Sforza e Visconti. — V. Beltrami, Benadduci, Bibliotltèque, Gabotto,
Malagussi, Petit, Riva, Rivista, Romano, Volpi.
SICHLER (Albert). Littérature des Chemins de fer suisses (1830-1901).
Berne, K. J. Wyss, 1902, in-8, pp, XX-390-130. [• Bibliographie na-
lionale Suisse • fase. V 9 h p].
Con abbondante bibliograna pel Gottardo, \o Spinga, U Scmpionc, ecc.
* SIMONSFELD (H.K MaiLlndor Briete zur bayerischen und allgemeinen
Gcschuhie do^^ 16 laììrlumderts MI. (Aus den Ablutndlungen der k.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 457
òayer. Akadentie der Wissintschafien, III Q. XXII Bd. IMII Abth.).
Mùnchen, Verlag der k. Akademie, in Commission des G. Franz'schen
Verlags, 1902, in-4 gr., da p. 273 a p. 575.
Lettere da Milano per la storia di Baviera e per quella generale del
secolo XVI. — Se ne riparlerà.
STAFFETTI (Luigi). Una sposa principesca del Cinquecento con alcune let-
tere della medesima a suo padre. Massa, tip. di E. Medici, 1902,
in-8y pp. 84*
Si tratta di Lucrezia Cybo, figlia di Alberico, maritata al conte Er-
cole Sfondratì, nipote di papa Gr^orio XIV.
STRZYGOWSKI (Joseph). DQrer*s Madonna vom Jahre 1519, sein und Hol-
beiii's Verhaltniss zu Leonardo. — Zeitschrift fur bildende Kunst,
XII, 1901, fase. X, pp. 235-38.
La Madonna del Dùrer dell'a. 15 19. Relazioni sue e dell' Holbein con
Leonardo da Vinci.
Wòk (dJ Wilhelm). Ein verloren geglaubtes Werk Bramantinos. —
Hugo Helfnngs, Monatsberichte Uber Kunstwissenschaft, a. II, fase. III,
1902, con tav.
L^opera creduta perduta del Bramantino è la Pietà eseguita dal Suardi
nel 15 15 per i monaci di Chiaravalle, indi passata nella chiesa di S. Sabba
in Roma e dappoi nella collezione del cardinale Barberini nel seicento. Scom-
parsa da essa, s'ebbe a perderne le traccie; il quadro, secondo i dati offerti
dallo S. sarebbe ora rintracciato comechè in possesso della Ditta Artaria,
Tavo degli attuali proprietari della ditta avendolo acquistato a suo tempo
in Italia. Lo Snida attende ad un lavoro esauriente sul Bramantino, che noi
ci auguriamo di veder presto alla stampa.
TACCHI VENTURI (P.). Corrispondenza inedita di L. A. Muratori con i
pp. Contucci, Lagomarsino e Orosz della compagnia di Gesù. —
Scrini vari ài filologia offerti a Ernesto Monaci per ta, XXV del
suo insegnamento. (Roma, Forzani, 1901).
TALLONE (Armando). Il distretto di Vercelli ed il Vercellese nel 1564,
secondo i capitoli XXII e XXIII delle Costituzioni deh'ospedale di
S. Andrea. Vercelli, stab. tipKvlit. G. Chiais, 1901, in-8, pp. 45.
* — Appunti sulle relazioni tra Innocenzo IV e il Comune di Vercelli
(1243^1). — Atti R, Accademia delle Scienze di Torino, XXXVI, di-
spensa 6-7.
TAN6L (M.). Die Haft Silvio Pellico's. — Deutsche Rundschau, gennaio 1902.
Ampio riassunto in Piccolo Archivio Storico di Saluzzo, I, fase. IIMV,
P- 571-75- Ivi (pp. 367.371), recensione del libro del Luzio sul Salvotri —
Arch, Sior, Lom^., Anno XXIX. fise. XXXIV. 30
45^ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Pel Pellico agg.: Musson (L,), Silvio Pellico. (Paris, Vitte, 1901, 8, pp. 32)
e Pellico (S.). Lettere alla dontia gentile pubbL per cura di L. Capinerì G-
priani (Roma, Società Dante Alighieri, 1901).
TASSO (T.). La Gerusalemme Liberata, illustrata da £. Matania, con
note di Eugenio Camerini e prefazione di Carlo Romussi. Milano,
Società editrice Sonzogno, 1902, in-4 fig., pp. x-319.
— V. Greco, Mazzoleni, Salvioni.
TOLSTOI (Leone). Che cosa è l'arte? Traduzione autorizzata dall'autore,
preceduta da un saggio di Enrico Panzacchi, Tolstoi e Manzoni
neir idea morale e nell'arte. Milano^ Treves, 1902, in- 16 (« Biblio-
teca amena » n. 264).
TOMMASINI (prof. Gustavo). U concetto della giustizia amministrativa in
G. D. Romagnosi : discorso letto nella R. Università di Parma per
l'inaugurazione dell'anno accademico 1901-1902. Parma, tip. Rossi-
Uboldi, 1901, in-4, PP- S^*
TORRACA (prof. Francesco). Studi su la lirica italiana del Duecento. Bo-
logna, edit. Zanichelli, 1902.
Nel terzo di questi studi {Federico II e la poesia provenutale) il T. de>
dica qualche pagina a Torello da Strada comprendendolo tra i trovatori del
duecento che ebbero relazioni più o meno dirette collMmperatore Federico IL
Cfr. nel Boll, Storico Pavese^ II, 1902, fase. MI, p. 297 la riproduzione di
quella parte del suo scritto che gli si riferisce direttamente.
TRAGNI (Ang., colonnello). Attorno a Verona: notizie storiche-militari.
Verona^ stab. tip. G. Franchini, 1901, in-8, pp. 304.
Trivulzio. — V. Barbiera. Collezione, Comandine, Rivista,
VALLE (P.). Reminiscenze di Custoza. — Rassegna Nazionale, 1 marzo 1902.
* Valtellina. — Carlo Bonadei (prov. di Sondrio 1822-1901). Necrologia-
— Al fi I. R, Accademia degli Agiati in Rovereto, s. Ili, voi. VII, 1901.
— V. Como,
VANZOUNI (G.). Un p>o' di « Zibaldone » [del Batacchi] nei « Promessi
Sposi, n Rivista d'Italia, V. 2.
Verdl — PASCOLATO (A.). Re Lear e Ballo in maschera. Lettere di Giu-
seppe Verdi ad Antonio Somma, con fac-simile, in-16. Città di Ca-
stello, S. Lapi, 1902.
Agg.: Bellaigtu (C), Verdi; l'oeuvre et l'homme, in Correspandant
IO aprile 1902 e Muret (M.). Un paquet de lettres de Verdi, in Journal
Ì€s débats, 1 aprile 1902.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 459
r VERGA (dott Ettore). Concetto e giudizi d'altri tempi sugli archivi no-
^ tarili. — Rivista delle Biblioteche^ a. XIII, voL XIII, n. a, 1902.
I Costituzione dell^Àrchivio notarile di Milano, per opera di Maria Teresa,
nel 177 1; opposizioni dei notaj alla sua istituzione.
I * ViRGiuo. — CIPOLLA (F.). Dante Censore di Virgilio. — Atti R. Istituto
Veneto, LXI, 3.*, 1902.
Agg. po' gli studi vergiliani : Baiassi (G.). Il Caronte dantesco e il
Caronte virgiliano [« L* Agave 9 I, 2-5]; Georgh (H,) Die antike Vergilkritih
in den Bukolika und Georgika [« Philologus » voi. IX Supplemento,
fase. II, 1902] ; Hofmann (Max). Der Codex Mediceus pL XXXIX n. I des
Vergilius II [Berlin, Weidmann, 1901, 4, pp. 56-VlII] ; Leo (F.). Vergil und
die Ciris [t Hermes » voL XXXVII, fase I, 1902] ; Norden (E) Vergils
Aeneis im Lichte ihrer Zeit [e Neue Hddelberger Jahrbùcher » XI, giugno-
luglio 190 1]; Victor Hugo traducteur de V Eneide [a Intermédiaire des dier*
cbeurs et curieux » 28 febbraio e 20 marzo 1902]; Wright (R.). On the
enigma in Vergil ecL, III, 104 [e Qassical Review 1» voL XV, n. 4, 1902].
— V. Muntz, Pascal.
VOLPI (Guglielmo). Le feste di Firenze del 1459. Notizia di un poemetto
del secolo XV. Pistoja, librerìa Pagnini, 1902, in-8, pp. 26.
I cronisti fiorentini tutti e gli storici moderni si soffermano sulle feste
per Pio II. Ma tanto parvero strepitose e straordinarie che d fu anche chi
si senti spinto a celebrarle in versi. L'autore è un cliente mediceo e fa
larga parte alle accoglienze del giovanetto Galeazzo Maria Sforza, mandato
dal padre a Firenze per complimentarvi il pontefice.
WALTZ (d'. Otto). Die DenkwQrdigkeiten KarFs V. Bonn, E. Strauss,
1901, in-8, pp. 47.
WEIL (H.). Le Prince Eugène et Murat, 1813-1814. Opérations militaires.
Négociations diplomatiques. T. Ili, in-8. Paris, Fon temo ing, 1902.
WOLFF (J.). Lionardo da Vinci als Aestetiker. Strassburg, Heitz, 1901,
in-8, pp. 140.
* WYMANN (E.). Nuntius Bonhomini auf der Tagsatzung zu Baden im
Juni 1580. — Anzeiger fùr Schweizer. Geschichte, n. I, 1902.
WYZEWA (T. de). L'oeuvre d'André Mantegna. — Revue des deux Mondes,
15 marzo 1902.
* ZACCAQNINI (G.). Le osservazioni di Niccola Villani alla Gerusalemme
Liberata. — Bollettino Storico Pistoiese, a. Ili, fase. 3, 1901.
460 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
iEANARDI (Amalia). Maria Gaetana Agnesi: studio Inografico. Milano^ ditta
G. Agnelli, 1902, in-8, p. 36.
(L.). Studi sulla crìminalità italiana nel Dugento e Trecento.
— Bulletiino Senese di Storia Patria, a. Vili, fase. II.
Lo Z. prende ad illustrare la Quaestio an in loco domìciUi di Alberto
di Gandino (a. 1299), la quale si riferisce ad una controversia pistoiese, e
cioè : Un Giovanni dei Bonaccorsi di parte nera, pistoiese, si era portato in
territorio Senese per causa di salute. M. Manente degli Scali, allora resi-
dente in Firenze, il quale nel 1395 era stato podestà di Pistoia di parte
Bianca, si accordò co' suoi mandatari perchè uccidessero il Bonaccorsi in
territorio senese; il che avvenne. — Bella discussione di principi di diritto
colla quale il dotto A. illustra la Quaestio di Alberto da Gandino sul tema
della competenza a punire il mandante e i mandatari della compiuta ucci-
sione (cfr. Boll, Stor, pistoiese a. Ili, Case IV, 1901, p. 159). ^
ZWIEOINECK-SODENHORST (Hans von). Die Ostalpen in deivpranzosen-^^l
krìegen, IV, Theil, Der Feldzug von 1813. — Zeitsc/iri/t des deutschen
u, oesterr. Alpenvereins , voi. XXXII (Mùnchen, 1901). [v. anche
Ramsauer],
Nelle precedenti annate sono contenute le memorie intomo alle cam-
pagne degli anni 179697, 1799, 1800-1801, 1805 e 1809 (cfr. a. 1897,
voi. XXVIU, Graz; 1898, voi. XXIX, 1899, voi. XXX).
APPUNTI E NOTIZIE
.\ La Chiesa di San Raffaele in Milano. — A proposito di questo
tempio, del quale si annunciava la distruzione, che la Società nostra ha
tentato nell'ultima sua adunanza d'impedire, indirizzando un voto di pro-
testa alle autorità competenti, il chiaro consocio prof. D. Fedele Savio
ba pubblicato nel n. 134 del giornale cittadino ^Osservatore Cattolico
(14-15 giugno 1902) un interessante e vivace articolo, di cui ci pare con-
veniente inserire qui la parte essenziale, in cui l'egregio cultore della
storia ecclesiastica italiana^ da cui attendiamo con impazienza una nuova
e crìtica illustrazione della serie degli arcivescovi milanesi, ricostruisce
le vicende dell'antica chiesetta or minacciata dai soliti nemici del pas-
sato:
«Ottimamente fu detto dalla Società storica nella sua protesta, che
la chiesa di S. Raffaele è uno dei pochi punti di partenza che ancora
rimangono per ricostruire idealmente la topografia della parte più cen-
trale e più nobile della antica città.
«Delle sei chiese minori, che, come figlie attorno alla madre, circon-
davano la vetusta chiesa di S. Maria Maggiore, ossia il Duomo, ora non
rìmane che S. Raffaele e forse S. Giovanni alle Fonti, se pure questa è
identica a S. Gottardo. Molta è l'antichità di queste chiese. Non sarebbe
forse vano il credere che esse esistessero già prima della distruzione della
chiesa cattedrale e di altri edifici di Milano, eseguita dal fiero Attila,
poiché ad esse sembra alludere San Massimo di Torino allorché,
parlando della ricostruzione della cattedrale compiuta dall'arcivescovo di
Milano, Eusebio, diceva ai milanesi : « Colui il quale ha fatto rivivere la
«chiesa, che è il corpo della città, farà che sorgano altresì le membra del
« medesimo capo, che ancora giacciono al suolo. »
« Ma se non si può risalire (almeno con certezza) ad un tempo tanto
antico, par certo che la fabbrica di quelle chiese minori dovette susse-
guire ben presto la costruzione o ricostruzione della cattedrale, avvenuta,
secondo una cronaca degnissima di fede, nell' 836 per opera dell'arcive-
scovo Angilberto II, prelato così zelante e benefico per il culto divino.
Il fatto che quattro delle sei chiese erano dedicate a quattro santi angeli
Michele, Gabriele, Raffaele ed Uriele, mentre è prova del culto antico
verso gli angeli, rivela evidentemente un'unità di concetto a cui proba-
bilmente corrispose la contemporaneità nell'esecuzione.
462 APPUNTI E NOTIZIE
« E' certo ad ogni modo che la chiesa di S. Raffaele già esisteva nel
903, ed a ragione il Giulini disse falsa Fasserzione di coloro che data-
rono la costruzione della chiesa dal regno di Berengario e ne fecero au-
tore questo re. Lo sbaglio provenne dall'indicazione dell'anno 15 del
regno di Berengario, che si trova tra le note cronologiche di un diploma,
che il di II gennaio dell'anno suddetto 903 venne fatto dall'arcivescovo
milanese Andrea I, e di cui non sarà inutile rammentare il contenuto.
« Questo generoso e caritatevole arcivescovo col suddetto atto sta-
biliva che dopo la sua morte certe case ch'egli aveva comperate attorno
alla chiesa di S. Raffaele diventassero un ospedale. Per il mantenimento
di questa nuova benefica istituzione il prelato assegnava vari suoi beni,
prescrivendo pure alcuni obblighi ai quali dovesse sottostare il rettore
della chiesa e dell'ospedale, che egli nominò nella persona di Gari-
berto suo nepote, il quale, secondo il Giulini, sarebbe il medesimo che
divenne poi arcivescovo di Milano nel 918. Tra gli obblighi il principale
era che il giorno anniversario della morte d'Andrea, il rettore di S. Raf-
faele convitasse dodici preti che avrebbero celebrata la messa in chiesa
e desse loro un regalo, e di più desse una refezione a cento poveri, as-
segnando a ciascuno una detcrminata misura di pane, lardo, cacio e vino.
« O allora o poco dopo la chiesa diventò parrocchia e tale rimase
fino a' tempi moderni. Nei suoi fasti è celebre l'atto coraggioso di San
Carlo, che nella terribile peste del 1576, avendo saputo ch'era amma-
lato il parroco, volle egli stesso non solo visitarlo, ma assisterlo fino
all'ultimo suo respiro.... Poco appresso la chiesa fu tutta rinnovata, e
valenti autori dipinsero una parte della volta e i quadri degli altari, il
Pellegrini, l'architetto favorito di S. Carlo, disegnò ed incominciò la gra-
ziosa facciata, che per parecchi secoli poi rimase incompiuta. Essa fu
terminata or sono pochi anni per cura del veneratissimo arcivescovo mon-
signor Calabiana, di santa memoria, che fu indotto a quell'opera non
meno dalla sua profonda pietà che dall'amore al decoro della sua metro-
poli. Ne mal si appose, perchè doppiamente essa adoma Milano, e per
i ricordi storici che le sono congiunti e per la sua moderna elegante strut-
tura che armonizza interamente con tutti i nuovi edifìzi che dopo la co-
struzione della Galleria Vittorio Emanuele, le si eressero attorno. Onde
si comprende come tutti coloro i quali hanno un po' d'amore per le tra-
dizioni storiche e per i monumenti artistici di Milano, tutti coloro cui
sta a cuore l'ornamento e, dirò pure, il buon nome di quest'illustre
città, si siano giustamente commossi al sentire che quasi di nascosto si
vorrebbe distruggere quella chiesa, che è monumento insigne della reli-
giosa pietà degli antichi milanesi. »
Anche tutti gli altri giornali cittadini, com'a dire il Secolo^ la Sera^
la Pcrsfveransa, senza distinzione di partito, hanno lodato l'iniziativa as-
sunta dalla Società nostra, che, forte del voto di corpi competenti ed auto-
revoli, quali sono l'Ufficio Regionale per la conservazione dei Monu-
menti e la Consulta Archeologica, spera di vincere la battaglia che ha
assunto in prò delle tradizioni cittadine.
APPUNTI E NOTIZIE 463
,*^ Che cosa soso i patiti? — Quando i mesi convennero insieme
per ordire una trama contro Gennaio loro signore, secondochè narra
i] carme latino dato alla luce dal prof. Bìadone come opera del mila-
nese Bonvesin della Riva (i), il primo a parlare fu Febbrajo :
Prìmus fert talia Febnis
ceno fedatus caligat et utrosque peti tot (i).
Esso si presenta dunque coi calzari insozzati di fango. £ sta bene :
pur troppo Febbraio e fango son quasi sinonimi. Ma oltreché i calzari,
saligaey il mese della pioggia ha lordi anche utrosque fetitos. Che cosa
diamine sono i f etiti?
L'Editore non seppe a tutta prima raccappezzarsi : ((La parola manca
«ai lessici, egli postillò, e forse è male scritta... Che si tratti di un deri-
« vato di fes? » (3). Ma più tardi nelle (( Giunte e Correzioni » soggiunse :
nll Kajna crede inverosimile il ravvicinamento, da me fatto del resto
« in modo molto dubitativo, di fetitos a fes, e mettendosi a ricercare l'eti-
« mologia di quella parola, penserebbe piuttosto ai milanesi fitty fettarott
«{cfr. pito sp.). Senonchè non riuscendomi di vedere quale relazione
« di significato possano avere questi due ultimi vocaboli con fetitos (fitt)
«non può essere che plurale di peit a peto », da cui petarott, specie di
«piva, con cui i contadini anziché sufolarc trullano [CHERUBINI, Vocab,
amilan. s. v.] (4), né si può ammettere che pitt valga ((piedi» (come,
«correggendosi, osserva il Cherubini nel Suppl. al Vocabolario), m*ac-
« contenterò di dire che questo é forse derivato da quella radice pet, da
cui pezza (pet-i-a) e qualche altra voce significante lembo e parte in ge-
« nere degli indumenti, se pure pctitos non é da ravvicinare, ciò che sod-
«disf crebbe bene al senso, al muggese pisett ((polpacci» {Arch. glotL
*'-^II> 331 (5)- »
Infine in una nuova serie di correzioni al testo de' Carmina inserita
•nello stesso volume degli Studi di Filologia R amanza ^ il prof. Biadene
annunziò un'altra ipotesi suggeritagli dal prof. Della Giovanna. Per-
suaso questi che la parola misterios?i derivasse da fes, proponeva di ri-
conoscere nel petitos del codice un originario pecitoSy male trascritto dal
copista. E pecitos sarebbe una latinizzazione del pescitt u piedini » proprio
del milanese, che doveva ai tempi del Della Riva scriversi pezit o pe-
cit (6).
Di tutte le congetture messe innanzi, fuorché di quella proposta dal
Della Giovanna che gli sfuggì, fece giustizia poco appresso il Savi-Lopez,
scrivendo che senz'eccezione (( sollevano qualche difficoltà ». Ed essendo
(i) L. Biadene, (( Carmina de mensibus » di Bonvesin da la Riva
in StudÀ di Filologia Romanza^ voi. IX, Fase, i, 1901, p. i e sgg.
(2) Op. cit., p. 54 sg..
(3) Op. cit., p. 43.
' (4) Petarott in cremonese si adopera come termine spregiativo per
«bambino». Cfr. Peri, Vocab. ital. cremonese , s. v.
(5) Op. cit., p. 127 sgg.
(6) Op. cit., p: 180.
464 APPUNTI E NOTIZIE
quindi persuaso che non si potesse interpretar la voce tal quale si tro-
vava nel codice, uscì fuori con un'altra proposta che affrcttossi però m
dichiarare « tutfaltro che soddisfacente », quella cioè di mutare fetitos
in fedicos, le «dita dei piedi» (i).
Il problema, per quanto piccolo, aveva stimolata la mia curiosità,
tanto più vivamente che io serbavo come un vago ricordo d'essermi già
imbattuto altra volta nella voce che Bonvesin aveva introdotto nel pro-
prio componimento per la disperazione de' suoi futuri postillatori. Ed
ecco, quando meno me l'aspettava, ricapitarmi appunto sott'occhio il vo-
cabolo, mentre rileggevo un testo, inedito sin qui, da me ricopiato di
sull'originale la bellezza di ventiquattro anni fa, vale a dire gli Statuti
dei Canonici della Cattedrale di Cremona promulgati l'anno 1246 : Item
quod nullus canonicus nec mansionarius ncque presbyter altarium neque
sacriste deferani pathos ligneos neque nudis pedibus acccdant ad offi-
tium maxime in die, etc. (2).
I fatitos del documento cremonese son dunque senza dubbio i petHos
del poemetto milanese : Febbraio va in zoccoli per non bagnarsi i piedi !
Messo così sulla buona via, non ho tardato ad avvedermi che la mi-
steriosa parola faceva già la sua figura presso il Du Cange. Il vecchio
lessicografo reca difatti s. v. patitus un esempio tolto dagli Statuti di Ver-
celli, dove a e. 101 v. si legge: liem licitum sii cuilibet... ducere vel
duci facete... calderias, subtulares, cathenas, patitosi mercarias... (3).
La voce patUus (o petitus) si riconnette dunque etimologicamente
con patinus, che rinviensi pure in documenti nostri e oltremontani del
sec. XIII (4), e riflette il pattino italiano, il patin francese (5).
F. N.
.*, Un dubbio in un punto di storia vigevanasca recentemente illu-
strato. — Alessandro Colombo, infaticato studioso della storia vige-
vanasca, ha pubblicato recentemente, in luce del tutto nuova per com-
piutezza, un documento assai interessante delTarchivio di Vigevano. Vi
è contenuto il trattato di alleanza tra Milano e Vigevano nel 1277; e
la pubblicazione è stata fatta in questo Archivio (XXVIII, pag. 369, sgg.),
premessavi un'opportuna illustrazione.
Ora a pag. 373 si domanda il Colombo chi siano i nemici, contro
i quali Milanesi e Vigevanesi si obbligavano con giuramento a reci-
(i) Vedi la recensione de* Carmina inserita dal S. L. in Rassegna
bibliogr, della leti. ital. a. X., 1902, fase. 3, p. 84.
(a) L'originale degli Statuti si conserva ancora nell'Archivio Capi-
tolare : unico avanzo di una ricchissima collezione di diplomi e docu-
menti che rignoranza e l'avarizia hanno miseramente dispersa.
(3) Du Cange, Lex., ed. Fabre, to. VI, e. 213, s. v. patitus.
(4) Du Cange, op. cit., s. v. patinus. Vi troviamo difatti allegati gli
Statuti de' canonici d Acqui del 1259, i quali prescrivono come i Cremo-
nesi : Nec ctiam in ecclesia rei claustro Portabunt patinos sive soccas
f errato s strepi tum magnum facentes.
(5) Cfr. sull'origine della parola, che è incerta, KòRTlNC, Latein-
roman. Wòrterb., n. 5937.
appuntì e notizie 46^
proco aiuto e difesa e conclude ragionevolmente, più per induzione, che
per certezza diplomatica riguardante particolarmente quel trattato, chV
siano i Pavesi. A me par opportuno rammentare alPuopo quanto si
legge in una vecchia pubblicazione d'un Tortonese ; appunto in Notùtie
per servire alla biografia degli Uomini illustri tortonesiy raccolte dal
conte Ciac. Carnevale, ed. nel iSjé d*l Viuli a Vigevano, a pag. 126-
127, nel cap. intitolato <c Dei Tortoncsi che furono Ambasciatori ». Qui
è memoria di De Rovano Ridolfo, « tortonese dell'Ordine de* Predicatori »,
che CI secondo quanto trovasi scritto nel calendario di S. Giorgio, sa-
«rcbbe stato nel 12 17 dal popolo di Tortona deputato a portarsi in Pia-
te cenza da Lanfranco Bucabarla Bresciano allora podestà di Milano, nel
a quale i Pavesi da una parte ed i Milanesi con i Piacentini dall'altra
«fecero un ampio compromesso, rimettendosi a quanto egli avrebbe de-
Aciso nelle loro controversie, ed il Bucabarla pronunciava, che i Mila-
«nesi rilasciassero ai Pavesi per dieci anni il castello di Vigevano, e che
«i Piacentini ritenessero alcune terre, che pria godevano in comune coi
M cittadini di Pavia».
Ora, che s'abbia a leggere 1277, anzi che 12 17, nella fonte, a cui
il Carnevale attinge? e che il trattato preludia a una guerra, la cui
fine abbia, invece di esimere Vigevano dal principato pavese, ridato il
castello a Pavia?
Attilio Bum.
,\ Una riforma del dazio delle bollette sotto Giangaleazzo Vi-
S0Q(>rn. — Parlando altra volta del contributo per la dote di Valentina
Visconti (i), avvertii che, non molto a proposito a mio parere, il Giu-
lini aveva citati, come prova del malcontento popolare contro Gian-
galeazzo e dei timori di questo principe nel 1386, e nei successivi anni,
due provvedimenti di polizia, uno dei quali era il nuovo regolamento
per il dazio delle Bollette (2).
Una delle caratteristiche di quel regolamento erano le minuziose
disposizioni riguardanti il movimento dei viaggiatori. Io avvertivo che,
certo in forma assai meno vessatoria, quelle disposizioni vigono tutt'ora, e
quindi avevano poco valore per provare quanto affermava il Giulini.
Ora un interessante documento proverà che Giangaleazzo non aveva me-
nomamente il proposito di vessare i sudditi con disposizioni dettate dal
sospetto. Questo documento è un ordine col quale, attesa la noia e
il danno che deriva dal dazio delle Bollette, esso viene abolito preci-
samente per la parte che riguarda il movimento dei viaggiatori (3) ; e
(i) Arch. Stor. Lomb., XXVIII (1901), in fine della memoria.
(2) GIULINI, Mem.^ 1386, libro LXXIII, pp. 422-425. Cfr. Antiqua
iuc. Mei. decretay pp. 112-114.
(3) Il Magenta, castello di Pavia^ I, 272-273, afferma che da questo
dazio erano esenti solamente gli ecclesiastici, i mendicanti ed i romei.
Ciò sarà stato vero in alcune epoche ; ma non può erigersi ad afferma-
zione generale, perchè nell'anno 1389 la tassa lu abolita per tutti indi-
stintamente.
466 APPUNTI E NOTIZIE
ciò accade nell'anno 1389, che tanto per le guerre quanto per gli ag-
gravi finanziari fu dei meno felici tra quelli del governo di Giangaleazzo,
e quindi uno di quelli nei quali dovevano, se mai, essere più pungenti
i sospetti del governo visconteo intomo alla fede dei sudditi, e più spe-
cialmente dei sudditi nuovi, com'erano per esempio i Reggiani.
[Archivio di Reggio Emilia. - Carteggio del Reggimento (i)].
u Dominus Mediolani ctc.^ Comes virtù tutìty Imperialis vicarius gè-
« neralis. »
» Principum fastigia dignitatum tanto onim magis extollontur quanto
« de liberali munere sue munifìcentie uberiora proveniunt. Igitur aten-
a dentes datium bulletarum forensium nimium exosum fore precipue no-
« bilibus et magnatibus àc mercatonbus a mondi {sic) partibus hinc inde
« per territorium nostri dominij transeuntibus, et sepius ad nos acceden-
« tibus, percgrinis vero et alijs mendicantibus et paupcrtatis fratribus
« ac pauperibus ef misérabilibus personis valde onerosum datium illud
« de nostre liberalitatis arbitrio et beneficentia nostra duximus totaliter
« reuocandum et anulandum in qutbuslibet ciuitatibus dominij prelati,
« per respectum dumtaxat ad id quod exigi consueverat de datio ipso prò
« personis equis valisijs et besazijs. Mandantes preterea vobis quatenus
« datium illud in ciuitate nostra Rhegij ab ultima die mcnsis instantis
«< in antea tolli et reuocari facere debeatis, non permitentes deinceps
«aliquid ex eo percipi nec haberi per respectum ut prefertur ad per-
« sonas equos valisias et besazias. Certificantes de receptione presentium
« Magistros intratarum nostrarum et Referendarios curie nostre. Vo-
« lumus bene tamen quod prò rata temporis et pretij incantus dicti datij
« incantator ipsius datij solvere debeat pretium dicti incantus. Dat. Mc-
« diolani die vigesimoquinto Januarij MCCCLXXXVIIII.
a. tergo: « JOHAXOLUS. »
« Nobili viro Potestati Referendario et Sapientibus nostre ciuitatis
« Regij. »
Non è da trascurar un*osservazione riguardo alle ultime parole di
questo documento.
Nel suo lodevole zelo per il bene economico delle città soggette,
alle quali nuoceva ogni cosa che desse impaccio al movimento dei viag-
giatori, il governo non aveva né badato (cosa notevole) alle gravi dif-
ficoltà in cui allora si trovava il tesoro dello Stato (2), né attesa nep-
pure la fine delFanno finanziario per attuare la riforma. Questa entrava
anzi in vigore poco dopo il principio dell'anno e cioè poco dopo la con-
chiusione dei nuovi contratti d'appalto dei dazi. Dovevano quindi sor-
gere, nell'applicazione pratica, non poche difiìcoltà. Non per questo
(i) Questo è l'originale. Se ne trova copia nello stesso Archivio, Re-
gistro ansiani, 1386- 1390, e. 571.
(2) Ne ho dato alcune prove nel precitato articolo.
APPUNTI E NOTIZIE 467
Giangaleazzo rinunciò al provvedimento reputato necessario. Niella let-
tera stessa di riforma egli aveva date preventivamente alcune disposi-
zioni per quanto riguardava i doveri degli appaltatori. Quando poi gli
giunsero i reclami inevitabili da parte di questi, dispose che nei limiti
del giusto essi venissero indennizzati senza toccare le entrate principali
dello Stato : Mandamus (si legge in un rescritto in proposito, in data
15 febbraio 1389) quatenus eidem supplicanti bònos fatiatis et nume-
reiis denarios aduentagiorum (i) in ipsius incantu promissorum; et hoc
de denarijs baratene^ qui relaxantur prò laborerijs ciuìtatis ipsius (2).
A lungo si protrassero tuttavia le contestazioni intorno alla portata
della riforma introdotta. Questa parte della storia del dazio delle Bol-
lette non ha veramente diretta relaziono col toma di questa nota ; e per-
ciò non mi addentrerò in essa, per ora. Ma non sarà inutile avvertire
che dai documenfl relaftvi non appare che il governo sofisticasse per ri-
togliere quanto aveva concesso, bensì che i soliti appaltatori intorbidas-
sero le acque per guadagnare di più (3).
F. E. COMANI.
.\ Un « MANIGOLDO ») NOVARESE. — Forse ultimo tra gli scritti del
compianto prof. Paoli, l'insigne paleografo italiano, e pubblicatosi nel-
V Archivio storico italiano (fase. IV, 1901), lui già defunto, è a notarsi
quello dal titolo « Manigoldo ». Il P. vi produce due documenti toscani
del quattrocento a conferma storica del vocabolo Manigoldo nel signi-
ficato di «carnefice)». Nel 1417 aveva tale ufficio ai servigi della repub-
blica di Siena certo Perone da Novara, condannato a morte fin dal 141 5
fro nonnullis malcfitiis (innocente, dice lui !) e commutatagli la pena colla
reclusione perpetua nelle carceri del comune, unita all'obbligo di far
le esecuzioni di giustizia prò manigoldo. Ora, a costui pesava di far quel
triste mestiere, e cercò modo di esserne liberato. Avendo trovato fra i
suoi compagni di carcere uno Schiavone, tal Simone di Zagabria, che,
condannato a morte per certi furti, si offeriva volontieri a sostituirlo af-
fine di salvare la vita, presentava istanza al Concistoro, perchè accogliesse
la domanda di quest'altro sciagurato, e così liberasse lui. Perone, dal
carcere e da « lu dicto mestieri ». Tra le ragioni che egli adduce va per
raccomandare la propria istanza (sostenuta nel Concistoro stesso da due
autorevoli giureconsulti milanesi, Cristoforo e Franchino da Castiglione,
in considerazione ch'egli era un « nobil uomo et de nobili domo »), c'era
anche la nota del patriottismo : a Et ciò ve addomando (egli dice) per
« Tamor della patria, che so' italiano e so' de le terre del duca di Milano. »
Il Consiglio generale della Campana approvava la menzionata domanda,
presentatagli dalla Signorìa, nell'adunanza del 2 aprìle 14 17.
(i) Cioè «vantaggi», lucri.
(2) GG. al Pod. e al Referend. di Reggio. Archivio e Carteggio
cittadino.
(3) Archivio cit. : Dazi, gabelle e beni, Dazio delle bollette.
468 APPUNTI E NOTIZIE
,\ Un ginnasta milanese a Lione. — Non è del concorso ginna-
stico tenuto nel maggio scorso a Milano, bensì del ricordo di un ginnasta*
o clown milanese a Lione nel 1494 che rinfreschiamo la memoria, grazie
al seguente curioso documento che il Bulletin historique du diocèse de
Lyon (N. 15, maggio-giugno 1902), ristampa, togliendolo a sua voha^
dal libro di L. Paris, Les manuscriis de la bibliotèque du Louvre^ Pa^
ris, 1872. Peccato che nel documento non sia indicato il nome del a jou-
«reur de souplesse», ch'ebbe nel maggio 1494 a divertire la brigata del
duca d'Orléans :
« Louis Alexandre de Malabaylc, chevalier, scigneur de la Monta,
« conseiller et maistre d'hostel de mons. le due d'Orléans, ccrtifions à'
« tous [ceux] qu'il appartient, que Jacques Harault, conseiller et tréso-
(crier et receveur general des fìnances de mond. Seig.r, a paié, baillé
« contant, en ma présence, à un joueur de soupplesscs de Pambaxade de
« Milan, la some de quatre escus d'or, à la couronne, que le dit scigneur
« luy a donne pour avoir joué devant luy cejourd'huy en la ville de
« Lyon. — En tesmoing de ce, nous avons signé ces présentes de notre
u main le XXVIlLe jour de may Pan mil CCCC. IIIL XX. et quatorze:
« (Signé :) Alexandre Malabaye. »
/. Una lettera di Lodovico il Moro dal Tirolo {1499). — Il socio
dott. C. Dccio, delle ricerche di storia medica appassionato cultore, e
dal quale VArchtTio nostro si ripromette presto qualche contributo,
ci comunica un documentino sforzesco, perduto non si sa come fra le
numerosissime carte dell'Archivio dell'Ospedale Maggiore di Milano. E*
importante, trattandosi di una lettera di Lodovico il Moro, tra le pochis-
sime scritte da lui, dal Tirolo, poco tempo dopo la sua ritirata da Mi-
lano di fronte all'invasore francese ; curiosa, perchè pur conservando il
titolo suo di duca, mantiene le sue aspirazioni sulle terre del reame d'Ara-
gona e afferma la speranza di rientrar presto dal suo esilio nell'abban-
donato ducato.
« Dux Medìolani.
« Dilecte noster. Credemo havereti inteso quello che per la mala
« sorte nostra ce è occurso de la occupatione facta da francesi et vene»
« tiani del stato nostro de Milano et comò siamo venuti in Alamania ad
« La M.tà cesarea, la quale non porrìa essere più disposta né inanimata
« ad remetteme in casa et redintegrare del Stato et cose nostre : per modo
« che in breve sentireti effecti honorevoli et che vi piacerano. Et desi-
uderando noi conservare quello stato lì del Reame per nostro fiolo ce
« è parso avisarvi del tutto, et dirvi vogliati cum ogni diligentia et studio
« attendere alla administratione de la impresa nostra cum far bon animo
« alli homini et tenirli ben confortati in la devotione nostra comò ne con-
ci fidiamo fareti. Dat. Brixine (i), 18 octobris 1499. »
(i) Bressanone.
APPUNTI E NOTIZIE 469
a tergo :
Egregio Jureconsulto domino
Jacobo Castilioneo viceprindpi
Rossani nostro dilecto (Con sigillo).
.% Predicanti italiani in Valtellina e nei Grigioni. — La Val-
tellina e i Grìgioni — è notissimo — furono sicuro asilo, all'epoca della
riforma religiosa, ai partigiani suoi di lingua italiana, riparati numerosi
sn quel suolo e da preti e frati cattolici ch'erano, diventativi predicanti
rosi su quel suolo da preti e frati cattolici, trasformatisi in predicanti
evangelici. E nomi parecchi di essi, conosciuti nelle storie degli eretici,
pk ricordano gli autori nostri, come quelli di Giovanni Beccaria, di Fran-
cesco Beccaria, di Cesare GafFuri, di Giulio da Milano e di Pier Paolo
Vergerio.
Ma a parare la minacciata disunione tra i predicanti su diverse que-
stioni di fede, e più, ad opporre un forte argine alle aspirazioni troppo
radicali dei numerosi seguaci della nuova dottrina venuti dall'Italia
nei Grìgioni, il Sinodo evangelico rctico stabiliva, a mezzo del Gal-
lizio, una speciale confessione di fede, la confessio /Gaelica, che tutti i
sinodali dovevano riconoscere e colla loro firma sanzionare. Questa
l'origine (1555) ed il principio della matricola sinodale grigionesc, che
il parroco I. R. Truog, a vantaggio degli studi storici, ha testé resa pub-
blica per le stampe (i). E da quell'elenco vai la pena di cavarne e qui
riprodurre tutti i nomi dei predicanti italiani nei Grigioni dal 1555 in-
nanzi, fra i quali non pochi i Lombardi :
Hieronimus Mediolanensis.
Antonius Placentinus.
Joannes Antonius Cortesius brixiensis minister Seglii.
Bartholomeus ab ecclesia de Malenco.
Guido Veronensis 1558.
Augustinus a Crema, minister Berbeni.
Paulus Antegeranensis ( ?), minister Dubini. •
Georgius Stephanus Genuensis.
Augustinus Mainardus.
Sebastianus Tarrachia Casalen<tÌ8.
Hieronymus Ferhcus, Siculus, min'stei ecclesiae Castaseniae.
Hieronimus Zanchus.
Leonardo Bodetto Cremoneso.
Scipio Lentulus Ncapolitanus. Sutzii Cai. Ju. 1568.
Job. Ant. Gaza Mediolanensis.
Arminius Gugliotta Neapolitanus.
Job-. Petrus Parisottus Bergomas. Curìae, in nundinis Sancti Mar-
tini, 1552.
(i) Die Bùndner Pràùkanten 1555-1901 nach den Malrikelbùchern
ier òynodey in XXXI fahresbericht der histor.-antiquar, Gesellschaft
von Craubundeny Chur, 1902.
47^ APPUNTI E NOTIZIE
Laurcntius a Soncino.
Gabriel Averrarìus Gardonensis dictionis Brixia a . 1572 26 Maitii,
quum in Civitatem Curiam essem missus ab X.na ecclesia Mentis
Rovolcdi supra Sondrium.
Joannes Paulus Ferrarius Placentinus 1580.
Joantonio Gientilcschi marchejano (1581).
Thomas Casella (1581).
Octavianus Meyus Lucensis, Siliensis eccl. past. (1581).
Gerardus Tortus, Fussanensis, eccl. Dubinensis pastor (1584).
Albertus Marthinengus praegalliensis (1584).
Joannes Jacobus Mainerius a Janua.
Hercules Poggius, Bonnoniensis, philosophus et theologus (i586)«
Caesar ChafFonius Placentinus (1588).
Martinus Ponchierius Valturenus (1588).
Johannes Marra Neapolitanus (1590).
Marcus Eugenìus Bonacino Mcdiolancnsis (1595).
Josua Resta, Clavennensis (1595).
Joh. Bapt. Paravicinus, Vulturinensis Rhactus (1596).
Hippolitus Rubens ebbriarensis Italus (1596).
Lucas Donatus Politianus, status Florentinus (1596).
Nicolaus de Gal vis di Abbiate ducatus Mediolani (1598).
Helias Piscator.
Andreas Nierius.
Joh. Bapt. de Rattis, Romanus, eccl. Bondii minister (iS99)-
Laurentius Burbonius Montinus Placentinus, qui Romae sumsit in-
signia Doctoratus et in universitate Placentiae incorporatus fuit
(1599)-
Ferdinandus Carresius de Regno Neapolitano (1600).
Michael Terentius Neapolitanus (1602).
Sylvester Confortus, Genuensis (1603).
Marcus Ant. Alba a Santo Salvatore Montisf errati (1603).
Joh. Bapt. Calantirìnus (1604).
Simon Pellizarus, Pluriensis (1607) [Gancellato dopo].
Alexander Turrianus, Mediolanensis (161 1).
Bartholomaeus Marlianicus, Sondriensis (1616).
Annibal Naninus Bononìensis (161 7).
Plinius Paravicinus, Caspanensis (cancellato in seguito, ed appo-
stavi la nota : « Plinius ille apostasia.... obiit Mediolani monachi
toga indutus »).
Bartholomaeus Malacrida Volturenus (1648).
Andreas Gilardonius, Sondrio-Volturenus in numerum V. D. Mini-
strorum susceptus Majaevillae die 29 Mail a. 1692, subscrìpsi die
16 Junii a. 1693 Thusciae.
Franciscus Antonius Ma^'nonus a Grìante (1695).
Job. Petr. Malacrida, Trahonensis (1705).
Joh. Paulus Sylvani ex Insula Corsica (1714).
APPUNTI E NOTIZIE 471
J"^ Una grida sulla riforma del calendario. — E' abbastansa noto,
a chi si diletta di studi cronografici, il bando sulla riforma del calen-
dario giuliano emanato dal granduca di Toscana il 20 giugno 1582. Esso
fu pubblicato nello scorso secolo da L. Cantini nella sua grandiosa
opera sulla Legislasione Toscana (1). A riscontro di esso crediamo op-
portuno dare oggi il testo di altro bando sulla riforma stessa, divulgato
in Lombardia dal governo spagnuolo in data 2 ottobre di detto anno,
potendo servire per qualche utile raffronto. L'originale manoscritto del
bando stesso rinvenimmo nel nostro Archivio di Stato alla classe Gride^
busta 44 , ma non accompagnato dall'esemplare a stampa. Una copia
di quest'ultimo, oggi certamente assai raro, potemmo però esaminare
presso l'Archivio Civico di S. Carpoforo (2) ma non vi notammo che
poche e lievi varianti. La data è la stessa del 2 ottobre, ed in fine leg-
gesi : In Milano fer Leonardo Pontio Stampatore di Sua Eccellenna (3).
Si noterà che il bando venne divulgato piuttosto tardi, cioè quasi
alla vigilia della soppressione dei dieci giorni, ma si tenne conto pro-
babilmente della larga diffusione già data alla riforma stessa dalla
curia arcivescovile.
Ecco il testo della grida :
Declaratio et dccretum dierum decem (4).
MDLXXXII a II di Ottobre.
« Ha sua Santità per generale bcnefìtio della Christianità, partici-
upato però et consultato primieramente il tutto con la Maestà del Re
« Nostro Signore, ordinato un nuovo Calendario, col quale, con bavere
«sminuito al mese di Ottobre presente dieci giorni, ha restituito all'an-
«tico stato il vero Equinottio et ridotto il giorno di Pascha di Resur-
«rettione alla forma che già fu instituita dal sacro Concilio Niceno,
«come più particolarmente dall'istesso Calendario s'intenderà, et essendo
« espressa mente di Sua Maestà che il detto Calendario si pubblichi nelli
« suoi Stati et Regni et da ognuno sia osservato : desideroso l'Ili. mo
«et Ecc.mo Signore don Sancho de Guevarra et Padiglia, Castellani
«di Milano del Consiglio secreto di Sua Maestà, Governatore di que-
(1) Voi. X, pag. 208.
(2) Gentilmente indicataci dal dott. E. Verga.
(3) NulTaltro rinvenimmo relativo al calendario gregoriano, eccetto
le poche righe che seguono dirette al Governatore di Milano dal se-
natore Galeazzo Brugora Podestà di Cremona. «IlLmo et Ecc.mo Sig.re.
«Ho recevuto la lettera di V. Ecc. con la grida fatta sopra l'osserva-
«tione del novo calendario et correttionc dell'anno la quale ho fatto
«subito publìcare. Nostro Signore conservi l'Ili. ma persona di V. Ecc.
«alla quale bacio le mani. — Di Cremona il XVII di ottobre MDLXXXII.
«Di V. Sig. 111. ma et Ecc.ma Oblig.mo et affett.mo Serv.
<c G. Brugora. »
(4) Parole di diversa mano, ma sincrone, scritte nel margine supc-
riore della grida.
47» APPUNTI E NOTIZIE
«tito Stato et capitano (i) generale in Italia, del ben publico et di
CI levare le dificoltà le liti et danni che per la diminutione de detti dieci
« giorni potriano nascere et che ognuno sappia ciò che per questo par-
«ticolare s'havrà da osservare, ha deliberato, col parere ancora del Sc-
emato et del Consiglio secreto che si pubblichi il presente bando col
« quale Sua Eccellenza dichiara et ordina che tutti i termini di negotiii
« già incominciati così legali e iudiciali come statutarij dati dalle con-
« stituzioni del presente dominio overo dalla consuetudine, o prescritti
« o conventionali si debbano prorogare per altri dieci giorni, sì come
« V Eccellenza Sua con la presente li proroga. I quali dieci giorni di
i< proroga havranno da correre immediatamente finiti detti termini et
« che tutti i salarij et li stipendi] che mensualmente si pagano nel detto
« solo mese di ottobre siano da ognuno ridotti a ragione delle due parti
«ideile tre del detto mese et per rispetto delle gravezze che si pagano
« mensualmente alla Regia Camera si avvertirà che por lo detto mese
Il de Ottobre non si bavera da riscotere salvo che per due terzi d'un
fi mese. Et per essere li poveri rurali mal prattichi et che è facil cosa
i< a quelli, che riscotono, ingannarli si commanda alli detti che ha-
II vranno da riscotere suoi agenti, et ogni altro che haurà da intrauenire
Il a detta scossa che non ardiscano de riscotere ne ancora da chi darà
Il spontaneamente oltre detti due terzi sotto pena del quadruplo et ma-
il giore etiandio corporale alFarbitrìo de Sua Eccellenza, avisando che
Il si farà diligenza per trovare li contrafacienti et che trovati saranno
Il puniti irremissibilmente. Et che le ferie presenti che di consuetudine
Il durano sette settimane s'intendano finire il giorno della commemora-
li tione de* morti bora prossima, sì che il giorno immediatamente se-
iiguente habbiano a sedere et giusdicere tutti i tribunali et giusdi-
« centi (2). Et afiìne che questa mente di Sua Maestà, per mezzo del
Il presente decreto pubblicata, sia a tutti palese e manifesta commanda
Il Sua Eccellenza a ogni qualunque persona di questo stato all'autorìtà
<c sua soggetta che osservi et faccia osservare inviolabilmente tutto il
Il contenuto nel detto novo Calendario et nel presente decreto per con-
II venirsi così al publico e particolare servitio di ognuno. Ne sia chi
«I contravenga sotto le pene alVarbitrio di Sua Eccellenza riservate.
Don Sancho
De Gevarra y Padilla
(LuogoX
dei )
sigillo/
V[idi(] F1UODONU8 Raynoldus
MONTIUS.
Il Gridata die martis secundo octobris 1 582 sono tubarum prcmisso
«in broletto novo communis Mediolani et super platea arenghi Medio-
(i) Nella ^rida a stampa leggesi et suo capitano.
(2) Le ferie incominciavano il giorno 8 settembre e duravano fino
al 2 novcn^bre inclusivo. V. Cousiiiutiones dominii Mediolanensis, Me-
diolani, MDXLIIII.
APPUNTI E NOTIZIE 473
« lani per Joannem Ambrosium Bassinum publicum preconem dicti Com-
«munis prout retulit, etc. »
Sembrerà strano il non vedere precisati nella grida i giorni che
dovevansi sopprimere dal mese di Ottobre, ma tale particolarità, di
non lieve importanza per le scadenze dei contratti, trovavasi già nella
bolla Inter gravissimas di papa Gregorio XIII, del 24 febbraio stesso
anno (i), e certamente anche nel nuovo Calendario di cui si fa parola
nell'editto stesso. Che nella Lombardia venissero veramente soppressi
i giorni dal 5 al 14 e non altri ce lo provano i molti atti e lettere dell'ot-
tobre 1582 che conservansi nel nostro archivio di Stato (2), tanto scritti
a Milano che in altre città e paesi lombardi, fra i quali non un solo
trovasi datato nei detti giorni.
Nello stesso anno, come è noto, veniva accolta la riforma grego-
riana nel resto d' Italia, in Francia, Spagna, Portogallo, Lorena, Da-
nimarca, Polonia e parte dei Paesi Bassi. Gli altri stati d' Europa l'ac-
cettarono più tardi tranne Russia, Serbia e Grecia che usano ancora il
calendario Giuliano (3).
A. Cappelli.
/, Un parente di Pietro Micca nella Val d'Ossola. — La R. De-
putazione di storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia ha
deliberato di commemorare il 2.® centenario della liberazione di Torino
nel 1706 con una pubblicazione storica, affidandone al barone Antonio
Manno la direzione ed ordinamento, pubblicazione che non sarà ristretta
ai soli fatti dell'assedio, ma ne comprenderà le cagioni e le conseguenze,
abbracciando quel periodo della guerra di successione che va dal 1703
(i) Fu diffusa in tutta la Lombardia dall'Arcivescovo S. Carlo Bor-
romeo, per ordine avuto nel giugno dell'anno medesimo dal Cardinale
Segretario di Stato. — V. anche SCHMID, in Historische jahrhuch^ V,
P- 75"7^» 6 Paoli, Programma ài Diplomatica^ Firenze, 1899, P- '^7*
— A proposito dei giorni da sopprimere nel mese di Ottobre, detta bolla,
edita nel Bullarium romanum, Lugduni, 1655, T. II, p. 455, si esprime
in questi termini : a Prsecipimus et mandamus ut de mense octobri anni
« 1582 decem dies inclusive a tertia Nonarum usque ad pridie idus exi-
«mantur, et dies qui festum S. F ranci sci IV Nonas celebrari solitum
«sequitur, dicatur Idus Octobris...»
(2) Specialmente in Carteggio generale ed alla classe Comuni.
(3) In uno studio del Sac. Ant. Maria De Lorenzo, / Calabresi e
la correzione del calendario, edito nel periodico Gli studi in Italia,
anno II, voi. I, fase. II, Roma, 1879, leggesi al $ VI che la Russia
apriva finalmente^ in quell'anno, le forte delFinifero alla correzione
gregoriana. Ma trattavasi forse di un progetto che poi non ebbe attua-
zione. Nel 1899 annunziavasi pure nel fase, di settembre del Bulletin de
la Società astronomique de Frane e, diretto dal Flammarion, che Pado-
lione del calendario gregoriano era stata decisa allora dal governo russo
e doveva attuarsi il i.*» gennaio 1901. Ma pare che la commissione in-
caricata di regolare le modalità dell'attuazione della riforma non abbia
ancora oggi terminati i suoi lavori. V. anche : I^ riforma del calen-
dario russo, in Corriere della Sera del 6 ott. i8qq.
Arch Star. Lomb., Anno XXTX, Fase. XXXÌV. 31
474 APPUNTI E NOTIZIE
al 1707. L'opera sarà divisa in due serie, Puna documentata e l'altra mi-
scellanea. Nella seconda serie troveranno posto la bibliografia e l'ico-
nografìa.
Un documentino che tocca indirettamente all'eroe di Andomo è con-
servato in un rogito del notaio ossolano Pier Francesco Ceruti, nelP^r-
chivio Notarile di Pallanza (n. 79, cartella 569), dove non ci vien mai
meno nelle nostre ricerche la premurosa cortesia dell'archivista avv. Ce-
sare Oliva. Trattasi delle convenzioni stipulate ai 29 dicembre 1738 tra
« dominus Petrus Franciscus de Micca fil. quondam d. Johannis, loci
a Netri, jurisdictionis Bugellensis status Pedemontani, etiam nomine so-
« ciorum » e Carlo Antonio Fuzio, di Val Vigezzo per la locazione del
maglio di ferro a C re vola, presso Domodossola, presso il ponte dov'eb-
bero a toccare nel 1487 la nota sconfitta gli Svizzeri. Le pubblicazioni
fin qui uscite intomo alla famiglia Micca (i), non ci concedono di pre-
cisare qual vincolo di parentela corresse tra il nostro Pietro Francesco
ed il suo omonimo. Tutto importa però a credere che si tratti di un pa-
rente vicino, tenuto calcolo della industria mineraria pur da questi eser-
citata e fuor dei confini più stretti della sua valle (2). Netro poi è vicino
a Sagliano patria di Pietro Micca. E. M.
^\ La R. Defutagione di Storia patria fer le antiche 'Provincie e la
Lombardia tenne in Torino ai 16 giugno p. p. la sua annuale adunanza.
A Vice-Presidente della Sezione Lombarda, in surrogazione del defunto
Vignati, venne eletto il prof. F, Movati. E riuscirono a nuovi Soci effettivi
il prof. G. Calligaris in Milano e il prof. Majocchi in Pavia. A socio corri-
spondente il dott. Ettore Verga, Nelle pubblicazioni storiche in prepara-
zione per i Monumenta troverà posto la Nunziatura in Germania di moff
signor Biglia, a cura del socio corr. sac. dott. A. Ratti.
.•. Congresso Internazionale di Scienze stcxuche. — Quanti hanno-
aderito a questo Congresso ricevettero, or fanno alcuni giorni, la circolare
seguente che stimiamo opportuno riprodurre a complemento delle no-
tizie già date in proposito :
Roma, 18 giugno igo2,
<{ Come V. S. conosce, il Congresso storico intemazionale ch'era stata
« indetto in questa città nello scorso aprile, per un complesso di circo-
li stanze, dovette essere rinviato.
Il Per l'importanza ch'esso era venuto assumendo, il Comitato erga-
li nizzatore volle rimettere a noi i propri poteri e le ulteriori risoluzioni.
Il Stabiliamo quindi, in via definitiva, che il Congresso abbia luogo in.
Il Roma nel prossimo aprile 1903.
(i) Ad es. quelle del Manno : Relazione e documenti suir assedio di
Torino nel lyoó e Pietro Micca ed il generale conte Solaro della Marga-
rita in Miscellanea di Stor, ItaL, XVII, 539 e XXI, 313.
(2) Per ferriere esercite nell'Ossola dal 1462 al 1498 cfr. Bianchetti,
//Ossola inferiore, IT, 452 scg. ; Boll. stor. Stì^s. /tal., 1883, p. 118.
/
APPUNTI E NOTIZIE 475
«Riservandoci di comunicare entro breve termine i provvedimenti ne-
« cessali per la continuazione de* lavori preparatori, invitiamo frattanto
a gli iscritti e aderenti a volerci prestare tutta la loro cooperazione, nella
«fiducia che ciascuno col personale intervento vorrà crescere solennità
«al prossimo geniale convegno de' dotti di ogni nazione, sì che ne de-
« rivi il maggior numero di fecondi risultati.
«Gradisca frattanto la S. V. gli atti della nostra maggiore osser-
« vanza. »
// ministro delia pubblica istruzione II sindaco di Roma
N. Nasi. P. Colonna.
N. B. — Indirizzo provvisorio della corrispondenza del Congresso :
Roma : via dei Greci, i8,
\ ,\ Il Castello di Milano e i suoi Musei d'Arte : è questo il ti-
tolo dWa raccolta di sessanta tavole eliotipiche, data testé alla luce
per opera dello stabilimento Montabone, sotto la direzione intelligente
di quell'egregio cultore dell'arte fotografica, che è insieme un amatore
appassionato e un valente studioso di cose di storia e d'erudizione, il
consocio nostro Carlo Fumagalli. — Innamorato del Castello dì Mi-
lano, il Fumagalli ha voluto elevare un monumento veramente degno
d'encomio all'oggetto del suo culto, con questa bellissima collezione,
che riunisce in sé il più bel fiore di quanti insigni cimeli artistici ed
architettonici rinchiude oggi la reggia, dove trionfò Lodovico il Moro
e meditò pensieroso Leonardo. Alle tavole I-IX, le quali oflFrono magni-
fiche riproduzioni del Castello stesso, or veduto dall'uno ora dall'altro
lato, del Torrione rotondo dell'Est, della Torre di Bona, della Roc-
chetta, del Cortile di essa, della Corte ducale, altre dieci (X-XX)
ne seguono, che ci presentano i più preziosi monumenti medievali o
quattrocentini oggi ospitati nelle stanze del palazzo ducale, come a dire
i bassorilievi di Porta Romana, il tabemacoletto di S. Antonio, il cenotafio
di Bernabò Visconti, la tomba della consorte sua, la Porta del Banco Medi-
ceo, opera leggiadra di Michelozzo. Poi (XXI-XXXVl) troviamo riprodotte
le sale a terreno della Corte ducale, quella delle Asse, testé ritornata a
vita dal pennello dell'egr. pittore E. Rusca, quella degli Scarlioni, la
Cappella; quindi i capi d'arte più notevoli ch'esse accolgono, dalla
mirabile statua giacente di Gastone di Foix alla figura marmorea così
estatica nella preghiera, che ornò altra volta una guglia del Duomo.
Seguono ancora altri oggetti pregevoli : il calice sforzesco del sec. XV,
lo stendardo di S. Ambrogio, la testa in bronzo di Michelangelo.
Saliamo poscia (XXXVII-LII) colla nostra guida cortese e dotta
al piano superiore, ed ecco afiFacciarcisi la pinacoteca civica coi suoi
tesori : il S. Gerolamo del Bergognone, gli affreschi del Foppa, la
Maddalena del Giampietrino, i Devoti oranti del Beltraffio; e, fuori
della scuola milanese, quegli impareggiabili dipinti che sono il ritratto
del foeta d'Antonello da Messina, la Vergine del Correggio, V Enri-
APPUNTI E NOTIZIE 477
E* a notarsi che tra i libri della collezione Luppi (Vendite Sambon,
febbraio 1900, Catalogo n. 192, a. XXIV) figurava un prezioso volume
contenente le genealogie di 19 famiglie (tra di esse Acerbi, d'Adda, Ben-
zeni), in fogli stampati nella carta e formato eguali all'opera del Litta,
ma inediti. Preparati, sembra, dal co. Litta per la compilazione della
genealogia di esse famiglie, essi non furono mai pubblicati, né posti in
commercio. Questo volume era corredato di tavole illustrative di monu-
menti, ritratti, monete, ecc. L'esemplare Luppi trovasi ora, per acquisto
fattone, nella Biblioteca Cantonale di Lugano.
.% Concorsi a premi. — Fra i nuovi concorsi banditi dall'Istituto
lombardo notiamo : Fondazione Ciani, premio di L. 1500 al miglior libro
di lettura per il fofolo italiano ài genere storico^ pubblicato dal i. gen-
naio 1895 ^1 3' dicembre 1903. — Fondazione Tommasoni, premio di
L. 6000 per la migliore Storia iella vita e delle ofere di L. da Vinci;
scadenza 31 dicembre 1905. Per il premio Tommasoni ebbero alla chiu-
sura del precedente concorso un assegno d'incoraggiamento di L. 1000
per ciascimo i tre concorrenti prof. G. B. de Toni, Edmondo Solmi e
dott. Nino Smiraglia Scognamiglio.
/, L'Accademia della Crusca, quale amministratrice dell'Ente morale
Luigi Maria Rezzi, apre un concorso per tutti gì' Italiani su un'opera in
prosa, 0 letteraria, o storica^ o filosofica, col premio di L. 5000.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 479
zioni circa lo stato miserevolissimo al quale sarebbe stata ridotta la
città di Milano dopo la feroce invasione di Uraja nel 538. Un'altra epi-
grafe, che si conserva a Beolco, gli dà materia di commenti ad un cu-
rioso episodio della storia di Paolo Diacono. L'interessante comunicazione
alla sua fine viene salutata da vivissimi applausi.
11 Segretario presenta in seguito il Bilancio consuntivo dell'a. 1901
che viene demandato ali' esame e rapporto dei Revisori, confermati
nelle persone dei sigg. nob. avv. G. Maggi, nob. dott. G. Luini e
dott. A. Garovaglio.
Da ultimo l'Assemblea passa all'ammissione a nuovi soci dei signori
Besozzi Visconti nob. cav. Francesco, F. Sottoprefetto di Fiorenzuola
d'Arda, Arturo Frova, Giovanelli cav. Enrico, Segretario Capo del
R. Economato Benefici Vacanti in Lombardia, lacobovits Rodolfo Remy,
Serralunga-Langhi nob. avv. G. M., Sessa Rodolfo, Silvestri cav. Emilio,
tutti in Milano.
La seduta si chiude alle ore sedici.
// Presidente:
F. N OVATI.
// Segretario
E. Motta.
Adunanza generale del giorno 8 giugno igo2.
Presidenza del Presidente prof. F. Novati.
Aperta la seduta alle ore quattordici colla lettura ed approvazione
del verbale della precedente adunanza, il Presidente commemora i soci
perduti, il generale Egidio Oslo, il conte Giovanni Giovio e il prof. En-
nco Savio, e dà conto dei lavori scientifici di cui la Società si occupa:
Come sempre avviene, darà inizio alle nostre parole un memore
e mesto saluto ai compagni che ci hanno abbandonato. Sono tre questa
vo ta, e tutti meritevoli di largo compianto per le virtìi loro e la vita
nobilmente impiegata.
generale conte Egidio Osio moriva il 27 dello scorso marzo,
otto immaturamente al sepolcro da atroce malattia che la scienza
non ha finora saputo domare. Com'Egli, entrato a far parte in tempi
J ancora, deiJe nazionali milizie, vi avesse raggiunto elevatissimo
6 t Voi tutti sapete, e fu del resto rammentato già r\e.\V Archivio con
copia d esatti ragguagli. E ricordata pure vi fu la sua eletta cultura» il
• ^ ^^ntenne vivo sempre per le classiche letture, la predile-
S I studi storici e le indagini genealogiche, di cui diede saggio
480 ATTI DELLA SOaETÀ STORICA LOMBARDA
nella storia della Famiglia Osio, lavoro pregevole per larga esplora-
zione di docurnenii ed inspiralo non già a vacua boria nobiliare, bensì
a quel lodevole sentimento che fa ricercar conforto e ammaestramento
negli esempì de' maggiori.
Il 5 aprile è sparita pure un' altra interessante individualità citta-
dina, il conte Giovanni Giovio, discendente dall'illustre famiglia comasca
tanto nota ne' fasti letterari ilatìani. Il Giovio era oramai il rappresen-
tante unico quasi di una generazione scomparsa, avendo raggiunto
l'anno ottantaqualtresimo di sua vita, ed in questo lungo spazio di
tempo molte e varie vicissitudini eran state le sue. Deputato di Como,
egli ebbe parte nelle politiche faccende e godette l'amicizia de' più in-
signi uomini di Stato; benvoluto dal compianto sovrano nostro Um-
berto I, vide davvicino le Corti. Amava molto gli studi storici, di cui
seguiva con attenzione il sempre maggior incremento, e della benevo-
lenza sua verso la Società storica volle dar prova pochi di prima ai
spegnersi inviando in dono alla nostra biblioteca l'cpers del Magenta
sul castello di Pavia sontuosamente rilegata.
Infine, pur sempre nel mese d'aprile a d) ao, spirava il dottor En-
rico Savio, professore nella R. Accademia scientifico letteraria, dove
copriva la cattedra di geografia dal 1875, dopo avere per alquanti
anni (dal 1871 al '74) tenuta quella di storia moderna. Il nome del Savio
è stato ed è in Milano notissimo, giacché pochi insegnanti ebbero car-
riera cosi lunga al pari di lui che, entrato ai primi del 1860 nel Liceo
Parint in età di trent'un anni (era nato il 09 settembre del 1839) vi
professò storia per sette lustri. Ben si può dire pertanto che grande
parte della gioventù milanese abbia udito la sua parola, non facile ni
elegante, ma improntata sempre ad un vivo calore d'entusiasmo. Del
Savio difatti questa fu dote precipua: l'amore intenso, inesauribile che
nudrl sempre per l'insegnamento. Anche negli ultimi tempi, quando più
il morbo lo struggeva, noi lo abbiamo veduto trascinarsi faticosamente
all'Accademia per fare lezione; il riposo lo sbigottiva. Quel suo ardore
fu in alto grado comunicativo, ed egli accese quindi in molti e molti
intelletti la fiamma che l'animava. Della sua dottrina, che fu grande e
svariata, delle studiose vigilie che furono lunghe ed aspre, non rimane
disgraziatamente alcun vestigio, perchè il Savio trovò sempre nella sua
modestia dapprima, quindi nella disabitudine fatta natura un insupera-
bile ostacolo a manifestar altrui colla penna i propri concetti; e nulla
quindi ha lasciato alla stampa che dia indizio sicuro del suo valore. Ma
la memoria di lui vivrà a lungo affidata alla stima ed alla riconoscenza
di chi lo ebbe collega e maestro; e noi non possiamo quindi che far
plauso al pensiero gentile che mosse professori ed alunni di quel Liceo
Parinj, dov'cgli passò gli anni migliori, a ricordar con un modesto mo-
numento il nome d'un insegnante che si può chiamar davvero esemplare.
Compiuta cosi la funebre rassegna e inviata l'espressione del nostro
sincero rammarico per la domestica sventura che l'ha pur ora colpito
e lo tiene oggi lontano da uoi, all'egregio e venerato collega l'avvocato
ATTI DELLA SOOCTÀ STORICA LOMBARDA 481
Emilio Selettiy veniamo adesso a dire qualche cosa delle faccende nostre
e de' nostri lavori. Ed innanzi tutto annunziamo con soddisfazione
schietta che S. £. il Ministro della Pubblica Istruzione, accordatosi col
sindaco di Roma, ha deliberato che il Congresso storico internazionale^
il quale doveva aver luogo nello scorso mese d'aprile, ed era stato con
improvvisa deliberazione rinviato a data indeterminata, si effettuerà in-
vece immancabilmente o nel prossimo autunno o, come sarebbe assai
più desiderabile, nella primavera dell'anno venturo (i). Come dicevamo^
c'è da rallegrarsi vivamente che Ton. Ministro abbia con un atto di
encomiabile energia rotti gli indugi e sgombrato ogni dubbio sulle sorti
future del Congresso. La sospensione inattesa di questo convegno così
largamente annunziato, aveva eccitato assai malumori e proteste non
in Italia soltanto ma altresì ne' paesi stranieri. Pur troppo non era
mancato chi, partito da lontana regione, nella certezza di prender parte
al Congresso, trovasse un po' singolare una sospensione deliberata pro-
prio quando non si faceva più a tempo ad avvenirne tutti gii interessati.
Ma sopra ogni cosa cuoceva a quanti tra noi erano stati fin da
principio chiamati all'ufficio di cooperatori ed aveano preso parte ai
lavori preparatori ed incorati con molto calore e ripetute insistenze
amici e colleghi, italiani e stranieri, prossimi e lontani, a rendere colla
presenza loro più solenne codesta festa scientifica, la triste impressione
che l'abbandono inesplicabile d'un' intrapresa cosi bene avviata susci-
tava dovunque. Or che le nebbie si son diradate ed il sole torna a ri-
splendere, farà d'uopo che ciascuno si riponga con raddoppiato vigore
al lavoro, affinchè l'impresa donde deve senza fallo scaturire non poco
onore all'Italia intellettuale e studiosa abbia degna fine e felice successo.
Come ben si capisce l'interruzione inattesa ha perturbato non poco
que' disegni che la Presidenza vi aveva altra volta sottoposto e di cui
Voi approvaste volonterosi l'esecuzione. Così la stampa della Miscel-
lanea^ che s'era pensato di metter insieme per offerirla al Congresso^
rimase sospesa; né forse riuscirà possibile riporvi mano adesso, giacché
in questo frattempo parecchi dei pregevoli lavori che dovevano con-
correre a formarla, restituiti ai cortesi Autori, sono stati da essi uti-
lizzati in altra guisa e già dati alle stampe. Ci limiteremo dunque a
presentare al Congresso, in omaggio al voto ch'era stato espresso dal
Comitato direttivo della sezione Vili, un indice sommario dei volumi
XXl-XXVII deìV Archivio nostro; e lo presenteremo manoscritto, giacché
esso non intende essere che un saggio di quello assai più completo e
generale, del quale si inizierà la pubblicazione non appena col voi. XXX
àtìVArcAivio si chiuderà, spirato il decennio 1894-1903, la terza serie
di esso.
Ma se per questa parte non daremo, malgrado le nostre buone
intenzioni, segno di molta attività al futuro Congresso, in compenso
notizie
i) Una recentissima circolare, di cui daremo conto negli Appunti e
te, ci accerta ora che s'è definitivamente prescelta quest ultima data.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOBIBARDA 483
di Stato il dott. Bonelli ultimava l'esplorazione riuscita poco fruttuosa
di parecchi fondi de' quali era indispensabile sbarazzarsi, all'Archivio di
Torino il chiarissimo dott. Mario Zucchi, cedendo ai nostri inviti per
cortese intromissione del conte C. Cipolla e del prof. Calligaris, nostri
benemeriti soci, continuava lo spoglio già iniziato dal Calligaris stesso
ed, esaminati i Protocolli Ducali tanto dell'Archivio di Corte quanto della
serie Camerale, finiva collo studio del Fondo Monferrato e delle Rela-
zioni politiche con testerò le sue laboriose e profìcue investigazioni*
D'altro canto a Mantova ci avveniva finalmente d'abbatterci ad un col-
laboratore prezioso nella persona del chiarissimo dott. prof. Raffaello
Putelli, il quale, mosso da vivo interesse per gli studi storici, ha spon-
taneamente assunto la fatica, immane veramente, di analizzare in servizio
nostro tutte le filze di cui già la cortesia del cav. Davari ci aveva for-
nito succinti ragguagli. Il prof. Putelli ha già condotto a termine lo
spoglio dei copialettere Gonzaga segnati coi numeri i e 2, traendone
un centinaio di schede, ed ora sta attendendo a spogliare il 3, che darà
altrettanto. Oltre a questi libri che conservano documenti di primaria
importanza per noi, egli ha altresì esaminate diverse rubriche dello
stesso Archivio^ e s'è formato il convincimento che il celebre deposito
delle carte mantovane arrecherà al Regesto il contributo di circa
1500 schede.
Al valoroso collaboratore vada dunque una parola di schietto rin-
graziamento.
Aveva la Commissione che al Regesto invigila fatta sin dallo scorso
inverno domanda al Ministero dell'Interno perchè fossero mandate in
prestito presso il R. Archivio nostro di Stato quelle filze dell'Archivio
^i I^eggio, che constano tutte di documenti emanati dalla cancelleria
Viscontea nel tempo in cui la città emiliana fu governata dal Biscione.
Sperava così la Commissione di poter eseguir con sollecitudine quel
lavoro indispensabile di spoglio che il prof. Comani aveva assunto e
poi per circostanze imprevedute non esegui. La domanda era stata
esaudita, e già s'attendevano le carte desiderate, quando ostacoli im-
pensati le arrestarono in cammino. La Presidenza venuta a cognizione
di ciò ha or tentato di eliminare codesti ostacoli, e sarebbe lieta di riu-
scirvi, giacché tornerebbe impresa molt'ardua ottener in altra maniera
uno spoglio fatto a dovere di questi interessanti materiali.
Così sono stati rapidamente accennati tutti i nostri lavori in corso.
E la Presidenza si affaticherà più vivamente a promuoverli ove sia,
come sempre, allietata e sorretta dal vostro autorevole conforto. »
Terminato il suo discorso, il Presidente riprende la parola per an-
nunziare come da varie parti sia giunta notizia che s* intende abbattere
la chiesa di San Raffaelle, e ricostruirla altrove con evidente dispregio
delle storiche memorie che quel tempio conserva. Egli chiede quindi
all'Assemblea d'esprimere sopra siffatto argomento il suo avviso e di-
chiara aperta in proposito la discussione.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 485
La diminuzione di patrimonio sarebbe stata anche maggiore, perchè
la spesa preveduta in L. 6400 è stata invece di L. 9226,41 (superiore
della preveduta per L. 2826,41), se per la differenza non avessero sop-
perito e sopravanzato maggiori entrate sulle previste, adoperandosi
tre semestri dell' assegno governativo invece di due , e prelevandosi
L 536 sulla donazione Lattes. Ma, come abbiamo già detto, la erogazione
in più sul preventivo è giustificata.
La stampa deìV Archivio, prevista in L. 2800, ha invece importato
L. 3674^ con una maggiore spesa di L. 874,50.
11 volume della Biblioteca Storica invece di L. 600 costò L. 1208,
e cioè il doppio.
Al Municipio di Milano si pagarono L. 1000 per l'aggregazione di
una nuova sala del Castello Sforzesco alla sede sociale, aumento dive-
nuto indispensabile e ottenuto con una spesa veramente minima.
E pel Repertorio Visconteo si pagarono L. 536, detraendole natu-
ralmente dalla rimanenza attiva dell'anno precedente.
Le quattro maggiori e straordinarie spese dì cui sopra importarono
in totale L. 3018,50.
Le accresciute spese di pubblicazione écW Archivio non segnarono
un aumento corrispondente, per quanto spetta al compenso pagato agli
autori.
Di ciò va data sempre maggior lode ai medesimi, che si acconten-
tano di una indennità tanto modica in confronto al merito dei loro lavori.
La commissione dei revisori nel mentre ringrazia gli Onorevoli
Coileghi della fiducia a lei dimostrata. coU'affidarle l' incarico di rivedere
il consuntivo del 1901, crede si possano pienamente approvare le mag-
giori spese occorse, di circa L. 3000, a vantaggio esclusivo della Società,
della sua sede, e del suo credito per aumento di pubblicazioni; e pro-
pone che piaccia all'assemblea generale di approvare il bilancio con-
suntivo 1901, con un voto di plauso al benemerito nostro Consiglio
direttivo.
Avv. Giovanni Maggi
Dott. Giuseppe Luini
Dott. Alfonso Garovaguo.
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Zdtschrift der historisch. Gesellschaft fOr die Provinz Posen, XVI Jahrg*
— Posen, 1901 (d. d. s. Motta).
35 giMgno igo9.
Il Bibliotecario
B. Sanvisentl
Arck. Star. Umb., Anno XXIX, Fmc. XXXIV.
32
• I
IPTDIOl^
MEMORIE.
Achille Ratti. Il probabile itinerarìo della fuga di Ariberto
arcivescovo di Milano, da un suo autografo iniedito. (Con
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Giacinto Romano. Tornandoci sopra (A proposito di alcuni re-
centi studi sul matrimonio di Valentina Visconti col duca
di Touraine) » 99
Antonio Battistella. Notizie sparse sul Sant'Officio in Lom-
bardia duranti i secoli VI e VII » lai
Fedele Savio. Una lista di vescovi italiani presso S. Atanasio. » 333
Rodolfo Maiocchl Milanesi prigionieri di guerra in Pavia
nel 1247 n 249
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Francesco Tarduco. Gianfrancesco Gonzaga signore di Man-
tova (1407-1420). Studi e ricerche » 310
Carlo Salvioni. Nomi locali lombardi n 361
VARIETÀ.
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SoLONE Ambrosoll Una moneta milanese anonima dei succes-
sori di Giovanni Visconti. (Con illustrazioni) . . « 14^
Diego Sant'Ambrogio. Una lettera inedita di S. Carlo a pro-
posito della Cappella della Concezione di S. Francesco . « 146
Eiouo Motta. Carnevale in Milano nel 1590 .... « 149
INPICE 491
Emanuele Greppi. Un tragico eminente discusso e giudicato
nella corrispondenza privata di due illustri lombardi . Pag. 165
Agostino Zanelll I porci di Sant'Antonio in Brescia . . n 377
Ettore Verga. Una condanna a morte contro Carlo Visconti
figlio di Bernabò » 387
F. K CoMANi. Mastino Visconti » 395
Feucs Fossatl Per l'ingresso di Cristiema Sforza in Vigevano. » 400
BIBLIOGRAFIA.
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menti intomo all'eresia, in Milano Pag^ 169
F. N. — A, Colombo, L'alloggio del Podestà di Vigevano e il
palazzo del Comune nel secolo XV » 173
Ettore Verga. — B, Feliciangeli. Sull'acquisto di Pesaro fatto
da Cesare Borgia. — Il matrimonio di Lucrezia Borgia
con Giovanni Sforza signore di Pesaro .... » ivi
F. N. — A, Mazzi, Sulla biografia di G. Michele Alberto Carrara » 175
F. N. — Gaetano Capasso, Il Collegio dei Nobili di Parma . f 176
F. N. — E, Motta. Alcune lettere d' illustri Italiane tratte dagli
autografi in Trìvulziana n 181
F. N. — F, Sforza, Il Manzoni giornalista .... » 182
G. Calvi. — Nino Smiraglia Scognamiglio, Ricerche e docu-
menti sulla giovinezza di Leonardo da Vinci (1452-1482).
— G, B, De Toni. Frammenti Vinciani .... » 183
Bw Nogara. — E. Seletti. Marmi scrìtti del Museo Archeolo-
gico di Milano » 413
Arturo Magnoca vallo. — Reinhold Róhricht, Deutsche Pilger-
reisen nach dem Heili^en Lande. — Geschichte dee Ersten
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ed edifici ad esso adiacenti. — L'antica demolita basìlica di
S. Alessandro in Bergamo v 419
F. M. — Luca Beltrami, Leonardo da Vinci e la sala delle
« Asse 9 nel Castello di Milane » 420
Francesco Malaguzzi. — Cesare Faccio. Giovanni Antonio
Bazzi (Il Sodoma) pittore vercellese del secolo XVI » 422
Forschungen zur Gescht-
Pag- 4a8
irda (dicembre 1901-giu-
-190-43»
NOTIZIE.
le. — Lexicon abbrevìalu-
'iscrizione d'Alba (F. N.)-
lano nel secolo decimo-
campane milanese del
ata a Naiivilalt (Ettore
[l'arte dei Fustagnari a
logio a sveglia nel se-
indazione dell'Oratorio
Gio). — L'Alciato a Fer-
ese. — Necrologio: Gè-
Pag. ai6
— Che cosa sono i pa-
to di storia vigevanasca
tm). — Una riforma del
azzo Visconti (F. E. Co-
;se. — Un ginnasta mi-
Lodovico il Moro dal
.ni in ValteUina e nei
1 del calendario (A. Cap-
Micca nella Val d'Os-
izionale di Scienze sto-
suoi Musei d'Arte. —
del Ghilini. — Famiglie
orsi a premi . . ■ 461
TORICA LOMBARDA,
braio e 8 giugno tpoa:
«w- 478
«a della società nel I e
rente-responsab %U .
' Cono P. RoilKDi. 17.
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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO
I
ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
SERIE TERZA
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ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
SERIE TERZA
VOLUME XVIII — ANNO XXIX
MILANO
SEDE
DELLA SOCIETÀ
Castello Sforzesco
LIBRERIA
FRATELLI BOCCA
Corso Vitt. Em., 21
1902.
La proprietà letteraria è riservata agli Autori dei singoli scritti
Milano - Tip. L. F. Cogliati - Corso P. Romana. 17.
PER UNA NUOVA EDIZIONE
DEL
** liber de gestis in ci vi tate Mediolani ,,
DI
Fra STEFANARDO DA VIMERCATE
VENDO ricevuto l'onorevole incarico di preparare una
nuova edizione del poema di f ra*Stef anardo per quella
coraggiosa ristampa dei Rerum Italicarum Scriptores
intrapresa dal Lapi di Città di Castello ; a cui permette di bene
augurare la direzione di G. Carducci e V. Fiorini, credo oppor-
tuno pubblicare alcune considerazioni che ho avuto agio di fare
nei miei studi preparatori, invocando le osservazioni, le corre-
zioni, le aggiunte di qucinti vorranno portar nuova luce in queste
ricerche. Non ebbi mai altro scopo che quello di trovar il vero,
e ringrazierò di cuore chiunque mi darà il mezzo di fare im passo
oltre a quel limite a cui solo mi permisero di giungere le mie forze.
I. Osservazioni sulle edizioni muratoriane del poema.
Il poema del frate domenicano fu, per la prima volta, pub-
blicato nel 17 13 da L. A. Muratori nel to. Ili dei suoi Anecdota (i).
Riguardo al codice ambrosiano da cui lo aveva ricavato, il Mu-
ratori, nella sua prefsizione, non ci dice altro se non questo : «eius
cHistoriam (di Stefanardo), quam ex Cod. ms. Bibliothecae am-
(1) Anecdota, quae ex Ambrosianae bibliothecae codicìbus nano primum
eruit Ludovicus Antonius Muratorìus Sereniss. Rainaldi I Mutinae, etc.
Ducis Bibliothecarius to. III. Patavii, typis Seminarii, M.DCC.XIII.
iris public! facio, non
m in calce mutilam * ;
em..,. qui res sub oculis
;, quam Stephanardus
e (erant in ms. codice
s u s, quas retinuia. Le
unque scorra l'edizione
oi qui pubblicate sono
el libro primo.
, del codice, che valga
lè ci dice chi sia stato
vi per l'edizione.
Muratori ripresentava
egli dice chiaramente,
correzione di date, la
ima per gli Anecdota,
Historìam» di Stefa-
anae Lit S. num. 35,
I. erano « lacunae quae-
1 fa più parola delle
'ate nel codice apposte
;tto all'edizione prece-
>go che tnotulas.... in
no3Ìs quibusdam locis
ratiot nova haec editio
conferretur cum ma.to
cum in ordioem redi-
othecae Aaibrosianae.
i Praefectus collocavit
aiuto di questo nuovo
Argelato nostro, plura
1 cioè supplito a molte
iù, ciò che il Muratori
> divisi in capitoli, se-
,n margine, appone, ad
egli A. invece il Mu-
to va edizione del poema,
ùo del Muratori.
DEL LIBER DE OESTiS IN ClVlTATE MEDIOLANI ^
ratori aveva sol distinti i due libri, e nel primo di essi, ad una
specie di prefazione che comprende i vv. 1-34, aveva fatto se-
guire un $ I coi w. 35-66 dopo cui s'apriva un $ II che non pre-
sentava più limiti precisi, mancando in seguito ogni determina-
zione di paragrafi. Nel modo stesso che il Muratori trovava note
marginali nel suo codice solo per i primi 66 versi, così anche
solo per questi rilevava le divisioni in paragrafi.
In generale però l'edizione del 1726 è, nel testo, proprio la
riproduzione di quella del 171 3, colle stesse lacune e colle stesse
scorrezioni : i miglioramenti che furono ricavati dal ms. Ambro-
siano, cosi è sempre chiamato O. 161, mentre con Codex o Codex
ms. si allude solo a S. 35, si fermarono solo nelle note. A pie del
testo nel v. IX del R. I. SS. troviamo due sorta di note. Abbiamo
note cioè die diremo critiche (distinte, in genere, con lettere del-
l'alfabeto o asterischi) nelle quali si colmano le lacune del testo,
o si correggono errori che questo presenta, con lezioni ricavate da
O. 161 : note, in una parola, che ci presentano la collazione di
O. 161 col testo del 1713 qui riprodotto.
Accanto alle note critiche ne abbiamo delle storiche (con-
traddistinte in generale da numeri arabici), dovute all'editore il
quale usufruì pure, incorporandole nelle sue, quelle antiche anno-
tazioni che aveva pubblicate negli A e che già aveva dette rica-
vate dal margine del Codex. Ma le annotazioni numerose le quali
gremiscono i margini del tms. ambrosiano! (cioè di O. 161) non
furono punto comunicate al Muratori, salvo forse rarissime ecce-
zioni, e per note che hanno aspetto di glossa (i).
Stando dunque a quel che appare, l'edizione del 1726 sem-
brerebbe suffragata dall'autorità di due codici : a fondamento del-
(i) Ecco le annotazioni di O. 161 che il Muratori conosce (oltre
aUe antiche già ricordate, apposte ai primi 66 vv. del poema> che
egli diceva trovarsi in S. 35). Lib. I, § 2, v. 65 : alia parola Praetor il M.
annota : ms. ambrosianus addii in margine : idest Martinus (in realtà
la nota non è marginale, ma interlineare); lib. I, § 9, v. 341, a DucisW
M. annota : ms. ambrosianus addii in margine idest Manfredi ; lib. I, § io,
v. 281 a iyranno il M. annota : ms. ambrosianus addii in margine Mar-
chioni Pellavìclno. Che l'editore non conoscesse le altre note di O. 161
e' è testimonio ciò che leggiamo nella nota 54 del Muratori a lib. I, § 12,
V- 539 dove si dichiara non sapere a che voglia alludere il poeta par-
lando della montana urbs ricordata nel testo. Nella nota relativa di
O. 161 ciò è ampiamente spiegato.
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 9
bile tale ipotesi ? la logica dei fatti non ci spinge a una conclu-
sione più radicale ? a far cioè dei due codici una cosa sola ?
Notiamo prima di tutto che oggidì in Ambrosicina non esiste
una copia del poema di Stefanardo che possa identificarsi col
cod. S. 35 del Muratori : o, a dir meglio, mentre noi ci aspetteremmo
di trovare nella biblioteca due copie del poema, quella che il Mu-
ratori indicava con S. 35 e quella che ricordava come trovata dal
Sassi e segnata da lui con O. 161, invece non ne troviamo che
una sola ; troviamo solo quel « [codicem], quem a se repertum,
• ami in ordinem redigeret indigestam Mstorum molem Bibliothe-
• cae Ambrosianae, clarissimus vir Joseph Antonius Saxius eidem
• Praefectus collocavit sub Litera O. num. 161 in quarto.! Del-
l'altro manca assolutamente ogni traccia anche per il passato.
Il cod. segnato oggi con O. 161 sup., è in biblioteca fin dal
tempo della fondazione. Il primo prefetto dell'Ambrosiana che
fu rOlgiati, scrisse di sua mano sull'antiporta del codice: tAn-
• tonius Olgiatus vidit anno 1603 • ; e il suo copista vi aveva scritto
più sopra: tFelicibus Ill.mi et Rev.mi Federici Cardinalis Bor-
• rhomaei auspiciisi ; di più nei fogli cartacei (sono 4, di cui il
I" aderisce alla copertura del cod. stesso) che precedono i per-
gamenacei, e precisamente in fol. 2 r. e 3. v.) dove troviamo le
varie segnature che ebbe il codice, di mano del Sassi leggiamo
la segnatura attuale O. 161. Ma prima ve n'erano altre ora can-
cellate e che son pur tutte segnature ambrosiane : cioè Q. e poi R.
ed infine S. 35. Il codice, posto dapprima nello scaffale Q, passò
poi fn R e finalmente in S. Quando ai codici collocati nei vari
scaffali venne apposto un numero progressivo, al nostro codice,
che era nello scaffale S, fu dato il n. 35. S. 35 valse dunque ad
indicare il codice prima che il Sassi (e 171 2), nel riordinamento
della biblioteca, vi sostituisse di sua mano la segnatura O. 161.
S. 35 ed O. 161 indicherebbero dunque lo stesso codice, ma in
tempi differenti (i).
Né in quel periodo di tempo in cui il Muratori trovavasi a
(0 Oggidì con S. 35 sup.si indica in Ambrosiana un cod. membran.
del sec. XV (1450), contenente :
a) Af. Tulli Ciceronis iusculanarum quaestionum libri V,
b) Leonardi Aretini elegantissima epistola ad dominam Baptistam,
Nell'antiporta del cod. la segnatura S. 35 ne sostituisce una ante-
riore cancellata, cioè Q.
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI II
ste due opere t Fr. Stephanardi de Vicomercato Ord. Praedicator.
e Poema duobus libris distinctum, de gcstis Ottonis Vicecomitis
f Archiepiscopi Mediol. concors cum codice membranaceo BibL
tAmòrosianae^ (i).
Prima della venuta del Muratori a Milano, dopo la sua par-
tenza noi non conosciamo dunque che un sol codice, il membra-
naceo, che anche oggidì conservasi fra tanti tesori : non è quindi
impossibile che fosse pur visto dal Muratori mentre portava la
segnatura S. 35.
* *
Ma dalle indicazioni muratoriane, nulla, assolutamente nulla
appare, che ci autorizzi a far dei due codici due fonti distinte?
Togliamone naturalmente le lacune, gli errori che sono in
maggior numero in S. 35 e meno copiosi in O. 161 : come ve-
dremo, ciò non implica punto che i due codici siano' due cose
differenti : implica sol lettura più o meno diligente dello stesso
testo. Rispondo subito che non solo nulla ci autorizza a far di
S. 35 e di O. 161 due codici distinti, ma tutto invece ci induce a
confonderli in una fonte sola. Notiamo qualche difficoltà appa-
rente.
Nell'edizione del poema in A. Ili il Muratori dichiarava di
trovar nel suo codice S. 35 note che illustravano solo i priores
versus: mentre in O. 161 le note proseguono per tutto il poema.
Parrebbe trattarsi proprio di due codici differenti ; invece non
abbiamo che una descrizione inesatta del solito codice e ci spie-
(i) Autore della copia è Gio. Antonio Trivulzìo che il Litta {Fa-
migiie celebri italiane^ XIV, famiglia Trivulzio di Milano, tav. i) dice
iscritto nel 1706 al Collegio dei nobili giureconsulti, e lettore pubblico
nelle scuole Canobbiane. Morì il 17 gennaio del 1767 di 90 anni, ultimo
del suo ramo. Però nel cod. ambrosiano T. 102 sup. conservansi alle-
gati dal Mazzuchelli parecchi fascicoli cartacei contenenti " Estratti da un
* cod. cartaceo del sec. XVIII, di casa Trivulzio, che contiene il viaggio
• in Terra Santa di Roberto Sanseverino ed altri del 1458 „ in fine ai
quali notasi che la scrittura di questo cod. pare di Gio. Antonio Tri-
vulzio dottor di Collegio, e si ricorda il suo testamento del 1768 con
CUI lasciò vari codd. all'Ambrosiana specialmente quelli del Carisio,
mentre lasciava i suoi codd., la sua libreria e sostanza al marchese
Giorgio Trivulzio. Notiamo che nella copia trivulziana le note marginali
del cod. ambrosiano furono omesse completamente. Devo alla cortesia
e dottrina dell* ing. E. Motta queste notizie sul Trivulzio.
f
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI I3
risco richiama a una nota marginale nell'edizione stessa tgnies ac
crates».
In R. L SS. quel verso si legge pure così :
cCassis et umbo graves ac certos excipit ictus» e il M. vi
amiota (nota 4) : e In margine Msti » (con la qual denominazione
sappiamo che intende il suo S. 35) t legitur : grues ac crates bellicae
• artis machinamenta. Ms. Ambrosianus (cioè O. 161), in textu
• legit crates, »
In O. 161 la lezione di quel verso è :
«Cassis et umbo grues ac crates excipit ictus», e in margine
niuna nota riguarda grues ac crates ; sì bene ve n'è una per excipit^
per avvertirci che qui abbiamo uno zeugma.
In S. 35 vi sarebbe dunque stata una nota marginale che in
0. 161 non c'è? Niun bisogno di supporre tutto ciò: chi lesse il
testo di Stefanardo per l'edizione del 171 3 trovando nel v. 492
le due abbreviature t gues ac ctes » si trovò in dubbio se scioglierle
in • graues ac certos » o t grues ac crates » ; e se nel testo accolse
la prima lettura, pose in margine, come dubbia, questa che pur
avrebbe, secondo lui, potuto sostituirsi.
Il Muratori, avanti a questo dubbio che trovava nelle sue
carte, si credette autorizzato alla supposizione che quella variante
fosse nel majgine del ms. La notizia che grues ac crates fossero
«bellicae artis machinamenta» appartiene per intero all'annota-
tore, e il povero lettore, fra quelle due lezioni, con quel crates
attribuito a O. 161 accanto a un graves resterà maggiormente per-
plesso, se pure non sarà da quest'ultima indicazione messo sulla
buona via per interpretare bene le due abbreviazioni.
* *
Ma in che modo furono preparate le due edizioni del poema ?
I quattro volumi degli Aneddoti latini veimero stampati a
due riprese : i primi due mentre il Muratori era tuttora a Milano,
dottore della biblioteca Ambrosiana (febb. 1695 - ag. 1700) e a
spese dell'autore, dal Malatesta, negli anni rispettivi 1697, 1698.
Il terzo ed il quarto volume, dopo molte difficoltà, furono final-
mente stampati nel 17 13 a Padova, a spese di quel Seminario (i),
quando il Muratori mancava già da Milano da 13 anni.
À l!l ^'^^^' '**^^ite di L. A. Af. tratte dagli autografi della biblioUca
r'jyana da A. Ceruti (in Misceli, disi. Ital., Vili, 1869, p. 303, 305),
• ^ ^^^^' del 4 maggio e 25 giugno 1713.
/
DEL UBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 15
codice di Stef anardo (il membranaceo pure a noi noto) e, uomo di
senso crìtico acutissimo, compresane l'importanza, averne, in fretta,
distratto da altri studi, tratta copia o fattala trarre da altrì. Non
pubblicò subito il poema, pensando però già probabilmente di in-
serirlo in alcuno dei suoi volumetti di Aneddoti. Ai due primi, già
editi nel 1698, secondo il suo disegno primitivo, doveva seguire
un voliunetto di cose greche (i). Ma intanto raccoglieva pur
altro materiale oltre a quel greco e fra le cose preziose da lui rac-
colte in quel tempo, dobbiamo porre, molto probabilmente, an-
che il poema (2).
Ma se il materiale per nuovi volumi era pronto, non era pos-
sibile trovar editori ed egli non intendeva far altre pubblicazioni,
troppo costose per la sua borsa modesta, a sue proprie spese, come
aveva fatto per i primi due volumi di Aneddoti (3). Nel 1709
riusciva a far stampare i suoi Aneddoti greci, ma i latini manca-
vano sempre di un editore (4).
Finalmente nel 1710 (5), ricevette la lieta notizia che il car-
(i) Campori, Epistolario, ecc., II, 408*9, letr. 32 sett. 1699 ^^^ A* M.
Salvini in Firenze : " Io ho già rozzamente trasportato in latino mol-
tissimi versi di S. Gregorio Nazianzeno, che non sono comparsi finora
in pubblico. Ho fatto lo stesso a 46 epistole di Fermo vescovo di Ce-
sarea, che visse nel sec. V.... Vorrei congiungere a queste lettere assai
brevi, una supposta, nel medesimo sec. a Giulio papa I, e tutto dare
•He stampe, se mai possibile, e formarne il terzo tonrietto de* miei AntC"
ào(t„„ ^ Formarono poi invece un to. a sé col titolo di Anecdota greca^
che fu stampato a Padova, coi tipi del Seminario nel 1709.
(3) Campori, Epistolario, II, 419 (lettera 6 febbraio 1700 — Milano,
a Gio. Francesco Bergomi) : il M. parlando delle sue opere dice di aver
pubblicato * due torneiti in quarto di opere che si conservano inedite
ne* vari ms. di questa insigne biblioteca (I. Ambrosiana) ^^ e di avere
pare designato di stamparne • tre altri simili. „
(3) In data IV kal. sept. 1709 a Gio. Alberto Fabrizio in Helmstad
8cnvcva appunto che ai primi due tomi di Anecdota latina ne avrebbe
voluto aggiungere altri • duos aut tres , • iam praelo paratos, sed quibus
nondum typographus est repertus , (Campori, op. cit., III, 11 13).
(4) 11 21 giugno 1709 riferiva ad A. F. Marmi in Firenze la buona
ventura toccata ai suoi * Anecdoti greco-latini, 1, che faranno un to. in-4 „
Ola diceva non trovare chi si prendesse la cura di stampare il resto
Qci suoi AnécdoH latini, * Così va in Italia. È un miracolo che non ca-
dano a tutti le braccia. , (Campori, op. cit.. Ili, 10921093).
(5) Campori, op, cit., HI, 1166. lett. a8 marzo 1710 ad Ant. Vallis-
nicri in Pàdova.
r al Seminario di Padova
1 Muratori si accinse tosto
linare il materiale raccolto
a sua copia di Stefanardo
ree come saggio, sol poche
il codice, e, ingannato dalla
L esatta del codice ambro-
a la signatura che presen-
iva (S. 35)-
a probabilità da quanto si
a Milano, aveva pronto il
i : riterrei ciò come sicuro,
esso. Se altri volesse invece
e mani il codice di Slefa-
lorìa nei suoi ■ zibaldoni*
per averne copia, non po-
I a sostegno della sua tesi,
sé un silenzio inesplicabile
ui si fa cenno di un simile
che il M. in tal caso nella
almeno una parola al 5uo_
una nota meno personale
Ambrosiana, ne diventava
e il Muratori gli scriveva
milmente mi rallegro con
re i mss. dell'Ambrosiana,
uo, e che può ser\ire a lei
èva aver pronto il suo ma-
uindi essere stato dato prima
re del Muratori non sia ri-
;? Eppur non era cosa da
dopo le diligenze del Carn-
ai non sarà fadle pensare a
o^ e nd 1711 venne devato
I, che resse dal 1711 al 1751.
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI I^
f assaissimo per aiuto dei disegni già fatti e per concepirne dei
f nuovi. Io pure ho maneggiato e più d*una volta tutti cotesti mss.
f avendo anche notato ne' miei zibaldoni ciò che riguardava le mie
fidee letterarie.» In quella circostanza probabilmente il codice di
Stefanardo aveva mutato segnatura, ed era stato contrassegnato
con 0. i6i.
Quando si trattò di ripubblicare il poema di Stefanardo nel
t IX dei R. L SS., il Muratori pensò di ripetere l'edizione del 17 13,
però l'Argelati, il suo braccio destro in tutti quei lavori che si ri-
feriscono all'opera immane dei Rerum, il quale per lui si era sta-
bilito a Milano fin dal 1721, gli presentò come un codice nuovo
quello che in realtà era già stato adoperato per l'edizione prece-
dente, ora però contrassegnato con O. 161, della cui scoperta il
Muratori attribuiva il merito al Sassi. Probabilmente l'Argelati
fu tratto a tale giudizio dalla mutata segnatura e dal confronto
fra l'edizione del 1713 e O. 161 : tanto migliore e piti completa
gli pareva la lezione del suo codice ! E ne ricavò aggiunte o cor-
rezioni in buon numero, ma tutto questo miglioramento rimase
nelle note, che il testo si conservò quello del 17 13. Forse l'Argelati
ebbe pure il torto di nulla dire al Muratori delle note ricche e co-
piose che illustravano il codice, e il M., nella sua nuova edizione,
non credette neppur necessario riprodurre isolate le note che aveva
già pubblicate nel 17 13, contentandosi di incorporarle nelle sue
annotazioni che appose, in generale, a tutto il poema.
Da quanto ho detto, mi par dunque che nulla ci autorizzi a
"^^aginarci una copia del poema (diversa dall'attuale O. 161)
conservata un dì nell'Ambrosiana, di cui oggi si sarebbe perduta
ogni traccia : tutto invece ci induce a credere che i cod. S. 35 ed
^- ^61 siano una cosa sola.
Ammesso ciò, è assai facile fissare il criterio per la nuova edi-
zione, a base della quale deve esser posto il codice Ambrosiano
^- J6i, relativamente antico (i) ed autorevole.- di più l'unico co-
^sciuto. Né dovranno esser trascurate le ricche note marginali
il codice ci presenta a illustrazione del poema ; esse non pos-
ano staccarsi dall'edizione del poema stesso, di cui sono com-
y) Vedremo a suo tempo che ardua questione sia fissare l'età
P»-ccisa del cod.
^rch Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXV. a
orse attribuir loro tutta l'im-
ler Egger nel supporne autore
DEL POEMA OLTRE IL CODICE
già ricordate del codice ambro-
aiore per l'edizione del poema,
lo conservi, per quanto io sap-
emmo, chiamava il codice Am-
1 ricavare l'edizione del poema,
contentarsi di ricavare il testo
ilmente trovar ricordo di altri
ricavarne confronti con quelle
Imposizione,
le cosa strana, che del poema
loghi conservatici della biblio-
Biblioteca che per primo rac-
eazzo II. ma che comprese pure
lente dai suoi predecessori ;
ovarsi un libro il quale nar-
di un Visconti, di quell'Ottone
andezza della sua casa, quegli
capo dei Capitani e dei Val-
: pietà per i vinti.
1 dir meglio, io non ho trovato
ntificare col poema di Stefa-
ca compilato nel 1426 ed edito
o da Ser Facino da Fabriano
i I Libri dell'Ili. mo S.re Duca
la de Pavia a dì primo octobre
a dì s detto • (3).
:n], wie ich glaube, von Autor
bibliograficht sulla libreria vi-
:ompilate ed illustrate con docu-
G. D'Adda), Milano, 1875, par. 1,
eodici della biblioitca visconlto-
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI
19
Chi invece lo ricorda molto spesso, lo usufruisce come fonte,
e. quello che per noi è più interessante, ne riporta molti versi è il
noto scrittore di storia milanese Galvano Fiamma. Vediamo in
quali opere di lui potremmo trovar traccia del nostro poeta, quali
codici ne cita, quali notizie ci fornisce intorno ai medesimi.
* *
Il compianto prof. L. A. Ferrai (i) ha studiata nel suo
complesso l'opera storica del Fiamma, stabilendo i rapporti fra
le varie compilazioni che di lui ci restano, che come è noto, troppo
il Fiamma si dilettò, per servirci di una energica frase del pro-
fessor Novati (2) per molt'anni di t sciupare tempo ed inchio-
stro a travasare d'uno in altro zibaldone sempre la stessa indi-
gesta congerie di notizie storiche ». Veramente a noi ora questi rap-
porti interessano meno : procederemo quindi con quell'ordine che
a noi converrà meglio nell'esame delle opere del Fiamma per rin-
venirvi le traccie del nostro poeta (3).
Sarà facile la ricerca per alcune di queste opere conservate,
sforzesca rtdatio da ser Facino da Fabriano nel 14S9 e 1469, in Giornale
storico della Letteratura Italiana, i, 1883, p. 40 e sgg. Cfr. G. Mazza-
tinti, / mss, italiani delle biblioteche di Francia^ I, Roma, 1886, p. LXV,
e. Ili; i codd. pavesi della biblioteca di Biois.
(i) Le cronache di G, Fiamma e le fonti della Galvagnana in Bull,
Isf.stor, ital,^ n. io, 1891, p. 93 e sgg. Ecco la successione cronologica
delle opere del Fiamma che egli stabilisce : la Galvagnana^ la Cronica
fxtravagans, la Cronica maior di cui è parte VOpusculum de rebus gestis
Aaonis Vicecomitis.,,,^ la Politia novella^ il Maptipulus Florum, Fan gruppo
a sé la Chronica ordinis praedicatorum, la Chronica ponti ficum mediala-
nensium. Cfr. Novati, Bonvicini de Rippa De magnalibus urbis Medio-
lani, testo inedito del 1288 ricavato da un cod. madrileno (in Bull, Ist.
stor,ital. n. 20, Roma, 1898), p. 42-43, e p. 44, n. 3; p. 46, n. 2.
(2) Novati, op, cit., p. 35.
(3) Versi di Stefanardo, a quanto ricordavami il prof. F. Novati,
devono pur trovarsi nella Storia e Cronaca dalle origini del mondo al
//27 di Domenico Bordigallo : voluminosa compilazione inedita, di cui il
prof. Novati stesso ha parlato in Archivio Veneto, X, 1880, p. 5 e sgg.
^ P- 327 e sgg. Noto però che nell'elenco dei " nomi degli autori latini
" citati dal Bordigallo nel corpo della cronaca » e in quello di * altri
" antichi scrittori „ (raccolti dal Novati a p. 27, n^ 2) non appare quello
di Stefanardo, sì bene incontriamo il nome del Fiamma. Niente di im-
probabile quindi nel supporre che dal Fiamma siano pur stati mutuati
quei versi.
7A EDIZIONE
uasi ! per altre la questione sarà
L noi troviamo una raccolta di
inf. sec. XIV), descritta per la
>S. XI, 533 in pref. all'ediz. del
ide : la Polilia novella (f. i r.
31 r. 60 s), la Cronica maiot
f. 234 r. alla tne del codice, cioè
: la sola fonte nota e importante
se non possono più, a rigor di
s, devono però sempre esser stu-
o edizioni (2).
ioni son riferiti versi di Stefa-
i di trovarli nelle opere di un
del sec XIII, vissuto pur nella
sta che nel convento di S. Eu-
: trovare i migliori sussidi.
Fiamma, come ho detto, è della
ruasti han già avuto tempo di
r, olire quelli che devono impu-
saito nel riportare Ì testi di cui
fie il Fiamma manda avanti alla
mpreso il nostro poema, citato
metrica! la quale })erò non è
fra i libri che erano nell'^Ar-
«ne «apud fratrem galvaneum
■nm», il che non deve essere la
;rsi di Stefanardo per adattarli
quelli a cui aveva pensato l'Au-
iferiti alle imprese di Lodrìsio,
.turalmente alterati e di tanto
suo scopo (3),
fravagans ha pubblicato dei brani
il, 1869 (pp. 50M73; 445-505) e
ìUlia novtila. UOpuseuiumt fu edito
Mi (i'cdiEore dtM'OpmKMlum) com-
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 21
Altra compilazione del Fiamma troviamo nel codice Brai-
dense A. E. X. io, che forma un'unità col cod. Ambrosiano A. 275
inf., dovuti Tuno e l'altro alla penna di un Pietro de Ghioldis che
aveva compita Topera sua nel 1396. Il titolo del lavoro è : «Incipit
tcronicade antiquitatibus ciuitatis mediolanensis quam edidit fra-
tter galuaneus de la flama ordinis fratrum predicatorum, sacre
• teologie lector. Et nomen cronice et libri est cronica galuagniana. •
E qui pure nell'elenco (f . ir.): « De libris sive cronicis ex quibus
• ista cronica est compillata» troviamo la «Cronica Stephanardi»
e precisamente fra i libri che « habentur in conventu fratrum pre-
• dicatorum». Alla fine dell'elenco si spiega anche meglio: «Isti
tXXXI liber sunt in sancto eustorgio» e probabilmente in quel-
l'i armario» in cui ci saremmo aspettati di vederci indicata una
copia del poema dalla Cronica maior. Ma il codice braidense non
è il solo che ci presenti la Galvagnana (i). Come è noto per le
ricerche del Ferrai (2), la Galvagnana forma la prima parte del
famoso «Chronicon Mediolani appelato el Valison» che si con-
serva in cod. del sec. XV nell'Archivio del capitolo di Novara,
pubblicato dal Muratori in R. L SS. XVI col titolo di Annales Me-
diolanenses, ommessa però la parte anteriore al 1 230. Mentre però
il Ferrai mostra far poco conto del codice da cui il compilatore
del tValison^ ha trascritta la Galvagnana, pur riconoscendo che
in alcuni punti ha dei vantaggi sul codice braidense (loc. cit.
p. 284-5), il Raulich invece (3) rivendica in generale la bontà dei
codici che servirono a Fabrizio Marliani (come pare chiamarsi
quel compilatore) e in particolare del codice della Galvagnana.
Di ciò dovremo pur tener conto nel nostro studio.
Non ci interessano per il nostro scopo presente le due compi-
lazioni di storia ecclesiastica : la « Cronicha vetustissima Ponti-
prendeva pur i versi di Stefanardo nel terribile giudizio che dava dei
carmina che Galvano Fiamma aveva qua e là disseminati neiropera
sua (/?. /. SS,, XII, 996).
(1) Cfr. NovATi, op. cit., p. 42, n. 2. Nell'Archivio Storico Civico di
Milano, mostratami dal solerte direttore dott. E. Verga, vidi, in scrittura
del sec. XVII, una copia della Galvagnana che là si conserva. A suo
tempo ne farò parola.
(2) Ferrai, Gii " Annaies medioianenses „ e i cronisii iombardi del
5tc, Xy in q}xcsi' Archivio, XVII, 2, 1890.
(3) La cronaca Vaiison e il suo autore in Rivista storica italiana.
Vili, I, 1891.
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 23
idum usus et exemplari, quod cum nostro non convenit» (pref.
pag. 534).
Partendo pur solo dal punto di vista che a noi ora interessa,
cioè dal numero di versi del poema riportati, questa varietà TLo
trovata: trovai cioè in altri codici del Manipulus un numero di
versi tratti dal poema di Stefanardo, molto maggiore che non nel
testo Muratori
4»
* *
Codici del M. F. della famiglia De-Monti. — Cerchiamo nella
grande mole dei codici del Manipulus differenti dal cod. Sitoni-
Muratori, di distinguere questo primo gruppo. Nella primavera
del 1902 l'illustre prof. Novati, al quale son lieto poter affermare
tutta la mia gratitudine che è grandissima, ma non giungerà mai
a sdebitarmi di quanto gli debbo e per la sua benignità costante
verso di me e per i suoi preziosi consigli nel campo degli studi,
Egli dico, favorivami perchè lo studiassi un codice contenente il
Manipulus, non compreso in tutti quegli elenchi che ho ricordati,
da lui avuto in prestito da privata famiglia. Il codice è miscel-
laneo (i), cartaceo, del secolo XV e il futuro editore del lavoro
del Fiamma dovrà farne argomento di studio.
(0 Un indice di mano moderna (1825) registra, in capo al codice
* Scripia quae in volumine continentur „ preceduto da un " Ex Libris
" Karoli Petri Villae 1825. „
Lo riferisco perchè spesso in codd. di questa famiglia appariscono
accanto al Manipulus alcune delle medesime opere :
I. Manipulus florum F. Galvanei Flammae. Transcripsit Presb.
Joh. De Munti; jussu Vercellini Vicecomitis Ducalis Commissarii, Tri-
tiique Castellani (1463 sicì),
II. Quinque folia res historicas praeferentia ad a. 1489 ex alio vo-
lumine detracta (fra queste res historicae è un estratto della Cronica
fnariiniana),
III. Diplomata Venceslai imperatoris quibus Joh. Galeaz Vice-
Comes Dux Mediolani creatur et jura Ducis explicantur. Epistola Grr-
gorii de Azaneìlo de inironisOtione Ducis.
IV. Philipp! Mariae tertii LigHrum Ducis. P. Candido Decembrio
auctore (sic/).
V. Exequiae Joh. Gal. I, Ducis Mediolani etc.
VI. Vitae Archiepiscoporum Mediolani a Barnaba ad Guiduni
ntonium Arcimboldum.... 1489. N. B. Auctorem habent Antonium Con-
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 25
I. Plaiinus de puteo arcis Tritianae condito a M.co equite
aurato dUo Vercellino Vicecomite tutte eiusdem praefecto :
Arx olim Tritìi puteo praeclara carebat.
IL Item Plaiinus de subita mutatione fortunae regis Al-
pkonsi 1495.
Regna tuebatur, qui dux aliena triumphans.
III. Item Platinus de fortitudine Isabellae Aragoniae olim
Ducis (sic) Mli.
Quaerit Aragoniam Mors et Mars perdere gentem.
Infine due stemmi.
Questa copia del 1483 merita tutta la nostra attenzione per-
chè è la fonte di un buon numero di codici del Manipulus da me
visti nelle biblioteche milanesi :
Codici del M. F. della biblioteca Ambrosiana, — I tre codici
del Manipulus che si conservano nella biblioteca Ambrosiana :
A. 64 inf. C
Y. 121 sup. < cartacei del sec. XVII.
P- 177 n {
spettano tutti e tre a questa famiglia (i) ; ciò può rilevarsi da
caratteri intrinseci, ma pur chiaramente da caratteri estrinseci. Ri-
levo fra questi che Y. 121 sup. e P. 177 sup. ripetono alla lettera
la dichiarazione che abbiamo riferita dal cod. del sec XV in cui
il prete De Monti si afferma autore della copia. In A. 64 inf.
non abbiamo affermazione sì esplicita, ma nel verso di uno dei
fogli che precedono il codice v'è una nota che non ci lascia dubbio
sulla sua provenienza più o meno diretta dalla copia del 1483 :
«Haec historia adscribitur Joanni de Monte, fuitque excripta de
cduobus manuscriptis codicibus quorum alter est Illustris et M.
• R-ti D. Hieronymi Vicecomitis Praepositi in metropolitano tem-
• plo Mediolani ; alter vero reperitur apud Solam mercatorem aro-
• matum. Et quoniam in hac excriptione multa menda irrepserunt,
• idcirco opere pretium est ut hoc exemplar cum illis duobus co-
• dicibus ad verbum conferatur».
(i) Naturalmente non era mio compito rilevar tutti i caratteri in-
tnnseci che distinguono questa famiglia : mi basterà ricordar quindi che
ho guardalo, per questo rispetto, ai versi di Stefanardo riferiti, al nu-
mero dei capitoli in cui l'opera veniva divisa, alle date apposte ad al-
cuni di questi, ecc.
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 27
Come si vede, noi abbiamo così potuto raggruppare ad unità
un bel numero dei codici delle biblioteche milanesi e sgombrare
il terreno da molti ostacoli. Non ho avuto agio ancora di studiare
il codice del Manipulus conservato in casa Trotti, né quelli spet-
tanti alla Trivulziana, né quelli delle biblioteche non milanesi o
forestiere : potrò completare il mio studio in periodo non lon-
tano : per ora mi fermo a due codici milanesi che meritano la
nostra attenzione. Uno di essi conservasi nella ricca e preziosa
libreria che con munificenza signorile e fino criterio raccolse nel
suo palazzo la famiglia dei Marchesi di Soragna, a cui devo viva
riconoscenza per avere in tutti i modi agevolato i miei studi :
Taltro é il codice Morbio 55 conservato nella Brai dense.
Sono entrambi del sec XV : membranaceo e miscellaneo il
primo, cartaceo il secondo. Né l'uno né l'altro si possono subito
a prima vista dire appartenenti alla famiglia cui spettava il cod.
trascritto dal De Monti. Pure, esaminati i versi di Stefanardo da
loro riportati, si vede che i codici Morbio e Soragna concordano
non coll'edizione Muratori, ma precisamente coi codici della fa-
miglia De Monti, nel numero e spesso nella lezione di quei versi,
senza che io osi però ascriverli ad essa sicuramente (i).
Riassumendo il nostro ragionamento, fra tutta la congerie
partengono questi codd. il titolo che loro fu messo a capo: (lo riferisco dalla
copia del sec. XVII, ma è ripetuto quasi esattamente in quella del secolo
XVIII): *Fratris Galvanei de la Fiamma | sacrae Theologie Doctoris, ex
ordine Patrum Praedicatorum in Conventu sancti | Eustorgii Mediolani,
qui vixit ab an. circ. 1280 ad an. circ. 1342 | Chronicon minus | Civitatis
Mediolani | quod Manipulus Florum appellatur, continens gesta ab anno
ante Christum | natum 1932, ad annum post Christum 1340 | cui ac-
cedunt | Continuatio gestorum usque ad annum 1371 | CoUectore Jo-
hanne de Monte | Una cum descriptione exequiarum Job. Galeatìi | Vi-
cecomitis primi Mediolanensium Ducis |
La data 1371, il nome del De Monti, il componimento stesso ag-
giunto al Manipulus ci illuminano sulla provenienza di questo codice.
(i) Quel cod. del Manipulus Florum di cui si valse per la sua
compilazione chi pose insieme la " Cronica di Milano dal 948 al 1487 „
edita dal Porro nel v. Vili della Misceli, di Si. ItaL si accosta, per i versi
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 29
E ciò pare risulti evidente da varie ragioni : in primo
luogo perchè non saprei vedere il motivo di questa mutilazione in
alcuni passi ed in altri no. E poi perchè la mancanza di quei
versi non è il solo criterio che ci ha indotto a far un gruppo a sé
del codice Sitoni-Muratori : a questa mancanza si col legano altre
di quelle particolarità a cui più sopra ho accennato.
Vediamo alcuni esempi di questa differenza nel numero di
versi di Stefanardo riportati nei due tipi di codici. Nel e. 299
neirediz. Muratoriana (i) leggiamo versi di Stefanardo : (tolti
a lib. I $ VI, 145-154): mentre però il testo Muratori tralascia il
brano Sacris prefecit - Ecclesie (vv. 148-150), (unendo ad Electis
del v. 148 il resto del v. 150) laltro gruppo riporta per intero il
brano.
Quale editore e per quale scopo avrebbe osato fare simile
rabberciamento? Nel e 303 della stessa edizione (2) troviamo
pur versi ricavati dal lib. I $$ XI-XII del poema di Stefanardo :
son 13 versi scelti fra i w. 425-460 della fonte, dal discorso di
Ottone arciv. e del proscritto milanese, e che vengono amalgamati
insieme II codice De Monti riporta lo stesso numero di versi,
però vi aggiunge un brano che consta dei vv. 467-73, accostato
senz'altro al v. 460 con cui finisce il brano Muratoriano.
Esempi di consimili aggiunte troviamo ancora in e 304 del
Manipulus (3), ove son versi del poema spettanti a lib. I. $ XIV,
cioè 581-87 ; dopo compiuto il v. 587, che là rimane in tronco,
il cod. De Monti aggiunge i vv. 592-93 {eius loc). Nello stesso
capitolo l'esempio si ripete altra volta per i versi tolti da lib.I $ XV,
w. 655-666 a cui il cod. De Monti aggiunge i vv. 667-73. P"^
parer piii curioso ciò che incontriamo in cap. 313 (anno 1277) (4).
Descritta la battaglia di Desio e la sconfitta dei Torriani, il
testo Muratori prosegue: tltaque genus Turricinorum cecidit in
*€ Pesto Sanctae Agnetis anno suprascripto. Hanc victorlam Fra-
tter Stephanardus cecinit» ma non ne riporta verso alcuno. Il
cod. De Monti, e con esso gli altri due come sempre, leggono in-
vece: citaque genus turrianorum cecidit in festo sancte Agnetis
€ in f . agnetis » legge e. Morbio) anno suprascripto. Hanc victoriam
(i) R. L,SS., XI, 692; in cod. De Monti è il cap. 301.
(2) /?. /. SSv XI, 696; in cod. De Monti è il cap. 305.
(3) /?. /. SS., XI, 697.
(4) R. L SS, XI, 703-5.
DEL LIBER DE GESTIS IN CIVITATE MEDIOLANI 3I
Stefanardo che non ci appaicino in O. i6i ? Come è noto, que-
st'unico codice che ci conserva il poema è mutilo. Stefanardo,
come appare dalla prefazione in prosa che precede i suoi esametri,
intendeva di comprendere nel suo secondo libro 1 1 paragrafi :
i primi 9 riguardanti il racconto storico che forma il soggetto del
suo canto; il io** e l'ii® dovevano invece essere come la morale
di tutto il poema.
Il decimo paragrafo si aggira invero intorno a tquadam
«exclamatione contra instabilitatem fortune et commendatione
«virtutis, que caducis non innititur sed semper manet». Nell'unde-
cimo dovevasi descrivere t laus uirtuosi, scilicet Johannis Baptiste
«qui fortune non infiitens sed uirtuti, uiuit adhuc in laudabili me-
« moria hominum, et Herodes habitus est reprobus. Et hec de-
• scriptio facta est per metrum iambicum quod maxime laudi
«conuenit Ultimo imponi tur silentium ipsi Caliope ut desistat
«et gracias Deo referat cuius ope hoc opus est expletum».
Ora a noi è pervenuto solo il io® paragrafo: ^II^ scritto
m metro giambico, o non parve forse- al copista degno di esser
trasaitto nel codice noto, o n'è caduto coi fogli che lo conte-
nevano? (i).
Non saprei certo che rispondere a simile domanda, ma, per
ritornare ai codici visti dal Fiamma, dirò che non solo non ho
Daai incontrato nelle opere di lui un verso attribuito a Stefanardo,
che manchi in O. i6i, ma di più, che nel Fiamma non mi occorse
niai la citazione di un verso tratto dal $ io del libro II, che anzi,
secondo appare dal capo 313 del Manipulus già esaminato, Vexpli-
^ù del suo codice doveva essere dopo il $ 9 (2). E dico alla fine
del $ 9, sebbene in realtà la frase « Hic finiuntur versus Stepha-
«nardi» i tre codici del M. F., che conosciamo la pongano dopo
(i) O. i6i sup. finisce senza indicazione di explicito altro simile ac-
cenno e pur coincidendo la fine del fase, colla fine della parte del poema
che ci fu conservata, non ci offre quei solili segni di attacco al se-
guente fase, che potremmo aspettarci, e che troviamo nel fase, prece-
<lente. Però nella nota marginale apposta alla prima parola del § io
^cesi fra l'altro : . . . . actor hic in fine operis quasi inuehit contra for-
^unam .... et explicatur hoc de sancto Johane baptista.... cuius etiam
^us hic in fine jambicis canitur uersibus.
(2) Le parole: hic finiuntur uersus fratris Stephanardi Amen hanno
Vero carattere di un expUcit di cod.
GIANFRANCESCO GONZAGA
SIGNORE DI MANTOVA
(1407-I420)
STUDI E RICERCHE.
(Cont.* e fine: v. Archivio Storico Lombardo, a. XXTX, p. 310-360).
IV.
PPIANATE le difficoltà del concilio, Sigismondo si volse
a curare i suoi interessi politici. L'importante per il mo-
Ijj mento era di battere Pandolfo Malatesta, perchè, sba-
razzato il terreno da questa parte, si apriva facile la via per il resto.
Ma l'arte di guerra che aveva Pandolfo e il suo coraggio si ride-
vano di un nemico che non fosse più forte di lui. Per affrontarlo
dunque con fiducia di vittoria bisognava assalirlo ad un tempo con
tutte le forze di parte imperiale, affinchè il leone colpito ad un*ora
da più bande, nell'incertezza del luogo a difendersi, nello spossa-
mento del correre di qua e di là, e nella perdita del sangue per le fe-
rite che riceveva, perdesse della sua forza e della sua ferocia, e nel-
l'impari lotta giacesse sfinito e vinto. Ma bisognava anche far pre-
sto, perchè pel cielo lombardo andavano aggirandosi e avvicinan-
dosi fra loro brutti nuvoloni, che non promettevano nulla di buono
per l'imperatore. Infatti poco tardò a stringersi contro di lui una
lega, nella quale entrarono insieme con Pandolfo la republica di
Genova, il marchese di Monferrato e il duca di Milano (i).
E se il far presto era necessario per l'imperatore, anche più ne-
cessario era per Cabrino Fondulo e per gli altri seguaci dell'im-
pero, perchè se Sigismondo partisse lasciando in tutte le sue forze
(i) Muratori, Annali, s. a. 1414.
Arch. Stor. Lomb,, Anno XXIX, Fase. XXXV. 3
SIGNORE DI MANTOVA 35
Per il conte da Prato, tolto di mezzo il Malatesta, era cosa da
nulla levarsi dattorno anche il Gonzaga. Di tali sostituzioni nel
governo della città in quegli anni se ne vedevano continuamente
e un esempio eloquente freschissimo lo dava la vicina Cremona,
dove Cabrino, capitano dei Cavalcabò, aveva imprigionato il suo
signore, uccisolo e fattosi padrone del suo stato (i); e non che
esserne punito, ebbe legittimata dallo stesso imperatore la sua
usurpazione con la nomina che gli diede di vicario imperiale di
quella città. Anche papa Giovanni XXIII vedeva volentieri quel
cambiamento nello stato di Mantova, per la maggior sicurezza che
ne sarebbe venuta alla sua parte, perchè egli dubitava che il Gon-
idigB, si lasciasse indurre a riavvicinarsi allo zio Carlo Malatesta, e
quindi ad abbandonare lui e seguire le parti di papa Gregorio XII ;
e non solo stimolò il conte Carlo ad osare, ma anche gli promise
aiuto d'uomini e di denari (2). L'anteriore condotta di Gio-
' d^- ,* Il fatto è ammesso dallo stesso Carlo nella sua deposizione del
16 aprile, e più ampiamente in quella del 22 dello stesso mese: * quod
* videbatur ipsi domino Carolo quod imperator mitteret prò domino
* mantue..., et quod tum faceret quod dictus dominus rumperet guerram,
* et si dictus nollet posset ipsum secum retinere, et ipse dominus Ca-
* rolus et Comes Franciscus facerent guerram cum gentibus. „
È ammesso pure dal conte Stefano il 13 aprile. La proposta do-
vette essere fatta all'imperatore nel tempo che frate Gaspare si tro-
vava presso di lui, ritornatovi, come abbiamo veduto, dopo essere ve-
nuto da Lodi a Mantova col Gonzaga ; perchè, quando egli partì, 1* im-
peratore gli disse: " Ecce adhuc non est ordinatum quomodo de-
* beamus Brixiam invadere, ideo vellem ut dominus tuus veniret Ca-
* nedum, et ego veniam vel mittam ad eum ut videamus de modo te-
• nendo. Et ita dicas domino tuo mei parte. „ Dalla cit. Relaa.
(i) A. Campo, Storia di Cremona, lib. Ili, s. a. 1406.
(a) " Dom. Karolus examinatus die 2 mai confessus fuit quod....
■ volebat capere dominum memoratum et auferre ei statum cum au-
• xilio et favore pape qui ei pollicitus fuerat dare auxilium de lanz. 300
ac denarìis et aliis rebus opportunis in presentia dom. Nicolai de Ro-
** bertis et de predictis omnibus affirmat contulisse cum Benvegnudo
" de Pegorinìs. „ Dal cit. Processo.
Infatti Benvenuto aveva deposto in questo senso nell'esame del
14 aprile, e in quello del 27 maggio più esplicitamente dichiarava avergli
detto il conte di voler togliere lo stato anche " persuasionibus pape
dubìtantis ne dominus levaret sibi obedientiam et reverteretur ad
amorem duorum de Malatestis.... et quod papa obtulerat se servitù-
rum de gentibus et ofnnibus aliis que posset usque ad mitrium. „
cato, e la disperata ambizione
dignità del papato contro il
;ttono dì levare alcun dubbio
lo stato di Mantova in mezzo
va il Gonzaga.
Gonzaga aveva mostrato nel
Ile truppe, la mostrò ora nel
peratore. Anzi fece intendere
lio Pandolfo e a Venezia (i).
discusse di levarsi affatto la
te alla violenza : dò era di
izaga in casa del conte Fran-
esimo tempo in palazzo Paola
Fatto, correre la città, gridare
nperatorc, e consegnarla a
non presentava molto gravi
e Carlo nello stato per volere
Enza sospetto tutti gli ordini
to : il conte P"rancesco aveva
; un corpo di lance raccolto
'rato ; il castello era in mano
le pubbliche amministrazioni
: essere cuni miser Carlo et
il Bosco in Venexia — per ri-
, Deposizione di Benv. de' Pe-
lise miser Carlo : el magn. et
icescho dal boscho vada a Ve-
esco,... per man del magn. sig.
1 el conte Lodovico. , Questa
nel suo esame del 26 aprile,
elio stesso mese. E Benvenuto
>ose: ' dominum Carolum di-
ncisco : Ego volo capere domi-
is com. Francisci et facere huc
ilio et dictorum gentium domini
, Et ad hoc perficiendum gen.
li et favor pape et quod volebat
is cum domino reducere in ca-
SIGNORE DI MANTOVA 37
e in txitta la città eran parecchi, che dovevano ai da Prato la loro
presente fortuna, e ad essi volgevano la speranza di vederla mi-
gliorata nell'avvenire (i). Fatto il colpo, Carlo senza perder
tempo avrebbe domandato a Sigismondo che lo nominasse suo vi-
cario p>er lo stato di Mantova (2). Pare però che sul modo di ar-
restare il Gonzaga, e la sua famiglia vi fosse tra fratelli divergenza
d'opinioni, e che il conte Carlo non convenisse con Francesco e
Stefano di mettergli le mani addosso in casa di Francesco (3).
Egli era ammalato nel palazzo stesso del principe, e forse gli arri-
deva poco ridea di far tentare un colpo lontano di là, il quale
se non riuscisse alla prima, solo che destasse un poco di rumore,
lasciava lui indifeso alla mercè di Paola e del suo partito (4).
Non appare indizio da nessuna parte quale tosse in particolare
il suo p>ensiero, ma probabilmente egli voleva fare il colpo nello
stesso palazzo del principe.
Ma. intanto che i tre fratelli discutevano sul da farsi, la mano
Ci) Nella deposizione del 14 aprile Benvenuto • fatetur illos de
* Prato fecisse gentes armorum prò securitate status eorum et ut ma-
g^s. tirnerentur in civitate et ne domini de Malatestis possent eis no-
^^^^^ » E il conte Francesco nel suo esame dello stesso giorno : " Fa-
tetur quod ipsi fratres et Benevenutus fuerint simul in colloquio et
tractaverunt quod volebant tenere modum quod terra et rocha Ho-
stille esset in manibus domini Antonii de Nuvolonibus et ponere
* Guidonem de Rippa prò Castellano castri Mantue, dicentes si venirent
Malateste vel alii Mantuam qui vellent destruere eos, quod caperent
* dominum et reducerent se in castrum, et quod non dubitabant si ha-
berent dominum quod ipse faceret quidquid vellent. „ Altre testimo-
nianze e confessioni parlano delle rocche di Peschiera, di Bozzolo, ecc.
(2) ** Item dixit [il conte Carlo] quod intentio sua erat petere im-
peratori Mantuam prò se in vicariatum. „ Esame del 29 aprile.
(3) Dall'esame del conte Stefano del 26 aprile, citato più sopra.
(4) Che il conte Carlo fosse ammalato nel palazzo stesso del
pnncipe è ripetuto nel processo parecchie volte. Era già ammalato
quando venne a Mantova Giovanni XXIII, e durava ancora nella ma-
»attia quando fu arrestato. * Quum una vice dominus papa ivisset visi-
tatum dominum Carolum ad cameram volte in qua erat infirmus, etc. „
altrove : « Dominus Carolus examinatus die Xlll aprilis dixit ; Quum
^orn, Comes Franciscus ad eum ivisset dum infirmaretur in camera
^ volte et habuerat ei dicere quod dominus volebat videre rationes
s^as, etc. , La camera della volta, così detta per la sua struttura,
ra nel palazzo del Gonzaga, come si vede da moltissimi documenti
deU»Archivio, che la ricordano.
L..
SIGNORE DI MANTOVA 39
Ma di fronte al succedersi di siffatte dimostrazioni da parte
del Gonzaga, come fu che i da Prato, non s'accordando sul modo di
fare scoppiare la congiura o vedendo di non potervi riuscire ,
come fu che non pensarono a rifugiarsi in alcuno dei parecchi luo-
ghi, come Bozzolo, Ostiglia, Peschiera, che avevano già preparato
a questo scopo di trovarvi un asilo in caso d'imminente, inevita-
bile pericolo ? (i). Non videro l'avanzarsi pauroso della tempesta?
Non intesero che l'intimazione ael rendiconto era come vivissimo
lampo che preannunzia lo scoppio imminente di formidabile
tuono ? Videro e intesero ; ma il conte Carlo, come era stato l'anima
della congiura, cosi fu, parte per triste concorso di circostanze, parte
per orgogliosa sicurezza di sua potenza, causa diretta della propria
perdita e di tutti gli altri, fratelli ed amici, che avevano consentito
con lui. Egli, come abbiamo veduto, era ammalato nel palazzo
stesso del Gonzaga. Quando il conte Francesco andò a parlargli
della richiesta dei conti e gli disse le sue apprensioni e io esortò a
provvedere ; egli si contentò di rispondergli cosi :' — tse io posso
• levarmi di qua, terrò modo che costoro i quali congiurano contro
« di noi non potraimo nuocerci ; e sono sicuro che il principe mi
« scoprirà tutte le mene loro ; e dove pure egli volesse nuocerci,
* ^0 nieterò'li moray chel non ce porà nosere n (2). —
Sulle quali parole interrogato nel processo, rispondeva essere
stata sua intenzione, quando non avesse potuto provvedere altri-
n^enti, di darsi alla fuga o prendere il principe e farlo fare a suo
modo (3). E i fratelli, o per deferenza all'autorità di lui, o forse
(i) V. append. n. 14.
(2) * Comes Franciscus !habuit dicere domino Carolo : dom. Ca-
role, Dominus videtur velie videre rationes suas, et si faciet, malum
erit prò nobis: Vos bene faceretis provideri. Et dom. Carolus dixit;
f' ego bine possum me levare, ego tenebo modum quod ipsi qui con-
^rant contra nos non poterunt nobis nocere, et non dubito quin niihi
dominus dicat omnia que ipsi tractaverunt contra nos.... et si pur
<ioiTiinus nos vellet offendere, ego meterò li moray chel non ce porà
nosere. „ Deposizione del Pegorini cit. V. anche append. n. 13 a. La
rase : « metero li moray chel non ce porà nosere , ritorna più volte
nel processo anche dove la deposizione, come nel luogo or ora citato, è
messa in latino. Quindi non è dubbio che queste furono le vere precise
parole pronunziate dal conte Carlo, Ma non sono riuscito a trovare
a spiegazione della parola • moray „ Forse sia da leggere " morsy 1, ?
^ v3) * Quum aliter facere non posset volebat aut se hinc absentare
^ et fugam arripere aut capere prefatum dominum .... et facere ipsum
oniinum facere modo suo. „ Esame del conte Carlo, 13 aprile.
L
SIGNORE DI MANTOVA 41
Il due aprile una nuova grida intimava fra tre giorni lo sfratto
da Mantova e da tutto lo stato mcintovano a chiunque fosse o si ri-
tenesse per ribelle della republica di Venezia (i). E l'intimazione
non era superflua perchè dal processo si ha che il partito degli
Scaligeri e dei Carraresi faceva qui un gran lavoro per rientrare in
Padova e Verona ; ed è naturale che il conte da Prato favorisse
i loro maneggi, perchè quanto erano maggiori gl'imbarazzi di Ve-
nezia, tanto egli cresceva in sicurezza del fatto suo. Il 14 dello
stesso mese a chiunque avesse licenza di portar arme, o godesse
di altro favore concesso dal Gonzaga e che avesse la Arma del
conte Carlo da Prato, era fatto comando di produrre fra tre giorni
la licenza alla cancelleria del principe ; altrimenti ogni licenza e
favore restava annullato. Il 16 era fatta uguale intimazione a chi
nella stessa guisa avesse ottenuto il diritto di cittadinanza o altra
grazia qualsiasi. Il 18 si pubblicavano le condizioni sotto le quali
si dava il permesso ; ma si avvertiva che ne sarebbe escluso « za-
t scheduno lo qual sia et se reputi amigo de messer Carlo da Prato
« o de li frateli (2) ».
Si voleva non solo distruggere tutto il passato di quest'uomo,
Daa quasi mettere al bando della società chiunque avesse avuto un
qualche legame con lui. Tanta era la paura ch'egli aveva lasciato
di sé, tanto lo zelo di rendere paurosa a tutti qualunque relazione
con lui ! Nel maggio seguente un'altra grida intimava a tutti co-
loro che avevano debiti con gli arrestati, di recarsi a pagarli ai
'^^^i^ustri delle entrate del principe, fra quattro giorni quelli di città,
fra otto gli altri (3). La quale draconiana intimazione, degna
^ tutto di un governo dispotico, mentre dimostra che i Manto-
vani avevano abdicato nelle mani del Gonzaga ogni loro potere,
fa anche vedere il grande sbigottimento che si era^esso nella po-
polazione per il rovescio così subitaneo e impreveduto della po-
tenza dei da Prato, e il levarsi imperioso e furente della parte a
loro contraria. Senza di che riesce difficile a intendere come i cit-
tadini quietamente si lasciassero imporre ordini cosi contrari ad
ogni norma di equità e di giustizia, come questo del dover suddi-
stare immediate al governo debiti contratti liberamente coi pri-
(') Ib. ib. e. 5.
(a) Ib. ib.
(3) V. append. n. 15.
42 GIAN FRANCESCO GONZAGA
vati. Ma forse nella parte della grida divenuta oggi illegibile vi
erano provvedimenti che ne mitigavano la durezza, e mettevano
in salvo i diritti dei debitori.
Dopo ciò il Gonzaga, in segno di pieno riavvicinamento a
Venezia, mandò oratore alla Republica Francesco Dal Bosco a
notificare il trattato scoperto, e far sapere che presso gli arrestati
si erano trovati 120,000 ducati d'oro (i). E poi a' 7 del susse-
guente maggio andò in persona a fare riverenza alla Signoria ; e
« fu onorato >. Ma questo € onorato >, messo là asciutto asciutto, la-
scia facilmente intendere che l'accoglienza non fu delle piìi cor-
diali, e il giovane principe davanti alle accigliate fronti dei po-
tenti patrizi dovette certo sentire tutto il peso della sua passata
condotta.
Il conte Carlo per qualche tempo fu guardato prigione nel
palazzo del principe, dove era stato arrestato, ma poi fu levato di
là, e chiuso lui pure in castello (2). Furono subito aperti gli esami
e svolti con tutto Ìl rigore della procedura di allora. Severissimo
fu l'isolamento de' rei, severissima la prigione, vietato ai carce-
rieri e guardiani di parlare col detenuti. Un giorno il conte Ste-
fano pregò un carceriere a fare intendere per segni al fratello Carlo
ch'egli era ancor vìvo (3). Un'altra volta lo stesso Stefano, per
levarsi dallo spasimo della tortura, accusò colpe non vere (4).
Un tal Giacomo da Riva di Trento, che era guardia nel castello,
fu scoperto mentre parlava col conte Carlo : fu subito tratto in
arresto e messo alla tortura della corda per cavargli di bocca il
segreto di quel colloquio. Ed egli tanto sotto lo spasimo della
corda che a piede libero fece questo pietoso racconto :
(1) Sanuto, Stor. l'en.in op, cit., e. 888, D. Mi sembrano un poco
troppi iso,ooo ducati. Che debba leggersi 12,000?
(2) " Prima de quindexe di in qua o cìrcha.,.. Marco da Vernic-
" chio.... ebbe a dire verso a me : lo saprei volontfcri come sta mes-
° ser Carlo 1 et Ìo gli rispose.... secondo se dice, l'è pur in quella
* volta della corte dov' el' è usato. Dopo questo.... el dito Francesco....
" mi disse io ho sentilo che messer Carlo è sta tolto della volta de corte
' et menato in castello. , Deposizione dì Boniacomo, senza data.
(3} ■ Comes Stefanus hodie sibi dixit ut deberet dicere sui parte
* domino Carolo prò intersigno quod erat vivus. . Deposizione di Gia-
* corno da Riva di Trento, 18 marzo 1415
(4) * Dixit.... ulterius quod Illa que dixerat die XXV aprilis de
' mactando domìnum numquam fuerunt vera, sed ea dixit solummodo
" timore tormenti. , Esame del 26 aprile.
SIGNORE DI MANTOVA 43
f Essendo andato nella camera del castello dove il conte Carlo
•era chiuso gli disse che aveva il permesso di andare qualche
tgiorao a casa sua ; ed allora il conte disse a lui : — Se tu volessi
• mi potresti fare im gran servizio. Io sono molto amico del ca-
tpitano di Riva, perchè ho avuto suo figlio in casa mia, e ho
• fatto a lui grande onore ed egli a me, quando fui dall'impera-
• tore. Ora io vorrei che tu gli dicessi in che termini mi trovo, e
«che sono qui chiuso per amore dell'imperatore. Se tu gli dirai
«questo, io sono certo ch*egli andrà o manderà per me dalFimpe-
« ratore, e a me ne verrà gran bene. — Rispose il soldato : — Non
imi dite altro perchè io lo direi s! miei superiori del castello, dai
«quali ho ordine di non parlare a voi, e di riferire a loro ciò che
«voi mi dite, perchè mi assicurano che altrimenti il nostro magni-
«fico signore mi farebbe impiccare. — E il conte rispose -. — Non
«dirò altro» (i). Fin qui il soldato; ma il conte Carlo, inter-
rogato a sua volta su quel discorso aggiunse che pregò il sol-
dato di portargli almeno qualche cosa per scrivere in una let-
tera la sua raccomandazione. Il soldato non rispose ma non gli
portò nulla. E "allora egli avendo a mano un sudicio pezzo di
carta qualunque, si mise a raschiare sul mattone, e avutone un
poco di polvere, Tintrise con la propria urina, e con quella spe-
cie d'inchiostro scrisse la sua raccomandazione, ma la carta in-
zuppatasi gli si lacerava fra le mani, ed egli la gettò nella sot-
tostante fossa (2). Confiscati loro tutti gli averi mobili e im-
mobili, i Da Prato erano ridotti a non avere che quel poco vestito
che portavano indosso e il mangiare che serviva la prigione : e fa
pena leggere che il conte Carlo faceva chiedere in prestito a un
suo nipote un fiorino, e pare che quel nipote non gli desse alcuna
risposta (3). Altra volta, udendo lamentarsi di sua povertà il
carceriere che era addetto alla sua persona, per renderselo amore-
vole scrisse a un amico in un pezzo di carta domandandogli in pre-
(i) Deposizione del 18 marzo 1415.
(2) V. append. n. 16.
(3) " Item dixit quod steterat iam cum Jacobo de Abbatibus et
* quod uxor sua erat una placibilis domina, et quod d. Carolus dixit :
* est mea nepiis, te rogo ut vadas ad ipsum et dicas sibi mei parte
ut volet michi mutuare unum florenum. qui dixit se iturus et tamen
nescivit qualiter fuerit quod nunquam reddidit sibi responsum. „ De-
posizione del conte Carlo, del 19 marzo 1415.
44
GIANFRANCESCO GONZAGA
stito cinque fiorini per il detto carceriere, o almeno tre sacchi di
gTcìno. E il carceriere che conosceva il tenore del biglietto si af-
frettò a farlo recapitare per mezzo di suo figlio. Ma l'amico non
volle ricevere il biglietto, e mandò dire al carceriere che non si
impacciasse di tali cose e avesse giudizio. Onde il carceriere impau-
rito fece in pezzi il biglietto e lo gettò in un mondezzaio (i).
Era già un anno che il conte Carlo giaceva nella prigione, e nulla
sapeva della sua sorte, e spesso spesso al carceriere che portavagli
mangiare ripeteva la dolorosa domanda, se nulla sapeva de' fatti
suoi (2).
Per quanto i conti da Prato fossero rei, di fronte alle attuali
loro sofferenze ogni animo gentile non può a meno di provare una
dolorosa impressione ; ma dimostrerebbe assai poco senno chi vo-
lesse far carico al Gonzaga della severità che usava contro di loro.
Così volevano i tempi ; così avrebbero fatto i fratelli da Prato al
Gonzaga se si fossero invertite le parti.
Come succede quasi sempre in tutte le congiure, uno dei com-
plici. Benvenuto de' Pegorini, che era stato intimo del conte Carlo
ed era a parte di tutfi i secreti della congiura, fosse debolezza o
viltà d'animo, svelò ogni cosa ; e agli altri, divisi com'erano, ignari
l'uno delle parole dell'altro, non rimase che confermare la con-
fessione di lui. Frate Gaspare invece nella sua lunga deposizione
scritta fa la propria difesa senza mai aggravare di una parola la
triste condizione del conte Carlo o dei fratelli. Tutto ciò ch'egli
narra aver detto o fatto per conto del ministro si può sempre in-
terpretare come detto o fatto con Tintenzìone di giovare al Gon-
zaga, sia che realmente egli agisse sempre in buona fede, come
(i) * Item dixit.... ut Zenarius qui attendebat sibi et conquerebatur
■ de inopia [ui] causam haberet sibi bene attendendum scrìpsit unam
■ litteram in uno squarzafolìo domino Antonio de Nivolonibus per quam
■ rogabat ut vellet mutuare sibi florenos quinque et ipsos dare dicto
■ Zenarìo, vel saltem tres sachos frumenti.... quara litteram asserit dic-
■ lum Zenarium dedisse ùlio ut ipsara portaret dicto Antonio et sic
■ illam portavit, quam assent d. Antonium noluisse acceptare et di-
■ xisse dicto tìlio : dicas Zenarìo ut sibi caveat a talìbus et quod sit
• sapiens et pv>st:nodum assent dictum Zenarium proiecisse dictam lit-
■ teram in camaroiu-n. , DdWd Depv^sizìone cit.
(2^ • Dani portavìsset si:n prò c-Kiiedendo, interrogavit eum si
■ sentìebat al;qi:.J de ùotis suis, , Daùa ciL deposizione che spelta al
IO n ar;o 1415, un ar.:io dv^po l'arresto.
SIGNORE DI MANTOVA 45
sostiene, o che con la sua furberia abbia saputo tenere la giu-
sta misura che era necessaria al suo scopo. Per me però stento ad
ammettere in lui piena buona fede in corso così lungo di tanti se-
creti maneggi ; e un lungo colloquio da lui tenuto col conte Carlo
^i conferma nel mio sospetto (i).
Quale esito avesse il processo non si conosce. Unica notizia
che m'abbia trovato è quella data dalla cronaca di Treviso, la quale
i^otando l'arresto dei fratelli da Prato e loro complici, raccoglie
la Voce che tutti fossero morti in prigione. Ma lo stesso cronista
accenna all'incertezza della notizia (2). Però dal fatto che il
nome da Prato non ritoma mai pivi nella storia di Mantova si può
dedurre con tutta certezza, che, se non furono uccisi, certo furono
lasciati finire nella prigione dov'erano chiusi. Del solo conte Luigi
le parole di un testimonio possono far credere alla probabilità che
riacquistasse la libertà (3) ; e infatti nella parte del processo che
ci è rimasta non apparisce mai chiaramente la sua complicità.
Ignota pure la sorte degli altri congiurati, alFinfuori di fra* Ga-
spare, di cui toccammo già (4).
(i) " Quando fra Gaspare reiurnò mo /ultima volta da lo impe-
• ratore^ returnato chel fu se strinse cum miser Carlo puro tuti duj in
• la guardacamera deli aquili e Steno a parlamento puro tuti duj per
• lo spatio da circha a doe bore, et quando 1 fu infm dela dieta guarda-
• camera e venuto in la camera degli aquili, me disse miser Carlo :
• non seti che lo imperatore manda a dire chel volle che del tuto el
■ se rompa guerra et volle chel magn, et excel, nostro vada cum tute
• le soe zente a Hostiano. „ E qui espone la proposta riferita alla nota
146, che l'imperatore trattenesse a forza il Gonzaga, e intanto i da
Prato farebbero guerra a Pandolfo.
Per dovere però di giustizia devo qui mettere le parole, con le quali
frate Gaspare chiude la sua relazione, perchè esse potrebbero indurre
nel lettore un' opinione differente dalla mia. " Haec sunt quae in com-
• munì et in particulari occurrerunt memoriae meae^super animam meam
• prò nunc. Et si aliquìd occurret in ventate sancii evangelii illud
• pienissime dicam.
" Et sum contentus stare in carceribus per tempus et tempora
" quousque peroptime investigetur si verbo si quo vel facto egi vel
• scivi quidquid contra honorem status vel personam magnifici domini
■ mei, cui humillime me recomendo. „
(2) " qui carceribus mortui dictmtur omnes praeter Carolum, qui
• ut dicitur in compedibus adhuc miserabiliter viVit. „ 1. e.
(3) Un teste nella sua deposizione ha queste parole: " Audiverat
• dici in Mantua quod comes Lodovicus cito rellaxaretur. „
(4) V. cap. II, in quest* ArcMvio, a. XXIX, p. 343.
46 GIANFRANCESCO GONZAGA
Chiudo il doloroso racconto di questa congiura con un aned-
doto. Qualche anno dopo, dovendo Paola rifornire di qual-
che apparato gli appartamenti del Gonzaga, da buona massaia,
senza venire a nuove spese, fece trarre fuori gli apparati che ave-
vano servito alle case dei conti da Prato confiscati con ogni altro
arredo loro, e fattone levare lo stemma e mettervi quello del Gon-
zaga, se ne servi tranquillamente pei bisogni del palazzo del prin-
cipe (i).
V.
Per maggior sicurezza del racconto mi è parso bene narrare
tutta di seguito la congiura dei fratelli da Prato e non interrom-
perla con le altre poche notizie che si hanno di questo tempo. Ora
tomo indietro, e raccolgo e presento in un fascio quel poco che
mi resta a dire. La prima notizia e la più importante è la nascita
del primogenito dei due giovani sposi, al quale fu imposto il nome
di Lodovico. La più parte degli storici mantovani dicono ch'egli
nascesse nel 14 14, ma è un errore (2). La data precisa ci proviene
dal Nerli, contemporaneo ai fatti, e testimonio alle nozze di Paola :
Lodovico nacque il 5 luglio del 141 2 (3). Non trovo alcuna noti-
(i) *• Francischinus recamator.... creditor.... prò mercede sua re-
" camandi arma magnifici domini nostri super apparamentis illorum de
" Prato de quibus receperat a Bonisigna.
" Bonisigna de Castrobarcho die 29 decembris 1416 est factus cre-
'* ditor.... prò expensis .... in faciendo extrari arma illorum de Prato
" de apparamentis suis et recamari illa magnifici domini nostri.... »
Appresso è notato il prezzo pagato per la fattura al detto Franceschino
e a Giovanni di Borsello. Arch. Gonz. D. XII. 8.
(2) ** Nel 14 14 a 5 di giugno di domenica nacque a Gio. Francesco
" Gonzaga un figliuolo, che nominava Lodovico, e se ne fece gran
" festa „ ; Gionta, Fioretto delle cronache di Mantova, Mantova, Ne-
gretti, p. 81. ** Poco dopo la partenza di Giovanni XXIII da Mantova
" nacque un figliuolo al sig. Giovanni Francesco, che al battesimo fu
" nominato Lodovico „ ; Donesmondi^ op. cit., lib. V, p. 36a Altrettanto
dicono il Tonelli, il Volta, ecc.
(3) " V. iulii MCCCCXII bora XII diei dominicae Ludovicus Jo-
" hannis Francisci primogenitus mundo apparuit ,> ; Nerut, Ckr. in
op. cir., e. 1082, D. L'esattezza di questa data trova conferma in una
lettera dello stesso Lodovico, il quale Tu dicembre 1463 così scriveva
al marchese Giacomo da Palazzo * quando nui se conducessemo cum
SIGNORE DI MANTOVA 47
zia sulla nascita degli altri figli, ma qualcuno di loro certo seguì a
breve distanza il primogenito, perchè sul principio del 1414 nel
processo della congiura più volte è ricordata l'intenzione che ave-
vano i fratelli da Prato di arrestare e chiudere nel castello di Man-
tova Paola coi figli (i).
Il 28 di marzo del 141 3 bruciò il palazzo della Ragione, e in
quell'incendio andò perduto Tarchivio della città, che fu daimo
incalcolabile (2). E qui non posso a meno di ricordare ancora
una volta la mancanza assoluta di critica imparziale, che s'incon-
tra per tutto questo tempo negli storici mantovani. Essi accusano
di quest'incendio Carlo Malatesta, il quale avrebbe commesso que-
sto delitto, come dice uno di essi, tper distruggere tutte quelle
«carte dalle quali potevano risultare prove dell'autorità e maggio-
•ranza del generale Consiglio e del corpo publico dei cittadini
«mantovani sopra del loro capitano generale (3)1. Contro la
quale stupida accusa, o meglio calunnia, basta ricordare che a que-
sto tempo il Malatesta era in rotta completa col Gonzaga, e già
correva il secondo anno che aveva lasciato Mantova per condurre
la guerra di Venezia contro l'imperatore Sigismondo. Lo storico
Maffei invece per poco non gode di quell'incendio, vedendovi un
misterioso presagio della futura grandezza di Giani rancesco ! (4).
Nello stesso anno 141 3 ebbe principio il bel campanile di
S. Andrea per opera dell'abate Giovanni da Como (5).
Secondo gli storici mantovani nel 141 4 o in quel torno, per
* la exc. sua [il duca di Milano] ne ritrovavemo de XXXVIIJ anni,
* hora habiamo passati li LI. „ (D. III. 18). Ora dal 1463 sottraendo
51 si scende appunto all'anno 1412.
(i) V. nota 2 a p. 36.
(2) " Septimo anno [1413] XXVIII martii Palatium juris combu-
* ritur I, ; Nerli, Chr,, in op. cit., e. 1082, D.
(3) ToNELLi, Ricerchi storiche di Mantova^ voi. II, p. 284.
(4) * S'egli è vero quel che piacque agli antichi e significò Vir-
* gilio nella persona del giovinetto figlio d' Enea, che il foco tacita-
' mente predice imperii e grandezze, non parve a certi ingegni curiosi
* senza misteri© e presagio del glorioso dominio di Gio. Francesco,
* che Tanno seguente il foco s'accendesse.,., nel Palagio della Ragione,
* e nell'Archivio de' Pubblici Istrumenti „ ; S. A. Maffei, Annali di
Mantova^ lib. X, cap. VII.
(5) • Septimo anno [1413] .... XI mali per hunc ipsum abatem
' [Giovanni da Como] campanile S. Andreae initiatur „ ; Nerli, Chron,,
in op. cit., e. 1082, D.
48 GIANFRANCESCO GONZAGA
spontanea dedizione vennero sotto il dominio dei Gonzaga
Ostiano, Isola Dovarese e Rivarolo (i). Riferisco semplicemente
la cosa, non avendo trovato alcun documento né in favore né con-
tro la loro asserzione.
Nell'anno 141 5 due sole volte ritrovo nelle memorie del tempo
il nome di Gianfrancesco, una tra le feste di Venezia, l'altra in
una piccola spedizione militare. La mancanza di altre notizie mi
consiglia a prender nota anche delle feste, tanto più che danno
prova sicura della piena pace ritornata fra il Gonzaga e Venezia ;
e per nulla togliere al colore locale del racconto lascerò la parola
allo stesso cronista che ce lo ha treimandato : ma lo abbrevio alcun
poco, perchè nella sua interezza diverrebbe troppo lungo. Si era
fatto a Venezia nuovo doge, e secondo l'uso le Arti il 25 aprile
celebrarono con grandi feste quell'avvenimento. A codeste feste
presero parte diretta insieme il marchese di Ferrara e il signore di
Mantova, t Quello di Ferrara, dice il cronista, si presentò sulla
€ piazza di S. Marco con una bellissima compagnia di circa 200
€ cavalli tutti coperti con divise e sopravesti, e con paggi con sue
«divise. Dall'altra parte venne il signore di Mantova con la sua
«compagnia pel simile bene in punto di tutte le cose, che era un
«bel vedere tanti cavalli sulla piazza con diverse divise ed oma-
« menti. E questi di Mantova furono 260 cavalli, i quali attomia-
«rono tre volte la piazza. Poi.... incominciarono il tomeamento....
«con 14 per parte bene armati.... Di poi nella domenica a 28 di
« aprile fu fatta sopra la detta piazza la giostra, la quale fu una
« notabil cosa da vedere. E massime venire questi signori in piazza
« colle loro compagnie e con diverse divise e di grande spesa. Erano
« assaissimi forestieri in Venezia venuti perchè s'approssimava la
«Ascensione. E fu stimato in quel giorno sulla piaza da per-
«sone cinquanta in sessantamila. E le dorine stavano a vedere
«su' solai. E a ore 19 venne in campo il marchese di Mantova con
«XI giostratori e con lui Bernardo Morosini con assai nobili no-
«stri, che l'accompagnarono.... Poi verme il marchese di Ferrara
« con quattordici giostratori, e cosi avendo attorniato la piazza, fu
«dato il prezzo della collana d'oro.... E tutti gli orefici e gioiellieri
«a cavallo bene in ordine, circa 200, accompagnarono quello che
«ebbe il premio per la terra con grandi suoni (2)».
(i) Platina, op. cit, lib. V, p. 799. E così gli altri storici mantovani.
(2) Sanuto, op. cit., e. 894-95, E.
SIGNORE DI MANTOVA 49
La spedizione militare portò alla conquista di Viadana. Que-
sta città fin dal secolo duodecimo era stata tranquillamente sog-
getta al dominio dei Cavalcabò ; ma in questi ultimi anni, resosi
il loro governo esoso e insopportabile a tutti, i cittadini fe-
cero intendere al Gonzaga di voler essere suoi. Ma come la loro
volontà non bastava contro la forza dei signori, che li teneva ben
guardati e fermi, Gianfrancesco d'accordo con loro ebbe la città
di sorpresa. Ecco in succinto come il fatto è raccontato dal Pla-
tina. Correva il giorno i8 di giugno e la popolazione secondo
l'usato era uscita a un vicino santuario per solennizzare una festa.
Alla sorpresa era stato scelto quel giorno, nelPora in cui maggiore
fosse il concorso attorno al santuario. Il Gonzaga, messo assieme
il numero d'uomini, che gli parve necessario al bisogno, di cheto,
nel silenzio della notte si accostò a Viadana, e appostossi a tre mi-
glia dalla città. Le cose erano bene acconce co' suoi fautori, e la
popolazione più numerosa del solito era stata spinta ad uscire verso
il santuario, e un solo pensiero pareva dominarla tutta, divertirsi
e godere la festa. Questa generale spensieratezza e allegria rese
meno accorti quelli che erano addetti alla guardia della città ;
cólto il momento i mantovani appressatisi alla città si gettarono
improvvisi sulle porte e avutele in loro potere facilmente s'impa-
dronirono di Viadana (i).
Cosi il Platina. L'Equicola però scrive che la conquista fu
fatta per forza d'arme (2) ; e il Parazzi, nella storia che ha scritto
della sua città, rinforza d'argomenti questa seconda narra-
zione (3). A me pare che le due narrazioni abbiano ciascuna solo
una parte di vero, e che la verità intera s'ottenga coll'unirle e met-
terle d'accordo fra loro. Il Gonzaga ebbe Viadana il giorno 18 lu-
glio 141 5, e subito il giorno dopo i capi-famiglia non solo di Via-
dana, ma di tutto il dominio dei Cavalcabò, in numero di oltre due
terzi della loro totalità, si raccolsero nella piazza maggiore di
quella terra, per prestare al Gonzaga il giuramento di fedeltà ;
come è attestato da solenne atto notarile, che esiste ancora nel-
l'archivio Gonzaga (4). Ora guardando a codesto istrumento
(i) Platina, op. cit, e. 799-800, E.
(a) Eqoicola, op. cit., p. 139.
(3) Ant. Parazzi, Origini e vicende di Viadana, Viadana, Remagni,
1893. voi. I, p. 137.
(4) Rubn B. XVII.5.
Arch Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXV a
^ ' GIAN FRANCESCO GONZAGA
io non veggo in esso un atto di umiliante soggezione del vinto
verso il vincitore dopo la sua completa vittoria ; ma sì un lìbero
atto di consciente risoluzione che prende un popolo sulle proprie
sorti. E invero di 40 articoli, quanti ne contiene quell'istrumento.
non ve n'ha uno che apparisca imposto dal vincitore ai vinti ;
tutti invece sono volti a confermare i diritti e privil^i dei Via-
1
SIGNORE DI MANTOVA 5I
la cosa è spiegabilissima se viene dai Viadanesi. Essi erano nati
e cresciuti nelFamore e nell'obbedienza ai Cavalcabò, e se ora s'in-
ducevano ad abbandonarli, era la necessità delle cose che ve li co-
stringeva. Le passate sventure avevano ridotto i Cavalcabò a pes-
simo stato, ed essi per rialzare le loro sorti opprimevano d*incre*
dibili gravezze il feudo. Basti questo particolare ricordalo dal
Parazzi, che, essendo insorte fra loro gravi discordie, il capo della
casa riscoteva le solite contribuzioni senza fame parte alcuna agli
altri condomini ; e questi per rifarsi del danno invadevano il reudo
per conto loro e costringevano a capriccio i sudditi a soddisfare
anche ad essi il loro debito di contribuzioni (i). Da ciò la di-
sperazione dei Viadanesi, e la necessità in essi, non avendo altro
scampo, di acconciarsi al dominio dei Gonzaga.
Tutto questo secondo me dice apertamente e chiaramente che
i Viadanesi di propria spontanea volontà si diedero al Gonzaga ;
e le condizioni consacrate in publico istrumento nell'atto che pre-
stavano il loro giuramento al nuovo signore, erano i patti già con-
venuti prima con lui, con i quali essi accettavano di passare sotto
il suo dominio.
Ma queiristrumento parla di guerra, che allora si combatteva,
di prigionieri, di bottino, di danni e di distruzioni. Come va d'ac-
cordo con questo una dedizione spontanea ? Ecco, io credo che la
guerra fosse intimata dal Gonzaga per mascherare l'accordo già
stretto coi capi del movimento, e per attirare fuori di Viadana le
forze nemiche, e cosi, indebolendo la sua guarnigione, rendere più
sicuro e più facile il colpo di mano che si era preparato. Né fa
ostacolo a questo la spensierata allegria della popolazione il giorno
della festa ; perchè è chiaro che era procurata ad arte per addor-
mentare i signori ; né lo stato di guerra col Gonzaga doveva far
ombra, dovendosi naturalmente supporre che si era indotta la per-
suasione essere in quel momento tutto intomo a Viadana piena-
mente tranquillo e sicuro. Riuscito il colpo, subito immediatamente
&^orno dopo, prima che il Gonzaga avesse tempo a consolidarsi
nuovo dominio, i Viadanesi vollero essere assicurati per pu-
lico istrumento delle condizioni sotto le quali avevano pattuito
u f .^ *^rrae Vitalianae, et forensium repertorum in dieta terra, et
• «• u^^ Vitalianae, et quod cum suis bonis, et rebus generaliter pos-
im libere facfere, et tute recedere prò libito. „
U) Parazzi, op. cit, p. 137.
52 GIANFRANCESCO GONZAGA
la loro spontanea dedizione ; e il Gonzaga confermò solennemente
la sua promessa. Chi ben guarda, anche il racconto dell'Equicola
si riduce a questa mia interpretazione, perchè egli dice che tVia-
cdana domandò il Gonzaga per signore, e volendolo i Cavalcabò
€ proibire furono cacciati per forza d'arme •. Infine non bisogna
dimenticare che il racconto della dedizione spontanea ci viene dal
Platina, il quale nacque soli sei anni dopo quell'avvenimento e
fu nativo di Piadena a pochi chilometri da Viadana ; sicché si può
ritenere per cosa quasi certa che il racconto di quel fatto egli lo
abbia avuto a viva voce da quei medesimi che ne erano stati testi-
moni e parte.
Nell'anno seguente 1416 trovo registrata l'annua provvisione
che si passava a Paola. Non conoscendosi l'esatto ragguaglio della
moneta di quei tempi con la nostra, non è possibile intenderne il
valore preciso. Ma si può fare un calcolo approssimativo, e tenen-
doci pur larghi bisogna convenire che i Mantovani non avevano
certo a lamentarsi che la loro signora spendesse troppo. La pro-
visione era di L. 12,600 annue (i). Naturalmente questa era la
provvisione personale normale; ad altre spese straordinarie si
provvedeva caso per caso secondo i bisogni. Così ad esempio fa-
cevasi per la cura dei bagni, perchè Paola era di costituzione fisica
poco felice, e ogni anno aveva bisogno di andare a questo luogo di
bagni ed a quello, per domandare un sollievo all'efficacia delle
loro acque L'anno corrente andò a Petriolo in quel di Siena in
compagnia di suo padre Malatesta (2). I figli avevano anch'essi
ciascuno la propria provvisione, conveniente all'età. Cosi nel 141 8
trovo registrata per la piccola Caterina una provvisione di
L. 12 (3).
Nella prima metà di quest'emno 1416 Gianfrancesco (non è
detto il perchè) andò nelle parti di Romagna, che vuol dire pro-
babilmente Pesaro secondo l'espressione usata nei documenti an-
(1) Arch. Gonz. Registro delle spese, pacco II. D. XII. 8; Vedi
app. n. 15.
(2) ■ Pro expensis factis..... prò domina nostra quando ivit ad
" balnea Petrioli cum.... patre suo a die XX februarii 1416 usque ad
• diem lertium septeinbris dicti anni.... Summam quae ascendit ad du-
• catus 1640.... L. b. 151, sol. 2. parv. , Ib., p. 42.
(3) " Item de quibus d. Caterina domini est facta creditrix in isto
• pibro], car. 60, prò ejus provisione totius anni 1418 in ratione sol.
• XX. parv. 17 mense capit. L. 12. »
SIGNORE DI MANTOVA 53
che quando andò in quella città a sposare la Malatesta. Prendo
nota di questa assenza da Mantova, non per alcuna importcìnza
che avesse, ma perchè ci mostra come l'esperienza fatta col conte
Carlo da Prato aveva portato buon frutto, perchè il Gonzaga,
per provvedere durante la sua assenza al buon andamento del go-
verno, si guardò bene dall'affidare a chicchessia i pieni poteri della
luogotenenza ; ma invece concesse facoltà straordinaria ai giu-
dici, massari, vicari, capitani, etc, a ciascuno nella cerchia delle
proprie attribuzioni fino al giorno del suo ritomo (i).
Sul finir dell'estate lo troviamo con le sue truppe in una spe-
dizione militare contro Braccio da Montone. Questo celebre ca-
pitano volle rendersi signore di Perugia, ma i Perugini, alieni da
gettarsi sul collo quel giogo, si prepararono a valida difesa. E
come da soli non avrebbero potuto contro di Braccio, assoldarono
con buon nerbo di truppa Malatesta da Cesena. Ma in quel frat-
tempo egli cadde malato, e allora parti in sua vece in aiuto dei
Perugini il fratello Carlo (2). Braccio, che già teneva assediata
Perugia, si volse a impedire che le forze nemiche si congiungessero,
e come sentì che Carlo era vicino, levò prestamente l'assedio, corse
incontro al riminese con tutto il suo esercito e lo provocò a bat-
taglia. E Carlo, o fosse soverchia baldanza nelle proprie forze
o necessità ve lo spingesse, accettò la sfida, quantunque si ve-
desse in luogo svantaggioso e con forze inferiori al nemico. Ven-
nero alle mani il 12 luglio e la battaglia durò quasi otto ore, e
vi furono fatte memorabili prove di valore da una parte e dall'al-
tra. Ma il numero finalmente die' causa vinta a Braccio, e Carlo
non solo ebbe rotto e sgominato tutto il suo esercito, ma vi rimase
prigione egli stesso, e con lui Galeazzo Malatesta di Pesaro, fra-
tello di Paola, e la più parte degli altri ufficiali e dell'esercito.
Dopo questa vittoria Braccio ebbe subito Perugia, e avuta questa
si volse contro le terre dei Malatesta per fare sue vendette e al-
largare il dominio. Pandolfo, com'ebbe sentito la prigionia di
Carlo e il pericolo che correvano le loro terre, fece subito pace
col Visconti contro cui guerreggiava, e corse con tutti i suoi ad
arrestare l'avanzarsi vittorioso dei Bracciani, e chiamò a raccolta
(i) Libro degli Statuti, rubr. 36, e. 221 v. Il decreto è in data
19 marzo 1416.
(2) Cfr. Chron, Arimin, in Muratori, /?. /. S., XV.
54 GIANFRANCESCX) GONZAGA
quanti aveva alleati ed amici per aiutarlo (i). Anche Gianfran-
Cesco partì chiamato dal doppio vincolo della parentela e della
gratitudine, e traisse seco un corpo di Mantovani tanto a pie' che
a cavallo (2). Con questi prese parte all'assalto di Rocca Con-
trada, e vi fece co' suoi belle prove di valore (3). Ma vi per-
dette il migliore de' suoi capitani, ed egli stesso vi fu ferito in
una coscia (4). I Bracciani però furono respinti, e il giovane
mantovano, risanato della sua ferita, fu dal Malatesta lodato in
publica concione davanti ai soldati, e donato del premio dei va-
lorosi, che usava allora, una corazza, un cavallo, e una spada (5).
Il conte d'Arco leva dei dubbi su questa parte attribuita al
Gonzaga nella spedizione di Pandolfo contro Braccio, perchè non
ne trova fatta menzione in nessuna memoria del tempo (6). lo
ho dett# poco fa a proposito di Viadana quello che mi pare debba
credersi, quando il racconto si aggira sopra un fatto avvenuto
sotto gli occhi per così dire di tutti. Quello che ho detto per Via-
dana vale anche di più per questa spedizione. E' vero che nessuna
storia del tempo ci parla dell'intervento del Gonzaga; ma che
importanza aveva allora quel giovinetto di fronte a un Pandolfo
Malatesta? Le poche forze del Gonzaga si confondevano fra le
molte, che traeva seco il famoso signore di Brescia.
E mentre nulla si oppone alla virisimiglianza del fatto,
tutto concorre a darlo come indubitabile. Il Gonzaga con
la sua spensieratezza aveva mortalmente offeso non meno lo zio
(i) Campanus, Vifa Brachii in Muratori, R. L S., XIX, e. 52 B;
BoNiNCONTRi, AnnaleSy ib., to. XXI, 11 1, G; Cronicon Eugubinum, ib.,
e. 958, D.
(2) " Jo. Franciscus.... lectissimorum equitum ac peditum centu-
" rias aliquot et cohortes scribit, quibus sequenti anno (1416) militiam
" et auspicia Malatestae, inclyti ea tempestate ducis, secutus, cum Brac-
" chium ex agro Piceno pellere conaretur, virtutis et probitatis magna
" indicia prae se tulit „ ; Platina, op. cit., e. 800, A.
(3) Rocca Contrada, oggi Arcevia, in provincia di Ancona.
(4) 11 capitano rimastovi morto fu Paolo da Riva, mantovano. Vedi
Volta, op. cit., lib. VII, p. 99.
(5) " Dum oppugnaretur Rocha contrata.... in sinistrum crus grave
" vulnus accepit. Perductus deinde post sanatum vulnus in concionem
" militum, a Malatesta. gravissima oratione laudatus est, ac militaribus
" muncribus, thorace, equo, ense donatus „ ; Platina^ op. cit., e. 800, B.
(6) D'Arco, Dei dominatori Gonzaga^ ecc., voi. IV, p. 22.
SIGNORE DI MANTOVA 55
Carlo che lo zio Pcindolfo. Ora ch'egli era rientrato nelle grazie
di Venezia (e il torneo e la giostra a cui prese parte nella piazza
di S. Marco ne sono prova sicura) con sollecitudine non minore
doveva provare agli zii il cambiamento avvenuto nell'animo suo.
E quale occasione poteva desiderare migliore di questa, di correre
in compagnia di uno di loro per salvare l'altro? Aggiungi che
fra i prigionieri di guerra v'era Galeazzo fratello di Paola. Po-
teva Gianfrancesco guardare indifferente la disgrazia del cognato?
Ma v'è di più, che Braccio inorgoglito della sua vittoria, appena
presa Perugia, si era volto contro i Malatesti, e primi a sentir
l'urto delle sue schiere vincitrici furono appunto i Malatesti di
Pesaro. Davanti al pericolo dei cognati e del suocero poteva Gian-
francesco restarsene inoperoso ? E dove pure l'avesse potuto, Paola
non sarebbe riuscita a scuoterlo e spingerlo a difesa dei fratelli
e del padre?
Per me dunque resta indubitabile la spedizione in compa-
gnia di Pandolfo contro Braccio da Montone ; e ciò ammesso, non
trovo motivo a mettere in dubbio la bravura di Gianfrancesco a
Rocca-Contrada e la sua ferita, poco curandomi se lo storico abbia
un poco caricato le tinte ad onore del suo signore (i).
Il 141 7 ci è avaro di qualunque notizia, chi non voglia fer-
marsi a raccogliere i piccoli fatti dell'amministrazione ordinaria,
come ad esempio un decreto del 7 febbraio, col quale si ordina di
volgere alla conservazione e riparazione del ponte dei Molini e
di quello di S. Giorgio certe tasse ed entrate, che prima si vol-
gevano alla cassa del Comune o alla cassa del principe (2). Fuori
di questi piccoli fatti d'amministrazione non ho trovato altro che
meriti di essere ricordato, se non la morte dello storico Aliprandi,
€ la nomina del nuovo vescovo di Mantova.
Il nuovo vescovo fu Giovanni degli liberti canonico della
cattedrale. Questo Giovanni, dal processo dei conti da Prato ap-
(0 Nel registro delle spese dei Gonzaga, pacco III, D. XII. 8,
0 la data del 9 giugno 1417 è notata la compra di 32 braccia di
uto azzurro in ragione di due ducati e un quarto per braccio, che
. ^ ^'egalò « Johanni Galeaz et abati prò nunciamento relaxationis
chM^f ^^^^^^ Caroli et Galeaz de MaJatestis. . cioè per la notizia
H*.ii« ^ " PO'tata da quei due che Carlo e Giangaleazzo erano usciti
^<^«a pngionia di Braccio.
(2) Libro degli Statuti, rubr. 38, e. 222.
L.^
56 GIANFRANCESCO GONZAGA
patisce essere stato uno degli uomini più autorevoli ed influenti
a persuadere il Gonzaga del pericolo che correva nella sua cieca
fiducia pel conte Carlo (i). E forse il ricordo delFopera di lui
in quei tristi giorni contribuì alla sua elevazione alla dignità epi-
scopale. Secondo il giure ecclesiastico dì quel tempo la nomina
fu fatta dai canonici del duomo, e quindi mandata a! patriarcato
di Aquileia per l'approvazione ; e come il patriarca era assente
perchè andato al Concilio di Costanza, l'approvazione fu data dal
Capitolo patriarcale (2).
Il 1418 c'invita a nuovo splendore di grandi feste, e ci mo-
stra Mantova divenuta per qualche tempo la città più frequentata
di forestieri che avesse allora l'Italia. Ma qui mi è necessario ri-
pigliare le cose al punto in cui le ho lasciate, quando Giovanni
XXIII nel febbraio del 1414 si parti da Mantova e tornò a Bo-
logna-
Trattandosi di fatto notissimo pochi sommari cenni sono suf-
ficienti. Riunitosi il Concilio a Costanza, esso deliberava che tutti
e due i papi, che si contendevano l'altissimo seggio, vi rinunzias-
sero. Giovanni XXIII fìnse acconsentire, ma colto il momento op-
portuno, fugg),e ricoveratosi in luogo sicuro volle smentire le sue
concessioni. Mal gliene incolse: che l'imperatore il fé prendere e
imprigionare. Questa caduta di Giovanni XXIII trasse con sé la
rinunzia di (Jregorìo XII : mentre Benedetto XIII rimaneva in-
flessibile Ma il vecchio de Luna era solo oramai ; e la sua oppo-
sizione non impedì che Martino V fosse l'ii novembre 1418 eletto
in vero pontefice. Colla nomina del Colonna lo scisma era finito e
il Concilio si sciolse
Chiuso il Concilio il nuovo papa si mise in cammino verso
l'Italia, e Ìl suo viaggio fu un continuo trionfo per ti giubilo uni-
versale di tutti i fedeli, che finalmente si fosse riusciti a togliere
dalla Chiesa lo scandalo e la sventura di quello scisma. Fu a
Berna, a Ginevra, a Torino, a Milano, e da per tutto erano feste
e allegrezze vivissime.
(i) ° Item UDO di me abate in la camera onde 'era malato mìser
' Carlo et erige tuli soj fratelli, et ave a dire.... el conte Francescho : e
" ve voglio dire ci me puro latrato un poco de suapecto deli fati do
* miser Zoanne che! non abia menare qualche tella. . Deposizione di
Benvenuto de' Pegorini, senza data.
(a) DoNESMONDi, op. cìt., lib. V, p. 36cv6i>
SIGNORE DI MANTOVA 57
Lungo il cammino, il 7 settembre, fu deciso che il pontefice
andrebbe per il momento a mettere sua sede in Mantova (i).
Egli era diretto a Roma, ma le condizioni di quella città, e di
tutto in genere lo stato pontificio, lo consigliarono a soprastare
alcun poco per prendere gli opportuni provvedimenti, prima di
avventurarsi nella selva selvaggia de' suoi stati, dove tutto era
rivoluzione, tradimenti e guerre. Le passioni del secolo vi avevano
avuto materia speciale a divampare in incendi assai più che al-
trove per le condizioni incerte e precarie di chiunque sedeva sulla
cattedra di S. Pietro, e di quella incertezza avean saputo trarre
profitto i principi e le repubbliche vicine, i signorotti sparsi per
lo stato, e i capitani di ventura.
Ora Mantova m^lio di qualunque altra città si presentava
al pontefice come stanza comoda e sicura per una temporanea re-
sidenza, e quella che meglio rispondeva a* suoi intenti. Mantova
godeva allora fra le città d'Italia fama invidiata di pace e di tran-
quillità. Oltre a questo essa era di una sicurezza che non aveva
l'eguale per la forte sua posizione, e perchè, posta in mezzo fra
il ducato di Milano e la republica di Venezia, acquistava sicurezza
dal fatto stesso di quei due grossi vicini, perchè ognuno di essi
vegliava geloso che non l'avesse l'altro. Cosi il pontefice vi po-
teva trovare una libertà negli atti suoi, che difiìcilmente avrebbe
trovato altrove, contro la ingerenza ed influenza clje la politica dei
grandi stati nel lungo periodo dello scisma si era abituata a far
pesare sul governo della Chiesa. A tutto ciò si aggiungeva che
questa città era vicina agli stati della Chiesa, e perciò comodissima
al pontefice per vegliare di qua sopra i loro bisogni, e farvi quei
provvedimenti che fossero del caso.
Giunto a Mantova l'avviso della venuta del sommo ponte-
fice e della lunga permanenza che vi farebbe, fu subito un grande
affaccendarsi per preparare quanto occorreva. Una grida del giorno
20 settembre annunziava al publico la nomina di una commissione
presieduta dal vescovo per provvedere gli alloggi : ad essa facesse
la denunzia chiunque aveva stanze, alloggiamenti, ecc., per la
Corte pontificia e f)er gli attesi forestieri. Il giorno 24 una nuova
grida sospendeva tutte le leggi che regolavano l'introduzione dei
viveri e delle biade nella città, e si annunziavano inusitate lar-
(i) Pastor, op. cit, voi. I^ p. 161.
58 GIANFRANCESCO GONZAGA
ghezze non meno ai forestieri che ai cittadini, i quali concorres-
sero a fornire la città di grani, vini, carni, fieni e di quanto poteva
occorrere al mantenimento della moltitudine che vi si aspettava.
La grida incominciava così :
e Da parte del magnifico et excelso nostro signore, etc, fi no-
c tificado a zaschuna persona, comò per grazia del onipotente Dio
€ circa lo principio del mese de otobre proximo sera ne la dita
tcitade de Mantoa lo santissimo padre et signore nostro papa
€ Martino quinto lo quale per la sua grazia farà residentia ne la
• dita dtade per quello tempo che parerà ala sua sanctitade. E
• azo che zascheduno sapia quello che si hano a fare in fomirse
• de vituale per poter ben sovegnire ala corte de quello e qualun-
• que segua quella fi declarado che la intentione del nostro pre-
• fato signore si e.... ecc. (i)i. E qui seguono parecchi articoli in-
dicanti le nuove larghezze per l'introduzione di vettovaglia nella
città.
Dell'affannarsi in preparativi nella casa del principe rimane
traccia in una nota di pagamento per alcune poltrone ordinate ap-
punto per quella venuta (2).
Martino V fece il suo ingresso in Mantova il giorno 29 ot-
tobre del 141 8 (3).
Le feste che abbiamo veduto fare alla venuta di papa Gio-
vanni XXIII mi dispensano dal parlare di quelle che furono cele-
brate per la venuta di Martino V. Solo vuol essere notata la grande
differenza che presentavano i due personaggi. Giovanni XXIII era
si riconosciuto dai Mantovani e da tutti i paesi qui dattorno come
vero e legittimo successore di S. Pietro ; ma altri due papi vanta-
vano il medesimo nome e i medesimi diritti, e avevano anch'essi
al loro seguito ferventi cristiani, che ne sostenevano e veneravano
l'autorità suprema. Martino V invece si presentava come pontefice
(i) Gridario, F. I. 3, e. 8.
(2) " XXVI octob. 1418. M.ro Jacobino de Papia caligario prò fac-
** tura scranearum quinque factarum sive capertorum de veluto et dal-
** maschino de mandato domine prò adventu sanctissimi domini et aliorum
** magnificorum dominorum, in racione L. 3 prò qualibet. „ Arch, Gonz.
D. XII. 8, pacco III.
(3) * Duodecimo anno [1418] Marlinus V . . . . Mantuam maximo
** cum gaudio XXIX, octobris solemniter inlroivit „ ; Neru, op. cit.,
e. 1084, A.
SIGNORE DI MANTOVA 59
unico di tutta la cristianità, veniva nunzio della sospirata pace
universale della Chiesa, trionfatore della guerra atrocissima, che
per tanti anni aveva dilacerato il gregge di Cristo. E però se
a* tempi di papa Giovanni le vie di Mantova si trovarono strette
alla folla della minuta gente e della mezzana, che dalle terre con-
finanti erano accorse a vedere e venerare il pontefice ; più mera-
viglioso spettacolo si vide con papa Martino nella quantità di
ambasciatori e di principi, che qui vennero a riconoscere e salutare
il padre comune di tutti i cristiani (i).
Non è del mio compito dire ciò che qui fece Martino V nel-
l'interesse religioso della cristianità o in quello politico degli stati
della Chiesa. Per quanto riguarda la storia di Mantova non ho a
ricordare che due sole cose, l'una, il Capitolo generale, che in quel
frattempo si tenne a Mantova dall'Ordine Francescano, del quale
il Gonzaga volle liberalmente sostenere le spese (2) ; Taltra, rac-
cordo concluso 'della guerra, che ardeva fierissima tra Filippo
Maria Visconti e Pandolfo Malatesta. La casa Visconti per un
fortunato ripetersi di favorevoli circostanze era andata pian piano
rialzandosi dalla precipitosa sua caduta, e Filippo Maria con Tarte
e con la forza andava richiamando e riunendo all'avito dominio
i luoghi che se ne erano distaccati. Era venuta dunque anche la
volta di Pandolfo Malatesta, che di quel dominio aveva avuto
Bergamo e Brescia. Pandolfo lottava con tutta l'arte e l'audacia
di cui sapeva disporre, ma troppo nelle sue forze era inferiore a
quelle del Visconti, perchè non dovesse soccombere. Martino V,
intercedente il giovane Gonzaga, si mise di mezzo fra i due guer-
reggianti, e li condusse a questo accordo ; che Pandolfo ritenesse
(1) *• Abiens Mantua Pontifex, subsequentibus omnibus ferme Ita-
■ liae principibus, qui Mautuam ad salutandum hominem de more con-
* venerant „ ; Platina, op. cit, e. 801. A. Di citazioni parziali sul
gran concorso dei personaggi che fu allora qui in Mantova ricorderò
questa della cronaca di Gubbio : " L'anno 1418 del mese di novembre
* partì da Urbino il sig. conte Guido con bella e gran compagnia per
* andare a Mantova a visitare il detto papa Martino „ ; Muratori, /?. /. S.,
XXI, e. 959, B.
(2) ** Celebrata sunt hoc anno [1418] comitia generalia in urbe
* mantuana praesente pontifice, sumptus liberaliter ministrante Johanne
" Francisco, urbis principe. Quid hic factum aut decretum non liquet
* perditis actis capituli „ ; Wadding, Annales mmorum, to. V, p. 121.
6o GIANFRANCESCO GONZAGA
liberamente Bergamo e Brescia ; ma alla sua morte, non avendo
esso figli, le due città tornassero al Visconti (i).
Martino parti da Mantova il 2 febbraio del 1419, e nella sua
partenza gli facevano splendido corteggio i principi di quasi tutta
Italia che erano venuti a Mantova a fargli riverenza (2).
Durante la permanenza sua in Mantova nel mese di decembre
141 8 mori al Gonzaga una bimba di nome Caterina (3). Ne
prendo nota per avere occasione di ricordare i suoi figli. A questo
tempo ne aveva quattro, Lodovico, Carlo, Margherita, Caterina,
Pare che nel 1419 la moglie gli partorisse un*altra bimba, in cui
fu rinnovato il nome della piccola morta ; ma anche questa do-
vette morire, perchè non se ne trova più memoria (4).
La venuta dei due papi dovette naturalmente portare ai Gon-
zaga spese gravissime, perchè il decoro della casa e della città
volevano non si guardasse in tali occasioni a tenersi stretti. Ma
non può esser dubbio che se grandi furono le spese, corrispondente
per lo meno dovette essere il guadagno che ne venne alla città
dallo straordinario concorso di forestieri e dal movimento conti-
nuo che essi qui portavano ; senza dire del nome e dell'onore che
Mantova ne acquistava presso gli altri popoli. Ma se qui Gian-
francesco metteva a buon frutto il suo denaro e quello del suo
popolo, in altre cose, munifico di natura e splendido come tutti i
Gona^aga, più che non potevano le sue forze pare assecondasse
lo spirito del suo secolo, il quale, quando non aveva terre e città
da disertare ed uomini da spingere a reciproca strage, voleva
feste, giostre, tornei e sontuosità di abiti e magnificenza di pa-
lazzi e di chiese. Di questa soverchia facilità a spendere qualche
storico mantovano ha fatto a Gianfrancesco grave appunto, men-
(i) CoRio, Storia di Milano ^ par. IV, p. 730; Platina, op. cit,
e. 800, D.
(2) ** Tertiodecimo anno [1419] idem [Martinus V] februarii II die
** Mantua recedens Florentiam adiit „ ; Nerli, op. cit. e. 1084, A. Pel
corteggio ricorda il " subsequentibus omnibus ferme Italiae principibus ^
della nota 210.
(3) ** Pro acubus emptis prò obìtu magn. d. Caterinae nate do-
* mini 24 decembre 1418. „ Dal registro delle spese del Gonzaga,
pacco III. D. XII. 8.
(4) " Pro federando unam cameratn prò magnìfica domina Ca-
** terina, ult. aprilis 1419. Ibid. „ Suppongo si tratti di una figlia, ma
non è escluso il caso che trattisi di altra signora di nome Caterina.
SIGNORE DI MANTOVA 6l
tre ricorda con lode il nome di Paola, che quanto potè avrebbe
cercato di fare argine alla soverchia liberalità del marito. Quan-
tunque le accuse non si appoggino ad alcuna prova di fatto, non
le credo lontane dal vero, perchè le frequenti assenze di Gian-
francesco da Mantova lasciano supporre moke spese ; e la di-
stretta gravissima di denaro in cui si trovò lo stato, accusa aper-
tamente un dispendio poco giudizioso delle pubbliche rendite. E
che Gianfrancesco peccasse veramente di prodigo me lo fa cre-
dere anche una sua letterina che ho trovato nelParchivio Gon-
zaga. Essa è diretta a Paola, e porta la data di Goito, 25 agosto
141 8, quando Mantova aveva pace da molti anni, né apparisce in-
dizio da nessuna parte che in quel momento occorresse denaro per
l'urgenza di qualche lavoro. Come la lettera è brevissima la ri-
porto nella sua integrità : t Paula, per Dio tenete ogni bon modo
iche ne sia possibele de retrovar quelli dinari, perchè, comò più
ice aguardo sovra, tanto più ne par che i siano de bixogno, e
f quando i ne mancazeno, i seria el più impaciado omo del
«mondo (i)i. Forse io m'inganno, ma da questa lettera mi pare
di scorgere in Gianfrancesco assai viva la passione dello spen-
dere, e quindi il continuo bisogno di denaro, mentre Paola, di-
venuta cassiera ed economa del marito, la veggo mettere avanti
scuse e pretesti per resistere alle pressanti richieste di denaro che
egli le andava facendo. Del resto anche più avanti, quando Gian-
francesco sarà a capo di eserciti, tutto assorto nelle cure della
guerra, la sollecitudine di provvedere denaro per lui e per le
tnippe la vedremo sempre assegnata a Paola. Ma molto probabil-
mente i tempi tristissimi che vennero poi, non meno per la causa
del principe che per tutto il suo popolo, fecero parere e sentire
anche più grave il difetto dello spendere che aveva avuto in sua
gioventù Gianfrancesco, e diedero maggior risalto alla parsimo-
nia e previdenza di Paola.
Nel resto però era tutto premura e zelo pel buon andamento
dell'amministrazione e pel benessere del suo popolo. Lo prova il
decreto che fece il io maggio del 1419 sul Consiglio maggiore
della città. Facevano parte di questo Consiglio quattrocento cit-
tadini, e ad esso era affidato l'incarico di eleggere gli ufficiali del
comune, e provvedere ai servizi più importanti dell'amministra-
(1) Arch. Gonz. F. II. 6.
62 GIANFRANCESCO GONZAGA
zione. Ma anche allora, come oggi e come sempre, in Italia ed al-
trove, quando si trattava di dover fare le nomine alle cariche pub-
bliche v*erd sempre grande abbondanza di candidati ; ma quando
si trattava di dover portare i pesi della carica assimta, i s^gi del
consiglio si vedevano sempre nella più parte vuoti ; e i publid
affari spesso subivano dannosi ritardi, più spesso ancora resta-
vano abbandonati al maneggio di pochi. Per ogni assenza era fis-
sata nello statuto una multa, ma come era assai tenue, non aveva
alcuna efficacia a vincere la svogliatezza dei consiglieri. In vista
di ciò Gianfrancesco col decreto suddetto portò la multa a due
ducati per ogni volta, piccola somma per un cittadino d*oggi, ma
per un cittadino di quei tempi, nella scarsezza di denaro che si
aveva allora, era più che sufficiente a rendersi sensibile alla borsa
dei più (i). Ed io trovo ch'egli fece benissimo, e vorrei che anche
le moderne legislature ricorressero a tali mezzi per vincere l'apatia
di chi ha assunto publici impegni, perchè se è giusto che il cit-
tadino sia liberissimo di accettare o no una carica, è anche più
giusto che, una volta libersunente accettata, non fugga dal disim-
pegnarne i doveri.
Nel 1420 fu qui a predicar la quaresima S. Bernardino da
Siena, e il fatto segnò un avvenimento nella città come era dovun-
que arrivava quel santo, che tanto zelo poneva nel condurre a con-
cordia le città divise (2).
Mantova non aveva alcun bisogno di lui, perchè qui sotto le
ali del Gonzaga si vivea in piena pace e trémquillità ; ma Paola,
donna piissima, desiderò udire e far udire a' suoi mantovani la
parola del potente predicatore, la cui fama empiva tutta l'Italia ;
ed egli accondiscese all'invito di lei, anche perchè un'altra ra-
gione, da quella della pace fra i cittadini, poteva qui rendere uti-
lissima la parola di lui. Un visionario di frate domenicano, pa-
dre Manfredi da Vercelli, si era messo in testa che fosse già nato
l'anticristo, quindi prossima la fine del mondo, perciò necessario,
urgentissimo, non attendere più che ad assicurarsi l'eterna sa-
lute. E come le cure del mondo sono d'impaccio a dedicarsi tutto
Ci) Ib. F. I. 3. V. append. n. 18.
(2) F. Alessio, Storia di S. Bernardino da Siena e del suo tempo,
Mondovi, Graziano, 1899, cap. XV, p. 164. Per la storia di Mantova vedi
Donesmondi, Gionta, Volta, ecc.
SIGNORE DI MANTOVA 63
al solo conseguimento di questo fine, e impaccio gravissimo sono
i I^ami che trae seco la vita matrimoniale, così padre Manfredi,
che era un misto di sempliciotto e di fanatico, predicava anche
questo che ai coniugati era lecito di separarsi l'uno dall'altro, per
dedicarsi unicamente a Dio, quand'anche l'uno di essi ricusasse
la separazione. E come spesso il popolo è tanto più facile a cre-
der^ quanto più sono strane e pazze le cose che gli vengono dette,
cosi padre Manfredi trovò seguaci da ogni parte (i). E si ve-
devano mariti abbandonare le mogli, e assai più le mogli abban-
donare i mariti, per macerarsi la vita nella preghiera, nei digiuni
e nella penifènza. S. Bernardino nelle sue predicazioni combat-
teva con sollecitudine particolare gli errori del visionario dome-
nicano, e come seppe che questi nel 141 9 era stato anche a Man-
tova e sparsovi i suoi errori, così fu premuroso di accettare l'invito
di Paola (2). Prese stanza nel convento delle Grazie e di là ve-
niva a predicare a MantovcU Paola era donna di una pietà e reli-
gione molto al di là del comune, e la voce popolare che appena
morta la salutò beata è la più sicura conferma della sincerità e
profondità della sua religione (3). E' facile quindi immaginarsi
l'impressione che dovette ricevere dalle prediche del senese, e come
sentirsi vie più spinta nella via della pietà e della religione. Negli
annali dell'Ordine francescano vi sono di quest'anno parecchi brevi
pontifici, che la riguardano, e tutti ricordano il fervore della sua
pietà II primo è del 26 novembre, e porta l'autorizzazione a fon-
dare tre monasteri di monache Clarisse, e quattro conventi di Mi-
nori Osservanti nelle diocesi di Mantova, Milano, Piacenza, od
altrove a suo piacere, col proprio denaro di lei e con quello che
da altri fedeli era contribuito (4). Da queste ultime parole ar-
guisco che Paola erasi posta a capo di una specie di associazione
per l'erezione di quei monasteri e conventi, pel fervore destato dalle
prediche di San Bernardino, che metteva ogni sua cura nell'isti-
(i) F. Alessio, op. cit., p. 150.
(2) Op. cit. p. 174.
(3) Il martirologio dell' Ordine Francescano fa .memoria di lei col
tìtolo di beata sotto il 17 marzo.
(4) ^ Tarn de proprìis sibi a Deo collatìs, quam aliis bonis quae
■ ad hoc ab aliis Christi fìdelìbus impendentur et erogabuntur. „ V. co-
desti divefsi brevi pontifici in Wadding, op. cit., appendice all'a. 1420.
64 GIANFRANCESCO GONZAGA
tuire nuovi conventi del suo ordine (i). Del concorso di altri
fedeli in questo zelo di Paola si ha una prova nella fondazione da
lei fatta della chiesa e del monastero del Corpus Domini^ per la
quale un Donesmondi non solo diede il luogo per la fabrica della
Chiesa, ma anche le case vicine che erano necessarie pel mona-
stero (2). E così in tutte le altre spese per chiese e conventi, feste
religiose, addobbi, voti, che s'incontrano in questi anni nei regi-
stri della casa Gonzaga, le più volte devesi intendere che il denaro
veniva dalle mani di lei, ma era raccolto e messo insieme per le
oblazioni dei fedeli. Infatti fra le molte note di siffatte spese ve
ne ha una che porta questa dichiarazione speciale, che quella spesa
è stata fatta a tutto carico di Paola ; la quale dichiarazione natu-
ralmente lascia intendere che le altre erano in comune con altre
persone (3). Che avvenisse del progetto, ricordato nel breve pon-
tificio, dei tre monasteri di Clarisse e quattro conventi di Minori
Osservanti, non so. Qui ne fu fondato uno, e questo merita par-
ticolare ricordo pel singolare attaccamento che ad esso ebbe Paola
e dopo lei tutte le donne della famiglia Gonzaga, perchè una figlia
di Paola vi vesti Fabito di Clarissa e vi lasciò nome di beata, e
perchè Paola stessa in un piccolo appartamento vicino alle sue
mura volle passare gli ultimi anni della vita e nella sua Chiesa
volle riposo alle sue ossa (4). Da tempo Paola aveva incomin-
(i), Quando egli divenne superiore generale degli Osservanti, l'Or-
dine contava da trenta a quaranta .conventi con circa 200 individui:
quando egli morì l'Ordine aveva circa 300 conventi e 5000 individui;
P. Patini, Storia di S, Francesco d* Assisi, Fuligno^ Tomassini, 1824, to. I,
p. 24^ append. II, XVII.
(2) Donesmondi, op. cit., lib. V, p. 566.
(3) * Item [m.r Lucas murator] positus in expensis in isto [libro]
* carta 57 Omne facta per ipsum de mandato magn. domine nostre suis
" omnibus sumptibus in ecclesia s.ti Christophori.... in totum 1. CCCXXII.
* sol. X. „ Registro deUe spese D. XII. 8, e. loi.
(4) V. il mio opuscolo Cecilia Gonzaga e Oddanionio da Monte*
feltro, Mantova, Mondovì, 1897. Ma in esso sulla fede degli storici man-
tovani, ho asserito che Paola entrasse nel monastero e vi vestisse l'abito
monacale ; i documenti invece dell'Archivio Gonzaga mi hanno detto in
seguito che essa si ritirò in un appartamento vicino al monastero, ed
ivi trasse rìtiratissima gli ultimi anni deUa sua vita. Probabilmente
seguì anche tutta l'austerità della vita di Clarissa, senza però vestirne
l'abito.
SIGNORE DI MANTOVA 65
ciato, nel luogo che oggi dicesi la iieray un tempio ad onore della
santa del suo nome, Paola Romana, e a quanto dicono i registri
delle spese negli anni 141 6- 19 attese con la massima cura al suo
compimento (i). E accanto ad esso sorse il convento divenuto
poscia famoso (2).
Sarebbe non senza interesse uno studio speciale sui pittori,
architetti, ricamatori, ecc., che s^incontrano nel registro delle spese
per codesta f abrica e per altri lavori di questo tempo ; interessante
altresì mettere a confronto con i prezzi d'oggi quello che si spen-
deva allora, nella mano d'opera, nei ricami, tessuti, miniature, ecc
Ma questo è un lavoro di argomento affatto speciale, che non può
entrare nel racconto generale della storia politica di Mantova E'
notevole anche il numero d'artisti non mantovani che vi s'incon-
travano, un Pasio e un Rinaldo di Arezzo, un Francesco, un To-
maso e un Raffaino da Cremona, Guglielmino e Zanino da Pia-
cenza, Zanino e Jacopino da Pavia, Zanino di Francia, ecc.
Taccio di altre chiese e conventi che furono fabbricati in que-
sto periodo di storia che ora trattiamo, perchè, tranne casi spe-
ciali per ragione di particolare culto religioso o di arte o di qual-
che ricordo storico che ad essi vada congiunto, mi pare che deb-
bano essere argomento più adatto a storia speciale religiosa od
artistica.
Nella storia politica ho due ricordi da presentare al lettore
P^ quest'almo. Il primo riguarda la popolazione di Mantova, la
quale da un decreto del 12 ottobre di quest'anno parrebbe dovesse
andare sensibilmente diminuendo. Infatti la premura dei Gon-
(0 Arch. Gonz., Registro delle sp)ese, D. XII. 8.
(2) Martino V approvò la fondazione del nuovo monastero con
bolla al vescovo di Mantova in data del 27 novembre 1420. Con altra
bolla del giorno antecedente aveva chiamato a dirigere il nuovo mo-
nastero « Francischinam de Gluxiano „ del monastero di S. Orsola di
Milano; V. in Wadding, op. cit., questi ed altri decreti pontifici rela-
tivi a detto monastero.
La chiesa invece di prendere il titolo di Santa Paola, come era stata
a prima intenzione della fondatrice, fu detta del Corpus Domini^ perchè
" ^^ trasferita la festa del santissimo corpo di Cristo, che prima si
solennizzava nella chiesa del Gradaro'— Donesmondi, op. cit., lib. V,
P- 367-68. Oggi il luogo, ridotto ad uso ni.ilitare, ha ripreso l'antico
nome, e chiamasi « Caserma di S. Paola. »
^^^h, Stor. Lomb,, Anno XXIX. Fase. XXXV. 5
66 GIANFRANCESCO GONZAGA
zaga parecchie volte aveva proposto premi per allettare i maestri
d*arte a venire a porre stanza nella loro città ; ma ciò mirava al-
l'incremento delle industrie e quindi al miglioramento nel be-
nessere generale dei cittadini. Il suddetto decreto invece si rivolge
non solo ai maestri d'arte, ma a chiunque altro, forestiere o man-
tovano volontariamente espatriato, i quali, senza essere maestri di
arte, avessero quattro bocche o da quattro in su. A tutti costoro,
se venivano a stabilirsi in Mantova, si prometteva di passar loro
per cinque anni sulle rendife del comune un mezzo ducato d'oro al
mese pel fitto della bottega o della casa (i).
L'altro ricordo è l'andata di Paola a Venezia per accompa-
gnarvi la sorella Cleofe, che andava sposa a Teodoro despota della
Morea, figlio di Emanuele paleologo imperatore d'Oriente (2).
E con quest'ultimo lieto ricordo chiudo la prima parte del
mio lavoro, prima che la tromba di guerra tomi a risonare per le
quiete terre del Mantovano e, chiamando i Gonzaga a nuove
guerre fratricide, prepari loro e alla città giorni terribili di sven-
tura e di pianto.
F. TARDUCCI.
APPENDICE
N. I.
Nos Johannes Franciscus de Gonzaga etc. Vobis domino et
ludici ad banchum datiorum etc. committimus et mandamus quatenus
magistro Francisco de Parma rectori scolanim in nostra civitate
praedicta contra quoscumque suos debitores et de quibuscumque
suis debitoribus ac sibi dare debentibus tam in magna pecuniae
quantitate quam parva occasione mercedis sue prò disciplina sco-
lanim iustitiam faciatis, procedentes in cognoscendo et terminando
summarie et expedite simpliciter et de plano etc, reiectis cavillatio-
nibus et frivolis exceptionibus quibuscumque et quoscumque pre-
fi) Gridario, F. I. 3. e. IV v. V. append. n. 19.
(2) Sanuto, op. cit, e. 936, A.
SIGNORE DI MANTOVA 67
dictos.... magistri Francisci veros debitores vobis esse constiterit
ad dandum et solvendum eidem quidquid sibi dari debebunt.
Xyilll od. 1407,
Lib. Decreti, F. IL io, lib. I, p. 36.
N. a.
F. IL 7.
Domino Ottoni
Magnifice et potens domine tamquam pater carissime. Non
iramemor me bis diebus a Vestra Magnificentia recepisse quoddam
breve datum Parmae die XXII* proxime elapsi mensis Augusti, ad
illius continentiam quam pieno intellectu collegi, nunc duxi dilucide
respondendum. Quod non puto michi cum ventate aliqualiter obici
posse violationem uUam promissionum vigentium Inter utramque
partem vestri et mei, mei causa vel meo defectu quovismodo pro-
cessisse. Unde nec vos potestis in hoc de me merito querelari.
Et quamquam in teneris annis sim, sicuti inter cetera continentia
dicti brevis videtur imprimere, attamen michi curae et animo nunc
usque fuit. Sicque etiam mores vestigia imitaturus recollende me-
nwriae magnifici quondam et excel, domini genitoris mei intendo
•cmpcr, dum michi vita comes erit, inviolabiliter quantum ex me
fuerit servare promissa quaecumque. Ad factum autem praedae
bestiaminura, quam fecit dominus Jaches super territorio Guastal-
lae, transitum fadens per territoria mea, certissimam se reddat ma-
gnifica patemitas vestra quod, prout per alias sibi rescripsi, pro-
cessit dictus transitus me prorsus inscio, et praeter mei omnimodam
voluntatem etc.
Mantuae, dit tertio septembris 1408.
Johannes Franciscus de Gonzaga.
N. 3.
F. IL 7.
Domino Pandulfo
Magnifice et ex. domine et pater mi honorandissime. Respon-
Qens ad breve, quod magnifica patemitas vestra michi scripsit super
lacto fortelitii de la plubega etc. notifico me oportunum superinde
colloquiuni habuisse cum magnifico domino patre meo domino Ca-
''oio antequam hinc pridie discederet ; qui in eflfectu conclusit et
68 GIANFRANCESCO GONZAGA
ordinavit quod praedictum fortelitium penitus demoliretur. Ita tamen
quod iuxta promissionem per vos alias factam magnifico recoUende
memorie domino genitori meo prius declarentur confinia dicti for-
telitii, terminantia territorium Mantuanum a territorio brixiensi. Ce-
tera fiant que ex forma patentium litterarum quas magnifico quon-
dam domino genitori meo fecistis, et quarum copiam ad evidentiam
magnifice paternitati vestrae destino interclusam. Utrimque scilicet
inter vos et me peragenda sunt. Cum igitur paratum me oflfero
exequi facere prò parte mea ea quae ut profert praelibatus dominus
pater meus dominus Carolus conclusit et ordinavit, praestolabor
avisari a magnifica paternitate vestra de modis qui sibi in facto
ipso faciendi videantur.
Daium Mantuae, die X septembris 1408,
Johannes.
N. 4.
Lettera del doge di Venezia in data 24 aprile 1409
AI Rettori di Verona.
Michael Steno, Dei grafia Dux Venetiarunt, Nobilibus et sa-
pientibus viris eie, etc,
.... Intelleximus magnificum dominum Mantuae ordinasse unam
regatam in lacu Gardae et praeparari facere unam ganzaram et
aliam de novo facere fabricari et requisivisse alios habitantes super
lacum ut mittant suas ganzaras. Et quia comprehendimus hiinc
actum nihil aliud importare nisi ad demonstrandum quod habeat
jurisdictionem in lacu, non sumus dispositi quod talis actus ha-
beat executionem nec eflfectum.... Et ad inlormationem vestram
mittibus vobis annotatum in folio praesentibus intercluso copiam
responsionis quam fecimus magnifico genitori suo, dum viveret
et esset Venetiis super jurisdictionem dicti lacus; de qua respon-
sione remansit contentus. Et propterea vobis mandamus, quate-
nus,... debeatis tenere modum quod dieta regata vel aliquis similis
actus non fiat in lacu sine licentia et consensu nostro....
Dal Torelli, Ricerche storiche di Mantova, voi. II, p. 287.
N. 5,
Libro delle Fattorìe. B. 33. 9. p. 233.
Johannes Franciscus de Gonzaga efc,
Concessimus de speciali gratia egregio dilecto nostro Masio
de Maliciis qui nos litteras docuit quandam possessionem nostram
SIGNORE DI MANTOVA 69
situatara in nostro Castellani territorio, cuius pecias terrarum mit-
tìmus descriptas in cedula presentibus alligata. Ideo volumus et
tìbi mandamus quatenus eundem Masium in possessionem et te-
nutam diete nostre possessionis ponas et inducas positumque ma-
nuteneas et deffendas faciendo sibi de affictibus debitis temporibus
responderi per colonos tenentes ad affictum et laborantes de dictis
nostris terris, quibus facias preceptum quod cum ilio Masio se in-
tendant et de cetero sint concordes secum. Cuique Masio in cunctis
assistas tuis auxiliis et favoribus, prout opus fuerit et duxerit re-
quirendum.
Manine, 2 septembris 1410.
N. 6.
Lib. Statut. Lib. XIII. p. 217. rubr. 25.3 — /-/09, 16 lug,
Exemplura ab autentico relevatum cuius tenor sequitur in hac
forma : De consensu nostro :
Nos Johannes Frane, de Gonzaga Mantue etc. Non valentes
occurrentibus negotiis in civitate nostra Mantue propter futuram
absenciam nostrani ad partes Arimini personaliter ad presens in-
tendere, confidentes maxime de fide precipua et prudentia circum-
specta Mag.c* militis domini Caroli de Albertinis comitis Prati con-
socii nostri amantissimi, tenore presentium et omnibus modis iure et
forma quibus melius possumus animoque deliberato et nullo ar-
guenti errore iuris vel facti, sed ex certa nostra scientia prefatum
Mag.Q'n militem d. Carolum in nostrum locumtenentem et prò no-
stro locumtenente in d.^« nostra civitate Mantue omnibusque terris
nostro dominio suppositis, donec a dieta nostra civitate eiusque ter-
ritorio absentes fuerimus et per totum absentie nostre tempus, fa-
cimus, constituimus et creamus, volentes et hoc nostro decreto spe-
cialiter edicentes omnibus et singulis potestati officialibus vicariis
castellanis stipendiariis civibus et subditis nostris quatenus in om-
nibus et quibuscuraque nostrum et diete nostre civitatis atque di-
strictus statum utilitatem atque proficuum concernentibus prefato
Mag.co militi d. Carolo eiusque iussibus et mandatis per totum dic-
tum tempus piene pareant et efficaciter obediant tanquam nobis.
Damus quoque atque huius nostri presentis decreti tenore conce-
dimus prefato Mag.co militi d. Carolo potestatem bayliam et ge-
neralem et specialem et liberam facultatem omnes et singulas apel-
lationum redamationum et supplicationum causas quas ad nos tam
de iure comuni quam ex forma statutorum nostri comunis Mantue
70 GIANFRANCESCO GONZAGA
specialiter devolvi continget per id totum absentie nostre tempus
coraittendi ac delegandi uni et pluribus, secundum quod ei videbitur
convenire et quemadmodum nos si presentes esseraus aut face-
remus aut facere possemus. Similiter et omnibus et quibuscumque
decretis quarumcumque comissionum sive iudicialium sive extra
iudicialium interponendi autoritatem suam et signandi, in hiis etiam
que emanarent sine strepitu et figura iudicii, super quibus om-
nibus et singulis concedendis plenam eidem tribuimus facultatem.
volentes atque decementes ut in omnibus et singulis concedendis
que ex forma statutorum nostrorum Mantue requirunt specialem
signaturam manus nostre per verba de consensu nostro vel equi-
polencia et alia quecumque, idem Mag."* miles dnus Carolus parem
nobiscum habeat potestatem per totum dictum assentie nostre
tempus. Nam ex nunc omnia et quecumque que dicto absentie no-
stre tempore prefatus Mag."* miles d. Carolus duxerit comittenda
delleganda signanda jubenda et quomodolibet disponenda rata ha-
bentes et grata ea omnia et singula firma et incomutabilia manere
et ab omnibus inviolabiliter observanda inconcusse decernimus, ac
si a nobis ipsis immediate aut de speciali nostro mandato manu no-
stra signato procederent et ex nostra certa scientia specialiter ciu*a-
verent(?), non obstantibus ad premissa vel aliquid premissis aliquibus
statutis legibus decretis ordinibus vel consuetudinibus nostris et co-
munis nostri Mantue, quibus et aliis que obstarent quantum in hac
parte ex certa scientia et animo deliberato total iter derogamus et
esse volumus derogatum. In quorum testimonium atque robur pre-
sentes fieri iussimus et registrari nostrique sigilli in talibus consueti
munimine roborari.
Dat, Mani.f die sexto decimo julii MCCCQo homo, secunda inditione,
Christoforus de Arivabenis
pres.ci Mag.ci dni secretarius eiusdem mandato scrìpsit.
N. 7.
D. II. 8. — 1409, 22 agosto.
In nomine Domini amen, anno Domini millesimo quadringente-
Simo nono, tempore d. Gregorii pape duodecimi, indictione secunda
et die vigesimo secundo mensis augusti. Actum in civitate Pensauri
et in domibus habitationis Mag. et potentis d. nostri Malateste de Ma-
latestis infrascripti et in quadam camera dictarum domorum que
respicit versus curtile parvum introitus dictarum domorum et etiam
dieta camera est supra logiam dicti introitus dictarum domorum,
SIGNORE DI MANTOVA 7I
que domus posite sunt in quarterie S.^» Jacobi civitatis Pensauri,
iuxta vias publicas a tribus lateribus et plateam magnam co"
munis Pensauri. Presentibus strenuo et inclito viro Francisco q.™
dni Lovisii de Actis de Saxof erato, nobile viro Lunardo q.*" Roelli
de Roellis et nobile viro Marcialdo Cesaris de Agulantibus ambobus
de Arimino, testibus ad haec vocatis et rogatis coram egregio legum
doctore d. Francisco de Scionis de Reate vicario nobilis viri Hen-
rici dni Colutii de Salutatis de Florentia hon. potestatis civitatis
Pensauri prò Mag.^° et potente dno nro Malatesta de Malatestis
Pensauri etc. prò tribunale sedente in quodam bancho ligneo exi-
stente in d.^« camera dictarum domorum superius lateratarum et
confinatarum, quem locum ob reverentia infra J« Mag.^e dne primo
et ante omnia iuridicum et habilem ad hunc actum et ad omnia
et singula infra dicenda esse pronunciavit Mag.*=« et Ex.** dna. dna.
Paula Agnes filia Mag.«^» et Ex.»* dni Malateste q.™ recolende me-
morie ÌAsLgS'^ et potentis dni dni Pandulfi de Malatestis, maior qua-
tordecira annorum, minor tamen viginti quinque constituta omni
modo, via, iure et forma quibus melius potuit et potest petijt a d.*^
dno. vicario ut supra sedente sibi in curatorem dari Egregium vi-
rum Gasparum q.™ recolende memorie Mag." et Ex.»' dni dni Ga-
leatij de Malatestis presentem et intelligentem qui sibi auctor. et
consentiat ad infrascriptam renunciationem, finem, cessionem et
refutationem, transationem et pactum de ulterius non succedendo
nec petendo et omnia et singula infradicenda quam facere intendit
infras.^o dno Pasqualino de Pingetis recipienti nomine et vice su.
prad.*' Mag.c* dni nostri Malateste sui patris et eius heredis et
Galeazo et Galeotto filiis prefati Mag.^» dni nostri Malateste et vice
et nomine aliorum magnificorum filiorum ipsius Mag ci dni nri Ma-
lateste fratrum ipsius Mag.^® dne Paule agnetis presentium et fu-
turorum ac etiam vice et nomine heredum recolende memorie
Mag.c« et Ex.n« dne dne Isabete f. q. bone memorie Mag.'» et po-
tentis dni dni Rodulfi de varano et uxoris olim d.*' Mag.<^> dni nri
Malateste matris ipsius Mag.^e dne Paule Agnetis de omnibus et
singulis infra dicendis specificandis et declarandis. Et propterea
idem dnus Franciscus vicarius ut supra prò tribunale sedente dic-
tum Gasparum ibidem presentem et aceptantem d.^^ Mag.« dne
Paule Agneti adulte curatorem ad dictum actum constituit et de-
crevit dicens: esto curator
Pro quo curatore et eius presentibus et mandatis Oddo Thadei
dni Raineri] de Pensauro solempniter extitit fideiussor
Post que inmediate et sine aliquo tempus intervallo d.^^ Mag.<^*
dna dna Paula agnes adulta in presentia d.» dni Francisci vicarij
72 GIANFRANCESCO GONZAGA
ut supra prò tribunale sedente constituta presente auctoritate et
consentiente sibi d^^ Gasparo eìus curatore et presentibus et con-
sentientibus Mag.*^® et Ex.*o dno Carulo q."^ degnissime recorda-
tionis Mag.cJ et Ex.»' d. d. Galeatii de Malatestis et Mag.^o Ga-
leotto filio Mag.ci d. Malatestc de Malatestis zesone (sic) etc.« et
Mag.co dno Johane q."^ Lamberti de Malatestis suis consanguineis
dicentibus et aftirmantibus infrascriptam renunciationem finem tran-
sactionem refutationem quietationem, remissionem pactum cessionem
esse sibi Mag." dne Paule Agneti adulte utilia sponte et ex certa
scicntia non vi non metu nec per errorera iuris vel facti primo di-
ligenter informata per me notarium infras.^"™ de testamento dM
Mag.c^ dne dTie Isabetc q."^ eius matris per se et suos heredes re-
nuntiavit, remisit, refutavit, transegit et pactum fecit de non succe-
dendo et de non petendo ulterius vel agendo egregio legum doctori
dno Pasqualino q."^ Jacobini de Pincetis de Mutina generali vicario
in Pensauro presenti et vice et nomine d.^^ Mag.<^' dni Malateste
sui patris stipulanti et recipienti et prò ipsius Mag." dni. Malateste
heredibus ipsi Mag.^^ ^jnQ Malateste ex testamento vel ab intestato
succedentibus ac d.^^ Mag.^o Galeazo ac d.^^ Mag. Galeotto eius
fratribus prò se et vice et nomine aliorum Magnif.^™"™ filiorum ip.
sius Mag.<^' dni Malateste tam masculorum quam feminarum quos
ad presens habet vel in futurum habere contingeret ipsa Mag." dna
Paula Agnete exclusa si non supererei tempore mortis dfi Mag.<^» dni
sui patris et filiorum d.^' Mag.^» dni Malateste fratrum ipsius Mag."
dne Paule Agnctis alitcr non aparente de voluntate d.^' Mag.^^ dni
Malateste sui patris et dictorum suorum fratrum expressa verbis
ipsorum Mag.<^' patris et dictorum filiorum seu alterius ipsorum ri-
sponentem ipsam Mag.»'" dnam Paulam Agnetem ad eius hereditatem
vel portioneni vel ad aliquod aliud admitti, quo casu solum ad illud
admittatur et venire possit et de hijs inter dictum d. Pasqualinum
nomine dicti Mag."^' d. Malateste et dictos Mag.^* Galeazum et Ga-
leatum nominibus quibus supra et dictam Mag-^"* dnam Paulam
Agnetem pacto inito et stipulatione premissis in et de liereditatibus
dicti Mag.*-' dui Malateste sui patris et Mag.^ dne dne Isabete q.'"
sue matris et filiorum d.^' Mag.<^i dni Malateste fratrum ipsius Mag*
d. Paule Agnetis et de omnibus bonis paternis et maternis atquo
fraternis tam propriis quam emphiteoticis et omni iure et actione
sibi competenti et compctiturc ex aliqua causa de presenti vel qua-
cumciue in futurum conipeterct etiam ex causa ex qua de presenti
nulla subcst spes in et super bonis et ad bona paterna et materna
atque fraterna quocumque et qualitercumque jus vel actio quoqu»)-
modo sibi compcleret in quocumque casu vel competere posset ad
SIGNORE DI MANTOVA 73
eadem bona paterna vel materna ac etiam fraterna
Et hoc ideo fecit prefata Mag.<^« dna Paula Agnes quia confessa et
manifeste contenta fuit ad petit'onem et instantiam dfi dni Pa-
squalini presentis et nominibus quibus supra petentis ab ipso Mag.^°
d. Malatesta eius patre suo nomine et dictorum suorum heredum
ac filiorum suorum predictorum bene decenter et egregie esse et
fuisse dotatam in quantitate quinquemilium ducatorum auri et in
pannis vestimentis et iocalibus sibi assignatis prò eius arnisiis et
fulcimentis juxta et secundum conditionem ipsius ac d.*» sui geni-
toris danda et assignanda a prefato Mag.<^o d. Malatesta MagS^ et
Ex.«> dno dno. Johanni Francisco f. q.™ recolende memorie Mag. ^^
et E3L*^ dni dni. Francisci de Gonzaga Mantue etc* futuro sponso
et marito prefate Mag.c« d. Paule Agnetis de voluntate et consensu
prefate Mag." dne Paule Agnetis. Quam quantitatem quinquemilium
ducatorum auri ipsa Mag.^ d. Paula Agnes ocaxione diete transac-
tionis quietationis ac pacti de ulterius non petendo et cessionis ju-
riura predictorum prò omni jure quod dM Mag.*^* d. Paula Agnes
haberet vel habere posset tam in bonis dicti sui patris quam in
bonis d.*« Mag." dne d. Isabete q."> eius matris quam etiam dic-
torum filiorum d.**' Mag.^» dni Malateste fratrum ipsius Mag. dne
Paule Agnetis quibuscumque et qualitercumque devolutis, sive vi-
ventibus dictis eius parentibus sive post eorum et cuiuslibet eorum
mortem sive ex testamento sive ab intestato sive in bonis propriis
sive in comunibus vel emphiteoticis quocumque jure conditione
causa vel modo in preteritum presens vel futurum habuisse et
recepisse contenta et confessa fuit a d.^® Mag.^o dno Malatesta eius
patre mediante p.» (persona ?) pref.^ Mag.^» et Ex.^^ d. d. Johannis
Francisci propter promissionem ex causa dictarum dotium factam
per dictum Mag."'" dnum eius genitorem prefato Mag.<^o et Ex.^o
d. d. Johanni Francisco eius futuro viro de voluntate et consensu
ipsius Mag," dne Paule Agnetis, ac etiam contenta et confessa fuit
habuisse et penes se habere d.*^ iocalia et fulcimenta a ó.^^ eius
Mag.co genitore data et assignata
Ego Antonius q.™ Alberti Levis de Pensauro imperiali autori-
tate notarius presens hiis omnibus fui et rogatus scribere scripsi
et publicavi.
In simili forma est renuntiatio q.™ Mag.c« dne Tadee, item et
renuntiatio dne Cleophes de verbo ed verbum nil addito vel di-
minuito et per eundem notarium.
L,
74
GIANFRANCESCO GONZAGA
N. 8.
Jocalia, Argenteriae et res donatae
Inclitae et Magnificae domine Dotnlnae PAULE de GONZAGA Martaie ite.
in die testo nuptiarum suarum celebrato Maiituae die XVUH Janiarii
MCCCCXa
Donata per magnifìcum Do-
minum Carolum de Malatestis.
Donatae per Magnificam Do-
minam Arìminensem.
Donatae per dominum Ca-
rolum de Prato et fratribus.
Donatae per prefatum domi-
num Carolum.
Donata per dom. Guidonem
de Gonzagam Prothonotarium etc.
Donatus per Magistrum Mar-
tin uni et Benevenutum de Pego"
rinis usque ad ducatus LXXX.^'»
Donatus per Benevenutum
de Pegorinis.
Donatus per comitem Ri-
zardum.
Donatus per Jacobum de Gon-
zaga juniorem.
Donatus per dominam Ca-
terinam de Gonzaga.
Primo Una colana ami cum
membretis XXIII, boUassìs qtuh
tuor, zaffiris quatuor et per&s
viginti a conto.
Unus zoiellus auri cum una
domina tenente in pectore unum
ballassum et in summitate capi-
tis unum smeraldinum cum per-
lis quinque a conto.
Unus zoiellus auri cum uno
zaffiro, trìbus adamantibus et tri-
bus perlis a conto.
Item unus annulus cum uno
adamante cum cuspide inferius.
Una anchoneta auri cum An-
nuntiata.
Unus zoiellus auri cum uno
balasso, tribus adamantibus et
tribus perlis a conto.
Una anchoneta parvula cum
pietate et duobus angelis in me-
dio et cohoperculo de cristalo.
Unus annulus auri cum gam-
ba smaltata et una perla parvula
a conto.
Unus annulus auri cum gam-
ba smaltata albo et viridi cum
uno zaffiro.
Unus zoielletus auri cum uno
smeraldo duobus adamantinis et
duabus perlulis.
SIGNORE DI MANTOVA
75
Donati per magnifìcum do-
minum Pandulfum etc.
Donatae per ambaxiatores
Dlustris Ducalis Domimi Vene-
tonim.
Donata per dominum Fili-
pum de Lamolza.
Donata per dominum abba-
tem sancti Benedicti.
Donata per dominum Feltri-
num de Gonzaga et consortem.
Donata per dominum Fili-
pum de Gonzaga.
Donata per dominum Johan-
nem de Milis cum uxore.
Donata per Henricum de
Monselice.
Donata per cominum Ar-
chipresbiterum.
Donata per comitem Ugo-
linum.
Donatumper LeonardumDo-
natum.
Petia una cetanini vellutati
in campo cremesino brochata au-
ro et cum operatione viridi.
Petia una cetanini vellutati
azurini coloris brochata auro.
Petia una cetanini plani azu-
rini coloris brochata auro.
Duae pellandes velluti gra
nae fodratae et pauciis [sic: peli
ciis?] vayrorum et duo capucii fo
drati similiter pauciis vayrorum
Unum bacile et unum bron
zinum argenti ponderis onz
LXX.ta
Unum Bacile et unum bron-
zinum argenti ponderis onz. LX
Iffl.or
Bacile unum et unum bronzi-
num argenti ponderis onz. LI.
Bacile unum et bronzinum
unum argenti ponderis onz. XI.
Bacile unum argenti cum Ar-
ma Gonzagae et de Malatestis
ponderis onz. XX.
Item una confecteria cum
dictis armis ponderis onz. X.
Confecteria una argenti pon-
deris onz. XX IIIJ.o^
Confecteria una argenti pon-
deris onz. X. VI.
Bacile unum argenti ponde-
ris onz. XX. Bronzinum unum
argenti ponderis onz. X. V quart.
Bacile unum argenti ponde-
ris onz. XX.
SIGNORE DI MANTOVA
77
De Ratione Volte.
Donat. per dictum Marchum
de Verruculo.
Donati per dominum Abba-
tem sancii Andrea.
Donati per ser Ludovicum
de Robertis.
Donati per Antonium de la
Pagha.
Donati per Jacobinum se-
niorem de Gonzaga.
Donatifper dom. Azonem de
Gonzaga.
Donati per lohannem de Fa-
lenghis.
Donati per vicecoraitem Mel-
larie.
Donati per Bartolinum de
Cappo.
Donati per priorem sancti
Antonii.
Donati per dominum Abba-
tem sancti Ruffini.
Item ducatus XXV prò uno
gobelleto argenti aurati cum arma
quartilata habiti a Johanne de
Barzizia.
Item ducatus LM prò uno
gobelleto cum uno smalto ad ra-
dios cum una turturella habiti
ut supra, Due. L.»»
Item ducatus VI prò uno
ciato cohoperto habiti ut supra.
Item ducatus XVIIII prò una
confecteria absque pede et ab-
sque cohoperculo habiti ut supra.
Due. XVIIII.
It. ducatus XXVII prò una
copa cum uno cohoperculo et
uno flore albo habiti ut supra.
Due. XXVII.
It. ducatus XXX prò uno go-
belleto cum liliis et corona habiti
ut supra Due. XXX.
It. ducatus XVII prò una
confecteria absque pede et coho-
perculo habiti ut supra. Due. XVII.
It. ducatus Vili prò uno bo-
chaleto varato habiti ut supra.
Due. vm.
Item ducatus XlIII^r prò uno
gobelleto cum smalto ad radium
cum turturella habiti ut supra.
Item ducatus X prò uno ciato
cum pede et cohoperculo habiti
ut supra. Due. X.
It. ducatus XVI prò una copa
cum cohoperculo ad radium ha-
biti ut supra. Due. XVI.
Donati per dom. Antonium
de Nuvolonibus.
Donati per dom. Antonium
de Lanf ranchi s.
Donati perGuidonem deGon-
zaga et fratres, filios quondam
Febi.
Donati per Carolumde Nerlis.
Donati per dom. Bartolum de
Gonzaga seniorem.
Donati per Pili pari os.
Donati per dominum Don:
tum De Pretis.
Donati per dom. Ruflìnum
de Cert
Donati per Antonium de
Roscllo.
It. ducatus XXXVIUpro una
copa cum cohoperculo a votìs
tempestati» babiti ut supra. Due.
XXXVIU.
ìt ducatus XX prò una copa
cum cohoperculo cum flore albo
habiti ut supra, due. XX.
It ducatus XXXII prò una
copa cum pede et oredello a no-
vera angulis et cum uno bronzi-
neto, habiti ut supra Due. XXXIL
Il ducatus X prò uno bron-
zineto dorato habiti ut supra.
Due X.
It. ducatus XV prò uno go-
belleto aurato cum arma quarti-
lato habiti ut supra. Due. XV.
Item ducatus XX prò uno
bacirone aureato a parte exte-
riore, habiti ut supra. Due. XX.
Item ducatus VII. s. X prò
una copa cum cohoperculo habiti
ut supra- Due VII. s, X.
Item ducatus XV prò una
copa simili illius domini Donati.
Due. XV.
Item ducatus X prò uno
bronzineto aurato a botis habiti
ut supra. Due X.
Df R.ATIONT: CREnESTIE OLT SECI-NTIH
Donati per Abra«a Ebrcum- II, ducatus LX prò uno cal-
darino cum uno cohoperculo hft-
SIGNORE DI MANTOVA
79
Donati per Beniaminum E- It. ducatus X prò uno bron-
breum de Revere. zino parvo albo habiti ut supra.
Due. X.
Donati per Nannum deNuUis.
It. ducatus X prò uno bron-
zino rotondo aurato habiti ut
supra. Due. X.
Donati per mercatores artis It. Ducatus C prò uno bacile,
lanae. et uno bronzino magnis habiti
ut supra. Due. C.
Donati per dom. Episcopum
et clericatum Mantue,
Donati per dominum Marsi-
lium de Torellis.
Item per dom. Johann em de
Gonzaga seniorem.
Item ducatus C prò uno ba-
cile et bronzino similibus pre-
dictis, habiti ut supra. Due. C.
Item Ducatus XX prò uno
bronzino rotondo varato, habiti
ut supra. Due. XX.
Item ducatus XXX prò uno
bocale paresino aurato stricto in
summitate et largo in fundo. Due.
XXX.
N. 9.
IL D. 8. — 1410 2j A^iii,
In Christi nomine amen. Anno domini millesimo quadringen-
tesimo decimo, inditione tertia, die mercurii vigesimo tertio mensis
aprilis, in palatio residentie infrascripti Mag.<^> dni dni Mantue po-
sito in contrata acquile imperialis, presentibus spectabile et egregio
milite dno Filipo f. q. nobili viri dni Guidoni de la Molza, qui
....etc.a Reve.<*<> in Christo patre dno Antonio de Nerlis abbatis
S.ti Benedicti de padolirone, Rev.^° in Christo patre dno Johane
de Cumis abbatis S.*» Andree, spectabile et egregio comite Ugolino
comite de Piagnano, egregijs legum doctoribus dno Marcho de
Veruculo et dno Johanne de Miliis, atque venerabili viro dno Ber-
tholomeo de Bondiolis archipresbitero maioris ecclesie Mantue, spec-
tabile et egregio milite dno Karolo de Prato, testibus ad hoc vo-
catis et rogatis.
Ibi cum hoc sit quod per Magnificura et Ex.™® dnum : dnum
Malatestam de Malatestis Pensauri etc* recolende bone memorie
8o GJANFRANCESCO GONZAGA
olim Mag.^^*' dno Francisco de Gonzaga genitori infras.^ Mag.^ dnl
dni Johannis Francisci de Gonzaga Mantue etc.^ Imperìalis vicarìi
et dni general is, fuerit promissum de dando et tradendo in dotali
et prò dote ac nomine dotis Mag." et Ex.« dnè dne Paule Agnetìs
prelibati Mag.<^i dni Malatesta nate legitime et naturalis infras.*^
Mag.c^ dni Johannis Francisci tunc consortis future quinque millia
ducatos boni auri et justi ponderis, et hoc ante matrimonium Inter
prefatum Mag.^""* dnum dnum Johannis Francischum de Gonzaga
et memoratam Mag.^i" dnam dnam Paulam Agnetem contractum, d
v^olens et intendens memoratus Mag.^"" d. d. Malatesta sic ut supra
per ipsum promissa totaliter adimplere. Id circo, circumspectus vir
ser Redulfus q.™ Johannis de Zachotis de Urbino et nunc cive Pcn-
sauri secretano memorati Mag.^* d. d. Malatesta, dedit sol^t et nu-
meravit in presentia sopradictorum testium meique notarii ìn-
fras.^> prelibato Mag.^o d. d. Johannis Francischo presentì et reci-
pienti quinque milia ducatis boni auri et iusti ponderis prò dote
et nomine dotis inclite Mag." dne dne Paule Agnetìs ibi presentis
prò se suisque heredibus stipulantis et redpientis, et sic memo-
ratus Mag.u> d. d. Johannes Franciscus de Gonzaga ad cautelasi con-
tentus confessus et manifestus fuit se habuisse et recepisse dictos
quinque millia ducatis auri a dicto (i) presente stipu-
lante ac dante et solvente nomine et vice memorato Mag.^^ dm
Malatesta prò dote et nomine dotis prelibate Mag.^^ dne Paule
Agnetìs. Quam quidem Mag.»»" dnam Paulam Aagnetem licet allias
desponsatam prememoratum Mag.""^ d. Joannem Franciscum iterato
ad cautelam prelibatus Mag.^u» d. d. Johannes Francischus de Gon-
zaga in presentia supradictorum testium meique notarii infras.^ de-
sponsavit et in suam legitiniam uxorem et consortem accepit . . .
Et hiis omnibus sic ut supra agitatis interfuerunt
Illus.«* et Mag.c et Kx.* d. d. Karolus et Malatesta fratres de Ma-
latcstis prefati d. d. Johannis Francisci cognati, et spectabiles et
egregij miles dnus Feltrinus et Jacobus fratres de Gonzaga et
strcnuus vir Francischus filius q.^ antedicti Mag/* d. d.
Johanis Francisci agnati -
1422 4 Aprile.
In nomine dm nri J. C. et eius pie matris virginis gloriose sano-
torumque gloriosorum Petri apostolorum principis eximii doctorisje-
ronimi seraphicique francisci protectorum totiusque celestis curie
(1) Il posto per il nome è lasciato in bianco.
I
SIGNORE DI MANTOVA 8l
amen ego Malatesta filius q.™ recolende memorie de Malatestis
per gratiam omnipotentìs dei sanus mentis et sensu licet morbo pe-
dragoso infirmus dispositionem omnium meorum honorum per pre-
sens solemne inscriptis (?) testamentum propria mea manu secundum
iurem ordinem scriptum et in hunc modum formam ordinem facere
procuravi. In primis eli ego sepulturam meam apud locum fratrum mi-
norum de Pisauro si pisauri vitam meam finire contigerit et si in locis
circumdantibus me migrare contigerit ita quod abilitas fuerit meum
corpus ante coruptionem pisaurum deferri. Similiter apud dictum lo-
cum sepeliri mando hoc modo, videlicet quod extra ecclesiam sepe-
liatur in terram in claustro s.^* ecclesie et in ilio loco ubi fratribus tunc
existentibus videbitur et placebit iubens meum corpus omnimode ve-
stiri in habitum et vesce fratrum minorum panno grosso valoris de-
cem sol. ad plus prò quolibet bracchio et ea tamen exequiarum solem-
pnìtate que fieri sol et in funere fratrum predictorum. prò quibus
exequiis fiendis relinquo unum ducat. auri et si alibi migrari con-
tingerit et tanto longe a civitate Pesauri quod possibile non foret
ante corruptionem meum corpus Pisaurum conferri tunc eo casu
iubeo meum corpus sepeliri debere in proximiori loco fratrum mi-
norum ubi decessero
Item relinquo iure institutionis supradicte paule filie mee quinque
milia ducatos auri quos a me habuit prò dotibus suis prò matri-
monio jam contracto inter ipsam et Mag."°» d. prefatum d. Johan-
nem Fran.^"» de Gonzaga. Item reliquo eidem dicto iure institutionis
ducatos decem et in predictis ipsum heredem instituo
Quod testamentum feci in castro Gradarie in camera mea de varis
anno dni mill.o ecce xxij.^ Ind.« quintadecima die quarta mensis
aprilis tempore sanct.°^> dni nri d. Martini pape quinti.
N. IO.
F« II. IO. Libro dei Decreti, p. 228, lib. I.
Nos Johannes Franciscus de Gonzaga Mantuae etc. Inter cetera
que per humanos non parum attendenda censemus est recognitio
meritorum, cum prestitorum obsequiorum retributione condigna,
quo et sincerorum cordium ad perpetue fidelitatis constantiam con-
servetur afifectio, et ad exhibenda in futurum obsequia de prom-
ptis servitutum animi promptiores reddantur. Sane igitur atten-
dentes sincere caritatis aflfectum, pure fidei integritatem et opera
fructuosa strenui et spectabilis viri, consocii nostri carissimi co-
mitis Francisci nati nobilis strenui quondam militis domini Fran-
Arch. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXV. 6
82 GIANFRANCESCO GONZAGA
cisci de Albertìnis comitis Prati, quem si a stiis in magnificos do-
minos progenitores nostros multifarìam et ampie impensa cogno-
vimusy ab ipso erga nos gerì et attentius ferventioreque studio
dietim exhiberi inseparabiliter experìmur, adeo ut nedum obsequii
recognoscere, verum ad premii retrìbutionem multimodam teneamur;
rei huiusmodi nec immemores nec ingrati, partem saltem si noo
totum prestitorum hactenus et quae in futurum attendimus ab eo-
dem recompensare volentes, proprio nostro motu, ex certa sdentia,
animoque deliberato moti, per nos heredesque et successores nostroB
pure libere simpliciter et irrevocabiliter eidem corniti Frandsoo
petenti et acceptanti, prò se suisque successorìbus petìam unam
terrae casamentive positam in civitate Mantuae et olim in contnUi
stabili et nunc in contrata Falconum cum domo supra copata mu-
rata, solerata, cum corte, orto, puteo et lodia supra et infra a parte
anterìorì latitudinis, etc
14 agosto 1410.
N. II.
Lib. dei Decreti F. II. io.
Nos Johannes Franciscus etc.
Non valentes occurrentibus negotiis in dvìtate nostra Man*
tuae et districtu propter absentiam nostram quam sepe facere nos
contingit a dieta civitate nostra et aliquando etiam a territorio et
aliis etiam existentes Mantue intenti negotiis personaliter intendere»
confisi latissime et fide precipua et prudentia circumspecta mag.
mil. dom. Caroli de Albertinis comitis Prati, consocii nostri ama-
tissimi; tenore presentium et omnibus modis.... prefatum magn.
dom. Carolura in nostrum locumtenentem et prò nostro locumte-
nente in dieta nostra civitate Mantue omnibusque terris nostro do-
minio suppositis facimus, constituimus et curamus ; volentes
et hoc nostro decreto ordinantes omnibus et singulis in potestate
officialibus vicariis castellariis stipendiariis civibus et subditis no-
stris. . . . prefato magn. dom. mil. Carolo ejus iussibus et man-
datis .... piene pareant et efficaciter obediant tamquam nobis. Da-
musque .... prefato magn. dom. mil. Carolo potestatem bayliam et
generalem et specialem et liberam facultatem ....
Mantue, die ultimo mensis ianuarii millesimo quatriceniesitno teriio
decimo,
Lib. I. p. 219, tergo, nibr. 30.
SIGNORE DI MANTOVA 83
N. xa.
Lib. dei Decreti, F. II. io. Lib. I. Rubr. 31, p. 220.
Nos lohannes Franciscus de Gonzaga etc. confisi etc
com. Stefani de Albertinis comitis Prati etc daraus et con-
cedimus praefato corniti Stefano potestatem baylam et generalem
spetialem ac liberam facultatem omnes et singulas appellationum
declamationum et supplicationum causas quas ad nos tam de jure
comuni quam ex forma statutorum nostre civitatis Mantue specia-
liter devolvi contingat committendi et delegandi uni et pluribus
secundum quod ei videbitur convenire quemadmodum nos si id
agere nos contingeret.
.... Mantue, die X^I aprilis MCCCXllL
N. 13.
Statuti di Mantova, p. 221, rubr. 33.
Nos lohannes etc Non valentes etc. (i) . . . . propter ab-
sentiam nostrani a dieta civitate Mantue ad partes Bononie perso-
naliter interesse. Revocantes et anullantes omnem potestatem com-
missionem et arbitrium hic retro concessas tam magnifico militi
dom. Carolo de Albertinis Gomiti prati, consocio nostro dilectissimo
atque compatri, quam spectabili et strenuo viro, Stefano de Al-
bertinis comiti Prati similiter consocio nostro, confixi per maxime
de fide precipua et prudentia circumspecta prefati magnifici militis
domini Garoli, eundem dominum Garolum constituimus, facimus
et creamus nostrum locumtenentem in omnibus in civitate nostra
Mantue ac districtu .... dantes et concedentes prefato domino
Carolo soli tam per totum dictae nostre absentie tempus quam
post, et etiam nobis existentibus .... usque quo et donec aliud
mandandum duxerimus .... plenam potestatem bayliam generalem
et specialem etc etc comittendi ac delegandi uni vel pluribus
secundum quod ei videbitur . . . volentes atque decretantes ut . . .
idem dominus Garolus parem habeat nobiscum potestatem tam
nobis presentibus quam absentibus
Daium Mantue, die sextodecimo mensis ociobris miilesimo quatri-
centesimo tertio decimo.
(1) Come al N. 11.
84 GIANFRANCESCO GONZAGA
N. 131».
Breve di Giovanni XXIII. B. X. 5.
Eximie devotionis affectus quem ad nos et Roraanain gens
ecclesiam nec non preclara servìtiorum opera que nobis et eidem
ecclesie prò quorum statu cum nonnullis armigerorum copiis per>
sonaliter militare dinosceris fìdeliter et commendabiliter imprendisti,
teque speramus in posterum auctore domino prestitunim, non im*
merito nos inducunt ut petitionibus tuis favorabiliter annuamus. • . .
Omissis,
Castrum Hostilie, nec non Vilimpenti et Pauleti ac Vaiasse et
Silvorìs loca Veronensis dioecesis .... a dilecto filio abbate ....
sancti Zenonis .... sub annuo censu quadringentorum quatuor
minalium frumenti usque ad certum nondum elapsum tempus tìbi
concessa obtineas; Nos volentes te apostolico communire favore. . .
censum ipsum ad ducenta duntaxat ex minalibus huiusmodiaudo-
ritate apostolica reducimus tibique castrum, loca et terras . . • . hu-
jusmodi quatenus illa ex concessione hujusmodi possides tibi prò
te ac heredibus et successoribus tuis in perpetuam sub ducentonim
dumtaxat minalium frumenti .... annuo censu .... eidem Mona-
sterio .... in emph3rteosim perpetuum ex nunc .... concedimus
.... etiam absque abbatis et conventus dicti monasterii aut aliorum
quorumcumque licentia vel consensu.
Dalum Bononiae Villi Kal. Decembris pontificatus nostri anno
quarto.
N. 14.
Rub. U. II. P. 1414.
1414, Die XIIII aprilis,
Comes Francisctis de Prato examinatus etc,^
dixit: Quod dnus Carolus, comes Stefanus, comes Luduvicu.s
ipse et texaurarius fuerunt pluries in ratiocinio, quod ultra forti-
litias quas habebat dnus Carolus, quod volebant tenere modum
quod terra et rocha Hostilie essent in manibus dni Antonii de Nu-
volonibus et ponere Guidonem de Risepa prò Castellano castri
Mantue, dicentes si venirent Malatesta vel allii Mantuam qui vellent
destruere eos, quod caperent dominum et reducerent se in castrum
et quod non dubitabant si haberent dominum, quod ipse faceret
quicquid vellent, quia dicebat dnus Carolus: si ego pur dominum
SIGNORE DI MANTOVA 85
in manibus meis habeo, ego non dubito quin faciat quicquid veliera.
Et hoc dixit ipse comes Franciscus quia fuit interrogatus quid vole-
bant dicere illa verba que dixerat Benevenutus de pegorinis dixisse
dnum Carolum in presentia dicti comitis Francisci, videlicet quia
dixerat dnus Carolus dum ratiocinarentur ad invicem : si pur dominus
vellet nos offendere etc. Ego meterò li moray chel non porà nosere
ben ch'el voles. Interrogatus dictus comes Franciscus que fuerit
vera eorum intentio quando fecerunt lanzie gentium armorum et
ad quem fìnem, respondit quod licet persuaserint domino quod
faceret propter timorem Facini Cane tunc in Lombardia intumescentis,
tamen vera eorum intentio fuit, ut magis timerentur in civitate
Mantue et etiam eorum status esset securior et fortior si dni de
Malatestis vel alij volentes reformare statura doraini Mantuara ve-
nissent. dixit etiam quod oranes fortilitias quas habebat dnus Ca-
rolus tenebat ad finera solumraodo ut in ora nera casura necessitatis
forent sui reductus prò eorura tutela et raaxirae Bozolum et eius
rocham quam intendebant bene fortificare, et si quis casus sinister
occureret quod aliquis ipsorum fratrura posset se reducere cura
gentibus arraorura ad dictas fortilitias vel ad aliquara earura.
N. 15.
Rub. F. I. 3. Grid. ms. — Fase. 1404 — 1532, p. 17.
1414 . . • maggio.
Pro debitoribus MagS^ dni et ille de Prato ac aliorum etc.^
El fi fatto crida e coraandaraento per parte del Mag.^^o et Ex.<>
S/ Misser Zohan Francisco da Gonzaga de Mantoa etc* Irap.' Vi-
cario et Sig.^ generale, che cadauna persona la qual debia dare e
sia obllgada al prefato Sig.r o sia a MesJ Carlo e ali soi fradelli
da Prato, o sia M.^ Martino e a Bevegnuto del pegorino, o sia a
Misser Anthonio e ai figlioli de Lanfranchi, o sia Gabrielo de
Farono, o sia a Cressimbeno da Castelbarcho per zaschuna raxon
0 cason, debia vegnire a pagare e avire pagato a li M." de li in-
tradi del prefato Sig. , zoè quelli che habita entro de la citade e
di borgi de Mantoa infra al termine de quatro dì, e quelli che
habita in contado infra el termine de otto die, e questo non falli,
sapiando che passati i detti termini firà deputado uno exactore lo
qual avrà a schodere da li detti debitori, e firali deputado per so
salario chel possa schodere da li detti debitori oltra la (i). , .
(i) 11 resto è illeggibile per macchie d' inchiostro.
86 GIANFRANCESCO GONZAGA
Facta et pubblicata fuit suprascrita grida per antedictum Ft-
chinum tubetam super plateas comunis Mantue in locis consuetis
die ... . 1414 (i).
N. 16.
U. IL P. — 1414.
Die XVIIII marcij 141S'
Dnus Carolus de prato interrogatus que verba habuit cumjfr»
cobo de Rippa tridenti socio Castellani castri Mantue, respondit,
quod dum dictus Jacobus dixisset dicto dno Carolo se recepisse
litteras a quadam sua sorore existen. Rippe ut deberet ad ipsam
accedere, dictus d. Carolus dixit ego volo te rogare quod debeas
me recomandare Petro Lamberger capitaneo Rippe cuius sum
multum amicus quod me imperatori recomendatum mittat Item
dixit quod ante dictus Jacobus sibi dixit una vice parte comitis
Stefani, quod ut sciret ipsum esse vivum dabat sibi prò inteir-
signo, quod quando ipse d. Carolus fuit ad imperatorem dominus
noster amplexatus fuit eum, et quod ipse d. Carolus et Beneve-
nutus iverunt simul Pischeriam v. Item dixit quod dixerat dicto
Johann! ut portare curaret sibi prò scribendo quia volebat facere
unam litteram quam sibi dare volebat, et quod videns ipsum Jacobum
nichil sibi portare prò scribendo, ipse D. Carolus teniit sive tri-
davit de madono rubeo et cum orina mixta fecit ad modum senabrii
et cum ilio scripsit unam litteram imperatori supra uno squarza-
folio, que in eflfectu continebat, qualiter se recomendabat serenitati
sue et rogabat ipsam ut dignaretur ipsum fratres recomandare
Mag.co dno nostro ac petere ipsum et fratres de gratia prefato
dno et quando de fratribus fieri non posset, saltem de ipso vellet
gratiam petere et curare ipsum liberare bine quia tenebatur vigore
divise quam ei dederat, et quando non posset aliter facere vellet sal-
tem operari quod relaxaretur et confinaretur Arimini vel pisauri, et
quod facere dignaretur per comitem Bertoldum recomandare ipsum
D. Carolo de Malatestis de Malateste Pensauri et dno nostro ac
domine et quod avisabat serenitatem suam quod fuerat bonus et
legalis homo et nunquam erraverat et quod postmodum dictam
litteram que erat humida et destructa laceravit et proiecit in fo-
veam.
(i) La data pure è illeggibile; il giorno può essere il 5 di maggio.
SIGNORE DI MANTOVA 87
N. 17.
Dal Registro delle spese dei Gonzaga, pacco II. D. XII. 8, a. 14x6.
Lodovicus de Strociis texaurarius mag.^» dni nri debet dare
mag.« et excelse dne nostre dne Paule de Gonzaga Mantue etc.
prò eius prò visione singulo mense, incipiendo i. lannuarii 1416, libr.
ML, parvorum, capit provisio prò mensibus octo, videlicet. Jan.
Feb., Mar., Apr., Maii, lunii, lulii, et Aug.*> 1416. L. 8400.
Item prò provisione mensium quatuor, videlicet: Septembris,
Octobris, Novembris et Decembris 1416 in ratione prò mense ut
supra L. 4200: summa L. 12600.
N. 18.
Gridario ras. — p. 8 tergo.
I4i9t IO Maggio.
Per parte del Magnifico et Ex.^o Signore nostro Zohan Fran-
cesco de Gonzaga, de la cita de Mantua etc* Imperiale vi ario e
del popolo de quela Capitanio e segnor generale fi fato crida e
comandamento che conzosia cosa chel sia venuto a notizia al pre-
fato Mag.<^o nostro S.»"*^, che li citadini non veneno a li consegli
ordinati, specialmente al conseglio mazore de quatrocento, quando
se da li sorte degli officii del comune de Mantoa, per la pena
ch'è pizola, zoè de soldi dexe de pizoli, volando oviare a questo
inconveniente, da mo inanzi ha deliberado la dita pena essere de
ducati duoi, perchè la intencione del prefato Sig.»"*^ è che tutti li
ofBcii se daga a la sorte al modo usato. Et per tanto fi fato crida
e comandamento come è dito de sopra, che zascuno citadino el
qual sia over da mo inanzi sera del dito consegio mazore, debia
andare a stare a quello quanti fiadi firà convocado, comò è dito
de sopra segondo l'ordine e la forma de li statuti del comune di
Mantua, soto la pena predita de ducati doi doro, da fir scosa senza
remisione de zascuno chi non se vegnerà e per zascuna volta.
Bartholomeus de Bonattis
scripsit die X maij 1419»
Leda fuit et proclamata per Anthoniutn de la Mirandula et Betinum
Tubicensis in locis consuetis die XIIII maii 1419.
GONZAGA SIGNORE DI MANTOVA
F. I. 3 p. Io tergo.
1430, 12 ottobre.
Per parte etc. fi fato crida e manifesto che zascheduno magi-
Stro de arte cosi citadino absentado corno forestiero, e non rebello
lo qual vcgnirà de novo ad habìtare in la cìtade de Mantoa cum
la soa famiglia e farà l'arte soa in la soa stazone o in la casa de
la soa habitatione. E cosi per lo simile zascheduno altro che non
fosse magistro de arte che havesse quatro boche o da quatro in
suso cosi citadino absentado corno forestero e non rebello lo qual
vegnirà de novo ad habitare in la citade de Mantoa continuamente
debia avere de provigìone dal Comune de Mantoa mezo ducato al
mese doro per lo fito de la stazone o sia dela casa, comenzando
la provisione lo di che luy vegnirà cum la soa famìglia ad habitare
in Mantoa e duri la provvisione fino a cinque any proximi che de
vcgnire.
■
L'invasione francese in Milano (1796)
Da Memorie inedite di don Francesco Nava
LLORA nacque la prima scintilla deiralta ambizione (i),
diceva al conte de Las Cases Napoleone, rinchiuso ornai
in Sant' Elena, riportandosi col pensiero alla conquista
ciella Lombardia, a quella metà del maggio 1 796, epoca per lui ra-
odiosa, nella quale realmente conobbe per la prima volta ed amò
l 'ebbrezza del trionfo. E quando fu giunto in Milano e nelle sale
iel palazzo che l'arciduca Ferdinando aveva appena abbandonato
non era peranco compita la prima settimana da quella fuga) s'av-
^■^ava, avendo a fianco il suo aiutante Marmont, a dare alle stanche
lembra il meritato riposo, lasciò libero il campo alla sconfinata
ìducia in sé che lo possedeva, accennò senza ritegno a superbi
c^^segni per Tavvenire. Il Marmont ha fermato in una pagina delle
^^ ^e memorie (2) il ricordo di quella conversazione alla quale venne
^ al seguito degli avvenimenti una più vivida luce e che nemmeno
ìL Laurent de TArdèche, neir implacabile sua refuta delle memorie
d — ^^ eluca di Ragusa, scorge ragione di porre in dubbio (3).
Orbene : che in tanto rifiorire degli studi napoleonici, nessuno
afc^^ia sin qui pensato a dar notizia sufficientemente esatta e com-
^\ tta di questo primo sbocciare, al sole del calendimaggio italico,
^^ile aspirazioni del grande Còrso, è cosa che a noi pare degna
di meraviglia e di rammarico. Né pretendiamo punto di riempire
(i) Mémorial de Sainii Hélèm^ par le comte de Las Cases, to. I,
p. JC93 delVedizione del 1823.
(2) Métnoires du duc de Raguse, to. I, p. 178.
(3) Rifutation des Mémoires du maréchal Marmont duc de Raguse
pa,^ M. Laurent de l'Ardèche, lib. Il, p. 78^9 e 81.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXFX, Fase. XXXV. 6'
90 l' invasione francese in MILANO (1796)
la lacuna. Solo abbiam divisato di gettare un po' di novella hice
su di un momento storico di cosi grande importanza ed intomo al
quale tanto fatica la verità a farsi strada. I documenti coi quali
poter arrivare a conoscerla non sono oggi che in nùnima parte
a portata della mano degli studiosi.
Le migliori fonti, quali i diari del Minola, ^Jg^M^otoiiattU 4U^
così prezioso di Luca Peroni, giaciono ancora inediti ; le carte d
Pietro Verri e di Galeazzo Serbelioni non sono peranco di pub-
blico dominio ; quasi intatti appaiono gli incartamenti degli archivi
cittadini che a questo periodo si riferiscono.
E, poiché trapassi ereditari fecero pervenire nella proprietà di
uno di noi le memorie che l'ultimo vicario di provvisione, don Fran-
cesco Nava, scrisse appena scacciato di seggio dall'invasione repub-
blicana, abbiamo creduto opportuno di darle in parte alle stampe^
corredandone il testo di qualche necessaria nota esplicativa e penai*
dogli via via accanto quei corrispondenti passi delle fonti sincrone,
da' quali, o venisse chiarita l'importanza singolare che di fronte alla
critica delle fonti stesse spetta a queste memorie, o ricevesse mag-
gior luce qualche punto oscuro o controverso della storia di quel-
l'anno così ricco di eventi e di prodigi.
Abbiamo detto or ora che a queste memorie attribuiamo un
non scarso valore ; né ci sembra che ciò si possa impugnare, se si
consideri T indole dell'autore, di cui premetteremo un rapido schizzo
biografico, gli uffici dei quali era investito e che posero nelle sue
mani, prima per lunghi anni la direzione del governo municipale,
poi, durante cinque giorni, tali da equivalere a cinque anni addi-
rittura, per consenso di tutti i contemporanei, la somma di ogni
potere nella città nostra.
Francesco Nava, che scriveva mentr' era ridotto semplice cit-
tadino, senza speranza o desiderio di riavere cariche ed onori, e
più per gli intimi suoi che per il pubblico, si palesa inoltre spirito
mite e sereno. Valga a dimostrarlo il suo atteggiamento veramente
ammirevole verso chi, già suo collega sotto Tantico regime, lo sbalzò
di seggio e gli sottentrò colKaiuto delle armi straniere e col favore
dei clubs : verso Galeazzo Serbelioni.
Apparirà più innanzi come questa presunzione di autorevolezza
nella fonte che presentiamo, trovi ripetuta conferma. Là dove essa
si scosta dalla versione tradizionale (rimonti questa al Becattini, o
'\
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 9I
trovi un'ultima espressione nel lavoro così minuto e recente del
Bouvier), le carte degli Archivi e le testimonianze contemporanee
più attendibili suffragano la voce del vicario.
Aggiungiamo un' ultima osservazione. Queste memorie possono
rivolgersi con minor presunzione a quei lettori cui punge talento
di seguire il sorgere del genio e della potenza napoleonica. Ma
non è a tacersi che anche la definitiva ruina dell'antica autonomia
municipale milanese , il cozzo di istituzioni nate dal libero comune
repubblicano, svoltesi poi e mutatesi per diuturna pressione di eventi,
colle nuove forme democratiche d'oltr' alpe, generate, sulle tracce
di una previa elaborazione teorica, dalle esigenze e dalle cupidigie
di nuovi strati sociali, tutto ciò, fermato dalla penna di chi della
rivoluzione ebbe a sostenere la prima ondata in terra nostra, co-
stituisce un quadro non privo di interesse.
Francesco Nava (Giovanni, Francesco, Gabrio, Luigi, Giuseppe,
Bernardino) nacque in Barzanò (Brianza), il 27 gennaio 1755, da
don Nicolò, capitano di cavalleria (Rittmeister) e dalla nob. An-
tonia Gemelli. Suo padre servi per 30 anni nell'armata imperiale
e morì nel 1774 di 87 anni, lasciando 6 figli e 6 figlie. Francesco, il
primogenito, fu laureato il 9 giugno 1777 a Pavia, dove era stato
alunno nel Collegio Borromeo. L'anno seguente venne accolto nel
collegio dei Dottori a Milano, corporazione ai membri della quale
erano per consuetudine riservati gli uffici pubblici del ducato. In quello
stesso anno, ai 26 di marzo, chiede di venir accolto nel collegio dei
Nobili Giureconsulti milanesi. Fece lunga pratica legale sotto la dire-
zione e nello studio dell'avvocato don Michele De Villata in Milano
(che nel 1782 abitava « nella contrada dei Quattro Monasteri, la prima
« porta a dritta venendo da Santa Caterina in Brera »; nel 1789,
in contrada del Monte di Pietà, 1597; è lo stesso domicilio, d)?e^
dia^ho) e del r. consigliere, in allora avvocato fiscale. Tosi, e nel
i*;^ lo vediamo patrocinare coratn egregio praetore Mediolani. « Ap-
« provato alle pubbliche cariche », fu compreso nella terna fatta dal
collegio dei Giurisperiti, Conti e Cavalieri per la provvista del
nuovo consigliere assessore del R. Tribunale di prima istanza.
Esercitò per due anni la carica di protettore dei carcerati.
Nel 1780 ancora ebbe l'incarico di sindacare le RR. Curie di
Fortezza e di Menaggio ; nel 1783 quella di Pizzighettone. Nel sin-
92 l' invasione francese in MILANO (1796)
dacato a Codogno, trovò, come già a Menaggio, ogni cosa in ordine;
ma a Pizzighettone ebbe ad incontrare il pericoloso e difficile sin-
dacato del conte Branda Castiglìoni, altre volte regio podestà. Questi
apparve essere stato pretore negligente e forse anche intemperante
nel vino.
Ai primi del 1783 è nominato avvocato dei poveri per un
triennio.
Nel 1784 quale assessore del Tribunale di provvisione (in ca-
rica per due mesi e con diritto di supplire il vicario in caso di as-
senza, avendo a collega Ottavio Pozzo di Perego, ed essendo vi-
cario Benedetto Arese Lucino) fu, col collega, l'ultimo che in virtù
di tal carica facesse dipingere Tarme sua gentilizia sotto la vòlta
dei portone che dalla via di Santa Margherita mette nella piazza
dei Mercanti.
Nel 1782 abitava « alla Torre dei Moriggi, la penultima porta
« venendo dalla contrada dei Corani », e nel 1783 « alla Torre dei
u Moriggi, la penultima porta alla dritta venendo da Sant'Orsola. »
Nel 1786 fu ancora « sindicatore delle RR. Curie di Menaggio
u e Porlezza e della Feudale di Valle d* Intelvi. » A Porlezza non
ebbe a sindacare che il R. podestà delegato don Davide Piazzoni,
essendo il R. podestà d'allora sospeso e sottoposto a straordinario
generale sindacato.
Nel 1785 e fino al 1789 abitava nella canonica di S. Stefano
Maggiore, essendone proposto il fratello Cabrio, che passò poi a
S. Ambrogio.
Nel 1791 era uno dei « componenti l'esecuzione del R. di-
u spaccio 20 gennaio 1791 » ed a' io marzo di quell' anno venne
nominato vicario di provvisione, e nel luglio 1795 prorogato per
un biennio.
Nel 1796 sedeva nel •< Capitolo dei nobb. signori Deputati del-
u l'Ammiranda Fabbrica del Duomo di Milano » e fra i u componenti
u la Congregazione dei Conti. » In quell'anno abitava in contrada
di S. Pietro all'Orto, 892, e riceveva, quale salario, dalla Cassa civica
provinciale lire milanesi 10,000. Quale salario a carico dello stato,
riceveva pure lire 2000, sulle quali, nell'inverno 1796, per la con-
tribuzione in sussidio alle spese di guerra, si fece la « ritenzione »
di lire 240. Esiliato a Nizza, non ne ripartì che ai 14 d'ottobre.
Neil' « elenco di quelle persone che si son dimostrate naturai-
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 93
« mente contrarie alFattuale sistema di governo, abitanti nelle sotto-
« notate Comuni di questo Distretto X della già provincia di Milano
-« ed ora Dist. VII del dipartimento della Montagna, beninteso non
-■ esservene alcuno però che siasi dichiarato con fatti acclatanti re-
« nitente all'ubbidienza delle leggi » (5 prat. a® VI), fra gli elencati
di Barzanò, il Nava è notato come, u di talenti, » buono, di « stato
di famiglia » mediocre, ex-nobile, di « professione, » possessore, ex
tncario di Provvisione, di « età, » jo.
Dopo le vittorie austro-russe nel 1799, troviamo il Nava pre-
fetto e regio delegato della Congregazione delegata che, divisa in
cinque dipartimenti^ esercitava l'autorità municipale.
Al ritorno di Bonaparte emigrò prima ad Udine, poi a Ve-
nezia. Tornato in patria si dedicò alla tutela dei minorenni nipoti
Lurani e morì la notte di Natale del 1807.
G. Gallavresi.
F. Lurani.
MEMORIE DI D. F. iNAVA
SULL'INVASIONE FRANCESE IN MILANO
Mi è occorso di sentire, che molti de' miei compagni hanno
compilato il giornale del viaggio, che tutti insieme fummo obbli-
gati d'intraprendere da Milano a Nizza. Qual di essi immaginò di
così tenere per proprio trattenimento riunita la serie delle vicende
accadute, e quale formolla espressamente per trattenimento altrui (i).
(i) Già nella seduta serale 13 maggio 1796 del Consiglio generale,
decurione conte Pietro Verri aveva presentato una sua proposta
scritta (che si conserva autografa neirArchivio Civico dì S. Carpoforo,
^Ppuntamtnti della Cameretta) per la compilazione di " un esatto gior-
^ naie protocollo di tutto ciò che verrà portato a sua [del Consiglio]
^ cognizione, delle relazioni, lettere, e carte qualunque riguardanti gli
. attuali avvenimenti, e delle disposizioni e provvidenze date dal Con-
^ Sigilo col possibile compendio. „ « Si applaude l'esecuzione dell' ideato
^ protocollo alla cui prima direzione si oiferì gentilmente il predetto
^ s»g. conte Verri, coll'opera di un ufficiale, e si dichiararono pure disposti
alin ssri decurioni. „ Di questo protocollo non abbiamo notizia.
94 L* INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
Parverai opportuno il pensiero, e mi venne la voglia di fare an-
ch'io lo stesso. E forse che io pure non gradirò d'avere negli anni
avvenire la descrizione di tutti gli avvenimenti incontrati in questa
occasione, o non troverò forse nella mia famiglia chi gradirà dj
leggere quello, che avrò su di essi scritto, se non altro per un
pascolo di curiosità, o per un sentimento di commiserazione? Ho
risoluto senza più di applicarmi ad intraprendere, e perfezionare
questo lavoro. Se non altro troverò in esso un mezzo di passare
men male il tempo, e di schivare la noia inseparabile dall'ozio, in
cui sono, e che riescemi tanto più grave, perchè trovomi già da
molt'anni avvezzo a menare una vita attiva e sempre occupata (i).
Ma come farò? L'impresa non è così facile, dacché si tratta di
richiamare le cose passate. Corre già il giorno 15 d'agosto, e sono
già trascorsi ben tre mesi e più, che incominciarono, e prosegui-
rono senza interrompimento gli avvenimenti, sui quali dovrei trat-
tenermi. Mi duole di non avervi pensato assai prima, e di non
trovarmi già in giorno per proseguire la descrizione sulle traccie
medesime additatemi da* miei compagni! Non voglio però abban-
donare il pensiero. Non mi obbligherò all'esattezza, con cui eglino
avranno disposte e riunite giornalmente le vicende occorse, e mi
atterrò solo ad accennare quel, che la memoria saprà suggerirmi.
Mi lusingo nonpertanto di poter dire quanto basta per sommini-
strare qualche idea de' principali avvenimenti, e fuor di dubbio di
evidentemente dimostrare quanto grande ed amorosa sia stata per
me, e per gli altri miei compagni la cura della Divina Provvidenza.
Col finire del 1795 io dovea aver compiuto il periodo assegnato
al mio impiego, ch'era durato per quattro anni, nove mesi e ventun
giorni incominciati col io marzo del 1791, in cui sopra sestina del
Consìglio generale venni dal serenissimo arciduca governatore (2)
eletto in vicario di provvisione della città e provincia di Milano (3),
(i) Infatti neiragosto 1796 il Nava era tuttora ostaggio a Nizza
Marittima.
(2) Cesareo Regio luogotenente, governatore e capitano generale
della Lombardia austriaca era, dall'ottobre 1781, l'arciduca Ferdinando
(1754-1806), sposo nel 1771 a Maria Beatrice, figlia di Ercole IH Rinaldo
d'Este, duca di Modena.
(3) Verso la metà del secolo XIV (v. Calvi, Patriziato milanese^
p. 230, n. 26), sorse la carica del vicario di provvisione, a capo del
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 95
ed in capo della Congregaz.<^ generale dello Stato, carica abolita
dall' imperad.« Giuseppe II nel 1786, e restituita dall* imperad.®
Leopoldo II col dispaccio 2j gennaro 1791 (i). Essendo però pia-
ciuto al Consiglio generale di rappresentare a Sua Maestà la con-
gruenza ed il desiderio della mia conferma in ufficio, ogni qual-
volta per le circostanze del tempo Le fusse parso di ordinare quella
della GDngregazione dello Stato, vennimmo tutti insieme prorogati
ad un biennio con dispaccio de* 11 luglio 1795 (2). Chi l'avrebbe
immaginato, che un distintivo per me tanto onorifico, e che mi
doleva di non aver meritato, dovesse poi portarmi il complesso di
vicende, che son per annunciare?
Negli anni precedenti mi occorsero, è vero, tanti straordinarj
ed inopinati avvenimenti, che mai liberamente potei godere giorni
di quiete e di pace. Tutti sanno (e gli Archivi pieni di tanti miei
manoscritti ne faranno testimonianza ai posteri), quanto abbia do-
vuto affaticarmi nel periodo di cinque e più anni. Appena fui eletto
a coprire la scabrosa ed importante carica, a cui io era ben lontano
di aspirare, e che avrei nel citato giorno io marzo 1791 decisa-
mente ricusato di accettare, se i miei fratelli coll'efficacia del loro
consiglio da me sempre rispettato ed amato, non mi avessero quasi
obbligato, mi fu d'uopo d'applicarmi seriamente allo studio dei
mezzi per disimpegnarla men male che mi fusse possibile. Si trat-
tava nientemeno che di mettere in corso un sistema affatto nuovo (3),
e di dividere per questo le cure con persone tutte nuove per me.
Fortunatamente trovai in loro attività e premura, ed ebbi la con-
tribunale omonimo. Vedi intorno alle mansioni di vicario nella seconda
metà del settecento, il Compendio del Civico Governo della ciltà di Mi-
ianOy manoscritto esistente nell'Archivio Civico e pubblicato dal Calvi,
op. cit., p. 355.
(i) Ancora nel 1796, troviamo un Corpo civico sotto la denomina-
zione: " Componenti l'esecuzione del R. dispaccio 20 gennaio 1791. „
Già abbiamo visto come ne facesse parte il Nava. (V. p. 92).
(2) Il Calvi, Famiglie notabili milanesi, Brivio, tav. XIII, pone la
riconierma dell'assessore Cesare Brivio al 14 dicembre 1795.
(3) Veramente le innovazioni leopoldine nel governo locale erano
per la maggior parte un semplice ritorno all'antico, dopo le passeggere
riforme giuseppine ; v. Verri, Storia dell'Invasione dei francesi repub-
blicani, p. 385 del voi. IV degli Sentii inedili; Cusani, Storia di Milano,
voi. IV, p. iia; TiVARONi, L'Italia durante il dominio francese, I, 88.
90 l'invasione francese in MILANO (1796)
solazione di operare con soggetti forniti abbondevolmente di lumi
e di cognizioni, cosicché quel, che parevami difficile, fu fatto age-
volmente. Non è mia intenzione di qui tessere la storia del mio
vicariato, che riservomi di fare in tempi più tranquilli, e soltanto
credo opportuno all'intento presente il toccare di volo alcuni de*
principali avvenimenti per dare una semplice idea delle varie gra-
vosissime cure, che mi occuparono in tutta la sua durata. Ben più
grave del principio fu il progresso dei mesi e degli anni, quando
si alternarono mai sempre le vicende per rendermi l'esercizio della
carica vieppiù critico e laborioso.
La venuta dell' imperad.* Leopoldo a Milano nel giugno del
1791 (i), la sua morte seguita nel marzo del 1792, la succes-
sione al trono dell'imperadore Francesco II, l'omaggio e il giura-
mento di fedeltà (2) prestatogli con tutta solennità nel settembre di
detto anno nella persona del r. arciduca governatore munito di spe-
ciale mandato, e pienpotere furono tutti avvenimenti grandi, che
mi portarono grandi travaglj. In appresso per tacere delle riforme,
che si sono immaginate ed eseguite in qualche Corpo civico, e che
mi hanno costato non poco e di inquietudini, e di fatiche, e per
tacere altresì di altre grandi operazioni laboriosissime, che fu d'uopo
d'intraprendere e perfezionare pel bene generale dello Stato, la
guerra sola cominciò ad occuparmi di varj oggetti sommamente
importanti. Le disposizioni per gli alloggi delle truppe, e per gli
Ospitali, il continuo loro movimento dall'uno all'altro luogo, la ne-
cessità di far loro somministrare i carri pel trasporto degli equi-
paggi ed attrezzi militari, de' viveri, e delle munizioni da guerra,
l'impegno di approvvisionarle di carni in modo di non portarne
l'anmianco agli abitanti dello Stato, la raccolta de' sussidj volontarj
e forzati per grandiose somme, di cui la R. Camera avea bisogno
per sostenere le spese della guerra (3), lo studio di rendere tali
(i) Entrò in Milano il 28 maggio di quell'anno.
(2) 11 vicario Nava fu uno dei soggetti deputati dal Consiglio ge-
nerale a prestare il ** giuramento d'omaggio e fedeltà ,. V. le apposite
cartelle neirArchivio di Stato di Milano, Potenze sovrane.
(3) 11 22 luglio 1793 fu annunciato un ^ Dono Spontaneo „ offerto
dallo Stato di Milano a S. M. Apostolica in sussidio della guerra contro
1 francesi. La Congregazione di Stato oflferse 100.000 fiorini finché du-
rasse la guerra per stornare l'arruolamento richiesto per completare i
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 97
sussidj meno gravosi (i), che fosse possibile allo Stato, ed ai
contribuenti, la direzione di varj imprestiti aperti e molti altri assai
simili gravissimi oggetti mi obbligarono mai sempre ad un continuo
non interrotto lavoro. Questo bene spesso fu ed amareggiato e
reso ancor più pesante da non pochi incidenti, e specialmente dalla
frequente variazione de* comandanti militari, e dal sempre alternato
decadimento e risorgimento delle persone preposte al governo ed
alla direzione suprema degli affari.
A viemmaggiormente tormentarmi sopravvenne ai primi dello
scorso novembre V infortunio d*un ostinato e feroce male bovino,
che in breve tempo diramossi in moltissime stalle dello Stato, e
fece strage di una specie tanto necessaria alla agricoltura e sus-
sistenza nazionale. Ed eccomi obbligato da questo sgraziato avve-
nimento ad uno studio affatto per me nuovo, giacche confesso, che
poco, o nulla sapevo e delle cautele, e dei rimedj, ch'era d*uopo
proporre per metter riparo alla maggiore propagazione d'un mal
tanto grande. Non posso ricordarmi senza una specialissima gra-
titudine alla Divina Provvidenza di tutto quello, che mi è riuscito
di fare nel corso d'un mese. Lasciando a parte le innumerevoli
disposizioni, \he solo potrei raccogliere dagli atti, tutti gli editti,
avvisi, ordini, circolari, che sonosi stampate in quest'occasione,
furon da me disposte, e mi trovai più volte obbligato a far da me
stesso le maraviglie d' aver potuto tanto operare senza soffrir
nella salute. 11 conforto di passar le ore del pranzo, e della cena
coi miei fratelli nella casa prepositurale di S.^ Ambrogio (2), dove
due reggimenti italiani Caprara e Bclgioioso. L'offerta fU accolta con
dispaccio 9 marzo 1794. 11 15 maggio 1795, nuovo prestito di 4 milioni
di lire milanesi. Il 13 agosto, imprestito a forma di lotteria per la somma
di 3 milioni e mezzo, da aprirsi in Milano presso il Monte di Santa
Teresa a conto della Camera Aulica.
(i) Il vicario, chiamato a consulta dall'arciduca il 23 febbraio 1796,
riesciva, fra l'altro, col conte Cavenago e col conte Rovelli, assessore
delia città di Como, a stornare la minaccia di una nuova imposta che
avrebbe colpito anche gli enti fin qui rispettati, quali i creditori del Monte
Santa Teresa, violando una precedente promessa di un esplicito reale
chirografo. V. Greppi, La rivoluzione francese nel carteggio di un os.
servatore italiano ^ voi. II, p. 329-330.
(2) Monsignor don Gabrio Nava, poi santo vescovo di Brescia, era
proposto parroco di Sant'Ambrogio. Nel 1796 egli era uno dei deputati
del L. P. Trivulzio.
Arch, Sior. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXV. 7
98 l'invasioxe francese in MILANO (1796)
àhitBÌ in quel mese, mi servi di cordiale, e mi sosteime ^golo-
samente. Erano appena messe in corso non senza profitto le sa-
lutari disposizioni, che venne la nuova del rovescio sofferto dal-
l'armata in Riviera ai 23 del mese (i), e mi richiamò dall'oggetto
comecché interessantissimo dell'Epizoozia ad altre cure fìh. pre-
murose. Oltre il pericolo d'una anticipata invasione de' franceà,
che svani in pochi ^omi (a), convenne tosto darsi moto p. fissare i
quartieri d'inverno alle truppe, che dopo la rotta sofferta furono
obbligate a ritirarsi in Lombardia. E non fu piccolo l'impegno^
perchè dal generale Wallis (3), il quale avea preso il comando
generale per l' ignominiosa dimissione fattane dal generale De-
Vinz (4), si volle, che tutti i battaglioni fussero collocati nelle
(e) La battaglia di Loano, che veramente durò 5 giorni: dal as al a6L
(3) La miseria di cui soffriva l'esercito francese, l'assenza di de-
naro e di cavalleria furono, secondo il Gachot, La pnmièrt imm^agm
tf UalU^ p. 33, le ragioni impellenti che trattennero i repubUtcani dal-
l'inseguire gli imperiali.
(3) Wallis, generale d'artiglierìa, comandava già gli austrìaci in se-
condo, nell'autunno del 1795, sotto gli ordini di de Vins. Quando ques-
t'ultimo, il 35 novembre» abbandonò le truppe che tenevano la rivieni
di ponente, alle porte di Genova» fu Wallis che di li le ricondusse nella
valle del Po. 11 Cusani, Storia di Milano, voL IV, p. 315^ giadicando
l'opera del Wallis durante il breve perìodo in cui presiedette alle truppe
imperiali, lo dice troppo prudente " per tener testa ali* impeto francese. «
(4) Giuseppe Freiherr de Vins (nato in Mantova 1732, morto a
Vienna 1798), si guadagnò sui campi di battaglia, specialmente contro i
turchi, rapide promozioni ai più alti gradi dell'esercito imperìale. Feld-
zeugmeister nel 1789, ebbe nel 1793 il comando di un corpo d'annata
in Italia e nella primavera del 1795 fu posto a capo, con limitazioni che
la poco buona armonia degli imperiali cogli alleati rese molto gravose,
di tutte le truppe austro-sarde nelle Alpi e negli Appennini. Da tempo
malato e sofferente pel peso degli anni, giaceva in letto a Finale, quando
i francesi, sotto Schérer e Massena, iniziavano contro le sue troppe
l'azione complessa che riesci alla rotta, fatale per gli austrìaci, deno-
minata da Loano. De Vins non si fece vivo che la sera del ^ n<h
vembre 1795. con un ordine di ritirata. Escito da Finale; egli fu visto il ^
dirigersi rapidamente in carrozza, con un pugno di cavalieri, da San
Pier d'Arena a Novi. Poco appresso era a Tortona, abbattuto nel corpo
e nello spirito. Il marchese Enrico Costa de Beauregard scrìsse allora
che de Vins era la causa degli irreparabili disastri degli alleatù II go*
verno austrìaco lo mise a riposo ; quando poi lo vide rinfrancato in
salute, lo nominò (1797) ispettore generale dei confini militarì. In tale
carìca lo raggiunse di li a poco la morte.
j
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 99
Provincie di Pavia e di Lodi in vicinanza del Po. Ebbi gli ordini
ai primi di dicembre, e colla Congregazione dello Stato mi affrettai
di combinare tutte le disposizioni, che furono eseguite senza ri-
tardo, e le truppe fra il giorno di Natale e quello di S.^<> Stefano
furon tutte acquartierate. Intanto nei primi due mesi di quest'anno
venivan sempre dalla Germania nuovi rinforzi, che giornalmente
mi obbligarono a pensare a nuove disposizioni. Per grazia del cielo
pareva inclinata al suo termine l'epizoozia, e mi si erano alquanto
scemate le occupazioni ad essa relative (i). Quando improvvisa-
mente un altro luttuoso avvenimento obbligommi ad un nuovo tra-
vaglio. Nel borgo di Castano, poi in quello di Besate manifestossi
un'epidemia umana di carattere maligno, che fu giudicata un tifo
contagioso. Oh Dio, quante vicende afflissero mai la povera Milano
in poco tempo ! Eppure desse non erano che foriere de' maggiori
disastri, a cui dovea essere presto soggetta. Non tralasciai quanto
da me potea dipendere per soccorrere in un tempo i poveri infermi
delle due borgate, e per impedire il progresso e la dilatazione
delle epidemie, e so ben io quali e quanto affannose cure dovetti
portare, e ringrazio il Signore, che degnossi di benedirle con esito
felice.
Erano omai ridotte al loro termine le anzidette epidemie al-
lorché dichiarato general comandante dell'armata il vecchio barone
Beaulieu (2) ordinò la partenza di tutte le truppe dalla Lombardia
per il Piemonte, ed ecco aperta coi primi di aprile la quinta cam-
(i) Veramente il cronista Minola non registra che alla data del-
l'i 1 maggio il permesso del vicario di provvisione di riaprire " li so-
liti mercati di bestiame „ per essere cessato ogni timore d'epizoozia,
ma il residente veneto in Milano Zuanne Vincenti Foscarini già in un
suo dispaccio del 16 marzo scriveva al ser.mo Ppe constargli delia " quasi
totale estinzione dell'epidemia ne' bovini, „ e ciò, non solo in base a
* memoria del R. Governo, , che il residente allega, ma anche ad un
biglietto del vicario di provvisione.
(2) Il barone Giovaoni Pietro di Beaulieu, nato in Olanda nel 1726,
aveva iniziato giovanissimo la sua carriera militare. Nel 1789 si segnalò
nel domare l' insurrezione belga. Continuamente sulla breccia durante
le prime guerre della rivoluzione, fu capo di stato maggiore di Clerfayt.
Secondo il Werner^ Kaiser Franz, p. 99, la sua fedeltà alla scuola guer-
«esca messa in onore da Federico II non era punto cieca. I Mémoires
tiris des papiers d'un homme d'état lo giudicano molto favorevolmente
ed assicurano che la sua nomina fu suggerita all' imperatore da Clerfayt.
lOO l' invasione francese in MILANO (1796)
pagna, del di cui esito io mi tenni sempre timoroso ed incerto (i).
Da quel momento in poi non ci fu più quiete, o riposo. Continui
comandi di carri ed assai numerosi, ed improvvisi, ricerche d'un
numero grande di buoj, che fu d'uopo di far avvanzare precipi-
tosamente da Mantova a Pavia, e da Pavia nel Piemonte, indagini
di mezzi per trovare soccorsi di danaro, ed altrettali oggetti con-
corsero ad occuparmi gravemente in quel mese, mentre le angustie
andavan crescendo, ed era pure indispensabile d'affliggersi sulla
imminente futura sorte della Lombardia. Né valsero punto a cal-
mare l'interno mio affanno le nuove de' primi fatti giunte dal
quartier generale cogli esagerati vantaggi riportati dall'armata a
Voltri (2). Conosceva abbastanza l' imbecillità del vecchio generale
Beaulieu, e la sua totale ignoranza dei posti del Piemonte (3) per
Arrivò a Milano il io gennaio (Minola). Dopo lo sgraziato esito delia
campagna contro Buonaparte, lasciò il servizio (fine di giugno 1796),
senza destare rimpianti nei suoi subordinati (Despatches of colonel Gra-
ham in EngL Hist, Rev.y january 18^, p. 117). Mori nel 1819.
(i) Solo dopo aver constatato che Massena non aveva spinto più
innanzi 1 suoi dopo la vittoria di Loano, il Consìglio aulico di Vienna
si sarebbe deciso,, in fine di gennaio 1796, ad apparecchiarsi, coi sus-
sidi inglesi in denaro, ad una nuova campagna. Almeno così pretendeva
Berthier, allora capo di stato maggiore deiresercito francese delle Alpi
(Gachot, La première campagne d' Italie ^ p. 61). Per altro l'Austria aveva
già il 28 settembre stretto la triplice alleanza coU'Inghilterra e la Russia.
(2) Napoleone (Oeuvres de Napoléon i«* à Sainte-Hélène — Campa-
gnes d^ Italie, e. II, § IV) scrisse con amara ironia: Dans le mime temps
(in cui i francesi schiacciavano Argenteau) Beaulieu se presentati à Vollri,
mais il n'y trouvait plus personne ; et il s'y aboucha sans ohstacle^ avec
Nelson, amirai anglais. Veramente aveva detto poche righe più su che
Beaulieu aveva attaccato presso Voltri il generale francese <ii brigata
Cervoni, che teneva quella località, sì che questi si ritirò. D'altro canto,
gli imperiali avevano festeggiato con troppa precipitazione l'aver potuto
sloggiare alcuni avamposti e toglier farine e cartuccie ai repubblicani
in Pegli. Beaulieu, nel rapporto confidenziale all'imperatore dopo la
prima rotta (pubblicato dal Gachot, op. cit., append. C), confessa:
" Avevo visto la prima luce dei bei giorni! „
(3) Dalla Storia delVanno ij^ó (attribuita al Becattini) appare come
r impressione lasciata dal Beaulieu in quanti lo avvicinarono nei salotti
milanesi in quell'inverno concordi con quella cosi crudamente espressa
qui dal Nava. Della sua troppo scarsa conoscenza del terreno delle
operazioni, la stessa storia dà una prova molto significante là ove narra
che il maresciallo, mentre già retrocedeva, fece chiedere alla Camera
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA IDI
rallegrarmi di tai fatti, in cui a mio senso parevami di poter rav-
visare apertamente uno sbaglio di direzione, e di misure, siccome
non ebbi difficoltà di dirlo con ingenuità allo stesso r. arciduca go-
vernatore (i), il quale pure non sapeva comprendere (2), come
fusse caduto in pensiero al generale di portarsi col grosso dell'ar-
mata di là dalla Bocchetta sino sotto Voltri, e lasciare così poco
difesa la parte del Dego, dov'era meno difficile, e più probabile
una irruzione. Difatti non tardò guari a verificarsi il mio prono-
stico (3). Verso la metà del mese si sparse per la città un sordo
rumore d'una rotta (4), che Tarmata avea sofferto a Montenotte,
delle finanze una carta del corso del Po, fatta ai tempi del principe
Eugenio, che avrebbe pur dovuto aver prima d'allora alle mani. Invece
Buonaparte si faceva inviare di Francia la " Storia militare del prin-
* cipe Eugenio. „ 11 Werner, op, cit., p. 99, ci descrive lo scarso affiata-
mento fra Beaulieu, che sentiva altamente di sé, ed i suoi ufficiali ; ma
dice pure con quale calore quel vecchio arzillo si fosse accinto all'ardua
impresa di prendere la rivincita di Loano. Il Lacretelle poi (Précis
historique de la revolution franfaise. — Directoire exécutif, I, 2, p. 161) loda
assai il contegno fermo e calmo del capitano d'altri tempi mentre, ri-
cacciato verso oriente, contrastava l'avanzarsi del duce delle genti
nuove I
(i) Quanto dessero noia al Verri le opportunità di abboccarsi ^col-
l'arciduca, concesse particolarmente a taluni dei corpi civici, appare
dall'asprezza con cui ne rimprovera l'arciduca, quasi che arbitra-
riamente desse una maggior importanza a questi suoi fidi, grazie al-
l'accordato loro * accesso frequente „ {Storia dell* invasione^ p. 385). Me-
morie manoscritte, favoriteci dal nob. A. Giulinl, di don Francesco Melzi,
commendatario del S. M. O. di Malta (neppur parente, crediamo, del duca
di Lodi), ci additano il vecchio conte Lorenzo Salazar come altro di
questi confidenti di Sua Altezza. Da una lettera privata del vicario,
scritta, è vero, qualche tempo innanzi, apparirebbe come il Nava, lungi
dall'essere uno dei consueti confidenti dell'arciduca, fosse anzi da co-
storo visto piuttosto di mal occhio.
(a) Quando poi il dilagare della ruina degli imperiali lo costrinse
a fuggire, " l'arciduca, non assuefatto a sentire i colpi dell'avversità,
* accusava, piangendo, non la fortuna, ma, ^econdochè si usa nelle di-
* sgrazie, i cattivi consigli di Beaulieu „: Botta, Storia d'Italia dal
ijSg al r8i4i to. I, 1. 6.% p. 222.
(3) Uguale presentimento aveva lasciato dubbioso il Verri dell'op-
portunità della spedizione di Voltri ; v. la lettera al fratello Alessandro
20 aprile 1796 in Lettere e scritti inediti^ p. 197.
(4) V. notizie su quel primo panico e sui suoi elementi in Greppi,
op. cit., II, p. 334-35-
I02 l' invasione FRANCESK in MILANO (1796)
e ben presto vennero i rapporti ufficiali a confermarne la nuova (i).
Dopo di essa varj altri annunzj susseguirono, ed ogni giorno an-
davano arrivando nuovi corrieri portando la ritirata dell* armata
austriaca, e Tawanzamento della francese. Sino a che stabilito ai
28 d'aprile l'armistizio tra il comandante di essa general Bonaparte
ed il generale Baron de la Tour e il colonnello marchese della Costa
delegati dal re dì Sardegna, il general Beaulieu fu obbligato di ri-
tirarsi sino al Po.
Dopo tali notizie non solo si rendette verosimile, ma quasi
sicura r invasione della Lombardia (2). Difatti il Governo austriaco
non tardò a dare le disposizioni preventive per la probabile sua
vicina partenza (3). Non so esprimer quanto siami toccato di tra-
vagliare e '1 dì e la notte nel periodo di questi giorni, e sempre
coirangustia di vedere una guerra viva nello Stato (4).
Si raddoppiarono le pubbliche e private preghiere (5), che nel
decorso della guerra furon sempre frequenti e divote (6). Un triduo
(i) Secondo Greppi, op. cit., II, p. 334, il primo dispaccio allarmante
di Beaulieu non giunse in Milano che la sera del 17 aprile.
("2) Di tale pericolo voci ed anche scritti pubblici (v. ^sunto di uno
in Greppi, op. cit., II, p. 343, nota i) movevano aspro rimbrotto al go-
verno imperiale, accusandolo di averlo fatto sorgere col non aver
guernito a sufficienza di truppe la Lombardia.
(3) V. nell'espresso del Foscarini (a6 aprile, ore una dopo mezzo-
giorno) notizia degli apparecchi dell'arciduca.
(4) L' inviato dei corpi civici milanesi al campo, con missione di
tenere informato il vicario di provvisione delle vicende della guerra,
don Felice Astori, temeva * la guerra guerreggiata in paese . solo nel
caso che rinforzi giunti a Beaulieu gli dessero modo di attuare il suo
proposito di sostenersi in Lombardia. Altrimenti, considerando sovratutto
l'aiuto che, finché la lotta non si scostava da quel tratto del Po, veniva
ai francesi dall'alleanza parmense, l'Astori era indotto a credere che
gli orrori della guerra non desolerebbero durevolmente la Lombardia.
(Corrispondenze dai campo, nell'Archivio Civico milanese, 22, vicende
poiitichè).
(5) Non senza provocare il lamento d'un ambrosiano poco divoto,
secondo il quale, immersi nelle pie pratiche, * No sem bon nò de dilla
" coi franzes „ ; Db Castro, Milano e la repubblica cisalpina, p. 46.
(6) Notiamo sovratutto due tridui per ottenere la divina protezione
alle operazioni di guerra: l'uno degli ultimi tre giorni del settembre
1795, ordinato dal vicario in Santa Maria presso S. Celso, l'altro nella
Metropolitana, alla fine di marzo, per iniziativa e con intervento della
Congregazione dello Stato.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I03
si fece in Duomo ad istanza e coli* intervento della Congregazione
dello Stato e fu compiuto col finire di aprile. Il primo giorno di
maggio fuwi una messa parimenti in Duomo colla esposizione del
SS.™® Sagramento, e colla benedizione alla sera coli' intervento della
Corte (i). E sulle istanze mie e del Consiglio generale si fece nel
giorno sei alla mattina una solenne processione delle reliquie dalla
Chiesa Metropolitana a S.' Ambrogio (2), dove alla sera dello stesso
giorno sei, e ne* successivi giorni 7 e 8, vi fu V esposizione del
SS.™o Sagramento con altre pie funzioni, alle quali intervennero tutti
i Corpi civici ripartitamente, ed un affollato concorso di popolo
co' sentimenti della più edificante divozione, ed esemplarità (3).
Intanto le nuove, che andavan sopravenendo dal quartier ge-
nerale eran sempre più infauste, e tutto collimava a far credere inevi-
tabile e vicinissima l'invasione (4). Io m'era coricato a letto la sera del
giorno otto qualche ora prima del solito non tanto per riposarmi dalla
stanchezza, che alla sera mi opprimeva maggiormente quanto perchè
nel dì seguente dovea alzarmi più di buon'ora per recarmi alla
prima processione delle rogazioni triduane. Non ostante il turba-
mento interno presi tosto un placido sonno, quando d'improvviso
(i) Anzi, per ordine della stessa, secondo il Greppi, op. cit., I!, p. 338.
V. la descrizione delle sacre cerimonie di questo giorno nel Diario del
MiNOLA, alla data i.° maggio. Questo cronista narra che si raccolsero
allora elemosine " per le vedove e pupilli dei soldati morti in guerra. „
(2) Il Minola descrive minutamente la processione e dà un lungo
elenco degli ecclesiastici intervenuti e delle reliquie. Intervennero pure
■ li sessanta decurioni e nobili collegi. „ L'avviso del cancelliere arci-
vescovile Gambarana, in cui si diedero le disposizioni per la grandiosa
processione, recava la data del 1/ maggio.
(3) Nell'ultima sera del triduo intervennero, * in incognito, „ le
LL. AA. RR. (Minola).
(4) Infatti le lettere di don Felice Astori al vicario Nava (v. s. p. 102)
nota 4) da Pavia e da Borghetto, annuncianti che il Po non era più libero,
che gli austriaci vendevano in gran fretta i magazzini e si ritiravano, per
evitare il pericolo d'essere girati, lasciavano prevedere imminente il pas-
saggio del fiume per parte dei francesi. Ed alle 7 % pom. dell' 8 maggio,
l'Astori medesimo doveva scrivere da Lodi una lettera frettolosa che così
comincia: " Eccellenza, — Il nemico ha passato il Po, e si batte coi
• nostri in vicinanza di Piacenza. „ Appare, da quanto dicono più sotto
le memorie del Nava, che l'Astori ritornò in città prima ancora che
fosse pervenuta al vicario l'ultima sua lettera.
I04 L* INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
mi sento svegliare dal secondo assessore di Lodi (i), che di là
giunto portommi la nuova d'essere i francesi penetrati dalla parte
di Piacenza in Lombardia (2), e già padroni di Codogno, mentre
l'armata austrìaca seguitava a ritirarsi con precipizio di là dal-
TAdda. Non mi era possibile, né mi sarebbe convenuto di dare in
quella stessa notte veruna disposizione, perciocché trovavasi ancora
il Governo in Milano. Premessi pertanto i dovuti ufficj col secondo
assessore, lo congedaj, e procurai di riposarmi, per quanto le cir-
costanze del momento, e l'affollamento dei pensieri, che m' ingom-
braron la mente, me lo permisero. La mattina per tempo senza
mostrarmi turbato volli andare alla processione; e feci tutto il giro
sino a S.' Ambrogio, dove staccatomi dal Corpo municipale (3) mi
(i) Occupava tale carica, nel seno dell' Eccellentissima Congrega-
zione di Stato, don Felice Astori, cui veniva pagato un salario di 4000
lire milanesi annue. L'Astori, che aveva seguito i movimenti delle
truppe imperiali sino alla sera dell' 8, avanzandosi con notevole spirito
d* iniziativa, ma solo " sin dove il pericolo consiglierà a trattenersi, »
fu rispedito a Lodi il io maggio dal vicario di provvisione * per otte-
nere più accertatamente nuove ulteriori. „ (Appuntamenti della Cameretta^
1796, neir Archivio Civico di Milano). L'Astori in quei giorni fu sempre
sulla breccia : lo vediamo uno dei quattro delegati al campo francese,
poi rappresentante con altri colleghi la Congregazione dello Stato al a
solenne entrata di Massena in Milano. Nel pomeriggio della Pentecoste
accompagnò il vicario nella sua visita al generale Buonaparte. Fu infine
uno dei prescelti per V ispezione fatta nel palazzo Serbelloni, quando
vi si volevano traslocare gli uffici civici.
(2) Secondo il Bouvier, Bonaparte en Italie, p. 489, Lannes, primo
dei francesi, passò il Po alle 2% pomeridiane del 7 maggio (=z. 18 floreale).
Come vedemmo, l'Astori non lo seppe, presso Casalpusterlengo, che
alla sera dell' 8. Il vicario, informatone, come pure l'arciduca, in quella
notte, lo annunciò alla mattina seguente al Consiglio generale straor-
dinariamente adunato. A ragione nota il Jomini, Hisioire crilique et mi'
litaire des guerres de la revolution , II, X, 57, p. 362 : Chacun compia nt
sur cette barrière^ reputée inexpugnable, perdit la téle à la nouvelle du
Passage.
(3) La Congregazione Municipale nel i'}96 era così composta : (vedi
Cittadino e viat^giatore milanese pel 1796) :
R. dtlegalo: conte Luigi Trotti
1)icario dì provvisione : don Francesco Nava
Assessori tog-ati: conte Nicolò Visconti, mirchcsc Cesare Brivio
Decurioni: marchese Benigno Bossi, marchese Ferdinando Cusani
Fisico coUegiato: dott. Filippo Sormani
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA IO5
tratenni per poco ad informare gli amatissimi miei fratelli (i)
dello stato delle cose, ed indi tutto solo mi recai senza ritardo al
Broletto (2). Ahi quali, e quante cure mi hanno oppresso in quel
giorno! Giuntovi appena trovai varie carte governative, fra le quali
eravi Teditto, con cui veniva avvisata al pubblico la partenza del
governo (3), e l'erezione d'una Giunta interinale da esso lui dipen-
Estimati patrizi : marchese Franc. Visconti, don Lorenzo Sormani
» cittadini: avv. don Giuseppe Bagatti, avv. don Ignazio Manzi, signor
Pietro Ballabio, don Carlo Bianchi
Aggiunti patrizi : don Giuseppe Giulini, marchese Paolo Olivazzi
• cittadini: don Carlo Rusnati, don Ignazio Cornegliano
i^indaco :' don Pietro Veoani
Segretario: don Giuseppe Perabò.
(i) Erano il già nominato proposto, Federico, canonico del Duomo,
e Carlo.
(a) Nel palazzo dei Carmagnola, detto Broletto nuovissimo, avevan
sede, come ognun sa, gli uffici del comune.
(3) Sembra che dapprima il governo abbia tentato di far credere
che il pericolo fosse stornato da una vittoria austriaca tra Codogno e
Lodi, giacché tale notizia fu raccolta il io maggio a Basilea (attenuata
dalla voce, corsa colà in pari tempo, della rotta di Beaulieu) dal primo
segretario della legazione francese, Bucher, che la comunicò tosto al
ministro degli Esteri a Parigi (v. i documenti dell'Archivio francese
della guerra, citati dal Bouvier, Bonaparte en Italie, p. 512). Ma, sotto
la pressione dell' immediata necessità, tosto dopo l'arciduca dovette de-
cidersi alla fuga, se non volea arrischiare di cadere nelle mani dei
francesi. Il 9 era giunta la notizia che questi, non solo erano in Lom-
bardia, ma vi avevano battuto gli imperiali. Fu un'eco di Fombio (che,
secondo T Agnelli, Lodi nella repubblica cisalpina in Archivio Storico Ita-
tana, V serie, to. XXIV, 1899, fu ben poca cosa)? Il Foscarini (dispaccio
di quel giorno, senza numero), lo comunicava al doge ed aggiungeva
che • in forza „ di questo ** fatto, „ " hanno presa immediata risolu-
" zione li RR. AA. di allontanarsi da questa città, come momenti sono
* eseguirono. „ La Storia deWanno lygó dice che la partenza avvenne
* verso mezzodì „ ora in cui, come udremo dal Nava stesso, le truppe
imperiali cessarono di presidiare la città. Si può considerare come ac-
certato che la popolazione assistette senza commuoversi alla fuga del-
l'arciduca; invero perfino il Termometro politico, così fieramente ostile al
fuggente e fautore di ogni anche precipitato moto popolare, non parla
(n. del 7 Messidor IV Repub.: Disposizione del popolo milanese a rigenerarsi
calcolata) che di " indififerenza „ e " disprezzo „ mostrati dal popolo. Il
BouviER, op. cit, p. 573 ; il Cantù, Storia degli italiani, to. VI, 1. XVI, e. 176,
p. 317; le Memorie- Documenti di Fr. Melzi concordano nel dipingere
l'attitudine dei milanesi. Stettero * muti e tranquilli, „ conchiude il
Io8 l' invasione francese in MILANO (1796)
nizzata, e messa in piedi la Milizia urbana (i). Pare impossibile >
ma è vero, che nel giorno medesimo era già unito im corpo suf-
ficiente di volontari per coprire tutti i posti della città (2), e verso
generandosi una specie di duello oratorio fra lui ed il Melzi, per deci-
dere a chi spettasse il prender deliberazioni d'urgenza, facoltà poi con-
cessa alla Congregazione municipale ed allo Scrutinio degli ordini. Si
provvide pure, auspice il Verri, a riaffermare ostensibilmente la pro-
prietà civica di grosse somme amalgamate in modo troppo pericoloso
con denari deirerario.
(i) Che la leva della milizia urbana dipendesse dall'editto gover-
nativo ordinante agli abitanti di notificarsi, lo riconosce Io stesso Nava,
invocando dalla R. Conferenza governativa tale editto (Archivio civico,
Milizia urbana, Prow. gener,, Materie 661). Ma è curioso che il Cusani,
op. cit., IV, p. 330, concordando coi Mémoires de Massena, II, p. 66, col
Melzi, op. cit., p. 143, col Botta, op. cit., t. I, 1. 6.** abbia attribuito al
governo austriaco il pensiero di convocare quelle truppe. Il Greppi, la
cui accusa al Governo di aver ostacolato la leva, op. cit., p. 336, non
appare per altro fondata, attribuisce la prima idea dell'opportuna mi-
sura al Melzi, e con verosimiglianza, che egli anche più tardi si pre-
occupò di completare l'organizzazione di quella milizia (Appuntamenti
della Cameretta, ij maggio sera). Fu il 2 maggio che una * Consulta »
dello scrutinio suggerì con successo al Consiglio generale di chiedere
reditto per le notificazioni, che fu domandato dal Nava il 12 stesso e
concesso dal Wilczeck con lettera del 6. Il Peroni pertanto ben s'ap-
poneva attribuendo ai decurioni l'ordine della leva (Compendio sto-
rico, ecc.). Non so perchè il Bertolini, Conferenze di storia milanese^ La
Repubblica cisalpina ed il Regno italico, p. 528, dica che la leva fu * tu-
multuaria, 9 Si provvide alla nomina di un pro-auditore delia Milizia;
le si destinò il quartiere lasciato libero dalle guardie del corpo dell'ar-
ciduca nel soppresso monastero di S. Ulderico al Bocchetto {Guida di
Milano antico e moderno). Non si fecero nella leva distinzioni di classe,
ma, se al Consiglio generale il Regolamento della milizia * escludente
• ogni disparità fra nobili e cittadini „ sembrò opportuno e fu approvato
nella seduta del 2 maggio, la Conferenza governativa accolse pure i
suggerimenti del vicario, di non armare cioè il basso popolo che non
avea proprietà, adducendo i riguardi imponenti di non turbare il lavoro
di chi viveva del guadagno giornaliero. Così composta, non pare la mi-
lizia assumesse tosto un aspetto gran che marziale ; v. Becattini, Storia
del memorabile triennale governo, ecc., lett. i.'; né i ■ remolazzitt „ affi-
davano molto il poeta vernacolo citato dal De-Castro, Milano e la Re-
pubblica cisalpina, p. 47.
(2) Il 9 medesimo aveva il Consiglio generale invitato vivamente
i cittadini a notificarsi. * Si calcola che duemila chiedessero d'arruo-
" larsi, „ Greppi, op. cit, lì, p. 339. Poi ancora in quel giorno si ordinò
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA IO9
il mezzodì all'avviso giunto per parte del Castello, che si ritira-
vano tutte le guardie militari, che stavano alla Corte ed in altri
luoghi della città (i), furon tosto sostituiti da per tutto i corpi delle
milizie (2). Dato tal provvedimento, ch'era il più essenziale per la
quiete e tranquillità interna della città furono nominate varie Dele-
ai già notificati di presentarsi per le 7 pomeridiane al Broletto. Vera-
mente il Nava si vanta che la sostituzione delle sentinelle avvenisse
poco dopo il mezzogiorno, non si capisce bene in qual modo, data l'ora
prefissa (le sette di sera) per la presentazione. Certo però il servizio
fu prestato subito molto volonterosamente (Greppi, op. cit., 11, p. 339-
340), sì da meritare che il giorno seguente (io maggio) il Consiglio
generale ne rendesse pubblica testimonianza, lodando e ringraziando
quei primi accorsi sotto le armi dei militi urbani. Ignoro perchè le
Memorie^Documenii del Melzi, su cui si basa il Tivaroni, asseriscano che
la milizia " venne.... meno ai dì della prova ,, (I, p. 143). Alcuni degli uf-
ficiali rifuggirono per altro in quel frangente dall' esercita re il comando.
Il Consiglio generale ricevette, mentre era adunato appunto il 9 mag-
gio, le dimissioni dei maestri di campo, conte "Lorenzo Salazar (nona-
genario I) e conte Galeotto di Belgioioso, pure molto vecchio. Nella seduta
pomeridiana di quello stesso giorno si approvarono le terne per so-
stituirli e la mattina del io la R. Giunta aveva già comunicato ai de-
curìoni la sua scelta. In tutto ciò che riguardava la milizia urbana, i
corpi civici procedettero colla massima speditezza.
(i) " ....e in manch de quella — no gh'è stàa pù, né Còrt, né senti-
* nella „ scrive il Pertusati, ed é verosimile quanto dice il Coppi, Annali
d'J/alta, II, § 17, che l'arciduca partente avesse fatto ritirare in castello
tutto il presidio. Il Greppi non parla di un tale richiamo della truppa
austriaca nella cittadella che alla sera del 10 (op. cit., p. 343). La notte
del 9 gli imperiali di Colli avrebbero traversato la città, rinforzando
la guarnigione (Bouvier, op. cit.. p. 507, confermato da: Appuntamenti
delia Cameretta, io maggio).
(2) L* afifermazione del vicario, appoggiata pure alla narrazione
che fece la Gazzetta di Milano del 19 maggio: (" bravi cittadini.... giorno
■ e notte facevano le guardie e pattuglie „), distrugge Taccusa, dal De-
Castro mossa al Municipio, d'aver affidato l'ordine pubblico a pattuglie
di croati. A noi consta solo (v. Appuntamenti cit., io maggio) che il vi-
cario chiese alla R. Giunta di " assegnare le necessarie guardie di
* giustizia ai due depositori della polvere in Lambrate ed alla Bicocca „,
e che ottenne, dal vice-intendente generale don Giacomo Trecchi, l' " as-
segno delle guardie di fìnanza alla custodia delle dogane, e degli effetti
de' commercianti in esse esistenti ,. Tutte misure che accennano a com-
pletare un servizio, non a costituirlo.
no l'invasione francese in MILANO (1796)
gazioni per gli alloggi (i) ed ospitali militari (a), pei viveri, e per
le altre pubbliche occorrenze (3). Si trascelsero i soggetti destiniti
a recarsi meco ai confini a complimentare il general Francese (4)^
(i) Ai patrizj e cittadini della delegazione nominata ndla sednta
pomeridiana del 9 " per le attuali straordinarie occorrenze , fìi aflMato
il 12 maggio " ciocché riguarda Talloggio dello stesso generale [Suo*
** naparte], e del suo seguito. ^ Pressoché tutti questi signori avevan gii
dovuto occuparsi dell'oggetto analogo, di ricoverare gli abitanti sloggiiti
perchè troppo esposti per la vicinanza del castello. V. Raccolta iigU
ordini ed aiwisi, del Veladini. L'ii i delegati al campo francese scrìssero
di apparecchiare pel quartier generale circa quaranta alloggi. Per trii*
tare di quest'argomento, secondo il Foscarini, sarebbero venuti il is
col Salvadori due commissarii e due ufficiali subalterni francesi, ripartiti
tosto, non sentendosi sicuri.
(3) " Si è fatto una delegazione per gli ospedali dei franceu. Al
' Governo di questi venne delegato Moscati, il quale tosto accettò rin-
* graziando. „ (Fontana a P. Greppi, 11 maggio).
(3) I patrizi eletti dal Consiglio generale ** per le attuali straor
** dinarie occorrenze ,, il 9 furono : march. Luigi Gagnola, march. Giuseppe
Cono, conte G. Luca della Somaglia, don Gius. Gorani, conte Giovanni
Stampa di Sonci no, don Carlo Nava; i cittadini: i signori Cario Grato
Zanella, Giuseppe Mauro, Alessandro Belinzaghi, Giuseppe Sala, Gae-
tano Pensa, Carlo Antonio Strigella. Vi furono però delle sostituzioni,
e nella seduta serale del 13 maggio il Consiglio aggiunse altri meipbrì.
Fra le delegazioni conferite in quei giorni è notevole quella affidata il
9 * per acclamazione, e con applauso, „ su proposta del Melzi, a P. Verri,
per dar notizie sulla città ai francesi, ove ne richiedessero ■ esatta-
** mente senza pericolo di equivoci, o pregiudizio della causa pubblica. «
(4) Tostochè, quella mattina del 9, fu unito il Consiglio generale,
10 invitò il vicario, ricordando le consuetudini, a scegliere i delegati,
che * al caso di ulteriore approssimazione dei francesi si portino col
** signor vicario di provvisione ad incontrare il signor generale co-
• mandante, fargli i dovuti ossequi in nome della città, e trattare dd
" ricevimento in modo innocuo alla stessa. „ Si accolse la proposta e,
derogandosi, per Purgenza, alle consuete formalità della votazione, ri-
sultarono eletti i seguenti, che nominiamo, secondo Tordine dei mag-
giori voti: conte Alfonso Castiglione, conte Pietro Visconti Borromeo,
conte Benedetto Arese, marchese Benigno Bossi, conte Francesco Mclii,
conte Giuseppe Resta. Ritroveremo tutti gli altri; del conte Benedetto
Arese Lucini diremo solo che era dottore collegiato e gentiluomo di
camera di S. M. 1. R. Apostolica, e che i colleghi decurioni lo avevano
pochi dì innanzi incaricato di coadiuvare il conte P. Verri in quanto
egli allora oprava " a maggior cauzione di questo publico, e dei ere-
" ditori del Banco S. Ambrogio. „ Il Peroni, Compendio storico, t qui ti-
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA III
e si fecero i delegati per compilare le istruzioni, che doveano a
noi servire di regolamento (i). Tutto fu fatto di comune concerto
di tutti i Corpi insìem riuniti.
Moltissime altre provvidenze furon date ed in quel giorno (2)
e dopo di esso, che troppo lungo sarebbe di qui riferire, e basterà
solo Taccennare che esse hanno prodotto i più buoni effetti, e quello
quanto incompleto nell* indicare la composizione della delegazione de-
curionale. A questa la congregazione municipale Io stesso giorno 9 uni,
in base a deliberazione suggerita al Consiglio generale dal Nava, date
le circostanze^ due cittadini de* quali il Greppi, op. cit., Il, p. 340 (ove
accenna ad una mozione, respinta per timore d*un ritorno degli impe-
riali, di nominare altrettanti delegati non patrizi, cioè 6) dice di non
aver potuto conoscere il nome. Ma questo è indicato in carte dell'Ar-
chivio Civico, Ordinazioni Camereita — Tribunali civici ^ da cui appare
che furono scelti i due assessori cittadini don Carlo Bianchi ed avvo-
cato don Ignazio Manzi. Il Bianchi era pure membro della congregazione
militare di Milano, l'avvocato Manzi, che sedeva pure in quel Corpo
civico ed abitava in contrada di S. Maria Porta, era col Bianchi altro
degli estimati cittadini, costituenti uno dei più importanti elementi della
Congregazione Municipale (v. più sopra, p. 104, nota 3). Il 9 stesso, nella
seduta pomeridiana, una ** consulta della municipalità « era comunicata
al Consiglio generale, in cui si notificava la scelta dei due cittadini. Pre-
ceduta dalla delegazione più ristretta scelta poi nel suo seno, secondo
vedremo, l'ambasceria nominata in questo punto doveva incontrarsi coi
comandanti francesi parecchio prima che entrassero in Milano, ma, nella
seduta del Consiglio dell'ii maggio, il vicario — che, appena radunati
al mattino i decurioni, aveva manifestato il proposito di attendere a
partire con quella che noi diremo la grande delegazione, sinché non
avesse notizia della piccola spedita innanzi — comunicò che quei primi
inviati avevano trovato ostacoli per via e si decise di non muoversi in
attesa di ulteriori affidamenti. U 12 maggio il Melzi e il Resta erano addi-
rittura ritornati, ed annunciavano che * giungerebbe qui il sig.' gene-
* rale Massena con altri ufficiali Francesi per stabilire l'andata della
* delegazione. „ Giunse infatti il Massena, ma il 14, e per prender defi-
nitivamente il possesso della città, sicché la solenne ambasceria non
ebbe più che da recarsi fuori porta Romana.
(i) Il consiglio generale diede facoltà alla maggiore delegazione
di compilare • le convenienti istruzioni „ fAppuntamenti del Consiglio
generale), verosimilmente per sé e per i primi due inviati al campo
francese.
(2) Fra l'altro si pregò l'arcivescovo a limitare all'annuncio delle
messe l'uso delle campane, si presero disposizioni per dirigere ronde
miranti a tutelare la pubblica quiete.
112 l'invasione francese in melano (1796)
singolarmente, che fu il migliore, di conservare nel pubblico una
costante non interrotta tranquillità in tutto il tempo intermecBo fin
la partenza del Governo austriaco, e 1* arrivo del Governo fraih
cese (i). Non posso rammentare questi giorni senza sentirmi ri-
pieno di tenerezza e consolazione ricordandomi l'impegno frmtemo
veramente e cordiale, col quale tutti gl'individui de' Corpi dvid
(nessuno eccettuato) si prestarono e coll'opera, e col consiglio a
servire la patria (2), ed immaginandomi la docilità ed amorevo
lezza del buon popolo milanese (3), in cui rawisavasi espressa .
mente il sentimento di gratitudine e di riconoscenza. Quale e
quanto caro e dolce compenso io provai nelle mie fatiche I Quanto
(i) Che, pur, nell'imminenza di un avvenire cosi gravido di oscuri
eventi, la quiete sia stata ininterrottamente mantenuta, è attestato daDa
Gazzetta di Milano del 19 maggio e dal Botta, op. cit., I, 6^ die con-
corda col Peroni, Compendio storico, nel riconoscere la piena suffidem
della magistratura municipale a garantire l'ordine. Invece P. Veni
prevedendo, nella lettera al fratello del 23 aprile, i giorni d'intecRgiUN
non aveva sperato i decurioni, da lui stimati persone di corta vedotib
si apparecchiassero a contenere le licenze della plebaglia {iMUrnsaM
inediti, IV, p. 200). Quanto poi narra il Tivaroni, op. cit, I» p. 95f ^
schiamazzi seguiti tosto dopo la partenza dell'arciduca, non è confer-
mato dai documenti. Lo stesso passaggio delle truppe di Colli nella notte
dal 9 al IO non diede origine al menomo spiacevole evento.
(2) Cfr. Pkktusati, Rappresentati za de Meneghin ai sciur franus:
K el Consci di sessanta general,
K la Congrcgazion de tutt*el Stat,
E i assessor de la Minizipal,
Per consen'a 'el bon'orden, e i entra
Della zittàa, del Banc, di Possident
Han fàa vita de can : si han fàa portent
(3) È curioso come le fonti che ci recano Tcco del mondo dema-
gogico, quali il Tertnometro politico ed, in una certa misura, il Botta,
suffraghino incondizionatamente questo giudizio d'un loro avversario
politico, equanime nel riconoscere le qualità di quel popolo che non
mostrò certo più tardi molta gratitudine al regime decurionale pei ser-
vizi resigli mentre già agonizzava. Il Becattini, op, cit, Lett I, testi-
monio oculare, ed il Calvi, Il castello visconieo-sforzesco, p. 431, che
cita l'opinione di superstiti di quella generazione da lui conosciuti, as-
seriscono che, pur stando quieta, la grande massa della popolazione
rimpiangeva il regime che stava per fìnire. £ non può bastare il Bo(^
viER, op. cit. per farci credere che essa fosse d'un tratto divenuta fre-
netica d'entusiasmo per gli attesi repubblicani.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA II3
leggiero parvemi il peso, che mi stava indosso, ogni qualvolta
consideravo che l'opera mia potesse essere ed utile e gradita !
In seguito alle nuove incerte e confuse, che venivano ogni
momento di giorno e di notte intorno agli avvenimenti delle due
armate (i), fummo finalmente assicurati che potevasi liberamente e
senza pericolo passare da Milano a Lodi, dove trovavasi il Quartier
generale francese (2). A tale annunzio si dispose immediatamente
la partenza per Lodi di quattro delegati (3), i quali in nome del
(i) Il 10 maggio, nella mattina, il Nava comunicava ai decurioni,
* le notizie ricevute d'essere partito da Lodi il signor generale Beaulieu
* con quel corpo d'austriaci...., d'essere seguito un fatto d'armi tra gli
" austriaci, ed i francesi verso Malico, e Pizzighettone colla ritirata dei
* primi nel Cremonese. „ Il vicario aveva spedito informatori a Lodi,
Pavia, Tre viglio " ed altrove. „ L' 11 il Foscarini, n. loi, scriveva di
voci di " nuovi sanguinosi.... contrasti „ presso Lodi nei due giorni
precedenti con reciproche perdite, ma molto maggiori per gli imperiali-
(2) Veramente degli sbandati tedeschi, inclini al ladroneccio, infe-
stavano ancora le vie. Lo provò l'assalto di cui fu vittima la staffetta
dei primi quattro delegati, al ponte della Muzza. Espressi giunti a Mi-
lano la sera del io dicevano che i francesi erano apparsi presso Mele-
gnano (Greppi, op. cit., II, p. 343); ma, secondo le lettere, maggiormente
<legne di fede, dei delegati al vicario, la comparsa di Kilmaine in quelle
campagne non avvenne che al mezzogiorno dell' 11 maggio, v. Archivio
Civico, Dicasteri Governo 22. Quel medesimo 11 maggio " noi credevamo „
scrive la Gazzetta di Milano^ ** che il generale francese colla sua truppa
* fosse per passare da Lodi in questa nostra città, ma seppimo invece
* che di là egli era partito per vedere di raggiungere diversi distacca-
* menti di austriaci. „ E il Fantin des Odoards, Histoire d'Italie^ to. 8«Je^
1- 23, e. 28, pone al 12 maggio l'entrata dei francesi in Milano. Ma i
delegati, ben informati, scrivevano il 12 al vicario, appena conobbero
l'avvicinarsi dell'avanguardia repubblicana: " per oggi non arrivano
* certo a Milano. „
(3) Allorché, la mattina del 9 maggio, il Consìglio generale ebbe
scelti i sei suoi delegati per accompagnare il vicario incontro al vinci-
tore, si ricordò la tradizione * in casi consimili di destinare due fra li
* suddetti delegati che all'avvicinarsi del sig.' generale comandante
si rechino anticipatamente a concertare il giorno, e il luogo in cui
■ ricevere tutta la delegazione. „ Il Consiglio * rimise la scelta dei due
" delegati al corpo dell'ora fatta delegazione decurionale con facoltà di
* spedirli quando e dove occorrerà. „ Narrata così dai verbali del Con-
siglio l'origine di questa sorta di sotto-commissione, mal si potrebbe
sostenere ciò che narra il Calvi, // castello visconteo-sforzesco^ p. 432:
I nominati poi vollero che i soli ultimi due eseguissero l'odiosa mis-
Afch. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXV. 8
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA II5
reno il giorno ii (i), e dopo aver pranzato con un generale di di-
visione, che trovavasi in Melegnano (2), scortati da alcuni dra-
— Tribunali civici, giacché dal verbale della seduta decurionale dell'i i
maggio risulta che essa era destinata ad esser presentata dalla grande
delegazione. Napoleone scrisse poi (Oeuvres de Sainte Hélène, Cam-
pagnis d'Italie, p. 123) che il Melzi ed i suoi compagni eran venuti a
Lodi prolester de leur soumission et implorer la clémence du vainqueur.
Il NoRviNS, Histoire de Napoléon ler^ 3, p. 150, chiama resa di Milano que-
st'atto che ne era piuttosto il preliminare.
(i) Molti errano nel fissare la data dell'andata a Lodi. È certo che
il vicario non si sbaglia fissandola all' 11, perchè abbiamo una
delle lettere dei delegati di Melegnano di quella data ed, aperta appena
la seduta del Consiglio generale quello stesso giorno 11, fu comunicato che
Resta e Melzi erano già " spedili da più ore verso Lodi. „ E la Gazzetta
di Milano pone pure a quella mattina la partenza dell'ambasceria. Ma
il BouviER, op. cit., p. 560, nota i, dopo aver pencolato fra il 12, il 13,
il 14, si decide per il 13; così pure il Gaffarel, Bonaparte et les républi-
ques italiennes, p. 5. Il Diario del Minola e la Storia dell'anno ly^ó di-
cono che la deputazione parti il 12 e ritornò il dì seguente. L'Agnelli,
Lodi nella repubblica cisalpina^ I, la fa giungere a Lodi il 12.
(2) Partiti di buon mattino, i quattro delegati camminavano prece-
duti « da 4 miglia circa „ dal corriere; quand'ecco 3 miglia dopo Me-
legnano sulla strada di Lodi lo videro tornare trafelato e spaurito, per
essere stato derubato da soldati tedeschi sbandati, che gli lasciarono
però la lettera che recava a Lodi. I delegati alle io % informavano di
ciò il vicario, spedivano " a Lodi per traversi „ e si fermavano a Mele-
■gaano fino a nuovo avviso e notizie più certe. „ A mezzogiorno si rimet-
tevano in cammino per Lodi, ma, scontratisi coU'avanguardia di Kilmaine,
• che da Sant'Angelo tagliava longo il Lambro p. raggiongere un corpo
■ tedesco, „ (I delegati da Melegnano al vicario, 17^. d. 11 maggio) interrom-
pevano il viaggio. Secondo il Greppi, op. cit, II, p. 343, distaccamenti dì
cavallerìa francese eran comparsi già il io in quelle vicinanze (il che è
improbabile, dato quanto occorse il mattino dell'i i ai deputati). I Me-
tnoires de Massena, 3, II, p. 64, pongono infatti in quei giorni a Sant'An-
gelo, il Kilmaine, che secondo il Gachot, La première campagne d'Italie,
p. 142, si spinse sino a Cassano, per tagliar la strada da Milano a
Cremona. Per altro sembra (Bouvier, op. cit., p. 547 ; Peroni, Compendio
Storico) che il 12 i francesi, già giunti in Melegnano, abbiano ripiegato
* per sostenere l'armata che inseguiva gli austriaci „ (Peroni, op. cit.).
n 13 solo l'avanguardia di Massena, occupato stabilmente Melegnano,
s'incamminava verso Milano. Intanto Melegnano vide rovinare dalle
truppe che l'attraversavano la sua storica rocca (Calvi, Famiglie notabili
*niìanesi, Medici di Marignano, tav. 13.). Nella Corréspondance inedite
9fficielle et confidentielle de Napoléon, to. I, v'è traccia di quel movimento
Il6 l' invasione francese in HILAlfO (XTS^
goni (i) se ne andarono a Lodi (2), ed eseguita nel modo che fu poni*
bile la commissione, della quale erano incaricati (3), fecero rìtXMrno h
di truppe in una lettera diretta a Buonaparte: Sur ia rouit ^àum
lieue de Melegtiano, le 22 floréaL (=11 maggio) da Kilmaine. Ein
questi un irlandese quasi cinquantenne, atto a condurre le avangnardie
e le negoziazioni, cavaliere elegante, fino ad un certo punto un super-
stite ^^}Xancien regime francese, " uomo ben nato, e dì C9stuim assai
" cortesi, , scrisse Pietro Verri, Lettere e scritti inediti^ IV, p. 217, die
l'alloggiò in casa sua. Questo generale fine, intelligente, accorto» poeo
scrupoloso anche, si diceva, seppe cattivarsi i delegati che scrìssero al
Nava mirabilia degli ufSciali francesi. Sedettero con questi dunque a
lauto pranzo, allestito dall'oste Luigi Pastore e dal bottigliere Francesco
Negri (vedine nell'Archivio Civico, Dicasteri Governo 23 Repubblica frm¥
cese, i conti, che dovette poi pagare la municipalità). La notizia di qo»
st'arrivo dei repubblicani in Melegnano giunse il giorno stesso in Mi-
lano, si che il FoscARiNi, n. loi, la comunicava al doge.
(i) La versione del vicario è la più verosimile. Secondo il Griffo
op. cit., II, p. 345, i soldati della scorta (di cavallerìa) erano nienteoKiio
che 80 " sotto il comando d'un ofiìciale di stato maggiore. ^ 1 deputati
scrìvevano alle 5 di sera al vicario, senza precisare : * Partiamo sco^
^ tati da una divisione loro. ^
(2) 11 Diario del Minola, ì'Agnelli, op. cit, I, e Napol£Ons Booair
PARTE, Oeuvres de Sainfe-Hélène^ Campagnes d'Italie, p. 133, concor-
dano col Nava e coi documenti dell'Archivio Civico neiraffermare che
la deputazione trovò Buonaparte a Lodi. Ma la tradizione degli
storici, e fin delle più antiche fonti (dispacci del presidente veneto Fosca-
rini, non però esplicitamente) è stranamente quasi unanime nel dire che
r incontro avvenne a Melegnano ; v. Melzi, Memorie- Documenti; Coppi,
Annali d'Italia; Muoni, Melzo e Gorgonzola; Bokfadiw, Milano nei suot
momenti s/oricif II ; ed il Bouvikk^ op. cit., per deferenza al Melzi, igno-
rando forse quanta parte delle memorie di lui sia frutto delle ricerche
personali del redattore. 11 Iomlni poi, Hisioire critique et militaire dis
guerres de la révolutionf li, X, 57, dice che fu a * MelezuoUo. «
(3) Le notizie politiche del 18 maggio; il Greppi, ,op. cit, II, p. 344;
CusANi, Storia di Milano, IV, p. 345, narrano che Buonaparte accolse
bene i delegati : le due ultime fonti, il Bouvier, op. cit, p. 575 e le
Memorie- Documenti del Melzi, I, p, 144, aggiungono che il Melzi piacque
subito a Napoleone. Le Me f norie- Documenti ed il dispaccio #1. joi del
FoscARiNi affermano che i deputati recarono a Lodi al vincitore le
chiavi di Milano. Ma a provare che furono presentate a Massena ba-
sterebbe il conto del doratore Galletti, conservato nel nostro Gvico
Archivio, Dicasteri Governo 2j — Republica francese. Si può rìawici-
nare quest'ambasceria dei milanesi a quella inviata il la dal Senato di
Bologna a scoprire " le intenzioni del Buonaparte , v. Masi, Francesco
Albergati, p. 455.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA II7
notte a Milano, e vennero a smontare alla mia casa per riferirmi
il risultato della loro missione, che lasciò luogo a meditar seria-
mente (i). Affinchè la d.^« Missione avesse buon effetto pregai mon-
signor arcivescovo di ordinare una pubblica divozione, com* egli
fece disponendo che in tutte le chiese della città vi fusse per tutto
il dopo pranzo l'esposizione del SS.»"^ Sagramento e la benedizione
la sera.
Intanto in quel giorno (2) giunse in Milano un certo Salvadori (3)
uomo torbido, e diffamato, e che dopo alcuni giorni fu per ordine
del generale Despinoy tradotto nelle carceri come sospetto di aver
trufatto (sic) una somma di 20 luigi. Egli accompagnato d*un giovine
assai di lui più imprudente (4), al primo ingresso nella città (5)
(i) li generale Buonaparte avrebbe promesso il rispetto alla reli-
gione, alle proprietà ed alle persone, e la libertà al popolo di scegliersi
ogni altro Governo che non fosse quello austriaco (Cusani, op. cit.. IV,
p. 345 ; Botta, op. cit., I, 6 ; Bouvier, op. cit.). Curiosa, in tal bocca, la
nota ottimista del Pertusati :
E s'è sentùu eh* hin vegnùu via coment,
Che de Dia gh' ban promiss salva la Legg,
I proprietàa, i personn, i privilegg.
(Rappresentanza de Meneghin ai sciur /ran^es).
Nella seduta del 12, come vedremo più innanzi, i deputati riferirono ai
colleghi decurioni quanto aveano udito dal Buonaparte e dal Saliceti.
11 verbale non dice pressoché nulla di questa relazione.
(2) 11 Casati, in una nota a p. 391 delle Lettere e scritti inediti del
Verri, voi. IV, dice che ciò accadde il 14, ma il manoscritto, su cui si
basa il Casati, è smentito da altra testimonianza in questo caso più au-
torevole, il Termometro politico^ nella cui redazione ebbe mano il Sal-
vador, e dal Foscarini, che lo dice giunto la sera dell'ir (n. loi).
(3) Carlo Salvador, secondo il Gaffarel, op. cit., p. 4, d'origine
spagnuola, dopo vita raminga ed avventurosa, tornava qui, ovverà
nato, colla triste fama d'aver servito i terroristi come falso testimonio,
ritenuto ora segretario di Saliceti (Foscarini). Il Coraccini, Storia del-
^amministrazione del Regno d'Italia^ p. CXXIV, lo dice democratico
esiziale al suo partito ed il Bonfadini, op. cit., II, p. 314, ce lo mostra
ricattatore degli esuli durante i 13 mesi in cui gli austriaci riebbero
Milano.
(4) Secondo il Peroni, Compendio Storico, era il Barelle, che ri-
troveremo.
(5) " Marciando in una carrozza aperta „ soggiunge l'autore del
libro / Francesi in Lombardia/ un " calesse „ dice il Vasalli, De bello
Insubrico, citato dal Casati; " ona sedia de viagg „ il Pertusati.
1 18 l' invasione francese in MILANO (1796)
incominciò a spiegare il carattere di apostolo della libertà e dèDa
eguaglianza, e girò per varie contrade (i) come un fanatico eoch
tando il popolo a sollevarsi, a prender rarmi, ed a recarsi in musa
a dare l'assalto al Castello (2). Ad ottenere meglio il contemidtto
intento di infondere nel popolo quella energia, di cui egli prefi-
cava la necessità, sparse varie coccarde invitando tutti a portarle (3^
La sera poi un prete Corso (4), di cui non ricordomi il nome^
piantò l'albero della libertà fuori di P. R. in vicinanza al dazio,
e fece un'unione di gente per festeggiarne l'impianto (5). Non era
ancora prestato l'omaggio alla superiorità francese, e continuava
nella sua attività la Giunta eretta dal Governo austrìacO| ed era
(i) Andò fra l'altro alla casa sua patema e, sfidando il pencolo
che sussisteva per la permanenza degli imperiali nella cittadella, vi ri-
mase a dormire.
(a) Volevasi rinnovare ** l'esempio della Bastiglia di Parigi, » {Ttr-
mometro politico, principj della rivohtziont lombarda^ ove si accusano
gli aristocratici di averne dissuaso il popolo). 11 Db Castro, op. dt.
p. 66; il BouviER, op. cit.; il Pingaud, L* Italie in Histoire generale. Vili,
p« 7^f dicono anzi tentato, e respinto dagli austrìaci, l'assalto al ca-
stello. Ma questo solo ci consta, che V 11 il vicario rìfeii ai decurioni
come, lagnandosi (come già il giorno precedente) il comandante del ca*
stello di un affollamento sulla piazza del castello, alcuni decurioni si
recarono a sperdere quei radunati. Fu pure pubblicato un editto diffi-
daiorio e replicato il giorno 13, che il comandante minacciava di far
fucilare quella gente.
(3) Becattini, Storia del memorabile triennale governo^ lett 1.';
P. Verri, Lettera ad Alessandro del 14 maggio, il Termometro politico
{Principj della rivoluzione lombarda e Disposizione del popolo miianebé a
rigenerarsi calcolata) concordano nel riconoscere che V invito, sponta-
neamente o per timore, fu da quasi tutti accolto.
(4) Forse era queir " Abb.* Vivarelli molto qui conosciuto per uonao
" di torbido e inquieto genio „ che il Foscarini scrive esser stato il primo
a dirigere il club nascente. Già nel 1792 il Governo s'informava dei
contegno dei preti còrsi. (Il conte Litta al R. cancelliere Gallarati
15 dicembre 1792,. in Archivio Civico, Dicasteri Governo 22), Ma il Mah-
TOVANi^ Diario politico ecclesiastico, t. I, narra che anche quelli che poi
più si agitavano pei francesi, seppero fingere ed evitare lo sfratto loro
minacciato.
(5) Anche il Peroni, Compendio Storico, dice che questo primo albero
fu piantato il giorno 11. Il Casati invece, in una nota a Verri, Ldtert
e scritti inediti IV, p. 396, asserisce che il prete còrso lo piantò * qmw
^ sul limitare del dazio..,, colle proprie mani „, ma il 14.
J
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA II9
ben anche a temersi qualche sopravento per parte del Castello (i).
Tutti riflessi, che tennero in non poca agitazione il Consiglio ge-
nerale, il quale però prudenzialmente determinò di mostrare l'igno-
ranza di d.^' fatti (2), e sicuro della fermezza del suo popolo, il
quale non lasciossi sedurre da cotesti inviti contrarj al buon ordine
ed alla tranquillità (3), appigliossi al partito di non farne alcun caso
a risparmio di guai maggiori. Siccome però nella numerosa popo-
lazione vi eran purtroppo quei, che da molto tempo andavan mac
chinando grandi imprese (4), ed aspettavano il momento della mu-
(i) Era questa anche l'opinione del Becattini, op. cit lett. 2.*, che
pertanto molto si meravigliò dell'audacia del Salvadori. 11 Termometro
politico, principj della rivoluzione lombarda^ dice fu solo la consapevo-
lezza di tal pericolo che trattenne il popolo dal por le mani sull'Arci-
duca fuggente,
(2) Vedemmo che il narratore dei Principj della rivoluzione lom»
barda accusò nondimeno i decurioni di aver intralciato le mene della
pane francese. Secondo la testimonianza del Foscarini, che, per quanto
sappiamo, è però affatto isolata, il Salvadori, lungi dal rimanere ufficial-
mente ignorato dai corpi civici reggenti la città, venne ** alla sala del Con-
■ sigilo della città ove, previo dovuto avviso, introdotto enunziò il pros-
■ simo arrivo de* Francesi, assicurò eh* essi non venivano che come
• amici e fratelli e che avrebbero esattamente rispettata la religione,
• e le proprietà, ed ha particolarmente applaudito alla instituzione della
• milizia urbana per la quiete, e buon ordine della città. Si ebbe in
• cortesi modi aggiustata risposta, e nel sortir dal palazzo replicò ad
• alta voce, che venivano li francesi come soltanto amici, e fratelli, e
• ne ritrasse le più vive acclamazioni. »
(3) Infatti il CusANi, op. cit, IV, p. 330, n. 3, distrugge l'afferma-
zione di F. Melzi, Memorie Documenti i che il popolo abbia abbruciato
allora un fantoccio rappresentante l'Arciduca. Pur conoscendo la smen-
tita del Cusani, il Bouvier, op. cit., ripete e colorisce la fiaba. Del re-
sto sembra che anche parecchi di quelli che schiamazzarono non lo ab-
biano fatto che perchè pagati appositamente ; v. / Francesi in Lombardia,
I più acuti dei francesi conoscevano il piccolo numero dei loro fautori
in Milano. Il Saliceli, in un rapporto al Direttorio intorno ai moti che
culminarono a Pavia, riportato dal Becattini, op. cit, lett. 2.*, ebbe a
scrivere dei lombardi: " tolta la vigesima parte appena, sono troppo
• tutti affezionati all'antico governo. „
(4) Che parecchi fossero i rivoluzionari in Milano negli ultimi anni
del governo austriaco, ed organizzati, è sufficientemente dimostrato dal
CusANi, op cit iV, p. 325. Tenevano le loro congreghe segrete o in casa
Sopransi od anche in un granaio dell'Ospitale (Becattini, op. cit., lett. i.* e
2.»; F. Melzi, Memorie-Documenti^ I, p. 141). Il Calvi, // Castello visconteo*
I30 l' INVASIONK FRANCESE IN MILANO (1796)
tazione di dominio per tentare il cangiamento della lor sorte, in-
cominciarono ad unirsi in forma di Club, o di Società popo-
lare (i), e colla scorta del summenzionato Salvadori andaron
disponendo i mezzi per acquistare una positiva consistenza (2).
Ahi, quanto aspra e crudel piaga mi si è fatta nel cuore in vedendo
sforzesco^ p. 430, crede che il malcontento di quella vivace minoranza
fosse suscitato anche dalla * reazione leopoldina. , Speranze d* un rin-
novamento democratico, poco attaccamento agli austriaci, desiderio di
cambiamenti, in cui, oltre il resto, poteano i meno fortunati trovar modo
di migliorar le loro sorti, tutti questi elementi avevano creato in taluni
spiriti un moto d'attrazione vèrso la Francia e le nuove forme di vita
che ormai vi prevalevano. V. Mémoires du duc de Raguse, to. I, lib. Il,
p. 177. Sembra che lo Stendhal, Vie de Napoléon, VII, abbia esagerato
l'attitudine indipendente ed anti-austriaca delle alte classi; ma certo pa-
trizi, quali Francesco Visconti, incessantemente cospiravano (Litta, Fa-
ntiglie celebri iiaiianef voU XV, Visconti di Milano, tav. IX). L'additare,
qual centro di reclutamento di quelli che poi primeggiarono durante
la repubblica, le loggie massoniche (Cantù, Storia degli italiani, to. VI,
1. XVI, e. 176, p. 318) è suffragato da quanto narra la pressoché con-
temporanea Guida di Milano antico e moderno^ della loggia che teneva
da tempo le sue scerete riunioni nel vicolo Pusterla. Con tutto ciò cre-
diamo giusta la conclusione a cui giunge l'esatto e recente storico in-
glese Fyffe, a history of modem Europe, p. 3i, che cioè l'elemento rivo-
luzionario locale preesistente all'invasione francese era ben poco.
(i) Invero la Storia dell'anno 1796, non sappiamo se per ironia 0
per prudenza, scrive, dei membri fondatori del Club, che * sebbene
* persone forse di sommo merito, aveano la disgrazia di non godere
* nella loro patria tutto il buon concetto e la più illibata reputazione. „
* Certa gent „ dicea senza ambagi il Pertusati, Rappresentanza de Me-
neghin ai sciur frames, " che pesg d'insci — l'istess dianzen no'l pò-
* deva unilla. „
(2) Anzitutto inviarono, prevenendo, secondo il Peroni, Compendio
storico^ quella del Consiglio generale, una deputazione a Buonaparte,
mostrandoglisi devoti ed eccitandolo, se non a permettere, come assi-
cura il Becattini, op. cit, lett 2.', e non sarebbe stato del resto che con-
forme alla tradizione rivoluzionaria, che essi massacrassero * tutti i più
* facoltosi e distinti nobili milanesi „ (al che Buonaparte si sarebbe ri-
fiutato), a distruggere per lo meno il regime decurionale e pome in
carcere i maggiorenti (Becattini, loc. cit. ; Bouvier, op. cit). Il Bouvier,
che crede questa ambasceria democratica sia giunta dopo la rivale dei
corpi civici e la pone in rapporto con Saliceti, indica come componenti:
Salvador, Porro e Rasori. V. pure Principi della rivoluzione lombarda,
ove si parla degli affidamenti che ottennero questi sedicenti soli veri
rappresentanti del popolo.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 121
i principj della rovina dello Stato ! Questi eran semi fatali, che ben
presto avrebbero germogliato fiori e frutti venefici, e distruggitori
dell'ordine e della tranquillità ! L'unica speranza, che rimaner po-
teva a conforto era quella, che all'arrivo della superiorità francese
sarebbero in breve estinti, giacché sape vasi, che la suprema auto-
rità di Parigi avea da qualche tempo distrutti e proibiti tutti i
Qub di qualunque sorta essi fussero. Ma questa stessa speranza
andò molto fallita, ed ebbe soltanto eifetto, quando il Club avea
già fatto gran male, come si vedrà in appresso (i).
Per tornare ora in carriera dopo la digressione, che non ho
potuto a meno di fare debbo ricordare un avvenimento seguito il
giorno 12, che merita d'essere specialm.*« menzionato. Stavamo
tutti in Broletto uniti e per considerare con attenzione le risposte
che i delegati tornati da Lodi ebbero dal generale e dal commis-
sario (2), e per dar passo ai tanti aifari, che rimanevano a spe-
dirsi premurosamente e per sentire alcune risposte di varj messi
qua e là inviati. Erano benanche in Broletto i delegati di altri
corpi (3), i quali aspettavano di partire con noi per Melegnano,
ogni qualvolta fusse giunto l'avviso, che il generale colà aspettasse
le varie Delegazioni per riceverne gli opiaggi. Quando d'improv-
viso viene un'ordinanza spedita dal sovraintend.^ generale della Mi-
lizia urbana duca Serbelloni (4) colla nuova, che i tedeschi si
(i) Fu fatto chiudere il 23 maggio dal general Despinoy.
(2) Riferirono intorno al " discorso... avuto con li ss." -commis-
• sano Saliceti^ e supremo comandante, generale Buonaparte francesi
• sopra gli oggetti interessanti questa città, e la delegazione del Cou-
• siglio generale. „ {Appuntamenti del Consiglio generale, 12 maggio).
(3) Il Manzi ed il Bianchi, probabilmente, nominati, per rappre-
sentarla nella deputazione, dalla Congregazione municipale, e fors'anche
i delegati dei tribunali, dei collegi, ecc.
(4) Il duca Giovanni Galeazzo Serbelloni, nato nel 1744 dal duca
Gabrio e dalla duchessa Maria Vittoria nata Ottoboni, allievo del Parini
e di Pier Domenico Soresi, grande di Spagna, decurione dal 1777, gen-
tiluomo di camera di S. M. I. R. A., ciambellano della medesima
Maestà, sovrintendente generale della milizia urbana, era nel 1796 altro
dei ■ componenti l'esecuzione del R. dispaccio 20 gennaio 1791 „ e dei
• delegati sopra le pubbliche occorrenze. „ Prefetto della Confraternita
di S. Giovanni decollato, s'era segnalato nel 1775 con vane generose
profferte al sacrilego Sala per vedere di indurlo a penitenza prima
dell'estremo supplizio. Secondo il Bouvier, op. cit., p. 574, il Serbelloni
122 l'invasione FRANCESE IN MILANO (1796)
avvanzavano da Cassano verso Gorgonzola, e Milano, e che fra
poche ore sarebbe sopraggiunto un corpo di cavallerìa (i). Dopo
quest'avviso ne vennero altri molti tutti per la stessa parte sino a
far credere che la colonna d'austriaci fussesi avvanzata di qua di
Crescenzago. In appresso giunse lo stesso sovraintend.* generale
tutto smanioso ed ansante, e buttando il baston di comando sul
era a quest'epoca mescolato a tutte le mene della parte francese più
accesa, ed il medesimo Bouvier a ragione fa notare come nondimeno il
Consiglio generale gli affidasse numerosi incarichi. V* è traccia d* un
discorso tenuto dal Serbelloni il 7 maggio nella seduta della Congre-
gazione militare. Una delegazione più ristretta, cui la Congregazione
aveva deferito molti poteri, si adunava in casa del duca. Era questi
invero molto largo neiroffrire l'uso dei suoi palazzi. (Egli è registrato
nel Calendario ad uso del Foro..,, pel fjpó come abitante in * strada di
" S. Damiano, 659 „). Secondo un' inverosimile notizia del Muoni, Melzo
e (gorgonzola, p. 25, Buonaparte avrebbe abitato in casa Serbelloui a
Gorgonzola prima d'entrare in Milano. Quivi fu certo ospite del duca,
non però così tosto come si volle da alcuni. Il Serbelloni fu fra i digni-
tari che recaronsi il 14 incontro a Massena. II Verri, Storia delf inva-
sione dei francesi repubblicani in Lettere e scritti inediti, p. 408, dice
senz'altro il Serbelloni " uomo assolutamente nullo. „ 11 Bouvier, op. cit,
p. 615, senza negare che fosse spirito di poca ampiezza, vano ed am-
biziosetto, ne tenta una calorosa riabilitazione, basata sul suo disinte-
resse, sulla sua bontà di cuore e sulla nobiltà dei suoi ideali democra-
tici che non crediamo però giungessero sino ad intravvedere t indipen-
dance et la rèsurrection de tltalie. Vedremo più innanzi l'opinione che
avea di lui il Nava.
(i) Ecco ciò che ne dicono due buone testimonianze sincrone:
* Quando all' improvviso verso mezzogiorno successe un falso allarme
* che messe in scompiglio tutta la città, si chiusero le porte delle case
" e le botteghe, fuggendo per ogni dove i cittadini. Questo fu sul falso an-
* nuncio che arrivassero ottomila croati dalla parte di Pioltello , ; (Pe-
roni, Compendio Storico). ** Ciocché sembrò accreditare questa voce fu lo
** scompiglio di tutti gli abitanti delle circonvicine campagne che coi
• loro cavalli, e carri, carichi dei loro migliori effetti, venivano a rifu-
" giarsi in città per evitare il furore di un numeroso distaccamento come
** essi dicevano di questi feroci soldati, che mettevano tutto a ferro e
■ fuoco. Veramente questo distaccamento non si poteva supporre sortito
• dal castello, ma bensì proveniente dall'armata fuggitiva e da lei tagliato
• fuori „ ; {Gazzetta di Milano, 19 maggio^. Un avviso emanato il 3 giugno
seguente in nome della nuova municipalità accusa i decurioni d'aver
fatto spargere ad arte quelle voci. {Raccolta degli ordini ed avvisi). I
decurioni si sarebbero valsi all'uopo di ufficiali della milizia urbana I
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I23
tavolo fece un discorso, dal quale parca doversi inferire eh' era
mestieri di far armare tutta la milizia ed obbligarla a mettersi in
istato di difesa. Non si potè a meno di riflettere che la città non
s'è mai imbarazzata delle vicende della guerra sussistente fra le
potenze belligeranti, e che non sarebbe mai convenuto di recedere
da questo troppo savio partito (i).
La milizia poi è fatta pel semplice scopo di mantenere l'interna
tranquillità, mai per esporsi a sostenere il fuoco colle truppe di
linea (2). Il solo dubbio di fatti in quel momento avea portato,
che varj picchetti deposero le armi, e ricusarono di rimanere in
servizio, e ci volle assai per persuaderli a riprenderlo (3). D'al-
(i) Il BouvY, Le comte Pietro Verri, p. 250, difende infatti, contro
le censure del Quinet, che vi vede una prova di abbassamento morale,
quest'attitudine dei milanesi, posti fra il castello imminente ed i fran-
cesi che si avanzavano. Noi crediamo che i capi del governo munici-
pale vi fossero indotti, piuttosto che da timore, dalla tendenza a se-
guire le patrie consuetudini e da una specie di casuistica legittimista, che
aveva pure la sua ragion d'essere ; e secondo la quale le formalità
simboliche, quali per esempio, la consegna delle chiavi, scioglievano
solo dall'obbligo di sudditanza ad un precedente Governo. Secondo il
Bertolini, Conferenze di storia nti/anese, p. 526, " V inazione del po-
• polo aprì la via al fanatismo demagogico. „ Ed ha qualche valore l'os-
servazione del loMiNi, Hisioire critique et militaire des guerres de la
revolution, to. II, 1. io, e. 57 : La guerre de la revolution n'itait pas une
des guerres de souverain à souverain, dans les quelles on se dispute seu-
letnent pour un arrondissement ou une démarcation de frontière^ et oii les
Piuples sont étrangers aux résultats,
(2) Infatti, da un lato, la Congregazione militare nella sua adu*
nanza del 7 maggio, v. Archivio Civico, Milizia urbana, prow, gener.
materie 661, credette di poter chiedere alla conferenza governativa
di procurarle, contro • il dovuto pronto pagamento, la provvista
' dai magazzini militari della limitata quantità di polvere d'archibugio
■ che il sig/ soprintend.e gnle crederà necessario. „ D'altro lato poi
sembra che l'erezione della milizia urbana avesse * insospettito i fran-
cesi, j, V. Peroni, Compendio Storico; e nell' "umilissima supplica della
città di Milano al supremo comandante dell'armata francese „ redatta
fu maggio in nome del Consiglio generale, s'inserì l'assicurazione che
I.i milizia non era stata organizzata che per mantenere il buon ordine
interno. Del resto ciò si era già annunciato nell' invito ai cittadini a
notificarsi, datato dal Palazzo Civico il 9 maggio.
(3) Probabilmente a ciò si riferiscono le Memorie- Documenti del
Melzi, 1, p. 143, r. lo-ii.
124 l' invasione francese in MILANO (1796)
tronde sotto quel momento sarebbe stato un delitto di ribellione a
far fuoco sui tedeschi, perchè non era ancora sciolto il vincolo del
giuramento, che ci obbligava verso Timperadore. Mentre si stava
discorrendo su queste notizie si solleva un rumor generale per
tutta la città, e corre la voce che il castello abbia fatta una sortita
di croati, che andavano già girando intomo armati a portarvi il
terrore (i). Fuggon tutti, e si chiudono in casa, e mi trovo anch'io
obbligato a far chiudere le porte del Broletto, dove eravamo rac-
colti in buon numero ad aspettare quale potesse essere il nostro
destino. Quai momenti furon mai questi e per noi, e per tutta la
città! Piacque però al Signore di liberarci presto da questo stato
di agitazione, e vennimo a sapere, che tutte le notizie divulga-
tesi erano insussistenti, e senza fondamento (2). M' affrettai a re-
(i) La sola Gazzetta di Milano del 19 maggio tratta la sortita dei
croati come semplice • voce, „ quale la mostra il silenzio di tutti i do-
cumenti d'Archivio. Il Cubani, op. cit., IV, p. 351 ; il Calvi, // castello
visconteosforzesco, p. 433 (ove è per altro citato il Cusani) ; il De Ca-
stro, Milano e la repubblica cisalpina^ p. 66; il Bouvier, Bonaparte en
Italie, narrano tutti quanti che una pattuglia di croati sparse il terrore
percorrendo la città. L'origine sospetta di questa liaba è probabilmente
il numero del 7 messidoro, anno 4.', del Termometro politico, principj
della rivoluzione lombarda,
(2) * Dopo però aver prese le dovute informazioni, si riconobbe
^ che il distaccamento predetto consisteva in soli 5 uomini sbandati
* che avevano dififatti commesse in alcun luogo delle gravi insolenze:
* ma essi furono anche indi a poco arrestati, e cosi videsi in ogni parte
" ristabilita la prima tranquillità „ ; Gazzetta di Milano del 19 maggio.
* Tale allarme nacque da alcuni pochi croati sbandati li quali entrati
* da Porta Orientale avevano p. la fame rubbato alcune cose mangia-
" tive ad un pizzicagnolo , ; Peroni, Compendio Storico : " Sono da di-
* sertori, malviventi e da partite di soldati erranti de' corpi vinti infe-
* state le strade all'intorno, e furono ieri svaligiate e spogliate le due staf-
** fette ordinarie per Torino e Ginevra, oltre una serie infìnita di guasti, e
* danni nelle campagne, e nelle case de' poveri villici , ; Foscarini,
II maggio, n. loi. A queste testimonianze fededegne intomo ai fatti
che originarono il panico, non sarà inutile, a chiarire i provvedimenti
presi per sedarlo, porre accanto questo conto esistente nell'Archivio
Civico^ Milizia urbana, prow. gener. materie 661: • Specifica dello speso
* dall'aiutante di campo al quartiere di S. Barbara in Porta Nuova p. ser-
* vizio della milizia urbana : 12 maggio per una cobia cavaUi servita
** per andare all' istante del Tumulto a verificare se ne' contomi di Lam-
* brate, Pioltello e Vignale i croati saccheggiavono le robe di que' abi-
■ tanti, com'era stato vociferato e fatto rapporto L. 20. ,
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I25
carmi a casa passando per le contrade più frequentate a piedi,
onde gli abitanti vedendomi passeggiar franco per la città depo-
nessero ogni idea di timore, e fu opportuno il pensiero. Arrivato
a casa trovai, che l'agitazione ivi pure era stata assai grande, e la
sorella, ch'era sul termine della gravidanza, ne avea sofferto, e
stava ritirata. Quante vicende, oh Dio I e quanto variate in così
poco tempo ! Non mi era possibile di trattenermi molto in casa,
perchè gli affari mi richiamarono ben presto alla residenza (i).
Ivi continuamente venivano ricorsi, e si presentavano Delegazioni
spedite da diversi borghi e comunità della provincia (2), e dalle
città medesime dello Stato per rappresentare l'urgenza di varj prov-
vedimenti, alcuni dei quali si davan sul campo, ed altri dietro il
parere de' rispettivi Congressi stabiliti a questo fine espressamente.
La maggior parte delle domande era diretta ad ottenere sussidj di
viveri, e di danaro, senza cui non poteasi soddisfare alle immense
requisizioni, che venivan fatte giornalmente dall'armata. La città di
Lodi fu ridotta ad un assai brutto partito, dopocchè obbligata sotto
la sua responsabilità a fornire entro 24 ore 8o|m porzioni di pane
non avea mezzi di riunirlo, e mancava non solo delle farine, ma
ben anche dei forni per cuocere il pane (3). Vennero perciò di là
spediti i delegati a chieder soccorso (4) e siccome s'eran già prov-
(i) Il Pertusati, Rappresentanza de Meneghin ai sciur frames, de-
dica una strofa a questa continua operosità che era imposta al Nava
dagli eventi :
L*è vera che el vicari in quj poch di,
E ghe voreva on* omm de quella sort,
L' ha fàa della peli strìnga, e se po' di,
Che Te un miracquel come no' 1 sia mort ;
Lu in Brovett noce* e di, lu al tavolon,
Lù in consei, lù a scrìw letter, lù in session.
(2) È appunto del 12 un avviso del vicario e della Congregazione
dello Stato, abilitante le comunità a soddisfare le richieste dei militari
francesi, promettendo compensarle, alla presentazione delle relative
quitanze.
(3) 11 13 I^ municipalità di Lodi si dichiarò impotente a soddisfare
tutte le requisizioni, non riescendo essa a fornire più di 10.000 razioni
di pane e 1000 di vino quotidiane. V. Bouvier, op. cit, p. 357, n. 3.
(4) Gli appuntamenti del consiglio generale non menzionano altri
delegati venuti in quei giorni da Lodi che i " due commissari militari
dell* armata francese, „ venuti il 12 per concertare 1' alloggio di Buo-
naparte.
126 l'invasione francese in mii^no (1796)
visti abbondantemente i prestini di Milano sul dubbio che l'annata
s'avvanzasse molto prima (i), fummo in grado di accordarlo, e u
spedirono tre barche cariche dì pane con quattro cavalli di posta
per ciascuna (z). Da questi delegati potemmo essere informati del
contegno, che l'armata avea tenuto e nell' ingresso in Lodi, e nella
sua dimora, e di argomentare così di quel che dovea avvenire
anche in Milano (3). AI sentire la quantità delle requisizioni di
ogni genere (4), che in tre giorni furon là fatte (5), il modo
imponente, con cui la municipalità era continuamente investita, e
minacciata, se fusscro ritardati i provvedimenti, il sequestro, e lo
(i) Il Becattimi, Storia del mtmorabilt Iritnnalt governo, Ictt. i,',
dice che, al ritorno dei quattro primi deputati da Lodi, si preparò un
" immenso numero di razioni di ottimo pane. , Anche il Perom. Com-
pendio Storico, pone al pomeriggio dell'i 1 i provvedimenii per • appro-
visionare la ciiià p. il ricevimento dell'armata francese, , Anche il 13
alla sera il vicario informa ì decurioni d'avere fatio ■ provviste di grani
e generi di vitiovaglie „ (Appunlamenli del Consiglio generate).
(3) Secondo il Peroni, op. cit,, furono il 13 spedite a Lodi laooo
razioni di pane. Il Foscarini pone pure al 13 l'invio più abbondante,
soggiungendo che altro pane fu inviato la mattina seguente, che sembra
abbia servilo all'avanguardia di Massena che s'avanzava verso Milano.
(3) I deputati l'ii avevano invece inviato da Melegnano confortami
notizie sul contegno delie truppe di Kilmaine. Anche il Gachot, La
première campagne d'ilalie, p, 143, nota, un po' come un' eccezione, che
la disciplina fu mantenuta allora a Melegnano. Veramente a Lodi stessa
il general Berthier, in una lettera a monsignor della Berretta, vescovo
locale (che trovammo nell'Archivio Vescovile di Lodi, Armario II, gen-
tilmente apertoci dall'attuale vescovo mgr. Rotai, prometteva già il aa
floreale (=1 1 1 maggio) di prender misure efficaci per la tutela delle pro-
prietà, sopratutto degli ecclesiastici. Rimane a vedere se gli ordini sieno
stati rispettati.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I27
spolio delle pubbliche casse (i) non eccettuata quella del com-
missario provinciale, confesso, che mi sono sentito a gelare il san-
gue nelle vene, e mi sono dato per perduto intieramente (2).
Conveniva non pertanto farsi coraggio, e rimaner fermo al posto
per bevere il calice amaro sino all'ultima feccia.
Erano già trascorsi cinque giorni e cinque notti d'interregno,
e la Dio mercè la tranquillità e quiete pubblica, malgrado i varj
avvenimenti occorsi non s'era alterata né punto né poco (3). Anzi
in tutto questo tempo non si era tampoco sentito uno di que' de-
litti, che giornalmente solcano avvenire sotto il passato Governo (4).
Tanto doveamo essere contenti della subordinazione e saviezza del-
l'amato popolo Milanese. Quando la mattina (5) del giorno 14
(i) 11 BouviER, op. cit., p. 538, n. I, registra, in base anche alle
carte degli Archivi nazionali, francesi, Étai general des versements : compie
du payeur general de Varméey il sequestro di cinque grandi casse, non
chcr di verghe, tolte dal Monte di Pietà di Lodi, ed inviate a Genova
al banchiere Balbi, Io spoglio di L. 37.905, ch'eran nelle casse civiche e
la presa di 271 oncie d'argenteria.
(2) Tanto più che il giorno della battaglia del ponte si ebbero in
Lodi scene di saccheggio, v. Bouvier, op. cit., p. 528. Invece la Gazzetta
di Milano, pubblicata però mentre già i francesi tenevano la città, dice
che i timori intorno al contegno degli invasori s'erano andati attenuando.
(3) Il Becattini,^ op. cit., Lettera I, dice però eh' era una calma
■ tenebrosa ed opaca. „ Il Tivaroni, L'Italia durante il dominio fran-
asi, I, p. 95, storico recente molto favorevole ai francesi, riconosce
che Milano fu allora * governata dal Consiglio generale senza disor-
dini. ,
(4) E per i provvidenz di nost patrìzi
No gh*è stàa crìminal, rìss, o complott;
Talché ognid*an el restava.... cM te stupiva
Che andass tuscoss come on oeuli d^oliva.
Pbrtusati, Rappresentanza de Meneghin ai sciur fran{et.
L'unica eccezione pare fosse costituita dal borgo degli Ortolani, ove
fuwi qualche furto e si temevano assassini, per la partenza di mo ti
abitanti timorosi del fuoco del vicino castello. V. Archivio Civico, Di-
casteri governo 23 — Repubblica francese.
(5) Lo stalo maggiore, di Massena lasciò l'albergo delle Due Spade
di Melegnano all'alba, v. Gachot, La première campagne d'Italie, p. 143.
«Li primi pichetti francesi arrivarono fino dalla mattina per tempo ap-
'presso alle porte, e vi si trattennero in attenzione de' loro corpi „ (di-
spaccio del Foscarini del 14 maggio). Il 13 l'avanguardia di Massena era
comandata da Joubert, v. Bouvier, op. cit., p. 547 ; lo fu pure il dì se-
^^^ ^' ^>^EPP', La rivoluzione francese nel carteggio d'un osservatore
wmfi^\è^ Ilf p. 345-
128 l'invasione francese in MILANO (1796)
maggio (t) venne l'avviso, che verso il mezzogiorno (2) sareUe
giunto il generale Massena (3) nativo di Levenzo nel contado A
Nizza (4) a prender possesso della città. Il casteHo ne die sih
bito (5) r indizio collo sparo del cannone (6) segnale per ri-
chiamare al loro posto tutti 1 soldati, e per mettersi in istato <fi
difesa (7). Combinammo allora senza perdita di tempo tutte le
disposizioni per partire, e recarci incontro fai predetto generale ^
Stavano già da cinque giorni pronte otto carrozze per servirà in
questa occasione (9). Non ci è dunque occorso di occuparci per
(i) Il BouviEK, op. ciu, dedica tutta una nota a refutare l'opi-
nione che Massena sia entrato il 13.
(2) Abbiamo veduto come i delegati ritornati da Lodi [avessero
annunciato quest'arrivo per il 12. Massena arrivò alle 9 a Roj^redo
(Greppi, op. cit, p. 345) e giunse a Milano alle ti circa (Bouvier, op. dt).
11 MiNOLA, Diario storico poliiicOf dice che " entrò in Milane., poco
prima di mezzogiorno. „
(3) Andrea Massena, nato il 16 maggio 1756, sott*ufficiale in Francii
sotto l'antico regime, divenne ufficiale alla rivoluzione e fu promosso
in due anni da tenente a generale di divisione. Serviva da tonpo con
tal grado nelFesercito d' Italia quando Buonaparte venne a guidario t
tante vittorie. Immortalatosi, come ognun sa, a Zurigo vincitore» a Ge-
nova vinto, fece come maresciallo tutte le campagne dell' impero. Bo-
NAPARTE, Oetivres de Sainte Hélène — Campagne d* Italie, p. 199^ ce Io
dipinge tenace, valoroso, poco interessante altrove che sul campo di
battaglia. Aveva, dice il Bouvif.r, op. cit., p. 69, toutes les passions viies
de l*htimanìié; il aitnait l'ar^i^ent, le faste^ la débauché,,,,
(4) dcs ériidìis nssurent..,. qn il [Massena] ne naquii pas à Nict^
mais à Levens, betctau de sa faniiile. (Bouvier, op. cit., p. 666).
(5) " alle ore otto „ dice il Peroni^ Compendio Storico,
(6) " due uri „ {Storia dell'anno 1796),
(7j " Alcuni dragoni tedeschi, qua e là sparsi pel corso, s'avvia-
vano al castello „ (Vasalli, De Bello Insuòrico, citato dal dott. Casati
nella nota i, a p. 391 di Verri, Lettere e scritti inediti, voi. IV). Da
quanto qui narra il Nava, è abbattuta l'affermazione del De Norvws,
Histoire de Napoléon^ to. I", e. Ili, p. 155, che il castello fosse investito
dal 13 maggio.
(8) Fu tosto " mandata una refezione di pan bianco, carni e vino,
all'avanguardia dei francesi (Peroni, Compendio Storico),
(9) " Cinque carrozze da nolo a quattro luoghi, e due cavalli per
" ciascuna „ furono adoperati pei delegati municipali (^/^f#if/aiff<ii/r^
Consiglio generale). V'è all'Archivio Civico, Dicasteri governo ^j ^ Re-
pubblica francese^ un conto per " cobbie, carrozze, ed altro servito » i"
questa circostanza dal ^ mastro di posta Michele Vimercati. »
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I29
quest'oggetto. Tutto era già disposto, ed il sovrintend.« Rossi (i)
coli' accostumata sua diligenza avea parimenti preparate (2) le
diiavi unite con un nastro d'oro, ed il bacile, su cui dovean po-
sarsi. Mi metto tosto la toga, e scendo le scale (3) seguito dagli
altri delegati del Consiglio (4), della municipalità (5) e dello
Stato (6) e di quelli pure dell'arcivescovo (7), del supremo Tri-
bunale di giustizia (8), del Collegio degli Jurisperiti (9), e del-
l'altro Collegio de' Causidici (io). Montammo tutti nelle carrozze
(i) 11 sovr' intendente Carlo Rossi segui con quattro portieri la
deputazione. 11 Rossi è notato fra i salariati dalla Cassa civica provin-
ciale, con L. 2280. V. Archivio Civico, Dicasteri governo, 22,
(2) V. nota I a p* 132.
(3) * Verso le ore dodeci della mattina „ (Appuntamenti del Con-
^giio generale, 14 maggio).
(4) L'autore dei Principi della rivoluzione lombarda così commenta,
narrando di questa delegazione: " L'armata francese non potè a rilevare
* in essa che la rappresentazione, non già di quel popolo di cui Ella
' annunciava la ubbidienza, ma bensì dei suoi nemici, che sotto il manto
* della viltà coprivano il veleno della loro perfidia. „
(5) 11 Bianchi ed il Manzi.
(6) La Congregazione di Stato delegò, oltre il vicario suo presi-
dente, gli assessori : conte Cavenago per Milano, Polini per Pavia, don
Baldassarre Molossi per Casalmaggiore, conte Alessandro Schinchinelli
per Cremona, marchese Giuseppe Rovelli per Como, don Felice Astori
per Lodi. V. Notizie politiche, 18 maggio; Calvi, Castello visconteo sf or-
^esco, p. 432, nota i.
(7) Il Peroni, Compendio Storico, dice che v'era monsignor Ro-
salcs arciprete della Metropolitana, " con altri ordinari in nome del-
l'arcivescovo. , V. nella vita di mons. vescovo Nava l'accenno alla pre-
senza di esso, allora proposto. Anche il Foscarini parla come se l'arcive-
scovo — allora monsignor Filippo Visconti che il Bouvier (op. cit.), dice
aver ospitato poi Huonaparte ed esserne stato cattivato — non fosse pre-
sente. A torto dunque il Lee, Campaigns 0/ Napoleon, e. V, p. 87, narra
che Farcivescovo era alla testa della deputazione che ricevette Massena.
(8) Furono i " Regi consiglieri aulici attuali „ don Carl'Antonio
Pedroli, abitante nella contrada de* Borromei 1851 e don Luigi Villa,
abitante in borgo di Monforte 275, col R. segretario aulico don Pietro
Tieffen (contrada de' Meravigli 2375). La scelta ne fu comunicata al vi-
cario dal presidente del supremo, Biondi, dal 9 maggio, v. Arch, Civico.
(9) Erano due; v. Cusani, op. cit., IV, p. 345; Verri, Storia deU
^invasione, p. 391.
(10) Era pure presente il sovrintendente generale duca Serbelloni
(Peroni, Compendio Storico).
Areh Stor. Lomb., Anno XXIX. Fase. XXXV. 9
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I3I
che furon da me presentati, e nominati. Il generale rispose a tutti
pulitamente, e promise in nome della Repubblica Francese la si-
curezza delle persone e proprietà, la conservazione del pubblico
culto, e la protezion de' ministri, la tutela delle leggi e costumanze
del paese (i), e conchiuse dichiarando, eh' erano mantenute in at-
tività tutte le autorità costituite. Prima di tutto però fece precedere
un energico, e vivo discorso, col quale volle dimostrare, ch'egli era
venuto per far la guerra al Governo passato, non già al popolo,
cui portava pace ed amicizia, salute e fraternità, libertà ed egua-
glianza (2). Ogni tratto andava frammischiando qualche segno di
giubilo per eccitare gli applausi, e gli evviva del popolo (3), che
era accorso spettatore della funzione, e che non era in gran nu-
nominato dall' imperatore Giuseppe II il primo settembre 1783, preco-
nizzato in concistoro dal pontefice Pio VI il 25 giugno 1784. Prese
possesso il 31 luglio 1784.
(i) * ed i privilegi de' popoli, „ aggiunge l'autore di 7 francesi
in Lombardia. Il Consiglio generale, apprestandosi a giurare solenne-
mente fedeltà alla repubblica, il 15 maggio richiamava queste promesse,
quasi presupposti del giuramento e chiedeva " tale dichiarazione in
■ scrìtto onde renderla nota al pubblico per comune notizia e quiete. „
(Appuntamenti del Consiglio generale, 15 maggio).
(2) " Nous ne faisons pas la guerre aux peuples, mais aux gouver-
nements. Queste sono le proposizioni marcate del generale Massena,
airatto che gli presentarono le chiavi „ Verri, 14 maggio al fratello
Alessandro, in lettere e scritti inediti, IV, p. 209; Cfr. Proclamation aux
peuples de la Lombardie in Correspondance de NapoUon ler^ voi. I, n. 453.
Cfr. pure il preteso discorso di Salvadori ai decurioni, v. Foscarim, n. loi.
(3) Massena scrive a Buonaparte il 14 stesso : J'ai ite re^u dnns
ia ville, aux plus vives acclamations; on en tendali de toutes parts crier :
Vive la ripublique! Haine aux tyrans ! la liberti ! la liberti! v. Corre-
spondance inedite officielle et confidentielle de Napoléon, Italie, to. I«r,
p. 165. Cfr. pure i Uimoires de Massena, lì, p. t:6 che dicono le stesse
cose. E. Marmont, Mimoires du due de Raguse^ II, p. 322, il 15 scrisse
a suo padre : Hier nous avons fall notre entrée triomphale,.., il est im-
possible d'exprimer toutes les marques d'attachement qu*ils [i milanesi]
nous ont données. Il Bouvjer, op. cit., arriva a dire : Ce fui un ve-
ritable dilire. Ma anche una lettera di Fontana a Greppi, in Greppi, op.
^^» I^ P- 345» n. I, parla di " gioja e.... tripudio che vedesi in tutte le
* persone di ogni età e di ogni sesso. „ Ed il Foscarini dice : " pres-
' sochè generale l'espressione del buon godimento con applausi, e bat-
* timani corrisposti in cortesi, e decenti forme dal pred.'* generale, e
* dagli uffli. „
132 l' invasione francese in MILANO (1796)
mero (i). Finiti i succennati discorsi, e scemato il rumore dcgK
applausi io ripresi il parlare, e manifestando le speranze concepute
in vista delle graziose espressioni e promesse del generale, gli pre-
sentai Tomaggio per parte della città, di cui lo feci padrone colla
presentazione delle chiavi, che il sovrintend.* Rossi a me vicino
teneva disposte sopra un bacile d'argento (2). Egli le ricevette,
ed alzate le mani mostrolle al popolo (3) con efiusione di giubilo,
ed allegrezza, e ripetendo le promesse e dichiarazioni già fatte le
ritenne (4), e fra gli applausi chinando la itesta 'in atto di conge-
darci con volto ridente sì, ma sempre maestoso pose fine a quel-
Tatto solenne (5). Ed eccoci in queir istante, sciolti dal giuramento
di fedeltà e sommessione al passato Sovrano, ed impegnati ad ul>-
(i) Forse il Nava non intende parlare che dei presenti alla Ca-
scina Colombara, che tutte le testimonianze: Maìttow ani. Diario politico
ecclesiastico, to. I ; Gazzetta di Milano^ 19 maggio ; Mémoires de Masseha,
II, p. 66; Appuntamenti del Consiglio generale, 14 maggio, afifermaDO
che r ingresso in città avvenne tra gran concorso di popolo, maggiore
di quello che si ebbe il dì dopo (Becattini, Storia del memoraòile trien-
nale governo, Lett. I), ma più esclusivamente composto di giacobini
(BouviER, op. cit.).
(2) Il Melzi, Memorie-Documenti, I, p. 143; i Mémoires deMASSESA,
If, p. 67; il Gachot, La premitre campagne d'Italie^ p. 145; il BoumeRi
op. cit., p. 560 e 575, dicono che le chiavi furono inviate a Buonaparle
colla prima ambasceria ; il Bouvier dice però altrove che il Nava le pre-
sentò a Massena alla Colombara. Quest'ultima versione, che è quella delle
nostre memorie, deve ritenersi la vera, essendo sostenuta dal Fo-
scarini; dal Peroni, Compendio Storico; dal Cusani, op. cit, IV, p. 345;
dal Verri, Lettere e scritti inediti, IV, p. 209, ed in ultimo dal conto del
doratore delle chiavi, Galletii, v. Archivio Civico^ Dicasteri Governo 2)
— Repubblica francese.
(3) Ciò è confermato dagli Appuntamenti del Consiglio generali,
14 maggio, ove e detto che Massena ripetè Tatto quando raggiunse,
come vedremo, la deputazione sul corso di Porta Romana. Secondo fl
Foscarini, entrando in città, precorreva un ufficiale recante visibilmente
le chiavi.
(4) Disse fra l'altro: Je prends les clvfs en bon républicain, et ji
me flatte de les rcudre un jour à un peuple qui ait les yeux ouverts sur
ses vrais iniércls. Verri, op. cit., IV, p. 208, confermato da CusAMi op.
cit, IV, p 345.
(5) De Castro, Milano e la repubblica cisalpina, p. 67, conclude:
" la rappresentanza cittadina accolse dignitosamente il vincitore, senza
** smanie, senza viltà, mentre i demagoghi spalancavano le braccia. *
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I33
bidire alla Repubblica francese (i). Un nuovo ordine di cose mi
s'affacciò tosto alla mente, ed occupommi talmente lo spirito che
dovetti far violenza a me stesso per trattenermi dal farne con qualche
atto di debolezza pubblica mostra. Vedeva io bene il vasto mar
burrascoso, che mi conveniva solcare, e mi pareva già di travedere
nell'avvenire l'ammasso delle vicende, che mi dovean tormentare.
Ma la religion mi sostenne col richiamarmi alla mente il dovere
di ubbidire a quelle superiorità, che sono poste da Dio a gover-
narci, comunque disgustose e pesanti possano essere le loro leggi.
Fattomi cuore su tai riflessi mi volgo ai compagni, e tutti chiamo
a seguirmi. Rimontiamo nelle nostre carrozze, e ci avviamo al
Broletto (2) per render conto agli altri di quanto aveamo ope-
rato, e per dare le disposizioni analoghe all'uopo. Eravamo ar-
rivati in faccia a casa Pertusati (3) sul corso di P. R. (4), quando
fummo raggiunti dal generale, il quale accompagnato da venti-
quattro dragoni fece un giro intorno alle carrozze per darci un
attestato del suo gradimento (5), ed indi ritornossene fuori della
(i) Un più solenne giuramento fu però prestato per iscritto, a
richiesta del generale Despinoy, il 15 e 17 maggio (il 15 fu sottoscritto,
il 17 fu • rassegnato „) dal vicario rappresentante i Corpi civici (^Ap-
puntamenti del Consiglio generale),
(2) Ove vedemmo che i decurioni stavano aspettando, adunati
* in forma permanente. „
(3) N. 4553 (4453 secondo la Guida di Milano antico e moderno^
che è però del 1802), abitazione dal primogenito della casata, Francesco^
dal De Castro, op. cit, p. 35, definito come una sorta di pio, bonario
e ghibellinesco fautore deirantico regime. Il Pertusati, che era nel 1796
gentfluomo di camera di S. M. I. R. A. decurione, aggiunto allo Scru-
tinio degli ordini, uno dei " delegati sopra le pubbliche occorrenze, „
deputato del L. P. Trivulzi, deputato al governo dell'Ospitai Maggiore,
oltre a molte altre operette, scrisse il Meneghin solfai frames di cui
sovratutto la parte intitolata Rappresentanza de Meneghin ai sciur fran-
zes è preziosa fonte per la storia del momento storico che studiamo.
(4) Quando Massena s'avanzò lungo il corso affollato, '^ di tanto
" in tanto udivansi de' battimani mischiati di alcuni pochi evviva ed
* applausi, interrotti da lunghe pause di silenzio „ (Becattini, op. cit.,
Lett. I, da cui toglie il Bouvier integralmente quel punto della sua
narrazione. Lo stesso aveva fatto prima il Cusani, op. cit., IV, p. 345).
(5) Il vicario, narrano gli Appuntamenti del Consiglio generale, in
base alla relazione verbale immediata del Nava ai colleghì, fu *^ sopra-
" giunto dal sig.r generale Massena con altri ufficiali e soldati a ca-
134 l'invasione francese in MILANO (1796)
porta (i). Noi frattanto proseguimmo il nostro cammino sino al Bro-
letto, dove giunti informammo i compagni di tutto quello, ch'era pas-
sato in adempimento della nostra Delegazione, ed ebbimo il piacere
di incontrare la comune loro approvazione. Ciò eseguito fu assentato
di renderne inteso il pubblico con un avviso, che venne immedia-
tamente stampato, affisso, e diramato per tutta la provincia (a).
Mentre stavamo per discioglierci, di che ne aveo gran bisogno, e
per prendere qualche ristoro al corpo illanguidito dal digiuno, e
per rinfrescarmi gli occhi, che mi si erano infiammati per una na-
scente flussione cagionata dal sole e dalla polvere (3), arriva in
Broletto il generale preceduto, e susseguito da uno squadrone di ca-
valleria (4), e dalle bande militari. Ed eccomi obbligato a diferire
ed il cibo ed il rinfrescamento, che mi era tanto necessario. M'avviai
tosto alle scale per incontrare il generale (5), che venne di sopra,
** vallo che.... accompagnò il sig.r vicario in segno d'onore sino di
" fronte alla Commenda ed ivi salutatolo uscì nuovamente fuori di
" città „ cfr. CusANi, op, cit., IV, p. 345: ** prima del mezzogiorno cn-
" trarono da Porta Romana 400 circa soldati a cavallo „; Notizie poìt
iichey 18 maggio : [Massena] " .... preceduto..- dai trombettieri francesi e
/* da un distaccamento di cavalleria entrò nella città „ ; Greppi, op. dt, II,
P« 345- ** ^^ cavalleria avendo in testa il generale Joubert fu la prima
" a passare sotto Tarco di Porta Romana „ ; Gazzetta di Miiano, 19 mag-
gio: " In seguito egli [Massena] spedì innanzi un picchetto di cavalleria
" che perlustrando la città, portava in trionfo le ricevute chiavi dorate.
'* Il picchetto non tardò a retrocedere. „
(i) Rientrò, secondo il Peroni, Compendio Storico, in città con ■* 500
" soldati a cavallo, e poche truppe pedestri tutte però in cattivo arnese. ^
Mentre prima, secondo lo stesso Peroni, gli si era preparato rallogeioin
Casa Borromeo, scese in Casa di Mellerio (che il Bouvierpone con Melii
fra i " moderati „). Non so donde il Bouvier, op. cit., abbia tratto gii
elementi per informarci dei giri di jMassena, appena entrato per Milano,
e del suo contegno. Secondo il Foscarini, le truppe francesi "comincia-
rono a comparire „ in città verso le " due dopo il mezzogiorno. ,
(2) Vedilo nella Raccolta degii ordini ed avvi si ^ p. 7.
(3Ì " Arrivò poco dopo il sig.r generale Massena, scortato dal-
" V ufficialità e dalla cavalleria entrando per la porta del Mercato e
" sfilando lungo i due cortili per l'altra nobile, „ dice il verbale della
seduta decurionale del 14, di mano del Perabò.
(4) Quei primi cavalli dei francesi visti in città parvero * assai magri
" e deboli per la scarsezza forse del cibo „ (Becattini, op. cit., lett i.').
(5) Ciò e pure narrato dal sovracitato verbale, che aggiunge che
il vicario era accompagnato " dagli altri individui adunati. „
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I35
entrò nella sala (i), e si trattenne parlando meco per qualche
tempo. Due oggetti principalmente prese di mira nel suo discorso.
Primamente per mezzo di varie interrogazioni, cui io ho risposto
con tutta franchezza ed ingenuità, volle esser cerziorato, se potea
fidarsi del popolo ad entrare e trattenersi in città. Egli mi sembrò
assai diffidente (2), e parvemi, che temesse qualche improvvisa
sorpresa (3), su di che io V ho assicurato sulla mia responsa-
bilità, che non c'era a temere, che il popolo era docile ed ub-
bidiente alle superiorità, e che ben diretto e trattato si affezionava
fadlraente ai capi, che lo guidavano (4). In secondo luogo ei
volle raccogliere tutta le notizie possibili relativamente al Ca-
stello (5), alle sue fortificazioni, ed alle opere, che recentemente
(i) " Montò per lo scalone, e si rese nell'aula del Consiglio, ove
' salutati tutti ritirossi in disparte a parlare col signor vicario per circa
• un quarto d'ora , {Appuntamenti del Consiglio generale).
(2) Cfr. Fontana a Paolo Greppi (Milano, 30 aprile 1796) in Greppi,
op. cit, II, p. 337, n. I : * Sarà di sorpresa anche per i francesi la
" calma, colla quale essi sono attesi. Se è vero che si aspettano la
' diffidenza, saranno soddisfatti della confidenza dei milanesi. „
(3) Gachot, La première campagne d' Italie ^ p. 144: Les régimenis
furent, d'après les instructions de Massena, répartis sur divers points que
*^s autrichiens ou leurs partisans — car Thugut avait des créatures —
Pouvaienl inopinément attaquer. Les troupes furent ainsi posties : lere et
y demi-brigades , vis-a-vis la porte de secours de la cittadelle; le 2^
i\\(xss%wrs en soutien de e et te brigade; la 84^ le long du Naviglio grande^
en seconde tigne; le jer àataillon de la 2ie au cotwent des carmes;
le ae au bastion del Portello; le je aux Portes Romaines et Par lini {?);
k ^ ti le se dragonSy à la Mouliasse. (Rapport de l' adjudant-général
Mounier, Corresp, Arch, Guerre).
(4) Il Becattini, op. cit., lett. 2.', non immune qui da sospetto
"' malignità partigiana, scrisse, sì da far credere Massena si fosse dav-
vero rassicurato : « Bonaparte la mattina del suo ingresso per la Porta
Romana si meravigliò assai di trovarsi in mezzo a una città cotanto
popolata con poche forze e più consistenti in parole che in fatti ; onde
nvolto a Massena, che stava a cavallo accanto a lui, gli domandò se
^ra sicuro, al che l'altro rispose : non temete, mio generale, e vivete
ranquiiiQ. vi è più che bastante numero d' insensati a Milano per
raderci gente da bene e persone oneste. „
^^ (5) l\ Becattini, op. cit., lett. 1.', il Bouvier, op. cit, IV, p. 346, 393,
concordi nell'affermare che un'audace sortita del castello avrebbe
nat ** "P'"€ndere agevolmente Milano , coi suoi pochi nuovi domi-
136 l'invasione francese in MILANO (1796)
erano state eseguite, alla qualità e quantità delle truppe (i), che vi
vi stavan dentro riunite, e dei viveri, e delle munizioni disposte per
sostener l'assedio (2). Gli ho dato conto di tutto, per quanto potea
essere a mia notizia, e conchiusi accennando il privilegio della cittài
in vigor del quale nessuna Potenza assediante fece mai le breccie, e
le trincee in modo da metterla in pericolo di soffrire danno da un
(i) Beaulieu si lagnava la settimana seguente, v. Despatckes of
Colonel Graham, 22 may, che Liptay avesse lasciato una cosi piccola
guarnigione nel castello. Secondo il Greppi, op. cit., II, p. 344, non vi
eran dapprima che " poche centinaia « di uomini di truppa ; ma il geo.
Colli quando, da Bofialora venne per un momento a Milano la notte
dal 9 al IO (il 9 v'erano tedeschi a Boffalora ed a Abbiategrasso, vedi
Archivio Civico, Corrispondenze dal campo), avrebbe rafforzato la guar-
nigione, V. BouviER, op. cit, p. 507 ; JoHiNi, op. cit., II, X, LVII, ^ da
portarla, secondo il Bouvier, a 2000 uomini, di cui solo 1800 validi. Il
Cubani, op. cit., IV, p. 391, dice che ammontava quel presidio a 3000
uomini, ed anche più dovevano esservene secondo le voci raccolte dal
Foscarini (14 maggio). 2800 è la cifra indicata dal Coppi, Annali d'iUiOa^
II, § 17. Ma la valutazione più documentata sembra quella del Gachot,
op. cit., p. 145, che Testrasse dal rapporto all'arciduca Ferdinando, che
è all'Archivio di Guerra a Vienna. Secondo questo rapporto gli assediati
erano: il i.* battaglione del Corpo Gyulay, il ifi della Legione lom-
barda, 150 artiglieri e 9 dragoni, in tutto 1600 uomini, il che non si
scosta dal calcolo del Becattini, op. cit., lett. i.' : " 1500 o 2000 uomini
al più „, da quello del Jomini loc. cit. : 1800 al più, che riteneva insuf-
ficienti pour une enceinte anssi étendue e da quello dello stesso Mas-
sena. Questi scriveva il 14 al Buonaparte, appena giunto, non cre-
dersi in forze per investire il castello, che riteneva occupato da 1500 a
1800 uomini e 2 à joo.,.. de cava/erte.
(2) Il Foscarini (n. 100) già il 4 maggio informava il doge che
" in questo castello si vanno compiendo tanto in lavori come in Dept»-
" siti li necessarj approntamenti „ eTii aggiungeva (n. loi): " Si vanno
" compiendo i trasporti delle munizioni e provigioni in questo castello,
" ove tu to è disposto per opporre e sostenere una resistenza alle armi
" francesi. „ Infine il 14 : " Tutto vi è qdi approntato per conto di pro-
" vigioni, e munizioni — e montata tutt*air intorno Tartiglieria coi ne-
" cessarj servizj e le miccic accese. „ Secondo il Bouvier, op. cit, Lamy
aveva 152 bocche da fuoco, mandrie di buoi, 3000 quintali di polvere.
Il MiNoLA, Diario storico-fio/itico, narra che il 14 stesso Massena bloccò
il castello, ponendo guardie all' imboccatura delle strade che vi condu-
cevano. Non è pertanto il caso di dire eh' egli conciti/ avec le com'
mandant atilrichien de la cittadelle une convention par laquelle la gar-
nison s* engageait à ne pas prendre l* initiaiive des hostìlités. {Pricis des
campagties de 779^ et de 7797).
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA I37
bombardamento (i). Varie altre cose gli dissi su tal proposito, e
finito il discorso il generale si congedò, e ci lasciò tutti in libertà (2).
Mi recai tosto a casa, e mi ci trattenni appena abbastanza per ri-
storarmi e dopo ritornai nuovamente in Broletto (3), dove trovai
(i) Già Tu maggio aveva il Consiglio generale pregato il Lamy
di risparmiare la città, domanda di cui furono incaricati i decurioni
conte Angelo Serponte e conte D. Alfonso Castiglione; ma gli inviati
ebbero risposta che i tedeschi avrebbero fatto quanto loro si chiedeva
" purché il nemico s'astenga di tirare.... dalla parte della città, al qual
" effetto converrà che il Consiglio dirigga le sue istanze ai Comando
*• francese „ (Appuntamenti del Consiglio generale). Lo stesso giorno scri-
veano i deputati da Melegnano, sotto V incanto di Kilmaine, che i fran-
cesi " nel caso d'assedio si dichiarano disposti ad intimare alla guarni-
* gione che se tira un sol colpo sulla città, non gli si farà quartiere. „
La convenienza, la quasi necessità di seguire la tradizione, opportu-
namente ricordata dal vicario, non era contestabile. La cinta del 1730,
è scritto nei Mémoires de Massena, II, p. 68, avait j fronts quij etani
complètement masqués par les bàtiments de la ville, paraissaient plus fa-
cilement attaquables; mais, bien que celle circonstance permit d'établir
une sorte de Iroisième parallèle dès la première nuil, il ne pouvait en-
trer dans les vues du general en chef d*en profiter^ car il aurati attiré
tous les feux de la citadelle sur Milan. Ed il Foscarini, tutto atterrito,
scriveva il giorno dell'entrata dì Massena : ** è vivamente a desiderarsi,
" che questo [l'attacco] non avvenga dal lato che guarda direttamente
* la città, (come ragionevolm.te si crede possa essere convenuto), poiché
" ne seguirebbe certam.te una ben grande rovina a molte fabbriche, ed
* abitazioni, non esente questa med.m* che serve d'alloggio all'umiLma
* mia persona. Per altro il t6 maggio i francesi commisero al loro co-
* mandante del genio di ouvrir,,,, la franchie devant le chàteau de fagon
* àie resserrer le plus possible et à nepas en è tre éloigné de plus de 600 toises „
(BouviER, op. cit, p. 589). Il 14 sera del resto il Consiglio generale
pensava già a traslocare gli uffici civici in luogo meno vicino al ca-
stello : il duca Serbelloni aveva offerto il suo palazzo. Per fortuna il 18
Buonaparte fece scrivere da Berthier al tenente colonnello Lamy che
accettava la sua proposta de respeeter la ville de Milan et de ne com*
metire aucun ade cPhostilitl de ce coté, Les frangais, proseguiva, ne feront
également aucune attaque de ce coté. (Correspondance de Napoléon /^,
to, I, n. 448).
(2) Secondo il Becattini, op. cit. lett 2.', Massena ricevette allora,
nel palazzo Mellerìo, la rumorosa visita di demagoghi, che, dal balcone
del palazzo, proclamarono minacciosamente la guerra ai nobili ed ai
preti.
(3) Vi si posero in quel giorno guardie francesi e vi si innalzarono,
il dì seguente, ■ bandiere a tre colori „ (Minola, op. cit., X).
L
138 l' invasione francese in MILANO (1796)
un flusso e riflusso di gente, che mi s'accostava a chieder provvi-
denze.
Molti mercanti vennero ad esporre le lor doglianze per essere
stati defraudati del pagamento delle merci, che varj soldati presero
a forza rilasciando quitanze od assegnati, che non aveano corso
né valore (i). Fu d'uopo informarne sul momento il generale, col
di cui assenso si pubblicò un editto diffidatorio su quest'articolo,
e si abilitarono i mercanti a ricorrere al più vicino Corpo di guardia,
e riclamare da esso l'arresto di que' soldati che ardissero mettere
in corso assegnati (2). La folla degli uffìciali, commissarj, ed altri
impiegati militari, che presentossi a domandare l'alloggio, fu grande
per tutta la giornata, e la Delegazione a questo fine destinata co-
mecché fusse composta d'un grosso numero di soggetti tutti abili
ed attivi ebbe ad occuparsi notabilmente (3). Incominciarono poi
(i) A Melegnano, ove decisamente si ebbe la luna di miele franco-
milanese, per gettare un po' di polvere negli occhi, ■ un soldato volle
" comprare del panno.... pagando assegnati; fu sgridato in presenza
" nostra, e rilasciato il panno al mercante. „ (I deputati al vicario). A
Milano sembra gli inconvenienti di tal sorta siano accaduti su ben più
vasta scala; v. del resto ciò che il Gachot, op. cit., p. 147, scrive del-
r indisciplina dei soldati francesi in quel periodo. Il Pertusati, Rappre-
sentanza de Meneghin ai scittr franzes^ così descrive le delizie di quel
primo giorno :
Che pinnol desgustòs ! Che bulardée
Per el vicari, e per la Camaretla !
Allo sciuri aascssor, corrn\ f^uardee
Che sia servii i /ran^cs : no fih' è pii mitta.
Vreslinée, mj^jolar, mcrcant de vin^
Foeugh, e fiamma ai botleg/i, e ai botteghin.
L'uso degli assegnati era stato proibito in Lombardia con decreto del
marzo 1795.
(2) V. Raccolta degli ordini ed atmisi, p. 7. Per quel pomeriggio,
poiché intanto " si fece ogni sforzo, di esitare gli assegnati.... p. tu*
" gliere qualunque inconveniente si fece spargere voce d* immediata-
" mente chiudere t'jtte le botteghe, siccome fu fatto „ (Minola, op. cit, X).
(3) " L'ufficialità si fece allogsjiare nelle case de' nobili e di altri
" cittadini agiati (il Minola, op. cit. aggiunge : " e nei conventi ^) ove
fu loro usata la più generosa ospitalità „ (/ francesi in Lombardia).
Degli inconvenienti degli alloggi si lagna il Becattini, op. cit., lett. i.*,
acremente; e il Pertusati, op. cit., più bonariamente, li dipinge:
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA
139
in quel giorno medesimo (i) le requisizioni d'ogni genere, cui si
procurò di dar passo con ogni prontezza. La più interessante e
gravosa fu quella di tutti i cavalli da sella colle loro bardature, che
dovettero farsi trovare nella Corte del palazzo altre volte arcidu-
cale, nella mattina del dì susseguente. Egli è facDe immaginarsi
quanto siasi travagliato e '1 giorno e la notte per dare le dispo-
sizioni in modo che fusse fatto prontamente il servizio (2). E sì
£ i allogg militar in di nost cà
In cà, giura brio Bacche de chissessia
L' è ona nespola brusca de biassà,
L'è on tantinett d'ona superciarìa;
E pur besogna mett la berta in sen,
Fa de loch, e ciappà quel che ven ven.
£1 pesg 1* è che i padron n* hin pù padron
De desponn in cà soa dì stanz, di lece,
E ghe tocca a scratciass* in d'on canton
£ se ghe pias el cold, han de sta al frecc;
l*och paroll.... faccia franca ... e meneman
Se se voeur dì qnai cos.... artn alla man.
Per gli alloggi v. pure: Raccolta degli ordini ed avvisi, p. 8 e 9.
Ci) Anzitutto, oltre ali* aver ordinato la requisizione dei cavalli
<ia sella, di cui vedremo tosto, Massena si fece verser le contenu de la
caiss€ de Voctroi, encore un demi-million; Bouvier, op. cit., concordante
con CusANi, Storia di Milano, IV, p. 38.
(p) Anzitutto il Consiglio generale diede ordine alla milizia ur-
bana perchè non lasciasse passare alle porte cavalli * senza licenza
dell'uflScio commissariato, eccettuati quelli dell'armata francese „ (Ar-
chivio Civico, Milizia urbana, — Prow, gener. materie 661). Secondo
a asaetta di Milano del 19 maggio, in cambio dei cavalli, i prò-
\q " "^^vettero * quitanze per il rimborso del corrispondente va-
^^' ." ^ ^^^ tenore dell'ordine del Consiglio generale {Raccolta degli
si lasc'^t ^'^^^^'f P* S)/ nonché dal Peroni, Epitome Storico^ appare che
Wi/ano *^^'"^'*e il rimborso. 1 cavalli che i francesi condussero il 14 a
cattivi -. ^-^^^ ^^ Verri, Lettere e scritti inediti, IV, p, 393: * smunti e
» e si
•ww/ /^s ^ia ' ^^'^^^^^ P^r sostituirli cogli excellents chevaux que foumis-
l 2, p. iQ^\ ^ ^^ ^^ jLombardie (Lacretelle, Directoire exècutif, to. I,
/as fr-fHéZfe r n ^^ '' 3ouvier, op. cit., p. 629, assicura che on n'avait
Calia
^s *Het//et4 ^ ^^^ ^ maggio) que peu et d'asses médiocres chevaux,
tions ou peu/ - ^®^^"^^S^> ètaient sans doute soustraits aux investiga-
gemente, ^^ '^'y vo/és^ La seconda ipotesi deve essersi realizzata lar-
* diiemijQ ^ Vki^R-i, op. cit, p. 213 , assicura che furono requisiti
esempio delj^ ^^^^' " ^^"^ poche ore di tempo. „ Lo stesso (p. 231) cita un
donò due su ^^'^^^^^ olie prendevano i cavalli : Despinoy alla sua bella
^erf)2 o^AiTalli the prese in requisizione dal conte Ciceri. „
140 l' invasione francese in MILANO (1796)
che trattavasi di misure affatto nuove ed inusitate, e che dovean
riuscire dispiacevoli, e gravose ai proprietarj, cui s'ingiungeva
l'obbligo di fare il sagrifizio delle sue proprietà (i). Ma questo
era il principio. Ben altri assai più costosi sagrifizj conveniva pre-
pararsi a subire, come conseguenze necessarie della guerra, di cui
si trattava. La mia flussion d'occhi intanto andava aggravandosi (2)
e mi tormentava sensibilmente.
fCofttinua,)
V, pure la lettera di Buonaparte a Faipoult: Vi? vous choistrai tUux
beaux chevaux panni ceux que nous requerrons à Milan ; ils serviront
à vous dissiper des ennuis et des étiquettes du pays où vous étes; Cor'
respondance de Napoìéon /*'', to. I, n. 476.
(i) Il francofilo Verri, op.cit., p. 392, ed il Becatiini, op. cit., lett i.',
avvicinano questa violazione della proprietà alle promesse di poche ore
prima. Ed il Botta, Storia d'Italia dal /7<?p al 1814^ to. I, l. 6. •, risolve
la contraddizione narrando che ** essendo i padroni, come si diceva, ari-
stocrati, pareva la roba loro fosse divenuta quella d'altrui. „ In ogni
modo il Consiglio generale incaricò quella sera stessa i decurioni don
Antonio Vitali e conte Carlo Burini " per assistere alle stime , e rila-
sciare certificati ai proprietari.
(2) Pare che soffiasse quel giorno " molto vento, „ se almeno va
presa seriamente l'afférmazione del Becattini, op. cit, lete i.*. Le ef-
femeridi di Brera (osservazioni pel 1796 del padre Frane. Reggio), cor-
tesemente mostrateci dal dott. M. Rajna, recano per il giorno 14 maggio
le seguenti indicazioni :
Mane
Alt. Bar.
Alt. therm.
Status coeli
37,08
12.6
Ve spere.
0 ser.
27.93
17,3
NO, ser.
VARIETÀ
La famiglia di Pinamonte da Vimercate
secondo nuovi documenti.
|i quel Pinamonte da Vimercate, che Tiscrizione dell'arco
di porta Romana ricordava come console di Milano al
momento della riedificazione (1171) della città dopo Tec-
cidio compiutone dal Barbarossa; che compariva quale podestà di
Bologna negli atti di Venezia (11 77) e sottoscriveva la pace di Co-
stanza (1183) ^^ i^ trattato di Reggio (1185) come rappresentante
di Milano, la tradizione aveva raccontato molte cose, dicendolo
autore ed anima della Lega Lombarda, oratore a Pontida, riedifi-
catore della città e quasi secondo padre di essa, come Camillo di
Roma. In un mio breve lavoro (i), raccogliendo le varie fila di
codesta narrazione, ho potuto sceverare quanto di vero e di falso
vi si contenga. Pinamonte nei primi atti della Lega, come risulta
dai vari documenti pubblicati dal Vignati, non ha parte veruna;
probabilmente non fu neppure a Pontida o, qualora vi sia stato,
non pronunziò certo l'orazione, remotissima dalle idee di quel tempo,
che gli vorrebbe mettere in bocca il Corio.
Della famiglia e di Pinamonte uomo privato però poche cose
io avevo potuto dire, e anche queste non nuove. Dubitava della
sua pretesa nascita a Vimercate : dubitava della sua dimora in Ci-
sano Val San Martino, a preparare il convegno di Pontida, come
scrisse il Dozio, quando, inaspettatamente, un documento da me
rinvenuto nell'Archivio di Stato di Milano, è uscito fuori a spargere
nuova luce sulla vita di lui, sulla sua parentela ed indirettamente
sulle condizioni politiche della casata sua.
U documento è del 1147 e consiste in un atto di vendita dei
(i) E. RiBOLDi, Pinamonte da Vimercate, Vimercate, G. Stucchi, 1901.
142 LA FAMIGLIA DI PINAMONTE DA VIMERCATE
beni di Cisano e di Caprino fatta dal padre, dal fratello di Pina-
monte e da lui medesimo.
Padre di Pinamonte fu quell'Alcherio da Vimercate, che a
capo de' milanesi a Cassano d'Adda (1158), e dopo aver combattuto
valorosamente, fatto prigioniero, perdette la vita. Non poche cose
la tradizione ricamò anche attorno a questo personaggio e a questo
fatto, i quali d'altra parte ci attestano quanto elevata fosse la con-
dizione della famiglia di Pinamonte in Milano e come l'aureola del
martirio, fin dall'inizio delle ostilità col Barbarossa, ne coronasse
il nome. Questi precedenti danno facile spiegazione a quanto la tra-
dizione disse poi di Pinamonte, partecipe della nobiltà, della gloria
e della simpatia di cui era già circondato il nome del padre.
Resta poi definitivametne accertato che fin dal 1147 i beni di
Cisano Val San Martino non appartevano più ai Vimercati e che
Pinamonte non potè quindi nel borgo donde i suoi erano deriviti
lavorare pel Congresso di Pontida.
Il documento inoltre menziona il padre di Alcherio, Teudaldo,
del quale sappiamo, grazie ad un altro documento inedito (i), die
era figlio di Umberto e che sino dal giugno 1095 dimorava in Mi-
lano presso la chiesa di San Fedele, cui donava i suoi beni di
Agrate. Il medesimo nel 1104 insieme ad un altro figlio Teudaldo
e ad un Alcherio di Obizzone, pure dimorante in Milano, facea
dono ai canonici della pievana di Vimercate de' beni ch'essi quivi
possedevano (2); e da questo risulta che la famiglia dei Vimercati
già viveva in Milano e non aveva più beni a Vimercate.
Infuna carta del 1059 pubblicata dal Lupi compare poi come figlio
di Obizzone, Attone da Vimercate, vescovo di Bergamo ; per cui rac-
cogliendo insieme queste sparse notizie, possiamo formare della
casata l'albero genealogico che segue:
I I
Obizzone Umbkkto
I
I I
Attone Alcherio Teudaldo
Vescovo di *Berg-amo tp. Giala I
I I
Teudaldo Alcherio
sp. Adelasia
Pinamonte Ospinklu»
sp. Baldina sp. Pere fina
(i) Carta del Monastero di Santa Redegonda giugno Z095, ind. Ili,
nell'Archivio di Stato di Milano.
(2) Dozio, Cartolario Briantino, Milano, 1858, p. 65 e sg.
SECONDO NUOVI DOCUMENTI I43
* *
Vengo ora al documento, da me rinvenuto :
1147 maggio X. Alcherio del fa Teudaldo da Vimercate, Adelaide
sua moglie, Pinamonte e Baldina loro figlio e nuora, professanti la legge
longobarda, vendono a Pietro del fu Guglielmo e a Moscardino del fu
Vitardo, abitanti in Imbersago, i loro averi nella villa e castello di Ci-
sano e Caprino.
Sulla stessa pergamena e di seguito:
1147 maggio X. Ospinello, figlio del prenominato Alcherio, e Pere-
gina sua moglie, professanti la legge longobarda, in presenza di Gè-
zone, messo di Pietro e Moscardino, consentono alla medesima vendita
nelle stesse condizioni. Questo secondo strumento, identico al primo,
non ho creduto necessario pubblicarlo.
Manca in entrambi gli atti il giorno.
Originale in pergamena, di cm. 38 x 34, in buon stato, tra le carte del
convento di S. Giacomo di Ponti da nell'Archivio di Stato di Milano.
Scrittura di una sola mano, abbastanza chiara, minuscola corsiva
con aste allungate nella prima linea dei due strumenti: numerose ab*
breviature e molte lettere aggiunte superiormente alle parole. I carat-
teri del primo atto sono pallidi, quelli del secondo neri, su linee irre-
golari tirate con la punta a secco in numero di 35 (19 pel primo, 16
pel secondo strumento).
S'avvertono chiaramente molte cassature. Nell'atto primo in fine
della sesta linea, nella settima, nella undecima e dodicesima: nel se-
condo alla quarta linea e due aggiunte interlineari della stessa mano
alla terza e quarta.
Identici i due notai, i segni del tabellionato ed autografe le firme
del messo regio : la prima è coperta in fine da una macchia oscura. La
punteggiatura è abbastanza corretta; incerta invece l'ortografia. In fine
poi in luogo di iestium è scritto iesiiuorufHf certo per trascorso di penna.
Il nome Pinamonte è scritto Spinamente. Abbiamo qui un esempio
di s prostetico, aggiunto ** quasi per afiettazione plebea ^ talvolta a voci
letterarie: cfr. cosi StijBÌan=z Tiziano in friulano {Arch, Giotto/., I, 415).
A tergo della pergamena, di mano antica, forse eguale, a caratteri
majuscoli allungati con inserta qualche lettera minuscola e con abbre-
viature caratteristiche, è scritto tra due righe tirate con la punta a
secco: Carta Petri et Moscardino (sic) de Amberiiago quamfecit Alcherius
de Vicomercato de sorte una in loco Cixano que laborabatur per Andream
^nagistrum. — Un'altra mano più recente aggiunse al di sopra, in senso
inverso, segnature d'archivio.
Regesto: Musasum diplomaticum ms« nell'Archivio stesso, voL III,
monastero di San Giacomo in Pontida.
Ezio Riboldi.
L_, _
144 ^^ FAMIGLIA DI PINAMONTE DA VIMERCATE
DOCUMENTO
In cristi nomine Anno ab Incamatione domini nostri Ihcsu cristi
Millesimo centesimo quadragesimo septimo mense madii indictione d^
cima : Constat nos Alcherium fìlium quondam teudaldi de uico mercato
et adelaziam jugalem. et spinamontem fìlium infrascrìpti alcheriL et
baldinam iugalem. qui professi sumus nos lege uiuere longobardonun.
michi que supra adelasie consentìente infrascrìpto alcherio uiro et
mondoaldo meo. et michi qui supra spinamonte consentìente (su) in-
frascrìpto alcherio genitore meo et michi que supra baldine consen*
dente infrascrìpto spinamonte uiro et mondoaldo meo. et ut legis
habet auctorìtas una cum noticia domini bertram missi domini lotarii
regis a quo interrogate et inquisite sumus nos que supra adeiasia
et baldina si ullam pateremu^ uiolentiam ab ìpsis uirìs et mondoaldis
nostris uel ab alio homine nec ne. Quidem et nos que supra ade-
iasia et baldina coram ipso misso et coram testibus certam facimus
professionem et manifestationem quod nulla patimus uiolentiam ab ipsìs
uirìs nostris nec ab aliquo homine. sed nostra bona et spontanea uo-
luntate hanc cartam uendictionis facere uise sumus. Accepisse siculi
et in presentia testium manifesti sumus quod accepimus insimul a te
petro fìlio quondam uillelmi a moscardino fìlio uitardi habitatoribus in
loco amt>ertiago. argenti denariorum honorum mediolani ueteris monete
libras duodecim. Finito pretio sic inter nos conuenìmus prò contis casis
et omnibus rebus terrìtorìis tam communis quamque diuisis tam sedi-
minibus cum edifìciis casarum siue in uilla siue in castro de cixano. et
insuper campis. pratis. ueneis. siluis. castaneis. stellariis ac roboreis
pasculis communantiis. rìpis. rupinis et omnia quam andreas maister
de isto loco cixano et de caurìno (i) et in eisdem terrìtorìis. cum om-
nibus honorìbus usibus et conditionibus et distrìcto atque integrìtate ad
ipsam tenudam pertinentibus in integrimi. Quas autem res superius
dictas qualiter superius uel cum superìorìbus et inferìorìbus seu cum
fìnibus et accessionibus suarum in integnim ab a.^.. die uobis qui supra
petro et moscardino prò infrascrìpto pretio vendimus tradimus manci-
pamus et faciatis exinde uos uestrìque heredes et cui uos dederitis iure
proprietarìo siue liuellarìo nomine quidquid uoluerìtis sine omni nostra
et heredium nostrorum contradictione. Quidem spondimus atque prò-
mittimus nos qui supra uenditores una cum nostris heredibus uobis qui
supra petro et moscardino uestrìque heredibus seu cui uos dederitis
predictas res omnes qualiter superìus vel in integrum: omni tempore
ab omni contradicente homine defensare, quod si defendere non potue-
rimus aut si contra hanc cartam agere quesierìmus tunc infrascriptas
(i) Caprino, luogo vicino a Cisano in Val San Martino.
SECONDO NUOVI DOCUBIENTI I45
res uobis in duplum resti tu amus sicut prò tempore fuerìnt meliorate
aut uoluerìt sub extimatione in consìmillibus locis. Quia sic inter nos
conuenimus. Actum insta ecclesiam sancti ambrosii de bribio.
Signum manum infrascriptorum alcherii et adelaxie iugalium. et
spinamons et baldine iugalium qui hanc cartam uendictionis ut supra
fieri rogauerunt et ipse, alcherius eidem uxori sue consensit et fìlio et
ipse spinamonte eidem uxori sue consensit ut supra.
Signum manum gezonis de cixano et beguzii de leuco et gandulfì
de marentio et uital carongia de uelate et iohannis et uital de cazulino
et iohannis mura testiuorum.
Ego betram (sic) missus dompni tertii lothari imperatoris istas fem-
minas.».
Ego uitalis notarius et causidicus scrìpsi post traditam compleui
et dedi.
Di chi fu figlio Giovanni da Oleggio?
|resso gli storici moderni (i) comunemente si rinvien
scritto che Giovanni da Òleggio fu figlio naturale
deirarcivescovo Giovanni Visconti di Milano ; ma tale
opinione non è confermata da alcuna prova manifesta all'infuori
della testimonianza di cronisti, la maggior parte dei quali non
sono contemporanei.
Ma neppure fra costoro esiste pieno accordo in proposito,
Piegando Pietro Azario questa paternità (2), che altri afferma più
0 meno recisamente.
Perchè alla versione dell'Azario, che per varie ragioni po-
teva sembrare più prossima al vero, prevalse Taltra che pure an-
dava incontro a parecchie difficoltà?
Anche ammettendo che Giovanni da Oleggio fosse figlio na-
turale dell'arcivescovo, come si giustifica la presenza dei due lo-
cativi, coi quali egli è conosciuto presso i più autorevoli cronisti?
Infatti il Villola, cronista contemporaneo bolognese, par-
lando di Giovanni da Oleggio, aggiunge il qualificativo t dei Ve-
«schonti de Millano» (3); ed in tale maniera è denominato in
quasi tutte le croniche bolognesi.
(0 P. Orsi, Signorie e Principati, Milano, Vallardi, p. 113; L. Frati,
documenti Per la storia del dominio visconteo in Bologna, in quest'air-
^^wo ser. II, voi. VI, 1889, p. 537-
(a) P. AzARn, Chronicon, in Muratori, /?. L S., XVI, 328.
13) Villola, Cron. in Bibl. Univers. di Bologna ms. 1456, anno 1351.
^'v* Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXV.
IO
146 DI CHI FU FIGLIO GIOVANNI DA OLEGGIO?
E' possibile che con questa espressione il cronista volesse
alludere all'incerta o creduta origine di lui ; ma essa è cosi vaga
ed indeterminata, che più naturale riesce il credw^ che, col primo
aggiunto, abbia voluto indicare il luogo di nascita e, coH'altro la
famiglia cui apparteneva.
Ma la famiglia dei Visconti da molto tempo erasi divisa
in vari rami, che traevano la denominazione dal luogo principale
della loro dimora.
Già fin dal secolo XI afiFerma il Giulini di aver ritrovato due
linee dei Visconti, le quali in seguito diedero origine a parecchie
altre (i).
Pietro Azario osserva che quando nacque il grande Matteo,
e poi venendo innanzi fino al tempo in cui Ottone, suo prozio,
diventò arcivescovo di Milano, la loro famiglia non aveva molto
grande patrimonio, perchè allora non possedeva che le terre di
Invorio inferiore e di Oleggio Castello colle loro pertinenze, ed
altri beni in Masino ed alcuni luoghi del Vergante (2).
Il Giulini inoltre cita, togliendolo da Galvano Fiamma, un
documaito dell'anno 1277, nel quale, per ordine di Ottone arci-
vescovo, sono registrate tutte le famiglie nobili della città e con-
tado di Milano, tra cui dovevano scegliersi gli ordinari della
Metropolitana.
In questo documento trovansi annoverate sei famiglie di Vi-
sconti, due delle quali distinte coll'aggiunto di t Oleggio • e di
€ Oleggio Castello» (3).
Paolo Giovio, scrittore di età posteriore, ricorda im solo ramo
dei Visconti da Oleggio (4), forse perchè l'altro al tempo suo si
era estinto.
Ora, poiché veramente esistette una famiglia tda Oleggio»,
unita in parentela coi Visconti di Milano, sembra inverosimile il
fatto che, contro tutte le consuetudini antiche e moderne, un figlio
naturale potesse assumere un nome che non gli spettava ed en-
trare in ima famiglia a cui non apparteneva.
Ciò sarebbe forse stato possibile soltanto nel caso in cui non
fossero esistite altre famiglie collo stesso aggiunto. Un'ultima
considerazione si deve fare intomo all'età di Giovanni da Oleggio
e dell'arcivescovo. Non è noto l'anno preciso in cui nacque il
(i) Giulini, MtmorU della città € campagna di Mi/a$to, Milano» 1854,
Tol. IV, p. 45a
(2) AzARio, Op. cit., e. 301, B.
(3) Giulini, op. e loc. cit, p. 456».
(4) P. Giovio, Viic dei dodici Visconti, Venezia, 1549^ lib. I, p. 7.
DI CHI FU FIGLIO GIOVANNI DA OLEGGIO? I47
primo, ma, per testimonianza deirAzario, si sa che egli abbandonò
la carriera ecclesiastica a trentadue anni e che in seguito si diede
a coprire pubblici uffici. Il Litta dice che prima divenne podestà
di Novara, poi di Asti nel 1340 (i).
Se in quell'anno aveva oltrepassato l'età accennata dall'Azario,
è chiaro che dovette nascere verso il 1307. Ma per coprire l'ufficio
di podestà gli statuti richiedevano almeno i trentacinque anni ;
cosi che Giovanni da Oleggio verosimilmente nacque nel 1304,
nel qual'aimo l'arcivescovo entrava nel quattordicesimo di sua età
essendo nato nel 1290. Non può quindi esser creduto padre in così
tenera età.
A quale delle due famiglie denominate tda Oleggio» appar-
tenga Giovanni, risulterà più innanzi dalla testimonianza dello
stesso Azario e da altri documenti.
Ora credo opportuno occuparmi a rintracciare brevemente la
origine e la causa per la quale si rese possibile il sorgere ed il
divulgarsi dell'errore intomo alla paternità di luL
Quasi subito dopo l'acquisto di Bologna, Giovanni da Oleg-
gio venne quivi mandato dall'arcivescovo in qualità di capitano
del popolo e suo luogotenente per governare l'importante città.
E' noto ch'egli rimase in tale ufficio sino alla morte dell'am-
bizioso prelato e che, essendogli succeduti i nipoti, pochi mesi
dopo usurpò il governo della città e vi fondò la propria domi-
nazione.
Giova quindi vedere quali notizie contengano in proposito
k croniche bolognesi.
Notevole è il fatto che neppur una delle croniche, dal Sor-
belli giudicate contemporanee (2), reca particolari indicazioni a
proposito della paternità ; onde si può credere che la diceria in
quel tempo fosse ignota ai Bolognesi, oppure che i cronisti per ra-
gioni loro speciali non stimassero conveniente farne il minimo
cenno.
Escuse perciò le croniche contemporanee, prendo in esame
le rimanenti senza occuparmi del tempo in cui sono state com-
poste.
Per il loro numero considerevole e per la varietà del conte-
nuto le divido in gruppi, secondo la forma colla quale è registrata
la diceria.
Il primo gruppo è formato dalle croniche contenute nei
(i) Litta, Famiglie celebri italiane^ Visconti, tav. IIL
(2) SoRBELU, Le croniche bolognesi del secolo XI V^ Bologna, Zani-
chelli, 1900, p. 61 e sgg.
148 DI CHI FU FIGLIO GIOVANNI DA OLEGGIO?
codd. 430, 1409, 141 o, 1843, ^90, della Biblioteca Universitaria
di Bologna e da quelle dei codd. G, I, 12, G, I, 29, G, I, 34, ddh
Municipale.
In quasi tutte le croniche indicate trovasi ripetuta la notizia
della paternità delFOIeggio press'a poco colle stesse parole (i).
Il secondo gruppo è compreso dalle croniche dei codd. 408,
1065, 1327, deirUniversitaria e dei codd. G, I, 16, K, I, 38, K, II,
68 della Municipale, le quali, abbandonando la prima forma du-
bitativa, affermano la paternità come fatto certo.
Faimo parte del terzo gruppo i due codd. 582, 585, deirUni-
versitaria, nei quali Giovanni da Oleggio è detto nipote bastardo
dell'arcivescovo di Milano.
Finalmente il quarto gruppo è formato dai codd. 1438, 1439^
1971, 437, 9C* deirUniversitaria e dal codice Hercolani 70, della
Municipale.
Quest'ultimo gruppo è interamente composto dalle cronicbe
dal Sorbelli chiamate cFileneei, perchè, o furono compilate da
Fileno dalla Tuata, o direttamente da lui derivano. Esse vanno
distinte dalle precedenti per ima notizia, della quale non mi è
stato possibile trovare la fonte. I fratelli Matteo, Galeazzo e Ber-
nabò Visconti sono detti figli dell'arcivescovo e Giovarmi da Oleg-
gio loro fratello bastardo.
Tutte le croniche citate contenenti indicazioni sulla paternità
di Giovanni da Oleggio, secondo i risultati del Sorbelli, (2) fu-
rono scritte dopo la seconda metà del secolo XVI.
Ora non trovandosi alcuna traccia della diceria prima di
questo tempo, è necessario ammettere che i cronisti bolognesi po-
steriori abbiano attinto ad altra fonte la notizia che in qualdic
modo riguardava la loro città.
Ma essa era diretta specialmente a colpire i Visconti e perdo
dobbiamo cercarne gli autori fra i nemici dei potenti Signori di
Milano.
Nella lotta che, le città ancora rette a libero reggimento nel
secolo XIV, ebbero a sostenere contro le Signorie tendenti ad af-
fermarsi ed a stabilire solidamente uno Stato, i Visconti lunga-
mente ed aspramente contesero colla repubblica fiorentina. Essi
dopo aver attraversato un lungo periodo di fortunose vicende po-
(i) Cito alcune varianti: Cod. 430, anno 1354: " el quale [Giovanni
da Oleggio] se tegniva che fusse suo fìolo bastardo. ^ Cod. 1409: ' se
• dixea eh' iera s. f. b. „ Cod. 1410: " se tignea et era s. f.b. , Cod. 1843:
" e si dixea che l'era „ etc.
(2) Bordelli, op. e loc. cit.
DI CHI FU FIGLIO GIOVANNI DA OLEGGIO? I49
litiche, avevano saputo trovare il modo di erigersi a principali
rappresentanti delle idee e degli interessi ghibellini in Lombardia,
ed in seguito di estendere colla potenza e colla gloria rapida-
mente acquistata il loro dominio in molte città.
La fortuna ed il favore che ogni giorno andavano trovando
presso il popolo le Signorie, e specialmente la potenza crescente
dei Visconti, destò un grande spavento negli Stati vicini, che,
essendo deboli e divisi, sentivano seriamente minacciato il loro av-
venire e la loro libertà.
Fra le città direttamente prese di mira dall'aggressiva poli-
tica viscontea, quella che più aveva a temere per la propria inte-
grità era Firenze, la cittadella dei guelfi in Toscana, che con ogni
mezzo cercava d'impedire ai Visconti ogni intervento ed ogni im-
presa dannosa ai proprii interessi ed al proprio sviluppo.
Giovanni Villani, nella sua Cronica, parlando della guerra
contro i Pisani per il possesso di Lucca ed accennando agli aiuti
che Luchino Visconti mandò contro i Fiorentini, seriamente im-
pegnati nella difesa di quella città, dice che l'esercito milanese era
condotto da Giovanni da Oleggio suo nipote (i).
Quasi colle stesse parole si trova pure registrata la notizia
nella Cronica di Pisa sotto l'anno 1341, nel quale, com'è noto, av-
venne l'accennata guerra (2).
Nella battaglia avvenuta presso la Ghiaia, nella quale rifulse
la fortuna delle armi fiorentine, Giovanni da Oleggio essendo ri-
masto prigioniero, era stato condotto a Firenze, e, poco dopo, aveva
ottenuta la libertà sopratutto per l'intervento del duca d'Atene.
Qualche tempo dopo Giovanni da Oleggio aveva tentato di
stabilire in Pisa la sua Signoria ; ma scoperta la trama, era stato
costretto a fuggirsene ; ed a nulla valsero gli aiuti mandatigli
dal Signore di Milano perchè riuscisse il fallito disegno.
Matteo Villani, venendo a parlare della guerra che nel 1351
l'arcivescovo, divenuto Signore di Milano, portò contro Firenze,
nota che questi fece capitano dell'esercito milanese lo stesso Gio-
vanni da Oleggio, t il quale per fama si tenea essere suo figliuo-
lo! (3). Questo passo è sopratutto notevole perchè con qualche
leggerissima variante trovasi riprodotto e riportato nelle croniche
bolognesi del primo gruppo.
Né si può dubitare che i cronisti bolognesi non abbiano at-
(1) Giovanni Villani, Historie, lib. II, cap. CXXX.
(2) Ranieri Sardo, Cronica di Pisa, in Muratori, R. I, S., v. XV,
cap. LXXIX.
(3) Matteo Villani, Historie, lib. II, cap. V.
Z50 DI CHI FU FIGUO GIOVANNI DA OLEGGIO?
tinto dal Villani, perchè in nessun altro cronista fiorentino o to-
scano trovasi accenno che si riferisca all'Oleggio nella fomia
citata.
Questo fatto è più che sufficiente per stabilire il tempo ed il
luogo in cui nacque e si divulgò la diceria, la quale, come dicemmo,
fu prodotta sopratutto dal profondo odio politico dei Fiotentim
contro i Visconti, e particolarmente contro l'arcivescovo e oontio
Giovanni da Oleggio, per la parte importantissima che questi dibe
in ogni impresa viscontea a danno della Toscana. Scomparsa la
causa che aveva prodotto quest'odio, anche il ricordo della diceria
si dileguò ; cosi nelle croniche posteriori non vi fu ragione di
fame cenno.
Ho detto che le croniche bolognesi contenenti indicazìcmi
sulla paternità dell'Oleggio, secondo il Sorbelli, appartengono
alla seconda metà del secolo XVI.
Considerando che la prima edizione della Cronica di Gio-
varmi Villani venne alla luce Tanno 1537 e che parecchie alte
comparvero a pochi anni di distanza (i), nessuna cronica bolo-
gnese contenente indicazioni sulla paternità delTOleg^o essendo
anteriore all'accennata edizione, è necessario concludere che i cro-
nisti bolognesi trassero quella notizia dai fiorentini, ai quali ri-
sale l'origine e la fonte di essa.
Trovata cosi la fonte e veduto il modo col quale la notizia
si divulgò attraverso quasi tutti i cronisti bolognesi, restano ad
esaminarsi le croniche milanesi contemporanee che ho potuto ve-
dere.
Prima però accennerò ad un documento che, sebbene per la
nostra questione abbia pochissima importanza, ser\'e tuttavia a
dare un'idea dell'oscurità in cui era avvolta l'origine di Giovanni
da Oleggio e dei mezzi di cui si serviva un nemico per denigrare
l'avversario.
Nel 20 marzo 1356 il podestà di Milano per ordine di Ga-
leazzo Visconti intentò un processo di tradimento contro Giovanni
da Oleggio, per l'usurpazione del governo di Bologna e per l'uc-
cisione di alcuni partigiani, i quali, stando nella città come uffi-
ciali del Signore di Milano, avevano congiurato per uccidere
l'usurpatore (2).
Nell'atto di accusa ad arte si evita di chiamarlo un Visconti
(i) Bkunet, Manuel du libraire^ lo, V, p. 1225.
(2) Il processo per intero fu fatto inserire per ordine di Galeazzo,
negli Statuti delle città a lui soggette. Cfr. Mon, Hist. ad Prov. Pwr-
mensent et Placentinatfty voi. Ili, p. 332 e sgg.
m CHI FU FIGLIO GIOVANNI DA OLEGGIO? I5I
per aver modo di applicargli fra gli altri epiteti ingiuriosi anche
quello di cspurius», col quale Galeazzo pubblicamente intendeva
di confermare la fama intomo alla nascita di lui.
Ma basta notare che la testimonianza di cronisti contempo-
ranci autorevoli, fra i quali TAzario, toglie ogni valore all'asser-
zione di Galeazzo, senza considerare che la mortale inimicizia fra
i due Visconti spingeva Tuno a dir scientemente il falso per dan-
neggiare l'altro.
Galeazzo meglio di qualunque altro era in grado di conoscere
la vera origline di Giovanni da Oleggio.
Due sono le croniche lombarde che prendo in esame.
Il Chronicon Placentinum riferendo il fatto dell'usurpazione
del governo di Bologna in daimo di Matteo Visconti aggiunge
che avvenne per opera di un certo suo parente di nome Giovarmi
da Oleggio (i).
Ma la sola cronica in cui si trovano riferite importanti notizie,
è quella di Pietro Azario. In essa egli attesta che fu amico dei
Visconti, dei quali scrisse, com'è noto, con molta fedeltà le vite
mettendo in chiaro i grandi meriti e le eccellenti attitudini di go-
verno da essi possedute. Nell'anno 135 1 venne mandato a Bo-
logna dall'arcivescovo in qualità di notaio degli stipendiaci e
segui Giovanni da Oleggio nella spedizione contro Firenze. Ter-
minata la guerra egli rimase in Bologna collo stesso ufficio fino a
pochi mesi dopo la morte dell'arcivescovo (2).
L'Azario oltre a dare spiegazioni intomo al modo ed alla
causa per la quale nacque e trovò credito la diceria, quasi a per-
suadere gli avversari dei Visconti e particolarmente i Fiorentini,
presso i quali indubbiamente la trovò divulgata al tempo della
sua dimora in Toscana, racconta un fatto del quale fino ad ora
non fu tenuto conto ; ma che, dopo ciò che abbiamo detto, acquista
importanza e valore storico.
Scrivendo la vita di Giovanni Visconti da Oleggio, l'Azario
narra che questi era stato sollevato dalla povertà e dalla miseria
in cui era nato, per opera sopratutto dell'arcivescovo Giovarmi, il
quale ammirando l'ingegno e la virtù del giovane, lo aveva av-
viato per la carriera ecclesiastica ; e prima lo fece suo t domi-
cello», poi cimiliarca della Metropolitana. Ma l'arcivescovo, al
quale la dignità ecclesiastica non impediva di essere ambizioso e
di desiderare i beni mondani, «aveva bisógno di un uomo fedele
e devoto che sapesse interpretare e mettere in opera i suoi disegni
(1) Chronicon Piacenttnum, in Muratori, R, L S., XVI, e. 500, 1. C.
(a) AzARio, op. cit., e. 328, £.
DI CHI FU FIGLIO GIOVANNI DA OLEGGIO? I53
l'importante racconto ricordandoci altresì il nome del padre di
Giovanni da Oleggio. Forse il lungo periodo di tempo trascorso
dall'avvenimento al quale accennava soltanto per incidenza, fu
causa della sua dimenticanza (i).
Mentre io stava attendendo alla ricerca di documenti per un
lavoro che ho intrapreso sulla storia del dominio di Giovanni da
Oleggio in Bologna, mi vennero sott'occhio parecchi documenti,
i quali compiono le notizie dell'Azario e risolvono la questione.
Alcuni di questi documenti verranno pubblicati quando ap-
parirà in luce il lavoro accennato ; per ora mi limito a riportarne
quattro brevissimi che appartengono ai libri dei Memoriali di Cam-
pagna esistenti nel R. Archivio di Stato di Bologna.
Il primo è un atto di procura fatta t per Magnificum et excel-
• sum dominum dominum lohannem Vicecomitem de Olegio ge-
• neralem gubematorem et dominum civitatis Bononie, filium con-
tdam domini phylipi Vicecomitis de Olegio in discretum virum
fzanotum condam domini tomaxy de Bocha diocesis novariensis
• ad contenta in Instrumento hodie facto bononie in camara chu-
• bicullaria prefati domini constituentis denunciato per partes et
cnotarium qui notam dimixit» (2).
Da questo documento risulta dunque che Giovanni da Oleg-
gio non fu figlio dell'arcivescovo Giovanni Visconti di Milano,
ma di Filippo Visconti da Oleggio, senza dubbio di colui che,
come accenna l'Azario, era stato ucciso nel castello di Oleggio du-
rante una delle numerose fazioni di guerra tra guelfi e ghibellini
in Lombardia al principio del secolo XIV. Tutti i documenti da
me veduti coll'indicazione della paternità di Giovanni da Oleggio,
concordano nel nome del padre suo ; il che toglie qualunque dub-
bio in proposito.
Nei Memoriali si trovano inoltre accennate le paternità di
parecchi nipoti dell'Oleggio, alcuni dei quali sono nominati dal-
TAzario.
Cosi Giovanni da Oleggio è zio paterno di Giacomino figlio
di Giovannolo da Oleggio (3), è zio di Ubertino figlio di Si-
mone (4), di Franco, Oliviero e Rolando figli di Maffeo (5).
(i) La cronica dell' Azario finisce nell'anno 1370. La distruzione
del castello di Oleggio risale intorno all'anno 1320.
(2) Archivio di Stato di Bologna, Memoriali di Campagna, l'j ot-
tobre 1358.
(3) V. append., doc. I.
(4) V. append., doc. IL
(5) V. append., doc. Ili e IV, ove diamo un albcretto de' Visconti
d'Oleggio vissuti sugli inizi del sec. XIV.
154 DI CHI FU HGUO GIOVANNI DA OLEGGIO?
Questi ed altri nipoti, venuti a Bologna, tenevano importanti
uffici ed aiutavano Io zio nel governo della città. Così ho dimo-
strata l'origine legittima di Giovanni Visconti da Oleggìo, risa-
lendo alle cause che fecero sorgere la dicerìa della sua paternità
è indicando il modo col quale si divulgò e passò nei cronisti bo-
lognesi e di poi negli storici moderni.
Giovanni da Oleggio restava al governo di Bologna non per-
chè fosse figlio naturale dell'arcivescovo, ma perchè era l'uomo
adatto all'importantissimo ufficio di reggere quella città, costata
ai Visconti tanto denaro e tante fatiche, che minacciosa proten-
deva i suoi confini verso il territorio fiorentino, servendo come
base d'operazione per future conquiste.
Lino Sighinolfl
APPENDICE
I.
Memoriali di Campagna, j agosto IJJ4. Prowisore di Sr
GNORELLO DE* SiGNORELLI.
(Archivio di Stato di Bologna).
Nicolaus condam Jacobi de canonicis concessionis et tras-
slationis et cessionis....
facte per albergiptum qui dicitur bighittus condam tuzoli domini
liazary de liazarys Jacobino cui dicitur cuminus filius domini jo-
hannoli Vicecomitis de Olegio de omnibus singulis usufructibus
redditibus comodys et obventionibus naturalibus et industriallibus
qui ipse albergiptus per quod cumque tempus habere et spectare
posset de omnibus rebus possessionibus allys contentis in Instru-
mento ad hospitale Sancti Jacobi pontis ydicis et hoc quantum est
prò tercia parte ad ipsum albergiptum spectante et dictus cuminus
promisit agnoscere omnia honera et cum allys conventis in Instru-
mento hodie facto bononie in domo dicti bergipti denunciato per
partes et notarium qui notam dimissit (i).
(i) Nota marginale a sinistra rìferentesi alla quota di registrazione
dell'atto: " nichil quia nepos domini capitanei. «
. ».j_ iv.
DI CHI FU FIGLIO GIOVANNI DA ©LEGGIO? 155
n.
Memoriali di Campagna, /p ottobre ijj8. Provvisore di Fi-
uppo DE* Alberghi.
I (Archivio di Stato di Bologna).
i
Die vcneris XVIIII mensis ociubris
georgiolus domini beltrami de carpanis. . . . procurationis.... facte
per Nobillem virum Ubertinum condam domini Simonis Vicecomitis
de Ollegio et ad presens morantem bononie in Curia Magnifici
domini nostri Johannis Vicecomitis de Olegio domini civitatis bo-
nonie patrui prefati libertini in discretum virum zanotum filium
condam domini tomaxy de Bocha diocesìs novariensis ad contenta
in Instrumento hodie facto bononie in curia prefati domini nostri
sub porticu habitationis predicti libertini denunciato per partes et
notarium qui notam dimixit (i).
ffl.
Memoriali di Cabipagna, /p maggio ijjg. Provvisore di Fi-
lippo Alberghl
(Archivio di Stato di Bologna).
Die vemeris XVII mensis may
(Sovranus Jacobini de argelata) venditionis facte per
Auliverìum Vicecomitem de Ollegio filium condam domini Maphey
vicecomitis de Ollegio et francischinum condam dini de La Man-
dma Mateo condam Chalderini de Chaldararia de una pecia terre
^torie et prative centum bebulcharum ad bebulcam terre manco-
um et ad tornaturam comunis bononie centum quadragintaseptem
tornaturarum et treginta duarum tabularum cum una domo cupata
^ columbaria et allis superestantibus posita in curia manzolini in
loco dicto Ronchaie sive Chasteleto. Item de una pecia terre ara-
one decem et octo bebulcarum ad bebulcam terre sancti Johannis
^persiceto et ad tornaturam comunis bononie vigintiquinque tor-
V) Nota marginale a sinistra : * nichii quia est dominus bononie. „
156 DI CHI FU FIGUO GIOVANNI DA OLEGGIO?
naturarum posita in curia sancii Johaimis in persizeto in supradido
loco prety in summa Mille libranim bononinorum. Hodie facto
bononie ad scaraniam denunciato per partes et notarium qui notam
dimixit (i).
Doc. IV.
Visconti da Oleggio nel secolo XIV.
FILIPPO
!
I I I I I I
Giovanni Giovannolo Simone Maffeo ? ?
I I I — r — p Giovannino di Lctia Giovanni di Aram
Giacomino Ubertino o *^ ^
-< 9 •>
3^8-
Le prime notizie di una scuola pubblica
in Vigevano.
N un interessante studio intomo a Bianca Visconti di Set-
\voia (3), Alessandro Colombo credette, frale altre cose,
di recare « il primo accenno storico della esistenza dì
« una scuola elementare e secondaria » in Vigevano, ma, come
anche altrove, nonostante la ben nota diligenza e circospezione
con cui egli suol lavorare, è riuscito qui non esatto ; anzi, prima
di venir a trattare de' maestri, non sarà forse inopportuno che tali
inesattezze notiamo quanto più brevemente è possibile, senza en-
trare a discutere alcune ipotesi ed asserzioni dubbie, bensì restrin-
(i) Nota marginale a sinistra per la tassa di registrazione : ' qiut-
" tuordecim solidos. „
(2) Secondo Pietro Azario, Franco Visconti era figlio legittimo,
mentre gli altri due erano bastardi. Giovannino di Lesia e Giovanni di
Arona, erano figli di due sorelle di Giovanni da Oleggio. (Chron, e 341*
342). Il Villola ed il cod. 431 (Testo vulgato) riferiscono che Antonio de'
Cattani di Savona, podestà di Bologna nel 1358, era nipote di Giovanni
da Oleggio, ma non credo che esistano di ciò documenti.
(3) A. Colombo, Bianca Visconti di Savoia e la sua signoria di Vi-
gevano, in Bollettino della Società Pavese di S, P., Anno I, fase. IV.
j
IN VIGEVANO 157
gendoci ai fatti per i quali ci è lecito confortare le nostre parole
con l'autorità dei documenti.
Dopo aver riassunto alcuni capitoli tra Bianca di Savoia e
Vigevano, il Colombo, dichiarando che « noi possiamo da' capitoli
u stessi aver un' idea abbastanza chiara del modo con cui funzio-
« nava, in quell'età [fine del secolo XIV], il Comune vigevanese, »
s'accinge ad esporre tale idea. Ma egli dà notizie che in quel-
l'unico documento non si trovano, onde pensiamo abbia approfittato
anche dei pochi e frammentari convocati del Consiglio generale di
quel tempo, e dei vecchi statuti. Ora qui più d'una asserzione va
corretta. « Nel seno de' XII sapienti venivano scelti generalmente i
« due consoli » ; si legge a p. 19. Donde l'A. ha cavato simile rag-
guaglio? Non dai capitoli e non dagli statuti (i); quanto ai convocati
del Consiglio, sia negli ultimi anni del secolo XIV che nei primi
del XV, essi lo smentiscono in modo quasi assoluto, tanto che se
alcuno volesse arrischiarsi a trarre dal confronto tra i nomi dei XII
sapienti e quello dei consoli una regola sulle elezioni, dovrebbe
dire che solo talvolta si trova che qualche console faceva parte
del Consiglio di provvisione.
Più giù l'A. informa che i servitori erano « due, ed eletti di
« sei in sei mesi. » In questo caso dev'essere senz'altro intervenuto
un errore di trascrizione : essi erano tre. « Item statutum est quod
« servitores tantum tres in festo sancti martini eligantur ad sortes,
« et non aliter aliquo modo seu ingenio.... » dicono gli statuti an-
tichi (2), e non possiamo credere che l'A. abbia scritto « due », perchè
qualche rarissimo convocato del Consiglio ne conferma (3) o ne
elegge due (4): questi casi sono così sporadici, che possiamo ben
dire che anche i convocati registrano sempre l'elezione di tre ser-
vitori. Né tali eccezioni sono assolutamente strane : non sempre le
(i) Ecco il paragrafo degli statuti antichi, f. io : " Gap. de consullbus
* et procuratoribus eligendis ad sortes. — Item statum est quod consuUes
* et procuratores eligantur ad sortes et dentur solummodo ad mense
* sex „ (questo sex esce, dalla linea, nel margine ; prima stava scritto
sex ireSf cancellati) " Et qui fuit consul et procurator per sex menses
* non possit esse infra annum incipiendo a die qua exiverit de officio. „
Gli statuti nuovi poi prescrivono quasi il contrario, cioè che i consoli
di un trimestre fossero dei XII del trimestre successiso.
(2) f. 8, cap. de servitoribus eligendis.
(3) Convocati Consiglio generate, a 1375-1380, Consiglio 31 dicem-
bre 1379.
(4) C. C. G,, a. 1409-1423, dopo il Consiglio 25 marzo 1410.
IS8 LE PRIME NOTIZIE DI UNA SCUOLA PUBBUCA
prescrizioni degli statuti venivano osservate. In questo nostra stesso
ai^omento troviamo, per esempio, che mentre nel Consiglio dd
dicembre 1379 si confermano due servitori « usque ad sex menses
« prox. more solito, n quelli nominati la fine di marzo dello stesso
anno, nella seduta del 4 aprile successivo domandano ed ottengono
di restar in carica nove mesi. Cosi pure né il numero era sempre
di tre, bensì talvolta di quattro (i), né la nomina doveva awoiire
rigorosamente ogni sei mesi (a) : anzi, dal luglio 1409 in poi, si (eoe
sempre ogni tre. Per recare un esempio diverso, i notai dovevano
essere due, invece nel dicembre 1378 se ne elesse uno di più.
E ancora, riguardo pure ai servitori, troppo redsa è Tafier-
mazione che gli ufficiali del Comune, i quali duravano in carica
sei mesi, « potevano sempre essere riconfermati. » Intanto i capì-
toli lo dicono..,, solo quando proprio si voglia farlo lor dire; ma
gli statuti contengono queste due chiarissime disposizioni; « .... et
« qui fuit servitor per sex menses non possit esse servitor per alios
« sex menses a die depositi ofBtij » (3); «....et qui fuerint [estima*
« tores] per menses sex non possint esse infra unum arninm,— « {/^y
Vero è; da ciò unicamente è giustificato TA., il quale forse non se
lo aspetta nemmeno; che i convocati segnano delle riconferme im-
mediate.
In terzo luogo, l'A. scrìve: « La nomina di tutte le cariche
« si faceva, per tutto Tanno, nella prima seduta del Cansilùm
u novum; ecco perchè, nell'articolo 4.^ de' capitoli concordati tra
« Bianca e Vigevano, si parla di 36 ex hominibus Viglevani ma-
« ioris facultatis, qui fatiant offitia communis. » E difatti, se noi
comprendiamo fra le cariche maggiori ricordate in quell'articolo,
anche i XII sapienti e i quattro estimatori, abbiamo precisamente:
Sapienti o Presidenti N. 12
Consoli « 8
Procuratori o Sindaci „ 4
Canevari o Tesorieri ,4
Razionatori . . . „ 4
Estimatori « 4
Totale N. 36
(i) C. C G.f a. i375-'8o. Consiglio 29 settembre 1376.
(2) Per esempio, nelle elezioni del giugno 1578 i servitori non si
trovano.
(3) f. 8, cap. de servitoribus eligendis.
(4) f. II, cap. de extimatoribus eligendis.
IN VIGEVANO 159
tf I notai dunque, e quindi anche il notaio de' maleficii, i se-
« grestani e i servitori pubblici non erano compresi fra le cariche
tf maggiori; tuttavia erano sempre eletti dal Consiglio generale. »
n conto potrebbe anche esser giusto, e diciamo così perchè non
sappiamo farlo tornare in altro modo, ma criticamente ci pare che
non regga. Se non c'inganniamo, qui, per dirla in breve, TA.,
avendo fermato una premessa inesatta, è dovuto, quasi, scendere
d'errore in errore, se pure non ha fermato la premessa per trovar
poi la spiegazione di quel 36. Ma come mai ha potuto asserire
co^ risolutamente che la nomina di tutte le cariche si faceva, per
tutto Tanno, nella prima seduta del Consilium novum ? Né gli sta-
tuti né i capitoli di Bianca prescrìvono ciò ; i convocati del Con-
siglio poi mostrano in un modo che non può lasciar il minimo
dubbio, che i varì offitiales venivano eletti via via che scadevano
i precedenti ; quindi i consoli ogni trìmestre, ogni trimestre il pro-
curatore, il canevarìo, ecc È vero (i) che nella seduta 8 aprile 1381
i consiglierì « eligerunt caneparìos, qui sint usque ad annum unum, »
ma assolutamente non si può da quest'unico caso trarre una regola
generalissima : stanno contro tutte le testimonianze, salvo che TÀ.
non voglia limitare tal modo di elezione ai soli anni della signoria
di Bianca, per cui, non avendosi più il controllo degli atti consi-
gliari, si può, quasi, credere ciò che si vuole. Né per questo solo
riguardo TA. ha esagerato l'importanza di quel frammento di se-
duta. Che, per esempio, esso attesti « formalmente l'esistenza di
« statuti anteriori a quelli noti del 1392, » si potrebbe mettere in
dubbio. Nella frase « non obstante aliquod statutum in contrarium »
la parola statutum, se ammette V interpretazione voluta da lui, am-
mette anche l'altra di deliberazione presa o di condizione stabilita
isolatamente, magari dal Consiglio stesso, il quale, se, in seguito,
avesse voluto abolire la pena, poteva benissimo ripetere, riferen-
dosi a questa seduta 8 aprile « non obstante aliquod statutum in
« contrarium. » Che pensa il Colombo delle parole di G. Galeazzo,
nella lettera da noi altrove riferita « Decretum.... mittimus.... man-
« dantes vobis quatenus.... in voluminis (sic) statutórum nostrorum
« inseri faciatis ? » Che, anche meglio, delle altre, chiarissime, del-
l'atto consigliare 2 maggio 1378 « In primis propositum fuit per
« dictum dominum vicarium in dicto Consilio quid placet vobis
« providere et ordinare de inventarijs mutandis secundum formam
« statutórum comunis Viglevani an deferendo.... » (2), ripetute in
(i) Colombo^ op. cit., p. 23.
(a) C. C. G., a. i375-'8a
IN VIGEVANO l6l
siglieri. Per curiosità ricorderemo che nel resoconto della seduta
<lel consiglio generale 22 gennaio 1376 (i) si leggono queste parole
riassumenti una proposta crediamo del vicario : « Item quid placet
« vobis providere et ordinare quod decetero officiales comunis
^ Viglevani qui eligentur ad sortes et qui habent alìquod officium
* in comune de quo habent salarium vel non seu de quo redeat
* salarium comuni, non possit esse off. infra annum a die deposti
•« offici, et officiales predicti intelligantur consules procuratores se-
^ grestani notarij et canevarij dum modo non habeat (sic) dictum
« oifitium ad incantum, et si haberet ad incantum eis non noceat, »
le quali designazioni sono ripetute nel f. successivo due volte. Ma
un altro guaio sta poi qui, che V A. computa nel numero annuale
di tutti gli altri ufficiali quello trimestrale dei Sapienti, i quali soli,
in un anno, sarebbero stati 48. Scusi l'amico Colombo, ma simile
aritmetica ci persuade poco poco. Ne risulta infine che la conse-
guenza ultima dalFA., pare quasi contro una sua precedente opi-
nione, dedotta sui notai, sagrestani e servitori, sarà anche vera,
ma non è legittima.
Ancora un'avvertenza sulla durata della signoria, avvertenza,
non correzione basata su documenti : e ce la permettiamo, contro
il nostro proposito, grazie all'importanza della questione. Dopo
avere, intitolando il lavoro, limitata detta signoria al 1383, l'A. nel-
Tultimo paragrafo mette innanzi come « lecito » il sospetto che essa
possa invece essere durata fino alla morte di Bianca, « sebbene, n
scrive, u la mancanza di espliciti documenti non ci autorizzi ad af-
* fermare nulla di preciso su questo particolare. » Lodevolissima
tanta circospezione ; solo non troviamo nessun argomento che
possa render u lecito »» il sospetto, se non quello che, poiché glieFavea
fatto, il conte di Virtù avrà lasciato il dono alla madre sino alla
morte. Probabilmente quest'incertezza è causata dalla lacuna del
volume degli statuti e dei convocati : nelle pagine mancanti avremmo
forse potuto trovare i mezzi di eliminarla; ma probabilmente,
anche, essa almeno sarebbe minore, se V A. avesse pensato a sta-
bilire in quali rapporti di dipendenza veniva a trovarsi Vigevano,
fatta la donazione, con Bianca e con G. Galeazzo, o se V avesse
potuto. Il Colombo, ricordando, molto opportunamente, che esistono
tre lettere del conte di Virtù nelle quali si danno ordini a Vige-
vano, osserva che esse « non provano a rigore che Bianca più
* non avesse il possesso di Vigevano, trattandosi di disposizioni
* di ordine generale, che si estendevano a tutto lo Stato. » E può
(0 C C. G., a. i375.*8o.
^'ch. Stor. Lomb., Anno XXIX. Fase. XXXV. ii
l62 LE PRIME NOTIZIE DI UNA SCUOLA PUBBLICA
anche andar bene. Ma noi osserviamo anche, non dimenticando
però la lacuna sopra avvertita, che tali lettere e una quarta (i),
dall'A. non riportata, sono tutte posteriori all'ultimo documento
di Bianca; che il duca ne indirizza una « vicario nostro Viglevani ^
e in essa cita « terram nostram Viglevani aliasque terras districtus
(i) Statuii antichi t f. 34:
Dominus Mediolani, eie.
Imperialis vicarius generalis
• Decretum per nos nuper conditum vobis mittimus presentibus
" introclusum, mandantes vobis quatenus per terram nostram Viglevani
" aliasque terras districtus nostri Viglevani vobis supposìtas publice
^ proclamari faciatis et in voluminis statutorum nostrorum inserì faciatis.
* Datum papié die XXIIIp septembris MCCCLXXXIU. Sapienti viro
* vicario nostro Viglevani.
" Quod si aliquis conducet sallem aliquem per terras vel per terri-
" torìum magnifici domini domini nostri, qui non sit de salle prefati
" domini, amitat sallem, bestias, et vaxa quelibet instrumenta cum
" quibus ipsum salem conducet sive ipsum salem conduxerit in navi
* sive in plaustro, vel aliter quocunque modo ultra ius condempnetur
* in fior, quinquaginta prò quolibet stano sallis qui repertus fuerìt ut
* prefertur. Et hoc prò prima vice qua reperiretur premissis centra-
* fecisse. Si quis vero repertus fuerìt prò secunda vice contrafecisse, du-
" plìcetur pene predicte et ultra hoc amputetur sibi una aurìcula. Et si
" quis tertia vice reperiretur contrafecisse suspendatur per gullam ita
" quod moriatur, et quilibet possit ca(>ere, et acusare contrafatientes,
* et medietatem penarum pecunianim haberet ille qui ceperìt contraia-
" tientem, et alia medietas camere domini aplicetur, tertia pars dictaniro
* penarum pecunianim detur acuxatorì probanti acusam, et due partes
" aplicentur camere prefati domini.
* Item quod nullus audeat de territorìo prefati domini nostrì ad
" terras inimicorum ipsius domini nostri conducere biada nec aliqua
* alia victualia. Et si quis contrafecerit suspendatur per gullam sic
* quod moriatur. Si quis vero de territorio prefati domini nostrì ad
" aliquas terras non subiectas prefato domino et non munitas seu re-
* belles ipsi domino nostro frumentum, et alia biada conducere repertus
* fuerìt amitat ipsum fnimentum» et biada et bestias, et instnimenta cum
" quibus illa duxerìL Et ultra condempnetur in fior, quinquaginta prò
" quolibet modio, et quilibet possit acusare, cuius pene tertia pars sit
* acusatoris, et due partes camere prefati domini aplicentur, prò seconda
* vero vice qua contrafecerit duplicentur sibi pene predicte, et ulffa
" hoc amputetur contrafatienti una auricula. Et prò tertia qua contra-
* facerit suspendantur per gulam contrafatientes sic quod moriantur. *
IN VIGEVANO l53
« nostri Viglevani » (i); una seconda « sapienti viro Vicario et
« Consilio nostri Viglevani » (2) ; e le altre due presumibilmente,
t per ipotesi del Colombo medesimo, anch' esse « Vicario nostro
« Viglevani. » Noi intendiamo bene in qual senso lato possano anche
prendersi tanti nostro, ma V A. forse sapeva dirci in quale debbano.
E torniamo finalmente al nostro propòsito.
* *
Come abbiamo avvertito, 1* A., affermando che il primo ac-
cenno storico dell'esistenza di una scuola pubblica in Vigevano,
sia pure nel senso di « prima notizia sicura del modo come detta
« scuola funzionava da noi » ci viene dal deliberato consigliare 15
luglio 1380, non è esatto. Notizie altrettanto precise e sicure si
trovano anche qualche anno innanzi, e proprio nei resoconti delle
sedute consigliari 2^ novembre 1377 e 11 aprile 1378. Ecco, di
quello del '77, la parte che interessa ora a noi.
Item fata propoxìcione et poxito partito de sedendo et alevando
de negocio infrascrìpto in q.** partito nemo fuit discrepans nisi Antonius
collus mene extitit deliveratum per dictum Consilium et per communi*
tate Viglevani debeat actendij et observarij infrascrìpta pacta et arbi-
tramenta ac convenciones fate inter dominum magistrum Barlholameum
Ocinalcho qui venit Viglevanum causa docendij scolariorum terre Vi-
glevani ex una parte et guidetum de parona nomine comunis ex altera
quod infrascrìpta pacta et convenciones osservari debeant etc. ac etiam
volgarizate et lete in dicto Consilio, etc.
Imprimis actum et per pactum expressum fuit quod quilibet scola-
riorum intrancium banche mayores in solidum teneantur solvere prò
quolibet anno flor. unum aurij etc.
Item quod quilibet in solidum aliorum intrancium teneantur solvere
sol. XXIII J* imper. in anno etc.
Item quod quilibet donatum videlicet minores non intrantes teneantur
solvere omni anno sol. XVJ imper.
Item quod alij legentes alphabetum et quaternum teneantur solvere
sol. XI imper. in anno et habentes repetitorem (?) teneantur solvere
sol XI J.
Item quod omnes scolarìj tam intrantes quam non intrantes te-
neantur solvere solucionem quatuor mensium in quattuor mensses usque
ad annum.
Item quod possit [il maestro] capere libro scolaribus.... de salario
non satisfacto in principio illorum quatuor menssium et quod duodecim
(i) V. nota precedente.
(2) Colombo, op. cit«, p. 71.
164 LE PRIME NOTIZIE DI UNA SCUOLA PUBBLICA
sapientes teneantur exigere salarium et quod vicarius possit detinere
parentes scolar, occaxione predìcte solucionis.
Item quod commune Viglevani tenealur dare dicto domino magistro
domum unam prò habitatione ìpsius et scolariorum expensa communis
prout fatum fuit alijs magistrìjs et comunitas teneatur Tacere reptarìj et
cuperij expensa communis.
Item quod ego [il maestro] fìam exemptus ab omnibus onerìbus
prò quolibet tam realibus quam personalibus poxitis sive ponendìs.
Item audivi quod aliqui existentes in scollis in hyeme non venerint
in estate; nichilominus ita vacabo viginti scolaribus... propter quod intendo
quod quilibet veniens in hyeme si non venerit in estate teneatur solvere
prò anno completo me ibidem permanente.
Item quod Rolandus de croxio procurator communis una cum gui-
deto de parona et Jac. madio procuratori (?) communis Viglevani habeant
bayliam accipiendij sedimem unum prò uxu dicti domini magistrj et
scholariorum utsupra prout sibi videbitur prò meliorj et predicti dixe-
runt quod aprenderint quodam sedimem hn. quondam prevosti de forno
usque ad annum unum proximum futurum inceptum XVIII mensis no-
vembris prò precio flor. quinque aurij in anno et solvendo preciam
dicti sediminis de tribus menssibus in trìbus menssibus et quod percomu-
nitatem Viglevani fìat sibi boletam et solucionem ut supra et sic obtentum
et reformatum fuit per dictum consilium nemine discrepante nixi Anto-
nius collus suprascrìptus etc. „
Rileviamo in particolare l'espressione « ut fatum fuit alijs ma-
* gistrijs n, che ci assicura esserci già state tra noi, prima di questa,
altre scuole pubbliche.
11 maestro Ocinalco tuttavia non deve essersi trovato bene a
Vigevano, o forse anch' egli era in preda a quella curiosa smania
di viaggiare, onde appaiono agitati i suoi col leghi d'allora, per
cui si direbbe che fossero costretti da una segreta forza invin-
cibile a cambiar dimora quasi ogni anno.
Infatti già il 14 febbraio 1378 il Consiglio delibera di mandar
a cercare qualche « sufficientem magistnim a scolis » che voglia
venire nel nostro comune a insegnare (i). La bisogna non si tra-
scinò molto |>er le lunghe, e chi conosce in quali condizioni finan-
ziarie i nostri padri allora versavano non può non esser loro ri-
conoscente j>er la cura che avevano deiristnizione pubblica, cura
che si mostra non inferiore a quella, per vero notevole, di altri
(i) Cd G^ a. i375-*8o: ■ Item ordinatum et deliberatum fuit quod
* d vicarius et consules et XII sapientes comunis predicti habeant
' bayliam expendendi de here communis causa mittendi ad inveniendani
* aliquem sufficientem magistnim a scolis qui velit venire ad tenendum
" scolas in Viglevano. ,
IN VIGEVANO 165
luoghi. Subito Tu aprile dello stesso anno il Consiglio approva
i patti stabiliti col maestro Antonio da Chieri, pressoché identici a
quelli con Ocinalco, come si vede dal resoconto che qui riferiamo.
die xj aprilis
Convocato et congregato conscilio generalli communis Vìglevani
sonno campane et voce preconìa more solito et de mandato et impoxi-
lione dominj Stefeni de formagiarijs vicarij terre Vìglevani prò ma-
gnifico et excelsso domino domino Galleaz vicecomite Mediolani Vìgle-
vani etc. imperìalli vicario generale etc. prò infrascriptis negocijs pera-
gendis et termìnandis. In quo quidem conscìllio interfuerunt plus quam
due partes dictorum consciliariorum.
Item propoxuit [dominus vicarius] in dicto Consilio quid placet eis
providere et ordinare super magistrum scolarium, et si placet eis ipsum
obtinere prò infrascriptis pactis sibi obtinendis et observandis.
Partecipano alla discussione molti consiglieri : uno solo, Gio-
vanni degr Ingarami accetta il maestro, ma vorrebbe che il Comune
non si vincolasse; gli altri, Antonio Collo Mene, Giacomo Madio,
Ambrogio de' Quaglia, Nicola Cocco, Ambrogio Rodolfo Gore, Se-
rafino da Parona, Turco Tocco acconsentono anche ai patti.
Et sic facto partito de sendendo ad levandum nemine discrepante
cxcepto leonardo collo et d. lohane de Ingaramis obtentum fuit per
predictum consilium quod dictus magister obtineatur facto eciam partito
ad bussolas et balottas reperiver. et obtiner. omnes quod magister
predictus obtineatur exceptis duobus predictis cum pactis infrascriptis
sibi atendendis et observandis videlicet
In primis quod quibet scolarium intrancium banche maiores teneatur
et debeat solvere dicto d. magistro fior, unum auri prò quolibet anno.
Item quod quibet aliorum intrancium teneatur et debeat solvere
predicto domino magistro sol. vigintiquatuor prò quolibet anno.
Item quod quilibet legentium donatum videlicet minores non intrantes
teneatur solvere dicto magistro sol. sedecim imper. prò singulo anno.
Item quod alij legentes alphabetum et quaternum teneatur solvere
umni anno sol. undecim imper.
Item quod omnes tam intrantes quam non intrantes teneantur sol-
vere solut trium menssium in principio illor. trium menssium et sic de
trìum in tres menses usque ad annum.
Item quod liceat et posit dicto d. magistro accipere libros scolaribus
non sibi satisfacientibus de salario suo in principio ilorum trium me-
ssium et quod procurator communis predicti teneatur exigere salarium
ac quod Vicarius posit et debeat detinere patres et gubernatores sco-
larìorum ocaxione predicte solutionis, etc.
l66 LE PRIMK NOTIZIE DI UNA SCUOLA PUBBLICA
Item quod commune Viglevani teneatur dare magistro antescrìpto
florenos septem auri ocaxione cuiusdam domus prò habitatione ipsìus
et scolarium prò pensione ipsius domus expensa dicti communis.
Item quod commune Viglevani teneatur sibi solvere plaustra duo
ocaxione conducendi suas res Viglevanum.
Item quod dictum Commune teneatur relevare dictum magistrum
ab omnibus oneribus impositis seu ponendis tam realibus quam perso>
naiibus per dictum commune salvo inbotatura et sale.
Item quod quilibet scolaris existens in scolis per unum mensem
unius annj teneatur solvere predicto d. magistro de completa soludone
totius annj quia magister dieta (sic) vacat ocaxione, vìginti scolarum
quam centum (sic).
Item quia dictus magister non est exemptus inbotatura vinj et salle
quod quilibet scolaris intrantium teneatur solvere in festo sancti Mar-
tin] proximi venturi annuatim dieta ocaxione soldos duos, et quilibet
alius scolaris solduni unum ut supra.
£a predicta omnia et singula inteligantur esse firma et durare a
calendis madij proximi venturi usque ad annos quatuor proximos ven-
turos et iterum nulus magister possit seu valeat tenere scolas in terra
Viglevani et si venerit et dieta ocaxione aliqui scolarcs vadant ad ipsias
scolas (?), propter quod dictus magister Antonius de cherio aliquos sco-
lares perdat seu de numero scolarium quod tales scolares eccedentes a
scolis ipsius seu ipsorum patres et gubernatores teneantur solvere ipsi
magistro Antonio prout si irent ad scolas ipsius.
Intcrfuere testcs : seguono i nomi.
Perche potesse trasportare a Vigevano tutte le sue cose, il
comune aveva dunque deliberato di pagare al maestro, che allora
doveva trovarsi a Trecate, due carri ; e infatti gli mandò due fio-
rini ; ma non bastarono, onde quegli domandò ed ottenne altri
50 soldi imperiali (1).
Qui avremmo finito, se dalla nostra nota si potesse passare
alla esposizione del Colombo senza incertezze. Invece il Colombo
ricorda (2) che il consiglio nella seduta 9 dicembre 1378, ordinò
(i) C 6. G., a. i375'-8o, Consiglio 13 maggio 1378: ** Imprimis prò-
" positum fuit per predictos dominum lohannem et dardani consulem
" locum tenentem quid placet vobis providere et ordinare de facto
" magistri scolarium qui dicit non posse venire seu conducere suas
" res a Tricate Viglevanum ex duobus fior, si iam transmissis ni ader.
" sol. quinquaginta imper....
" Super qua quidem proposta obtcntum et deliberatum fuit per dictos
** consciliarios facto partito de levando ad sedenduni quod complacciur
" ei et dentur ei dictos solidos quinquaginta imper. nemine discrepante. ,
(2) (>i). cit., p. 22.
IN VIGEVANO
167
n
<ii pagare il maestro lacobino de* Giorgi chiamato da Genova a
tener scuola in Vigevano. Per spiegare la sua presenza nel nostro
comune, noi non sappiamo metter innanzi altra ipotesi da quella
infuori, che il consiglio, andatosene Ocinalco, abbia chiamato subito
n Giorgi, e che questi accettasse provvisoriamente fino a che si
losse trovato un altro maestro : infatti durante il suo ufficio egli
avrebbe proposto Antonio da Chieri, col quale il comune avrebbe
Concluso i noti patti. Così si conoscerebbe anche V « altro maestro »
ai cui parla il Colombo, appunto Antonio da Chieri. Ma allora il
Colombo vorrà sapere da noi chi è il maestro per la cui partenza
'' Consiglio, nel 1380, delibera di mandare « prò magistro Antonio
** de Cherio, » tanto più che l'accordo di questo doveva durare per
quattro anni, dal '78 all' '82. Non abbiamo che due ipotesi da sot-
toporre alla sua scelta: o Antonio, per le stesse ragioni supposte
'1 el caso d* Ocinalco, rimase molto meno dei quattro anni a Vige-
ano, e il comune, dopo aver provato qualche altro maestro, pago
» quello, lo invitò un'altra volta; o il Consiglio, dopo aver la-
^ ^lato partire il da Chieri, lo mandò a chiamar di nuovo, forse soddi-
acendo a qualche suo desiderio : simile andirivieni di uno stesso
segnante si riscontra anche in altri luoghi.
^1 potrebbero fare ancora nuove supposizioni, ma ce ne aste-
o, perchè non abbiamo nessun documento, il quale almeno
•'^da
questa più probabile che quella.
Fki.ice Fossati.
Foscolo e Borsìeri
<nel cinquantenario delia morte di Pietro Borslerl).
^p^'^f ^'AMENTE a quanto ci offre VEpistolario di Silvio
Jco intorno ai rapporti d'amicizia che corsero tra
^^ì U^^^^ porsierì e Fautore delle Mie Prigioni (i), VEpi-
^ quanto vT ^^^^^^ ^* sventuratamente, al tutto manchevole
toTt dei S /» / ' '^ re/azioni che lo stesso Borsieri ebbe col can-
cm^geio F ^^^ '^ulia essendo fino ad oggi venuto in luce del
ITn ^ ^^^^^^^^Borsieri.
^0 credo ]a ? contributo alla storia di cotesta relazione ci porge.
fiW,
' numeri
iett
(0 Si vedan
^^^ che qui si pubblica la prima volta, scritta da
'» Firenze, LeM^^^'^^'^^"^^"^'^ ^' "^'^^'^ ^^'^'^^ pubblicato dallo
^^cri icis r-o ^'^'''cr, 1836, le lettere che portano rispettivam
Ste-
rispettivamentc
'^, 167, 180, 188, 196, 211, 231, 233, 333.
l68 ?'OSCOLO E BORSIERI
Ugo Foscolo il 5 maggio del 1809 airamico suo, allora poco più
che ventenne. Essa ci è stata conservata da una trascrizione che
Luigi Pellico (fratello di Silvio), tenuto sempre dal Foscolo in mol-
tissima stima (i), trasmise, il 28 maggio di quell'anno, all'amico suo
Stanislao Marchisio (2), giustamente compiacendosi dell'elogio che
in essa in Foscolo faceva di lui ; ma non, com'egli diceva, « per
u farne pompa, »» bensì « per obbligarsi anche » col Marchisio n a non
u ismentire le buone speranze che essi avevano sulla sua riu-
u scita n (3).
Ora ecco la lettera di Luigi Pellico (4).
[Milafio,] 28 nuiggio \i8o<^\ (5)-
**.... Foscolo è venuto giovedì scorso in Milano, e parte domat-
tina per restituirsi in Pavia. A proposito, poiché tu non discordi total-
mente di parere con questo mio degno amico sul mio conto, piaccmi
trascriverti uno squarcio di lettera diretta ad un giovane di grandi spe-
ranze, d'uguale età e d'uguali sentimenti di me, Pietro Borsicri : te la
trascrivo, in verità, non per far pompa di un elogio accordatomi, ma
(i) Fu egli che presentò al Foscolo il fratello Silvio, il quale scri-
veva il 21 ottobre 1809 al Marchisio : " A Ugo Foscolo sono stato prc-
" sentato da Luigi ; ho fatto al dì dopo la conoscenza di Vincenzo
" Monti „ ; (Cfr. N. Bianchi, Cnriosiià e ricerche di storia subalpina, I,
184). E Ugo Foscolo scriveva il 13 giugno 1810 a V. Monti : ■ ... . faccio
" ricopiare la mia minuta.... da Luigi Pellico, mio vero e fidatissinu»
" amico, e amico vostro rispettoso e disinteressato. „ Epistolario di L'^o
Foscolo, Firenze, Le Mounier, 1884, voi. I, p. 368.
(2) Stanislao Marchisio (1773-1859) fu, subito dopo Alberto Nota, al-
meno in Pieuicnte, uno dei più rinomali commediografi del primo tren-
tennio del sec. XIX. Cfr. N. Bianchi, Curiosità e ricerche cit,, I, 180:
Giuseppe Flechia,;6^« amico di Carlo Botla^ in Gazzetta del Popolo ci
Torino, supplem. del i.* febbraio 1902.
(3) " Lunga promessa coll'attender corto. „ Son note le scappale
di Luigi Pellico, che amareggiarono la giovinezza di Silvio e quasi com-
promisero Tonoratezza della sua famiglia. Vedasi in proposito I. Rinieuu
Della vita e delle opcìe di Silvio Pellico, voi. I, Torino, 1898, pp. 72 e 148;
e DoM. Chiattone in Piccolo Archivio Storico Saluzsese, I, pp. 139*144-
(4) L'autografo fa parte d'una raccolta di 198 lettere inedite, scriiic
da Luigi Pellico al Marchisio, le quali, donate dal Marchisio stesso a
Giovanni Flechia, sono ora possedute dallo scrivente. Di questa lettera
si pubblica qui solo quel tanto che si riferisce alTargoniento.
(5) La data viene integrata in base alle seguenti parole, scritte dì
pugno del Marchisio: " ricevuta il 30 maggio 1809, risposto il 23 giugno
" suddetto
w
/
tf 1»
(nel cinquantenario della morte di PIETRO BORSIERl) 169
per obbligarmi anche teco vieppiù a non ismentire le vostre buone spe-
ranze sulla mia riuscita, se così Fortuna e Amore concedono.
* Da Pavia, venerdì / maggio, — .... infin del conto questa lettera
" non è scritta per te, bensì perchè tu vada ambasciatore da Pellico
'^ e lo ringrazi in nome mio ch'ei m'abbia mandato l'articolo (i)« £ dopo
" le grazie che tu riferirai con quanta schiettissima gentilezza possiedi,
" lodalo dello stile, della filosofìa, e delle nobiltà di quelle sue pagine,
" e benché io sappia che a lui basta la mia lode da me non prodigata
* mai, aggiungi come per zucchero su le fragole l'approvazione di molti
' schizzinosi, e di alcuni valenti ed ingenui. — £ gli siano stimolo a
" studiare ed a valersi di questi anni (2), che dopo i trenta quel che
' si è fatto si è fatto ; sino a questa età possiamo temperare e aguz-
* zare e correggere gli strumenti dell' ingegno — dopo se ne usa ; e pas-
' sati i trent'anni si legge e si scrive assai più, ma non si può miglio-
" rare l'istromento ed è forza tenerselo tal quale fu prima apprestato,
" e non è poco s'ei non peggiora. Leggendo quietamente l'articolo, ho
" emessi dall'animo prosperi vaticinj, com' io feci alla lettura del tuo Tu-
* ramini (3). Voi fate dunque ch'io non esca profeta bugiardo; e se studie-
rete insieme, e se ciarlerete e conviverete, uno ripulirà la rozzezza del-
l'altro — ed aguzzandovi insieme» come spade, riescirete più taglientf,
' più acuti e più luminosi. - Questi consigli sieno bevuti e digeriti più
" da te che da Pellico; bench'ei sorga albero lento e tortuoso, ha non
* pertanto radici profonde e metterà frondi di bel verde-cupo e rami
"* succosi, e il vento e la tempesta lo nutriranno quanto la rugiada e
** il sole. Tu se' invece cresciuto, e spiri colore e calore e odore di
primavera di maggio, ma temo che l'impazienza e le passioncelle e
* gli impieghi ti sieno grandine sì che l'autunno non goda delle tue
frutta : esempio frequente tra' milanesi, quod oculis nosiris perspeximus
* et manus nostrae conirectaveruni: così incomincia V Epistola di S. Giov,
* e così io fìnisco la mia. Finita la predica, tu fa l'elemosina. Saluta
* dunque, ecc, ecc, „
Che Pietro Borsieri fosse tenuto in pregio non solo dal Fo-
scolo, ma anche dal Monti e dal Manzoni, Io dice Silvio Pellico
in un frammento di lettera (4) che mette conto riferire, anche perchè,
(i) Sulla vita e gli scritti di Luigi Pellico v. G. Briano, Delta vita e
delle opere di Silvio Pellico, Torino, 1854, pp. 7374; Rinieri, op. e voi. cit.,
pp. X, 72 e 148; F. Gabotto, in Piccolo Archivio cit., I, p. 274.
(2) Luigi aveva allora 21 anni, essendo nato il 13 gennaio del 1788.
Pietro Borsieri era, come si esprime il Pellico e come vedremo in se-
guito, • d'uguale etè. „
(3) Sugli scritti del Borsieri vedasi G. Pikrgiu, // * Foglio azzurro »
t I priwit romantici, in Nuova Antologia, 3.* serie, voi. V, pp. 19-20 ; e
G. De Castro, in qwtsl* Archivio, XV, 942.
(4) Cfr. G.^ Briano, op. cit., pp. 70-72; Pellico, Epistolario, ed. cit.,
p. 466-68. Ne cita un piccolo brano, senza però indicarne la fonte, Ce-
sare Cantù nel suo lib. // Conciliatore e i Carbonari, Milano, 1878, p. 42.
lyo KOSCOLO E BORSIERI
oltre all'esser poco conosciuta, essa ci cifre, per cosi dire, il me-
daglione del Borsieri, e soprattutto perchè, scritta dopo la morte
dì questo avvenuta nel 1852, ossia alla distanza di circa mezzo
secolo dalla data della lettera da noi alleata, mostra quanto fos-
sero fondati i timori del Foscolo allorché scriveva : « temo che
« r impazienza e le passioncelle e gli impieghi ti sìeno grandine si
" che l'autunno non goda delle tue frutta. "
Le note, che appongo alla lettera del Pellico, varranno a com-
pletare le notizie che essa ci porge intorno a Pietro Borsieri.
* Quand'io dì Francia venni a Milano, ìn età d'anni 31 (i)> trovai,
" fra i giovani d'ingegno, Pietro Borsieri, d'anni 23 o 24 (a). Avevi
" fatto con onore i suoi studi all'Università di Pavia, ed uscitone, venne
" iinpìcfcato al Ministero della Giustizia (3). Scriveva bene in prosa ed
" in poesia (4), ragionava con eloquenza, si nodriva di molte letture, il
" suo intelletto gustava sopratutto le indagini fìloso6che e le scienze del
" bello. Era tenuto in pregio da Monti, da Foscolo, da Manzoni, da
' ogni uomo che Io conoscesse; ed in luì amavano non solo il notule
' ingegno, ma le sode qualità dell'animo. Non ti so dire quasi altro
' di Pietro Borsieri, se non che ci vedevamo ogni giorno come amid
" allegri, studiosi, sempre in buona armonia,, Ei faceva progetti di libri
' d'ogni genere, ordiva drammi storici, e non s'affrettava a compiere
' nulla; onde non diede pressoché niente alle stampe. Pubblicò sol
tanto opuscoli d'occasione, brevi poesie, cose poco notevoli; collaborò
' nel Concilia/ore (^).
* Quando fui carcerato, non si recò veruna molestia a Borsieri, ma
(nel cinquantenario della morte di PIETRO BORSIERl) I7I
circa un anno dopo si trovò involto nel processo di Gonfalonieri (i), con
molti altri (2). Io ero già allo Spielberg, allorché furono condannati Bor-
sieri, G>nfalonieri, ecc. (3), e tutti vennero a raggiungermi nella fatale
fortezza (4). Io uscii di là nel 1830, per grazia fattami ancora da Fran-
cesco I. — Borsierì e gli altri furono poi graziati da Ferdinando, ma
non lasciati in Europa : una nave austriaca li portò in America. Dopo
alcuni mesi di soggiorno negli Stati Uniti, Borsieri venne in Francia e
prese dimora a Parigi, ove stette finché più tardi il Governo austriaco
permise a tutti quegli esuli di ritornare alle loro case (5). Borsieri
visse tranquillo e stimato in patria, e si tenne lontano dalle passioni
politiche. Le ultime nostre vicende non gli ispirarono fìducia.
* Stette allora qualche tempo in Torino. Pacificatesi le cose, ritornò
di nuovo a Milano. La sua salute declinò. £i si recò in luglio a Bei-
girate, sperando vantaggio da quell'aere, e pensava quindi d'andare
alla Spezia. Preso da straordinario indebolimento, mori il 6 d'ago-
sto 1852. Era uomo d'animo rettissimo, pieno d'amore per tutto ciò
che è bello, per tutto ciò che è virtù.
* Perchè con tante cognizioni e con segnalato ingegno non lasciò
egli un'opera letteraria notevole? Mutava troppo spesso progetti,
s'annoiava dei lunghi lavori (6), e più lo dilettava il leggere, pensare
e discorrere, che acquistar fama d'autore. In gioventù ei diceva : * è
troppo presto „ ; in vecchiaia disse : ' è troppo tardi. „
* Bench'io sappia che bisogna rassegnarsi a qualunque perdita, la
morte di Borsierì mi ha profondamente addolorato. Qui in Torino egli
era fresco, animato, vivissimo; non avrei mai pensato che toccava a
me, C09Ì travagliato da infermità, di sopravvivergli! „
Diciassette mesi dopo Borsieri, il 31 gennajo 1854, anche Silvio
Pellico esalava lo spirito travagliato.
Giuseppe Fi.echia.
(i) Cfr. A. Vannucci, / mar/tri della libertà, ecc., voi. I, pp. 282-83;
A. D'Ancona, Federico CoftfalonierifMWanOf iSg^, passim.; A. LvziOy An-
tonio Salvotti e i processi del ventuno, Roma, 1901, passim.
(2) Il marchese Giorgio Pallavicino, l'avvocato Castiglia, ecc.
(3) Vedasi la sentenza di condanna alla pena di morte (9 ottobre
1823) e poi (17 dicembre 1823) di commutazione nella pena del carcere
duro " a Borsieri, Pallavicino e Castiglia per venti anni „ presso Ce-
sare Cantù, Cronistoria della indipendenza italiana^ Torino, 1873, vo-
lume II, p. 210.
(4) Alla fine di febbraio del 1824, Borsieri cogli altri condannati
giungevano alla rocca * ove da due anni languiva il povero Pellico. „
Cfr. A. VANNUca, op. cit., voi. 1, p. 283.
(5) Borsieri riebbe la libertà e la patria soltanto nel '4a Cfr. Ber-
toldi e Mazzatinti, op. cit., voi. II, p. 109.
(6) Ecco r ■ abulia „ (come la chiamano i moderni), che faceva
trarre al Foscolo i pronostici che conosciamo sull'avvenire del Borsieri.
1
BIBLIOGRAFIA
H. SlMONSFELD. — Mailànder Brieje zur tayerischen und faUgemeinen
Geschichte des 16 JahrhundertSy (aus den Abhandlungen der K. ba-
yer. Akademie der Wiss., Ili, CI. XXII, Bd. Ili, Abth. Mtìn-
chen 1902, I, p. 233-480; II, p. 482-575.
Al dott. Simonsfeld segnalava un giorno l'ing. Motta un codice
trivulziano contenente molti regesti di lettere scritte da un cittadino mi-
lanese, Prospero Visconti, ai duchi di Baviera e specialmente a Gu-
glielmo V, tra il 1569 e il 1579: regesti ch'egli a buon diritto giudicava
assai importanti per la storia della cultura italiana nel cinquecento. Il
chiaro professore bavarese iniziò allora negli archivi della patria sua
pazienti indagini per rintracciare gli originali, le risposte e tutti quei
dati che valessero ad illustrarli, e riusci a raccogliere questo episto-
lario, che è una miniera di notizie non solo per la vita intellettuale della
corte bavarese in quell'epoca, ma anche e principalmente per la storia
delle arti, dei mestieri, delle industrie, del costume, dei prezzi in Mi-
lano nella seconda metà del sec. XVI. Si tratta di una corrispondenza
di due nobili milanesi, Prispero e Gasparo Visconti, con Alberto e Gu-
glielmo V di Baviera, che va dal 1568 al 1592 e riguarda per lo più gli
acquisti d'oggetti d'ogni genere che i duchi per mezzo dei due Visconti
facevano a Milano : oggetti destinati in parte a corredo e servigio della
casa ducale, in parte a formare i primi nuclei dei famosi musei di
Monaco, i quali furono com'è noto creazione di quei principi.
Prospero Visconti discendeva dalla famìglia ducale. Suo nonno
Giangaspero, ciambellano del Moro, era morto alla battaglia di Novara;
il padre, dice il Simonsfeld, riferendosi all'Argelati, era stato dei sessanU
senatori di Milano ; voleva dire dei sessanta decurioni componenti il Con-
siglio generale della città, nel quale entrò infatti il io novembre 1561
in luogo del fratello Carlo (i). Prosperò era nato nel 1543 o 44 ed edu-
(i) Archivio storico civico di Milano; elenchi dei Decurioni. Que-
sta notizia autentica toglie il dubbio del Simonsfeld che FArgelati faccia
confusione col figlio Prospero.
BIBLIOGRAFIA 173
cato a buoni studi artistici e letterari : spirito arguto, ingegno versatile,
cultura varia, molteplice e geniale; era ad un tempo buon poeta
latino, buon matematico e buon astronomo, intelligente di musica e
bibliofilo, raccoglitore di manoscritti e di antichità greche e romane,
che con grande amore andava disponendo nel suo palazzo di via Lan-
zone, oggi appartenente ai conti Lurani. Per mezzo del cugino Gaspare
conobbe nel 1 569 il duca Guglielmo V ; due suoi viaggi in Baviera nel
'72 e nel '7$ strinsero vie più i legami coirintelligentissimo principe, e
ad accrescergli favore contribuì il suo matrimonio con Giustina Garofola,
parente del giovane cavaliere Giovanni Guidoboni, che occupava uffici
eminenti alla corte bavarese ed era stato creato feudatario di Lichtem-
berg (l). La vita di Prospero fu quieta e tutta piena di soddisfazioni in-
tellettuali : poche cariche pubbliche : priore delPospedal maggiore nel
1577: nel 1578 concorse ad uno dei posti vacanti per la morte del conte
Sforza Morone (a) quello di Commissario generale dello Stato, e quello
àÀ senatore cavaliere, cioè onorario, senza impegno d'ufficio; nel 1583
entrò nel Consiglio dei Decurioni : nei citati elenchi dell'Archivio sto-
rico civico figura eletto il 31 agosto di quell'anno in luogo di Bergonzo
Botta: nel 1582-84 e 1590-91 fu deputato alla Fabbrica del Duomo alla
quale consacrò una parte dei redditi dei suoi possessi di Breme; morì
compianto da tutti a quarantanove anni, ritornando da Roma ove erasi
recato col cugino arcivescovo.
Gaspare era figlio di Camillo, agente diplomatico di Francesco II
Sforza. Fu molte volte in Baviera, e alla corte mandava or l'uno or l'altro
de' suoi numerosi figliuoli ; fu fatto conte palatino e cavaliere di Santo
Stefano, onori non pari ai suoi meriti mediocri. I due cugini eran molto
diversi per carattere, per animo, per cultura e per attitudini. Prospero
(1) Poiché intorno al Guidoboni e specialmente intorno al suo feudo
il Simonsfeld espone molte notizie, mi piace segnalargli un documento
che ho trovato nell'Archivio storico civico di Milano. E' un istrumento
rodato dal notaio Osvaldo Stadler, in casa del nob. sig. Ilario Pyrckmayr
{sic), dottore e consigliere del principe di Baviera, e sottoscritto dal Se-
nato e Consoli della città di Monaco, de' quali porta il sigillo. In esso
istrumento la nobil donna Cristierna de Vergi, madre e tutrice di Gu-
glielmo e Alberto Nicola fratelli de Guidobonis, figli di lei e del fu
cav. G. Francesco Guidobono Cavalchino, ed eredi ab intestato del fu
G. B. Guidobono Cavalchino, barone di Lichtembcrg loro zio, assicura
alla signora Anna Guidobona Cavalchina, vedova del defunto barone,
il pieno godimento per sé ed eredi dell'annuo censo di 840 fiorini ger-
manici, pari a lire milanesi 3360, dal predetto barone comperato nel 1597
presso il comune di Milano, collo sborso di 8000 coronati (lire milanesi
48.000) e quindi assegnato alla moglie in un istrumento di divisione di
beni.
Il documento porta la data del 28 febbraio 1604 : ma è allegato
alla deliberazione 9 agosto 1597, colla quale il Consiglio di Milano ac-
cettava la proposta del barone di Lichtemberg di impiegare 40.000 scudi
in tanti reoditi della città.
(2) Su questo personaggio vedi le notizie da me date nel mio la-
voro: Il municipio di Afilano e Vlnquisisione di Spagna, in questo Ar-
chivio ^ voi. VII, 1897, p. 86.
174 BIBLIOGRAFIA
scrittore elegante tanto in italiano che in latino : Gaspare trasandato,
scorretto e spesso oscuro : l'uno sempre sereno ed equanime nei gradili,
modesto nel parlar di sé : Taltro bisbetico e non alieno da vanterìe spa-
gnolesche. La devozione di Prospero verso i duchi di Baviera era più
profondamente sentita e contraccambiata quindi da una confidenza senza
limiti : Gaspare sembra servir que' principi più per vanto che per affetto.
Né Puno né l'altro erano agenti propriamente detti ; la loro parte era
quella di amici e di corrispondenti artistici : i duchi si servivano di loro,
e specialmente di Prospero, abilissimo nel comperare a buon patto, pei
loro acquisti in quel grande emporio d'arti ed industrie che era allora
Milano, e li ricompensavano, non con danaro, ma con regali che eraii
piuttosto ricambio di altri doni ricevuti che non compenso di servigi.
Que' regali eran talora una bella prova dell'animo eletto e dell'in-
telligenza geniale del donatore. A Prospero, che sapeva appassionato per
l'astronomia, il duca Guglielmo donò nel 1576 un istrumento matematico,
detto torguero, ideato e costrutto dal famoso artefice Ulrico Schniep di
Monaco ; istrumento che procurò al suo possessore altre belle soddisfa-
zioni : il duca Emanuele Filiberto di Savoia se ne invaghi, incaricò il
suo architetto Giacomo Soldati (i) di chiederlo, almeno a prestito, al
gentiluomo milanese, ed egli stesso gli scrisse una amabilissima lettera
riportata dal Simonsfeld.
La maggior parte dogli oggetti che così prende van la via delle
.\lpi, proveniva da Prospero, il quale s'era fatto come una missione non
solo di accontentare, ma di prevenire i desideri dei duchi. Noi passeremo
in rassegna le cose principali menzionate in questo epistolario, seguendo
in massima la divisione fatta dal Simonsfeld nella tliligentissima e dotta
illustrazione che occupa il secondo volume dell'opera.
\. Antichità^ viedagliey monete. — Nel 1569 riuscì Prospero ad
ottenere dal giureconsulto Caradosso Foppa, intelligente raccoglitore,
nove antichi e bellissimi busti di imperatori romani ; il Simonsfeld crede
di averli identificati nel museo di Monaco. Si parla in seguito d'una
statua di Bacco in bronzo, lavoro moderno romano, d'un antichissimo sa-
tiro, di una « testa antica », d'un Apollo di marmo, di una mirabile tavola
marmorea con un grande bassorilievo di Bacco, d'una testa di Cupido,
di due busti antichi di Giove e di Mercurio, d'una testa di Dionisio in
bronzo, d'un piccolo Giove di bronzo. Parecchie monete antiche sono
pur state identificate nel suddetto Museo, come pure qualche cammeo:
una moneta rarissima dell'imperator Claudio e mandata in regalo da
Prospero il quale promette di adoperar ogni mezzo per ottenere tutta 0
(i) Sullarch. Soldati, perfezionatore, s^ non inventore, della bocca
magistrale milane>e, ha pubblicato or non è molto interessanti notizie il
chiaro ing. EMILIO Bign.ami-Sormam, Un ingegnere idraulico dimentì
calo nel rolttrcniro, aprile i8()().
BIBLIOGRAFIA I75
in parte la raccolta del veneziano Sebastiano Efizzo o quella del Calestano
di Parma. Infine entrano in questa categoria alcune di quelle medaglie
che i duchi di Milano davano col proprio ritratto in dono agli amici
fedeli per ricordo e che Prospero aveva fatto riprodurre di su i ponzoni
conservati dai maestri della Zecca e passati in proprietà d una persona
di sua conoscenza.
II. Oggetti artistici di metalli preziosi e gemme, — Avute dal car-
dinal Carlo Borromeo alcune bullae Jesus, medagliette col nome di Gesù,
e alcuni di quegli agnus dei così in voga nel cinquecento, Gaspare si
affretta a mandarli ai principi. Prospero invece, con finissimo fiuto, scopre
ì più squisiti gioielli di cui sian fomite le botteghe degli orefici milanesi
e specialmente quella di Cesare Binago : un Nettuno d'oro sopra un del-
fino di madreperla; un Pegaso d'oro e d'argento; una testa di Sibilla
gemmata, un San Giorgio inciso nel diamante ; pendenti da orecchie per
Renata, di corno, raffiguranti leoni e tortorelle; collane di perle e d'oro
raffiguranti cavalli marini e sfingi ; un bellissimo e prezioso centauro ;
molte di quelle medaglie per berretta cosi in voga nel secolo XVI ;
un Cristo in croce d'ebano e d'avorio, su disegno dell'insigne artista mi-
lanese G. B. Pozzo, tre collane con figure di amorini, di arpie, di navi ;
braccialetti, pettini, fibbie, lampade, statuette di bronzo e lapislazzuli e
molti altri oggetti di minor mole e valore.
III. Oggetti di vetro e cristallo. — E' noto come la moda diffon-
desse straordinariamente nel cinquecento l'uso del cristallo anche come
ornamento delle vesti (i); le lettere dei Visconti ce ne dimostrano fio-
rentissima l'industria in Milano, la quale era in grado di fare una seria
concorrenza a Venezia. Incontriamo frequentissime spedizioni di puntali
e bottoni a centinaia per volta, fiori di vetro per conciatura di testa fem-
minile, collane di cristallo con legature d'oro, cristalli miniati. L'artefice
più spesso nominato è Francesco Trezzo, famoso per la fabbrica di vasi,
bacili e boccali di gran pregio : altri sono Giacomo Trezzo, Gerolamo
Messerano, Stefano Carono, Gerolamo Va ver, G. B. Isac e alcuni membri
della famiglia Saracco : di parecchi si leggono elogi anche nella Nobiltà
ii Milano del nostro Morigia.
IV. Abiti e tessuti. — Si può dire senza tema di andar molto lon-
tani dal vero che i duchi di Baviera e le loro famiglie si vestivano quasi
interamente a Milano. Prospero con gusto finissimo sceglieva i tessuti
migliori, specialmente quando si trattava di accontentare Renata di Lo-
rena e seguiva con attento occhio l'avvicendarsi della moda. Così eran
frequentissime le spedizioni di stoffe e di oggetti di vestiario, accompa-
gnate sempre dall'elenco dei rispettivi prezzi, i quali son per sé stessi
documenti di grande valore : telerie bianche e colorate, specialmente la-
vorate con oro e argento, tele d'oro e d'argento, tessuti per mantelli,
(i) V. il mio lavoro. Le leggi suntuarie e la decadenza dell industria
in Milano, in quest^ Are hii'io, voi. XIII, 1900, p. 70.
176 BIBLIOGRAFIA
panni d'ogni genere, denominati con ricchissima e preziosa nomenclatura,
buratti, velluti, spediti a centinaia di braccia per volta, taffetà, rasi, broc-
cati, damaschi, abiti fatti e loro accessori ; calze, cappelli e cuffie d'oro,
argento e perle, nastri, guarnizioni, passamani, veli, cinture, guanti pro-
fumati, ventagli, parasoli; tutto fabbricato in quel grande centro del-
l'industria tessile che era Milano. Qui da ogni parte si ricorreva nelle
grandi occasioni; nel 1573, per recare un esempio, un agente del ve-
scovo di Lesgna si trovava a Milano a far provvista di stoffe per Tinco-
ronazione del re di Polonia, Enrico III.
V. Armi ed affini. — In questa famosa industria milanese di-
stinguevasi allora Ferrante Bellini de la Lima, lodato dal Morigia e dal
Lomazzo, non menzionato dal Bòheim. Di lui Prospero servivasi a pre-
ferenza quantunque si facesse pagar caro e fosse lento nel lavoro. Fre-
quenti sono le spedizioni di spade, pugnali e d'armature complete.
VI. Libri, quadri, ritraili. — Libri non molti : un « Libro degli
(c Abbiti» mandato da Prospero (forse il Vecellio o il Bestelli?), un pre-
zioso manoscritto dell'opera sulla guerra di Roberto Valturio, identi-
ficato dal Simonsfeld nella Nazionale di Monaco. Una volta Prospero
dà notizia al duca Guglielmo di una raccolta di manoscritti di straordi-
nario valore posseduta da Pagano Doria, che l'aveva avuta in regalo da
un re africano, nella quale si trovavano un Livio e un Cesare, piii com-
pleti delle solite edizioni, scritti m lingua «africana», e gli suggeriva
di chiederli ad Andrea Doria, crede della libreria. La notizia è impor-
tante per la storia della fortuna dei due autori latini. Un libro, del
quale non s'indica il titolo, spiacque perchè licenzioso : « paulo immo-
« destius », come scrive il duca Guglielmo a Prospei-o. Un tal giudizio non
poteva prevedere un italiano del Cinquecento. Nel 1580 spediva un'opera
di F. Perigone, sulla casa di Savoia, le canzoni di Gerolamo Conversi
e le composizioni musicali dell'organista veneziano Bellavere, indirizzate
al musicista Orlando di Lasso, che si trovava in Baviera ai ser-
vigi dei duchi. Tra i quadri : una Giuditta od Erodiade degli sco-
lari del Tiziano, corretta dal maestro, pagata 40 scudi; un quadretto
del Correggio, con molte figure, comperato per 20. Di molto interesse
son le notizie di una serie di ritratti che Prospero faceva eseguire pel
duca Guglielmo, in parte originali, in parte copie di quelli raccolti nel
famoso musco di Paolo Giovio a Como : essi costituiscono, almeno in
parte, il primo nucleo delle collezioni dell'arciduca Ferdinando del Ti-
rolo e del duca Alberto V. Si trattava di copie in miniatura, chiuse in
scatolini d'avorio, eseguite dal pittore lombardo G. B. Pozzo, e alcune
da Augusto Decio. Si ricostituisce così intera la serie dei ritratti dei papi
e cardinali del musco Gioviano. Fra gli originali c'è quello di S. Carlo
fatto alla meglio dal Pozzo, di su un vecchio ritratto, perchè non si
potè indurre il Borromeo a posare : gli altri son per lo più di cardinali
e prelati allora viventi. Nel '73 Prospero mandava un esemplare d'un'arte
affatto nuova ; il ritratto del governatore di Milano, Requesens, eseguito
in cera, in bassorilievo, a mo' di medaglione, e colorato da Anteo Lotclli,
BIBLIOGRAFIA I^^
inventore di quesf arte ; seguirono i medaglioni coH'effigie delPAyamonte,
<ii Don Giovanni d'Austria, pagati quattro scudi al pezzo. Anteo piacque
molto a Corte e vi si recò più volte a presentarvi i suoi lavori.
VII. Piante ed animali rari che Prospero con gran cura cercava
dovunque, e per lo più faceva venire da Genova, pei giardini ducali;
palme di S. Remo e Bordighera, semi di fiori da serra, frutta, limoni,
aranci, olive, carciofi ; tra Taltro il seme di a una herba portata dalle
<c Indie occidentali chiamata tabac, la quale ha infinite virtù et massima-
« mente di sanare le ferite » : tra gli animali : struzzi, pappagalli, scim-
mie, e persino si parla di una leonessa.
Vili. Giuochi e oggetti d'uso. — Ferri da tornitore per diletto
del duca, palle e martelli pel giuoco del pallone, fatti venir da Napoli,
perchè qui, andato il giuoco in disuso, non si fabbricavan più, tavolieri
per gli scacchi, uno scrittoio del valore di 1500 scudi, scopini col ma-
nico d'oro e d'argento ed altri utensili domestici, carta dorata di for-
mato grande e persino parecchie migliaia di spilli.
IX. Artisti, cantori j operai. — Spesso Prospero mandava l'artista
coll'opera, fornendolo talora del suo di cavalcatura e di viatico. Così
vanno più volte in Baviera : Francesco Trczzo, l'artefice di cristalli, l'ore-
fice A. M. Parozio, lo scultore Anteo Lotclli, il valentissimo ebanista,
lodato dal Morigia, G. Ambrogio Maggiore, l'armaiuolo Cesare De Rosi
per prender la misura di venti armature per giostra. Altre volte curavasi
di ingaggiare agli stipendi dei duchi, virtuosi di vario genere come il
contrappuntista Giosquino Salem, un Francesco, cantor veneziano di
grido, l'organista del Duomo di Milano Giuseppe Caimi, che non potè
lasciar la città sua per ragioni di famiglia, il violoncellista Giuseppe
Parochianino, che pure dovette rifiutar l'invito per impegni presi con una
Accademia musicale dei « Cavalieri del Sole » in Pavia, l'eunuco spa-
gnuolo Filippo della Croce, e parecchi ecclesiastici esperti nella musica.
Poiché alcuni oggetti o Gaspare o Prospero mandavano in esame
e non si sa con certezza se siano stati o no trattenuti, non è possibile
un conto esatto delle spese fatte in Milano dalla corte bavarese : tuttavia
il Simonsfeld non trascura di dare anche su questo argomento le notizie
che ha potuto raccogliere e vagliare. Esaminate tutte le cifre che ri-
corron nell'epistolario, egli conclude essersi, nel periodo da quello com-
preso, pagati scudi 3624 a Gaspare, 4560 a Prospero e 3640 ad altri mila-
nesi, alle quali somme ne vanno aggiunte altre che non figuran tra le
lettere, ma son registrate nei libri di corte. I pagamenti facevansi in
contanti o in cambiali per mezzo dell'agente in Milano della famosa
casa commerciale augustese dei Fugger (i). Le spedizioni avcvan luogo
(i) Sui Fugger studiatissimi dalla moderna scuola storico-economica
tedesca, veggan si le pagine dello Schulte, Geschichtc des mittelalter lichen
Haniels und Verkehrs swischen W estdeutschland und Italien, (ved. in-
dice) e Cfr. Habler C, Die Geschichte des ^uf^gers 'schen Handlung
in Spanien in Zeitschr. fiir social-und Wirths. Gesch.j Weimar, 1897.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXV. 12
1 78 BIBLIOGRAFIA
o per la posta o per mezzo di persone fidate, spesso servitori di Prospero.
Son frequenti le querele per mancanza di puntualità nella Posta delle
lettere organizzata dai Tassis, onde Prospero era talora costretto a ri-
correre ai duplicati. La via era quella di Chiavenna, Coirà, Lindau.
Tra Milano e Landshut residenza della corte bavarese, 11 o 12 gionu
nella buona stagione, 18 nella cattiva.
Nell'intraprendere la lettura di questa egregia pubblicazione io mi
aspettavo, a dir vero, di veder identificata nei musei di Monaco la maggior
parte degli oggetti artistici menzionati nelle lettere. Su questo punto la
mia aspettativa fu delusa, e non è possibile ancora pur troppo deter-
minare in qual misura Milano abbia contribuito alla formazione di quelle
raccolte. Solo pochissime cose ha il Simonsfeld riconosciute ; ma io non
so se questo scarso risultato attesti l'impossibilità di arrivare più oltre o
dipenda dal non aver egli per ora creduto di allargare le sue indagai
sulla sorte di quegli oggetti; indagini che son sempre molto ardue, ed
avrebbero, con esito dubbio, ritardato la pubblicazione del suo lavoro.
L'epistolario dei Visconti è anche fonte non trascurabile per notizie
d'altro genere. Prospero veniva incaricato di missioni di varia natura
dalla corte bavarese : mandato nel 15S1 al nuovo duca di Savoia, intomo
al quale egli narra molti e interessanti particolari, a Firenze nel 1590,
dove si portò così bene che il duca ne fu complimentato, al governatore
d'Ayamonte nel Monferrato. Inoltre, a cominciare dal 1575, ogni otto
giorni, mandava ragguagli sui principali avvenimenti, scritti sovente con
cifrari di sua invenzione che il Simonsfeld è riuscito a decifrare ; giacché
spesso trattavasi di cose molto delicate come la sterilità del duca di Fer-
rara, gli amori e le avventure piccanti di Don Giovanni d'Austria a Mi-
lano ed altrettali. Così possiam nelle lettere di lui spigolare intorno alla
peste di Milano del 157Ó, per la quale il buon duca Guglielmo mandava
a Prospero rimedi creduti infallibili, intorno alle famose contese di
S. Carlo col Governatore per la giurisdizione ecclesiastica (i); sul viag-
gio di Enrico III attraverso l'Italia settentrionale, sui vari atteggiamenti
della politica italiana, sulla duchessa madre Cristierna, vedova di Fran-
cesco Sforza II, e infine su vari costumi del tempo, specialmente sui car-
telli di sfida che già cominciavano a scambiarsi con funesta frequenza
i nobili spagnoleggianti : il nostro buon Prospero riferisce qualche esem-
pio di tali cartelli e dimostra in fondo la medesima opinione del padre
Cristoforo.
Ho voluto dar conto con una certa ampiezza dell'opera del Simons-
feld perche essa, colla dissertazione che le va unita e colTindice copioso
e perfetto, sarà d'or innanzi una fonte indispensabile di consultazione per
gli studiosi della Kulturgeschichte lombarda. E mi piace concludere di-
chiarando che, ^e molta lode va data a chi Tha compiuta, una bella parte
ne spetta a chi l'ha suggerita.
Ettore Verga.
(l) Sulle quali l'Archivio storico civico conserva parecchi documenti.
BIBLIOGRAFIA I79
Guido Muoni. — Ludovico di Breme e ie prime polemiche intorno a ma-
dama di Stail ed al romanticismo in Italia (1816), Milano, Società
editrice libraria, 1902, p. 102, in-8.
Questa monografìa fu presentata proprio così, già beli' e stampata,
nel luglio ora scorso, come tesi di laurea all'Accademia Scientifìco-Let-
terarìa di Milano. Essa è ricca di fatti e di notizie, ricercate quasi
sempre, e sempre che s'è potuto, di prima mano; in non piccola parte
inedite; vagliate con buon senso e buon criterio; giustamente giudicate
e apprezzate; lucidamente, e qualche volta pur argutamente ed elegan-
temente esposte.
La ricerca riesce molto interessante, poiché apporta nuova luce su
quel perìodo letterario, che può dirsi più propriamente milanese, in cui
ferve la lotta fra lo stracco classicismo e il baldo romanticismo, che qui
era, allora appunto, importato. Nel trambusto, compaiono, ora in iscor-
ciò ora di profilo, le figure dei maggiori letterati del tempo: il Byron^
il Sismondi, il Di Broglie, Vincenzo Monti, Carlo Botta, Silvio Pellico,
la Diodata Saluzzo, lo Stendhal, Ugo Foscolo. Nel fondo del quadro
ancor grandeggia, curiosa contradizione, la statua di Vittorio Alfieri;
la quale getta la sua ombra protettrice sulla contessa d'Albany, fiera,
anzi vana, delle assuntesi funzioni di vestale — non molto candida, a
dir vero — di quel sacro e tragico culto. E s'affacciano di lontano, quasi
aurora promettitrice d'un giorno molto luminoso, Alessandro Manzoni e
Giacomo Leopardi.
La prima volta che del genere romantico giunse notizia diretta in
Italia, fu in grazia della traduzione italiana dt\\* Allemagne di madama
di Staél (Milano, Silvestri, 1814). Ma i letterati nostri non vi badarono
subito. Sennonché, due anni dopo, nel 18 16, comparve nel primo fasci-
colo della Biblioteca Italiana un vivace articolo della Staél medesima.
Di f esprit des traductions, che parve, ed era, una sfida. * La littéra-
^ ture italienne „, vi si diceva, ' est partagée maintenant entre les éru-
' dits qui sassent et ressassent les cendres du passe, pour tàcher
' d'y retrouver encore quelques paillettes d'or, et les écrivains qui se
" fient à l'harmonie de leur langue pour faire des accords sans idées,
' pour mettre ensemble des exclamations, des déclamations, des invo*
* cations où il n'y a pas un mot qui parte du coeur et qui y arrive. „
K chiedeva: " Ne serait-il donc pas possible qu'une émulation active,
' celle des succés au théàtre, ramenàt par degrés l'orìginalité d'esprit
" et la vérité de style, sans lesquelles il n'y a point de littérature, ni
' peut-étre méme aucune des qualités qu'il faudrait pour en avoir
' une? ^ Apriti cielo I Le varie Riviste italiane si scagliarono contro
' la Pitonessa » ; e il Saurau si vide costretto a pregare il Gherardini di
gettare, con una sua risposta all'articolo di lei, un po' d'acqua sul fuoco.
A difender strenuamente la Staél dalle accuse e dalle insinuazioni
che, manco a dirlo, eran trascese presto in volgarità e in personalità
l8o BIBLIOGRAFIA
villane, sorse l'abate Di Breme ; il quale mandò il suo scritto alla stessa
Biblioteca Italiana, Ma l'Acerbi non volle pubblicarvelo. E allora l'abate
diede alle stampe un opuscolo, che forse risultò di quell'artìcolo ampliato,
col titolo: Discorso intorno ali* ingiustizia di alcuni giudiaii italiani. Prece-
deva una lettera al padre, con la data i.* giugno 1816, nella quale ei di-
chiarava di liberamente ragionare, nel suo libercolo, • contro quella
** specie di volgare e pernicioso entusiasmo delle patrie lettere, che in
" luogo di rendersi con opere contemporanee esemplare alle vicine na-
^ zioni, preferisce sfogarsi in ciance biliose, e fa pompa di antichi fasti
" e si soccorre di calunniose imputazioni, onde spregiare nella nostra terra
" i nomi più illustri di tutta Europa „, Confidava in un prossimo ■ risor-
" gimento d'idee „, per opera sopratutto di * quella valorosa gioventù,
" che si sta accolta meditando e silenziosa, e adulta si fa ad un tempo
" con una più robusta e più vasta filosofìa „.
La Staél, in un brano d'un secondo articolo che mandò alla Bii^liO'
teca, si lodava molto del suo paladino; ma quel passo appunto fu, per
un atto di deferenza dell'Acerbi verso il barone Sardagna che non nu-
triva nessuna simpatia pel Di Breme, mutilato. Del che l'abate, come
era naturale, si lamentò fortemente; anzi non rifece la pace con lo
scortese direttore, e solo nelle apparenze (i), se non più tardi/ e per
interposizione della Staél in persona.
Intanto, nelle * frivole colonne del Corriere delle dame „, giomalu-
colo futile in tutto salvo che nel servilismo verso i padroni felicemente
regnanti, comparvero due Articoli italiani, firmati 71 C, eh' erano un
nuovo e violento attacco contro madama. In una lettera del Giordani
al Monti si narra: ' A proposito di verità: il signor contino T. Cf
" che si chiama anche alitilogo e scrive lettere dal Tempio della Verità,
* e tutto improvviso diventò letterato^ e gran difensore della lettera-
" tura italiana, e grande nemico di madama di Staél, e fierissimo ne-
" mico della Biblioteca Italiana, e fu il primo a farle rumor contro;
" ebbe a sì magnanime ire questa vera e sola cagione. Egli aveva tra-
*^ dotto il discorso di madama di Staél da inserirsi nella Biblioteca, Te-
" metterò i compilatori che quella traduzione del signor contino T. C
" potesse parer ridicola, ed essendogli amici e volendogli evitare le
* pubbliche derisioni, ordinarono un'altra traduzione. Quindi tutti i
* furori del sig. contino T. C: miserie miserabilissime di un povero
" amor proprio I ,, E il nome vero di codesto contino bizzoso è poi
svelato da un'altra lettera^ del Monti all'Acerbi : • Ciò ch'egli [il Gior-
(i) Da un* altra dissertazione di laurea presentata quest' anno, del
signor Giulio Zùccoli, intorno a Giovita Scalvini, tolgo questo brano di
lettera dell'Acerbi allo Seal vini: « Il Conciliatore è ormai a terra e non
e ne può più. Que' barbassori hanno creduto facile cosa fare un buon
« giornale; ma con quelle teste non si fa nulla di buono in nessun gè-
e nere. Di Breme e Kasori bastano soli a guastare ogni cosa ». La let-
tera è posteriore all'agosto 1818; e mostra come il malumore dell'A-
cerbi verso il romantico abate non fosse mai venuto meno.
BIBLIOGRAFIA l8l
* dani] mi scrive di Caleppio^ noi posso credere : sarebbe troppo
* sleale. Tuttavolta gli amici de' nostri giorni sono sì perfidi 1 ^ Non
si tratta dunque che di Caleppio Trussardo, commissario di polizia, il
quale faceva allora le sue prime armi I Più tardi, costui fu redattore
étW Accattabrighe, il • famigerato e bilioso foglietto, sorto all'unico
scopo di contrastare in ogni cosa, perfino nel titolo e nel colore della
carta, il liberale e romantico Concitiatore „.
Alle ingiurie del Corriere delle dame rispose, nella Biblioteca, il
Monti, col Dialogo fra Matteo giornalista, Taddeo suo compare^ Pa^
squale servitore e ser Magrino pedante; che fu pubblicato anonimo. • Mi
* sa male „ concludeva Taddeo, * che il signor T. C. siasi aggiunto per
* cattivi consigli alla banda dei suoi [della Staèl] malevoli. Di lui tut-
" t'altro mi prometterà la sua creanza, il suo garbo, la sua - virtù ; e
* ripugna il cuore a pensarlo nostro amico. Ma s'egli ha potuto get-
" tarsi dopo le spalle i riguardi invocati dalle dolci rimembranze di
" un'amicizia a cui nessuno di noi fu infedele, non vo' che il suo esempio
* ci sia pretesto a imitarlo „. Ma in soccorso del Corriere venne lo
Spettatore, quella rivista che al Leopardi era sempre parsa * un mucchio
" di letame „, con un'articolessa ambiziosa e in mala fede: Z.a^/orf atta-
liana vendicata dalle imputazioni della signora baronessa di Staél-Hot-
Stein, C in quello stesso anno furon pubblicati, a Milano, un opuscolo
di C. G. Londonio, avversario ma, come lo dichiarò poi il fìorsieri,
' critico educato ^ : Risposta di un Italiano ai due discorsi di madama
di Staèl inseriti netta Biblioteca Italiana; e a Firenze, nel Giornale di
letteratura e di bette arti, * la più sgangherata delle stoltizie che si lan-
' ciarono contro madama di Staél „, cioè La Romanticomania^ dialogo
fra Madonna» messer lo Giornalista e il Cavaliere, che può servir d* anti-
doto alla Lettera inserita nella Biblioteca Italiana e al libro di monsieur
De Breme intitolato Discorso ecc., trovato dopo la morte di detto Mes-
sere fra gli altri suoi manoscritti [?"|.
A dire il fatto loro a tutti codesti fogliettisti, il 19 settembre dello
stesso anno 1816 venivan fuori, anonime, le Avventure letterarie di un
giorno o consigli di un galantuomo a varii scrittori» Dalle lettere del
Pellico e del Breme si apprende esserne autore Pietro Borsieri. * Me-
■ glio che il Discorso del Breme, scritto apologetico composto di furia,
' questa satira del Borsieri, piacevole ed arguta, può darci ampia testi-
* monianza del pensiero e degli ideali della gioventù liberale e roman-
*^ tica dei suoi tempi ^, Ma essa ferì e istigò, non sbaragliò i criticonzoli
stipendiati dal governo austriaco, divenuto — strane vicende del caso I
— un pugnace custode e vindice della classicità ! E il Corriere delle
dame del 21 settembre pubblicò, annunziandola quasi come un singo-
lare avvenimento letterario, una scempiata favola in versi del noto
T. C, Le fiere e il moscerino; e l' i. r. Gazzetta di Milano, nel numero
del aQj un resoconto sprezzante del libro del Borsieri. S' intende come
codesta autorizzata recensione non fosse firmata; ma par sicuramente
opera di quel Pezzi, che fino il mitissimo Pellico qualificava di • vi*
l82 BIBLIOGRAFIA
*^ lissinio insetto ,,. Ed è curioso notare come una siffatta polemica riu-
scisse ad appassionare sin anche il povero romito di Recanati; che
mandò alla Biblioteca pur un suo articoletto in risposta a quello di
madama, '* mosso ad ira ,,, com' egli ebbe poi a scrivere airAcerbi,
^ non tanto dalle opinioni della dama, quanto dalla miseria dei suoi ne-
" mici M- Ma l'articolo gli fu cestinato (i).
Gli storici della nostra letteratura e i biografi del Berchet mostrano,
in generale, d' ignorare tutte codeste lotte, e non sanno rimontare, per
l' introduzione del romanticismo in Italia, più su del Berchet e della sua
Lettera semiseria di Crisostomo, Eppure in questa c'è un'evidente allusione
al Discorso del Breme: ' Una persona che aveva l'aria di uomo non doz-
" zinale, e non l'era davvero, parlava della poesia Romantica con Sua Re-
^ verenza... Ad un tratto il panegirista usci fuori con un voto, perchè al-
** cuno in Italia pigliasse a scrivere una Poetica Romantica. Che Poetiche
" di Dio!, gridò allora il buon curato di Monte Atino... Domando mille
" scuse : ho gridato fuori d'ogni creanza, ma sappia Vossignoria che io non
" l'aveva con lei. A Lei io ho data tutta la mia stima. Capperi ! Vossignorìa
" ha detto pel primo in Italia cose che non tutti sanno dire, o che tutti
" qui s'ostinano a non voler dire. Da bravo ! stia fermo, e non si lasd
" atterrire da chi, senza entrare in ragionamenti, le abbaia dietro dei
" mali motteggi e delle insipide satire. Siamo cristiani e sacerdoti en-
" trambi; perdoniamo adunque di buona volontà agl'insolenti... \ filo-
" soft estetici io non li confondo cogli scrittori di Poetiche „. Or è evi-
(i) Al Luzio, che felicemente rintracciò Taltro articoletto leopardiano
sulle traduzioni dal greco perpetrate da Bernardo Bellini (cfr. Un arti-
colo cestinato di G. L,, nella Miscellanea nuziale Rossi-Teiss^ p. 65 sgg.).
non era riuscito di sapere dove fosse andato a finire questo, mtorno
alla Staél. 11 Muoni, dopo averlo invano cercato nella biblioteca di Re-
canati, lo ha rinvenuto tra le famose Carte napoletane che ora sono
alla Casanatense; ma la gelosa Commissione governativa (che pur di-
cono esista, e che pubblichi a nome e per conto dello Stato I) non ha per-
messo eh' ei ne prendesse copia. Lo vedremo, gli han fatto sapere, pub-
blicato fra breve: Dio sa poi in quale volume di quale dei regi com-
niissarii! — Dall'Epistolario s'apprende anche avere il Leopardi man-
dato allo Stella, per lo Spettatore (e non all'Acerbi per la Biblioteca
Jiaiiana^ come erroneamente scrive il Muoni, p. 30 n.), il 27 marzo 1818,
im suo Discorso sopra le osservazioni del cavaiier Di Breme intorno alla
poesia moderna. Gliene spediva la sola prima parte, perchè, diceva,
a Ella che bene intende, vede che per trattare queste materie profon-
« damente come ha fatto il cavaliere, e non superficialmente come
« fanno i più, i quali perciò riescono facilmente a scrivere e stampare
« in un istante, è necessario del tempo ». S'aspettava un cenno di gra-
dimento, per inviare la seconda parte ; ma il cenno forse non venne,
e ad ogni modo il Discorso non fu pubblicato. — Nello Zibaldone, ora
messo a stampa, son molte preziose osservazioni sul Romanticismo e
sulle opinioni espresse dal Di Breme {Pensieri divaria lei ter atura ^tcc^
voi. I, pp. 94-105, ecc.). E in verità sarebbe stato utile che il Muoni non
sì fosse contentato sol di additarle, ma le avesse accuratamente esposte
ed esaminate.
BIBLIOGRAFIA 183
dente che il sacerdote e filosofo, che s'era chiamato addosso mali mot-
ttsigi e insipide salire^ non può essere che il Di Breme; il quale, nel
suo Discorso, aveva per l'appunto scritto : * Che la Romantica sia per
^ sé un solenne genere di letteratura, non è' più da porsi in dubbio ;
** resta da desiderarsi tuttavia una più completa e meglio definita Poe-
' tica di esso genere. Io credo che questa sia opera da tentarsi con
' maggior successo in Italia che altrove „. Precursore dunque del Ber-
chet il Di Breme ; e non lui solo, bensì anche, come s' è visto, il Bor-
sieri.
In un ultimo capitolo, il Muoni tocca rapidamente delle * amicizie
* ed ammirazioni letterarie „ dell'abate. Premesso qualche cenno della
vita anteriore di lui (nacque a Torino nel 1781; fu discepolo dell'abate
Caluso, l'amico insigne dell'Alfieri; si consacrò alla prelatura, onde fu
nominato elemosiniere del viceré prìncipe Eugenio; ma, tornati nel '14
gli Austriaci, si era ritirato a vita privata), vi si discorre della devota
amicizia ch'ei consacrò alla contessa d'Albany, da cui ottenne una com-
mendatizia per la Staél; della prima e seconda visita che questa ce-
lebre baronessa fece a Milano, nel 1815 e nel '16; della dimora sua a
Coppet, ospite della venerata signora, nell'estate del '16; del ritorno
a Milano, dove conobbe lo Stendhal intimamente, e dove rivide, e ac-
colse coi dovuti onori, il Byron, già da lui avvicinato a Coppet ; dei
suoi rapporti col Monti e col Botta; col Foscolo, eh' ei giudicava con
giusta severità, severamente e amaramente ricambiato; col Pellico e
col Borsieri, ch'egli amava, riamato, fraternamente e che fraternamente
assisteva. Son pagine ricche di particolari, se non sempre nuovi o nuovi
del tutto, sempre interessanti; le quali si leggono molto volentieri, in
grazia della lucida e garbata esposizione.
M. SCHERILLO.
G. Mazzoni. — Due articoli di Giovanni Berchet. Firenze, Barbera, 1902
in-8, pp. 20 (Nozze Guidotti-Della Torre).
A solennizzare una fausta occasione, il chiaro professore del R. Isti-
tuto di studi superiori in Firenze ha voluto rimettere in luce due arti-
coli che il Berchet aveva inseriti nel Conciliatore del 1818, ma che il più
recente editore delle sue Opere edite ed tnedite, Francesco Cusant, per
ragioni che ignoriamo ebbe ad escludere dalla raccolta edita a Milano
per i tipi del Pirotta nel 1863. Il primo articolo sotto forma di lettera
scrìtta da Crisostomo " al molto reverendo sig. Canonico don Ruffino, 1,
vuol essere una satirica rimenata contro il Tiraboschi, al quale si fa
rimprovero di aver mancato del tutto di * filosofia, „ d' essersi smar-
rito nelle ricerche minuziose d'una pedantesca erudizione, senza assor-
gere mai ad idee generali, a quelle idee, onde abbondavano invece i
libri di Madame de Stael, della quale sotto colore di spregiarne il ' pie-
184 BIBLIOGRAFIA
" eolissimo intellettuzzo, ^ Crisostomo, a tutte spese del dotto bibliotecario
Estense, tesse un ampolloso elogio. L'articolo, sebbene manchi di misura
nella critica contro il Tiraboschi, non è però senza importanza; i difetti
che il Berchet rilevava liell'opera monumentale dell'abbate modenese
sono reali ; ma egli esagerava, trascinato dalla foga polemica, le sue cri-
tiche contro quel * genio freddo „ (per servirci d'una espressione fosco-
liana), e diveniva ingiusto. Ad ogni modo quest' obbliatò scritto giova
a lumeggiare meglio la condizione in cui versavano gli spiriti italiani
in quel momento in cui così aspramente sì battagliava intorno al Ro-
manticismo ed alla sua profetessa madama di Staél. Il secondo articolo,
meno importante, è la recensione di un discorso * dell'orìgine e delle
" vicende delle lettere, scienze ed arti e della loro influenza sullo stato
' presente della Società, « recitato a Liverpool da G. Roscoe l'anno 1817,.
e pubblicato a Londra l'anno appresso. Pieno di rispetto per l'autore
della Storia di Lorenzo il Magnifico e della Vita € pontificato di Leone X,
il Berchet non rinunzia però ad esercitare l'ufficio della critica sulla sait-
tura del dotto inglese di cui loda bensì la " intenzione santissima, *
ma stima degne di biasimo talune parti, ingombre di " certa superfi-
* ciale declamazione, che non contenta pienamente il pensatore « (p.f8).
Troppe idee generali dunque! Oh com'è difficile stare nel giusto mezzo!
X.
Giuseppe Bonelli. — / nomi degli Uccelli nei dialetti lombardi. Roma,
Loescher, 1902, in-8, pp. 100.
Benché il lavoro del dott. Bonelli, comparso testé alla luce in quel-
l'autorevole raccolta di monografìe glottologiche e letterarie che forma
gli Studi di Filologia Romanza (v. IX), esca per la natura sua dai limiti
dentro i quali suole restringere il nosir* Archivio per costante regola le
proprie ricerche, pure non ci sembrerebbe davvero opportuno passarlo
sotto silenzio, come quello che reca un contributo pregevolissimo alla
cognizione della storia naturale e delle parlate di Lombardia. Diciamo
dunque brevemente che il Bonelli, studioso e valente giovine bresciano,
uscito dalla nostr' Accademia scientifìco-letteraria, s'è proposto in questo
suo saggio di mettere in chiaro l'origine dei nomi, onde le popolazioni
della Lombardia, e più particolarmente poi i Bergamaschi ed i Bresciani,
notissimi per la loro venatoria passione, sogliono distinguere le une
dalle altre le varie specie d' uccelli. Intraprendendo le sue indagini il
Bonelli non ha tardato ad accorgersi come l'onomastica degli uccelli
non traesse vita da criteri fìssi ed immutabili, bensì rampollasse da una
quantità non ben defìnibile di cause; pur inspirandosi essenzialmente alle
impressioni che un dato uccello aveva prodotto sulla psiche popolare.
Fermato questo principio, egli ha diviso quindi i nomi degli uccelli nei
volgari lombardi in due categorie: gli • oggettivi „: quelli, cioè, delle
BIBLIOGRAFIA 185
Specie che traggono la denominazione loro dal colore o dalla disposi-
zione di tutto il corpo o di parte di esso, dalla forma del becco, dal
cibo preferito, dal canto, da particolari moti o abitudini peculiari, dai
luoghi di preferenza abitati ; ed in '^ soggettivi „, accrescitivi o diminu-
tivi, dedotti da base latina, francese o tedesca, ovvero provocati da
giudizi ironici o scherzosi sovra gli animali stessi. Questo il contenuto
della prima parte dello studio condotto con accuratezza e solidità di
metodo. Nella seconda parte poi l'Autore si è particolarmente occupato
di chiarire con finezza d'indagine come in alquanti nomi bergamaschi
e bresciani la denominazione femminile sia riserbata agli uccelli de' quali
non si rileva il sesso o per lo meno si rileva con difficoltà; la maschile
agli altri, per cui tale difficoltà non esiste. Questo fatto, sin qui inos-
servato, è messo in luce con molta dottrina, e ci pare oramai provato
in guisa da non concedere adito a dubbio veruno.
Alle due parti che abbiamo così rapidamente riassunte, segue un'Ap-
pendice nella quale il Bonelli si è piaciuto trattare vari argomenti che,
pure riferendosi al tema da lui svolto, non potevano entrare direttamente
nel testo. Noi troviamo qui alcune riflessioni sulla importanza grande
che alla caccia si è sempre dato in Lombardia (una nota a p. 68 già
toccava delle antiche consuetudini venatorie nel Bresciano); sovra la
scarsa conoscenza dell'avifauna in Sicilia ed in Sardegna rivelata dai
nomi ornitologici (p. 85): sulla timidità del passero in Italia (p. 85):
sovra i nomignoli di merlo e cuco (p. 86); sulle otto voci del fringuello
e sulle interpretazioni del suo canto d'amore (p. 90); sull'epiteto di
* compare „ dato al rigogolo (p. 92); sulla facilità con cui i Francesi
hanno ritratto gorgheggi e abitudini di uccelli (p. 93); sovra il tordo
ed il suo chioccolìo (p. 95). Naturalmente intorno a parecchi dei sog-
getti trattati e talvolta accennati soltanto dal Bonelli in queste note
d'Appendice, molto si potrebbe aggiungere da chi volesse spigolare con
maggiore larghezza nel campo del Folklore non solo lombardo ed ita-
liano, ma anche europeo. Così, per cagione d'esempio, colà dove a pro-
posito dell'usignuolo, il B. emette l'opinione che in Italia non siasi
tentato mai dal popolo di spiegare il fatto singolare che, *^ quasi unica
' eccezione, mentre tutti gli uccelli dormono, „ l'usignuolo solo rompa
colla potente voce il silenzio notturno; si potrebbe rispondergli che la
cosa sta altrimenti che egli non pensi, giacché in Caprese (Toscana) i
contadini dicono che il rosignolo canta così:
Se la vita *an mi legasse,
Se la serpe 'un m^incaniasse,
Vorre' dormi* fin al di
Chiaro, chiaro (i);
(i) F. Cor AZZINI, Mazzetto di poesie popolari di Caprese^ Sansepolcro,
tip. Biturgense, 1883 (Nozze Pellegrini-Marchesini), p. 7. • Vita » sta
per ■ vite ^.
l86 BIBLIOGRAFIA
dove ci appaiono fuse insieme cosi la tradizione, viva pur sempre nella
Francia meridionale (i))Sul brutto tiro giocato dalla vitalba all'addormen-
tato cantore, come la leggenda ancor ricordata nell'onomatopea bre-
sciana, in cui all'usignuolo si fa dire : Dormarés ontéra, ma go póra di
bis, bis, bis (** dormirei volentieri, ma ho paura delle biscie «).
Abbiamo voluto far quest'osservazione non già per muovere rimpro-
vero al valente dott. Bonelli di non essersi allargato di più sopra cosiffatti
temi, che non toccavano direttamente (già Io dicemmo) il soggetto da
lui preso a trattare; ma solo per ricordare agli studiosi italiani come
il campo delle leggende popolari concernenti alla vita ed ai costumi
degli animali, sia quasi ancora inesplorato ed attenda chi con alacrità
e con competenza si accinga a dissodarlo.
(i) Il canto dell'usignolo ha dato, del resto, motivi a più altri ten-
tativi onomatopeici nella Francia. Per tacere qui della frase rudimentale
inserita nel Méraugis de Portlesguez^ dove è interessante l'allusione
all'effetto * magico „, che avrebbe prodotto su gli ascoltatori il canto
stesso (cfr. Histoirt litilrairt de la trance^ XXIa, 497), allegherò qui a
titolo di curiosità un brano del componimento dettato dal Pasquier
sopra i trilli dell'usignolo, e da lui inserito nelle sue Recherchés de la
France, lib. Vili, p. 635:
Il me calesse tantost
D' un tu tu^ puis aussy tost
Un tot tot il me begaye :
Ain«i d* amour mal mene
Le Rossignol obstiné
Dedans son torment s* esgaye.
Jc te requiers un seul don :
Tu' tu' tu' moy, Cupìdon ;
Tost, tost, tost, que jc m' en aillc.
Una trascrizione, oggi ancora ripetuta del canto dell' n^ienolo nella
Bassa Brettagna, è poi la seguente, che si legge riprodotta in KPTIITAAIA,
Recueil de documents pour servir à tètude des tradii. poPnL, Heilbronn,
gwd
, fou-
louillek.
APPUNTI E NOTIZIE
I Feliciìì Calvi. — Mosso da pietoso e gentile |
1 nob. dotL Gerolamo Calvi ha voluto raccogl
in un volume di 6g pagine ia-4 gr., elegantemente impresso dalla I
grafia Cogliati, i discorsi e le comraemorajtioni, cui diede argoment
deplorata morte dell'egregio suo congiunto D. Felice Calvi. Nel voli
noi leggiamo così le parole pronunziate in nome delia Società nostra
suo Vice-presidente nob. avv. E. Greppi sulla bara del Calvi, e quelli
Iresl che, come rappresentante della Commissione Araldica, proffe
conte L. Pullè, nonché gli addii dati all'amico dal conte E. Barbian
Belgioioso. Seguono quindi la commemorazione dettata dal Greppi
desimo ed inserita in quest'Archivio (a. XXVIIl), il discorso pronunc
a Parigi dinanzi alla Sociéti d'histoire diplomalique dal marchese di Bai
Montfcrral, quello detto nell'assemblea generale della Società Sto
Lombarda dal presidente prof. F. Novali; infine, quello recitato din.
al R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere dall'arch. L. Beltrami, £
somma un volumetto degno d'interesse, perchè la figura del compii
Uomo vi appare lumeggiata sotto i vari suoi aspetti con calore d'aff
e di stima da più valorosi. Cresce pregio al libro un finissimo ritr
rotocalcografico del Calvi.
.*, La Chiesa di Pescarenico. — La chiesetta di Pescarenico,
l'arte immortale d'Alessandro Manzoni ha reso nota a tutti ed a '
cara, facendone la scena d'un toccante episodio dei Promessi S
(cap. Vili), dovrebbe essere in omaggio alle brame dì non sappi,
quali pii vandali, distrutta, per cedere il luogo ad un pomposetto
flcio di stile composito tra il bizantino ed il lombardo. Contro qu
manomissione del modesto monumento è insorto con calda parol
un numero della Ltga Lombarda (25-26 luglio 1902) il valente eh
cela sotto il nome di C. D'Apricorta, nome assai conosciuto oggidì
trechè per altre cause, per lo zelo con cui chi lo porta attende a I
lare le memorie del nostro passato contro gli assalti dell' ignoranz
della barbarie presente. Noi ci uniamo volentieri all'egregio direi
della Lega Lombarda per protestare contro l'inconsulto progetto,
priverebbe il grazioso paesello di Lucia di gran parte del profumo |
tico che tuttora lo circonda.
l88 APPUNTI E NOTIZIE
/^ Lncino e la sua Pieve non appartengono a quei paesi che sono beati,
secondo un famoso paradossista, perchè non hanno storia; basta ricordare
la vittoria riportata dai milanesi contro il Barbarossa tra Carcano e Tas-
serà per escluderli da quella categoria. Ben fece dunque il rev. cano-
nico Venanzio Meroni a raccogliere le sparse file della storia incinese
in un elegante volumetto che pubblica l'editore Sandron {La pieve d'In-
aino o mandaminto (TErba^ Memorie storiche pel canonico Venanzio Me-
roni, con illustrazioni, Milano, Sandron, 1902). Precede un rapido cenno
riassuntivo esteso a tutta la regione briantea, scritto con garbo come
del resto tutto il libretto, ma non arricchito di notizie o documenti
nuovi; qua e là si accenna, ma solo di volo ad argomenti importanti,
tra* quali l'antica corografìa e la toponomastica. Seguono le notìzie
storiche e statistiche sulle varie parrocchie della Pieve, che solo con
S. Carlo cominciano ad essere frequenti e sicure; specialmente interes-
santi i dati relativi alle chiese e ai monasteri. Parecchi documenti in una
appendice d'importanza esclusivamente locale: visite pastorali, prospetti
del clero, statistiche varie.
.\ Un viaggiatore sconosciuto del secolo xv ? — Il Rohricht nella
sua Bibliotheca geographica Palestinae (i) non fa parola di un tal Gio-
vanni di Chateaubriand, che si dice fratello del vescovo di Chartres e
signore di Montpezat in Francia, il quale, negli anni 1456*62, intrapren-
deva un viaggio al Santo Sepolcro. I motivi e le peripezie di tale viag-
gio sono narrate nel memoriale che qui riportiamo, dettato dal viag-
giatore stesso in una sua sosta a Pavia, perchè fosse letto al duca di
Milano. Trattasi di un viaggiatore autentico o di un avventuriero cui
devesi prestar poca fede? È ciò che non sapremmo dire: ma il documenta
è curiosissimo e merita, in ogni modo, di essere conosciuto.
« Die XVIIIJ junij 1462,
e Memoria de enarrare a lo nostro Illustrìssimo duca de Milano el
« viagio ha facto monsignore Johanne de Castelo briante signore de
«( Monpesat in Cresi et la sua condicione.
e Dice prima de essere Signore del dicto Montepesat et de castelo
« Longevica in Pranza^ de Zampigij Castelo in Pranza, item de Casti-
< hon sul Logno flumen.
e Item dice che luy se partì de Monpesate sarano anni tri questo
(c augosto et alora era a li servicij del Signore Dalfìm, il quale era
«e tunc in desensione cum lo Re de Pranza suo padre (2), et per la dieta
(i) Chronologisches Verzeichniss der auf die Geographie dcs hei-
ligen Landes bezùglichen Literatur von 333 bis 1878, etc, Berlin, 1890,
(2) Dei gravi dissensi che corsero tra il re di Francia e il Delfino
trattò diffusamente il De Beaucourt, Histoire de Charles VII, Paris,
1881-91.
APPUNTI E NOTIZIE 189
desensione la magestà del Re reputava esso Monsignore Johanne
essere suo inimico, et per questo gli tolse tuto quanto teniva nel
Reamo de Pranza et Io fece presone et feceli pagare scudi vij milia
dove luy ritorna dal duca di Borgogna, et gli donò ij milia rides
d'oro et cum quelli dinari, si corno desperato se ritornò a Monpesate
da Madona sua madre et de lì se parti cum cavali vij cum disposi-
cione de andare al Santo Sepulcro, et essendo zonto in Lombardia
andò ad visitare il fratello a Mantua che fu facto Episcopo de Ciatres
per le mane del sancto padre chi era lì. Et presentando che il figliolo
del duca de Savolia (i) andava in Cipri per farse re de Cipri, per la
via de Verona, per ritrovarlo a Vinecia, se mise in nave a Mantoa
faciando la via de Ferara dove hebe grande honore da quello Si-
gnore et andò a Vinecia, lasando li cavali a Mantova al predicto suo
fratello, et li in Vineda se conzonse cum il dicto figliolo del duca de
Savoglia che andava per essere re de Cipri, et li zonso del mese de
octubre a di xviij dove stete in compagnia del dicto Re perfìn a xx
di de febrare, et poy cum li ambasatori del dicto re li quali andase-
veno al gran soldano per la confìrmacione del reame, andò prima a
Rodes et poy in Alexandria et poy al Cayro dovè era il gram Sol-
dano, et hebeno dal gran Soldano pocha recoglientia et mancho au-
dientia per lo bastardo del olim re de Cipri perchè lo bastardo dete
ad intendere al dicto gram Soldano che questuy che se faceva re era
gram signore in Italia et luy cum li compagni erano grandi signori
li quali erano più tosto venuti per avisare il suo payese per tolierge
el suo reamo che per altra cagione. Et poy lasando li ambasadori per
andare al suo viazo se ne andò cum altri peregrini a monte Sinay
ad visitare el corpo de sancta Caterina et de li ritornò al Cayro dove
ritrovò li dicti Ambasatori morti de peste, et de lì ritorno in Alisan-
dna et de lì in Cipri. Et de lì sentando che l'era gionta la galea de
peregrini se ne andò a Sancto Sepulcro cum li altri peregrini, et de
lì aadono a Damaso et poy a Baruti et ritornono in Cipri, et per
tua li soprascrìpti viazi consumò mesi vj et in el dicto loco de Cipri
stete per spacio de mesi uj et disponendosse di fare guerra cum molti
altri al Turcho se misse su la galea de Rodes acompagnata da molte
altre galee. Et arivando in Turchia desendando in terra per fare una
coraria dice che fu preso et fu venduto due fìate, Tuna per centose-
xanta ducati, l'altra per ducentovinti e stette cossi vinduto per spacio
de mesi vji.
« Et passato el dicto tempo fu contracambiato in uno altro cava-
lero turcho chi era presone ne le mane de miser fra Johanne Al-
leila Maniscalcho de Rodes, il quale sapeva de la presalia del dicto
monsignore Johanne perchè era ìii compagnia in una altra galea
quando fu preso.
(i) Cioè Lodovico di Savoia che fu poi re di Cipro.
190 APPUNTI E NOTIZIE
« Et essendo facto il contracambio sene vene a Rodeses et de li
<K ritornò in Cipri dove ritrovò il re essere reduto a Sibalon per la
(c guerra del bastardo de Cipri, et de li se ne reduse cum el dicto re
ce a Ghiarines dove stete continuamente cum el dicto re perfìn a dì
« xxvj del mese de mazo passato, e poy passando per lì una galea de
« Catelani habiando già habuto novella dal dicto Signore Dalfino corno
a era facto re, et che lo haveva facto primo Magistro de cassa secundo
(( le promisse gli haveva facto essendo Dalfino, se deliberò de montare
f< sulla dieta galea per repatriare, et essendo su la dieta galea ritornò
« a Rodes et cum bonaza del mare venene a Ortonamare dove descse
(c in terra a di xv de mazo dove ritrovò il signore Matheo da Capaa
a chi gli prestò li cavali per fi m a le terre del conte Antonio Caldore
s et li tolse a postura uno cavallo cum guida perfìn a PAquilla dove
ce stete giorni iiij^, et essendo lì il di de Sancto Bernardino dice che
« viste il populo tuto in arme cum alcune bandere et Gridando viva il
« re Raynero, et li comprò uno cavalo per ducati xxvij et se ne vene
a a Riete. Et partandosse da Rieti per vegnire a Roma fu spoliato per
« camino da soldati cum duy soy compagni perfìn in camisa dove gli
a fu robato il valsente de ducati CL et habiando ricorso in Roma dal
a duca de Urbino non poti bavere altro de la roba sua, et lì da uno seri*
a vam francese hebe in presto ducati mj** d* oro et se ne vene a Viterbo
a dove era la sanctitate del Sancto Padre, dove stete giorni vnj, et quj
« visitò lo reverendissimo monsignore cardinale da Rovane cum il quale
<t rasonando comprese che era molto turbato cum la Magiestà del re de
« Pranza perchè gli aveva tolto quatri boni benefìci] cioè la Abbadia de
(t Monte Sancto Michelo chi ha de portatis v milia ducati, la Abbadia
<K de Sancto Germano, la Abbadia de San Ciò, la Abbadia de Sancto
e Martino, le qualle tute havevano de portatis ducati xii milia. De inde
a sentì dal dicto monsiore lo Cardenale, et gli mostrò littera, corno il
< Cardinale Trabatensis era molto desdignato cum la Magestà del dicto
cr re et anchora cum il duca de Bergogna perchè se reputaveno essi
<c Signori bavere recente molte truffe vergognose dal dicto Cardenalc.
« Et poy se partì de li et vine a Sena et da Sena a Pisa per trovare
a le galeaze de Venesia per andare per aqua ad Aiguamorta in Pranza,
« ma non ritrovando convene vegnire per terra. Et li in Pisa vesitò lo
« ordene de Sancto Prancesco et prese cognosanza cum uno frato fran-
« cese chi è guardiano del loco de Preda Sancta, et il quale gli de in
a compagnia uno frato converso il qualle continuamente è venuto cum
<t luy in compagnia per fìn a Pavia. Et dice che lì a Pisa gli fu impre-
a stato dal dicto frate converso suo compagno ducati xij, et cum dicti
(c denari è zonto perfìn qui in Pavia, faziando il cammino per le mon-
a tagne de Modeneso et transitò per Parma per Piasenza et per Pavia
(t dove se ritrova, dicando che a Pisa recevi lo abito de Sancto Pranci-
a SCO per conservare la persona sua et per Consilio dil guardiano, per
<c tutella de la sua persona^ digando et affìrmando per suo sacramento
a che lui non è altramente messangiero de alcuno Signore, ne per altra
« cagione se no comò ha dicto de supra 9.
APPUNTI E NOTIZIE I9I
Il documento conservasi nel nostro Archivio di Stato, Carteggio
Sforzesco, 1462, giugno. Nessuu'altra notizia del Chateaubriand ci riuscì
rinvenire nel carteggio stesso.
A. Cappelli.
,% Il diluvio universale profetizzato per il 1524. — A tutti gli
altri malanni che nel 1524 infestarono il territorio cremonese (le altre
parti del ducato, il milanese compreso, non stavano meglio davvero), si
unirono durante il mese di febbraio piogge così torrenziali ed insistenti
che le acque del Po crebbero oltre misura e buona parte de' terreni
che circondavano la città rimase allagata. Le piogge ristettero quindi per
breve tempo ; ma il 21 di maggio ripresero con intensità anche mag-
giore e non s'arrestarono mai fino al 24, conservando sempre apparenza
di pauroso uragano. E di nuovo il Po ebbe ad uscire dal suo vastissimo
letto, innondando le campagne vicine (i).
Ad accrescere il terrore degli abitanti, già sgomentati da ogni sorta
di paurosi prodigi (2), alcuni astronomi sparsero allora la voce che
quelle piogge altro non fossero che i prodromi d'un nuovo diluvio uni-
versale, di cui stabilirono, poggiandosi a non sappiamo quali calcoli e
quali autorità astrologiche, l' immancabile effettuazione dentro un nu-
mero di giorni determinato (3). Ma, come troppo spesso succede ai prò-
(i) Vedi su di ciò la testimonianza sincrona di D. Bordigallo, Chro-
nica inedita in ms. Pallavicino (ora Resta), e. 371 a. E v. altresì Cavi-
TiLu Ludovici P. C. Annales, Cremonae, MDLXXXVIII, f. 283 a.
A. Campi» Cremona fedelissima^ Cremona, MDLXXXV, non parla né
punto né poco de' nubifragi del 1524; ed invece sotto l'anno 1527,
narrata la partenza da Cremona, ov era rimasto per otto mesi continui,
del duca Francesco II, avvenuta il 15 giugno, continua: '' L'istesso
' giorno che partì il Duca, cessò la pioggia che era incominciata fino
' al principio del maggio precedente, per la quale il Po crebbe più
'^ che si facesse mai a memoria d'huomini, e cagionò grandissimo danno
" per tutto questo Paese ; uscirono anche de' loro vasi l'Adda et l' Ollio,
" et in somma tanta fu l'innondatione dell'acque, che osarono alcuni
' imperiti professori dell'Astrologia publicare che havea a venire di
* nuovo il diluvio „, (Op. cit., e. 150). Il vedere ricordate qui le pro-
fezie che il Bordigallo, teste ben altrimenti fededegno, ascrìve nel 1524,
ed il silenzio che anche il Cavitelli serba sulle «pretese alluvioni del
1527, ci fanno nascere fondato sospetto che il Campi abbia commessa
qualche solenne confusione, e mescolati insieme fatti accaduti nel 1527
con altri ben più gravi verificatisi tre anni prima.
f2Ì Cfr. Cavitelli, op. cit,, e. 278 b, 283 a, ecc.
(3) Ecco quel che in proposito scrive il Bordigallo : ** De hoc mense
' februarìi nonnulli Astronomi insensati, fìrmiter tenentes eorum iu-
" dicium aquarum de diluvio in terris venturo certis diebus limitatis,
" sexdecim ex siderìbus insimul regnantibus hoc mense secundum ali-
' quorum doctorum non bene intellectorum dieta, in urbe et de malis
' diversis hoc mense venturis multaque alia predicaverunt ; in quo
* profecto vehementer erraverunt ; eorumque stulticias apud sapientes,
" temporibus mutatis venientibus contrariis, demonstrantes, ilusi reman-
* serunt etc. „ Chron, cit., e. 371 b.
192 APPUNTI E NOTIZIE
feti.... anche moderni, il termine fissato passò senza che la minacciata
catastrofe avesse luogo. Come si capisce, passata la paura, i begli
umori, che non mancavano nemmeno in que' tristissimi momenti, vol-
lero divertirsi alle spese degli scornati Tolomei, degli Alfagrani da
strapazzo ; ed uno di loro diede fuori sull'argomento tre vivaci sonetti,
i quali piacquero così al buon notaio e storico cremonese Domenico
Bordigallo, ch'ei si affrettò a trascriverli nelle gravi pagine della sua
Cronaca universale. Da essa vogliamo esumarli oggi, che pur troppo
cataclismi più gravi e spaventosi hanno pòrto occasione ad altri suc-
cessori de' vecchi astrologhi non più di loro felici ne' paurosi pronostid
di sfoggiare una scienza altrettanto vana. I Falb ed i Flammarion pos-
sono però consolarsi dei disinganni incontrati, riflettendo che la vita è
stata sempre dura per i profeti !
Ma non più parole. Ecco i sonetti:
I.
Sonetus in Astronomos insensatos (i).
O erigite caputa viri christtaniì
O gran sentenza, devia Tacuino!
O ve' che noi levanio il capo al vino,
4. Como fan per le stufTe i Lancemani ì
Chi possedè ora il ciel, spirti inhumani ?
Svila, Mario, Mesenzio e Saturnino?
Donche non ha più il regno alto e divino
8. Et più non rege Chrìsto i corsi umani ?
Ponete in del dui gambari, un montone,
Un becco, un'urna, un arco, una saetta,
Una bilanza, un ludo, un scorpione ;
12. Perchè non gli agiongiete una civetta
E un barbagiani, pazzi da bastone,
Anzi da ceppi, da cateiu et celta /
Ch'yn ciel fatte una setta
16. Di stelle, ladri, et volete ch'i segni
Sian dodesi per far vostri disegni.
Et sete de error pr^[ni.
Che son s^;nati in li statuti hebrd
20. Dodece niillia et non due volte sei.
Et son beati et dd,
Non falsi ingannator, corno voy sed,
Che'l cxeX de errori e il mondo pieno aveti.
(i) • Igitur contra hos de diluvio astronomos errantes et sccrcU
■ Dei perquirentes predicereque ut profete et arioli volentes et atem-
* ptantes, soneta infrascripta seu Carmen (sic) in ipsos factos capias,
• mi lector. ^ Chron. cit, loc. cit.
I. I. Questa frase era forse il principio della Profezia dì cm si
burla PA, a. Gx/. devini. 3. Cod. Ove noi che. 4. Lancemani = 1 1^^
5. Cod, spiriti. 14. et cctta r et caetera. 22. Cod, siete.
APPUNTI E NOTIZIE
In Msdem Astronomos sgnetnm ut saprà,
Son cODgr^ati tutti li Pianeti
Per far l'Europa et l'Asya in gelatìna;
Chi v'ha insegnato quest'alta doctrìna,
4. E fatto più bugiardi che i poeti ?
Astrologi voi sete et non propheti.
È forse in ciel Cethego et Catclina,
Che siano intenti al sangue et a rapina,
8. All'avaritia, al or, corno voy seti ?
11 Sol dà luce et vita ; Vener beila
Col suo Tilal calor salda la terra ;
Giove è benigna et gratiosa stella.
II. Mane fa corpi excelsi e arditi io guerra,
Mercurio ha la eloquenda per sorella.
La Luna guida l'acque unde vaga erra :
^pre Saturno et serra
16. La porca di consiglio et dì prudenza
Et di senno, valore, virtù, scienza.
Qfiesta è vera sentenza :
In del non son discordie, liti e mali :
10. Ma son tutti i sue» lumi almi e vitali.
Ponetevi gli occhiali.
Et guardate la nocte il mappamondo
Et vedcrete perchè l'o è ronondo.
III.
In eosdem Astronomos sonetun.
Caccio I questo t il diluvio universale!
La pitela et grandri, i venti e le procelle,
Gli terremoti che quassan le stelle
4. Minaccian morte a ogni homo, ogni animale.
O capì scemi, e zuche senza sale 1
Qjiesti vostri Astrolabi son patelle ;
Le sfere balle da far magatelle,
8. Il quadrante è una pentola, un bochale.
Le tavole son mense apparecchiate
Ove voi vi calcali i buon bocconi.
Formando le figure in le frittate,
11. Poi demonstrati a certi farfalloni
Rose net ghiaccio, il ghiaccio nell'estate,
I giorni sfortunati, i lieti et boni.
Cuius, cuia, cojoni,
II. 4, Cod. bugiardo. 7. Coti, omelie a. 8. Cod. al ori. 9. Co
Te. IO. Cod. calore. 19. Cod. liti né mali. 23. Cod, vedrete.
IlL IO. Cod. omelie voi. 11. Cod. frittade. 13. Cod. nel gìacio.
Arch. Star. Lomh,, Anno XKIX, F»»c. XXXV.
APPUNTI E NOTIZIE 195
TÌamo di pubblicare in successivo fascicolo maggiori notizie, con l'elenco
delle sezioni e dei temi: avvertiamo intanto che le iscrizioni sono riaperte
in Roma presso la Segreteria del Congresso (Via dei Greci, i8).
/^ Concorso a Premio. — La Società Bibliografica Italiana, dopo il
grave lutto che la colpi con la perdita del suo amatissimo e benemerito
presidente sen. Pietro Brambilla, mancato ai vivi il a8 maggio 1900, vo-
lendo onorarne la memoria in forma durevole e degna di lui e della So-
cietà, aprì un Concorso a premio per un'opera bibliografica. Nessuno dei
lavori presentati alla prima gara, che scadeva il io novembre 1901, parve
meritevole del premio; perciò la Società rinnova, con più largo pro-
gramma, il concorso, al quale potrà prendere parte chiunque presenti :
a) una monografia inedita intorno ad una cospicua collezione pub-
blica 0 privata (ma in questo caso però accessibile allo studioso) di codici
manoscritti/ ovvero
b) una monografia inedita che descriva una collezione non meno
importante di stampati antichi, siano questi collegati insieme dal vincolo
della comunanza del soggetto che trattano o da quello delf identità d'ori*
gine tipografica; oppure
e) una monografia inedita destinata a recar esatta notizia di quanti
scritti illustrino la vita e le opere d'un grande poeta o prosatore italiano
fiorito in età anteriore al sècolo XIX,
U premio è di Lire Cinquecento) e sar4 conferito sul giudizio di una
commissione nominata dalla Presidenza, la quale riferirà entro il mese
di settembre 1903.
I manoscritti dovranno giungere, franchi di spesa, alla Presidenza
della Società Bibliografica Italiana, presso la Biblioteca di Brera in Mi-
lano, non più tardi del 31 luglio 1903.
II premio sarà pagato al vincitore del concorso dopo la consegna
di sei esemplari a stampa dell'opera. Ma il volume dovrà accogliere a
stampa, dopo il frontespizio, una breve commemorazione dell'Illustre
Uomo al cui nome è intitolato il concorso, ornata del ritratto di lui a
cura della Presidenza della Società.
196 APPUNTI E NOTIZIE
NECROLOGIO
Il giorno 9 di luglio s'è * finalmente „ spento in Verona Luigi
Alberto Ferraj, eh* era stato un tempo tra i più attivi e benemeriti
membri, onde la Società nostra si pregiasse» uno de' più autorevoli ed
indefessi collaboratori dGÌV Archivio. Abbiamo detto * finalmente s'è
" spento „, giacché, da anni parecchi. Egli non era pur troppo più che
un tronco il quale sentiva e penava, ma da cui la favilla animatrice
erasi sventuramente involata. Così, in maniera di cui non si può fuori
di dubbio immaginare la più dolorosa per uomo avvezzo alle battaglie
dell'idea. Egli ha lasciato l'esistenza, esistenza divenuta oramai penosa,
inutile, intollerabile^ poiché nulla più cooperava a lenirne lo scorrere
increscioso.
Povero Luigi ! Chi scrive l' aveva conosciuto poco più che ventenne,
in quegli anni ne' quali dopo avere compiuto il corso degli studi uni-
versitari e conseguita con onore la laurea in lettere e filosofia in
quell'Ateneo padovano, dove risuonava calda e sonora da più lustri la
voce di suo padre Eugenio, celebrato ellenista. Egli si accingeva calmo
e fiducioso alla conquista dell'avvenire, che gli si presentava lieto
delle più allettatrici promesse. Giovine d'elegante presenza, di linea-
menti regolari, con occhi neri e penetranti, da cui traspariva la viva-
cità dell'ingegno, di modi squisitamente cortesi, mite, benevolo, egli si
guadagnava subito le simpatie: appena ci si conobbe, si fu amici. Sco-
laro del De Leva e ben determinato fin d'allora a dedicarsi tutto alle
discipline storiche, Egli aveva presentato come tesi di laurea al vene-
rato maestro uno studio sovra il principato di Cosimo I de' Medici, che,
lievemente ritoccato, venne quasi subito dato alla luce dall'editore
Zanichelli; e di questa sua prima fatica, condotta coli' aiuto de' docu-
menti contenuti negli archivi fiorentini, la critica s'era occupata con
molta benevolenza, non tacendone i difetti, soprattutto formali, ma lo-
dandone insieme con rara serenità i pregi, e bene auspicando al gio-
APPUNTI E NOTIZIE 197
vine studioso. Di questa benignità che altri giovini non esperimenta-
rono agli inizi loro, £i si sentiva felice. Furon quelli, torno a dirlo, i
suoi be' tempi; i soli veramente avventurati e tranquilli. Richiamato,
dopo un breve esilio a Lucerà, nell'Italia superiore, destinato al Liceo
di Cremona, egli vi trascorse anni non pochi studiando col solito amore,
mentre pur attendeva con sollecito zelo all'insegnamento, i soggetti
che più l'attiravano : la storia fiorentina del cinquecento e le vicende
cosi poco chiare in allora del movimento riformistico nella penisola.
Fra i campioni dell'eresia uno soprattutto s' era conciliato il suo inte-
resse: il capodistriano P. P. Vergerio, figura complicata, personaggio
ambiguo e misterioso, di cui il Ferra j s'era proposto di raccontare le tra-
versie; il che fece in una pregevole monografìa accolta ncìV Archivio sto-
rico itaiiano; ed illuminare i riposti penetrali dell'animo esagitato. £d
accanto al riformatore, divenuto libellista, amò studiare un altro ribelle :
quel Lorenzino de' Medici, frutto putrido della pianta tanto rigogliosa in
vista per amenità di fronde e di fiori dell' italica Rinascita, che oscillò a
lungo tra Armodio ed Alcibiade, e non seppe essere né l'uno né l'altro.
Preparato con lunga fatica, il volume sopra l'uccisore del duca Alessandro
uscì fuori nel 1891 per cura del nostro Hoepli, a cui già tanto debbono
gli studi e da cui tanto sperano ancora; e fu libro solido ed elegante,
insieme; quadro geniale e rigorosamente fedele ad un punto della vita
italiana in quel periodo che vide la virtù ed il vizio elevarsi contempo-
raneamente ad altezze che nel mondo cristiano non avevano mai prima
d'allora raggiunte, né raggiungeranno più mai.
L'apparizione della geniale e nudrita opera sovra Lorenzino de'
Medici giovò efficacemente a dischiudere al Ferraj la via all'insegna-
mento superiore, cui Egli, quasi per gentile ossequio a nobile tradizione
familiare, aspirava con tutto l'ardore. Apertosi difatti nel 1892 il con-
corso per la cattedra di storia moderna nell'università di Messina, £i
vi prese parte e ne uscì vincitore. A tener degnamente l'ufficio erasi
del resto Luigi venuto preparando anche con studi più severi e in ap-
parenza più aridi di quelli fin qui rammentati. Cedendo alle amorevoli
istanze di qualche amico fidato, Egli aveva di fatti riconosciuta la ne-
cessità di non restringere l'ambito delle proprie ricerche ad un solo
perìodo storico, per quanto questo fosse rilevantissimo, ma di sforzarsi
altresì a penetrare meglio che non avesse fatto fin allora dentro l'età
medievale e di cimentarsi all'opera faticosa ma salutare di pubblicare
ed illustrare testi antichi. Invitato dalla Società nostra a mettere mano
per i Fonti della storia d'Italia^ di cui, auspice V Istituto Storico Italiano,
s'era da poco iniziata la stampa, ad una seconda edizione della Hi'
storia di Giovanni da Cermenate, il Ferraj s'accinse con ogni zelo a
questo lavoro, che doveva essere l'indizio d'una nuova orientazione dei
suoi studi. La necessità di conoscere davvicino il mezzo in cui aveva
fiorìto il notaio milanese, emulo di Albertino Mussato, obbligò difatti il
suo novello Editore ad esplorare con cura il campo fin allora tanto
mal conosciuto dell'istoriografìa milanese de' sec. XIII e XIV. Le prime
igS APPUNTI E NOTIZIE
indagini da lui tentate bastarono a infondergli la persuasione che quel
terreno, quasi abbandonato, poteva, ove una mano esperta ed amorosa
s'accingesse a coltivarlo, recare una messe non meno doviziosa che ina-
spettata : di qui le monografie, accolte con favore dagli studiosi, che il
Ferraj diede successivamente alla luce sovra gli Annales MediolantnstSf
Benzo d'Alessandria, ed infine su Galvano Fiamma. Ma qui £i non doveva
arrestarsi. Datosi a ricercare le fonti, delle quali il frate domenicano s'era
giovato per mettere insieme i suoi storici zibaldoni, ammasso di sabbie
dove non mancano però le pagliuzze d'oro; l'acuto indagatore vide
aprirsi dinanzi un altro campo non meno attraente e poco o ponto
percorso da studiosi recenti: quello cioè de' testi donde deriva la co-
gnizione del periodo più agitato ed oscuro della storia milanese nel-
l'alto medio evo. Tale fu l'origine dei saggi che il Ferraj andò pub-
blicando tra il 1893 ^^ >1 1^ nel BulUttino dell'Istituto Storico Italiano ed
anche altrove; saggi ne' quali forse il nostro compianto Amico s'affidò
talvolta con confidenza forse eccessiva al suo critico acume. Essi hanno
per vero dato materia a vivaci polemiche; e ciò ben si capisce. Trattare
della storia ecclesiastica e civile di secoli tanto remoti ed oscuri quali
sono il X e 1' XI, è impresa che esige un apparato di scienza diploma-
tica, filologica, paleografica, e vorrei aggiungere giuridica e teologica, ad-
dirittura gigantesco. Mille problemi s'affacciano, pullulano, s' intrecciano,
a sciogliere i quali nemmeno basta la dottrina; occorre anche intui-
zione somma disposata a singolare cautela. Di niun terreno come di
questo si può dire col vecchio Orazio che chi vi s'avventura vede
sprizzar improvvisa la fiamma sotto le ceneri ingannatrici. Non sempre,
se crediamo a taluni, il Ferraj fu cauto abbastanza; a scusarlo valga
però l'onestà sua scientifica, superiore ad ogni sospetto, e quell'amore
disinteressato del vero che rende perdouabiU anche gli errori.
Sparito sul cadere del 1895 ^^^^ glorioso campione degli studi sto-
rici italiani ch'era stato Giuseppe De Leva, parve agli illustri coUegfai
suoi deiruniversità dì Padova, che niuno potesse succedere più degna-
mente a lui che il Ferraj non fosse; il Ferraj, dopo Carlo Cipolla, es-
sendo il più valoroso discepolo uscito dalla scuola storica padovana.
Così Luigi Alberto fu chiamato a coprire il seggio del compianto Mae-
stro. Quanta compiacenza destasse in lui l'attestato solenne di stima
datogli dalla Facoltà patavina, non è agevole dire. £i ritornava, grazie
ad esso, rivestito del più nobile ufficio nella città dove aveva vissuto
tanciullo, tra coloro che gli erano stati maestri e compagni, accanto agli
amici più fidi, nel seno della famiglia che adorava. Egli era giunto in-
somma al colmo de' suoi voti, quando scoppiò repentino il turbine che
doveva annientare la felicità sua, distruggere con cieca ferocia l'edifizio
tanto faticosamente innalzato.
Sorvoliamo su questo tristissimo episodio. Colpito da crisi nervosa
che gii tolse per qualche tempo la signoria di sé stesso, il povero Ferraj
parve dopo lunghi mesi, nel corso de' quali suo padre, mal reggendo
a lo strai io provato, aveva dovuto soccombere, ricuperare colla salute
APPUNTI E NOTIZIE I99
la lucidità dèli' intelletto. Ma era miglioramento apparente, passeggero.
Pur troppo, ben presto le sue forze tornarono a declinare, V intelligenza
sua ad oscurarsi. Egli dovette abbandonare definitivamente la scuola.
Questi ultimi anni passarono così, nel silenzio, nell'obblìo. E la morte,
che ora l'ha definitivamente tolto ai suoi cari, non può essere lamen-
tata. Giammai Thanatos è apparso sotto sembianza più divina, il solo,
vero e grande consolatore (i).
Povero amico ! La tua sorte è stata ben tragicamente triste. Chi ti
ha conosciuto in altri tempi, bello, buono, gagliardo, chi fu tuo amico,
chi condivise i tuoi sogni e assentì alle tue speranze, chi t' incorò a
procedere franco per il cammino che ti eri prefisso, ad onta delle spine,
dei sassi che non mancavano d' insanguinarti e ferirti il piede ; ora che
ti scorge caduto, mentr'egli avanza triste e solo oramai per la via se-
gnatagli dal destino, non può che inviare un addio doloroso alla tua'
memoria, un addio in cui rivive tutto l'affetto antico, ed in cui palpita
un segreto senso d'invidia....
F. N.
SCRITTI A STAMPA DI L. A. FERRAJ
1. Cosimo ài Medici duca di Firen{e, Saggio, Bologna, Zanichelli, 1882, in-8,
PP- 552.
2. Dilla supposta calunnia del Vergerlo contro il duca di Castro in Archivio
storico per Trieste, f Istria e il Trentino, voi. I, fase. 5, 1882.
3. La giov.ni{ia di Loren{tno di Medici in Giornale storico della letteratura ita-
liana, voi. II, 1885, 79-112.
4. Pier Paolo Vergerio a Padova in Archivio storico per Trieste, T Istria e il
Tftntino, voi. II, fase. 1, 1885.
5. Recensione dell'opera : P. Villari, N. Machiavelli e i suoi tempi in Giornale
storico della letteratura italiana, voi. I, 1885, 1 12-120.
(i) I funerali del compianto Ferraj ebbero luogo in Padova il 12 lu-
glio, e furono onorati dall'intervento del Rettore dell'università e di
molti professori. Sulla bara pronunziarono commoventi parole il profes-
sore E. Teza, in nome della Facoltà di filosofia e lettere^ il prof. Po-
lacco ed uno studente. I discorsi loro si leggono riprodotti nel giornale
li Veneto^ corriere di Padova, a. XV^ n. 190, 12 luglio 1892. Un'affettuosa
commemorazione dell'Estinto ha pur mserita ncìV Archivio storico italiano^
Serie V, to. XXIX, Disp. II, l'illustre prof. Nino Tamassia, amico no-
stro carissimo. Ed un cenno non meno affettuoso è apparso anonimo
nel Giornale storico della letteratura italiana, XL, 1902, 288.
200 APPUNTI E NOTIZIE
6. P. P. V$rgmo al TrihunaU dilla 5. Inquisiiiom, Nuovi documenti ilhtsttad,
Cremont, Groppi, 1884, pp. iS. [Saggio, tirato a pochi esempiirì, di on
lavoro in prq>arazione sui Vergerio, del quale si reca l'indice].
7. Littifi di Ccrtigiam del sec. XVI, Prato, Giacchetti, 1884, in-S, pp. 85
(Disp. 9 delle OpirttU inedite 0 rare pubblicate dalla Libreria Dante w
Firenze),
8. Documenti relativi al processo di Pier 'Paolo Vergerio in ^Archivio storico ita-
liano, to. XVI, Disp. V del 1885.
9. Lettere inedite di Donato Giannotti in Atti del %. Istituto veneto di sciM{t^
lettere ed arti, Serie VI, to. Ili, Venezia, 1885.
IO. Lettere inedite di Vincenzo Monti a Fortunata Sulgher Fantastici in Giornali
storico della letteratura italiana, voi. V, 1885, 570-402.
IX. Margherita di Navarro e madama d'Etampes in Nuova Antologia^ voi. VI,
fase. XXIV, Roma, 1886.
12. Vincenzo ^onti e D, Sigismondo Chigi in Giornale storico della letteratura
italiana, voi. Vili, 1886, 259-267.
15. Lettere inedite di Gian Domenico Stratico a Fortunata Sulgher Fantastici, Pa-
dova, Salmin, 1887, Nozze Amadei-Porro.
14. Recensione dell'opera: A. von Druffel, Monumenta Tridentina, Mùnchen,
1887, in Archivio storico italiano, Serie V, to. 1, Disp. I del 1888.
15. La Istoriografia Italiana e la Società del Rinascimento, Prelezione ad un corsa
libero di storia moderna tenuta nella R. Università di Padova il giorno
25 febbraio 1888, Milano, Bortolotti, 1888, pp. 28.
x6. Recensione dell'opera : A. Medin, La resa di Treviso e la morte di Cangrande !
della Scala in Giornale storico della letteratura italiana, voi. X, 1888, 254-58.
17. Historia Johannis de Germinate notarii Mtdiolanensis, ecc. Nuova edizione,
Roma, tip. del Senato, 1889, in 8 gr., pp. XLv-165 in Fonti per la storia
d'Italia, Scrittori, sec XIV.
18. 'Benio d'Alessandria e i Cronisti milanesi del sec. XIV in Bullettino delt Istituti
Storico Italiano, n. 7, Roma, 1889.
19. Bentii Alexakdrini di Mediolano Civiiate Opusculum ex Cbronico eiusdem a-
corptum in Bullettino delV Istituto Storico Italiano, n. 9. Roma, 1889.
20. GU ultimi studii sui Carmagnola in Archivio storico lombardo, a. XVI, fa-
scicolo IV, 1889.
21. Le Cronache di Galvano Fiamma e le Fonti della Gahagnana in Bullettino
delf Istituto Storico Italiano, n. io, Roms, 1890.
22. GH « Annales Mediolananses » e i Cronisti Lombardi del sec. XIV in Ar- *
cbivio storico lombardo, a. XVII. fase II. 1890.
APPUNTI E NOTIZIE 20I
2}. Eurico VII di Lussemburgo i la Repukhlica Vtmta in Rivista storica italiana^
yol. Vn, fase. IV, 1890.
24. Recensione dell'opera : A. Gabrielu, Epistolario di Cola di Rienzo in Gior-
nale storico dilla letteratura ilaliana, voi. XVI, 1890, 401-406.
25. Recensione delFopera ; F. T. Perrbns, Histoire de Florence, depuis la domina-
tion des Midicis jusqu'à la chute de la République (14} 4-1^^1) to. Ili, 1890,
in Archivio storico italiano, Strìt V, to. VII, 1891, Disp. III.
26. Recensione dell'opera : B. Fontana, Renata di Francia duchessa di Ferrara,
Roma, Forzanì, 1889 in Rivista storica italiana, voi. VII, fase. I, 1890.
27. Loren^ino de' Medici e la Società Cortigiana del Cinquecento con le Rime e le Let-
tere di Lorenxino e un'appendice dì documenti, Milano, Hoepli, 1891,
pp. xvi-485.
28. Rime Storiche del sec. XVI in Nuovo archivio veneto, to. I, pane I, Venezia,
1891. [In collaborazione con A. Medin].
29. Recensione dell'opera: G. Sommerfeldt, Zur Lebensgesehichle des loh. de
Certnenate. Freiburg. 1891 in ^Rivista storica italiana, voi. Vili, fase. III,
1891.
)o. // « De Situ urbis Mediolanensis n e la Chiesa ambrosiana nel sec, X, in
'Bullettino delP Istituto Storico Italiano, n. 11, Roma, 1892.
31. Gli annali di Da^io e i Patarini in Archivio storico lontbardo, a. XIX, fa-
scicolo III, 1892.
32. Studii Storici, Padova- Verona, Drucker, 1892, in-8, pp. 370.
Contiene: I. Enrico VII di Lussemburgo e la Repubblica Veneta, II. Gii
ultimi studi sul Carmagnola. III. Per la storia della Riforma in Italia :
a) P. P, Vergerlo e P. L. Farnese ; b) // processo di P. P. Vergerio ; e) Gli
eretici di Capodistria ; d) Bern, Tomitano e ì* Inquisizione. IV. Nicolò Ma-
chiavelli e i suoi tempi di P. Villari. V. La democrazia fiorentina e Nicolò
Machiavelli, VI. Margherita di Navarra e madama d'Etampes, VII. Di al-
cuni appunti di A. Curlier a • La démocratie en Amérique » del Tocqueville,
33'^ patrimjnii delle Chiese di Ravenna e di Milano in Sicilia, Nola-Messina,
tip. d'Amico, 1895. pp. 24.
34- // Processo storico della Chiesa Romana nel Medio Evo, Prelezione tenuta nella
R. Università di Messina il giorno 17 gennaio 1894, Roma, tip. del Se-
nato. 1894, pp. 27.
35- I fonti di Landolfo Seniore in 'Bnllettino dell'Istituto Storico Italiano, n. 14,
Roma, 1894.
36. Lt « Vitae Pontificum Mediolanensium » ed una « sylloge » epigrafica del
sec. X in Bullettino dell* Istituto Storico Italiano, n. 16, Roma, 1895.
Q02 APPUNTI E NOTIZIE
37. Per una raccolta di « Mùnumcnia Mcdiolammla auiiquiisimm ■, Rdarioie
al vice-presidente deiU Società Storica Lombarda. La noooHu, di ari fi
si ragiona, era stata approvata e già s'era dato mano a pubblicacla» ^naodp
la malattia del F. venne a scompigliar ogni cosa : in BulleiHma ifJf/sfìMIi
Storico Italiano, n. 14, Roma, 1895.
38. Al critico degli « Analtcta Bollandiana » in 'BulUttino ddF IstUmU Slrnm
Italiano^ n. 16, Roma. 1895,
39. Recensione dell'opera : G. D2, Lbva, Storia documimiata di Cork V, ia c&h
relazione air Italia, voi. V, Bologna, 1894 in Archivia stoHea itoMana, Se-
rie V, to. XIII, Disp. II del 1895.
40. Commcmoraiiom del prof, Giuseppe De Leva letta nell'aula magna deUa Re|ii
Università di Padova il giorno 20 gennaio 1896, Padova» tip. Baiufi, 189^
pp. 38.
41. Lettere inedite di Lesbia Cidonia a Fortunata Sulgber Fantastici^ Padova, di-
lina, 1896, Nozze Tamassia-Centazzo.
42. Recensione dell'opera : P. Villari, N. Macbiavedli e i suoi tempi, 2.*
in Giornale storico della letteratura italiana, voi. XXIX, 1897, 477-481.
Il x>^^>^<^^X>^
Non può essere scritto davanti ai nostri soci il nome di questa
famiglia patrizia senza suscitare una folla di ricordi che le danno un
posto a parte, anche in mezzo ad altre, pur nostre, e pur celebri. La
famiglia Trivulzio è fra le più illustri d'Italia, potendo essa vantarsi di
aver fornito alla patria numerosi e celebri personaggi, valenti in armi,
in diplomazia, in scienze, in lettere, in arti, in religione, che fin dal
secolo XII si vedono figurare come membri dei Consigli generali e
prendere parte attivissima alTamministrazione della cosa pubblica mi-
lanese.
Mescolata, specialmente nei secoli XV e XVI, in tutte le gueire
che afflissero l'Italia ebbe gran numero di guerrieri, condottieri e ca|^-
tani, dando in Gian Giacomo e Teodoro due marescialli alla Frauda.
Forni alla Chiesa quattro cardinali, molti vescovi, moltissimi prelati
Benemerita altresì la famiglia per le sue beneficenze : il Luogo Pio
APPUNTI E NOTIZIE 203
Trìvulzio ne è splendida prova. Nota per il suo patriottismo; il nome
della principessa Cristina Trivulzio Belgioioso s'impone da sé solo.
Questa famiglia ebbe mai sempre culto speciale per le lettere e
per le arti; prescindendo dagli Sforza un solo nome ricorre costante-
mente nella storia dell'arte milanese, quello dei Trivulzio, loro nemici (i).
A porre in sodo quest'amore tradizionale pei libri ed i lette-
rati non mancano documenti, ed i fatti parlano abbastanza eloquente-
mente. Conosciamo gl'inventari dei libri di Carlo, Gaspare e Renato I
Trivulzio degli anni 1480-1498. Il grande maresciallo « qui nunquam
« quievit », come dice l'epigrafe in S. Nazzaro, trovava in mezzo allo
strepito delle armi il tempo di raccogliere libri e proteggere artisti quali
Leonardo da Vinci, il Bramantino. Passando per Renato II che chiamava
quei meravigliosi frescanti che furono i Campi a dipingere le sale del
suo castello di Formigara (2), per il marchese Teodoro Alessandro,
capo della Società palatina, alla cui saggezza l' Italia va debitrice se l'im-
presa stampa degli scrittori delle cose sue giunse a compimento (3), ed
il suo fratello, l'abate Carlo, raccoglitore indefesso di codici, di libri, di
smaltì, di avori, di vetri (fra' quali il celebre diatrete), di monete, di
armi, di quadri, di stampe e d'ogni genere di preziosità, fino al marchese
Gian Giacomo, filologo e dantista insigne che in Milano nel principio
del secolo XIX non ebbe pari nel dar favore ai letterati; giungiamo al
marchese Giorgio, padre del gentiluomo di cui deploriamo la perdita ;
tutti intenti ad accrescere questa dovizia di cimeli preziosa per l'arte,
preziosa per la storia, preziosa per Milano e V Italia.
* »
Gian Giacomo Trivulzio nacque in Milano I'8 giugno 1839 dal mar-
chese Giorgio Teodoro Trivulzio (1803-1856) e dalla marchesa Marianna
Rinuccini (1813-1S80). Il padre, non indegno della valorosa falange del
patriziato lombardo, che a' tempi dell'odiosa dominazione austriaca aveva
prestato braccia e ricchezze alla generosa causa del risorgimento nazio-
nale, col popolo e pel popolo fu al suo posto nelle memorabili Cinque
Giornate. Capitano della Guardia Nazionale della parrocchia di S. Ales-
sandro, da lui organizzata assumendosi volonterosamente sacrifici in-
genti, nell'accompagnarc sino alle barricate di S. Celso il parlamentario
austriaco onde liberare dal Collegio di S. Luca gli alunni ivi rinchiusi,
veniva a tradimento colpito da una palla di fucile nella coscia sinistra;
« ferito all'austriaca », cioè a tradimento, come sinceramente condolen-
dosene gliene scriveva da Londra ai 25 aprile 1848 Antonio Panizzi, il
patriota modenese, ben conosciuto, il dotto direttore del Hritish Mu-
(lì Muntz E., Varie italiana del qualtrocento^ Milano, 1894, p. 179.
(2; Cfr. G. Porro, Catalogo dei codici mss, della Trivulstana, To-
rino, 1884; E. Motta, Libri dt casa Trivulzio nel secolo XV, Como, 1890.
(3) L. Vischi, La Società Palatina, in quest'archi vio, a. VII, 1880.
APPUNTI E NOTIZIE 205
Dopo d'aver cosi servito la patria, essendosi anche distinto nelle
guerre contro il brigantaggio che infestava il Napoletano, smessa la
brillante uniforme dell'ufficiale di cavalleria, il Trivulzio, rientrato
nella sua Milano potè dedicarsi con tutto Pamore alle tradizioni fami-
gliari, colla passione di gentiluomo di squisito gusto artistico, secon-
dato in questo dalla madre ancora vivente. « Qui » — come ben disse il
senatore Negri, che co^ì tragicamente doveva seguirlo a breve di-
stanza : « egli è stato propriamente un continuatore delle più belle tra-
« dizioni italiane. Dagli avi egli aveva ricevuto un Museo d'arte che
«sta fra le più preziose raccolte private del nostro paese, ed una bi-
«bliotecache è famosa in Europa. Ora, non solo egli volle conservare
« il tesoro inestimabile che gli era stato trasmesso, ma seppe, con gravi
«sacrìficii, arricchirlo e completarlo con l'intelligenza sicura che viene
«dal gusto quando è affinato dall'amore delle cose belle e dalla con-
«tinua, e, direi quasi, famigliare convivenza con esse. Il Trivulzio
« amava tanto gli oggetti preziosi raccolti nelle sue sale, quegli oggetti
<(che gli parlavano degli splendori del Rinascimento italiano che egli
« ci viveva in mezzo, ed aveva fatto del suo museo la sua casa, la sua
«dimora prediletta (i) ».
All'incremento della sua biblioteca notevolmente contribuì con nu-
merosi acquisti di libri, tra cui le rarissime edizioni della Divina Com-
media per cui si può oggi dire forse unica ad avere la raccolta completa
degli incunaboli danteschi, l'ordinamento con fine gusto eseguito del-
Vappartamento che vi accede, in questo egregiamente coadiuvato dal-
l'amico suo ing. E. Allemagna, il concentramento in S. Alessandro di
tutta la preziosa libreria Belgioioso, pervenuta in famiglia pel suo ma-
trimonio colla principessa Giulia di Barbiano di Belgioioso (1864) che
gli sopravvive in tristissime condizioni di salute. Alla Biblioteca, che
andava sempre più attirando l'attenzione degli studiosi nostri e stranieri,
egli volle assicurare l'assistenza di un conservatore che facilitasse gli
studi e le ricerche : il conte G. Porro Lambertcnghi dapprima, poi dopo
la morte di questi, lo scrivente, volle il principe G. G. Trivulzio de-
stinare a tale compito. Fece opera altamente protettrice degli studi col-
l'aver resa la Trivulziana, si può dire giornalmente accessibile agli stu-
diosi che soggiogava coU'accoglienza ch'egli personalmente con quel suo
fare di gentiluomo squisitamente cortese lor faceva. Dei Mss. volle il
Catalogo a stampa, edito nel 1884 per opera del conte Pòrro e sotto gli
auspici della R. Deputazione di storia patria di Torino, come preludio
all'apertura quasi regolare della Trivulziana. E della Deputazione fu
socio corrispondente, come socio d'onore della R. Accademia di Belle
(i) Discorso pronunziato sul feretro del principe Gian Giacomo Tri-
vulzio in Perseveranea, 12 luglio 1902.
ao6 APPUNTI E NOTIZIE
Arti, membro della Commissione araldica lombarda, e le principali as-
sociazioni, quali, oltre la nostra, la Società Dantesca, la Società Bi-
bliografica e altre ancora, non mancarono di fregiare del suo nome, il
proprio album.
Né mancò in questo stesso Archivio un suo contributo, colla staii^
di un interessante elenco delle Gioie di Lodovico il Moro^ messe é fé-
gno (i).
Non è possibile dHndicare tutti i letterati de' quali, egli, colla lii|a
liberalità di questi ultimi anni agevolò gli studi. I più bei nomi in
fatto di lettere e di arti sono registrati nell'album dei visitatori E dei
giudizi loro faceva tesoro e modestamente affermava d'aver imparato kb-
pre qualche cosa di nuovo, lui che coll'aver visitato i principali muet
d' Europa e aver avuto Tinvidiabile fortuna di accedere alle oollezioDi
private più gelosamente custodite s'era acquistato in fatto d*arte ma
straordinaria sicurezza di giudizio (2).
Altre opere di biblioteca erano in progetto di quest'ultimi tempi
Aveva in vista la sistemazione del ricco fondo delle incisioni *e stampe;
e del tanto desiderato catalogo delle flaquettes^ di cui è doviziosa U
Trivulziana, il principe aveva discorso ancora poche settimane prima
della sua dipartita, col principe d' Essling, il conoscitore sovrano della
silografia veneziana.
*
Ed ora ancora del cittadino. Non istarò ad enumerare tutti i titoU
tramandatigli dai suoi antenati ; i curiosi di araldica possono rintraodarii
facilmente nM^ Almanacco di Gotha e n^W Annuario della Nobiltà ita-
liana. Né a lui mancarono le alte cariche e le onorificenze frutto del li-
gnaggio e dei suoi meriti personali. Ben altri, già si è provato, sono i
titoli che lo raccomandano alla stima dei posteri.
Per nulla disdegnoso della evoluzione democratica della società,
egli, ispirato dall'amore della sua Milano, aveva preso parte attiva alle
iniziative più vaste e più importanti, fra cui le esposizioni d'arte antia
del 1871 e del 1874 e quella Nazionale del 1881. Nominato presidente
del Comitato delle Esposizioni riunite, che si tennero nel 1894, mostrò
in queiroccasione che ne aveva tutte le attitudini, onde si conquistò le
generali simpatie.
Senatore del Regno dal 25 ottobre 1896; sedette nei Consigli del
Comune per qualche anno : fu membro di diverse altre commissioni, do-
vunque portando uno spirito pratico e conciliante. Per lungo tempo pre-
sidente della Società Lombarda per le corse dei cavalli, appassionads-
(i) A. I., 1876, p. 530 sgg.
(2) Non è qui il posto per una bibliografìa trivulziana. Forse ultimo
lavoro comparso intorno al museo Trivulzio è quello del dott. RoDouo
Bber, Bei Fùrsi Trivuleio in Neues Wiener Journal^ 5 e la agosto 1897,
dove è a leggersi una simpaticissima caratteristica del defunto.
APPUNTI E NOTIZIE 207
Simo come era dello sport, egli portava alle riunioni di S. Siro la nota
della più squisita eleganza e della più fine cortesia.
Alto di statura, lunga barba, dalle forme armoniche, a larghe linee,
dalla testa che pareva staccata da un dipinto del cinquecento, Gian Gia-
como Trìvulzio era una figura tipica della nostra Milano.
« Ma, — al dire scultorio del Negri, — « se il cittadino, nel prin-
c( dpe Trìvulzio, era meritevole di alta stima, Tuomo era in lui ben dc-
« gno di affetto e di simpatia, poiché alla eleganza squisita ed impecca-
«bile del contegno egli univa una cosi spontanea naturalezza ed una
(( cosi modesta affabilità che ne veniva fuori una persona singolarmente
c< originale che viveva circondata da una generale irresistibile simpatia.
(( E' che il Trivulzio era profondamente buono. Nessun rancore, nessun
(c sentimento acerbo si annidava in quello spirito generoso e sereno che
t< traboccava di cortesia e di bontà ».
£ fu una voce unanime nei giornali d'ogni colore e partiti a com-
piargene la perdita.
Era ritornato ai primi di maggio da Roma, dove di consueto, non
solo per frequentare palazzo Madama, ma ben anche per consiglio dei me-
dici passava da alcuni anni la stagione invernale a sollevarsi dal male
che l'affliggeva — un'affezione cardiaca, tormentosa e crudele, aggra-
vatasi vieppiù pel dolore della morte del figlio primogenito, marchese
Giorgio, perduto nel pieno vigore della giovinezza nel marzo 1898. Sem-
brava di assai rimesso, e appena ridata luce ai suoi prediletti oggetti
d'arte, collocati gli ultimi due arazzi del Bramantino, fatti ristaurare
in Roma, sali regolarmente la scala che « per angusta ad augusta »
conduce alla biblioteca, onde rivedere i suoi libri e trascorrervi gior-
nalmente ore e ore. Gli ultimi libri ch'ebbe a ripassare con vera pas-
sione furono i numerosi cantari del quattrocento che vi si conser-
vano in quantità. £ i parecchi studiosi che di questi ultimi mesi eb-
bero a frequentare la Trivulziana, sempre da lui accolti con spontanea
affabilità, non s'immaginavano certamente di perderlo cosi presto. Ma
pur troppo ai primi di luglio la malattia improvvisamente lo riassali e
crebbe rapidamente, sempre più. Ne affrontò i patimenti con calma ras-
segnata, indizio dell'anima sua forte, ma e il male stesso, e i calori
eccessivi del luglio lo ebbero ad ancor più abbattere.
Gli ultimi giorni, malgrado atroci sofferenze che per notti intiere
non gli concedevano il benché minimo riposo, non rinunciò mai alla sua
biblioteca, e ancora l'antivigilia della sua morte fece personalmente gli
onori del suo Museo agli ultimi visitatori, miss Cruttwell che s'interes-
sava delle terre cotte dei Della Robbia e il conte Durrieu alle minia-
ture dello splendido messale del duca di Berry.
Ancora la sera dell' 8 luglio, aveva voluto uscire all'aperto in car-
rozza. E nell'ultimo giro fatto al parco, intorno al castello, egli forse
208 APPUNTI E NOTIZIE
ripensò a quattro secoli fa, quando l'antenato suo G. G. Trìyulào alla
testa delle annate di Francia, scendeva in Italia, entrava vittorioso nelle
mura di quel medesimo castello, oggi divenuto centro inradiante di col-
tura per la sapiente disposizione dei suoi musei collocati in sede eoa
genialmente ristorata dal Beltrami, e mandò un ultimo saluto alle torri
merlate dell'antica ròcca sforzesca, rientrando in città.
Tornato a casa gli parve di sentirsi meglio e si coricò per non pia
svegliarsi. Alle ore 4 '/, antimeridiane del 9 luglio era spirato.
E la Società Storica Lombarda, che Tebbe sodo fondatore, rende alli
sua memoria, per bocca troppo incompetente, un doveroso tributo di
mirarione e di compianto.
A tutti gli studiosi che nella Trivulriana trovarono larga
sia di conforto il pensiero che nel giovane figlio, principe Luigi Alberico,
troveranno continuata sempre l'uguale liberale accoglienza, nò egli man-
cherà, grazie all'amore a più riprese già dimostrato per le glorie pitto-
riche lombarde, di aumentare il ricchissimo patrimonio artistico e lette-
rario come degno erede del nome e delle tradizioni del Genitore.
E. M.
Agli altri lutti che hanno funestato negli ultimi tempi la Società
nostra, uno grave ed acerbo oltre ogni dire si è venuto ad aggiungere
coli' improvvisa scomparsa del senatore Gaetano Negri, l' illustre e ge-
niale pensatore, precipitato il 31 luglio giù da una balza mentre ag-
giravasi coi suoi cari tra le ridenti colline che incoronano la riva di
Varazze. La perdita di quest'Uomo insigne, che onorava tanto Milano
e r Italia se ha sollevato dovunque uno schietto e profondo rimpianto,
è davvero un lutto di famiglia per la Società Storica Lombarda, a cui
l' illustre Estinto era largo di calda simpatia. Ma del Negri e de' meriti
suoi, preclarissimi anche nel campo degli studi storici, ci riserbiamo di
fare con miglior agio più degno ricordo. Valgano adesso queste poche
parole ad esprimere alla famiglia orbata del suo capo veneratole caro
la intensità cordiale del nostro cordoglio^ la profonda amarezza del
nostro rimpianto.
La Presidenza.
pervenute alla Biblioteca Sociale nel III trimestre del ipoa
Alessandri P. A., V. Cenni.
Ambrosou Solone, Alcuni acquisti del R. Gabinetto Numismatico di Brera,
Milano, 1902 (d. d. A.).
Beltrami Luca, Leonardo e la Sala delle u Asse ». Milano, 1902.
Bulletin historique du Diocèse de Lyon, 2.*-3.* année, Lyon, 1901-1902
(d. d. s. Motta).
Borghi F., Venticinque secoli di storia milanese, Milano, Hoepli, 1902
(d. d. Editore).
Calvi Felice. Discorsi e commemorazioni in sua memoria, Milano, tip. ed.
L. F. Cogliati, 1902.
Carnevau Luigi, L'Accademia Virgiliana di Mantova nel secolo XIX,
Mantova, Mondovi, 1902 (d. d. A.).
Cavatio Carlo Girolamo, Alleggia nenio dello Stato di Milano, per le Im-
poste, e loro Ripartimenti, Milano, Malatesta, 1653 (d. d. s. cav. Luini).
Cenni Giovanbattista, Diario delle cerimonie e feste fatte in Siena nella
creatione del Santissimo vicario di Cristo papa Alessandro Settimo.
Ed. sac. Pier Agamennone Alessandri per nozze Chigi-Zondadari-
Colonna. Siena, S. d. t, 1900 (d. d. s. Motta).
Colombo Giuseppe, Documenti dell'Archivio Comunale di Vercelli relativi
ad Ivrea, Pinerolo, 1901 (d. d. s. E. Motta).
Cosa Antonio — Savorini Vittorio, Bologna e la Lega Lombarda. Bo-
logna, Zanichelli, 1876 (d. d. s. Motta).
CuccoLi Ercole, M. Antonio Flaminio, con documenti inediti, Bologna,
Zanichelli, 1897 i^- ^- '^•)-
pLECfflA Giuseppe, Poesie giovanili inedite del prof Giovanni Flec/tia, To-
rino, Baglione & Brajotto, 1901 (d. d. Editori).
Gmecchi Ercole, Falsificazioni di monete italiane, Milano, tip. ed. L. F.
Cogliati, 1902 (d. d. A.).
Lippi Silvio, Inventari del R. Archivio di Stato di Cagliari e notizie delle
carte conservate nei piti notevoli archivi comunali, vescovili e capitolari
della Sardegna, Cagliari, Valdès, 1992 (d. d. A.).
Malaguzzi- Valeri Ippolito, Gonzaga contro Guerrieri (Storia d'una ver-
tenza araldica), Mantova, Ed. Segna, 1902.
SUI DOMINI
DI
REGINA DELLA SCALA E DEI SUOI FIGLI
INDAGINI CRITICHE.
N tutti gli e antichi regimi » il potere ha carattere per-
sonale e, specialmente nei primi tempi della loro
storia, molte delle norme che regolano Tacquisto e
l'esercizio di esso, vengono esemplate sul diritto privato (i).
Questo modo di concepire l'autorità ed il diritto pubblico fa si
che non sempre sia agevole, nel giudicare gli atti di quei governi,
di distinguere le ragioni di Stato che li determinarono, dai mo-
venti di carattere puramente personale ; cosicché ci si trova con-
dotti dalle proprie simpatie o tendenze mentali a dare preponde-
ranza ora a quelle ed ora a questi, ed in generale piuttosto ai mo-
venti personali che non alle ragioni di Stato. Questo accade in
particolar modo, quando si tratta di atti dei Signori italiani, perchè
la vera vita politica ed amministrativa degli Stati signorili non
è ancora abbastanza intimamente conosciuta. Troppo spesso il re-
gime signorile ci appare come il governo d'un egoista (2), del quale
(i) Anche nel noto trattato di Bartolo sulla Tirannia, molto inte-
ressante per la storia delle Signorie, s' incontrano curiose assimilazioni
tra il diritto pubblico ed il privato. Per es., il popolo che obbedisce per
timore ad un tiranno, è da lui assimilato ad un minorenne e tali egli
considera quindi anche i singoli nei loro rapporti col tiranno. (Bartoli,
Opera omnia, Venezia, 1570, fol. 121 r., col. t).
(2) Tale è l'immagine del signore che si ritrae, per es., dal § 52
della Storia del diritto italiano del Fertile.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXVI. 14
212 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
la Storia debba indagare se fece il proprio interesse con mezzi
buoni o cattivi ; e per conseguenza gli atti dei governi signorili
acquistano ai nostri occhi un rilievo ed un colore che, se fossero
invece collocati sul loro vero sfondo storico, forse o non avreb-
bero o avrebbero diverso. E' dunque necessario che gli studiosi di
questo periodo indaghino minuziosamente, col gettare le basi di
una storia critica dell'amministrazione signorile, le intenzioni vere
ed il vero carattere degli atti dei signori ; ed ogni piccolo contri-
buto di nuovi fatti che si rechi a quest'opera, sarà una pietra che
servirà a costruire un edificio, il quale indubbiamente è destinato
a riuscire bello e grande.
Le presenti indagini critiche aspirano a portare uno di tali
contributi, gettando qualche luce sopra un argomento non bene
chiarito, cioè le assegnazioni di città e di terre che Bernabò Vi-
sconti fece ripetute volte alla moglie Regina della Scala ed ai
figli ; ma oltre quel tanto che possono avere di originale, si ri-
collegano anche, parzialmente, con una ricerca già iniziata dal
dal dottor Ettore Verga nella sua breve appendice allo scritto
Una condanna a morte contro Carlo Visconti (i).
Alcuni storici raccontano che Bernabò Visconti divise tra i
suoi figli le città che componevano la sua signoria. Il dott. Verga,
valendosi d'una lettera del 3 aprile 1379, posteriore a tale divisione,
nella quale Carlo Visconti, figliuolo di Bernabò, si dichiara sem-
plicemente €locumtenens prefati domini [Bernabovis^^, ha fatta
la seguente osservazione : t Carlo si firma luogotenente e l'aver man-
dato i propri figli a governare le province qome semplici gover-
natori o luogotenenti del principe, è ben altra cosa che l'aver fatte
cinque stati di un solo, come opina il Giulini interpretando le pa-
role del Corio, e come pure lascerebbe intendere l'espressione del
cronista parmense» (2). E non vi sarà certamente nessuno, il quale
(1) V. quesf ^rrA., ^. XXIX, 1902. p. 387 e sgg. • ''-^^ ' ^V/";
(2) Il cronista, da cui è derivata una parte degli Annales meàiolan.,
dice: " die IV Martii D. Bernabos Vicecomes posuit D. Carolum filium
** eiiis ih tenuiam et possessionem civitatis Parmae ,. Muratori, /?./. S.,
XVI, 772 E. Negli Addiiamenta alla storia parmense del Cornazzaki, è
detto che * Carlo Visconte..^ il quale stava in Parma,^. ne era signore ».
Muratori, R. I, S , XII, 751, D, anno 1385. Le parole degli Addiia-
menta, che sono del sec. XVI, non avrebbero per sé stesse molta au-
torità; ma vi sono, come vedremo, altre fonti più autorevoli che si
esprimono in modo simile.
E DEI SUOI FIGLI 213
voglia sostenere che in materia di questo genere l'autorità di cro-
nisti, che non eran troppo usi a badare al valore giuridico e poli-
tico delle parole che usavano, possa infirmare la testimonianza di
documenti ufficiali ; tanto più quando il documento invocato è
una lettera ad un principe forestiero, in cui, accennando alla pro-
pria presa di possesso, Carlo Visconti aveva il massimo interesse
di dire con. precisione se egli pure era un principe od un semplice
luogotenente. Però, a mio credere, né questo documento addotto
dal Verga, né gli altri consimili che già si conoscevano (i), risol-
vono la sottile quistione ; essi gettano solamente un raggio di luce,
ma lasciano ancora da diradare una parte di quelle tenebre, bran-
colando nelle quali, alcuni storici vennero poi a quegl'in fondati
giudizi che giustamente il Verga loro rimprovera. Questo pro-
blema, che già da tempo aveva fermata l'attenzione di qualche
raro studioso (2), non verrà avviato a sicura soluzione se non
con l'esaminare prima di tutto fino a qual punto possiamo cre-
derci bene informati intomo agli atti di donazione di Bernabò in
favore delle persone della sua famiglia, agli atti di condoìninio
e di giurisdizione che egli concesse loro d'esercitare. Indagata la
credibilità delle notizie relative ed il significato vero dei docu-
menti (che, come vedremo, fu spesso frainteso), resta da vedere la
ragione giuridica degli atti ; la quale é da ricercarsi, per quanto
è possibile, in base a testimonianze documentate affine di non so-
stituire i nostri concetti giuridici a quelli che erano propri di
quei tempi. Con tal metodo verremo esaminando criticamente in
questo scritto alcune fra le notizie ed i documenti relativi alla fa-
miglia di Bernabò Visconti, nell'intento di contribuire ad illu-
strare l'indole e le forme dell'amministrazione viscontea al tempo
di questo Signore.
(i) L'Affò diede alla stampa, ed il Pezzana discusse, un documento
di Carlo Visconti, pure del 1379, in cui questi si qualifica luogotenente.
Storia di Parma del Pezzana, I, 131, nota 63 (il testo è dell'Affò, le
' note segnate P. sono del Pezzana). Altri documenti a stampa col me-
desimo titolo trovansi in Osio, Doc. Diplom,, I, 201, 209, 219, nn, CXXX V,
CXLII, CHLIV, CLIV, CLVF, e sono di Carlo e Lodovico Visconti.
Altro documento di Lodovico Visconti, inedito, vedi in calce a questa
memoria, doc. III.
(2) Affò e Pezzana, già ricordati, nel luogo citato ed anche a
pp. 80-81.
2X4 SUI DOiaNI DI REGINA DELLA SCALA
I.
Sulla natura del potere esercitato dalla famiglia di
Bernabò.
L'affidare una delle sue terre a persona della famiglia era,
da parte del Signore, atto perfettamente r^olare. Non parliamo
dei diritti che poteva avere come vicario imperiale, quando Io era ;
non parliamo nemmeno del diritto di investire i suoi di terre feu-
dali, che egli naturalmente aveva piena facoltà di dare a loro»
come le avrebbe potute dare ad altri ; e nemmeno della facoltà
che aveva di investire qualcuno di terre sottoposte alla dipendenza
di un Comune precisamente come i Comuni medesimi, quand'erano
pienamente liberi, disponevano di queste terre soggette a loro
talento. A parte tutto questo, il signore di più Comuni poteva
dame uno a persona della famiglia per due ragioni In primo luogo
perchè ciò non implicava menomamente una modificazione nella
costituzione territoriale dello Stato od una divisione del mede^
simo, come oggi s'intende : infatti lo Stato era un fascio di Co-
muni, ed il signore doveva rispettare il Comune e non avrebbe
potuto dividerlo in modo da fame due o più Comuni (i) ; loa i
molti Comuni da lui dipendenti poteva benissimo distribuire fra
le persone della famiglia. E queste persone (ecco la seconda ra-
gione che legittimava tale usanza) potevano governare legittima-
mente le terre loro ciffidate ; non solo perchè il signore in forza
dei suoi pieni poteri aveva decretato così, ma, e sopratutto, perchè
il caso era preveduto e legittimato nell'atto stesso di creazione della
signoria. Per esempio, ambedue gli atti di conferimento delle si-
gnorie di Brescia e di Reggio nell'Emilia a Bernabò Visconti,
quasi con le identiche parole, concedono a Bernabò di usare ed
esercitare {uti et exercere) il suo potere per se, cui vel quibus co-
ìniserit (2) ; e nello statuto reggiano poi è già ammesso che gli
(lì Se Milano fu più volte posseduta per condominio da più Signon,
uno fu sempre Tente Comune, anche quando i diritti furono divisi a
fine pratico tra i due Signori.
(2) Statuti di Brescia del ijjs (ms. della Bibl. Queriniana), e. 2 r.;
cfr. Valentini, Gii Statuii di Brescia, estr. dal Nuovo arch, veneto, XV,
pp. 66 67 deirestratto. — Statuti di Reggio del ijji (ms. dell* Arch. di
stato di Reggio E.), e. 3 t.: " ipse dominus Bernabos prò se et in so*
E DEI SUOI FIGLI
215
eredi maschi legittimi siano inoltre virtualmente compartecipi
in solidum delFaulorità signorile, forse perchè tale statuto fu fatto
nel 1371, sedici anni dopo quello bresciano e quando già da molto
tempio i figli di Bernabò partecipavano al governo delle altre
città dello Stato, a cui in queiranno Reggio veniva ad aggiun-
gersi Era dunque cosa al tutto legittima, e non inattesa, che Brescia
venisse affidata al figlio di Bernabò, Marco Visconti, od alla mo-
glie Regina della Scala ; e che Reggio venisse pure affidata a
Regina per quasi tutta la durata della vita di lei. E poiché di-
sposizioni consimili dovevano trovarsi, e si trovavano di fatto,
in altri atti di conferimento di signorie (i), non v*è ragione di con-
siderar quei fatti come arbitrari o come semplici conseguenze della
latitudine del potere signorile, e peggio ancora d'affermare (come
fece il Fertile) che l'esercizio del potere signorile per parte delle
donne fosse una t usurpazione » (2). Né si deve credere che le de-
legazioni di potere fatte dal Signore a prò' dei membri della sua
famiglia siano nate dal concetto che la signoria fosse un diritto
della famiglia trasmissibile, cedibile e divisibile ; poiché è pro-
vato che awerme il contrario, cioè che il diritto ereditario ha po-
tuto nascere in grazia del principio della cedibilità dei poteri si-
gnorili di gran lunga preesistente all'ereditarietà delle signorie
stesse (3). E come Bernabò medesimo non anteponesse menoma-
mente i diritti dei figli al principio della libera delegazione del
potere da parte del Signore, lo dimostra il fatto che proprio a
Reggio, dove lo statuto riconosceva in solidum con i suoi i diritti
dei figli, egli nominava invece a governare il Comune la moglie
e non i figli.
La ragione del diritto di delegare ad altri l'amministrazione
d'una città è palese. S-e nominalmente tutte le amministrazioni co-
munali erano presiedute e dirette dal signore comune di più città,
di fatto egli non poteva dirigerle singolarmente se non a stento ;
" lidum et eius heredibus masculis legiptimis procreatis et pro-
" creandis sit et esse intellìgatur perpetuus et generalis dominus
* et sint et esse intelligantur perpetui et generales domini domi-
* nium... perpetuo possi t prefatus Dominus et eius heredes et succes-
* sores per se et cui vel quibus dederit seu comiserit uti et exercere „.
(i) Salzer, Anfàngt der Signorie ^ Berlin, 1900, pp. 226, 327.
(2) Fertile, op. cit., 2.* ed.^ II, par. 1, § 52, p. 231.
(3) Salzer, op. cit., in tutto il § i del cap. II e specialmente p. 226.
ai6 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
e perciò, mentre in altri tempi, in cui il concetto dell'ente Stato ha
preso uno sviluppo così grande e cosi indipendente dalla perso-
nalità del prìncipe, si sono creati con leggi fondamentali organi-
smi politici ed amministrativi accentratori, allora il signore de-
l^ava, se credeva, ad un suo incaricato il suo potere, come fa un
privato che non può attendere personalmente ad a£Fari lontani
Questo dettato di che qualità propriamente rìtenevasi dotato?
Veramente la moglie ed i &gli di Bernabò Visconti, quando
amministravano una città loro affidata, la chiamavano «terra jì^
j/f^B e gli cuciali di quella si chiamavano «officiali della signora
Regina, del signor Carlo » e via dicendo. Diedi già alcuni esempi
di quest'uso, riguardanti il governo di Reggio, delegato da Ber-
nabò a Regina nel 1373 (i). Per addurre altri esempi^ a Brescia
R^ina e Marco scrivono in una loro lettera collettiva : si de ce-
' tero coniinget aliquam robariam fieri in episcopatu nostro Brixie
(3 gennaio 1375) ; Regina in altra lettera dice: audientes guodin
civitate nostra Brixie etc (18 ottobre 1380), e la stessa formola
usa in altre lettere dal 1380 al 1384 (2). Federico Gonzaga» che nel
1369 era podestà di Brescia, s'intitolava come segue : Nos F. de G,
potestas civitatis Brixie prò magnifico et excelso domino domino
Bernabove Vicecomite Mediolani, Brixie etc. imperiali zncario ge-
nerali eiusque pri via genito magnifico domino domino MarcAo Vi-
cecomite (3). Similmente nel 1370 un podestà di Parma si diceva
tale per Carlo Visconti (4). Queste espressioni di documenti uf-
ficiali sono sufficienti per farci comprendere come i cronisti dices-
sero alla buona che Regina, Marco, Carlo Visconti erano signori
in una determinata città ; i poteri che essi esercitavano, erano po-
teri signorili, ma altri documenti ci apprendono però a qual titolo
veramente li esercitassero, e in parte anzi ce lo dicono i documenti
stessi succitati. Il podestà di Brescia si dice podestà per Marco
Visconti, ma si dice prima di tutto officiale di Bernabò. Regina
(i) Arc/i, stor, lomb.y XXVII, 1900, pp. 153-157.
(2) Tutti questi documenti nello Statuto bresciano del 1355 a ce 290 r.
e 225227 t. — Altro documento del 1384 in Arch. di Stato in Brescia,
Cancell, prefettizia superiore, Coufini tirolesi, reg. A, foL 16. — È da no-
tarsi che Brescia è molto povera di carte viscontee.
(3) Statuto cit., 223 r, Cfr. pure Antiqua decreta^ p. 33.
(4) Pezzana, op. cit., I, 93. nota 118. Naturalmente Regina ed i figli
nominavano i' podestà e gli altri officiali delle città loro affidate, come
provano molti documenti.
J
E DEI SUOI FIGU 217
della Scala, molt*anni dopo, confermando una serie di diplomi di
immunità concessi alla terra di Lonato nel Bresciano da Azzone,
Luchino, Giovanni e Marco Visconti, dice testualmente che questi
ultimi diplomi erano stati concessi da Bernabò in persona di suo
figlio Marco (i), esjmmendo così con una formola felicissima —
e della quale mi pare che, nella deficenza d'altri documenti, sia
da tenere gran conto, tanto piii perchè è usata in un atto in cui
l'esattezza delle formole era di molta importanza — il fatto
che Marco, quando governava Brescia, èra un rappresentante del
padre ; non di più né di meno. Regina medesima esercitò larghi
poteri in Reggio per incarico avutone dal marito, come risulta da
documento ; ed il cronista reggiano contemporaneo Pietro della
Gazzata, la chiamò domina Rkegij (2). Ma oltreché Tappella-
tivo di domina sarebbe convenuto a Regina anche per il semplice
fatto che era moglie del dominus, i documenti dimostrano che
essa non faceva uso del titolo di domina Rhegij in carte ufficiali ;
né per Brescia, per quanto anche là si trovino documenti che la
chiamano domina nostra (3), essa intestò mai le sue lettere altri-
menti di quel che faceva per Reggio, cioè col semplice titolo di
consors magnifici domini Bernabovis, L'importanza del quale for-
mulario è resa evidente anche di più dal paragone con un docu-
mento di Bianca di Savoia, la quale invece s'intitola espressa-
mente : BL de Sab. Abbìatis Crassi domina generalis (4), affer-
mandosi così essa medesima vera signora della città. Regina in-
vece non ebbe mai in Reggio diritti suoi esclusivi ; poiché quella
vendita di terre reggiane, che secondo una oscura notizia del Co-
rio (5), le avrebbe fatta il marito nel 1383, non comprendeva cer-
tamente il comune di Reggio. Bernabò, dopo l'incarico dato a
(i) Arch. di Stato in Brescia, Ufficio del Territorio^ mazzo XLV,
n. 5 (Processo di Lonato). Altra copia nell'Arch. stor. Municip., lib. E. IX,
1088, p. 195. Le parole testuali sono " Visis literis... D.D, Consortis no-
* stri conceptis in personam bone memorie. . nati nostri Marci viceco-
• mitis ,, Segue poi il testo del privilegio elargito da Marco, che in-
comincia: Marcus ^icecomés, etc.
(2) ChroH, reg, in Muratori, R, L S,, XVIII, 95 C.
(3) V. Odorici, Storie bresciane^ VII, 213, nota i.
(4) Antiqua ducum Med. decreta, p. 245. Si badi che si trova inserto
in due decreti di data molto posteriore, mentre il decreto di Bianca è
del 1373.
(5) CoRio, Bistorta di Milano, Padova, 1646, p. 503.
2l8 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
Regina d'amministrare questo comune, non mandava frequente-
mente lettere sue, ma pur ne mandava ; ed una di queste, assai
ciuiosa, potrà vedersi nell'appendice (i). In essa egli qualifica
rettori ed officiali suoi in Reggio quei medesimi che altri docu-
menti qualificano qualche volta come officiali di Regina, e dispone
sopra un modesto argomento relativo all'amministrazione, non so-
pra un eccezionale o capitale affare di Stato di sua particolare
competenza. Si tratta infatti della insequestrabilità degli stipendi
degli impiegati E considerando appunto il fatto che gli atti
diretti di Bernabò, legislativi ed anmiinistrativi, s'intrammezzano
con gli atti dei figli e della moglie ; e tenendo presente la formola
sopraccennata relativa ai privilegi di Lonato, sembra potersi af-
fermare che le facoltà di cui solevano investirsi questi incaricati del
governo delle città, fossero quelle di mandatari o procuratori
generali ; poiché, mentre da un lato il mandato generale investe
il mandatario delle facoltà del mandante, dall'altro lato non priva
questo della facoltà di fare anche direttamente tutto quello che
il suo mandatario può fare, ed in alcuni casi anche di più.
Perchè però non si oscuri il concetto, che dobbiamo formarci
della natura del potere esercitato dalla famiglia di Bernabò, non
bisogna esser troppo facili, com'erano ima volta gli storici, ed at-
tribuire città e domini particolari ai membri della famiglia di
Bernabò Visconti. Correggeremo qui alcuni errori in proposito.
Due volte, almeno, il Giulini precipitosamente afferma, in
base a documenti di pivi che incerta interpretazione, che i figli e
la moglie di Bernabò avevano particolar dominio in una città.
Il 27 dicembre 1365 (= 1364 s. e) Marco, Lodovico, Carlo e
Rodolfo Visconti indirizzavano un decreto, o regolamento, al po-
destà di Parma (2) ; donde il Giulini conchiude che Bernabò cai
quattro suddetti personaggi aveva affidato il dominio della città
di Pannai (3). Ma il decreto o regolamento in quistione non ri-
(i) Append. n. 4. Una disposizione di Bernabò trovasi andhe in Osio,
Cod. dipi. Fise, I, 240, a. CLXXXl, ed è precisamente del 1383.
(2) Antiqua decreta, pp. 32-33. L'età estremamente giovanile dei
quattro figli di Bernabò (che s'era sposato con la loro madre nel 1350}
rende improbabile che questo decreto emani veramente da essi; ma
di ciò dovremo parlare in seguito. Qui dobbiamo cercare solamente se
e quali erano i loro diritti; se poi li esercitassero personalmente, o no,
questa è un'altra questione.
(3) Giulini, Mem. delia ciiià, ecc., i.* ed. a. 1364, lib. LXX, p. 14H.
E DEI SUOI FIGLI 219
guarda solamente Parma ; esso contiene Vordo servandus de cae-
tero in syndicatibus fiendis in qualunque città del dominio, e nulla
Ve di speciale che riguardi Parma. E* un puro caso se, delle molte
e molte copie che certamente ne furono diramate, si è proprio con-
servata quella che è indirizzata al podestà di Parma. Quanto al-
l'esservi in testa al decreto i quattro nomi, è cosa che si può va-
riamente spiegare, sia supponendo che ai quattro figli Bernabò
avesse collettivamente assegnato quel ramo dell'amministrazione ;
sia che già fino da quel tempo, almeno per certi interessi ammini-
strativi, le città fossero distribuite fra i quattro figli, i quali poi
s'accordassero tra loro per certi ordini comuni. Ma finché al do-
cumento del 27 dicembre 1364 non se ne aggiungono altri pivi
espliciti, non abbiamo ragioni decisive per preferire l'una all'altra
delle due spiegazioni. Se mai, la natura del documento in quistione
escluderebbe piuttosto che Parma fosse un dominio particolare dei
quattro figli ; in primo luogo, perchè l'ordine da loro emanato è
generale ; in secondo luogo, perchè pare strano che una sola città
fosse data a tutt'e quattro i figli in una volta (i).
Questa quistione fu presa in esame, dopo il Giulini, dall'Affò
e dal Pezzana ; i quali, sempre partendo dal falso presupposto
che i quattro figli di Bernabò con l'atto del 27 dicembre 1364 or-
dinassero di sindacare il podestà di Parma (cosa di cui propria-
mente il documento non dice verbo), e trovando poi una lettera di
poco posteriore inviata dal solo Rodolfo al podestà di Parma,
formularono l'ipotesi che Bernabò, prima desse incarichi collettivi
ai figli, e poi, comprendendo che non era bene che esercitassero
insieme certi atti di giurisdizione, dividesse loro le cure e le
città (2). Ma come accettare un'ipotesi fondata sopra una falsa
interpretazione del documento che le serve di base? E j)oi, se am-
mettessimo che Bernabò avesse introdotto nel 1365 questa inno-
vazione nel sistema amministrativo dei suoi domini, come potrem-
mo allora spiegare il fatto che posteriormente si trovano ancora
documenti intestati coi nomi di più persone della sua famiglia? (3)
(i) Il quinto, che fu Mastino, nacque molti anni dopo. Cfr. questo
Arch., XXIX, 1902, pp., 395-399-
(2) Pezzana, op. cit, I, 80-81. Sono del Pezzana solamente le note.
(3) '373» ' novembre. Carlo e Regina (Arch. di Stato di Reggio E.
Provvigioni dei deputati sulle entrate ijj2'iS7Tt e. 57 t.) ; 1375, gennaio
Marco e Regina al podestà di Brescia (sopracitato).
SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
Non meno precipitosa è Filiazione del Giulini, quando dalla
notizia, conservata nel Ckron. regiense (i), di un precetto fatto
neirottobre del 1372 al clero reggiano in esecuzione d'un ordine
di Bernabò e di R^ina, inferisce che questa avesse in Reggio t par-
ticolar signoria! (2). Infatti, è in primo luogo da notarsi che nel
passo in quistione la lettera di Regina non è riferita. Quantun-
que il Chron, dica : [Bernabos^ misit literas talis tenorisy realmente
ciò che segue è un ordine del referendario Giorgio de Mudrignano
e non la lettera dei signori ; quindi non è possibile d'immaginare a
che titolo ed in che modo il nome di Regina entrasse nella lettera
originale, sebbene sia da notarsi che il referendario la qualifica,
come al solito, Consors magnifici etc e non domina Rhegij od al-
trimenti. In secondo luogo è da osservarsi che nell'ordine del refe-
rendario è sempre menzionato prima Bernabò, aggiungendo poi aut
domina (3). In terzo luogo poi il precetto da farsi al clero era che
tutti quei dignitari ecclesiastici, a cui spettava diritto di collazione,
presentazione o conferma di benefici, non osassero d'ora innanzi
fare alcuno di tali atti senza licenza speciale. Ora di quest'ordine
non c'era necessità speciale per la diocesi reggiana ; essa era una
di quelle misure di j)olitica ecclesiastica che i Visconti adotta-
vano dovunque, e perciò non è detto che l'originale del decreto
parlasse in particolar modo di Reggio, di cui doveva parlare
naturalmente il referendario, alla cui sorveglianza era affidato
questo comune, nella comunicazione destinata alle autorità locali.
Del resto, a parte ogni altro argomento, la lettera del 20 lu-
glio 1373, da me data alla luce, prova all'evidenza che fino a quella
data Reggio non era affidata alle cure particolari di Regina (4).
E' poi da avvertire che i documenti in cui ci andiamo imbat-
tendo, nei quali si trovano i nomi di persone della famiglia di
Bernabò, sono frequentemente, come s'è veduto, documenti col-
lettivi. Ora, in tesi generale il documento collettivo fa supporre
che una delle persone da cui emana, non potesse da sola emanarlo ;
e quando una delle due è Bernabò, naturalmente è l'altra persona
(i) Mqratori, R, 1. S., XVIII, 78 C-D.
(2) GiuLiNi, op. cit, a. 1373, lib. LXVI, p. 228.
(3) • sub poena arbitrio praefati Domini exigenda, aut Dominae;
.. absque speciali licentia Domini praefati, aut Dominae «.
(4) V. quesf^rcA., XXVII, p. 154.
E DEI SUOI FIGLI 221
quella la cui autorità è imperfetta. Bianca Visconti, signora d'Ab-
biategrasso, intesta da sola (come s*è detto) il suo documento qua-
lificandosi domina; Regina della Scala, pur dopo aver avuto in
dono S. Angelo dal marito, volendo assolvere dal bando gli
Schiaffinati di Pavia che il suo vicario in S. Angelo aveva con-
dannati, unisce il suo nome a quello di Bernabò in un atto col-
lettivo di grazia (i).
Dal fin qui detto appare il legale e regolare svolgimento del-
l'autorità goduta dalle persone della famiglia di Bernabò. Forse
alcuno troverà poco opportuna l'indagine della legalità e della
figura giuridica degli atti d'un uomo creduto di poco scrupolosa
coscienzcL, come Bernabò Visconti. Ma la natura di quest'uomo era
assai complessa. Sebbene per certi rispetti egli fosse al di sotto
del nostro moderno senso morale, non era affatto né una mente
volgare, né un rozzo prepotente. Non solamente fu sagace l^i-
slatore, ma fu nutrito di studi giuridici ed ebbe fama d'espertis-
simo canonista (2). La tradizione ricordò volontieri la tragicomica
prepotenza del ponte del Lambro ; ma sarebbe meglio che ricor-
dasse i ragionamenti con cui Bernabò volle cercar subito di con-
vincere i suoi nuovi sudditi reggiani del suo buon diruto nella
lotta contro il Papa ; ragionamenti tanto efficaci che l'abate di
S. Prospero, conservando memoria del fatto in una cronaca, in cui
non aveva alcuna ragione di mentire, aggiungeva questa frase, no-
tevole per essere uscita dalla penna d'un ecclesiastico: € multa
dixit, in quibus videbatur ius Aaberei^ (3). Diverse cronache, del
resto, lo mostrano amante della retta giustizia (4), e il Giulini già
notò, con un certo suo stupore, che Bernabò si lasciava dar torto
dai tribunali, proprio come un principe illuminato del sette-
cento (5).
(i) Osio, op. cit., I, 234-235, n. CLXXVIII.
(2) ■ Dominus Bernabos erat doctissimus et presertim in Decreta-
■ libus; nam studuerat ab adolescentia per multum tempus in Decre-
• talibus ,. ^nn. Medioian,, in Muratori, R. I, S, XVI, 801, CD.
(3) Muratori, /?. /. S., XVIII, 77, DE.
(4) Ann. Medioian., ed Azario, Chr., in Muratori, R. L S., XVI, 385.
. Su Bernabò rappresentato come T" avvocato dei deboli „ v. le interes-
santi pagine del Vitali, Bernabò V, nella novella e nella cronaca contem-
poranea in <\\\QS^Arch.f XXVIII, 1901, pp. 272-275.
(5) Giulini, op. cit., a. 1358, lib. LXVIII, pp. 66-67. Dì fronte alla
Chiesa non rispettò sentenze di giudici, com'ebbe a notare PAgnelli,
222 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
Ad Ogni modo, o per istinto naturale o per semplice conve-
nienza politica, il sistema di Bernabò era regolare ; ma interesse-
rebbe di conoscere perchè egli si attenesse a questo e non ad altri
possibili sistemi ; ciò che meglio determinerebbe il significato sto-
rico del sistema da lui seguito.
Bernabò nel 1364 aveva già investito di poteri i figli, ancora
giovanissimi, da cui allora non gli doveva venire aiuto alcuno.
Dicono che ciò facesse per assegnare loro un apannaggio (i) ; del
quale però, in quell'età giovanile, non dovevano veramente sen-
tire il bisogno. Che pensasse di limga mano alla propria succes-
sione, è possibile ; ma non si può erigere questo ad unico e princi-
palissimo suo movente ; perchè, oltre tutto, considerando che diede
potere ai figli or qua or là (a Rodolfo in Parma poi in Bergamo ;
a Marco in Brescia poi in Milano, ecc) e che l'ultima distribuzione
delle città la fece nel 1379, ed allora soltanto mandò solennemente
ciascimo a risiedere nella città assegnatagli, è difficile anmiettere
che sempre, quando assegnava ad uno dei figliuoli una terra, pen-
sasse alla propria successione. Bernabò avrebbe passato gran parte
della vita a pensare alla propria morte !, a fare e disfare prepara-
tivi per la successione. Quali rapporti inoltre può avere l'idea della
successione con gl'incarichi dati alla moglie Regina della Scala,
i quali tuttavia sono della stessa natura di quelli che Bernabò
dava ai suoi figli ? E si consideri poi che una sola di queste asse-
gnazioni di città consta che venisse seguita da im atto testamen-
tario per regolare la successione ; e fu (come vedremo^ quella del
1379. Non si dovrebbe dunque credere che le assegnazioni antece-
denti avessero diverso carattere?
Vertenze dei Visconti con la mensa vescovile di Lodi in quest* ^rcAivio,
XXVIII, 1901, pp. 266 e sgg. Ma la politica aggressiva contro le chiese era
comune a tutti i governi in queirepoca. Del resto poi Bernabò tolse
alle chiese con una mano, ma donò largamente con l'altra, come notò
il GiULiNi, op. cit., a. 1373, lib. LXXI, p. 239. Che poi, come dice l'Agnelli,
Bernabò " levasse il pane di bocca ai poveri Lodigiani , (loc cit, p. 266)
non è esatto; perchè il luogo dell' Azario, tradotto dal Verri, che l'Agnelli
cita, non si riferisce a Bernabò bensì a Matteo. Anzi l'Azario ed il Verri
un po' più oltre riferiscono le Iodi che di Bernabò fece il contadino, il quale
lo accusa di ferocia, ma lo loda per l'amore della giustizia. Verri, Storia
di Milano, Firenze, 1890, I, 319 ; Azario in Muratori, R, L S., XVI, 394 E.
(i) Per es. Litta, Fam. cel. ital., Visconti, tav. V, dov'è descritta la
famiglia di Bernabò.
E DEI SUOI FIGLI 2*3
Io credo che da quel che fecero i figli, quando furono cre-
sciuti, debba giudicarsi quel che erano destinati e, dirò anche, eser-
citati a fare fin da quando erano giovinetti I poteri che allora eser-
citavano certo nominalmente, dovevano, crescendo negli anni, as-
sumerli di fatto ; cosicché essi erano destinati a diventare i prin-
cipali ausiliari del padre, che di lunga mano andò preparando il
suo piano. E' un lato dell'amministrazione di Bernabò, su cui giova
di insistere alquanto.
A quanto ci dicono i contemporanei, Bernabò amava di tener
piccola corte. Aveva stabilmente presso di sé due vicari e tre con-
siglieri soltanto ; e siccome di questi consiglieri ci vengono detti
i nomi (Uberto da Monza, Airone Spinola e Giavazzo Reina), ciò
dimostra che non erano già tre per turno i consiglieri ammessi a
corte, ma che tre consiglieri solamente costituivano il consiglio in-
fimo (i ). Bernabò doveva dunque attendere personalmente a molti
affari di Stato e (gli aneddoti che lo riguardano, lo provano) ve-
nire direttamente in rapporto con molte persone, com'è proprio dei
magistrati più che dei principi ; o com'era proprio dei principi pri-
mitivi, degl'imperatori romani nel periodo de' Cesari, ecc La fa-
cilità di dare sfogo palesemente, nel trattar gli affari, ai suoi tre-
mendi accessi d'ira deve aver contribuito a creargli la mala fama
che ancora lo persegue. Nei suoi documenti, per quanto finora si
può vedere, non par che si trovino quelle segnature dei ministri, che
compaiono nei documenti di suo fratello Galeazzo II (2) e sono
indizio (come già ebbi occasione di dimostrare) della relativa au-
tonomia che andavano gradatamente acquistando certi dica-
steri ( 3). Par dunque che Bernabò, per quanto fosse un buon am-
ministratore, intento ad ordinare e disciplinare la bassa t buro-
crazia! (4), mancasse invece, riguardo all'ordinamento superiore
dello Stato, di quello spirito più moderno, ed a volte anche ge-
niale, di cui si mostrarono dotati il fratello ed il nipote, Galeaz-
(i) Tutto ciò dall'AzARio, op. cit, XVI, 397 B.
(2) Le prime segnature in calce (lasciando dunque da parte quelle
apposte sotto i sigilli, che sono d'altra natura) tra i documenti deirOsio
appaiono al n. CXXl (I, 179) e tra gli Antiqua decreta a p. 46. L'uno e
Taliro atto sono di Galeazzo II. 1 documenti di Bernabò e delle persone
di sua famiglia non hanno segnatura.
(3) Usi cancellereschi viscontei in K\Mts\! Are h,, XXVII, 1902, 394 e sgg.
(4) AzARio, op. cit, e. 398 AC.
224 ^^I DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
zo II e Qiangaleazzo. Questi infatti, a differenza di lui (ed il con-
trapposto fu notato dai contemporanei stessi, per esempio dal-
TAzario [i]), vivevano ritirati e poco accessibili, affidando una gran
parte degli affciri a regolari dicasteri retti da numerosi ministri
con ampie delegazioni di poteri e di firma ; talché Galeazzo II
venne accusato d'essersi lasciato raggirare dai ministri, di cui si
diceva che facevano e disfacevano tutto a loro capriccio (2). Il
rimprovero fatto a Bernabò d'aver ceduto ad impulsi o capricd
personali, non è mosso a Galeazzo ed a Giangaleazzo, il primo dei
quali è piire lodato per essersi mantenuto affatto estraneo anche
all'amministrazione della giustizia (3). L'alta amministrazione
dello Stato andò insomma sviluppandosi sotto il governo di Ga-
leazzo (4). Invece la mente, diremo così, più medievale di Ber-
nabò vedeva ancora in questa una funzione personale del Signore,
da esercitarsi, finché le forze bastavano e l'importanza delle cose
lo esigeva, da lui stesso ; e, dove non poteva, o non era necessario,
dalle persone più strettamente congiunte con la sua, cioè dalle
persone di casa col minor concorso possibile di estranei. La moglie
Regina fu quindi la sua più fedele ed ascoltata consigliera. Da-
vanti a questa donna che egli amò e rese madre di molti figli (ma
cui non fu mai fedele !), egli non osava neppure sfogare la sua ter-
ribile ira ; si disse quindi che essa lo dominasse come facevano i
ministri di Galeazzo II, e di ciò fu lodata e vituperata (5). I figli
dovevano naturalmente essere i suoi ausiliari ; e ne aveva tanti
fra legittimi ed illegittimi che c'era da formare un sufficiente stato
maggiore ! Così, a mio credere, la concessione alla moglie ed ai
figli del mandato di governare qualcuna delle sue terre doveva
apparire a Bernabò quale complemento necessario del suo sistema
di governo (6).
(i) È facile vedere la differenza tra quanto rAzario dice e pensa
di Bernabò, e quanto dice e pensa di Galeazzo; e mentre di Bernabò
parla con benevolenza, verso Galeazzo è anche assai malevolo.
(2) AzARio, op. cit., 403 C, 404 C.
(3) GiuLiNi, op. cit, a. 1362, lib. LXIX, p. 124.
(4) V. alcune buone osservazioni in proposito nel Rovelli, Sioria
dì Como, Como, 1802, III, i, pp. 14-17.
(5) AzARio, op. cit., 397 C; AnnaL medioL, 777 D.; che la lodano;
CoRio, op. cit., a. 1384, che ne dice molto male.
(6) Non vogliamo trascurare, sebbene abbia meno rapporti con
questo soggetto, una osservazione del Giulini a proposito di Bernabò
E DEI SUOI FIGLI 225
L'intromissione insomma della famiglia di Bernabò nel go-
verno avrebbe carattere simile all'intromissione della gente di casa
dei primi imperatori romani nell'amministrazione dell' impero ;
paragone assai appropriato, perchè già è stato riconosciuto avere
l'impero e la Signoria per altri rispetti molti punti di contatto
fra di loro (i). La casa dell'imperatore non cominciò già ad avere
parte preponderante nell'amministrazione col tramutarsi dell'im-
pero in monarchia burocratica ; ma la ebbe invece grandissima da
principio, quando l't impero i era considerato come im potere fidu-
ciario che l'imperatore esercitava per mezzo dei suoi fidi, e per-
fino i liberti imperiali misero mano negli affari di Stato (2).
Dopo di questo venne il periodo in cui fu organizzata una vera e
e Galeazzo. Galeazzo demoliva le rocche dei contadi, arnesi più peri-
colosi pel governo che pei nemici; Bernabò voleva averne il maggior
numero possibile nelle sue mani e sempre ne fabbricava di nuove (Giulini,
op. cit., a. 1370, lib. LXX, p. 211). Anche in questo Bernabò dimostre-
rebbe idee più antiquate. Potrebbe darsi che il Giulini avesse un po'
esagerato, perchè anche di Bernabò è detto che ordinò di distruggere
certi castelli (AzARio,'op. cit., 402 B.); però dal passo stesso del cronista che
narra il fatto, si potrebbe dedurre che in quel caso Bernabò agisse per
momentanea necessità, mentre la sua smania d'aver troppi castelli e
troppi presidi sembrerebbe provata dalla circostanza che il suo succes-
sore Giangaleazzo, appena assunto il governo delle terre tolte allo zio,
pensava di diminuire le grosse spese che queste superflue difese co-
stavano. Cfr. / denari per la dote, ecc. in qyi^st' Arch,, XXVIII, 1901, p. 57.
È da avvertirsi che quelle disposizioni contro i fortilizi, le quali fu-
rono poi ripetute molte volte da Giangaleazzo (Antiqua decreta, 173, 207,
211, 236), trovansi la prima volta nell'ultimo capoverso d'un decreto di
Galeazzo II contenente disposizioni su materie diverse {Antiqua de-
creta, 39-40).
(i) Il paragone rimonta, credo, al Muratori, Antichità italiane (edi-
zione italiana), dissert. LIV, Milano, 1751, 111,-194. Lo ripetono molti;
p. es. Fertile, op. cit., § 52, p. 225.
(2) Su questo argomento, oltre i libri di storia e di diritto pubblico,
v. il vivo quadro della corte imperiale nella nota opera del Friedlander.
Cfr. pure una osservazione del Marquardt, Organisation de ^empire
romain, 1897, II, 582, sopra una parte dell' amministrazione imperiale
nelle provincie. Dal medesimo Marquardt, op. cit., II, 5'y3, apprendiamo
che anche gli storici romani, di tanto più valenti dei cronisti medievali,
non sempre coglievano il vero carattere delle magistrature imperiali e
sbagliavano nell'uso dei termini tecnici. Dovremo dunque andare con
cautela nel valerci dei luoghi di cronisti che accennano ad uffici nuovi.
226 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
propria amministrazione pubblica non piìi confusa con la casa
imperiale, per giungere poi più tardi ad una monarchia dispotica
e cortigiana, la quale esce dall'ambito del nostro paragone.
Tale confronto, oltreché illustrare la tesi fin qui sostenuta,
varrà pure a chiarire ancora, con Teflicacia dell'esempio, che non
vi è menomamente un rapporto necessario fra Fintromissione della
famiglia del Signore nell'amministrazione e l'idea che lo Stato sia
assolutamente un patrimonio familiare. Anche consfderando il po-
tere come una magistratura (com'era pei primi tempi l'autorità im-
periale romana), è possibile che se ne facciano partecipi le persone
di casa. L'amministrazione per mezzo d'estranei, nel trapasso dagli
antichi governi repubblicani agli antichi governi monarchici, è una
forma (come oggi si dice) più evoluta che non Tamministrazione
per mezzo di persone di famiglia.
Ed all'ultima obbiezione che ci si potrebbe muovere, cioè che
in fin dei conti Bernabò divise la signoria tra i figli e quindi è
forse fantastico ogni, per quanto inorganico, piano amministra-
tivo che gli si attribuisca, risponderò indicando l'esempio di Gian-
galeazzo. Se vi fu un principe che desse opera ad t organizzare»
lo Stato fu lui ; eppure divise le terre tra i figli, come gli altri
Visconti le avevano divise tra gli eredi. Ciò dimostra che nella
loro mente le due cose potevano accoppiarsi, mentre noi le tro-
viamo contradditorie.
Resterebbe ora da esaminare se i poteri affidati ai figli di
Bernabò furono sempre esattamente gli stessi, ma questa indagine
è da posporsi alla risoluzione d'alcuni dubbi sulla distribuzione
della città avvenuta nel 1 379.
IL
Sulla distribuzione delle città nel 1379.
La distribuzione delle città nel 1379 non riproduce fedel-
mente le assegnazioni antecedenti. P. es. Marco Visconti negli anni
anteriori ebbe a reggere Brescia, la quale invece nel 1379 venne
assegnata al quintogenito Mastino, ancora infante. Oltre di ciò
venne predisposta avanti il marzo del 1379, a detta del Cono;
ed ebbe in quel mese esecuzione accompagnata da una certa solen-
nità, come attesta, non solamente il racconto del Corio (i), ma
(i) Il CoRto, op. cit., dice : • ciascheduno di quelli con nobile comitiva
" mandò ai suoi domini „.
E DEI SUOI FIGU
227
anche la lettera, edita dal Verga, con là quale Carlo Visconti par-
tecipava la sua presa di possesso al conte di Savoici, facendo men-
zione della Corte che ivi lo aveva accompagnato {cum tota no-
stra comitiva in Fatma vigemus). Finalmente ci consta che nella
seconda metà di quelFaimo medesimo (16 novembre 1379) Ber-
nabò fece un testamento, nel quale la divisione ^"à. compiuta viene
esplicitamente confermata, disponendo che i cinque maschi nati da
Regina della Scala €sint^ et esse debeant, heredes et successores
in infrascfiptis cruitatibus, tetris^ bonis et juribus eisdem assi-
gnatis vel assignandis 9, con manifesta allusione alla distribuzione
già avvenuta, la quale è riprodotta nei successivi periodi del te-
stamento (i). Il testamento dispone che i cinque eredi avranno
pieno libero ed assoluto dominio nelle terre che loro toccheranno.
Questo complesso di circostanze dimostra che tra la distri-
buzione del 1379 e le antecedenti assegnazioni appare, almeno
allo stato attuale dei documenti, ima differenza, I documenti po-
steriori al marzo 1379 in cui i figli si chiamano luogotenenti, sono
di tale autorità che non può sostenersi che luogotenenti non fos-
sero ; non sarebbe nemmeno sostenibile la tesi che Bernabò si sfa-
gliasse delle terre date ai figli ; ma la luogotenenza dojK) il 1379
preparava evidentemente anche la successione.
Si domanda però se questi luogotenenti predestinati alla suc-
cessione avevano più ampli f)oteri di quel che non avessero prima
della distribuzione del 1379.
La quistione non è nuova. Parma essendo stata una delle
città più a lungo affidate ai figli di Bernabò, discussero tale que-
sito TAffò ed il Pezzana. Il primo opinava che i poteri concessi
da Bernabò ai figli fossero in origine molto limitati ; egli li cre-
deva poco più che esecutori degli ordini paterni, quasi magistrati
esecutivi nelle province. Il Pezzana lo confutava, adducendo a dir
vero documenti notevoli, fra cui un decreto del 1366, in cui s:
vieta di pronunciare i nomi delle fazioni guelfa, ghibellina e mal-
traversa, il quale venne pubblicato in Parma col nome di Ro-
dolfo Visconti, non solo, ma anche con qualche clausola diversa
da quelle che trovavansi nel decreto di Bernabò per Milano (2),
(i) Trovasi in Trivulziana. Lo indicò il Romano in questMrcA., XXII .
1897, pp. 21-22; mi fornì questo estratto il cortese bibliotecario signor
Motta.
(2) Pezzana, op. cit, I, &aS^ (testo dell' Aflfò, note del Pezzana).
Areh. Stor. Lomb., Anno XXIX, Ftsc. XXXVI. » 5
238 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
ciò che implicava che Rodolfo venisse ccHisiderato come investito
anche della facoltà di l^ferare. Onde il Pezzana conchiudeva
che Bernabò, e riserbatosi il diritto di far la guerra e la pace, il
supremo dominio e fors'andie un titolo di superiorità, nel resto
lasciasse ai hgli ogni facoltà governativa» (i). Ma è strano che
il Pezzana si trovi poi d'accordo con l'Affò quando questi afferma
che i poteri dei figli aumentarono con l'andar del tempo e raggiun-
sero il massimo dopo il 1379 (a). Se i poteri dei figli di Bernabò
erano già nel 1366 quali il Pezzana li descrive, di che cosa mai
potevano aumentarsi senza intaccare la sovranità di Bernabò? Nel
passo in quistione i due storici di Parma adducono, a prova del-
l'aumentato potere di Carlo Visconti, il fatto che Bernabò a Ro-
lando Rossi, che chiedeva il suo intervento in una causa, rispose :
« Vadas ad Karolum natum nostrum, quod de quaestionibus ext-
stentibus in tetris natorum nostrorum nolumus nos intromit-
tere » (3). Ciò proverdDbe che a Carlo Visconti era stata data piena
balia nelle cose giudiziarie ; ma le cose giudiziarie erano d'indole
essenzialmente locale e quindi dovettero essere le prime, a mio
credere, e non le ultime affidate alle cure dei luogotenenti locali ;
ed era cosa abbastanza evidente che Bernabò, se voleva che le luo-
gotenenze potessero funzionare autorevolmente, non doveva pre-
starsi a distrarre le cause e gli affari locali da questi loro giudici
ed amministratori naturali. Perciò Bernabò diceva di non volere
occuparsene ; non diceva di non potere.
Toma poi il dissenso tra l'Affò ed il Pezzana, quando questo
secondo sostiene che dal marzo 1379 Caurlo Visconti ebbe in Parma
vera signorìa; mentre l'altro lo negava. La prova addotta dal
Pezzana è che il vescovo di Parma in un documento del 5 novem-
bre 1379, documento solenne, lo chiama esplicitamente signore di
Parma (4). Non ignorava però il Pezzana (come s'è detto in prin-
cipio di questo scrìtto) che il Visconti nei suoi documenti diia-
mava sé stesso luogotenente e non signore ; quindi crede che, pur
essendo veramente signore, per semplice riguardo verso il padre
continuasse a chiamarsi luogotenente. Ma qui si tratta di docu-
menti officiali, non di rapporti prìvati ; o Carlo era signore e così
(i) Op. cit». I, 83, nota 105.
(2) Op. cii^ 131.
(3) V, Pezzana, op. cit,, I, 131,
(4) Pezzana, op. ciu I, 132; ed in «ppend.. p^ 58.
E DEI SUOI FIGLI 229
si sarebbe chiamato ; o non si chiamava così e vuol dire che non
lo era. Il documento del vescovo di Parma che nomina incidental-
mente Carlo, può essere stato scritto seguendo l'andazzo che, come
vedemmo, seguirono i cronisti (i) ; ma i documenti della cancel-
leria di Carlo devono per necessità essere esatti.
Se Tufficio che i figli e la moglie di Bernabò esercitao'ono, fu,
come sembra, non già di esecutori ma di mandatari generali,
non mi pare che la ricerca intomo ai limiti della loro autorità nelle
viarie epoche debba condursi con questo metodo. Se i figli erano
suoi mandatari, potevano far leggi (ed ecco il decreto di cui sopra,
del 1366, intestato col nome di Rodolfo e diverso da quello di
Bernabò relativo a Milano) ; e viceversa Bernabò poteva fare que-
gli atti d'autorità che voleva, nelle terre a loro soggette. Infatti
nel dicembre del 1364 i figli di Bernabò danno ordini relativa-
mente alla sindacazione degli officiali e il 25 agosto dell'anno suc-
cessivo Bernabò manda un suo decreto relativo alle immunità esi-
stenti nelle terre del Parmigiano (2) ; è un intrammezzarsi di atti
(come già s'è notato) che sembrano provare ora una cosa ed ora
un'altra, perchè legalmente le attribuzioni sono le stesse e limiti
prestabiliti non ne esistono. Ma saranno state le stesse nel tatto ?
In primo luogo il mandatario deve rispettare il suo mandante e
gli interessi di lui ; in secondo luogo l'ossequio filiale, l'uso, il
buonsenso, accordi presi od ordini dati secondo le circostanze pe-
culiari (e che per la loro naturale variabilità sfuggono al nostro
controllo), avranno contenuto entro limiti più o meno lati le fa-
coltà di Regina e dei suoi figli. Ma non dimentichiamoci mai che
per testimonianza esplicita del documento lonatense la persona
del padre s'era legalmente trasferita nei figli anche prima del 1379.
Quanto invece all'esercizio effettivo dei loro ampli poteri, è
ovvio che i figli di Bernabò non possono essersi continuamente
trovati nelle stesse condizioni; perchè nel 1364 erano giovanis-
simi, mentre nel 1379 erano giovani fiorenti e nel 1385, quando
cadde la loro signoria, i superstiti (poiché Marco era morto) erano
tutti, eccettuato il quintogenito Mastino, in grado di dare aiuto
efficace al padre. Non credo che si sappia in che modo si provvide
(i) Per meglio giustificare la possibilità di consimili errori ricordiamo
Tesempio tratto dal Marquart, op. cit., II, 573, citato nella nota a
della p. 225.
(2) Pezzana, op. cit., I, 82, nota 103.
330 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
nei primi aumi airesercizio della loro evidentemente nominale au-
torità ; più tardo essi la esercitarono di fatto, e si può andie sup-
porre che Bernabò glie ne lasciasse esercitare una parte sempre più
grande e che nel 1379, mandandoli solennemente alle loro ótà,
intendesse in certo modo di lasciarli finalmente liberi d'esercitarla
in tutta la sua ampiezza.
IIL
Sui beni di Regina della Scala.
Nella divisione del marzo 1379 Regina della Scala è menzio-
nata solamente per la reggenza che doveva tenere a Brescia, a
nome del minorenne Mastino. Reggio d' Emilia, su cui essa eser-
citava, &n dal 1373, i poteri di cui sopra s'è parlato, non è meo-
zionata in quella divisione ; poiché Regina continuò ad eseratanà
gli stessi poteri fino alla sua morte (i).
L'autorità di Regina non si limitò ai due soli comuni di Bie-
scia e Reggio ; è certo che essa esercitò diritti di diverso genone
su molti luoghi e terre dello Stato. Quali fossero ed a che titolo^
non è sempre facile di determinare bene ; tanta è la confusione
delle notizie.
Per maggior chiarezza del nostro esame critico sarà bene per-
mettere che dai documenti viscontei e da quanto finora siamo an-
(i) Non risulta a chi fosse data Reggio, quando Regina morì. G)nsu
che il podestà Guidone da Settimo dei Visconti (1384-85) si chiamava
podestà per Bernabò Visconti ; ma ciò prova poco (Arch. di Reggio L,
Dazi, Gabelle, ecc. Froiocollo del notaio Lanzi 1385 e. 88 t,). Scar-
seggiano molto i documenti di questo periodo nell'Arch. reggiano. Fra
questi ve n'è uno il quale può trarre in inganno, ed è il documento di
Lodovico Visconti, luogotenente in Lodi e Cremona, già sopra menzio-
nato, che stampo sotto il doc. III. Con esso Lodovico Visconti concede
grazia ad un prete reggiano, suo cappellano; ma ciò non deve far credere
che Lodovico avesse il governo di Reggio. Come " familiare , di corte il
prete in questione aveva diritto di godere privilegi speciali, e quindi
fece trascrivere dal magistrato delle Entrate (ne' cui libri si trova la
copia) il documento che attestava tale sua qualità in Reggio dove, come
nativo, avrebbe dovuto pagare le tasse. — Quando Carlo Visconti fuggi,
dopo la cattura del padre, venne a Reggio {Chron, reg. in R, L i
XVIII, 92, C) e vuotò le casse pubbliche (Arch. di Reggio E. Minuta di let-
tera nel Carteggio del Regg. isSft). Che avesse qui autorità particolare?
E DEI SUOI FIGLI 23 1
dati esponendo, risulta che le persone di famiglia di un signore
visconteo potevano avere
terre in pieno dominio,
tenre iji cui rappresentavano il signore,
beni privati con o senza diritti feudali, immunità, ecc.
Quindi i loro atti potevano essere di dominio o di rappresentanza ;
ai quali s'aggiungono atti del genere di quelli collettivi di Bernabò
e Regina, in cui, sebbene concorrano più parsone, evidentemente
una ha un'autorità propria e l'altra derivata. Avvertasi però che,
anche dove troviamo atti di pieno dominio, non credo si possa
supporre che il signore che aveva concesso quel dominio, inten-
desse di renderlo proprio indipendente.
Non risulta che atti di pieno dominio Regina della Scala ne
compisse in alcuno dei grandi comuni soggetti a Bernabò : la sua
autorità in Brescia ed in Reggio d' Emilia si riduce al solito ufficio
di rappresentanza (i). Ma è certo che essa ebbe anche, ne' contadi,
terre sue proprie, da lei ricevute per donazione oppure acquistate
col suo denaro dotale o con altro denaro ; e che sopra queste terre
esercitò a volte amplissima autorità. Il Corio, fonte principale
(purtroppo!) delle informazioni in proposito, ci fa sapere le più
strane e contradditorie cose del mondo ; mentre alcuni documenti
vengono a dar torto al Corio anche là dove questi non si contrad-
dice da sé.
Nel 1380, il 21 dicembre, secondo il Corio, Bernabò avrebbe
donato a Regina Roccaf ranca (nel Bresciano?), Cassano d'Adda,
Pizzobellasio (Pizabrasa in pieve di Locate, secondo il Giulini),
Cugnolo, Sarzana, e T aitano (Tabiano) nel territorio parmense (2).
Ma, quanto a Sarzana, un documento autentico edito dall'Osio,
prova che fu invece donata 10 anni prima (3) ; quanto a Tabiano,
il Corio medesimo aveva detto altrove che Regina ne era entrata
in possesso fino dal 1374 (4) ; e quanto a Roccaf ranca bresciana
(presso l'Oglio), vedremo che un documento dimostra che Regina
la possedette dal 1366 ed anche prima (5).
(i) Ebbe ragione il Corio (op. cit., a. 1384 p. 505) quando, nel par-
lare di lei, disse: * questa in gran parte resse Timpero del suo
marito „ evitando d'usare la parola possedette ed usando invece la
parola resse.
(2) Corio, op. cit., p. 500.
(3) Osto, op. cit., I, 145, n. LXXX.
(4) CoRio, op. cit., p. 487.
(5) Cfr. Odoricì. Storie bresciane, VII, 200 e il nostro doc. I.
33^ SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
Sotto Tanno 1383 il Corio poi c'informa che Regina avrebbe
comprate dal marito coi denari della sua dote e pel prezzo di fio-
rini 250.000 d*oro il castello di Cassano, Set tesano ^ il vicariato di
Cugnolo, Metono, Pizzobellasio, Roccafranca, Castel S. Angelo,
la Somalia, Monte Oldrado, Castelnuovo, Roncalia lodigiana,fcon
tutte le ragioni delle possessioni et acque in quello di Brescia le
quali furono già de i ribelli et tenute per Simone da Lisca •, più
Sarzana, Avenza, S. Stefano e molte altre terre in quel di Reg-
gio (i). Notizia questa veramente stravagantissima, secondo la
quale Regina, donna di ben molta esperienza, avrebbe impiegati i
denari della sua dote nel comperare dal marito le terre che il
marito medesimo molt'anni prima le aveva donate, a detta, come
s'è veduto, del Corio medesimo (quali erano Sarzana, Roccafranca,
Pizzobellasio ecc.) o per testimonianza di documenti irrefraga-
bili (Avenza, Carrara) (2). Alcune delle terre poi che figurano com-
perate nel 1383, Regina le aveva bensì comperate, ma parecchi
anni prima e da altri ; e ciò risulta da documenti dello stesso Ber-
nabò Visconti di cui dovremo discorrere più avanti ed uno dei
quali si troverà nell'appendice n. i. Queste terre erano quelle si-
tuate lungo rOglio, ed i diritti sulle acque di questo fiume appar-
tenevano a Regina per gratuito dono del marito dal 1366. Aggiun-
gasi poi che poche pagine prima, sotto l'anno 1379, il Corio narra
pure d'un'allra donazione fatta da Bernabò a Regina, la quale
comprende alcune terre non menzionate ed altre menzionate fra
quelle che poi dice comperate da Regina ; e cioè la Somalia, Ca-
stelnovo, Roncalia, Monte Oldrado e S. Angelo (3). Cosicché, de-
traendo dalle terre che il Corio dice comperate nel 1383 tutte quelle
di cui Regina era in possesso anche prima, non si vede più quali
siano i nuovi acquisti da lei fatti nel 1383 degni della vistosissima
somma di 250.000 fiorini d'oro.
Rimettere un poco d'ordine, col solo aiuto di un esame critico
dei passi del Corio, in questo garbuglio è cosa quasi impossi-
bile (4). 11 Corio però (è cosa nota) lavorava sopra documenti at-
(i) Curio, op. cit, p. 503.
(2) Osio, op. cit, doc. cit., n. LXXX.
(3) Corio, op. cit, p. 449.
(4) Anche il Giulini s*è limitato a registrare le notizie del Corio e
ad identificare alcuni luoghi. All'anno 1379 (lib. LXXII, p. 315) ed al-
l'anno 1383 (Uh. LXXII, p. 352) registra i due atti contradditori senza
nemmeno rilevare la contraddizione tra la donazione e la vendita-
E DEI SUOI FIGU 333
tendibili. 9d>beiie ne facesse un uso pessimo ; quindi se le sue
notizie sono confuse e frequenti gli equivoci, non si può tuttavia
accusarlo facilmente di dar notizie infondate. Ai tempi di Ber-
nabò non era cosa rara che le donazioni come altri atti, quali le
infeudazioni, i privilegi d'immunità, ecc, venissero ripetute più
volte a titolo di conferma. Il Corio può aver scambiate le conferme
per nuove donazioni, non aver saputo distinguere bene in un me-
desimo atto le diverse stipulazioni ; quindi le sue notizie ci pre-
sentano un garbuglio cronologico che i soli documenti originali
potrebbero dipanare compiutamente, ma ci offrono un complesso di
nomi di terre che, essendo ripetuti con insistenza, o non avendosi
ragioni per escluderli, possono tenersi per sicuri o quasi sicuri
(malgrado la relativa difi^oltà d*identificare qualcheduno)(i). Que-
sti nomi sarebbero quelli d'alcuni luoghi di Lunigiana (2), quelli
della Somalia, Castclnuovo, Roncalia Lodigiana, Maiano, Monte
Oldrado, S. Angelo (o Castel S. Angelo) e Merlino nel Lodigiano,
Roccafranca, Cassano d'Adda, Pizzobellasio, Cugnolo col suo vi-
cariato, Tabiano nel Parmigiano, Settezano, Metono, Salvanecio,
le ragioni e possessioni d'acque nel Bresciano, e terre su quel di
Reggio (3).
Però a queste notizie poco ben definite siamo in grado d'ag-
giungerne alcune assai più precise, in grazia di alcuni doctmienti
che si conservano nella Biblioteca e nei due Archivi di Brescia,
relativi ai possedimenti che Regina ebbe in quel territorio ed in
qualcuno dei contermini. Di questi documenti ebbe notizia lo sto-
rico di Brescia, Odorici ; il quale però ne diede cenno in modo,
come vedremo, più adatto a fuorviare che ad illuminare gli stu-
diosi (4).
Il 12 febbraio 1366 Bernabò Visconti, considerando che non
(1) Per identificare un certo numero di codesti luoghi, d'alcuni de
quali oggi il nome è fuori d'uso, vedansi le note del citato articolo del-
TAgnelli, Vertenze, ecc.
(2) Vedere l'enumerazione nel documento delFOsio.
(3) La maggior parte di questi nomi li abbiamo incontrati più sopra.
Quanto ai nuovi, Maiano e Merlino risultano dal Corio, op, cit,a. 1379.
p. 499. Riguardo a S. Angelo, abbiamo anche il sopraccennato atto di
grazia di Bernabò e Regina a prò' degli Schiaffinatì. Osio, op. cit., I, 234.
(4) Odorici, op. cit., VII, aoo-201, 212-213. I documenti dovevano
pubblicarsi per intero nel Codice diplomatico, che poi V Odorici inter-
ruppe a metà. Pubblico in appendice il principale ed un estratto d'un
altro; e dei residui si farà cenno nelle note.
234 ^^^ DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
poche terre, situate sui confini tra il Bresciano e le contermini giu-
risdizioni, lungo il fiume Oglio, erano ridotte per le guerre e ru-
berie in condizioni tali che nessuno poteva abitarle e nemmeno
passarvi senza pericolo grave, e che nulla se ne ritraeva ; conside-
rando pure che sua moglie Regina aveva acquistato anteriormente
non poche possessioni in diversi luoghi dei territori medesimi, volle
13rovvedere al bene di quelle terre e faxe insieme grazia speciale
a Regina, trasmettendole i diritti che a lui spettavano, tanto a ti-
tolo d'allodio, quanto di signoria e di vicariato imperiale^ sui pre-
detti territori e sulle rive delFOglio da Cividate (i) fino a Fio-
rano ed a Roccaf ranca : e questa trasmissione fece con decreto
solenne (2) Dieci anni dopo, cioè il 9 dicembre 1376, Regina tro-
vava necessario di richiamare il decreto del 1366 alla memoria
degli officiali, che non lo rispettavano (e qui si vede, sia detto di
sfuggita, che per quei tempi non bisogna commisurare l'effetto pra-
tico con l'ampiezza delle formole di concessione) ; e quindi con
suo proprio diploma solennemente affermava i poteri speciali af-
fidatile dal marito sopra Calcio, Urago e Pumenengo, in conse-
guenza dei quali queste terre erano immuni dalla giurisdizione di
qualsiasi altro ufficiale di Bernabò (3). Il 9 ottobre 1380 Bernabò
Visconti, avuta notizia (dice Tatto) che Regina aveva acquistate
ancora de eius pecunia et ad eam pertinente possessioni e beni in
Oriano ed altre terre in territorio di Brescia (sempre nella Bre-
sciana bassa, come le precedenti), in Alzano superiore (territorio
di Bergamo), Calcio, Pumenengo e Fiorano sul distretto di Cre-
mona, in Gazano sul territorio di Milano ed in Milano stessa, ed
altri beni ancora intendeva di comprare col proprio denaro, rico-
nosce tutti codesti beni per libera proprietà di Regina, rinunciando
a qualunque diritto gli Statuti milanesi lasciassero al marito sui
beni della consorte (4). Però l'anno medesimo Regina, dopo aver
sp)eso somme piuttosto considerevoli per migliorar le terre a lei
affidale, senza poterle ricuperare (5). faceva cessione di una parte
(i) Cividate " in piano „, s'intende, e non Cividate « in Val Ca-
monica „.
f2) V. dee. I.
(3) V. dee. II.
(4) Arch. di Stato di Brescia, Territorio^ Registrum Carbonij, fol. 1 1
(5) Vi è traccia del fatto nel documento del succitato Registrum
Carbonij, e. 2 r.
J
E DEI SUOI PIGLI 335
di esse a Prevosto da Martinengo (i) e d'un altra parte faceva do-
nazione a Giovannolo da Casate, personaggio molto considerato
nelle due corti tìi Bernabò e di Giangaleazzo (2). In quest'ultima
donazione cedeva Regina i diritti che essa godeva sulle terre
donate ; diritti molto più limitati di quelli che aveva su le altre
sue terre (3), perchè le possessioni cedute al Casate erano tra quelle
acquistate da Regina dopo Tanno 1 366 e ad esse non si era estesa
l'immunità, eccezionalmente ampia, concessa da Bernabò nel 1366
per cause eccezionali a quei possedimenti che Regina aveva al-
lora nelle terre desolate delTOglio. Più tardi però anche Gio-
vannolo cedette questi beni ai Martinengo, i quali li riunirono a
quelli acquistati direttamente da Regina e cercarono di estendere
le immunità parziali a tutto questo complesso di beni, che era
cosi vasto da fonnare una specie di piccolo principato che sten-
devasi sulle due rive dell'Oglio nel Cremonese, nel Bresciano, nel
Bergamasco per molte diecine di chilometri (4). Le pretese dei
Martinengo, essendo evidentemente assai, dannose ai vicini co-
muni ed allo Stato, questi fecero del loro meglio per opporvisi, e
le cause, nelle quali fu sempre immischiato il nome di Regina e
furono discussi i documenti, di cui parliamo, si protrassero fino
alla metà del secolo XVII (5).
Dal complesso di questi documenti si deduce in primo luogo
la lista seguente, che può presumersi molto esatta, dei beni di
Regina siti sul Bresciano e territori contermini :
nel 1366 : Roccafranca, Urago d'Oglio ; terre site in Cal-
dana superiori a Fossato pergamasco versus montent; terre in
Caldana inferiori, Pumenengo, Gazolo, Fiorano (6), Galignano,
ogni diritto sull'Oglio da Cividate in piano fino a Roccafranca ;
più il governo di Rudiano e del resto del territorio di Calcio :
nel 1380: le predette terre più altri beni in Oriano, Castel-
(i) ODORicf, op. cit, VII, 212.
(2) Cfr. p. es. GiULiNi, op. cit., a. 1381 e 1382, lib. LXXII, pp. 341 e 346.
(3) 1380, novembre, 14. In copia nel cit. Registrum Carbonij\ ce. i-2-
(4) Una piccola parte di questi beni è valutata in uno degli atti che
li riguardano, per la estensione di 2418 J>iò (Il piò z= are 32,55). Regi-
strum Caròonij di, ce 6 e sgg., confermato parzialmente da un doc. edito
in Mazzucchelli, Raccolta di privilegi concernenti la città e provincia di
Brescia, Brescia, 1732, p. 437.
(5) V. il Registrum Carbonij ed il Mazzucchelli, op. cit., pp. 256-437.
(6) È un luogo di non facile identificazione, perchè i Fiorano più
conosciuti distano troppo dall'Oglio,
236 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
letto, Monticelli (o le Mottelle? [i]), Paderaello, Quinzano ed
Urago, tutti in territorio di Brescia : in Alzano superiore in ter-
ritorio di Bergamo ; in Calcio, Pumenengo e Fiorano, distretto
di Cremona, in Gazano, territorio di Milano, ed in Milano mede-
sima. Ai beni di Quinzano andava unito Mezulum cioè la cascina
Mezzullo presso TOglio (2). Sono poi da aggiungere i beni di
Pedergnaga (3).
Qui non si può proceder oltre a studiare più intimamente il
fatto di cui abbiamo dati i particolari, essendo indispensabile una
disgressione sopra un dubbio non indifferente. Una vecchia tra-
dizione voleva che fin dal 1348 (e quindi due anni prima del ma-
trimonio con Bernabò Visconti) Regina della Scala esercitasse do-
minio personale nella Riviera di Salò sul lago di Garda. L'ultimo
dotto storico della Riviera ha dimostrato che la tradizione non
ha fondamento e che la Riviera passò sotto il dominio dei Vi-
sconti nel 1351 in modo e per ragioni finora sconosciute (4). Però
gli atti di padronanza da Regina compiuti, durante la guerra
contro gli Scaligeri, fra il 1377 ed il 1378, nella Riviera di Salò
fanno supporre al Bettoni cKe Bernabò avesse infeudata o ceduta
allora la Riviera alla moglie (5). Noi abbiamo già veduto però
che nessuna infeudazione o cessione fu necessaria perchè Regina
esercitasse in diverse terre del marito, come Brescia e Reggio,
amplissimi poteri ; nel caso speciale poi è da notarsi che R^^ina
venne nel Bresciano e compì atti di governo nella Riviera in tempo
di guerra, quand'era anche naturale che i suoi poteri fossero più
ampli del solito, come si conviene a chi dirige gli affari sul teatro
della guerra ; ciò che però non vuol dire che essa avesse la si-
gnoria della Riviera. Osserx^eremo finalmente che nella distri-
buzione delle città, nel 1379, la Riviera di Salò venne assegnata
(i) I documenti del Registrum Carhonij danno ora la lezione Mon-
ticelli, ora la lezione Mottelle. Vi sono due Monticelli, uno presso Pon-
tevico (ci re. di Verolanuova) e Taltro detto Monticello d' Urago (Chiari).
Le Mottelle si trovano invece verso Pedergnaga ed Orìano (Chiari).
(2) Registrum Carboni], e. 6 e sgg.
(3) Pedergnaga ed Orlano sono menzionati nel privilegio che Gio-
vannolo da Casate ottenne da Giangaleazzo Visconti, concernente i beni
donatigli da Regina della Scala. Registrum Carbonij, e. 73.
(4) Bettoni, Storia della Riviera di Salò, Brescia, 1880, voi. H,
pp. 47-50.
(5) BETroNi, op. cit, If, 56-60.
E DEI SUOI FIGLI 337
a Mastino, quintogenito di Bernabò, e che il testamento conferma
rassegnazione ; ciò che rende ancor più difficile d*ammettere che
due anni prima Bernabò ne avesse già disposto in favore della
madre, dandogliela in feudo od in piena signoria. Conchiudiamo
dunque che anche la signoria di Regina in Riviera nel 1377-78,
ammessa dal Bettoni, è molto dubbia.
Tornando ora ai fatti, di cui i documenti sopra riferiti ci
danno sicura ed esatta notizia, si deduce da essi qual genere di
poteri esercitasse Regina nelle sue terre : proprietaria privilegiata
in alcune, govematrice in altre (e ciò dice espressamente per la
terra Bresciana di Rudiano il documento del 1366), era finalmente
in alcune altre, in via di straordinaria eccezione, proprietaria con
delegazione di tutti i poteri del Signore. Questi ultimi beni, i
quali costituiscono la massima parte delle terre menzionate nel
documento del 1366 (di questi soli, si badi bene ; non la massima
parte del patrimonio di Regina) richiamano particolarmente la
nostra attenzione, in primo luogo per quanto inesatlamente ne fu
detto dairOdorici, in secondo luogo' per il significato d'alcune
delle notizie che abbiamo intomo ad essi.
L'Odorici scrive che i tenimenti che Regina aveva in Cai-
ciana, Urago e Roccaf ranca nel 1366, le erano stati donati dal
marito (i) ; ma questo è un error grave, perchè il documento prova
che invece erano stati diversamente acquistati. Dice ancora l'Odo-
rici (2) che Bernabò fece cessione di Urago, ecc ; il che, nella
forma in cui s'esprime l'Odorici, è falso, perchè Bernabò cedette
i diritti di giurisdizione su terre già possedute da Regina (fra
le quali era Urago) e vi aggiunse solamente i diritti di giurisdi-
zione su alcune terre contermini, perchè Regina esercitasse senz'im-
barazzi i diritti concessile sopra un territorio senz'interruzione, le
interruzioni essendo causa di conflitti d'autorità. Finalmente l'Odo-
rici afferma che l'atto di Regina in data del dicembre 1376 t eso-
nerava» Urago dalla dipendenza del podestà di Brescia (3);
mentre invece l'esonero datava dal 1 366 e lo concesse il marito, e
non riguardava solamente Urago.
Nel Bresciano le cose andarono molto diversamente da quanto
lo storico di Brescia aveva creduto. Regina acquistò successiva-
(i) Odorici, op. cit.; VII, 200.
{2) Odorici, op. cit., VII, 213.
(3) pDORia, op. cit., VII, 21^.
238 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
mente con denaro proprio, in distretti e giurisdizioni diverse ma
contermini, una quantità considerevolissima di terre, tra le più
desolate e deprezzate. Bernabò, legittimando tali acquisti, aedette
opportuno di raccogliere tutta la riviera deirOglio, bisognosa di
una mano forte ed esperta che ne rialzasse le sorti, sotto il go-
verno di Regina, che già era immensamente interessata a far rifio-
rire nel suo stesso vantaggio la desolata regione. Non grassi appan-
naggi venivano donati ; ma territori, e da cui (dice testualmente
il diploma) non si cavava nulla», venivano riuniti ed affidati ad
un regime eccezionale sotto la direzione di codesta donna indub-
biamente operosissima (i). E che Bernabò non mentisse dicendo
che quelle terre costavano sacrifici più che non portassero rendite,
lo prova il fatto che, quando Regina cedette alcune di codeste
possessioni al da-Casate dovette riservarsi espressamente nell'atto
di donazione il credito di 700 fiorini da lei dati t in principio vel
circa prò adiutorio laborerij dictarum possessionum » (2). E' dun-
que evidente che l'investitura data da Bernabò alla moglie non
era davvero un mezzo di farle godere senz'imbarazzi laute rendite ;
era un espediente per veder di trame qualche cosa. Notisi bene che
Regina non signoreggiava alcuna grossa e fiorente borgata, e nes-
sun comune considerevole perdeva per le concessioni fatte a lei
alcuna delle migliori sue terre. Accadde sempre così? Furono cioè
le altre donazioni egualmente onerose e le altre speculazioni di Re-
gina egualmente difficili? E' una domanda, a cui non credo si
possa dare una risposta generale ; ma intanto è certo che, dopo
l'esempio addotto, le parole vendita e donazione, che spesso ri-
corrono nel Corio, non devono produrre sull'animo nostro l'impres-
sione che abitualmente tali vocaboli producono : ricevere tm dono
e comperare non erano davvero sempre sinonimi per Regina di
procurarsi una rendita da godere tranquillamente.
Sarebbe anche bello di sapere donde provenivano i denari,
di cui Regina si valeva in quei suoi tentativi. I documenti ed il
Corio lo dicono denaro suo ; ed infatti Regina aveva avuto fio-
rini 250.000 di dote e 400.000 ne avrebbe dovuti ricevere dai fra-
telli, dopo la guerra mossa loro da Bernabò nell'interesse della
(i) Avvertasi però che FOdorici non nega, quantunque le sia osti-
lissimo, alcuni benefici di Regina.
(2) Registrum Carboni j cit., e. 2 r.
K DEI SUOI FIGLI 339
moglie, per patto conchiuso nell'aprile 1379 (i). Il Corio vuole
x;ome s'è visto che negli acquisti dell'anno 1383 essa investisse il
denaro dotale ; ma oltre che è un po' strano che essa pensasse
ad investire la dote solamente nel 1383, s'è già dimostrato che
una parte almeno di quelle terre erano state comperate prima.
Forse nel 1 383 Regina investì una parte del denaro pagatole dai
fratelli. Quel che importa si è che, fino a prova contraria, non
appare che Regina spendesse il denaro dello Stato; ed è cosa
degna di nota in quei tempi e per quegli uomini.
IV.
Sui fini politici di Regina e dei suoi figli.
Fino a questo punto abbiamo cercato di sceverare dalle cause
personali e private degli atti di Bernabò quelle ragioni di Stato
che ci parvero indicate dai documenti ; ma ci siamo occupati più
dei fini suoi che di quelli delle persone di famiglia, di cui si
valeva. Parlando però di Regina abbiamo incominciato, per ne-
cessità di cose, ad accennare anche ai fini particolari di lei ; e
qui per ultimo considereremo il nostro argomento da tal punto
di vista.
Ai figli giovinetti Bernabò diede, naturalmente, per sua spon-
tanea volontà o per suggerimento di Regina ; i figli poi cresciuti
in età possono benissimo aver caldeggiato la distribuzione delle
città. Essi e la madre indubbiamente avevano per fine di assi-
curare la successione futura. Se avessero altri fini i figli, è cosa
che il materiale qui preso in esame non permette di affermare.
Regina invece sicuramente fu mossa da molte cause, che non
tutte pretendo di riassumere, ma tra le quali credo che fossero, e
non ultime, le seguenti.
La quistione della successione aveva per lei un interesse tutto
speciale. Nulla induce a credere che essa volesse formarsi, o un
principato suo personale a danno del marito, o un principato au-
tonomo da godere liberamente in caso di vedovanza. A questo
proposito non è male di notare che, per quanto larghe fossero le
immunità concesse da Bernabò a Regina, i legisti non considera-
rono quelle terre immuni, da lei possedute nel Bresciano, se non
(i) Corio, op. cit., p. 498.
940 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
come un feudo (i). Ma le donazioni di Bernabò Finteressavano
immensamente come madre ; perchè, a quanto ci viene narrato,
Bernabò donava larghissimamente anche ai figli illegittimi, di cui
aveva abbondanza. Non mi pare privo d'importanza il fatto che,
quando Bernabò donò a Regina, donò anche a qualche concubina ;
e quando nel 1379 distribuì le città ai figli, ci vien detto che donò
altre terre agli illegittimi. Così nel 1377 si registrano donazioni
a Regina e nel medesimo tempo donazioni a Donnina de* Porri,
e lo stesso fatto si ripete nel 1379 (2). Uno storico, al quale non
fu ignoto l'archivio visconteo (di cui ci parla egli medesimo), dice
che nel 1379 Bernabò distribuì le città ai figli legittimi tctdm to-
tidem ex damnato coitu susceptis latifundìa et domos honestosque
reditus, donationis iure tribuissei^ (3). Alle concubine ed agli il-
legittimi Bernabò era affezionatissimo (4) ; ma Donnina de* Poni
amò a tal s^^o che, poco dopo la morte di Regina, o la sposò o
tutto dispose per sposarla (5). Il contegno di Regina fu d'una tol-
leranza tale verso l'infedele marito e la sua complice, che non è
possibile credere fosse suggerita altro che da im calcolo politico
superiore alle ferite dell'amor proprio. Infatti Regina giungeva
al punto da regalare le figlie illegittime di Bernabò che andavano
a marito : e ciò risulta da testimonianze irrefragabili (6) ! Biso-
gna dire che Regina volesse con astuzia, come compartecipe del
governo e come madre, non affrontare ma tenere al dovuto segno
la forse molto ambiziosa Donnina, ed assicurare contro la genero
sita sconfinata del marito verso gli illegittimi gli interessi dei figli
legittimi, cercando di non perdere mai l'ciscendente che godeva
sull'animo del marito ed approfittandone per chiedere ed accet-
tare donazioni ed acquistare terre, nelle quali cessasse ogni diritto
di Bernabò di dare disposizioni a favore dei figli non legittimi.
La disposizione esplicita che certi beni passassa*o agli eredi di
(i) V. la sentenza del 1687 nel Mazzucchelu, op. cit, p. 437.
^2) GiULiNi, op. cit, a. 1377, lib. LXXI. p. 292; a. 1379, lib. LXXII.
U) J<>vii, Vitae duodec, Vicecomit, in Bernabò; v. Graevii, Thesaur.
an/ìgtiìL iialìc. III, par. I. col. 317. Riguardo airarchivio, ibid., 32a
(4) AzARio, op. cit., XVI, 398.
(5) Siccome nel notissimo processo contro di lui riferito dagli Ah-
nales medioL è detto che * ipsam desponsavit, nihiloniinus non potest
* esse uxor sua , , si potrebbe forse supporre che si fossero celebrali
i soli sponsali, che allora erano ancora un atto di grande importanza.
(6) Osio, op. cit., I, 192, n. CXXIX.
E DEI SUOI FIGU 24I
teiera forse superflua, e pur si trova nel decreto del febbraio 1366.
La dichiarazione di Bernabò che egli rinuncia ad ogni diritto per-
sonale, concesso dalla legge, su certi beni acquistati dalla mo-
glie (i), non pare priva di significato.
Potrebbe opporsi a questa ipotesi un documento che d ap-
prende come Bernabò Visconti dopo la morte di Regina disponeva
della possessione, varie volte sopra ricordata, di Pizzobellasio^
col fame dono alla chiesa e canonica della Scala in Milano (2) ;
ma è da notarsi che questi beni furono destinati a pio scopo, ad
uso di chiesa fondata da Regina e forse per disposizione orale
lasciata da lei. Ad ogni modo i diritti dei figli di Regina anche
su questa possessione erano certamente ben conosciuti ; perchè dopo
la caduta di Bernabò fu chiesta la conferma della predetta do-
nazione a prò' della chiesa della Scala non a Giangaleazzo, suo
successore, ma alla moglie di lui Caterina (3), figlia di Regina
della Scala ed unica rappresentante delle ragioni dell'eredità ma-
tema, essendo gli altri figli di Regina in carcere od in esiglio,
ed i loro beni confiscati
Fra i veri e propri motivi politici, per cui Regina assunse vo-
lontieri il governo od acquistò volontieri la proprietà di certe
terre, porrei i seguenti, tutti conciliabili fra di loro.
Regina amava di farsi confidare le terre e le città di recente
acquisto (4), le città e le terre di confine, le terre più specialmente
desolate dalle guerre incessanti. Poco dopo l'axiquisto di Reggio,
che fu nel 1371, Regina visitava quella città insieme col marito;
ed il cronista, che fu testimonio oculare del fatto, ci racconta :
€D. Bernabos cum eius uxore venti Rhegìum hora vigesima et
equitavit circum muros, quos cum portis eius plurimum admira-
tus propter robur eius ; sed cum per civitatem equitavit, valde con-
doluit de domorum vastatione et magis eius uxor. Cives illum ve-
spere visitarunt, quos benigne suscepit, sed ccdmiratus est pauci-
iatem kominum, quod vix credere posset nist de paucitate perqui-
sì) Diploma 9 ottobre 1380.
(2) GiuuNi, op. cit., a. 1385, lib. LXXII, pp. 375 e 639.
(3) GiULiNi, op. cit, a. 1387, lib. LXXIII^ p. 461 (doc. del 24 mag-
gio 1387).
(4) Sarzana si sottomise a Bernabò nel 1369 e fu data a Regina
nel 1370 (Osio, op. e doc. cit., n. LXXX). Reggio fu sottomessa nel 1371
ed afl5data a Regina nel 1373
242 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
sivisset^ (i). Non ignorava dunque Regina le miserie di R^gio
ed anzi (è notevole questa caratteristica espressione del" Cronista)
se ne mostrò ancor più rattristata del marito. Vide la città deso-
lata da oltre mezzo secolo di lotte atrocissime che avevano ridotto
da 8000 a soli 700 gli uomini atti alle armi (2), e reso impossibile
per la scarsezza delle cause penali di pagare al podestà il quarto
del suo stipendio coi proventi delle multe, e per il numero troppo
esiguo dei dottorati in diritto resa difficile la trattazione delle cause
civili ! (3) Questa è la città di cui Regina assimieva ramministra-
zione nel 1373 ; ed abbiamo veduto che non dissimili, fors'anche
peggiori, erano le condizioni delle terre sulFOglio. Non siamo in
grado di offrire per Sarzana cosi minute notizie ; ma la domina-
zione viscontea in Lunigiana fu preceduta da lotte non meno
lunghe e funeste di quelle che desolarono il territorio e la città
di Reggio d* Emilia (4) ; e si può bene affermare che se Bernabò
voleva offrire un migliore t spillatico 1 (a questo titolo fu donata
Sarzana) alla consorte, non glie ne mancavano certo in Lombar-
dia! Il dono e Tincarico di governare simili terre, piuttosto die
un puro atto di generosità maritale, dovettero essere una con-
seguenza della parte importantissima che per la sua energia e la
sua intelligenza Regina era chiconata ad esercitare nelFammini-
strazione dello Stato. Questa donna, che perfino marciò con un
esercito nella guerra contro i fratelli, doveva credersi ed es-
sere creduta la persona di famiglia più adatta ad amministrare le
terre difficili.
Regina ebbe poi in mira la signoria Scaligera che non voleva
lasciarsi sfuggire. Veramente i rapporti fra Bernabò e gli Scali-
geri furono d'ordinario abbastanza buoni : tuttavia una guerra
avA'enne per la rivendicazione di diritti della moglie, che furono
poi convertiti nei ricordati 400,ocx) fiorini Al suo quintogenito,
nato appunto nel periodo delle contese vìsconteo-scaligere (5),
Regina impose il nome scaligero di Mastino (caso unico, se non
(1) Chron, reg. cit, XVIII 77 C.
(2> C/tron, rfg, cit., 70 C.
l^3^ Arch. di Reggo E., Girtri^gio del Reggimento, 1386^ agosto 4.
(4) CtV. Repetti, DisioftiìHo geografico, fisico, storico della Toscana.
to, V, 184- 185.
(5) Sul controverso anno di nascita dì Mastino v. <^es^ Archivto,
XXIX, pp. 305-400.
E DEI SUOI FIGLI 243
erro, nella famiglia Visconti) ; e questi, fanciul letto ancora, venne
promesso sposo ad una Scaligera e poi nella distribuzione delle
città gli venne assegnata Brescia con la Riviera. di Salò, vale a
dire il territorio più prossimo alla signoria scaligera, ponendolo
sotto la tutela di Regina. Naturalmente il testamento del dicem-
bre 1379 conferma questa assegnazione. Regina tenendo fino alla
morte il governo di Lunigiana, Reggio, Brescia e Riviera di Salò,
guardava così tutta la frontiera orientale dello Stato ; dell'occi-
dentale non pare che si prendesse cura diretta e tanto può essere
vero, come non vero, che proprio lei pensasse (come afferma il
processo contro Bernabò) a detronizzare Giangaleazzo. Certa-
mente per Reggio, Brescia e Salò, e con l'aiuto della corte di Man-
tova con cui attivamente corrispondeva (i). Regina sorvegliava
bene il giuoco in quello scacchiere politico da cui dipendevano
le sorti della signoria scaligera. Vincolo d'unione tra le due case
dei Visconti e della Scala, com'essa fu molte volte, nutriva però
nell'animo la speranza d'unire in uno dei suoi discendenti tutta o
parte della signoria scaligera con una parte dei domini viscontei?
Questa politica a doppio taglio non sarebbe disforme dai costumi
dell'epoca ; e lo stesso Bernabò, dopo il trattato del 1379, seb-
bene amico degli Scaligeri, non aveva abbandonato il pensiero di
farsi padrone di Verona e di Vicenza (2). D'altronde la signoria
di Bernabò era predestinata ad andar divisa ; meglio era quindi
(questo forse fu il concetto di Regina) che uno almeno degli eredi,
unendo Verona a Brescia e forse ad altre terre, costituisse per sé
una signoria potente e ben situata. E l'esecuzione di questo di-
segno forse Regina volle per maggior sicurezza riservato a sé
stessa ; e perciò Brescia venne assegnata al giovinetto Mastino
e la reggenza a lei. Ma la morte che la colse nel 1384. venne a ren-
dere inutile l'avvedimento dell'operosa donna.
Conclusione.
Così abbiamo raccolta ed esaminata, col metodo critico che
ci eravamo proposto, una serie, ben lungi sicuramente dall'essere
compiuta, di notizie offerteci da alcune fonti storiche intomo ai
(i) V. molti documenti delFOsio appartenenti a questi anni.
(2) Cipolla, Storia delle Signorie, pp. 222-223; Compendio della storia
di Verona, Verona, 1900, p. 261, 264, 272; Romano, // primo matrimonio
di Lucia Visconti, in (\utst^ Arch,, XX, 1893, p. 591.
Areh Slor. Lomb., Anno XX fX. Fase. XXXVI. 16
344 S>^' DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
beni ed ai domini di Regina della Scala e dei suoi figli. Volendo
compendiare i risultati di carattere generale a cui siamo pervenuti,
credo che si possa dire che il fatto ha dimostrato con quanti av-
vedimenti si debba procedere prima di pronunciarsi intomo ai
Hnmmt A^Ua fnmmlin Hi npmuVin • rhp U aiinni Ai Remahn f-
E DEI SUOI FIGLI 245
quod nec fructus percipi, nec per partes predictas habitari, nec
transirì poterat in multis partibus absque gravi periculo rerum et
personarum ; et quod illustris Consors nostra domina Regina della
Scalla quamplurima bona, possessiones et terras quesivit (i), habet
et tenet et possidet in locis et territorijs et partibus Rochefranchae
et Uradj sitorum in territorio Brixiae, et in Caldana superiori a
Fossato pergamasco versus montem et in contratis Calcianae infe-
rioris, Piumenengi, Gazolli, Florani et Galegnani, et locis et partibus,
et (sic) circumstantibus, et quatenus comprehenditur in dictis locis
et territorijs et partibus circumstantibus, et hoc cum omnibus suis
juribus et pertinentijs ; — volentes in praedictis de opportuno re*
medio providere, ac prefatae Illustri consorti nostrae, et cui ve^
quibus dederit, vel concesserit, gratiam facere spetialem ; et prae-
dicta et infradicta bona res vel jura cum omni jurisdictione eorura
ad praefatam illustrem Dominam dominam Reginam et ejus suc-
cessores pertinere pieno jure ipsas terras, loca, castrum et territoria,
aquas et aquaeductus, fìctationem (a), venationem, pascua et flumen
Olij cum rippis (sic) ejus ab utraque parte a terra et territorio Ci*
vedati inclusive usque ad fines territoriorium de Fiorano et Roche-
franchae inclusive cum omnibus eorum juribus et pertinentijs; —
eidem consorti nostrae damus, concedimus et traddimus (sic) quic-
quid ad nos, sive tamquam nostrum ahodum, sive jure domina-
tìonis (3) dignitatis vel vìcariatus pertinet, sive etiam ad aliquas
civitates et terras vel loca nostro dominio subiecta vel ad impe-
rialem celsitudinem, cuius vices gerimus in partibus istis; commit-
tentes et concedentes etiam in praedictis et super praedictis, et
quolibet praedictorum, merum et mixtum imperium et gladij pote-
statem et omnia regalia, sive in aqua, sive in terra, quae ad nos
vel imperium vel civitates, terras, castra et loca nobis subiecta per-
tinere dinoscuntur; et ita quod in eis possit per se etiam per eum
seu eos, cui vel quibus commiserit, et etiam per substitutos ab eis
vel altero eorum, praedicta omnia et singula exercere et omnia fa-
cere quae nos possumus vel potuissemus ante praesentem conces-
sionem; ac etiam in eis vel altero eorum statuta et ordinamenta
facere leges condere, penas datia pedagia tollonea onera realia
et personalia et mixta imponere et exigi facere, mutare addere et
minuere prout eidem placuerit: — Mandantes insuper omnibus ci-
(i) Cosi le due copie; ma il senso e la formola notarile abituale
vorrebbero acquisivif.
(a) Cosi ambedue le copie; ma congetturerei pisccUiontm,
(3) Gagliardi: donationìs^ che non dà senso.
246 SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA
vitatibus, terrìs, castrìs, locis et potestatibus, officialibus, communi-
tatibus et singularibus personis nostro dominio subiectis quatenus
de praedictis vel aliquorum dictorum per nos eidem, ut praemittitur,
concessis, et hominibus et habitatoribus aliqualiter praesentibus et
futuris, se non inipediant nec intromittere debeant sine praefatae
Dominae licentia spetiali. Volumus insuper, dicimus et mandamus
de plenitudine nostrae potestatis hanc nostram concessionem, do-
nationem et dispositionem valere et tenere et perpetuum servali
debere, etiam si (i) oninis solemnitas juris et statutonim interve-
nisset, ac si foret legitime insinuata, supplentes etiam omnera de-
fectum qui repperirentur in praedictis; et hoc etiam non obstantibus
aliquibus statutis, provisionibus, juribus, rationibus et municipalibus
et alijs quibuscumque in contrarijs loquentibus praesentibus vel fu-
turis ; quibus omnibus et singulis ex certa scientia derogamus,
etiam si talia forent de quibus oporteret mentionem facerc spe-
tialem ; et volentes et decementes quod perinde habeatur et dero
gatum sit, ac si de verbo ad verbum facta foret mentio spetialis. -
Insuper committimus et concedimus praefatae Dominae gubema-
tionem terrae de Rudiano ac territorijs eiusdem et ressiduum (sic)
totius Plebanatus Calcij (2) ; et eidem concedimus quod possit
vicarios et rectores in dictis terrìs et eorum hominibus, incolis et
habitatoribus, quarum gubemationem eidem concessimus, constituere
et deputare prout hactenus per nos solitum est constitui et deputari;
et prout nos possumus, in praedictis et singulis et dependentibus
ab eis disponere et ordinare. — In quorum testimonium praesentes
fieri iussimus et registrari, nostrìque sigilli munimine roborari.
Daf. Medioiani anno mìiitsimo tercentesinto sexagesimo sexto, die
xij febructrij, quarta indictione.
Segue rautenticazione della copia per Benedetto Alzano notaio e
1* indicazione che Tatto trovavasi nel Uber priviiegiorum et exemptionum
ol. 88 t.
11. — 137^* dtcanbre 9. Milano.
Diploma di Reglna della Scala a favore di Calcio, Urago
e pumenengo (3).
(Omissis), Cum in dictis nostris terris habeamus vicarium no-
strum habentem merum et mixtum imperium, sub cuius regimine et
(i) 11 senso vorrebbe come se^ non già quantunque,
(2) Gagliardi : resstduum in territorio Cateti»
^3) Di questo docuniento, che rechiamo solo in parte, esistono due
copie, come del precedente, negli stessi luoghi.
E DEI SUOI FIGLI 247
gubematione existunt habitatores terrarum nostrarum praedictarum ;
sintque dieta nostra territoria et homines habitantes in eis secundum
litteras et decreta Magnifici consortis nostri praefati libera et nobis
inunediate subiecta, nec de eis aliqui rectores vel officiales seu
coraunia vel universitates se habeant intromittere sine nostra spe-
ciali licentia, et in ipsa possessione seu quasi fuimus et stetimus
per longum tempus.....
(Omissis).
III. — ^J^S* febbraio 20. Milano,
Diploma di Lodovico Visconti a favore del prete Giovanni
DEI Lanzi suo cappellano e familiare (i).
Nos Ludovicus natus Magnifici et excelsi domini Domini Me-
diolani etc, Cremona (sicj^ Laude etc. prefati domini locumtenens ;
Volentes cum dompno Johane de Lanzis Canonico Ecclesie Re-
giensis in sacerdotali ordine constituto, exigentibus ipsius mentis,
gratiam nostram dispensare, eundem tenore presentium in nostrum
carum, et precipuum familiarem atque cappelanum acceptamus.
Et volentes ipsum quibuscumque gratiis prerogatiuis et beneficiis
nostris gaudere et potiri quibus et prout gaudent et potiuntur alii
nostri cari et precipui familiares commensales, mandamus universis
et singulis Rectoribus offitialibus et subditis ad quos presentes
pervenerint quatenus eundem dompnum Johanem ubilibet prò no-
stro caro et precipuo familiare (sic) et capellano pertractetur et
fauorabiliter suscipiatur recomissum ; presentibus in premissorum
testimonium registratis, et munimine nostri sigilli roboratis.
Date Mediolani Mccclxxxv, die vigesimo mensis februarii^ viij in-
dictione.
IV. — i37Sp g^^it^aio 7. Milano,
Bernabò vieta di far credito ai suoi officiali (2).
Dominus MeJiolani etc,
Imperialis vicarius generalis.
Nostre intentionis est et mandamus quod nemini ex Rectoribus
et officialibus nostris Regij detur aliquid in credentia; et si qui-
(x) Arch. di Reggio, Consigli^ Prowig. dei deputati sulle entrate Jj82-
ijSóf e. 53 r. La lettera è molto scorretta, forse in parte per colpa del
copista che la registrò nelle provvigioni.
(2) Arch. di Reggio, Provvigioni cit.^ 1372-75, e. 105 r.
248
SUI DOMINI DI REGINA DELLA SCALA E DEI SUOI FIGU
squam contra hanc nostrani intentionem aliqualiter fecerit, quod
sibi non fiat aliqua ratio vel executio contra dictos nostros Rec-
tores et officiales: et de predictis faciatis vos, deputati, fieri pu-
blicam proclamationem in Civitate et districtu nostris Regìj. Re-
scribatisque nobis inter quatuor dies a presentatione presentiura
quid feceritis in premissis.
Dai. Senagi vij Januarij Mccclxxv.
A tergo : Deputatis super entratis ac hominibus et Comuni Civitatis
nostre Regìj.
Lodovico Sforza, detto il Moro,
E
LA REPUBBLICA DI VENEZIA
dall'autunno 1494 ALLA PRIMAVERA I495
CAPITOLO PRIMO.
La calata di Carlo Vili.
Sommario.
I. La gioventù di Lodovico. Sue colpe ed attenuanti. I preliminari della calata
di Carlo Vili e la Repubblica di Venezia — II. Le responsabilità della Se-
renissima ncir invasione francese. Relazioni d*essa col Moro durante l'estate
del 1494. Finta incredulità di Venezia nella calata del re. — IIL Neutralità
ed astensione della Repubblica durante i primi tempi deli* invasione. Solle-
citazioni dei principi italiani, specie del Moro. Malcontento di Lodovico
contro il re di Francia. Prime aperture della Spagna a Venezia. Lodovico
duca di Milano. I progressi del re francese in Lunigiana. Venezia esce dal
suo riserbo, — IV. L^ambasciata di Sebastiano Badoer e di Benedetto Tre-
visan a Milano. Prime manifestazioni del Moro. Pratiche di Lodovico con
Carlo Vili, specialmente per mezzo del cardinale Ascanio Sforza. Dubbi
gravi di papa Alessandro VI. Arresto di Ascanio e giustificazione del papa.
Le furie del Moro che ritoma alle pratiche col re francese. — V. Lunghi uffici
della Signorìa e degli ambasciatori veneti per calmare Lodovico. Carlo Vili
assume le difese di Ascanio. Alfonso II raccomanda al papa la liberazione del
cardinale. Liberazione di Ascanio. Carlo Vili entra a Roma.
I.
RA le figure del rinascimento più singolari e attraenti
v'ha certo quella di Lodovico il Moro. Nato il 19 ago-
sto 145 1 da Francesco Sforza e da Bianca Visconti,
trascorse Lodovico i primi sedici anni di sua vita nella corte del
padre, educato ed ammaestrato ampiamente negli studi classici (1).
(i) Tolgo queste notizie dallo studio di A. Dina, Lodovico il Moro
prima della sua venuta al governo (Arch. stor. lomb,, 1886, voi. XIII).
250 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
Più attento e più svegliato d'ingegno dei suoi fratelli egli appro-
fittò meglio di essi degrinsegnamenti che gli uomini e le cose gli
porgevano. Giovanni Simonetta lo disse di ottima indole giova-
nile; aflferma che il padre aveva concepito di lui « ingentem spem,
u certa quadam, ut ipse dicebat, coniectura motus » (i). Prova della
stima patema ebbe Lodovico nel 1464, quando in età di soli 13 anni
fu eletto comandante di un corpo di 3000 uomini che Francesco
fingeva di voler mandare a Pio II, per addolcire il rifiuto fatto nel
tempo stesso di assumere il comando supremo della crociata contro il
Turco (2). Quattro mesi soli durò il comando, perchè Francesco lon
inviò poi mai le genti al papa. Nella primavera del 1465 essendo
andato a Milano Federigo d'Aragona, secondogenito del re di Na-
poli, Ferdinando I, a sposare per conio del fratello Alfonso, Ippo-
lita Sforza (3), Lodovico, che coi fratelli si recò ad incontrarlo di
là del Po, ebbe occasione di conoscere un altro giovane che accom-
pagnava l'Aragonese e che esercitò in seguito su di lui grandis-
sima influenza, Lorenzo de' Medici.
Morto Francesco Sforza (1466), fu Lodovico dal fratello Ga-
leazzo Maria creato vice-governatore di Genova, e mandato poi in
visita alla repubblica di Venezia, che lo ricevette con grandi onori.
Nel 14 71 rivide a Firenze Lorenzo de' Medici e potè conoscere i
migliori ingegni di quella città. Fu accusato di congiura d'accordo
con Sforza Maria, altro suo fratello, contro il Duca, nel 1476, ma
l'accusa non era fondata su basi salde. E noto che mentre collo
stesso Sforza Maria stava in Francia, sopravvenne la morte di
Galeazzo Maria (4), e quindi la reggenza di Bona di Savoja, la
vedova duchessa. Tornato in Lombardia, dopo alcune vicissitudini,
il Moro nel 1480 riuscì a strappare il reggimento di mano alla co-
(i) Gio. Simonetta, Historia de rebus gesiis Francisci primi Sforiiae
Vicecomitis Mediolanensium ducifi, in'MuRATORi, Rerum Ualicarum Scrip-
tores, XXI, col. 761.
(2) Pastor, Geschichie der Pàpsie seit dem Avsgang des Mi/feiaiierSf
voi. II, Freiburg i. B.; Herder'sche Verlasghandlung, 1894, PP- ^5'"5^
(3) V. per le trattative preliminari del matrimonio: Canetta, Lì
sponsalie di casa Sforza con casa d'Aragona (giugno-ottobre 1455) *"
Arch. stor, lomò.^ IX, 1882, p. 136-44.
(4) V. fra l'altro suiruccisione dello Sforza i documenti pubblicati
dal Casanova, Duccisione di Galeazzo Maria Sforza e alcuni documenti
fiorentini in Arch stor. ital.^ serie 5.', XXVI, 1899, p. 299 e sgg.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 25 1
gnata. L'usurpazione del governo a danno di Gian Galeazzo, suo
nipote e nuovo duca, genero di Alfonso, duca di Calabria, eh* era
primogenito del vecchio re di Napoli, gli procurò Todio degli
Aragonesi, contro i quali dal 1484 in poi fu rivolta tutta la sua
politica.
Più volte la guerra fu sul punto di scoppiare: solo la prudenza
di Lorenzo de' Medici valse ad impedire le ostilità aperte. 11 Moro
inoltre si sentiva odiato, sapeva che il suo nome in Italia suonava
come sinonimo di malafede, quindi viveva in una diffidenza con-
tinua, che doveva trascinarlo in quei numerosi intrighi, i quali
riuscirono a rovina sua e d'Italia (i).
Gli scrittori di cose italiane negli ultimi del quattrocento si
dividono riguardo al Moro in due campi: gli uni, la maggior parte,
sono a lui sfavorevoli, gli altri, non immeritevoli di ascolto, incli-
nano a scusarlo e fargli elogi. Gli uni lo respingono con sdegno,
gli altri lo alzano ai cieli. Maestro Ambrogio da Paullo, suo con-
temporaneo, lo incolpa di maltrattamenti verso i sudditi, gli getta
in viso la chiamata di Carlo Vili in Italia, aggiunge che nel dì
dell'assunzione al ducato di Milano « non. fu.... omo che Gridasse:
u duca, duca, né Moro, Moro, salvo li suoi favoriti, et ogni dì faceva
« far festa, perchè stessero di buona voglia, che seriano ben trat-
ti tati; ma fu al contrario, che non passò molto tempo che comenzò
« a metter li prestidi a tutti li gentilluomini et altri populi, che fu
« poi la causa di ogni sua rovina » (2). 11 Prato dopo aver nar-
rato la fine del Moro, riassunse le colpe tutte e così inesorabil-
mente si espresse: « Il duca Ludovico Sforza fece avvelenare il
« duca Gian Galeazzo, suo nipote, per sé indebitamente la signoria
« di Milano usurpandosi ; poi tirò re Carlo in Italia alla desfacione
« di Ferdinando, re di Napoli, suo nipote; le quali cose commesse
« lo hanno fatto degno, per divina giustizia, di perpetuo carcere; che
« io (avenga che fanciullo fossi) mi ricordo, che essendo alla predica
« de uno cieco... che a esso duca predicava ne la piazza del castello,
« nel tempo che il re Carlo doveva passare in Italia, dirli in pulpito :
« Signore, non li mostrar la via, perchè tu te ne pentirai », e così
(i) Dina, op. cit, p. 764 e sgg.
(2) Cronaca milanese dal ijfjó al ijiSf ed. A. Ceruti, in Miscellanea
di storia italiana, voi. XIII, p. 102.
353 LODOVICO SFORZAI DETTO IL MORO,
« invano poi se ne pentì con danno di tutta l'Italia • (t). Le accuse
del Prato sono in particolare gravissime. Ma è ben noto che, quanto
C *J/iirawelenamento del nipote, sul quale anche non ha dubbi 9
4^ ' Friuli (2), e che il Malipiero invece accenna con semplice sospetto (3}
4/yy^ ai giorni nostri la crìtica tende a scolpare il Moro. Certo Taocusa
ì^!Pi^ * * ^*«^* ****** Carlo VÌ&Til ^e-aSinte la calata congnnde
* «f^ insistenza volle recarsi al letto di Gian Galeazzo (4), fece sua la
^'^ voce o meglio il sospetto pubblico, e gettò al Moro in viso l'aocusa
di aver tolto oltre alla libertà anche la vita allo sventurato duca,
n Moro si difese e protestò « nepotem adversa valetudine labo-
« rasse, et ei non modo ademptam libertatem fuisae, ut Carohu
« rex scribit, sed summo honore.... habitum et cultum esse » {s)i È
provato veramente che le relazioni esteriori fra zio e nipote non
furono cattive, pur essendo non dubbio che il primo trasse gru
profitto dalla debolezza del secondo. Pare che solo sul Ietto <i
morte Gian Galeazzo abbia sospettato dell'infedeltà di Lodofico^
chiedendo ingenuamente ad un favorito del Moro, che lo visitagli
se lo zio gli portasse affetto. Alle proteste del corti(^ano lo sfo^
turato giovane s'acquietò.
In altra lettera diretta al papa Alessandro VI, il Moro respinse
nuovamente raccusa'(6), dicendo essere stato del tutto alieno dal pen-
sare M non modo... in morte illustrìssimi nepotis nostri, quem semper
u paterna charitate complexi sumus, sed nec in morte eorum quos
« scimus odio capitali nos prosequi. Processit egrìtudo, nec mediò
(i) Storia di Ali/ano in Àrch. stor. lomb., serie i.*, voi. HI, p. agi.
(2) De Belio Gallico sive De rebus in Italia gestis a Carolo Vili, ecc.
in Rer, Ital. Script., XXIV, col. 7 e x i (ed. dal Muratorì come opera (ti
Manno Sanuto).
(3) Domenico Malipiero, Annali veneti in Arch, stor, itaL, serie i.\
tom. VII, p. 320.
(4) Sulla visita di Carlo Vili a Gio. Galeazzo, v. per tutti CipolUi
Storia delle Signorie Italiane dal ijij al ijj^t Milano, Vailardi, 1881,
p. 702, e Magenta, / Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, Pavii»
1883, voi. I, p. 531, — Circa le insistenze di Carlo Vili per visitare Gian
Galeazzo, v. Pélissier, Sur quelques épisodes de fexpédition de Ckaries VIIJ
en Italie, doc. i.°, in Revue historique, 1900, voi. I, pp. 293-2194.
(5) Canestrini, Lettera di Ludovico il Moro all'imperatore Massim
liano (1495) in Arch. stor. ital., appendice III, 1846, p. laa
(6> Magenta, / Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, Pavia, iflB^
voi. II, p. 469, doc. 46.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 253
«( salutem eius desperarunt nisi per unum diem, quam e vita mi*
« graret ». E qui non pare che il Moro abbia mentito: i documenti
pubblicati con giuste osservazioni dal Magenta sono all'ambizioso
principe molto favorevoli (i). Solo noterò che nel parlare d'Isabella,
l'infelice vedova, quand'essa, il 6 dicembre, lasciò il castello di Pavia
per recarsi a Milano, il Magenta narra che Beatrice andatale incontro
« di cuore abbracciò e pianse insieme colla desolata rivale » (2) e
cita un documento da lui edito () . Se il documento realmente di-
cesse quanto assevera il Magenta, riuscirebbe forse esso un buon
argomento a vantaggio del Moro. Sembra infatti che difficilmente
Isabella avrebbe ricevuto senza qualche atto di sdegno l'abbraccio
di Beatrice, quando avesse creduto Lodovico avvelenatore ma-
teriale dello spento consorte. Ma il documento non parla af-
fatto di carezze fra le due principesse, e narra solamente che
Beatrice ascese il cocchio d' Isabella. Piuttosto un particolare,
finora inosservato, eppur degno di nota, a difesa del Moro, ci
fornisce un documento edito dal dott. Teodoro di Liebenau (4).
Quando Luigi d'Orléans, il nemico acerrimo del Moro, minac-
ciato in Asti dalle milizie sforzesche, nel giugno 1495, mandò
alla dieta svizzera di Lucerna a chiedere milizie di quel paese con
ampie promesse, il suo inviato, un astigiano, il dottor Gian Gia-
como de Ferrari, giudice in Asti, per raggiungere meglio lo scopo
della missione, pronunziò alla dieta una vera requisitoria contro
il Moro. Narrò che Lodovico « olim gubernatoris, nunc ducis Me-
• diolanì vice gerens », aveva istigato Carlo Vili a scendere nella
penisola, a conquistare Napoli, mentre nella realtà s'era servito di
quel mezzo per ascendere il trono di Milano. E poi « eo tempore
« quo decessit gubernatus ducis Mediolani vice gerens » (pel de Fer-
rari il duca di Milano era Luigi d'Orléans), trovandosi il re già a
Firenze con tanta potenza che l'Italia tutta era stata atterrita, non
aveva mantenuto la fede, ma ordito invece lega contro la Francia.
(i) Magenta, op. cit, I, 535-36.
(2) Magenta, op. cit, I, 546.
(3) Magenta, op. cit., II, 465, doc. CCCCLVII, n. 7.
(4) // duca €i*0rléans e gli Svitfgeri nelfanno 149S in Arch, storico
lomb., voi. XVI, 1889, pp. 6x4 e sgg. Su questa missione v. qualche
altro documento in Rott, Histotre de la représentation diplomatique de la
France auprès des cantons suisses, de leurs alliis et de leurs con/idirés,
voi. I, (1430-1559), Berne-Paris, 1900, p. 87-88.
25+ LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
Orbene quale miglior occasione al de Ferrari per accusare il
Moro anche d'avvelenamento? Eppure non una parola a tal ri-
guardo. Ed il de Ferrari era certamente presso l'Orléans, cioè in
Asti, quando Gian Galeazzo spirò, né poteva ignorare le voci pub-
bliche, se queste erano veramente accusatrici. Il silenzio del giu-
dice astigiano è un buon argomento, sebbene non decisivo, per
r innocenza del Moro. Infine è notorio che Lodovico in fondo
rifuggiva dal sangue e da quei delitti che macchiarono molti prin-
cipi dell'età umanistica. Si noti pure che, ove il Moro avesse pre-
veduto con certezza la fine del nipote, conoscendo la sua impo-
polarità a Milano, non sarebbe rimasto presso Carlo Vili fin quando
Gian Galeazzo entrò in agonia 1
Non voglio certo tergere la condotta del Moro dalle colpe <::he
la macchiano. Nessuno può scusare Lodovico pel suo contegno
subdolo ed antipatico verso il nipote. Anche i contemporanei, av-
vezzi ad ogni specie d'immoralità, all'annunzio che Gian Galeazzo
era spirato, provarono compassione pel misero defunto ed in ispecie
per l'infelicissima vedova, Isabella. Giacomo de Adria scrisse al
marchese di Mantova, Francesco Gonzaga, il 23 ottobre, da Ve-
nezia (i): « Questa matina è venuta qua la infelicissima nova de la
« immatura et crudelissima morte del duca di Milano, la quale merita
« che ne piglij dolore tutto il mondo: et perchè io estimo che V. Ex.
u ne habia quello extremo dolor et affano che sij possibile ad caper
u in mente humana, pigho ancora io dolor dil suo dispiacer et anche
« particularmente peri aflfectione naturale chio gli portava. Ma molto
u più è digna de compassione quella sventurata sopra ogni altra de
u M.™a duchessa: la quale mai hebe una hora de bon tempo: et
u sempre ha magnato più lachrime che pane: dio dagha megliore
« fortuna alli figlioli suoy ». Ma Lodovico ha già responsabilità ben
tristi nella storia dell'età sua, perchè senza prove assolute lo vo-
gliamo ancora incolpare d'uno dei delitti umani più abbominevoli.
La fama del Moro era pessima ed essa, come spiega l'ecces-
siva prevenzione del pubblico a suo riguardo nella morte di Gian
Galeazzo, giustifica non meno l'accusa, anch'essa eccessiva, di aver
chiamato il re francese nella penisola. Lodovico ebbe certo parte no-
(i) Arch. stor. Gonz. (in Arch, di Stato di Mantova), £ es/erm n. XLV,
n. 3 busta 1434 (a. 1493-94).
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 255
tevole nel favorire il disegno della calata (i), ma gli stessi scrittori
veneziani punto benigni verso di lui, convengono che ad altri prin-
cipi spetta grande e forse maggiore responsabilità. Il Malipiero
assevera che « el duca Hercule [d'EsteJ, de comuno consegio (s'in-
« tende con Lodovico), chiamò francesi in Italia per stabilir el stato
u de Ludovico e per debelar il re de Napoli (2) n. Il Sanuto dice che
il re di Francia era stato ancora « da alcuni signori italiani vehe-
« menter esortato et maxime da Hercule di la cha di Este da Fer-
« rara, nimicissimo de Venetiani per le guerre tra loro seguite, cu-
« pido di nove cose w. E veramente Ercole, una delle figure politiche
più fosche di quell'età, aveva persino messo al soldo del re il suo
secondogenito, Ferrante (3). Il medesimo scrisse Francesco Guic-
ciardini, il quale affermò che il consiglio disgraziatissimo di chia-
mare Carlo Vili in Italia aveva dato al Moro Ercole, suocero del
medesimo (4). Ma v'ha di più. 11 vero periodo delle insistenze per
la calata del re da parte di Lodovico può dirsi chiuso colla morte
di Ferdinando I d'Aragona, che Lodovico temeva grandemente.
Anzi già nel novembre 1493, due mesi prima che il vecchio re di
Napoli spirasse, era notorio che il Moro cercava di trattenere
(i) V., oltre al voi. Ili del Codice aragonese del Trincherà, Villari,
La storia di Girolamo Savonarola e dei suoi tempi, voi. 1, Firenze, succes-
sori Le Monnier. Documento XVII ; v. in Foucard, Proposta di pubbli-
casione di carteggio diplomatico i492'^4-^s in Arch, storico per le Provincie
napoletane, voi. IV 1879, 777-78 ** Giacomo Trotto al duca di Ferrara „
Milano 26 aprile 1493; le minaccie del Moro contro Ferdinando. —
Circa le pratiche del Moro col re di Francia e col re dei Romani per
amicare questi due sovrani insieme e rendere facile la calata di Carlo Vili,
cfr. i doc. editi dal Calvi, Bianca Maria S/oraa- Visconti, regina dei
Romani, imperatrice germanica, e gli ambasciatori di Lodovico il Moro
alla corte cesarea secondo nuovi documenti^ Milano, Vallardi, 1888, p. 56
e sg. Lettere di Erasmo Brasca. — Le sollecitazioni dirette a Carlo Vili
incominciano col 1492, quando Gio. Francesco di S. Severino, conte di
Caiazzo, il conte Carlo di Belgioioso, Girolamo Tuttavilla ed altri am-
basciatori sforzeschi si recarono a Parigi per congratularsi del matri-
monio di Carlo. V. Sakuto, La spedizione di Carlo Vili in Italia edita da
R. Fulin, Venezia, 1873, p. 30; Gabotto, Girolamo Tuttavilla, uomo
d'arme con lettere del sec, XV in Arch, storico per le Provincie napole-
tane, XIV, 1889, P* 411-ia.
(2) Annali veneti, pp. 319-20.
(3) Op. cit., pp. 30-31.
(4) F. GincciARDiNi, Storia d'Italia^ lib. I, cap. II.
aS^ LODOVICO SFORZA. DETTO IL MORO,
Carlo Vili (j). Egli voleva bensì diminuire la potenza dq;li An*
gonesi, non abbatterla per sostituire a Napoli la dominatone fiiu^
cese. Lodovico era troppo intelligente per non comprendere che
il pie' fermo di Carlo Vili nella penisola sarebbe stato un ccmtiniio
pericolo per il ducato lombardo, tant'è che prima della calata
volle attirare il re dei Romani, Massimiliano I, nella pemaola,
per bilanciare meglio l'azione francese. E nel suo disegno s*iii*
fervorò tanto, che comprendendo essere Venezia contraria al-
Tintromissione francese, e sospettandola disposta ad aiutare segre>
tamente il re Alfonso II, successore di Ferdinando, invitò il re dei
Romani ad agire contro la repubblica per ridurla al voler suo (a).
Il Moro dunque si può dire che voleva e non voleva ad un tempo
il re francese nella penisola : lo voleva per abbassare la potenza di
Alfonso, non lo voleva per abbattere la dominazione aragcmese a
Napoli. Come mezzo ad ottenere lo strano e doppio scopo pensava
al re dei Romani. Egli sperava o cercava di persuadersi che fosse
possibile impedire a Carlo Vili, quando fosse disceso, di staUlirri
saldamente nella penisola. U re francese, in una parola, non avrebbe
dovuto che eseguire quanto conveniva agli interessi di Lodovico:
il giorno in cui avesse creduto di agire per suo profitto dovevi
attendersi un voltafaccia dalla corte di Milano.
Ripeto, il Moro conosceva e s' impensieriva specialmente dd-
rawersione che la repubblica di Venezia mostrava alle calate de-
gli stranieri fin da tempo antico. Nel 1459 infatti già la Serenissima
a Giovanni de Chambes ed agli ambasciatori che in nome di
Carlo VII di Francia, esploravano la mente sua circa l'occupazione
di Genova fatta allora dai francesi, e chiedevano quale sarebbe stato
il contegno di Venezia il giorno in cui Renato d'Angiò fosse disceso
ad occupare il r ame di Napoli, aveva risposto in modo tale che
ben mostrava la sua ripugnanza, né erasi impegnato a soccorsi di
qualunque genere (3). E quando nel 1485, Innocenzo Vili, nella
(i) V. Arch. stor. Gonz., loc. cit, Gio. Carlo Scalona al marchete
di Mantova, Venezia, 12 novembre 1493.
(2) Delaborde. L'expédition de Charles Vili en Italie^ Paris« Firmili*
Didot et C, 1888, p. 338.
(3) Perret, L'ambassade de Jean de Chamber à Venisé {14/9), éfafrtf
des doctonents venitiens in Bibliothèque de PElcole des Charles^ voi. L i88ft
e Histoire des relatìons de la France avec Denise du Xlll^ siede à tavent
meni de Charles Vili, Paris, Welter, 1896, voi. I, pp. 3aa>a7.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 257
guerra contro Ferdinando I, aveva invitato Renato d'Angiò a
scendere in Italia, promettendogli appoggio per la conquista di
Napoli, i Veneziani « per non voler », scrisse il Guicciardini (i),
« oltramontani in Italia, si accostarono al re di Napoli, sicché per
« non averli nemici fu fatta pace ».
Quindi appena la repubblica ebbe veduto Carlo Vili, uscito di
tutela, manifestare pubblicamente le sue intenzioni di conquista, fece
dai suoi ambasciatori in Francia, Zaccaria Contarini e Francesco
Cappello, comprendere l'astensione sua innanzi a qualunque im-
presa regia. Anzi essa ideò fra le potenze italiane una lega, di cui
Venezia fosse il centro, e che valesse a tutelare la penisola contro
ogni invasore. Ma il Moro, che in quei giorni temeva più di tutto
le armi aragonesi, fece il possibile perchè invece si formasse una
lega parziale tra Milano, Roma e Venezia conti-o Napoli (2). Non
ostante le esitazioni di Venezia i suoi sforzi furono "coronati da
successo: il 22 aprile 1493 Venezia cedette e l'alleanza, a cui
aderirono Mantova e Ferrara, venne sancita (3). Sperò allora il
Moro di essersi guarentito dai perìcoli, quando Carlo Vili nel
novembre 1493, dopo avergli chiesto il passo in Italia, ne fece
domanda anche a Venezia, e questa con decisione che doveva pur-
troppo contribuire alle sventure della penisola, dichiarò che non
avrebbe impedito il passo alle armi francesi, ma sarebbe rimasta
in assoluta neutralità (4).
(i) V. GuicaARDiNi, Storia fiorentina in Opere inedite, voi. III, p. 68,
ed. Canestrini.
(2) RoMANiN, Storia documentata di l^enesia^ voi. V, Venezia, Nara-
tovich, 1856, pp. 21-22.
(3) Sanuto, Vite dei duchi di Venezia in Muratori, Rer. itai Script.,
XXII, col. 1250 ; Cipolla, Storia^ ecc., p. 676 ; Thuasne, Diarium Bur^
chardi, voi. Il, 1492-99, Paris, Leroux, 1884, p. 636; Delaborde, L'éxpe-
dition, ecc. p. 262. Il Moro ebbe tale contento dell'alleanza che fece ca-
valiere Torator veneto, non pretermettendo cura alcuna per convincere
Venezia della sua amicizia. Foucard, p. 779-80; Trotto, dispaccio cit.
■ D Sig. Ludovico honora questo suo ambassatore molto più che sei
• fosse la propria persona del duca Francesco, et lui se li piglia sencia
• alcuna contracditione, parendo essere Sig. del tuto ,.
(4) Arch. stor. Gonz., Ictt. cit. dello stesso Scalena^ che pubblicherò
per intiero :
** III."*® S/ mio. Scio che V. Ex. debbe haver inteso per littere de
• Antonio Salimbeno come è facta liga tra la M.tà de re de romani e
258 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
Le ansie del Moro si rifecero vivissime, e s'accrebbero ancora,
quando, morto Ferdinando I, Alessandro VI ed il nuovo re di Napoli,
Alfonso II, strinsero legami politici e di famiglia. Sono quelli i giorni,
nei quali, con spavalderia che nascondeva i tumulti dell* animo,
Lodovico osava affermare a Pietro Alamanni, oratore fiorentino alla
" franza^ e che in essa liga è noiiiinato lo S/ re e questo gli ha dicto
* il M.co ambasciatore suo qua. Questo benché li intervenga tal testi-
" inonio, e lo respecto della affinità, che dà pur colore assai a tal
" lama^ da persone che intendeno più ultra non se affirma cussi, anci
" dicono il contrario, perchè Pranza apertamente se dimostra volere
** venire a limpresa contra lo regno, come quella che vole recuperar le
* le cose tenute indebitamente, e tra le altre cose che se iniendeno
" un manifesto signo è che la M.t^ de franza ha dimandato instantc-
" mente il passo a Milano, quale benché a principio, come che ricordo
" haver dicto a V. Ex.tJ», gè Thavesse offerto, cum spexa de dece galee,
* et due nave grosse, e havesse divuljrato ala preseniia de ambasciatori
" esser buona intelligentia cum la M.tà de franza, adesso, come pentito,
** e che forsi se voria retirare sei puotesse, dice non esser in total
* sua facultà a darli passo, ma esser necessario che li concorra il
** consentimento di colligati, cioè dela SM del papa et potissime de
* questa Si.na, ala quale si riporta d*ogni suo pensiere. E cussi essa
* M.t« de franza ha scritto qua opportunamente circa tal resposta da
* Milano, facendoli intendere tra le altre cose come Iha presso sé un
* Capitulo antiquo, per lo quale questa Si."* è obligaia a prestarli
* adiuto ogni volta che sua M.A se dispona volere fare impresa contra
* chi li occupasse indebitamente il suo. Questi Si." sonno resolti cum
* gran Consilio cum la usata prudentia, e respondeno chel passo è in
* libertà de chi gè lo può dare et a chi lo domanda sua M.^* e non
" negano che non sia tal Capitulo antiquo, il quale sempre se dispone-
* rano, dummodo non se confacia a Colligati, Siche vengono esser se.
* curi dala impresa con colligati, perchè sua M.i* vole convenire al re
* Questo non se cura perhò el S.^c L.^o^ f se tiene qua che non sia un
* principio delia sua rovina per chel respecto chel fa retirare da le promesse
* /ade a Franza è chel lente del duca de Orliens, guai se intende esser unito
" in questa impresa, e voler venir cum Franza^ et perhò dubita che non se
* atachi s-ìtto questo prefexto la ro^na ale spalle. Franza se duole bene
* chel è illusa dal Si. L.^o- non sciò come succederà, sei se bavera go-
■ vernato manco considerato^ come qua si dice, perchè intende chel ha
" facto. Ho vogliuto per mio debito significare tal adviso a V. Ex.^*,
* remettendoine al prudentissimo Judicio suo. Raccomandome m sua
" buona gratia, et illa bene vaUat.
* l'enetijs, 12 ncrcembris 14Q},
• Ex.' V. S * Jo. Ca. Scalona. ,
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 259
sua corte, che nei mali sovrastanti alla penisola gli bastava aver
trovato « la securità sua e delle cose sue » (i). Al nuovo oratore di
Firenze, Angelo Niccolini, egli chiese tuttavia formalmente consiglio
per trarsi d'impiccio. Ma allora gli avvenne quel che di solito
accade ai mentitori. Non fu creduto, neanche quando parlò since-
ramente. Il Niccolini, riferendo la domanda del Moro alla Signorìa
di Firenze, raccomandò non si prestasse fede alle parole, dubitando
fosse tutta arte « per addormentar lo compagno » (2). Eppure, ri-
peto, il Moro in quei giorni parlava sinceramente. Egli aveva ben
ragione d'essere preoccupato. Il 7 marzo 1494, Carlo Vili, da Lione
dove stava preparando la sua spedizione, gl'indirizzava una lettera,
nella quale, annunziando l'imminente calata, chiedeva in tono più
imperioso che amichevole le forze milanesi in aiuto, colla promessa
baldanzosa di condurre a termine senza fallo l'impresa. « Et vous
« évertuez de m'aider gaillardement en ceste entreprise, et je vous
« asseure que tant par mer, que par terre je la porteray jusques au
« bout » (3). L'alleato parlava da signore, l'ambizioso conquistatore
prometteva non compensi materiali a colui dal quale voleva aiuti,
ma di condurre invece a compimento l'impresa nell'interesse suo
personale. Il giorno in cui ricevette la lettera regia, al Moro do-
vette più che mai balenare in mente la visione della non lontana
sua rovina, dovette sentire più forti i palpiti del suo cuore e ce-
dere alla paura il dominio assoluto dell'animo suo.
IL
Per giudicare le azioni umane e dare all'individuo tutta e sola
la responsabilità che ad esso spetta, è buon metodo investigare
prima il carattere ed i sentimenti del medesimo, spogliati d'ogni
loro parvenza esteriore. Chi esamina bene addentro la vita e le opere
del Moro s'accorge di avere innanzi un uomo in condizioni anor-
mali. V'è in lui l'irrequietezza continua dello squilibrato, Tambi-
zione di primeggiare, il bisogno continuo di fare e disfare, e, sen-
timento predominante, la paura. La paura è la spinta più forte,
(i) Dejardins, Négociaiions diplomaliques de la France avec la Toscane,
voi. I, Paris, Imp. Imperiale, 1859, p. 556.
(2) Id. pp. 555-61.
(3) Charavay, Revue des documents hitioriques, voi. II, 1875, p. 174.
Arch Stor. Lomb,, Anno XXIX, Fttc. XXXVI. 17
26o LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
dopo Tambizione, che il Moro avrà in tutte le sue azioni. La paura
come fa scorgere talora a Lodovico le conseguenze anche lontane
degli avvenimenti, gli ottenebra spesso non meno Tintelletto e lo
trae in errore. Il Burckhardt rileva nel Moro la mancanza del senso
di responsabilità morale (i), ma narra qualche aneddoto che prova
la tesi da noi sostenuta, essere la paura il sentimento dominante
nell'animo di Lodovico, e non penetra, sembraci, a fondo nell'animo
di quel principe, che non era privo di senso morale (2). Basterebbe il
sentimento profondo di famiglia a provare che, se molte tenebre
oscuravano l'animo di Lodovico, non mancavano gli sprazzi di
luce. Di più il Moro aveva realmente alcune delle doti che formano
i grandi uomini di stato. Il Burckhardt non pare trovi giustificata
la « venerazione quasi favolosa che gì' italiani mostravano per
la sua abilità politica ». Premetto che non è il caso di parlare di
venerazione. 11 Moro in generale godeva pessima stima, quanto a
carattere, e veniva stimato fors'anche meno moralmente di quel che
valesse nella realtà. Ma anche intendendo la parola venerazione in
senso di semplice considerazione, niun dubbio che in Lodovico vi
fossero qualità politiche tali da meravigliare gl'italiani. Lo stesso
bisogno di fare e disfare provava l'esistenza nel Moro della qualità
fondamentale per un uomo di stato, la prontezza nelle risoluzioni
Spesso questa prontezza in Lodovico divenne precipitazione, come
quando per timore degli Aragonesi si gettò in braccio a Carlo Vili,
senza meditare alle conseguenze : talora anche venne meno, quando
più sarebbe stata utile. Egli tuttavia, quando si accorse che la ca-
lata riusciva ai suoi interessi nefasta, avrebbe senz'altro alzato
le armi, se Venezia lo avesse sèguito: ed il suo voltafaccia quando
(i) La civiltà del Rinascimento in Italia, traduzione italiana del
prof. D. Valbusa, nuova ed. accresciuta per cura di G. Zippel, Firenze,
Sansoni, 1899, voi. I, pp. 45-47.
(2) Per mostrare l'assenza di senso morale in Lodovico, si è ripe-
tuto spesso la celebre frase da lui detta a Pietro Alamanni : * Ma voi
' mi parlate di questa Italia et io non la vidi mai in viso ,; ViixARif
Nicolò Machiavelli ed i suoi tempi (2.* ed.), Milano, Hoepli, 1895, voL I,
p. 535. — Si consideri che quella frase è una semplice spavalderia, una
delle tante che uscirono dalla bocca del Moro, e colle quali egli cercava
di nascondere l'angoscia dell'animo suo. La lettera dell'Alamanni è del
30 marzo 1495, pochi giorni dopo l'arrivo a Milano di quella scritta da
Carlo Vili, della quale parlammo. Quanta agitazione, quante paure non
dovevano regnare allora nell'animo di Lodovico 1
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA SÓI
il re era ancora ai piedi delle Alpi o già nell'Italia centrale, sarebbe
stato quasi certamente profittevole all'Italia. Peccato che le doti del
Moro siano state offuscate da gravi difetti di carattere e d' animo I
Bernardo Bellincione, uno dei poeti cortigiani di Lodovico, cantò
che « D Moro ha della volpe e del lione E non tende alle mosche
« mai la rete » (i). A parte l'adulazione di queste parole, il Bellin-
doni non esagerava troppo. Lodovico poteva ricordare nella sua
prontezza il salto del leone e, nelle intricate vie tenebrose, di cui
si serviva per raggiungere la corona ducale, la volpe.
Conchiudo: Lodovico il Moro ha colpa di aver incoraggiato la
calata del re, unitamente, o spinto da Ercole I di Ferrara, per usur-
pare la corona ducale, ma non ha tutta la responsabilità della me
desima. Molta parte, moltissima anzi, spetta alla repubblica di
Venezia.
Siamo noi usi ad esaltare la saggezza politica della Serenis-
sima nel secolo XV. Studi esaurienti e complessivi sulla politica
di Venezia in tale periodo mancano tuttora, sebbene esistano pre-
gevolissime monografìe parziali. Nel periodo aureo del dogato di
Francesco Foscari, grande uomo di azione, la Repubblica ebbe una
grandiosa politica per quanto ispirata sempre a criteri egoistici e
ad avidità di dominio, che le attirarono l' odio universale. Ma
dopo la pace di Lodi, dopo i rovesci sofferti per le armi di Fran-
cesco Sforza, dopo la caduta di Costantinopoli e la strapotenza
dei Turchi in Europa, infine dopo la guerra di Ferrara, la Se-
renissima, come stanca ed umiliata o rattenuta almeno dalle scon-
fitte, iniziò una politica indecisa, lenta di azione, che è in asso-
luto contrasto colla storia sua degli anni precedenti. La calata
del re francese la sorprese sul punto culminante di tale politica
nefasta. Essa, diciamolo subito, si lasciò sfuggire l'occasione di
tener lontano il re dalla penisola con altre arti che non quelle
della persuasione, e divise col Moro la responsabilità delle con-
seguenze. Dopo Fornovo essa riprenderà l'antica politica attiva con
disegni ciechi di espansione, ma non favorita dalle condizioni dei
tempi, commetterà errori gravissimi, condurrà i francesi a Milano
e sé stessa sull'orlo della rovina. Noi la sapienza della grande
(i) Dina, Lodovico Sforza detto il Moro e Gio. GaleasMo Sforza nel
canzoniere di Bernardo Bellincione in quest' Arch.^ voi. XI, 1884, p. 723.
202 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
Repubblica non è provata dai fatti che si succedono tra il 1494 ed
il 1509! (i).
Nel 1493 Venezia aveva tenuto contegno prudentissimo. Aveva
resistito a lungo contro il progetto di lega accarezzato dal Moro, con
Milano e con Roma, solo erasi arresa quando, forse, aveva temuto
rifiutando di gettare lo Sforza tutto in braccio al re di Francia. Ma
nel 1494 la sua condotta assunse un riserbo eccessivo (2). Il Moro,
che teneva a Venezia, come rappresentante del ducato lombardo,
Taddeo Vimercato, comunicava alla Signoria quanto gli perveniva
di notizie francesi, ma non traeva che blande parole di ringrazia-
mento ed espressioni vuote di significato (3). Era morto Ferdi-
nando I, ed il pontefice, Alessandro VI, inquieto ed imbarazzato
sulla condotta da tenere verso il nuovo re di Napoli, Alfonso li,
ed il re di Francia, chiese consiglio ai suoi collegati, al Moro cioè
ed a Venezia Lodovico, che voleva realmente seguire in tutto le
orme della Repubblica, a sua volta interpellò la Signorìa in pro-
posito. Al Vimercato il doge rispose che « non sapeva più que
« consigliare né dire in questa materia de Franza, ma stare a vedere,
u et secundo quello seguiria et più ultra se intenderia poi consigliare
(i) Ducimi di non condividere Topinione ottimista del Rambaldi,
A//a vigilia di un fatto grande, (L'ambascieria di Zaccaria Contarini e
Gerolamo Leon, inviati straordinari della Repubblica di Venezia a MaS"
similiano I) novembre I4^j • marzo 1494^ Mantova, Mondo vi e fig., 1901,
p. 15. L' egregio professore crede ingiusta l'accusa " di indifferenza
** egoistica , attribuita a Venezia prima e durante la calata di Carlo VIIL
I documenti che divulgherò confermano, come si vedrà, il severo giu-
dico. Sull'indole della politica veneta v. qualche utile osservazione in
Pélissier, Comment a grandi Denise, Montpellier, Imprimerie centrale
du Midi, 1901.
(a) Nel febbraio 1493, l'orator fiorentino a Roma, Filippo Valori,
dichiarava che Venezia non avrebbe fatto la lega " per non alterare
^ le condictioni d' Italia », per quanto essa assicurasse il pontefice che
• mai non era per mancare a quella Sancta Sede, né comportare che
in una minima parte fussi offesa „. Il a8 febbraio però il Valori stesso
avvertiva : • Torator veneto significò al papa come la Sua IIL™* Signoria,
^ dopo molte consulte, s'era risoluta al Consiglio de' Pregadi di venir alla
** lega con questa sancta sede, et ancora era contenta che in questa lega
* vi intervenisse lo Stato di Milano ,. Questi dispacci furono editi dal
Thuasne, Diarium Burcardi, il, pp. 630, 636 (appendice). Sul trattato
v. Sanitto, Vite dei duchi, ecc., fol. 125.
(3) Così appare dall' interessante carteggio del Vimercato, v. Ar-
chivio di Stato di Milano. Potenze estere, Venezia, I494-95.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 263
M e dire : subiungendo che forse che adesso chel re Ferrando è man-
u chato, le cose prenderiano qualche meliore forma ». Non era ri
sposta che appagasse, ma il doge, desideroso assolutamente di non
compromettersi, continuò divagando sulle bellezze d'Italia, sulla
felice posizione che metteva la penisola al riparo per terra e per
mare, finché dovendo conchiudere disse nettamente al Vimercato
tt che in queste cose de Pranza il Moro melio la saperia consi-
« gliare cha loro, per intenderle anche melio, et bavere presso quello
u Chr."»** re soi oratori ». Ritenere la Serenissima che tutti i principi
italiani fossero unanimi nel desiderio di pace — « Certo » replicò il
Vimercato, « Lodovico è deciso a voler tranquilla Italia pur che la
tt potesse cum salutatione del stato suo; sapendo questa Ill.^a S."* la
« gran comodità ha el re de Francia de turbarlo, quando essa V. Ex.
u se gli volesse opponere e demonstrarseli contra » (i). Ma non fu
possibile trar altro. Il Moro era in quei giorni inquieto sulle inten-
zioni di Alfonso II, parendogli che a Napoli si ostentassero legami
con Venezia e con Firenze ostili a suo riguardo. Alle osservazioni
del Vimercato il doge « cum una cera prompta et molto alegra,
essendosi quasi in pedes elevato verso l'oratore (2), dise le formale
parole: Ambasciatore, quando questa Signoria promette una cosa
è stabile et firmissima, né cum arte et altre trovate se pò infrin-
gere, né removere. La S.*^ de N. S. el stado de Milano, Questa
S."*, la quale ha lo 111.™° S.^* Ludovico S.»"« vostro per fiolo Car.*"®
sono insiema coniuncti de tale benivolentia, Confederatione et vin-
culo, che homo del mondo non li potria solvere, né arte umana
li porla seminare non solo discordia, ma neanche una minima
suspitione, né de questo bixogna dubitare, trovaseno pur quale
arte se voliano ». E ripetè le speranze di pace e la fiducia che
la tranquillità della penisola non venisse meno. Eppure gli avve-
nimenti seguivano il loro corso. Carlo Vili chiedeva a Firenze
300 lancie, 1000 fanti e 6 galere per la sua spedizione italica. 11
Moro, nemico di Pietro de' Medici, all' oratore di Firenze che gli
chiedeva consìglio, si trincerò dietro assoluto silenzio (3), non es-
sendo certo che la sua risposta positiva o, come pare avrebbe de-
(i) Id. Vimercato a Lodovico. Venezia, 7 febbraio 1494.
(2) Id. altra lettera dello stesso giorno.
(3) Id. Lodovico al Vimercato, Vigevano, 13 febbraio 1494. Cioè ri-
spose che • ce pareria usare tropo presumptione et tore tropo carico
* quando li volessimo dare Consilio ^,
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 265
giorni, il Moro, spaventato dalla lega del papa col re Alfonso,
aveva invitato Carlo Vili a mandare innanzi le sue truppe (i).
Era una sventura che in quei momenti in cui tutte le forze italiche
avrebbero dovuto concorrere all'allontanamento del pericolo comune,
i principi della penisola facessero, ognuno dal canto suo, il possi-
bile per rovinare la patria comune. Si spargeva anche la voce che
il marchese di Mantova, Francesco Gonzaga, il quale stava agli sti-
pendi della Serenissima, andasse a Napoli, con licenza di Venezia,
per servire il re aragonese. Questa notizia, per quanto priva di
fondamento (2), e che traeva sola base dall'invito che il re Alfonso
aveva rivolto al Gonzaga d'intervenire alla sua incoronazione (3),
contribuì certo ad alterare Lodovico (4). Alfonso armava e Lodo-
vico faceva ancor esso preparativi guerreschi. N'avvertì però la
Signoria veneta, ed il doge per tutta risposta disse al Vimercato
che tali avvenimenti gli piacevano « perchè questa 111."»* S."* per
« la mutua amicicia, benivolentia et confederatione teneva per firmo
« de possersene così valere in uno suo proposito et bisogno, come
« de le proprie » (5).
Qualche apparecchio fece pure la Signoria (6), ma di scarsa
entità, ed in conclusione, per quanto il Moro insistesse sull'immi-
nente calata, sulle ostilità del papa a suo riguardo, il doge ripetè
sempre che la Repubblica badava a conservar la pace e che sapeva
avere il pontefice uguali sentimenti (7). Allora voci strane e sug-
gestive circolarono : si disse che Venezia aveva promesso soccorso
al re di Napoli (8), le genti del quale movevansi apertamente con-
(i) Delaborde, op. cit., p. 308.
(2) V. Arch. di Stato di Milano, Potenze estere, Venezia 1494-95,
Vimercato al Moro. Venezia, 3, 5 e 15 aprile 1494.
(3) Arch. stor. Gonz., E, Esterni^ n. XXIV, n. 3, b. 807 (1491-98), Stanga
aJ Marchese, Napoli, 11 aprile 1494; v. sull* incoronazione di Alfonso II,
SuMMONTE, Istoria di Napoli, libro VI, cap, 1 ; Percopo, Notizie della co-
ronazione d'Alfonso II d'Aragona in Arch, storico per le Provincie Na-
poletane, XIV, 1889, p. 140-43.
(4) Arch. di Stato di Milano, loc. cit, Lodovico al Vimercato, Mi-
lano, 30 marzo, i494-
(5) Id. Vimercato a Lodovico, Venezia 2 aprile 1494.
(6) Id. Venezia, 3 aprile 1494.
(7) Id. Venezia, 5 aprile X494.
(8; Id. Venezia, 5 aprile 1494 (altra).
266 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
tro Lodovico. £ questi non contento di reclamare dalla Signoria
smentita alle voci, temendo che le genti del re di Francia fossero
più tarde delle napoletane, chiese quali soccorsi gli avrebbe Ve-
nezia accordato ove Alfonso dalla minaccia fosse passato all'azione.
La Repubblica era unita, come vedemmo, fin dal 1493, in lega col
Moro e col Papa, né si poteva schermire. Sicché il doge promise
al Vimercato che in caso di pericolo le genti venete sarebbero
accorse a difesa della Lombardia (i). Ma Tassicurazione giungeva
tarda e non accompagnata da provvedimenti che persuadessero.
Le vive insistenze del re francese perché Lodovico mandasse alla
corte Galeazzo di Sanseverino ed aderisse in modo definitivo alla
politica francese (2), la lega tra il papa ed Alfonso dall'altra, che
fece aumentare la paura al Moro (3), decisero questo al passo
supremo. Galeazzo, dopo lunghi indugi, fu inviato alla corte di
Francia (4): Lodovico fu avvinto completamente al re ambizioso
e potentissimo. Si sarebbe detto che- la fatalità volesse assoluta-
mente imperversare sulla nostra sventurata patria! Non pare in-
fatti che il re Alfonso nei legami stretti col papa avesse in-
tenzioni materialmente ostili contro Lodovico. Egli ed il Fontano
dicevano agli oratori di Pietro de' Medici, che, com'è noto, seguiva
la politica del padre suo, il Magnifico, di concordia ed amicizia
cogli Aragonesi, essere bene « fare ogni opera e usare ogni dili-
genza di non lasciare venire il signor Lodovico in desperatione -.
Ed il Moro infatti, prima che si firmasse la lega, aveva lasciato
sperare a Napoli che le difficoltà da parte sua non sarebbero
(i) Id. " .... che, benché male se potesseno persuadere chel S.« re
" di Napoli havesse tale animo, nò volesse venire a tali effetti, che non-
" dimeno, come recercava la coniunctione indissolubile, amicicia et liga,
" le quale haveno cum el Stato de Milano et la Ex. V., quando pur el
" caso occu resse non erano per fnanchare de omne succorso opportuno verso
" epso Stalo de Milano et la persona in spetie de la Ex. V., la quale hanno
• sempre amata et ameno, comò bono fiolo ; estendendosi cum parole ci
'* termini tanto ampli et gaiardi, che più non mi pare posseseno dire,
" dicendo apresso chel medesimo fariano per la Ex. V. senza liga per la
" coniunctione hanno cum lei „.
(2) Delaborde, op. cit., p. 310.
(3) Id., p. 341.
(4) Id., p. 341, Archivio di Stato di Milano, Potenze estere, Venezia,
loc. cit., Vimercato a Lodovico, Venezia, 9 aprile 1494.
1
j
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 267
mancate alla calata francese (i). Ogni speranza di pace invece
svaniva ed Alfonso, convinto essergli ostile, senza ritegno alcuno,
il duca di Bari, si lasciava andare alla manifestazione pubblica
del suo sdegno (2). U esercito napoletano, avviato verso V Italia
superiore, non nascondeva che il piano di guerra doveva consistere
neir occupazione della Lombardia.
Allora dopo si lunga dimostrazione di neutralità, dopo, tanta
rìtenutezza, la Republica veneta, che respingeva in quei giorni
con bella forma le grandiose profferte del signor di Cytain, amba-
sciatore francese (3), mentre scendevano truppe al di qua delle
Alpi, fece al Vimercato solenne invito perchè distogliesse il Moro
dalle pratiche con Carlo Vili, e così venisse meno la temuta inva-
sione. In risposta il Moro declinò ogni responsabilità. Avere egli
comunicato sempre ogni cosa alla Signoria: eppure mai essere
stato creduto. Ora le genti francesi calavano. Quale colpa era la
sua, se la duchessa di Savoia, Bianca di Monferrato, ed i marchesi
di Monferrato e di Saluzzo lasciavano aperte le vie di qua delle Alpi?
« Non sapemo al presente » scriveva (4) « che remedio li possiamo
« portar, quando non se volessemo mettere in manifestissimo peri-
« colo, perchè havendoli questi signori, quali confinano con questo
« stato, dato passo et stantie, demostrando esser tuti del X.™® re, si
« tirariamo alle «palle nostre questo poco, elquale tanto più ne seria
« periculoso, quanto che in la corte de la M.^^ sua se li ritrovano
« de queli che ne sono inimici et desiderarìano che fosse mossa guerra
(i) Desjjirdins, Nigoc, diplom, de la France avec la Toscane, I, 449-50*
Dionigi Pucci, Angelo Nìccolini e Pierfilippo Pandolfini a Pietro de* Me-
dici, Napoli, II aprile 1494.
(2) Arch. di Stato di Milano, Potenze estere, Venezia, loc. cit. Lo-
dovico al Vimercato. Vigevano, 3 giugno 1494. Re Alfonso, per mostrare
la sua ostilità, ha imposto al conte di Caiazzo, che è a nostro servizio,
di rientrare nel reame senza indugio. ^ 11 Vimercato a Lodpvico. Ve-
nezia, 14 luglio 1494. Ha comunicato alla signoria le ostilità del re coll'in-
tercettare di continuo la corrispondenza indirizzata al Moro da Roma.
(3) De Ch£Rrier, Histoire de Charles yill rat de France^ voi. I,
Paris, Didier et C, j868, p. 400-401; Delaborde, p. 301. Sul de Cytain
a Venezia v, Arch. di stato di Milano, loc cit., Vimercato a Lodovico,
Venezia, 3, 4 maggio 1494 e Lodovico al Vimercato, i maggio 1494,
7 giugno 1494.
(4) Id., Lodovico al Vimercato. Vigevano, 28 maggio 1494.
a68 LODOVICO sforza, detto il iIoro,
« centra noi. Gli è anchora un altra cosa, alla quale bisogna che ad-
ii vertiamo, che la M.^^ sua per la vicinità et oportunità quale ha
Il de Proventia, ne poterìa anche portar grande travaglio alle cose
u de Genova, et meterle in manifestissimo periculo. Si che non ve-
« demo che se possi dir questo zoso noi, essendo già stato da noi
« antiveduto et pensato a quello se gli posseva remediar, corno se
« persuaderne che anche quella I11.<b* S.^* per la singolare sapientia
« sua et per lamore paterno che la ce porta judicava die noi al
« presente se potessemo governar altremente, cum la qual ricercando
u però con la observation nostra figliale siamo molto contenti de oon-
« sigliarse in questo caso, corno voressimo anche far in tutte le altre
« cose if. E certo data la situazione d'allora il ragionamento del Moro
non faceva una grinza! Il Vimercato, conforme agli ordini, eaegid
l'ambasciata « chiedendo la Signorìa desse consiglio » e n'ebbe ri-
rìsposta uguale alle precedenti con un' aggiunta che pur suonava
rimprovero. Il doge cioè, dopo essersi schermito drca il consi-
gliare, osservò sorrìdendo che « quando el medico prudente et
M pratico vede lo Infirmo grave, cum qualche diversione sa ali-
li quando liberare », e ch'egli vedeva dall'invasione francese sorgere
infiniti guai per l'Italia. « Consigliateci dunque! » esdamò per
la centesima volta il Vimercato. « Al che subito Sua sublimità re-
tt spose che dio ne ha lassato el libero arbitrìo, accignando die è
« in dispositione de li S/» del mondo de trovare asseto a queste
u cose, la cui M.^^ pregava a mettere in core a ciaschuno de fare
« quello fosse per el melio » (i). Ma Lodovico pareva volesse met-
tere al punto la Signoria. Ogni mossa del re francese egli comu-
nicava a Venezia; T arrivo a Lione del turbolento cardinale di San
Pietro in Vincoli, Giuliano della Rovere, le accoglienze prìncipe-
sche del re al porporato ribelle verso il capo della crìstianità (s),
i preparativi regi in Italia (3), il viaggio disegnato di Carlo in Bor-
(i) Id., Il Vimercato a Lodovico. Venezia, 3 giugno 1494. — Lodo-
vico al Vimercato. Vigevano, 6 giugno 1494.
(2) Id., Venezia, 16 giugno 1494. — Sull'accoglienza del cardinale
in Francia e nelle vicende romane in quei giorni, v. Delaborde, op. dlL,
p. 347 e sgg. ma specialmente Pastor, op. cit., Ili, 334-26.
(3) Arch. di Stato di Milano, loc. cit, Lodovico al Vimercato, Vìg^
vano, 7 giugno 1494. Dite alla Signoria che il re ha fatto pagare fl
conte di Caiazzo, il s/ Rodolfo Gonzaga, Gio. Francesco Gonzaga ed ii
s.' Galeotto per 500 uomini d'arme che voleva in pronto per suo servizio.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 269
gogna (i), r arrivo in Italia ed il viaggio del duca d' Oriéans a
Genova (2). Sicché il Doge, stretto dall'evidenza dei fatti, non
trovò più altro argomento che insistere sulle intenzioni pacifiche
del re Alfonso verso Lodovico (3). Alfonso dal canto suo implo-
rava daUa Signoria una dichiarazione in favor suo quando fossero
calati i francesi (4). Venezia durava fatica a trincerarsi nell' in-
credulità e nelle semplici dichiarazioni di nessuna conseguenza.
Quando ai primi di luglio l'esercito francese, notevole di numero
si concentrava in Asti ed il re annunziava imminente il suo arrivo,
i freddi diplomatici veneziani non nascosero il loro malcontento
verso Lodovico, a cui attribuivano gran parte nella decisione regia.
Il Vimercato scusava coi soliti argomenti il suo signore. Poteva il
Moro, osservava egli, fronteggiare il re od esporsi senza difesa
air invasione dei napoletani? « Ben » esclamava, « posito che lo
u Ill."o Sj^ mio, quale ha forse et senza forse recevuti molti dispia-
« ceri dal re Alfonso et da altri, .... facesse qualche cosa contra loro
u [Francesi], za che per questo non fa dispiacere, né danno a questa
« S."*, ne manca del filiale amore chel li porta »? Ed al solito i Ve-
neziani non lo seguivano, né rispondevano ai suoi argomenti troppo
incalzanti (5). Non era per amore di Alfonso che Venezia mostrava
ripugnanza alla calata, ma il timore che all'invasione francese se-
guissero conseguenze di ben maggiore entità, che non avesse la
calata regia in sé stessa (6).
Tutti questi fatti ci guidano a conclusioni assai sfavorevoli per
la potente Repubblica. Se Venezia esteriormente mostrava di non
credere alla calata (7), i documenti provano che al contrario essa
(i) Id. Il Vimercato a Lodovico, Venezia, 16 giugno 1494*
(2) Id. Venezia, 25 giugno 1494.
(3) Id. * essendo [il Doge] poi restato cum qualche admiratione
cum li ochij fìxi ne lì savij grandi. »
(4) Id. Lodovico al Vimercato, Vigevano, 26 giugno 1494,
(5) Id. Il Vimercato a Lodovico, Venezia, io luglio 1494.
(6) Desjardins, op. cit., I, 501. Gio. Battista Ridolfì e Paolo An-
tonio Soderini a Pietro de Medici, Venezia, 5 agosto 1494.
(7) Ed in ciò ingannò bene il pubblico* — Malipiero, Annali cìt., p. 328:
• La Signoria non ha mai vogiù creder che francesi vegnìsse in Italia,
• e '1 consegio de pregai era si fisso che il re non dovesse calar, che '1
• no voleva dar fede a ì avisi de quel regno, e non voleva creder né
• aldir quei che, consegiando la terra, mostrava de crederlo „; Sanuto,
270 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
non poteva, dalla primavera del 1494, averne dubbio. Ed allora
perchè simulare incredulità? Perchè lo scetticismo nell* invasione
era buon argomento per respingere le domande suggestive di al-
leanza che da Milano, da Napoli, da Roma, dalla Francia le perve-
nivano. Per conservare le mani libere era conveniente mostrarsi
increduli, e Venezia fu abilissima in questa linea di condotta. Il
pubblico prestò fede alla sua incredulità, ma gli avvenimenti sto-
rici dimostrano che fu una politica nefasta, ed il partito egoistico
che dopo Fornovo la Repubblica trasse dalle sventure italiane po-
trebbe generare il sospetto che fin da quei giorni Venezia non di-
sperasse di trar vantaggio dalle conseguenze della calata.
Anche il re Alfonso ostentava di non credere alla calata. Esso
ancora neir aprile del 1494, invitando il marchese di Mantova alle
feste della sua incoronazione, diceva ridendo all'oratore mantovano,
Girolamo Stanga, essere bene che il marchese andasse senza indugi
« a vedere e godersi quel regno qualche mese prima che franzosi
u lo gazassero » (i). E non era solo nello scetticismo il re napoletano!
La spedizione, ecc., p. 57, " .... Tamen non era creto mai el re in per-
" sona venir dovesse »; Desjardins, op. cit, I, 500, 503-5. Ridolfi e Sode-
rini aPietro de Medici. Venezia, 5 e 12 agosto 1494. — È certo che
prima deiraprile 1494 molti della Signoria realmente dubitarono della ca-
lata, sebbene altri già nei primi delPanno fossero convinti della cosa. V.
Archivio di stato di Milano, loc. cit., Venezia, 11 febbraio 1494. Antonio
Valier, senatore di grande autorità, al cancelliere del Vimercato in se-
nato disse in un orecchio: " La niagiore parte de li nostri non credeno
" che le cosse de Francia de venire in Italia debeno andare inante. Io
" le strecrcdo; et poria adure molte rasone, perchè anderano inante; né
" obsta che fin qui non sijno facti alcuni preparamenti, perchè non passa
" el tempo et se farano presto; ma procedendo el stato de Milano cum
" questa S.ria cum bona et vera Intelligentia come fano, pocho havemo
" a dubitare. „ Tuttavia Girolamo Zorzi, già oratore in Francia, circa i
preparativi della calata diceva " chel metteria la testa che non ande-
" rieno hiante et che se resolverieno al fine in fumé. „ Ma lo scetticismo
veneto di cui parlò Antonio Salimbene, sei mesi dopo era, non v*ha
dubbio, solo più una finzione (Arch. storico Gonzaga, loc. cit., Venezia,
4 agosto 1494).
(i) Arch. stor. Gonzaga, E, esterni, n. XXIV, n. 3, b. 807 (1494-98).
Stanga al marchese, Napoh', 11 aprile 1494. Questo invito generò la
voce che il marchese volesse andare ai servizi di Alfonso (v. p. 9-10).
Suir incoronazione di re Alfonso fatta poi a Napoli il dì 8 maggio dal
card. Giovanni Borgia, v. Pastor, op. cit., Ili, 324.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 27I
Della venuta in persona del re di Francia T universale dubitava
sinceramente e forse dubitavano anche Lodovico il Moro, che cer-
cava, in apparenza almeno, di togliere le possibili difficoltà alla
calata (i), ed il re dei Romani Massimiliano, che prometteva nel
giugno di quell'anno, agli ambasciatori francesi « de non impedirli
ne la impresa del Reame » (2). I Napoletani, persistettero neirin-
credulità finché il re, si può dire, non fu giunto in Lombardia.
Il duca di Calabria, Ferdinando, che nell'autunno del 1494 scara-
mucciava coll'esercito francese in Romagna, il 4 ottobre, dopo uno
scontro fortunato (3), ad un barone francese, caduto prigioniero
chiese ancora se Carlo Vili era proprio al di di qua delle Alpi.
11 barone rispose non esservi dubbio, e che il re di giorno in giorno
doveva apparire in Lombardia (4). Ed infatti Carlo Vili da circa un
mese era giunto ad Asti ! Tanto tarde ed incerte pervenivano al-
lora le notizie ! Finalmente la venuta del re si propagò con mera-
(i) Calvi, Bianca Maria Sforza Visconti e gli ambasciatori di Lodovico
il Moro alla corte cesarea, p. 56-58. Lettere del Brasca e del Belgìoioso.
(2) Calvi, op. cit, p. 65; Ulmann, Kaiser Maximilian 1 auf urkundlicher
Grundlage dar gestellt, voi. I, Stuttgart, 1884, p. 270; Di-laborde, op. cit,
pp. 266-67.
{3) Di questo successo fecero gran caso i napoletani. In realtà si
trattava di una scaramuccia di minima importanza, v. Desjardins, op. cit,
I, 452, Filippo Valori a Pietro de' Medici. Napoli, 4 ottobre 1494. p. 516.
Soderini a Pietro. Venezia, 27 settembre 1494.
(4) Pasolini, Caterina Sforza, voi. 1, Roma, 1893, p. 341-45. — Fi-
renze, assai bene informata delle novità d'oltr'Alpe, non aveva mai
dubitato della calata. Anzi Pietro de* Medici coU'instare di continuo per-
chè il Moro non facesse più intrighi col re di Francia, se Tera del tutto
im'micato. Curioso il rimprovero ed il consiglio che da Tours il vescovo
d'Arezzo, Gentile Becchi, ambasciatore in Francia, non risparmiava al
suo signore, il 23 gennaio 1494 (Desjardins, I, 359). " Che state voi ad
avvertire il signor Lodovico del pericolo in che T mette sé e altri?
Credete voi che non lo conosca? Farete che v'andrà più ostinato, per
parere di non bavere errato, o manderà qua vostre lettere. „ Conten-
tatevi di tenervelo non ostile, e non scopritevi pel re di Napoli. Il re
Alfonso dubitò fino all'autunno dello stesso anno. Egli infatti riteneva
non indispensabili gli aiuti immediati di Spagna, bensì che vi fosse tempo
fino all'anno seguente, v. Barone» Notizie storiche raccolte dai f<egistri
Curiae della Cancelleria Aragonese in Arch. storico per le Provincie na*
poletane, XIV, 1889, p. 187, 189, 193, Alfonso li alla regina madre. Celle,
6, 14, agosto, e 14 settembre (da Terracina).
272 LODOVICX) SFORZA, DETTO IL MORO,
viglia grande di tutta la Romagna. E del resto nessuno poteva
supporre tanta tenacia di propositi in un re che due illuminati am-
basciatori come Zaccaria Contarini ed Andrea Capello avevano de-
scritto come deficiente d'animo e di corpo (i).
III.
Non è mia intenzione seguire la calata del re e fame la nar-
razione, nonostante siano reperibili ancora nuovi documenti e par-
ticolari degni d'essere conosciuti. Mio scopo è solo di illustrare le
relazioni tra il Moro e Venezia fino al compimento della l^a ita-
lica contro Carlo Vili ed al ritorno di questo dall'Italia meridionale.
Lodovico ebbe taccia di traditore dai francesi : noi vedremo che il
mutamento suo fu solo la naturale evoluzione dei sentimenti ma-
nifestati fino dal I494« Un prezioso codice marciano, in gran parte
inesplorato (2) e nuovi documenti d'archivio ci permetteranno di
seguire il Moro e Venezia in quei giorni così importanti nella storia
d'Italia, e dare forse nuova luce alla figura singolare e drammatica
del figlio di Francesco Sforza ed alla politica veneziana sulla fine
del secolo XV.
Nel luglio 1494 era ambasciatore della Serenissima presso il
Duca lombardo Giorgio Pisani, (3) quando Lodovico, che i prepa-
rativi francesi ad Asti e Genova avevano mosso da Milano ad Ales-
sandria, gli mandò invito di recarsi al suo fianco. II Pisani non
seppe respingere la domanda, e, pur informandone la Signoria,
soddisfece il Moro. Il riserbo suo corrispondeva ai sentimenti della
(i) RoMANiN, Storia docum. di Venezia f V, 13; Alberi, Le relamom
degli ambasciafori veneti ai Senato durante il secolo XVI^ serie 1*,
voi. IV, Firenze, 1860, p. 15-16.
(a) Bibl. Naz. Marciana di Venezia, Manoscritti italiani, classe 7.',
cod. DXLVIl (del sec. XV). ■ Registnim litterarum M.conini D. Sebastiani
• Baduario equitis et Benedicti Trivisano oratonim ad Dl.ninni D. Ducem
' Mediolani, 1494. De mense Novembris Die XXL , Le lettere del Badoer
servirono molto al Sanuto. D codice poi fu conosciuto dal Romanin, op.
cit., V, 50-58, che utilizzò 7 dispacci. Ma esso ne contiene duecento. (È
legato in mezza pergamena dì carte numerate ao6, dimensioni con le-
gatura 0,32 X Ot^^ senza legatura 0,305 x 0,205).
(3) Trovavasi presso il Moro dall'ottobre 1493, v. Ardi, ston Gon«
zaga, loc. cit, Sahmbene al marchese, Venezia, 18 ottobre 1493.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 273
Repubblica, desiderosa di evitare ogni atto dal quale il pubblico
potesse arguire qualche ipotetico accordo del governo veneto col-
rambizioso principe. Elssa, pur non disapprovando il viaggio del
Pisani, raccomandò al suo oratore di non varcare per motivo al-
cuno i confini del ducato lombardo anche se Lodovico ne fosse
uscito, tanto meno poi di seguire l'irrequieto principe a Genova (i),
dove si facevano i preparativi per la flotta di Carlo Vili.
Ed affinchè Tastensione fosse anche più evidente venne man-
dato ordine a Paolo Trevisan, oratore presso Alfonso II, il quale
già aveva finto un' indisposizione per rimanere a Napoli, di non
uscire anch' esso per qualunque motivo dallo stato napoletano (2).
O Pisani ebbe ad Alessandria dal Moro comunicazioni assai gravi,
sgraziatamente a noi ignote, ma che provocarono da Venezia ordini
più restrittivi ancora dei precedenti Tornato a Milano infatti su-
bito dopo le parole del Moro, ricevette egli il nuovo ordine non
solo di non varcare i confini del ducato, ma di evitare anche terre
lombarde che fossero lontane dai dintorni di Milano, di Pavia, e
di Vigevano. E se lo si costringeva a viaggiare in questi luoghi
egli doveva fingere indisposizione, dichiararsi poi tutto infermo, se
le terre erano fuori della circoscrizione fissata (3). Al Trevisan
(i) Arch. di Stato di Venezia, Senato, Secreta, Deliber astoni , reg. 35
('494*9S) e. 13 t. La Signoria al Pisani. Venezia, 16 luglio 1494. " Ve-
' rum quoniam esse potest, quod ipsa Ex.ti* vos ducere vellet Genuam,
* quod nullo pacto vellemus succederei, ob plurimas rationes vestrae pru-
* dentiae non ìgnotas, Deere vimus has nostras ad vos scribere et decla-
* rare super hoc mentem nostram, ut juxta illam incedere et vos guber-
' nare valeatis „. Già l'andata del Pisani ad Alessandria non pare fosse
piaciuta alla Signoria (Arch. di stato di Milano, loc. cit., Il Vimercato al
Moro, Venezia, 31 luglio 1494), che però si rassegnò, come vedemmo,
senza muoverne rimprovero all'oratore.
(2) Id. ce. cit., Venezia, 16 luglio 1494.
(3) Id. La Signoria al Pisani. Venezia, 18 luglio 1494. " Gratum
' admodum nobis fuit Intellexisse vestrìs litterìs vos rediturum esse
* Mediolanum ex Alexandria.... Gratum diximus, quoniam illiberum vel-
' lemus vos reperìrì, aut in exercitu, aut ubi fìunt coadunationes gentium
* armigerarum, si ve in motibus aut perturbationibus, quae impresentia-
* rum tractarì aut miscerì videntur. Quocirca moti convenientibus ratio-
* nibus, decrevimus potremum ordinem nostrum variare, ei riducere ad
' presentem formam. Itaque volemus et cum Senatu nostro mandamus
* vobis, si Extie lll.mi D. L.ci ex Viglevano, sive ex papia, aut ex
274 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
giunsero anche identiche istruzioni (i). Ora questa astensione, che
annullava ogni speranza di appoggio nel Moro come nel re di Napoli,
era un errore politico gravissimo. Carlo Vili, secondo vedemmo,
aveva già ottenuto la promessa della Repubblica di libero passo:
la neutralità più che assoluta di Venezia doveva riuscire una con-
ferma alle speranze del re ed invogliarlo più che mai a compiere
il vagheggiato disegno. Di più il contegno della Repubblica paraliz-
zava l'azione degli altri stati italiani, sui quali non è improbabile
che avrebbe influito l'esempio del pontefice, Alessandro VI, avverso
pubblicamente alla calata.
Quando la spedizione, anzi la calata del re apparve certa, il
Senato credette opportuno che il Pisani non evitasse una visita
alla Maestà francese, non appena questa fosse arrivata ad Alessandria
od in una città vicina (2). Il Moro, inquietissimo, sperando forse che
Venezia si aprisse con lui, comunicò all' oratore che aveva dato
consigli di pace al re, ma la Repubblica, lungi dal mostrare inte-
resse perchè la calata non avesse luogo, si contentò di platoniche
approvazioni (3). Una pubblica dichiarazione avrebbe forse tratte-
" aliquo alio loco vicino et circumstante Mediolanum vos accersiverit,
** ut ad eum accedatis, In hoc casu ad eum ire debeatis simulando tamm
** vos Ulne ftiisse profectum eum difftcullale et sinistro fnaxifno^ ab altqum
" dolorem ani credibilem e^i^ritiidiuem^ quae derepente vos Invaserit, Hoc
" autem dicimiis, quoniam si ab eadcm ex.t»* fueritis rcquisitus proficisccndi
" ad aliquem locum non comprehensiim in supradictis, et maxime ultra
" padum, nostrae mentis est, qttod simulare debeatis (ut superius expres-
** siinus) aliquem invalitudifiem, cuius causa vobis sit impossibile equiian.
^ Et ila eum simili excusatione remanebiìis, quam conabitis in reddcrc
" quanto verisiniiliorem poteritis, Tenendo presentem ordinem nostrum st
" cretissimum, et illud exequendo eum omni dexteritate, non obstante pò-
" stremo ordine et mandato nostro „.
(i) Id. ce. 14, stessa data.
(2) Id. e. 16. Venezia, 24 luglio 1494- Vi ordiniamo • ut advenicnic
* dieta easu, quod Ex.tia antedieta requirat a vobis, ut eum ea, aut posi
" eam, aeeedatis in Alexandriam, ubi reperiretur christlanissima M.^aut
" de brevi expeetaretur, ire illiie debeatis prò honoranda et visitanda
* eadem M.te Cum illa verborum forma quam particularius alijs nostris
" littcris vobis explicabiinus „.
(3) Id. e. 17 t. Venezia, 30 luglio 1494 " — sed illud specialitcr
« gratissimum nobis fuit, quod eadem Ex.i'a sit etiam aptaiura et com-
" positura quiquìd foret componendum et concordandum cum christia-
" nissima M.te francorum. „
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 275
nuto ancora Carlo Vili. Fino a quando non aveva varcato i monti,
poteva il re senza danno al suo prestigio rimandare ad epoca in-
determinata la spedizione: dopo non più. Ora Venezia coirastenersi
da ogni partecipazione alla vita politica italiana in quei frangenti
mostrava tale imprevidenza e così malinteso riserbo che la sua in-
credulità sola circa la calata potrebbe esseme attenuante. Già al-
cuni mesi prima aveva essa usato uguale prudenza, quando dal re
Alfonso 11 era stato mosso invito al marchese di Mantova, con-
dottiero agli stipendi della Repubblica, di visitare Napoli (i). Essa
allora aveva vietato al Gonzaga di ottemperare ai desideri arago-
nesi (2). E sebbene sarebbe forse stato non inutile mostrare buon
viso al re Alfonso, per intimidire il monarca francese, tuttavia si
comprende che il pensiero di far cosa ingrata al Moro abbia tratte-
nuto la repubblica. Ma le condizioni politiche dall'aprile al luglio del
1494 erano ben cambiate e se non giustificavano prima Teccessiva
prudenza o sapienza^ come dicevano i contemporanei, della Serenis-
sima, tanto meno erano buona scusa in quei momenti.
Da ogni parte giungevano sollecitazioni a Venezia. 11 papa Ales-
sandro VI, per mezzo dell'oratore Paolo Pisani, aveva esortato cal-
damente ed esortava tuttavia la Repubblica ad unirsi con lui e con Fi-
renze per impedire l'invasione. Ma fu vana preghiera (3). Venezia
aveva deciso, scrive il Sanuto, a non se impazar se non a metter
« paxe et benivolentia ira le parte » (4). 11 Moro senza più infingersi
tentò ancor egli di trarre la Repubblica dalla sua inazione. Chiese
in forma esplicita consiglio, ma anche questa volta ebbe risposta
blanda e scoraggiante. Bene aver agito, scrisse la Repubblica al
suo rappresentante, il Ss Lodovico innanzi ai moti del re francese,
ma nulla potergli comunicare la Signoria, perchè, non tenendo essa
(i) V. p. 9-10. Dispaccio citato dallo Stanga di Napoli. Lo Stanga
visitò il Trevisan, oratore di Venezia a Napoli, il quale certamente
diede comunicazione alla Signorìa dell'invito fatto al marchese.
(a) Arch. stor. Gonz. E, estemi, n. XLV, n. 3, b., 1434. Scalona al
marchese. Venezia, 18 aprile 1494. Il Delaborde, op. cit, p. 361, inter-
preta questo documento non esattamente.
(3) Desjardins, op. cit, I, 506-0. Ridolfi e Soderini a Pietro de Me-
dici, Venezia, 16 e 27 agosto 1494. — Al vescovo di Calahorra la ri-
sposta fu data anzi in tono che non ammetteva replica. V. Desjardins,
op..cit., 1, 509, lett. cit», del 27 agosto.
(4) Z^ spedizione f ecc., p. 63.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXVF. i8
276 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
ambasciatore residente in Francia, di nulla aveva notijda. Non es-
sere quindi strano, se essa si asteneva dal consigliare chi era am-
piamente informato delle cose. Non dubitare che il S.' Lodcmco
avrebbe concordato col re francese quanto conveniva al bene dd-
ritalia (i). Era l'eterna risposta, tante volte ripetuta. Un po' di gin*
stizia distributiva! Quando il Moro dopo la calata di Cario VDI
esclamò: « Confesso che ho fatto gran male aU'ltalia, ma lliofiitto
« per conservarmi nel loco in cui mi trovo. L'ho fatto mal volentieiì,
ti ma la colpa è stata del re Ferdinando, ed anche, viglio dirio^ m
u qualche parte dell' illustrissitna Signoria, perchè non si volk hr
u sciar intendere n (2), disse una verità che i documenti oollfe^
mano. Se nell'agosto 1494 ancora la Repubblica avesse accolto le
offerte di Alessandro VI, dato conforto al Moro, e fatto f^ appa-
recchi militari convenienti, Carlo Vili avrebbe trovato l'Italia unita
contro l'invasione. Quando già tanti in Francia erano avversi alla
spedizione, la l^a delle potenze italiane avrebbe sventato forse 3
perìcolo. Nessuno può dire le cons^uenze che dalla mancata spfr
dizione di Carlo Vili sarebbero derìvate I Certo non è della (fifS-
denza, che nutriva Venezia pel Moro, che dovremmo incolpare
la Repubblica. Lodovico aveva mostrato per tanti anni un ca-
(1) Arch. di Stato di Venezia, loc, cit., ce. ao t.-2i. All'oratore a Mi-
* lano. Venezia, 8 agosto 1494. " .... optime omnium Ex.ti« suac esse
^ compertum a principio usque horum motuum Gallicorum : nuilum nos
* apud M.te™ predictam habuisse oratorem, vel nuntium, aut alium qucm-
" piam a quo habere potuerimus multas particularitates, quae necessariae
'* essent ìnteiligendae ijs qui in tali materia aliquid essent consultarì: et
" iccirco nemìni mirum esse debet, si nos ea ratione quicquid in medìiBn
* afFerre non possumus, prout libenler faceremus, si dieta intelligeoiii
* nobis non deesset. Ex alia,.,, nemo omnino tnelius ElxM» sua imtelSgi
" minutissimas quasque circumstantiaSf qualiiates et conditiones dtctvum
* rerum Gallicarum, circa quas si aliquid esset nobis deliberandum, inn
I, merito ipsam ExMom consulerimus. Quae cuumsit sapientissima et sht
** diosissima quietis ac pacis, non dubitamtis quin sit contpositura et ept^
* tura quicquid cum christianissima MM prefata fuerit componendum é
" concordandum prout in praecedenti congressu vobiscum habito ampi*
** sime dixit et affinnavit : et nos in responsione nostra vobis diximos k1
* prò ceteris omnibus (prout re vera fuit) nobis placuisse et gratisB-
* mum extitisse. „
(2) Francesco Foscari, Dispacci^ ed. in Arch^ stor, ital,, voL Vft
par. II, p. 843.
, E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 277
rattere così doppio e malfido da legittimare la sfiducia completa
dei suoi vicini. Egli era uomo, e lo dimostrò durante le trattative
stesse della lega nel 1495 ed in seguito, senza scrupoli, che avrebbe
trattato coi nemici senza riguardo all'alleato. Ma innanzi ai due
mali, alla calata Francese, le cui gravi conseguenze tutti compren-
devano in Italia, ed alla dubbia fede del Moro, una politica illu-
minata avrebbe scelto il secondo. Ed allora forse tre secoli e mezzo
di servitù straniera non avrebbero gravato sulla penisola nostra. La
Repubblica consigliò il Moro, quando Alessandro VI ebbe persuaso
Alfonso II a sospendere le ostilità contro la Lombaf^ia, a seguire
Tesempio pacifico del re aragonese (i). E fu un invito inutile, anzi
dannoso. Come poteva il Moro credere alle buone intenzioni ara-
gonesi, quando la flotta napoletana dalla metà di luglio aveva as-
salito Portovenere (2) e tentato l'impresa su Genova finita col di-
sastro di Rapallo? (3).
Carlo Vili dunque s' appressava e Venezia rimaneva chiusa
(i) Arch. di Stato di Venezia, loc. cit., ce. 22-22 t. Airoratore a
Roma. Venezia, 25 agosto 1494.
(2) V. gli storici tutti: tra gli altri Giovanni Portoveneri, Memoriale
da/fanno 14^4 al IJ02 in Arch. storico italiano, VI, p. 2.*, 1845, p. 284.
Pelaborde, op. cit., p. 401; Arch. di Stato di Milano, loc. cit. Lodovico al
Vimercato. Alessandria, io luglio 1494. Quelli di Portovenere, ricevuta
r intimazione d' arrendersi da Federico d'Aragona, rifiutarono, e vedendo
proprio rivolte contro di lui le armi napoletane " cum tutte le forze
nostre se demostraremo inimico contra el p.to Re alphonso per de-
fender le cose nostre et per responderli de pari effecto. „ Scrisse il
Moro in uguali termini a Ferrara, Firenze e Bologna. — Id. Potenze
estere f Roma. Lodovico a Stefano Taverna. Alessandria, io luglio 1494.
* L'armata regia viene potentissima. Dopo essa verrà un'altra più ag-
■ guerrita ancora et declararà essere vane le forze et menaze de li ad-
* versarij, et perterra se Invia lexercito de tale numero che senza armata
* porria fare limpresa et reportarne Victoria. „ — Id. al cardinale Ascanio
Sforza. Alessandria, 11 luglio 1494. * Tamen per questi potenti remedij
■ el periculo loro (del Papa e del re Alfonso) è più presto umbra che uno
" periculo, et accade ad epsi che per la preventione più che per la potentia
' de li adversarij sentano molestia, la quale in la zonta del subsidio si
* risolverà in leticia et portarà deffecto de questi mali alli inimici. „ Ed
infatti Lodovico non nascondeva che il re, da lui informato delle ostilità
aragonesi, aveva promesso di riparare a tutto colle forze che guidava
nella penisola. Id. Alessandria, 16 luglio 1494.
(3) Delaborde, op. cit, loc. cit.
278 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
nel suo riserbo. « Se il re scende « scriveva la Signorìa al Pisani (i),
H poiché nulla ha di certo ancora (2), l'andrete a visitare solo quando
u esso sarà pervenuto ad Alessandna, e se nella prima udienza egli
u sì aprisse con voi e vi chiedesse il parer vostro nelle cose pre-
■ senti, badate di schermirvi colla vostra solita abilità, per quanta
« potrete, o se foste costretto ad una risposta, senz'altro replicate di
<• non avere da noi istruzione alcuna (3). « Quando poi il re ebbe
varcato le Alpi, la Repubblica modificò le sue istruzioni. Con qualche
reticenza, il Pisani ebbe facoltà di uscire anche dallo stato lombardo
per ossequiare il re, e di spingersi fino ad Asti, se Carlo Vili fosse
rimasto in quella città. Non dimorarvi però che due o tre giorni
e tornare sollecitamente ad Alessandria per non aversi ad immi-
schiare in cose compromettenti (4), salvo che le insistenze regie
impedissero proprio l'immediato ritorno; allora rimanesse > quii
" non esset conveniensìn tali re eius voluntati reluctari ». S'Intende
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 279
« diligente e perspicace, ora dovete superare voi stesso, scrutando
- ed investigando quanto si tratta alla corte regia (i).
Il 5 settembre, superate le Alpi, Cai*lo Vili entrava a Torino (2),
il 9 in Asti. 11 Moro, Beatrice d'Este, sua consorte, ed Ercole I
duca di Ferrara, eransi affrettati incontro al re, ossequiandolo fin
nell'ingresso ad Asti (3). Carlo Vili cadde ammalato, com' è noto,
poco dopo, sicché il Pisani ritardò il suo ufficio sino al 3 ottobre,
ritornando poi, secondo le istruzioni avute, il 5 ad Alessandria.
D re, guarito s'avanzò nella Lombardia e giunto a Piacenza mandò
a Venezia preghiera d'un prestito di 50 mila scudi. La Serenissima,
sempre ferma nell'intenzione di astenersi da ogni atto che apparisse
favorevole ad una parte più che all'altra, rispose con garbato ri-
fiuto (4). L'oratore di Mantova s'era lagnato giorni prima dei danni
che le milizie della Maestà Cristianissima recavano allo stato del
Marchese nel loro passaggio (5). Rispose la Signoria esserne spia-
centissiraa, ma « che la non gli vedeva di presenti puoterli far altra
<• provisione se non in lassar transcorrere questo (6) w. Essa accolse
(i) " Demum, si unquam fuistis soUicitus, diligens et curiosus, nunc
* vosmet superabit'S in scrutandis et investigandis ijs quae in prae-
• sentis occurrunt et tractantur „.
(a) Sull'ingresso di Carlo Vili in Italia, v. il doc. pubblicato dal
Neri, Le abbazie degli Stolti in Piemonte nei secoli XV e XV! (estratto
dal Giornale storico della lett, italiana, XL), Torino, Loescher, 1902, p. 32.
(3) Sanuto, op. cit., p. 85; Luzio-Renier, Delle relazioni di Isabella
d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, in questMrcA. XVII, 1890,
P- 393'95« — Arch. stor. Gonz., E. esterni, N. XLIX, n. 3, b. 16 12 (1493-
1494). Beatrice d'Este al marchese di Mantova. Annone, 12 settem-
bre 1494. — Archivio di stato di Milano, Potenze estere, Venezia cit.
Lodovico al Vimercato, Annone, 8 e 11 settembre 1494.
(4) Sanuto, op. e t., p. lor^ loi. — Arch. di stato di Venezia, loc. cit.,
e. 43 t Agli oratori mandati al re di Francia ed in procinto di partir^^
Venezia, 16 novembre 1494.
(5) Arch. stor. Gonz., E. Estemi, N. XLV, n. 3, b. 1434 (1493-94).
Antonio Salimbene. Venezia, 9 ottobre 1494; v. sulle enormità francesi
nell'Italia superiore e centrale Venturi, Relazione dei governatori di
^^igio al duca Ercole I in Ferrara, (1482-99) in Atti e memorie delle
RR, Depulaz, di storia patria per le Provincie Modenesi e Parmensi,
serie 3.», voi. II, 1883, P- 336-37» Matteo Maria Boiardo ad Ercole,
Reggio, 16 ottobre 1494.
(6) Id. Venezia, 12 ottobre 1494.
28o LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
con onori il signore d'Argenton, Filippo de Commines (i), mandato
ambasciatore residente di Francia a Venezia, ne ascoltò l'esposi-
zione, rispondendo in forma che non poteva comprometterla (2). Ed
agli oratori di Firenze e di Mantova, dei quali il primo faceva
presente gl'inconvenienti della calata e l'opera della patria sua per
evitarla (3), ed il secondo, che nuovamente si lagnava di danni
ricevuti, replicò per la seconda volta pazientassero, che pel mo-
mento nulla si poteva fare (4). Essa lasciava credere di adoperarsi
attivamente quale mediatrice tra i re di Francia e di Napoli (5), e
sotto questo colore deputava a fianco del re invasore due dei suoi
principali nobili, Domenico Trevisan e Antonio Loredan (6). Nel
fatto continuava a rimanere in osservazione, sospettosa degli ar-
mamenti turchi, (7) pur ascoltando con piacere le querimonie che
le giungevano non più solo da Mantova, ma dalla stessa Milano.
Lodovico aveva compreso tutta l'entità degli spropositi com-
piuti. Con quella rapidità di decisione che lo segnalava a petto
degli altri uomini del suo tempo, fin dai primi di ottobre aveva
(i) De Cherrier, op. cit., I, 450-51; Delaborde, op. cit,, p. 415. —
Arch. stor. Gonzaga, loc. cit., Venezia, 3 ottobre 1494. * Heri sera gionsc
" qua lo S.re Ambasciatore de la M.t^ christianissima, contra il quale gli
* andò cinquanta de questi Mag.ci Zentilhomini sino a Lucefosina, et
* cussi lo accompagnarono a S.^ Zorzo Maggiore, dove è lo allogia-
" mento suo... „ — Arch. di stato di Milano, loc. cit. Il Vimercato al
Moro, Venezia, 4, 5 e 6 ottobre 1494.
(2) " .... Unde il Ser.rao Principe gli respose bavere inteso de lad-
* venuta li de sua M.^*, et poi dil male suo, dil che ne hebbe dispiacere
* assai. Cussi de limpresa de Napole, che la 111.»"» S."« non gli vole obviar,
" et che a la parte che la MM Christianissima voglia assettar la Italia et
** mettere in Casa li forausciti, che la Ill.ma S."« si rendeva cert."« che sua
** M.tà non haveria facto se non cosa che gli fusse honore ; et cussi il
" predetto ambasciatore tolse licentia da la 111 m» S."», a la quale fece
" intendere che per Tadvenire la seria advisata copiosamente de quanto
* succederà dal canto del S.r« re suo „.
(3) Id. Venezia, 28 ottobre 1494.
(4) Id. Giacomo de Adria. Venezia, 2 ottobre 1494. " .... Infine
" non voglia ciò intender per modo alcuno che se gli habj ad fare alcuna
* provisione, se non tolleransi che il tempo demonstrarà quello se
" bavera ad fare, et questo e quanto se ne è possuto cavare «.
(5) Id. Antonio Salimbene. Venezia, 28 ottobre 1494.
(6) Id. v. sull'invio dei due ambasciatori. Romanin, V^, 49.
(7) Sanuto, p. 124; Malipiero, op. cit, p. 145; De Cherrier, op. cit.
II, 40, V. ancbe Thuasne, D/em-Suì/an, 1892, p. 331-32.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 281
deciso di mandar a vuoto con ogni mezzo, non troppo palese,
l'impresa regia. Oltre al rammarico naturale d'aver procurato un' in-
vasione, le cui ultime conseguenze apparivano pericolose al ducato,
altre legittime e numerose cause egli aveva di sospetto e di alte-
razione col re e coi suoi ministri. Abbiamo già riportato il luogo
d'una lettera regia da Lione assai imperativa. È impossibile che
ricevendola il Moro non abbia chiesto a sé stesso se il re lo con-
siderava alleato o dipendente. Il dubbio solo di un vassallaggio
doveva allarmare l'ambizioso principe. In secondo luogo, due mesi
prima della calata regia, era giunto in Asti il cugino ed erede di
Carlo Vili, Luigi d'Orléans, il futuro Luigi XII, discendente di
quella Valentina Visconti, che, sposa di Luigi I d'Orléans, aveva
portato anche alla casa di Francia i diritti alla successione del du-
cato di Milano (i). Il Moro non era ancora duca di Milano, ma
vedeva prossimo il giorno dell'ascensione, poiché Gian Galeazzo
era ammalato a Pavia, ed egli contava di usurpare il dominio al
bambinello Francesco, figlio dello sventurato marito d'Isabella di
Aragona. Come non allarmarsi del titolo che senza soggezione
alcuna l'Orléans già prendeva di duca di Milano? Infine alcuni
principali consiglieri del re, e specialmente Filippo di Savoja, si-
gnore di Bressa, il futuro duca Filippo II, il Senza terra, nemico
acerrimo del Moro, e la marchesana di Monferrato istigavano
l'Orléans contro Lodovico e consigliavano una diversione delle
truppe francesi sopra Milano (2). 11 re poi, guarito dalla malattia,
voleva visitare le principali città del ducato, ne pretendeva le
chiavi come fosse il sovrano (3), ed insisteva per vedere a Pavia
(i) Delaborde» op. cit, p. 378.
(2) A. Gelli, Recensione all'opera del De Cherrier in Arc/t. storico
ita/.f serie 5.*, voi. XVII, 1872, p. 407, n. i; Delaborde, op. cit cp. 406;
UssEGUo, Bianca di Monferrato, Torino, Roux. 1892, pp. 256-57, e l'osser-
vazione del Gabotto, Lo Stato sabaudo da Amedeo Vili ad Emanuele
Filiberto, voi. Ili, 566, Torino, Roux, 1893. I^ Sanuto, La spedizione^ ecc.,
p. 85 dice che Filippo " era di primi capitano „ — Contra la marchesana
di Monferrato poi era Lodovico esasperato fin dagli ultimi di luglio per
le manifestazioni ostili che continuamente essa faceva. " Havemo deli-
berato , scriveva egli il 27 luglio, * de non patir più simile iniurie
* perchè ne par che cum honor nostro non lo possemo fare „ (Archivio
di Stato di Milano, loc. cit., Lodovico al Vimercato).
(3) Sanuto, op. cit, pp. 671-72; Delaborde, op. cit, pp. 418-19; Luzio-
Renier, Delle relazioni di Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice
282 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
lo sventurato Gian Galeazzo. In una parola, Carlo Vili trattava il
Moro come vassallo, non comprendendo che quella era la via per
renderlo ostile alla Francia. Il vecchio Ferdinando I di Napoli era
stato profeta quando, il 27 dicembre 1493, aveva scritto a Federico,
principe d'Altamura, suo secondogenito e rappresentante a Roma,
di ammonire il papa come « lo pigliare de le guerre è in potestà
« de chi le piglia, Lo lassarsene no, e la Victoria è la più incerta
a cosa che sia inter le humane actione, per le cose diverse fora de
« opinione et repentine de morte et de altri casi che inter lo
« guerreggiare succedono : et se è veduto et vede molto spesso in
« nulla condicione de negoci dali amici et compagni usarse maiore
* fraude, mutatione et tradimenti che in le guerre. Nui » aveva escla-
mato il vecchio re, « ne possemo rendere boni testimoni et pos-
« setene allegare in questa parte et la S.^* soa deve ben guardare
m al testimonio et recordi nostri, perchè simo vecchi et avemo pro-
« vato assai. Et desideramo ad la Soa S.** reposo et tranquillitate:
« non ogne uno però in Italia ha lo desiderio che havemo noi, né
« è contento de la sorte sua come noi simo » (i).
Le preoccupazioni del Moro divennero un allarme, quando
Carlo VIII, il 15 ottobre, visitando Gian Galeazzo, ebbe parole di
conforto verso lo sventurato principe (2). Lodovico aveva seguito
il re sempre dal giorno in cui l'augusto ospite era giunto in Asti,
e solo la paura che l'esercito del re Alfonso, comandato dal duca
di Calabria, gli incuteva, aveva frenato l'antipatia che dalla prima-
vera di quell'anno sentiva per la calata del re. Il duca di Calabria,
Sforza cit., 396. — Carlo VIII volle le chiavi del castella per diffidenza,
pare, ma è credibile anche come manifestazione di superiorità sul du-
cato di Milano.
(i) Trincherà, Codice aragonese, voi. II, par. I, Napoli, 1866, pp. 233-34,
doc. CCLXVI. — Il re Ferdinando aveva spirito acuto e sagace. Una delle
osservazioni più giuste del vecchio sovrano fu la rassomigìiai>?ra da lui
scoperta fra il Moro e Filippo Maria Visconti, nonno materno del tur-
bolento principe. £d infatti ambidue questi principe hanno grande affi-
nità d'indole e di morale. *^ Il duca di Bari „, diceva Ferdinando a
Pietro Alamanni, ^ è della natura fu il duca Galeazzo, ancor peggio,
** che ritrae dal duca Philippo, il quale fu d'animo inquieto, dilettossi di
' cose nuove e il più delle volte ne riusciva con danno e vergogna sua.
* Non fu già così il duca Francesco, suo padre.... ^ V. Desìardims, op. cit., 1,
443.44, Napoli, a gennaio 1493.
(2) Sanuto, op. cit, pp. 671-72.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 283
che erasi accorto forse dei reali sentimenti di Lodovico, ai primi
di settembre aveva mutato il contegno minaccioso dei mesi prece-
denti. Un suo messo, Pietro Antonio de Mercatello, erasi recato
ad Annone coli' intento di rabbonire il Moro. Una terza persona,
forse Ercole d'Este, aveva servito da intermediario. Naturalmente
il Moro, in apparenza almeno, erasi mostrato pieno di sdegno per
i due tentativi di Portovenere e di Rapallo, sebbene riusciti infe-
licemente. Ma aveva fatto dire al Mercatello che era bene oppo-
nessero Alfonso II ed il duca resistenza ad francesi « perchè pre-
M sto sarebbe venuto el tempo de andare alle stantie et per V inver-
1 nata se sarebbe potuto meglio fare la pratica, quale se cercava aU
m lora n, E l'intermediario, quale conclusione, aveva suggerito agli
Aragonesi di « adolcire et non exasperar più le cose et per parlar
« chiaro defenderse da le cose de Francia cum quella galiardeza quale
a potevano, non dimonstrarse haver tolto la guerra contra el sJ Lu-
» dovico, perchè facendolo potevano esser certi chel s. Lu.^® in cor-
« responder, demonstrare et ricognoscer quello che li sarebbe facto
« in la qualità sua et de presente et per lo avenire non mancherebbe
M de fare bono officio cum el Re de Francia et usare de la fede
« grande quale ha cum sua m.** per ridure le cose a bon loco n (i).
Ciò fin dai primi giorni della calata di Carlo Vili. Dopo le in-
novazioni osservate a Vigevano e nelle terre lombarde uno spavento
mal trattenuto albergava nell' animo di Lodovico. E se alle corag-
giose rimostranze dell'ambasciatore fiorentino contro i francesi non
trovò altra risposta che un sorriso vago ed incerto, (2) il suo con-
tegno tradì meglio che le paròle, l'angoscia ed i pensieri cupi della
sua mente. « E per dire a V. Ex. il parere mio » scrisse il sagace
oratore estense Giacomo Trotti ad Ercole I, il 14 ottobre (3), « com-
« prehendo ogni dì meglio chel S. Ludovico se ha tirato a casa et
« ale spalle uno grande fosso et uno grande carico et peso de infi-
u nito numero de francesi insolenti, bestiali et superbi, quanto veruna
H altra natione chio vedessi, ni legesse may ali di mei per forma che
(i) Arch. di Stato di Milano, Potenze estere, Napoli 1494-96. Istru-
zione di ms. Pietro Antonio de Mercatello, mandato al duca di Calabria.
Annone, 7 settembre 1494.
(2) FoucARD, Proposta cit., p. 787-88; Trotti ad Ercole I. Milano,
14 ottobre 1494. Avendo il Trotti ricordato al Moro le lagnanze del
fiorentino, Lodovico * subrise et non disce altro, non ni facendo condo »«
(3) W., p. 789.
284 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
« la me pare cosa verenda e tremebonda a chi considera bene tutto
u quello che potesse accadere, dei quali francesi ogni dì moltiplicha
M il numero et le quantitate che passa de qua dali monti, per forma
m che quando il re de Franza volesse, dubio o chel seria in suo ar-
41 bitrio de dire sic volo, sic iubeo, et di fare male et bene a chi li
« paresse. Et se dicesse dele insolentie che usano in cazare li ho-
u mini di casa sua et batere le brigate loro senza respecto veruno,
^ V. Sub.^* troppo se ne maravigliarebe. Lasso andare chel povero
u Ss Lodovico spende il suo, et per rachatare dinari per diversi
■u modi et vie se fa mirabilmente odioso alli soi soldati et in specie
« a questa citate, la quale sta disperata et pessimamente contenta
« de sua S."* et del governo suo per estorquere dinari da chi ne
u ha et da chi non ne ha n. Ben naturale che in simili circostanze
sia nato in Lodovico il 'pensiero di liberarsi al più presto dell'in-
comodo e prepotente sovrano. Egli accarezzò quindi un piano in-
gegnoso : suggerire al re 1* impresa di Sarzana e Pietrasanta da
togliere ai Fiorentini e restituire a Genova. Egli credeva forti
quelle terre e confidava che le loro mura, in ispecie quelle di Sar-
zana, valessero a trattenere le armi francesi fino ad inoltrato au-
tunno. Così il re disanimato avrebbe rivolto il pensiero al ritomo
oltr'Alpe. Se n'era aperto col Pisani, che aveva lodato l'intento
di rinviare in Francia Carlo Vili. Ma Lodovico, cogliendo la palla
al balzo, aveva pur detto che per riuscire nell'opera eragli ne-
cessaria l'assicurazione che la Signoria veneta l'avrebbe soste-
nuto. E per la prima volta la Serenissima, vedendo che ormai il
perseverare nell'astensione poteva riuscire a suo danno, gli diede
la promessa desiderata: Venezia prese impegno di sostenere Mi-
lano nel nobile intento e concesse facoltà al Pisani di recarsi dove
fosse stato il Moro per comunicargli la notizia e seguirlo entro
tutto lo stato lombardo (i). Di questa savia decisione furono causa
anche le parole di Girolamo Bobadilla, inviato a Venezia di Gar-
(i) Arch. di Stato di Venezia, loc cit., ce. 33 t, Venezia, 9 ot.
tobre I494f dell'oratore a Milano. * . . • . Laudamus autem pnidens re.
* sponsum verbum tunc factum prefatae Ex.ti«^ suadendo et boriando
* ut procuret reditum in Franciani X.n>« M.tì» et sedationem perturbatio-
* num presentium, quod in mana £x.tie suae consistere videbatur, tam ex
* ijs quae saepius eadem pollicita est ad haec proposita^ quam ex conclu-
* sìone f«icta ab illis Dominis Consiliarijs antedìctae M.ti«, asserentìbus,
.. quod ea id factrtt, quod vtlUi III.^^ D. L.""..., Verum, quoniam dixit
A
> •
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 285
cilasso de la Vega, ambasciatore spagnuolo a Roma, per offrire al-
leanza tra la Serenissima ed i sovrani d'Aragona e di Castiglia, Fer-
dinando il Cattolico ed Isabella (i).
Il Moro seguì il re attraverso la Lombardia, quando a Pia-
cenza il 21 ottobre giunse la notizia che il duca Gian Galeazzo era
moribondo. Senza por tempo in mezzo volò a Milano, lasciando
al seguito di Carlo il conte Galeazzo di Sanseverino. Per via seppe
che il nipote era morto. Con prontezza straordinaria si fece gridar
duca, usurpando Io stato a Francesco, bambinello del defunto Gian
Galeazzo (2). Tutto pareva a lui favorevole. Gli Aragonesi, già
sostenitori dello sventurato sposo d'Isabella, minacciati dalle armi
regie, imploravano i suoi favori. Dal re dei Romani aveva strap-
pato, vivente Gian Galeazzo, un'investitura segreta del ducato (3),
che mandò tosto a rinnovare (4), e dal popolo milanese venne ac-
cettato con somma freddezza, ma senza ostilità (5). Infine i principi
" necessarium esse, ut ad hoc nos quoque illam coadiuvemus, volumus
* ut post, convenientem gratiarum actionem prò quotidianis partìcipatio-
* nibus vobis factis, eidem nostris verbis dicatis: Quod paratissimi sumus
** quantum in nobis est prestare omnes favor es nostroSy prò consecutione
* p€tcatioms et sedationis tantopere necessariae sec uri tati Italicae et cHri'
* stianae religionis, cui formidamus aliquid ingens excidium pararì et
* propter ea solliciti sumus extinctionis praesentium novitatum. Igitur
" quanto poterìtis studiosius et efficacius hortabimini Ec.tiam prcnomina-
" tam ad effectualem satisfactionem communis desiderij nostri et iterato
" eidem affirmabitis, Nos in omnem exigentiam promptissime esse factu-
ros prò isto Ex.ro© statu, et specifice prò persona ipsius Ex.tic ea omnia
quae prò statu nostro faceremus : Quoniam omne ipsius Ex.t»« commo-
dum aut Interesse (prout saepius vobis expressimus) nostrum proprium
* existimamus, et prò implenda executione presentis mandati, quam pri-
" mum proficiscemini ad eam reperiendam, ubicumque fuerit manebitisque
" apud Ex.tiMn suam in quocumque loco suae ditionis. Quoniam vero vobis
* notifìcavimus appulsum hinc et primam expositionem M.ci Domini Ar-
* gentoni comunicandam eidem Ex.^«, volumus ut similiter ei legatis re-
* sponsionem nostram, quae his erit implicita, factam oratori praedicto „.
(ij \^, carte 30, Sommario dell'esposizione di Girolamo Bobadilla,
Venezia, ^5 settembre 1494. V. app. doc. I.
(2) Sawuto, pp. 674-75, e tutti gli storici, tra cui Dklaborde, p. 424.
(3) LuNiG, Codex Italiae diplomaticus^ I, Francofurti et Lipsiae, 1725,
^^) Delabordk, p. 425.
(4) Calvi, bianca Maria, p. 71-72.
\ (5) SANirr^, loc. cit.; Magenta, op. cit., II, 463, lettera di Donato
^ ^''cti, oratore mantovano.
a86 LODOVicx) sforza, detto il moro,
vicini, sebbene non lo amassero (i), avevano troppo bisogno di
lui e troppo scetticismo per occuparsi del legittimo erede. Assi*
curatosi lo stato, Lodovico fece ritorno al campo francese che rag-
giunse a Villafranca presso Pontremoli. Ricevette da questo luogo
il giuramento di fedeltà, essendo terra suddita al ducato Icmih
bardo (a), ed attese con desiderio l'assedio di Sarzana, che sperava
rovinoso pel re. Invece i suoi pronostici non s'avverarono. Lungi
dall'essere provveduta, Sarzana per l'incuria del governo fioren-
rentino non aveva mezzi di difesa. S'aggiunse P inqualificabile
condotta di Pietro de' Medici, che, con vile sottomissione recatosi
supplice al campo regio, consegnò al re tutte le piazze di Luni*
giana, Sarzana, Sarzanello e Pietrasanta (3). Se l'odio di Lodovico
per il Medici era già grande, dovette crescere a più doppi in se-
guito a quella malaugurata viltà (4). Ormai il re aveva libero il
(x) La lettera cit. di Giacomo de Adria al marchese di Mantova
(p. 254) colle osservazioni di compianto per Gian Galeazzo e più ancori
per Isabella, sono una prova che anche Francesco Gonzaga non era
molto fautore del nuovo duca di Milano perchè un suo dipendente seri-
vesse a lui in tal forma. Altre lettere poi dell'Adria stesso e di An-
tonio Salimbene dicono che anche la Serenissima era poco favorevole
all'elevazione del Moio» ma avrebbe preferito il figlio di Gian Galeazzo,
v. Arch. stor. Gonz., E. Esterni n. XLV n. 3 b. 1434 cit. Salirnbene al
marchese*. Venezia, 28 ottobre 1494. ^ ^^ successo de Milano se fu ha
** qui generalmente tanto cordoglio corno ho mi; dico de mi, perchè mazor
" non lo pileria haver „. — Giacomo de Adria, lettera cit. del 23 ottobre.
" .... Questa matina quando d. Antonio (Salimbene) andò da la S."*
" haveva avuto la nova, ma alcuna particorità non intese, se non che
** gli parse in lo processo dil suo parlar che la SerJà sua fosse ad ogm
" modo inclynata al figliolo, cioè al duca Francesco, che dio gli ne presti
** gratia, et così ognuno. Nondimeno qua non se ne intende ancora alcuna
" altra cosa de certo „.
(2) Sanuto. op. cit., p. 105.
(3) Guicciardini, op. cit, lib. V, cap. 3., ecc.
(4) Sulla cacciata di Pietro de' Medici, v. Villari, Storia di Còro-
lamo Savonarola e del suo tempo, Firenze, Le Mounier, 1887, ^^" ^*
p. 197 e sgg. ; Perrens, Histoire de Florence , voi. II, Paris, 1889,
p. 69 e sgg. — Pietro, come è noto, si rifugiò dapprima a Venezia,
dopo avere impetrato ed ottenuto il salvacondotto. (V. Arch. di Stato
di Venezia, Capi Consiglio dei Dieci, Lettere busta 7. Venezia, 18 no-
vembre 1494). Prima tuttavia, secondo ebbe poi a dire a Gio. Friii.
Cesco di Sanseverino, conte di Caiazzo, cercò di avere ospitalità a Hi-
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 287
passo neiritalia centrale, ormai la calata francese assumeva agli
occhi di tutti un aspetto più sinistro di quel che fino allora era sem-
brato. U Moro non indugiò più oltre, ed il 6 novembre abbandonò
il re, che ritenendosi certo del trionfo, non gli nascondeva la sua
diffidenza ed antipatia (i). Il 13 novembre Lodovico rientrava a
Milano in buon punto : la Serenissima dopo tante esitazioni, faceva
con lui dimostrazione pubblica di amicizia.
Da vari mesi, secondo abbiamo narrato, Venezia taceva innanzi
alle parole e domande interessate del principe vicino. Mai essa col
Moro era uscita dai confini della stretta cortesia (2). Quando non-
dimeno la fortuna del re invasore superò le previsioni della Si-
gnoria, quando le ostilità del re Alfonso, che toglieva Bari a Lo-
dovico (3), più non valsero a trattenere la paura del Moro, che
temeva il monarca francese, suo alleato, più degli Aragonesi, suoi
nemici, Venezia, superando l'avversione che le ispirava lo Sforza
per l'usurpazione di fresco commessa (4), sentì la necessità urgente
lano, ma Lodovico sdegnatissimo Io respinse [Arch. di Stato di Milano,
Pottnsie estere, Napoli^ 1494-96. Il conte di Caiazzo al Moro. Napoli,
14 marzo 1495]. Pietro allora, dopo breve permanenza a Venezia, aveva
raggiunto Carlo Vili ed era rimasto nel campo francese sino alla presa
di Napoli. Colà poi in visita fatta al Caiazzo ricordò l'antica amicizia
del duca Francesco I * col bisavo suo Cosimo, supplicando che a tanta
" amicitia et devotione de la casa sua non doveriano già esser in obli-
• viene alla Ex. V. ^, scrisse il Caiazzo, " de la quale el vole essere ser-
vitor „ e se talora non si è comportato secondo la volontà del Moro,
• gli ne dole et dice volerse rebatizar pregandome che io gli voglia
■ essere compar et mezo a questo novo baptesimo „.
(i) Sanuto, op. cit., Joc. cit. ; Delaborde, op. cir., pp. 437-38,
(2) Arch. di Stato di Milano, loc. cU. 11 Vimercato al Moro. Ve-
nezia, I settembre 1494.
(3) Id. Venezia, 7 ottobre 1494, — Il tesoriere Elia da Sartirana fu
spogliato dal re Alfonso anche dei suoi oggetti personali, avendolo il
re espulso da Bari senza dargli tempo di portar seco le cose sue.
Lodovico scrisse poi al re volesse almeno restituire al povero tesoriere
quello che gli apparteneva. V. id. Potenze estere, Napoli, loc. cit, Milano,
4 dicembre 1494.
(4) Arch. stor. Gonz., £". esterni, n. XLV, n. 3 b. 1434. Giacomo de
Adria. Venezia, 23 ottobre 1494. • Questa matina, quando d. Antonio
• (Salimbene) andò da la S.n», haveva havuto la nova, ma alcuna parti-
■ cularìtà non intese, se non che gli parse in lo processo del suo parlar
• che la Scr.t* sua fosse ad ogni modo inclynata al figliolo, cioè al duca
• Francesco, che dio gli ne presti gratia et così ognuno ^
288 LODOVICO SFCHtZA, DETTO IL MOKO,
di abbandonare il suo riserbo. Un accordo fra i due stati innand
allo straniero, od almeno lo spezzare i vincoli già deboli che strin-
gevano Milano a Carlo Vili, era imposto dalle mutate condizioiii
della penisola. Non pensava ancora la Repubblica di rompere guerra
al re francese, ma scorgeva farsi di giorno in giorno più evidente
la possibilità d' un conflitto, anche mentre essa ed il re francese
usavansi cortesie reciproche. Giorgio Pisani in Asti aveva fatto
visita al re (i) ed un ambasciatore francese, Filippo de Coramines,
signore di Argenton, risiedeva a Venezia. Ma le aperture dd de
Commines per qualche trattato che guarentisse la conquista di Na-
poli (2) e la domanda d'un imprestito pecuniario (3) erano state
respinte dalla Signoria. Né l'invio di Domenico Trevisan ed An-
tonio Loredan al fianco di Carlo Vili (4), dovevasi considerare
come prova di amicizia, poiché sotto l'apparenza di onore e ca>
tesia, si nascondeva nell'ambasciata lo scopo di sorv^liare le mosse
dell'invasore, e si copriva d'un velo innocente l'invio contemporaneo
d'un' altra legazione presso il nuovo duca di Milano. Venezia de-
siderava incuorare il Moro nelle intenzioni ostili contro la Franda
e, giudicando opportuno qualche legame, se non immediato, almeno
prossimo, collo stato vicino, voleva mostrare a Lodovico ch'essa
accoglieva la proposta d'alleanza fattale giorni prima dall'oratore
sforzesco, Taddeo Vimercato (5).
IV.
11 21 novembre l'ambasciata veneta composta di due abili di-
plomatici, Sebastiano Badoer, cav. e savio del Consiglio, e Bene-
(i) Sanuto, op. cit., p. 89.
(2) Arch. di Stato di Milano, Potenze estere, Venezia, loc. cit. Il
Vimercato a Lodovico. Venezia 7 ottobre 1494.
(3) Sanuto, op. cit., pp. lOO-ZOI.
(4) RoMANiN, op. cit, V, 49; Delaborde, op. cit., p. 481 ; Dejarddcs,
op. cit., I, 530. Soderini a Pietro de' Medici. Venezia. 22 ottobre 1494.
Arch. di Stato di Venezia, loc. cit., ce. 41 r. 43. Commissione ai due am-
basciatori. Venezia, 13 novembre 1494. V. app. doc. II. Arch. di Stato
di Milano, loc. cit. Venezia, 28 e 31 ottobre 1494. * • • • Ambidui digni
* homini et de grande autorità „. Archivio stor. Gonz. , loc cit Vene-
zia, aS ottobre 1494.
(5) Arch. di Stato di Venezia, loc. cit., ce. 47. Commissione agli
oratori eletti presso il duca di Milano. V. app. doc. II.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 289
detto Trevisan, avogador del comune, e di un segretario, Giorgio
Negro, lasciò Venezia (i). Per Padova (2), Vicenza (3), Verona (4),
e Brescia (5), giunse il 30 novembre a Marignano (6), dove il
Moro fece incontrare gli oratori da quattro consiglieri dello stato,
ed egli stesso volle attenderli il i dicembre alle porte di Milano,
accompagnato da tutta la corte e dagli ambasciatori di Firenze,
Ferrara, Bologna e Siena, accoglienza nuova a semplici ambascia-
tori. Anzi il Moro volle cedere persino il passo al Badoer e non
permise ad alcuno dei due ambasciatori di smontare quando gli fu-
rono giunti innanzi. A Vicenza gli oratori avevano inteso parole
assai gravi dal vescovo della città, Battista Zeno, cardinale del ti-
tolo di S. Maria in Porticu, Il prelato, ben intuendo l'importanza
dell'ambasciata, aveva detto: « Per el juditio mio tale quale le »
doveva la Signoria « sopra tutto assegurar cum ogni mezo et modo
ti possibile il S.*»*" Ducha di Millan perchè havendo un bel stado in
a Italia, come Iha, sei sera zerto poterlo goder quietamente Ihaverà
« causa de contentarse. . . El fa per tuti che ad ogni modo questo
« re torni adrietto, se ben se gè dovese fare un ponte d'oro et farli
« tute le chareze del mondo. Et a questo efifecto Io tengo larga-
« gamente che una bona liga Zeneral che se facesse conferreria gran-
ii demente, et seria causa de ogni bene » I due oratori, intese le
(i) Dell'invio parlano il Sanuto, op. cir., p. 123, il Priuu, op. cit. col. 9,
11 primo dice del Badoer: * che benissimo si portò, ita che reduxe
* ci duca a far quello volse la Signoria „ ; Il Priuli conosce che gli am-
' basciatori furono etiam mandati per contrattare qualche provvedi-
'' mento circa a queste cose francesi „ e così infatti suona V istruzione.
(2) Codice Marciano, loc. cit, ce. 1. Badoer e Trevisan al doge.
Padova, 22 novembre 1494 (lettere 2).
(3) Id. Vicenza, 24 novembre 1494.
(4) Id. e. I t. Verona, 26 novembre 1494.
(5) Id. e. 2. Brescia, 28 novembre 1496.
(6) Id. e. 2. Milano, i dicembre 1494. V. anche la descrizione del-
l'ingresso da una lettera di Lodovico in Arch. di Stato di Milano, loc.
cit, Lodovico al Vimercato. Milano, 3 dicembre 1494; Il Sanuto, op. cit.,
pp. 122-23 dice gli oratori entrati a Milano il 7 dicembre. Certo quel 7 è
un errore di stampa per i, vera data dell* ingresso. Assevera poi che
vennero alloggiati in castello, e che il duca fece presentare loro le chiavi
del medesimo. Ignoro dove il celebre cronista abbia tratto queste notizie,
di cui non fanno parola i due oratori nella loro lettera; il Priuli, col. 9,
scrive solo che gli oratori ** furono con grandissimi onori accettati „.
ago LODOVICO sforza, detto il moro,.
giuste parole dello Zeno, risposero in forma che lasciava trapelare
il vero scopo della loro missione, •■ Nui S.'"" principe, udissemo at-
tentamente ogni suo discorso », cosi scrissero al Doge, « et respon-
dendoli per generalta li dechiarìssìmo ampiamente la molestia et
cordoglio sentiva la 111.™» S "» de tale turbolentie, affermandoli che
per quanto è in lei, eia non ha may manchato, né è per manchar
cum tutti li spiriti et sentimenti sol metter c^i opera ala sedation
de quelli per el ben universale ■ (i).
Il 3 dicembre, accompagnati dal Pisani e dai vescovi di Como
e di Piacenza, ì due oratori ebbero con molta solennità l'udienza
pubblica da Lodovico (2). Naturalmente in essa non vi furono ao
cenni politici da nessuna delle pani, ma l'espansione che dimostrò
il Moro preparò l'animo degli ambasciatori per l'udienza segreta.
Cosi si proponevano « prò virili in omnibus exequir studiose et
diligentemente n quanto avevano in commissione (3).
Milano era in quei giorni non solo fra le più sfarzose città
del mondo (4), ma anche un centro politico e di notizie per tutta
l'Europa. Di più il duca Lodovico aveva bisogno dell'appoggio
veneto per consolidare la recente e mal acquistata signoria e per
difendersi dall' ambizione del duca d' Orléans, che lo inquietava
molto e forse l' avrebbe turbato maggiormente ancora, s' egli
avesse saputo che fin dai primi di ottobre ad aperture segrete di
Pietro de' Med ci, mentre egli accompagnava il re attraverso la
(1) Cod. cit., le», cit., da Vicenza 24 novembre.
(a) Ecco la credenziale del doge. V. Arch. dì Stato dì Milano, loc.
t. (pergantena). * Ilustrissime et Ex."" Frater nosier Carissime. Mìt-
timus ad lll.o"" D. vestram Nobiles et dilectissìmos cjves nostros Sc-
bastianum Baduarium equilem et Benedictum Trivisannra solemoes
oratores nostros, Quibus commìsimus ut nonnulla Ex-iì** V. nosu^
nomine referant. Placeat igitur eidem verbis praefatorum oratomm no-
strorum fìdem Amplissimam adlibere,Ac siNos ipsicoramloqueremnr.
Datae in nostro ducali palailo Die XX.w novembris Indìclione Xìii**
M'CCCCLXXXX Quarto.
* AuGUSTiNus Barbadico, Dei Grati a
* GioRcaus NiSRo, s*cnL ,
«nUire 1494.
7, dice la corte dd Moro * la pia
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 29I
Lombardia, l'Orléans aveva dichiarato che con qualche partito ono-
revole da offrirsi al re, si sarebbe adoperato « per dare la picchiata
al sig. Lodovico e rivolgerli la piena addosso » (i). Il Moro non si
manifestava apertamente contrario al Francesi; comunicava tuttavia
le notizie che gli pervenivano dalla corte regia agli oratori ve-
neti (2). Avuta poi udienza segreta costoro fecero presente a Lo-
dovico le conseguenze della calata, i perìcoli che correvano Milano
e Venezia, e l'invitarono ad esprimere nettamente il pensier suo (3).
Voleva la Signoria trarre da lui qualche dichiarazione categorica
intomo ai metodi coi quali potevasi ovviare ai pericoli di quei
giorni (4). Il Moro ascoltò l'apertura dei due diplomatici, fatta con
grande abilità, gioioso della cresciuta importanza sua. Egli vedeva
la Serenissima pendere dal suo labbro e nulla più agognava
quell'ambizioso che di apparire principale attore in ogni combina-
zione politica. Del resto mai gli interessi di Milano e di Venezia
erano apparsi così uguali, mai ad un duca milanese erasi offerta
un'occasione così spontanea per iniziare legami col primo stato della
penisola, col nemico temuto per tanto tempo. Rispose egli perciò
di avere da lungo tempo preveduto le conseguenze della calata
francese, anzi d'essere stato il primo a metterli in luce coll'ambasciata
che la consorte Beatrice aveva guidato a Venezia (5). Non essere
stato creduto, e quindi trovarsi ora le cose a tanta estremità. Ben
(i) Desjardins, I, 573-74. Giambattista Ridol fi a Pietro de' Medici
Alessandria, 3 ottobre 1494.
(2) Cod, cìu, e. 3 t. Milano, 3 dicembre 1494. Questa lettera è stata
in gran gran parte pubblicata dal Romanin, op. cit., V, 50 e sgg. Dal
RoMAKiN trassero il De Cherrier, II, 56^ ed il Delaborde, pp. 531-32.
(3) Id. lettera cit.
(4) Arch. di Stato di Venezia, loc. cit, ce. 48. La Signoria al Ba*
doer, al Trevisan ed al Pisani. Venezia, 29 novembre 1494. Lodate la
buona intenzione del duca di rimuovere i torbidi italiani. Nel che noi
pure ci adopereremo. * Et demum iuxta formam commissionis datae
* vobis duobus oratoribus novissime missis, hortabimini cum omni efB-
* catia prefatam ex.twra ut absque ulla reservatione exprimat confì-
' dentissime ea que videantur accommodata ad dictum effectum, quo-
' niam interponi non posset aHqua ulterior mora aut dilatio, absque
* augumento pertculi imminentis Italiae et Christianae religionis „.
(5) Sull'ambasciata di Beatrice a Venezia, v. Romanin, V, 19 e sgg.;
Delaborde, p. 269 e specialmente ì documenti editi dal Molmcmti, Storia
di Venezia nella vita privata ^ Torino, Roux & Favale, 1880, p. 604-11.
Arch Stor. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXVI. io
292 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
conoscere egli il re francese e poterne ampiamente discorrere, aven-
dolo praticato a lungo. « Costui è zovene » disse, « et di poco
M governo et non ha alcuna forma né modo de conseglio. Li sci as-
u sistenti sono divisi in doe parte, una è governata da Filippo mon
u signor (i) et seguaci, mei inimici, et 1 altra da monsignor da San
u Mallo (2), e Beuchario (3), e compagni, oppositissimi in ogni opi-
u nione. E pur che uno contrarj a laltro, et venzi la opinion soa,
u non hano alcun respeto al beneficio del re, attendono a manzar
u danari e non curano daltro. 1 qual tuti insieme non fariano
u mezo homo savio ». E narrava d'aver assistito in Asti ad una se-
duta del Consiglio regio, e che, mentre si discuteva, uno giocava,
Taltro faceva colazione, il terzo s* occupava d' altra cosa; infine
nessuno teneva contegno adatto, né comprendeva la responsa-
bilità ed il dover suo. Il re, per consiglio di Tizio ordinava lettoc
in una forma, ma se Caio proponeva cosa opposta, revocava le
prime lettere e ne mutava integralmente il contenuto. « Le supcr-
u bìssimo et ambitiosissimo quanto imaginar se pò, et non stima
« alcuno », osservava il Moro, sfogando il risentimento che covava
da due mesi nell'animo suo. Nessuna deferenza aveva avuto per
lui il re. u Qualche fiata che eramo reduti insieme el mi lassava
u come una bestia solo in camera, et luy cum li altri andava a
u far collatione », Carlo Vili aveva seco 1500 lance e 3 o 4000 sviz-
zeri : danari pochissimi, soli 34,000 scudi, e nella sua coite mancava
ogni amministrazione. Ingordigia somma nei ministri, spreco del
denaro e nessun conto. Solo di continuo era pregato lui Lodovico
di soccorsi pecuniari, senza gli si dessero assicurazioni di rimborso.
Il Moro ricordò infine di avere indotto il re francese all' assedio
di Sarzana, confidando fosse buon mezzo per impedire l'avanzata
dell'invasore. La debolezza della difesa, per quanto fosse la posi-
zione fortissima, mandò in fumo tutto il suo piano. Presa Sarzana
e decisa T avanzata nell' interno dell'Italia centrale era desiderio
del re che Lodovico lo seguisse. Al suo rifiuto, chiese almeno lo
consigliasse sulle opere convenienti. « Io li dissi « continuò il Moro,
certo non mentendo: « sacra Maestà, cavate Piero de' Medici da
u la tyranide de Fiorenza, et redusete quella terra in libertà. Non
(i) Filippo di Savoia, signore di Bressa, poi duca di Savoia (I496-97).
(2) Guglielmo Bri^onnet, vescovo di Saint-Malo.
(3) Stefano de Vesc, signore di Beaucaire.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 293
u fate molestia alcuna né a quella terra, né ad altre, se ve volete
« conservar amico de li potentati et Segnori de Italia ». Ora questi
consigli aveva il re sprezzato, negando la consegna promessa di
Sarzana ai Genovesi, e poi commettendo ogni sorta di violazioni
e di saccheggi durante il suo viaggio. « Pensate », proseguì Lodovico
« come se potemo fidar de lui, Iha fatto tante crudeltà et inso-
« lentie per tutti i luogi nostri dove le stato, che non havemo visto
« Ihora de penzerlo fuor de nostri confini. 1 sono mala zente, et é da
u far el tuto per non li haver vicini ». Nulla desiderar egli di meglio
che sbarazzare T Italia da quel re, e poiché la Serenissima lo
pregava di confidenza e di sincerità, egli non esitava a dire che
già aveva fatto il possibile perché la spedizione francese non riu-
scisse. La flotta genovese, sulla quale faceva gran conto il re, per
suo ordine veniva disarmata, e così il re Alfonso II, libero dalle
preoccupazioni per via di mare, poteva attendere alla difesa ter-
restre. Le genti sue, che in Romagna unite airesercito francese di
Gilberto di Montpensier avevano fronteggiato il duca di Calabria^
ora erano state richiamate in Lombardia. Così il duca di Calabria
forse poteva ripiegare verso T Italia meridionale ed unire le forze
a quelle del padre. Infine sue lettere erano andate a Roma per
incuorare il papa a*, mantenersi legato col re Alfonso ed egli
aveva fatto il possibile per riconciliare il fratel suo, il card. Asca-
nio Sforza, vicecancelliere della Chiesa, con Sua Santità. Innanzi
al comune nemico tutte le questioni particolari dover scomparire.
I Colonna d'accordo col cardinale Ascanio fino a quei giorni ave-
vano tenuto la campagna contro il papa: essere da luì stato di-
sposto perchè Ascanio facesse sospendere le ostilità. Infine con
nunzio segreto aver confortato il re Alfonso a resistere due mesi
soli, convinto che per maggior tempo Carlo Vili non sarebbe rimasto
nella penisola. Ed asseriva in ultimo di aver fatto intendere al re
francese che non avrebbe tollerato alterazione al nuovo governo
fiorentino dopo la cacciata di Pietro de' Medici, e di aver pure
informato il re dei Romani d'ogni cosa con inviti a mandare nuovi
nunzi presso il re francese, i quali prima ricevessero l'imbeccata
a Milano. « Io so bene », esclamava il Moro, « quelo lì ho a
dir ». Essere certo che Massimiliano avrebbe seguito il suo con-
siglio. Dunque innanzi a tutti questi fatti la Signoria volesse
esprimere chiaramente le sue intenzioni, com'egli aveva fatto. « Et
a94 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
« venete cum ad a laperta », conchiudeva, « perchè, a dir verocum
« le Mfi^ vostre, Io non ho possuto haver fino a hora da qudla
« S.ri» 111."» salvo che io son prudente e savio ».
Lodovico desiderava cosa troppo insolita! Non era uso ddla
Serenissima aprirsi con altri potentati, specialmente nelle circo-
stanze politiche oscure. La vicinanza deiresercito francese airt
talia superiore suggeriva a Venezia il massimo riserbo. Quindi i
tre oratori si profusero bensì nelle più ampie lodi verso ranimo
eletto (I) del Moro, ma circa le intenzioni della Signoria dissero
solamente che niuno più di Venezia nutriva fiducia in Lodovico
e che nel caso in questione egli solo, come profondo conosdtoit
dei francesi e del loro re, poteva manifestare un' opinione degna
di ascolto. Lodovico osservò allora come il re si trovasse tia
Firenze e Siena, che in questa, città imperiale, era possibile i»
pedirgli l'ingresso. Averne egli scritto a Galeazzo di Sanseverioo^
che accompagnava il re, protestando, come già per Firenze, che non
avrebbe tollerato innovazioni su terre imperiali. Restava la gmve
questione di Roma. Le inclinazioni pontificie non erano dubbit.
Alessandro per interesse politico e megho ancora, famigliare, eia
più che mai inclinato a favore dei Napoletani (i). Ciò concordata
bene col piano del Moro e coi sentimenti gallofobi della Signoiia
veneta. Lodovico proponeva si invitasse da parte sua e della Re-
pubblica il re francese ad evitare ogni ostilità contro il pontefice.
« Et... sei dice andar a Roma come amico, non è conveniente »
esclamava u che uno amico vadi a casa de laltro contra soa volontà.
« Sei dice voler andar per reformar la chiesia, questo non aspecta
« a luy; perchè a dirlo cuni le M.^'« vostre, Iha più bisogno luj de
« reformatione eh a de ref ormar altri. Et pensate come la chiesia de
u Dio staria bene, se per custui la fusse reforraata! i» (2).
Ma Lodovico non diceva tutto agli ambasciatori. Egli, se nu-
(i) Il Matarazzo scrive che se Alessandro era fautore degli Ai»
gonesi, durante la calata del re " non era certo cum quale lui avesse
intelligentia „ v. Fabrktti, Cronaca della città di Perugia dal 149M ^
IS03 di Francesco Mataraszo detto Maiuransio in Arch. storico itaBtHO,
XVI, parte 2.*, 1851, p. io, cioè se con Alfonso li o con Cario VUL
Il pubblico certo non pensava che Alessandro, come avvenne, serbasse
intatta fede agli Aragonesi.
(2) Lett. cit. del 3 dicembre.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 295
triva realmente sdegno contro il re di Francia, giocava, sembra, a
partita doppia. Carlo Vili, dopo l'indegna condotta di Pietro de* Me-
dici, lungi dairabbandonare alla sua sorte quell'uomo che gli era
stato sempre ostile ed aveva favorito gli Aragonesi, come Lorenzo
suo padre, lo proteggeva (i). È facile immaginare il dispetto di
Lodovico, il quale aveva al re consigliato l'espulsione di Pietro da
Firenze. Eppure il nuovo duca di Milano, mentre si sfogava cogli
oratori veneziani, desideroso di non inimicarsi il re, ma solo di
ottenere da Carlo Vili un trattamento più deferente, ordinò al Vimer-
cato di aprirsi col Commines. « Dite al s.*'« d'Argenton », scriveva,
« che da la m. r. noi dapoi che la se partite da Sarzana non ha-
M biamo mai havuto participatione alcuna de cosa quale habia deli-
u berato fare, et non solo non ha facto quello che la disse de fare
« cioè che Intendevano sempre li consilij suj, et sequire li ricordi
« nostri nel proceder inante alla Impresa, come anche pareva conve-
(i) Ascanio Sforza, per quanto legato alla parte francese, appena
ebbe inteso la viltà di Pietro col re, scrìsse al fratello raccomandan-
dogli di stare sull'avvisato, che Pietro aveva fautori presso Carlo VIII,
ed espresse il rammarico che Lodovico non fosse rimasto col re per
bilanciare ed annullare l'azione di coloro, v. Arch. di Stato di Milano,
Potenze estere, Roma. Il cardinale Ascanio Sforza a Lodovico. Marino,
16 novembre 1494 (cifrata). L'abboccamento del re con Pietro de' Me-
dici a Sarzana è cosa grave per le espressioni usate dal re. Stia Lo-
dovico all'erta, perchè Pietro ha un amico potente nel Saint-Malo, e
quindi " dubito, ha vendo Petro fautori in quella corte, che a qualche
* tempo non suscitasse in modo che havesse a portare poco fructo alla
■ Ex.tia V. et cose sue. La qual prego non se lassi vincere da le sub-
* missione de petro di medici, perche sono facte per vera forza e ne-
* cessità, e benché la ex. v. stia de bono animo de Chr.m» MA sua
" verso quella et me conforti a fare el medesimo, nondimeno a me non
* livrano mollo de piacere questi andamenti y et sanarne piaciuto molto ,
" veduti epsi andamenti, quando fusse stato possibille, che la ex. v. non
** avesse abandonato la persona del Chr.mo re, maxime havendolene
" essa facto instantia, perchè non ha da credere con la presentia de
* V. Ex. facesse se non quanto piacesse a quella, et cusì la S. V. saria
* guida et patrone del tuio et li suoi ministri per tutti li rispetti non
*• presumeriano meter boca a cosa dispiacese alla ex. v. Tamen essendo
'^ stato necessitata laudata sua a Milano, piacerne che mis. Galleazzo
* seguiti la M.tà sua, et che habia promiso non far cosa alcuna senza
** saputa sua. „ — Circa l'amicizia di Pietro cogli Aragonesi, v. anche
una lettera di Alfonso II in Barone, Notizie storiche, ecc., p. 201-2.
296 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
« niente, essendosi pressi nel loco dovi siamo per servire la M.^ sua.
u Ma havendo deliberato remetter Petro In fiorenza et essendoli facto
u Intender per Ms. Galeazo quanto questo era fora del proposto et
u bisogno de s. m., sì perchè petro era sempre stato duro adversario
u de la m. sua et nostro, si anche perchè la dtà ne prehenderìa
« gran alteratione, ha dimostrato fare poco conto de questi riooidi
u et non conservar memoria de beneficio alcuno quale li haMamo
u facto; la quale cosa direte che ci è parso fare Intender ad epso
u mons.y perchel sapia che tante cose quante havemo facto inlK-
u neficio de la m. r. ce pocho amorevolmente corresposto ». Mala
doppiezza si svela nella poscritta. « Mr. Thadeo i», continuava Lo-
dovico, u quando havereti facto intender quello che ne le lettere
« se contane a Mons/ de Argentone, sarà bene che comò da voi K
u subungate: Mons.^* Non pare za chel sij bene che la M.'' si goveny
M in questo modo cum el s. mio: perchè quando mai non li fosse d
u respecto che senza risguardo de alcuna altra amicicia si è dato
u tutto alla M.^^ sua per servirla, Del che ne doverìa esser ben re-
u cognosciuto, pare che anche epsa M.^^ consideri pocho el Caso
« suo, trovandosi in el mezo de italia, né havendo amidda Dda
u quale si possa bene fidare, se non de quella de epso s.** mio^
u laquale è pur cosa a che el s. re doverìa fare bona co^sid^
« ratione » (i). E vero che dall'avvertimento suddetto traspariva an-
che una minaccia velata, ma questa appunto era fuor di luogo,
dopo le aperture colla Repubblica veneta, perchè metteva in guardia
il re. Una sola giustificazione potrebbe concedersi a Lodovico,
quando il movente della sua condotta, fosse stato, come non è im-
possibile, il timore di pericoli pel fratel suo, il cardinale Ascania
Le condizioni romane erano veramente assai diffìcili, e Lo-
dovico nel suo lungo discorso agli ambasciatori veneti non aveva
svelato gl'intrighi del fratello. Son noti il contegno dispotico di
Ascanio col pontefice ed i lunghi negoziati e le ostilità durante la
primavera e Testate del 1494. Le pretese di Ascanio (2), le pra-
tiche sue e di Lodovico col re di Francia, che Alessandro credeva
maggiori forse di quel che erano in realtà, l'ignoranza in cui a
Roma il pubblico viveva dei sentimenti sforzeschi dopo Tarrivo de
(i) Id. Potenze estere, Venezia, Lodovico al Vimercato. Vigevano,
27 novembre 1494.
(2) Pastor, op. ci.t., Ili, 287.
• E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 297
•
l'invasore ad Asti, avevano inasprito molto il pontefice, che, fedele
al re Alfonso (i), vedeva con sdegno vivissimo la calata del re (2).
Alessandro tuttavia, quando le armi francesi s'avvicinarono, mentre
l'esercito napoletano si ritirava, temendo della sorte sua e di Roma,
s'umiliò a trattare con Ascanio, apertamente ribelle. Era Ascanio
infatti il solo cardinale che potesse sull'animo regio, sia come
fratello del duca di Milano, sia per l'autorità ed il forte suo par
tito a Roma, ed Alessandro VI sperava evitare l'ingresso dell'in-
vasore nella sua città col prestigio del turbolento prelato. Al car-
dinale Bernardino Lonato il Papa colle lacrime agli occhi aveva
aperto l'animo suo, ed il Lonato col cardinale Federico di Sanse-
verino era andato presso Ascanio per invitarlo ad una mediazione
col re (3). Ascanio il 2 dicembre, dopo le parole dei cardinali
a lui ligi, fece ritomo a Roma, ed il Sanseverino venne mandato
al re con proposte di accordo (4). Alessandro apparve sollevato, si
profuse con Ascanio in ringraziamenti « affirmando che ne li so
« bisogni et da lui (Ascanio) et dal Sig.®»" Duca suo fradello era sta
« sempre sovenuto ». 11 Sanseverino non doveva accondiscendere
che il re entrasse a Roma se non colla forma degli altri re ed
imperatori della cristianità, cioè senza armi. Se il re voleva par-
lare con S. Santità, questa con tutti i cardinali sarebbe uscita
da Roma recandosi al luogo dell' abboccamento. Ma il re, nono-
stante che il Moro, sollecitamente informato della missione, rincal-
zasse le domande del Sanseverino (5), rifiutò di conchiudere trat-
(i) Id. op. cit, p. 294.
(2) Arch. di Stato di Milano, loc. cit. Il Taverna a Lodovico. Roma^
21 agosto 1494. Il papa nell'ultimo Concistoro " usò parole assai cole-
" riche, dicendo in spetie che questa saria la ruina de Italia et de la
* Christianità, la quale se implicharia tutta in questa guerra, et li infedeli
' veneriano in Italia, et che la non era per destituire il re Afonso, né li
" rnanchariano ad li altri grandi subsidij facendo molto il galiardo. „
(3) Codice cit.. ce. 9-10. Dispaccio dei tre oratori da Milano, 5 e 6 di-
cembre 1494. ' . . . . altramente li seria necessario prehender partito et
* condurla cum si Gien {Gemme, fratello di Baiazet 11^ sultano dei Turchi)
" sultan ia luogo che forsi poi a molti rencresseria. n Queste parole ma-
nifestano la disperazione del pontefice in quei giorni in cui la celebre
Giulia e Girolama Farnese ed Adriana de Mila, nipote sua, erano state
prese dai francesi.
(4) w-
(5) Id. Dispacci del 6 e 15 dicembre.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 299
un nome infame, in quei frangenti abbia, solo fra i potentati italiani
mostrato nobutà d'animo e fermezza di propositi (i). La colpa spetta
in parte aJa iatalità, ma specialmente al duca di Milano, al fratel
suo ed alla repubblica di S. Marco, che tennero il pontefice al-
roscuro sui loro reali sentimenti Ripeto fu una sventura, perchè
mai Lodovico come in quei frangenti aveva a Milano manifestato
in forma sincera sentimenti antifrancesi. Il 4 dicembre, colpito da
una lettera di Galeazzo di Sanseverino da Firenze, scritta il 28 no-
vembre, dove si lamentavano i disordini commessi dai francesi nel
partire da quella città, era andato in persona al domicilio dei tre
oratori, ed aveva detto senza esitare: « lo son de opinione che
« quella 111."*» S."" Iterato conforti cum ogni efficatia et saldeza la
" SanJà del papa a star constante et fermo nel suo proposito, perchè
« anchor io Iho fatto in bona forma et mandatoli Anzolo da Fiorenza
« a posta yf. Avere il papa espresso buoni sentimenti a suo riguardo
con numerose lodi, perchè Venezia non aveva nascosto a S, San-
tità le ottime sue intenzioni ed essersi Alessandro adoperato col
re Alfonso in uffici amichevoli (2). Il duca di Calabria poi, aggiunse
Lodovico, per mostrare che ogni intenzione ostile era venuta meno,
voleva mandare condoglianze per la morte di Gian Galeazzo e
congratulazioni per l'acquisito ducato (3), e lo stesso re Alfonso
appariva di uguali sentimenti (4). Ma occorreva impedire l'ingresso
di Carlo Vili a Roma ed era bene che gli ambasciatori veneti, i quali
seguivano Carlo Vili, facessero noto al re il malcontento che la
Signoria avrebbe provato di tal cosa. Dal canto suo Lodovico
prometteva di imporre ad Ascanio amicizia ed ossequenza verso
il papa (5). Galeazzo di Sanseverino, dopo un mese di perma-
nenza al seguito di Carlo Vili, chiese a questo licenza per spez-
zare cosi ogni vincolo tra Carlo e Lodovico (6).
(i) Cod. cit., e. 8, Milano» 4 dicembre 1494.
(2) Id. L'ultima parte del dispaccio fu pubblicata dal Romanin, op. cit^
(3) Arch. sto r. Gonz., E. esterni^ n. XXV, n. 3. b. 850. Giorgio Bro-
gnolo al marchese di Mantova. Roma, 6 dicembre 1494.
(4) Cod, cit., ce, 8 t., dispaccio cit.
(5) Id. Dispaccio cit. del 6 dicembre e e. 11, dispaccio del 7 dicembre.
(6) Arch. di Stato di Venezia, loc. cit, e. 50. All'oratore a • orna,
Venezia, 6 dicembre 1494. " . . . . ut ipsa M.t«8 ncque Romam, ncque
• ad loca Ecclcsiae se confcrat, aut mittat copias suos absquc con-
■ sensu B.nis antedictc nobis confederate 1,.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 30I
di non aver accolto con maggior entusiasmo l'offerta che Girolamo
Bobadillay inviato dell'ambasciatore spagnuolo a Roma, Garcilasso
de la Vega, avevagli fatto sin dal 25 settembre, d' un' alleanza
coi sovrani di Castiglia e d'Aragona (i). Se essa avesse senz'altro
accolto r offerta spagnuola e le proposte che nel dicembre Lodo-
vico il Moro pure le rivolgeva, e fatto dimostrazione pubblica
dei suoi sentimenti, il re non avrebbe osato forse avanzarsi oltre
la Toscana, ed essendo numerosi nell'esercito stesso ed in Francia
gli avversi alla spedizione, si sarebbe probabilmente ritirato di
nuovo nel suo regno. Le dimostrazioni di cortesia, per quanto
fredde, che la Signoria usò col re, l'apparente noncuranza di quel
che avveniva nella penisola fecero credere che Venezia non nu-
trisse interesse per le sciagure comuni. Essa quando Carlo Vili
la pregava di consiglio, ripeteva essere bene far pace ed evitare
i sospetti del Turco, che poteva approfittare delle dissenzioni
cristiane per invadere la penisola (2). Ma la neutralità e le parole
blande in quei giorni erano un vero delitto. Alessandro VI dal
canto suo non prestò fede alla Repubblica, continuò a reputare
nemici Ascanio e Lodovico, e, timoroso d'un tradimento, volle as-
sicurarsi del turbolento cardinale (3).
(i) Arch. di Stato di Venezia, loc cit, ce, 30. Sommario dell'esposi-
zione del Bobadilla, v. p. 285 e app. doc. I.
(a) Id. e. 52. Agli oratori presso il re di Francia. Venezia, ly di-
cembre 1494*
(3) Il papa giudicava assai equivoca la condotta di Ascanio, v. Ar-
chivio stor. Gonz. E. esierni, n. XXV, n. 3 b. 850. Giorgio Brognolo.
Roma, 6 dicembre 1494. Circa l'andata del card.* di Sanseverino al re
di Francia * trovo per la verità che non ci è alcuna praticha sopra la
* quale si possa fare gran fundamento, se non parole generale ad Ascha-
• nio, el quale più volte ha affirmato al Pontefice, che omnino queste
• cose se adaptaranno a beneficio de la M.'i del Re et la S.ti sua, chi
■ si vide conducta a termini che non volendo in tutto minare, forza è che
■ u li gieita in panza, se ben non prestasse gran fede alle parole sue, ha
• facto di necessità virtù, et ha dimonstrato de crederli et sotto questa
* speranza ha sempre ditto alli predetti oratori che non si dubitano che
" le cose del Re piglieranno bono assetto. E il p.^o A^chanio è stato
* potissima causa de far mandare S. Severino al Re de Pranza, come
persona più atta a fare cum la Chr.raa M.tà lo effecto che si desydera
per rfspecto del fratello M. Galeazzo, qual è apresso quello. Ma come
302 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
È difficile riprodurre Timpressione fatta in Italia dall'arresto
di Ascanio, Lodovico, che aveva lasciato Milano per dimorare
qualche tempo nella città sua preferita, Vigevano, ebbe subito no-
tizia dell'accaduto « Se mo questo se conviene ai meriti mei verso
el papa n esclamò egli furente al segretario veneto Giorgio Negro {i\
mandato dal Badoer e dal Trevisan, rimasti a Milano (2), ad infor-
marlo di tutto, mentre esso già n'era consapevole, « si per le cose
« che a suo beneficio ho operato avanti la venuta de qui a me de
« quelli M.^ oratori, come tuto li dechiarai, et vui lo sapeti che eri
« presente, sì etiam per quello era disposto et volonteroso de far,
« lasso che quella S."« lo consideri ». Non doveva il papa credere
ch'egK s'intimorisse o si spiegasse più facilmente ai suoi voleri.
Se non bastava il re francese, aveva egli parenti ed amici nume-
rosi: mai tollerare ingiuria sì grande. Con parole di cordoglio,
senz' altra espressione, il Negro ripartì (3). A Milano, con forma
più corretta, uguali sentimenti manifestarono a nome di Lodovico
l'arcivescovo di Milano, Guido Antonio Arcimboldi, il vescovo di
Como, Antonio Trivulzio, Pietro Visconti e Bartolomeo Calco in
visita presso il Badoer ed il Trevisan. Chiesero i ministri sfor-
zeschi l'intervento della Signoria e dichiararono che, se l'arresto
del cardinale Ascanio veniva mantenuto, il loro signore avrebbe
* ho dicto non li è fin qui attacho alcuno sopra el quale l'homo si possa
* fundare, né da S. Severino se sono mai havute lettere dopo la par-
■ tita sua. Per diverse vie se intende perhò che Aschanio desydera che
■ questo acordo segua, perchè non pò essere se non honorcvole et utile
* per lui, et ogni raxone vorrìa che essendo lui stato principale instru-
' mento ala creatione de questo ponti fice, non dovesse assentire ala
* mina sua et de tutta questa Corte, la quale in ogni caso de concordia
* lui harrà in pugno più che mai. Ma necessario è chel disponga prima
* el fratello, ti qmaU quanto sia inclinato a questo la Ex. y', lo pò inten-
' dert. In summa ogniuno conclude el Papa essere avelupa/o in modo cht
* non sa dove si dare del capo. Avisando la Ex. V. che Franzosi tutta
* via si vano aproximando in qua, et pare che dio voglia che non ha-
* biano uno contrasto al mondo. , Si vede anche da questo dispaccio
che a Roma non erano i principali informati deUa mutazione avvenuta
nelle relazioni tra Lodovico e l'invasore.
(i) Cód. cit, e. 14 1^15. Negro agli oratori, Vigevano, 15 dicem-
bre 1495.
(2) Id. ce. 12 t. e sgg. Badoer e Trevisan, Milano, la dicembre 1494.
3) Lett. cìi. del Negro.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 303
mandato tutto alla rovescia, esposto anche lo stato e la vita, chia-
mato infine nella penisola il re dei Romani. 11 15 dicembre poi,
separatamente, il Calco replicò agli oratori le parole suddette, ed
aggiunse che il Moro avrebbe rotto ogni pratica di lega (i). E non
era finzione lo sdegno di Lodovico. Mai in vita sua quel turbo-
lento principe aveva manifestato più sinceramente l'animo suo. Dato
Tedio profondo che Alessandro VI nutriva di certo contro il vice-
cancelliere, era naturale il timore che dalla prigionia Ascanio pas-
sasse rapidamente al sepolcro. Ma la pubblica opinione, ostile al
Moro, diffidava a suo riguardo anche delle manifestazioni più na-
turali. A Milano ed a Roma molti pensavano che il tutto nascondesse
una finzione, e che l'arresto di Ascanio e degli altri cardinali fosse
avvenuto di pieno accordo tra Lodovico, il papa ed i cardinali stessi
per qualche loro segreto fine, non inutile alla liberazione della pe-
nisola dagli invasori (2). Erano voci assurde, e proprio non si po-
trebbe scorgere in che cosa l'arresto dei cardinali riuscisse utile
all'Italia, quando Carlo Vili stava alle porte di Roma!
Venezia si preoccupò vivamente dell'accaduto ed intuì le gravi
conseguenze che potevano derivare dall'ira di Lodovico (3).
Carlo Vili infatti, dopo l'apertura del Vimercato col Commines,
tentava di rabbonire, coi mezzi di cui disponeva, Lodovico, ed
ai primi di dicembre aveva rinviato a Milano Carlo da Bar-
biano, conte di Belgioioso, con dichiarazioni d'amicizia e parole
di scusa. Assicurava il re, scrisse Lodovico al Vimercato (4),
« sopra la molestia la quale intendeva che havevamo preso del
« bavere posto .... le mane più inante che non si doveva in le
« cose de Fiorenza, et che poso la partita sua da Sarzana non ce
u habij may scripto né participato cosa alcuna,... non esserli stata
« alcuna mala causa,... dimonstrando che da bora inante li bavera
u maior consideratione,... facendone pregare che vogliamo deponer
« la molestia quale dubita habiamo conceputo n. Il re dichiarava di
(i) Cod, ciu, e 16-17. Milano, 15 dicembre 1494.
(2) Id. e. 17 t Milano, 17 dicembre 1494. — Per Roma v. Archivio
stor. GoQz., loc cit., Giorgio Brognolo. Roma, 10 e 11 dicembre 1494.
(3) V. Arch. di stato di Venezia, loc. cit., e. 53-53 t. La Signoria
agli oratori in Milano. Venezia, 17 dicembre 1494.
(4) Arch. di stato di Milano, Potenze estere, Venezia. Vigevano, 13
dicembre 1494.
304 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
nulla voler trattare a Roma se non per mezzo di Asomio e che
aveva risposto in questi termini al cardinale di SanseverìnOi quando
eraglisi questi recato incontro. Appena intese rarresto diAacuio,
Carlo Vili, con molta prontezza, rinviò al Moro Galeazzo di Stn-
severino, che fino allora aveva invano chiesto congedo (i), eoa un
suo ambasciatore, impegnandosi a prendere le armi contro il papa,
qualora Ascanio non fosse stato subito rimesso in libertà (a). Nd
tempo stesso chiamati a sé gli oratori veneziani espresse n ano
cordoglio per TaiFronto usato a Lodovico dal pontefice e duese
consiglio alla Signoria (3). La condotta del re invasore fu certD
abilissima in quei frangenti e tale da legittimare tutta la preooco-
pazione che sorse nel governo veneto. Carlo infatti, che non igno-
rava il malanimo del duca di Milano e della Signorìa, aveva tco*
vato un' occasione buona per legare a sé nuovamente il Moro, col-
l'ergersi a paladino di Ascanio e dell'onore di tutta la casa Sfona.
I segreti disegni della Serenissima erano così scompigliatL Chi po-
teva assicurare la Repubblica che il Moro non]rìtomasse all'antia
lega con Francia vedendo nel pontefice un nemico irrecondlialMle
e nella Signoria una protettrice insufficiente? Per fortuna, nono»
stante il suo sdegno, Lodovico aveva voluto temperare T impres-
sione delle vivaci parole dette al Negro. Il 17 dicembre, ap*
provati gli uffici dei suoi ministri a Milano presso il Badoer ed il
Trevisan, ingiunse al Calco di assicurare i rappresentanti veneti
u che fin qui si era sforzato fare etiam più del debito. El medesimo
u avrebbe fatto anche nel avenire, dove non fosse sforzato fare el
« contrario n (4). Nel frattempo la Repubblica respingeva la domanda
(i) Il Sanuto, op. cit., p. 152, narra che quando Galeazzo tornò
presso il Duca, fu di sua iniziativa. Invece la cosa è inesatta, perche
fu il re a cercarlo in occasione solo dell'arresto di Ascanio, mentre
prima non voleva. „ v. Arch. di stato di Milano, lett cit., di Lodovico,
13 dicembre " .... et a bocha ce è stato exposito che circa el venire
" de ms. Galeazo la M.tà R. si è mutata, cum dire che li panna ck
^ la partita sua li portasse diminutione. E però haveva tnutato semUnti»,
" allegando che per le cose quale si predicavano li pareva fora de prò-
" posito la partita sua. „
(2) Cod. cit , e. 18. Badoer e Trevisan. Milano, 18 dicembre I49f
(3) Arch. di Stato di Venezia, Ice. cit,, e. 53-53 t. La Signoria al
Badoer ed al Trevisan. Venezia, 17 dicembre 1494.
(4) Arch. di stato di Milano, loc. cit., Lodovico al Calco. Vigevano,
17 dicembre 1494.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 305
di consiglio del re, insistendo perchè venisse fatta la pace col re
di Napoli, pel conseguimento della quale offriva l'opera sua, e
scriveva a Milano per calmare V irritato duca e trattenerlo nella
politica gallofoba. Buon mezzo riteneva fosse assicurare il Moro
che Taddeo Vimercato le aveva consegnato i capitoli della lega tra
Venezia e Milano fatta il 26 febbraio 1485 (i) e ch'essa li avrebbe
meditato per stringere nuova alleanza (2). Ma non poteva nascon-
dere al pubblico le sue preoccupazioni. Essa era in grave perples-
sità. Non aveva impedito l'avanzata del re, fiduciosa sempre che
le armi aragonesi, guidate da Alfonso II, capitano di gran fama,
avessero ragione sulle colonne francesi, scese nella penisola senza
mezzi pecuniari (3), ed invece l'esercito napoletano si dissolveva e
cedeva ignominiosamente il passo senza combattere, ed Alfonso II,
lungi dall'accorrere dov'era il pericolo, lasciava il comando al gio-
vane ed inesperto suo figlio, il duca di Calabria, il papa, Ales-
sandro VI, incuorato dalla Signoria (4), aveva favorito gli Aragonesi,
e serbato fede ad Alfonso, sperando che non fosse di parole sol-
tanto il soccorso della Repubblica, finché, scorato e diffidente, erasi
smarrito ed aveva arrestato Ascanio Sforza. Non una dunque delle
previsioni e dei disegni politici della Repubblica nella prima fase
della calata di Carlo Vili aveva sortito Teffetto sperato. La politica
veneta di 'quei giorni era in piena bancarotta!
Alessandro VI, assicuratosi di Ascanio, s'accorse presto quanto
fosse grave il suo operato, ed incaricò la repubblica di trasmettere
al duca Lodovico un breve (5), nel quale con forma assai mite
giustificava l'accaduto (6). Fu il segretario Negro che in nome del
(i) L'ambasciatore veneto che l'aveva firmata era stato Antonio
Vitturi. V. Predelu, / itòri Commemoriali della Rep, di Venezia, voi. V,
Venezia, 1901, p. 295, lib. VII, n. 83.
(2) Arch. di Stato di Venezia, lett. cit.
(3) Tant'è che dovette il re fare un prestito in Italia di 57,500 scudi
garantito dal Moro, mediante cauzione. La voce pubblica accrebbe di
molto la cifra, v. Arch. stor. Gonz., E eslerni, n. XLIX, n. 3 b. 1630.
Donato de Preti al marchese di Mantova. Milano, io ottobre 1494, ci-
tato anche dal Delabordr, op. cit., p. 412.
(4) Arch. di Stato di Venezia, lett. cit. della Signoria all'oratore in
Roma. Venezia. 8 dicembre 1494.
(5) Id. Agli oratori a Milano. Venezia, 24 dicembre 1494, e. 54 r.
(6) Sanuto, op. cit., p. 150. Ivi è pubblicato tutto il breve al Moro.
Porta la data io dicembre 1494.
306 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
Badoer e del Trevisan a Vigevano consegnò il breve. L'abile se-
gretario mise in opera tutto il suo tatto diplomatico e l'eloquenza
naturale per condurre il Moro a rassegnazione. Ma Lodovico dopo
la lettura del breve apparve più irritato che mai. « Questo che bora
u me fa intender quella 111."'» Signoria », esclamò fuori di se (i), « non
ti è quello eh' io expectava, né expecto da lei, perchè io voglio saper
« qual favor et agliuto la me vuol dar per la liberatione de mio
« fradello, et in verità amandome quella Ill.™« Sig."* da bon fiuolo
« come sempre l'ha dito, questi non sono di consegli che l'ha me do-
« vena dar et da lei aspetto. Io ho anchor mi' un fiuolo (2); al quale,
« sei fusse fato inzurìa, io lo conforteria non a domentegarla, né a
« remetterla, ma repetterla magnanimamente, come voglio farlo cum
u la facultà, cum la vita et ogni mia forza, sì ben dovese perieli tar (?)
« et ruinar tuto el stato mio. Et el scriver che vogho far al Re de
u Pranza sarà come anche za ò fatto, chel prosequischa gagliarda-
« mente la soa impresa contra el papa e cantra el Re, perché io li
« son per dar tuti li favori el mi saperà domandar et vogliali mandar
« el conte de Cayazo et altre zente, et non lì manchar de cosa de
« questo mondo. Et fazoli intender che se ben el vedesse squartar
« monsT Ascanio, et non resti de prosequìr gagliardamente la soa
« impresa. Et non bastando questi mezi cum el Re de Romani et per
« ogni altra via non son per restar de far tuto quel male che io potrò,
u et questo è certo et indubitato, fin eh' io non vedo liberato mio
« fradello, qualle per questo papa ha fatto quello che el mondo in-
« tende ». E mettendo sotto gli occhi del segretario veneto ì brevi
pontifici a lui ed alla Signoria, continuò: a Guardate le rason ch'el
« va digando in questi suo brevi. El non manchava altro cha el di-
« cese anche che mad.* Julia fu retenuta, per la qual l'ha scripto
« tanti brevi a tuti pregando per viscera misericordie che la sij libe-
« ratta,... Io voria volentieri saper quello chel se crede fare cum la
« retention de mio fradello. Non se creda per questo de astalar el
« Re de Pranza, perchè a ponto per questo io l'ho solicitato, solli-
u cito et soUiciterò qui ad andar prosequando la impresa et far el
« pezo chel potrà. Adunque che li zovà tenirlo a questo modo? El
(i) Cod, cit, ce. 20, Badoer e Trevisan al doge. Milano, 21 dicem-
bre 1494.
(2) Massimiliano, nato il 25 gennaio 1493; v. Portigli, La nascita
di Massimiliano Sforza in quest*-<4rr/u, IX, 1882, p. 325-34.
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 307
« non me chognosce anchora. El chrede eh* io sia eome luy, che non
« ha ni amor, ni fede. Io ve prometto che farò pentir. Non son per
« patir questa inzuria per cosa de questo mondo: vui vederete. Las-
« sate pur far a mi » (i). L'ira in quel punto faceva ombra al duca,
né era facile dominarla. Il Negro non apri bocca dapprima e lasciò
che il Moro desse ordine di stendere una risposta al breve ponti-
ficio nella forma violenta delle sue parole (2). Quando gli parve che il
primo impeto fosse temperato, si rivolse a Lodovico con termini assai
moderati e tali da calmare V ira pericolosa del duca milanese. Aver
egli adempiuto alla missione consegnando i due brevi: tuttavia la
forma cortese deiraccoglienza ricevuta e la famigliarità della quale
S. Ecc.« Io onorava, invogliarlo ad esprimere qualche suo sentimento.
Lodovico, la cui sfuriata forse mirava solo a far impressione nella
repubblica e trarre cosi qualche dichiarazione o promessa dal di-
plomatico veneto, premurosamente ascoltò le parole del segretario,
il quale cosi si espresse (3) : « Ill."«> Sig.^ Io certifico la Subl.^* V.
u che la Ex."»» S.»"'» ve ama da charissimo fiuol et amantissimo fra-
« dello, et sempre che occorresse el bisogno per la salvation et be-
u neficio del stato, persona et cosse soe, la è per far quello instesso
« che Iha farla per la salute propria. Ma perdoname la Sig.»"'» V. Le
u molto meglio el conseglio che la dice la darla a suo fiuolo; pe-
u roche anchor che in questo principio li satisfacesse a qualche sua
u passione receputa cum meter Italia in exterminio et evasione, poy
« la non potria far che Iha non prehendesse affano et cordoglio,
« perchè ruinando Italia o alhora o pocho dapoy convigneria de ne-
« cessità anche ruinar el stado vostro, et in questo caso el fiuol de la
« V. Sub.^* e tuti i suo descendenti haverano causa de dolerse gran-
« demente de la Ex. V., che li havesse priva de un si bel stado,
« come è quello che meritamente la possiede, et è per durar in per-
« petuo, essendo unite cum quella Ser.*"* Sig.»"^* de cusi indissolubile
« unione come Tè et è per esser. Preterea la Ex.^^« vostra è in effecto,
(i) Da • El non me chognosse anchora „ a " Lassate pur far a mi ,
è riportato il dispaccio dal Romanin, op. cit., V, 60, da cui Delaborde,
op. cit., p. 501.
(2) Cod, cit., lett. cit Al segretario che doveva stendere la lettera,
Lodovico disse : * De Prospero (Colonnnf arrestato con Ascanio) non
* dir cossa alguna. Lassa la briga a loro „. — Sull'arresto del Colonna
V. tutti gli storici.
(3) Cod. cit., lett. cit
Arch. Stor. Lomb,, Anno XX rX, Fase. XX XVI. 20
308 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
« et cusì da tutti è existimata, el più savio, over de i più savij prin-
u cipi che babbi la christianità. Che gloria serebe la soa che i pre-
u senti et posteri possano dir: Lo ser.^^ Signor Lodovico, Duca de
u Milan, per vendicarse de una offesa chel reputava haver havuto da
u papa Alessandro, fo causa de ruinar tutta Italia et insieme el stado
u suo proprio, Suplico la V. Cel.n« „^ continuò con vigore Tintelligente
M segretario, u non vogli esser causa de tanto malie, et dar materia
u al fiuol suo che la dice haver tanto charo, et i altri suo descen-
« denti a dolersi di lei. Poi la v. Ex.^>* à molto più obligatione a la
u salute et conservatione de Italia di quello ha el papa, perchè luy
« ha a viver do, 3, 4, 5 anni, et poi, morto lui, è perso tuta la gè-
u nealogia et descendentia sua. Vostra Dl.™« S."* è zovene e per
u rason de natura è per goder molti anni questo dignissimo stato, et
u dapoy He i fiuoli et descendenti soy. E però amore dei, remessa
« qualche passione, la vogli cum l'animo libero invigilar et perseverar
« nel suo optimo proposito et salvar Italia da tanta calamità. Il che
« li è per esser a gloria immortale ».
Gli argomenti del Negro erano elevatissimi, né poteva il Moro
non sentirne reflficacia, ma la passione dominava tuttora nell'animo
suo. « Secretano », replicò, « tutte le rasone che vui dite seriano
« ben et prudente dete, se el papa liberasse mio fradelo; ma
« tenendolo retenuto, non son per guardar ne a queste, né a rason
« che dir se possi, perchè la mi pareria pur troppo grande in-
« zuria da tollerar et per vindicarla voglio che sapiate che ho
« speranza de governar anche questa cosa saviamente, e bastami
« Tanimo che non sera 6 mesi de tuor et far tuor la obedentia al
« papa, chel non sera più papa. Lassate far a me, vui havete dito
« una parola, che è tuta vera, che fa molto più per mi conservar
« Italia, cha per el papa, che di Sixto in qua che commenzò a re-
« levar el conte Hyeronimo (Riario, nipote di Sisto) tuti sono an-
« dati per una strada. Havete etiam dito che mio fradello è hono-
•< rato e ben veduto. Voglio che sapiate che se ilo facesseno papa,
« et non lo lassesseno in libertà, io non son per modo alcuno per
« tollerarlo. E fazo chognosciate bene che homo è questo papa,
« Voglio che sapiate che... là fato intender al re di Pranza tuto quello
« che ho fato dir a quella 111.™* S."» de la dispositione mia ». D N^o
a questo punto interruppe Lodovico, e lo pregò di considerare che
l'accusa appariva inverosimile, e poteva fondarsi sopra notizie ine-
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 309
satte o false. Ma tosto il Moro replicò : « Cognoscete il re de
« Pranza ?» Ed avendo risposto il Negro conoscere solo il giudizio
che S. Ecc. aveva dato della M.^* francese, ribattè: u Quello ch'io
« dissi alhora de la natura è verissimo. El non saperla trovar queste
ti invenzione, tanto più che ho questo da i primi amici ch'io habia
« de lì, che è San Mallo e Beuchario n, E s'appellò alla testimonianza
di Galeazzo di Sanseverino, che era presente all'udienza del Negro.
lì Sanseverino narrò che il re, inteso l'arresto di Ascanio e l'im-
mediata domanda da lui Sanseverino fatta di essere licenziato^
l'aveva trattato con freddezza singolare, facendolo attendere in
anticamera lunghe ore, cosa insolita a suo riguardo. Egli compren-
dendo quanto passava nell'animo regio, erasi rivolto al vescovo
di S. Malo ed agli altri signori francesi, ed oflFrendo, come pegno,
la sua persona, aveva giurato che l'arresto di Ascanio era seguito
senza complicità e ad insaputa di Lodovico, e che non era fin-
zione, come il re ed i suoi ministri sospettavano. Il S.^ Malo,
continuò il Sanseverino, si aprì allora, disse che il papa aveva
palesato al re che per mezzo della repubblica veneta egli cono-
sceva l'intenzione di Lodovico ostile alla fortuna regia nella peni-
nisola. Le proteste di lui Sanseverino persuasero Carlo Vili in
contrario ed egli ebbe la desiderata licenza. Il Moro aggiunse al-
lora che anche l'oratore francese alla sua corte incolpava il pon-
tefice della notizia traditrice. « Vi prego », conchiuse Lodovico,
u ditte a quelli S." che più non me nomeni in alcuna cosa cum
u el papa, perchè le la sorte che intendete ». Ed il Negro senza più
replicare prese congedo, non senza ricevere un'ultima raccoman-
dazione, perchè la Signoria s'adoperasse alla liberazione di Ascanio.
Mentre il Negro faveva ritorno a Milano, i due oratori veneti cer-
cavano ancor essi con argomenti rigorosi di persuadere i ministri
sforzeschi alla calma per evitare che il duca facesse calare altri
principi stranieri in Italia, quando già tanto alterata era la quiete
della penisola.
V.
Ho voluto riportare la maggior parte del prezioso dispaccio
veneto, perchè esso, oltre ad illuminare la figura e le passioni del
Moro, recherebbe pure un nuovo dato sopra Alessandro VI.
Stando alle aflfermazioni del Moro e del Sanseverino Ales-
3IO LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
Sandro avrebbe tradito Venezia e Milano. Ma le asserzioni di Lo-
dovico e del suo favorito sono troppo interessate perchè ad esse
possiamo accordare fede sincera. Inoltre nulla vi sarebbe di strano
che il re di Francia, per seminare discordia tra le potenze dell'I-
talia settentrionale ed il Papa, avesse narrato cosa non vera, od
esagerato almeno qualche risposta ardita del pontefice |i), che,
minacciato nella stessa Roma, per intimorire il nemico, poteva
aver fatto cenno dei suoi legami con Milano e Venezia, potenze
italiane il cui nome imponeva all'invasore. E che l'affermazione
del Moro e del Sanse ve ri no non meriti fede immediata sono
prova ta risposta stessa del Negro al Moro, nella quale l'esperto
segretario non nascose i suoi dubbi, e l 'indifferenza con cui la re-
E LA REPUBBLICA DI VENEZLV 3II
nione pubblica a \enezia. Si conosceva di quanto il Moro fosse
capace e quanta fosse la sua nervosità I
La Serenissima quindi s' adoperò con molta sollecitudine a
Roma per V immediata liberazione di Ascanio, e mise in moto non
solo il suo ambasciatore co'à residente, ma i cardinali veneti, in
particolare il cardinale Domenico Grimani. Agli oratori residenti a
Milano scrisse poi il doge lunga raccomandazione per temperare
le furie di Lodovico. Non essere possibile, diceva, che il papa vo-
lesse recar offesa ad Ascanio col trattenerlo in custodia ; ciò sarebbe
stato troppo contrario ai suoi interessi. Tanto meno poi il Moro
doveva sospettare, come Taddeo Vimercato in un' udienza insi-
nuava, che la Signoria avesse conosciuto il disegno pontificio, prima
che si palesasse. « Se avessimo saputo qualcosa », osservava il
doge, u non avremmo certo mancato dal fare il dover nostro e
Sua Eccellenza ne avrebbe ricevuto notizia » (i).
Lodovico fece in quei giorni ritorno a Milano ed i due ora-
tori reiterarono le raccomandazioni di calma e di prudenza (2), uf-
ficio che il Badoer, dopo l'infermità (3) e la morte del Trevisan (4),
volle rinnovare per mezzo del Negro, quando giunse la lettera
ultima della Signoria. Anzi il Negro ebbe commissione di recla-
mare qualche scusa circa le insinuazioni del Vimercato. Lodovico
protestò al segretario veneto che il suo pensiero era stato frain
(i) Arch. di Stato di Venezia, loc. cit, ce. 53 t.-54. Agli oratori a
Milano. Venezia, 20 dicembre 1494. * . . . . Illud vero quod notavimus in
* litteris D. Thadci, non tactum in litteris vestris, hoc est. Innuitur enini
* nos fortasse ante secutam detentionem praedictam, habuisse eius fa-
* ciendae noticiam a pont.» B.n«. Non elaborabimus in hac obiectione di-
* luenda, quod veritas in absconditis celari non potest, quin facile et brevi
* in lucem emergat. Volumus tamen sufficere ad probationem ìngenitae
" rectitudinis et synceritatis nostrae, quod libere affirmamus ncque nos
* ncque aliquem nostrum uUam penitus habuisse intelligentiam talis de-
* tentionis, nisi post factum, cum ea omnibus patuisset. Sed addimus et
" hoc aliud, quod si quicquid quoquo modo tale intellexissemus, non
* discessissemus ab officio nostro ed id prò more cum isto Ill.nio Domino
* Duce fuisset a nobis panicipatum „.
(a) Cod. cit, e. 23. Milano, 22 dicembre 1494.
(3) Di pleurite. Id. e. 24. Milano, 22 dicembre 1494.
(4) Id. ce. 25 t. Milano, 24 dicembre 1494. V. anche sulla morte del
Trevisan Friuli, Chronicon veneium, col. 9; Sanuto, op. cit., pp. 149 e 181.
312 LODOVICO SFORZA, DETTO U. MORO,
inteso dal Vimercato, eh' c^li mai aveva messo io dubbio Tonestà
della Signorìa; solo accusare vieppiù il papa ed il re aragonese,
perchè, essendo bisognosi di soccorso dalla Repubblica, non ave-
vano pregato questa di consiglio prima di compiere atto s) grave.
E fu irremovibile circa le proteste già fatte contro Alessandro VI,
•• Et l'altra parte che me persuadi a metter el spirito et inzegno
mio a la quiete de Italia >, disse, - se fusse altro cha quelli
« M.^ ambassadorì, i quali ho in reverentìa per le optime conditioD
4i soe, et anche ti, che te voglio bene, io dina de farlo et si non lo
■ farla. Ma perchè non voglio che tu me trovi in busta, le dico che
" non lo son per far per alcun modo, fin che mio fradelo rimati rilemle.
M Et ha parlar cum ti a l'aperta, come soglio, che dirla el re de
a Pranza, quando io facesse altramente? Non potrialo dir che quel
" che le ha fatto intender el papa fusse vero e che la retentìon de
a M,"' mio fratello fusse sta in effetto facta et cum intelligentia mia?
•■ Io te parlo lai^mente, convengo far cusl, non posso far altro, et
« perchè tu intendi se la retentìon predida è processa a bon fine,
- come dice quella 111.""" S."", sappi che el vescovo de Concordia et
•I quel altra prelato che sono andati per nome del pontefice dal cbrì-
•> stianisimo re hanno dito a la M,"* soa, che mio fratelo è su rete-
« nuto per haver quello tuto questo anno facto guerra a soa B.'^
•• et prelerea hano richiesto un'altra audientia et aftìrmando che dì-
•> nano altre cose in tale materia » (i).
Il ragionamento del Moro non era inesatto. Poiché la Signorìa
non voleva ancora manifestare apertamente ostilità contro l'inva-
sore, se Lodovico, dopo l'affronto ricevuto, taceva, in Carlo Vili sa-
rebbero cresciuti i sospetti sulle vere intenzioni di Milano e di
Venezia. Da tempo Lodovico aveva ritirato le sue genti dall'eser-
cito del Montpensier e da quello del re stesso (2). II silenzio
avrebbe realmente confermato il dubbio d'un accordo segreto con
Alessandro VI.
(i) Cod, cit., ce 24. Badoer al doge. Milano, 23 dicembre 1494. —
Sull'andata di Leonello Chieregato, vescovo di Concordia, e degli altri
prelati al campo francese, v. Cipolla, op. ciL, p. 711.
(3) Arch. stor. Goni. Esterni, n. XLIX, n. 3 b. 1630 (i49i'93). Do-
nato dei Preti. Milano, 13 novembre 1494. ' Lo IIL"'> S. ducha de Mi-
' lano si chiama a chasa tutj soy zente darme chi sono ìd tud do;
' li champi ..
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 313
Ma ben presto fu evidente che Tarresto non aveva nulla di
strano e dal canto suo il Pontefice dovette accorgersi che Terrore
commesso era stato gravissimo. Carlo Vili infatti, atteggiandosi
a paladino dell* imprigionato cardinale, scese fino a Bracciano alle
porte di Roma (i). Alessandro stretto dalla necessità, aprì le porte
del carcere a Prospero Colonna ed al cardinale di Sanseverino,
che mandò legato al re (2), ma volle trattenere ancora Ascanio. Il
Moro, ansioso sulle vicende del fratel suo, armò 25 cavalleggeri
e, come aveva minacciato, si dispose ad inviarli sotto Roma nel campo
regio con a capo il conte di Caiazzo, pubblicando che avrebbe
presto mandato al seguito dei cavalleggeri 300 uomini d'arme. La
Serenissima, profondamente inquieta della tenacia vendicatrice di
Lodovico, voleva impedire quest'ultimo passo che rigettava il Moro
nelle braccia del re invasore. Il Badoer, che ebbe a parlarne con
Bartolomeo Calco, si adoperò per convincere quell'intelligente mi-
nistro dell'errore che Lodovico avrebbe commesso. « Me forzai »,
scriveva egli alla Signoria, « da poi dechiarito el grande incendio
« che cum el mandar de tal zente a la Christian.™» M.*^ Se acresseria
« a mina et eversione di questa povera Italia, et ex conseguenti de
« tuta la christianità confortar et suader la Ex.^^'» S."» cum tuta quella
« rason che per la efficatia del ingegno mi occorsero, che amore dei
« la vogli a questo cum la summa soa sapientia et bontà advertir et
« postponer qualche passione de oflFesa che li paresse haver rece-
« puta a tanto bene, quanto è per succieder ne la pacification de
« Italia, perchè questa seria tanto mazor la gloria et exaltatione de
« la cel."* vostra, che possando far tanto male cum vendication de la
« inzuria la non l'habbi voluto fare, ma preponer el ben universal
« de tuta Italia ad ogni sua passione ». Il Calco apprezzò le ragioni
dell'oratore e diede la sua parola di adoperarsi al possibile, per-
chè Lodovico si distogliesse dalla pericolosa china in cui scendeva.
« Vostra Mag.^>» », disse al Badoer, « ha parlato prudentissima et
« necessariamente, et ex corde, come chiaramente comprehendo. Ma
« el Sj è astreto a far cusì per la offesa receputa de la retention
(i) Sanuto, op. cit., pp. 151-54; Cipolla, op. e loc. cit; Delaborde,
op. cit, p. 501.
(2) Sanuto, op. cit., p. 155. Codice cit., lettera cit; Pastor, op. cit,
ni, p. 341.
314 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
H del fradello et per honor suo non poteva far altramente.... Vm
4i ditte sapientissimamente " (i).
Proprio in quei momenti un inviato del re Alfonso era giunto
a Milano, implorando benignità ed interesse pel suo signore. Il re
di Napoli supplicava il Moro di indurre Carlo Vili alla ritirata.
II Moro, pare, non ebbe il coraggio dì respingere l'ambasciaiore
naooletano. che vestiva l'abito di frate dell'ordine di Monte Oli-
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 315
« fatto dechiarir voler mandar a favorizar la impresa del chri-
« stian."io Re et che le extremità di pericoli, ne i quali constituta
u se atrovava questa calamitosa Italia, recercava per beneficio
u universal et particular, che a questo focho fusse portata quella
u mazor quantità de acqua se potesse per extinguerlo cellerrima-
u mente et non femento da nutrirlo et farlo irremidiabile, azò la
« 111."* S."* soa se potesse conformar l'auctorità de quel savio
u Seneca, che dice convenirse a Tofficio de sapieri."»® principe far
u opere de sorte, che merito gloriar In quelle el se possi ; come mi
« rendeva certissimo la Ex.^'« sua fusse per fare et per la sua
« naturai inclination et propensità ad bonum universale et etiam
« per la instantia che cusì amorevol et fraternamente li faceva
M Vostra S.^^, et circa zo me forzai per la parvità de Tinzegno
ti non pretermetter cosa mi parse fusse conducibile a tal propo-
u sito ».
11 Moro, dopo aver ascoltato con profonda attenzione le parole
dell'oratore, rispose tosto: « M.^o ambassador, o questo papa ha
« defecto de secretarij et nodari che li scrivano bene le suo let-
« tare, o pur el non vuole advertir che una volta el scrive et dice
u ad uno modo, e Taltra el scrive Topposito. Prima in altri brevi
« lui ha scripto haver retenuto mio fratelo a bon fine, et cusì lui
« ha sempre fato dir et replicar quella 111.*"* S."« . Hora nel breve
« chel me scrive, hozi havuto per mezo de la M.^^* vostra, el me
a dice come quella aldirà ». 11 breve diceva che il papa nel trat-
tenere Ascanio erasi comportato con molta clemenza e che desi-
derava gli fosse inviato da Milano un messo segreto, per far noto
al Moro cose importanti al suo onore. « Questo clementi ssime egit »
esclamò Lodovico, « vuol dire che mio fratello ha errato, et che
u per honor suo non lo voi manifestar, et cum la christian.^a M.^à
« ha usata forma penitus contraria contra dito monsignor, come
u questi zorni ve fezi intender. Perchè usalo queste duplicità, et
a maxime cum la 111."* S."* ? Quando el dice che Tha retenuto a bon
« fine, el doverla particularmente dechiarir per el tal et per el tal
« rispeto, et a questo modo se vederla se'l fusse stato a bon fine,
u che io non lo credo alhora lui el facesse. Ma potria ben esser
« che adesso chel vede variate le cosse, che le zente francese
« hano passato el Tevere, hano havuto Civita vechia et le terre de
« rOrsini per Tacordo fatto per el fiuol del s/ Verzinio et che le
3l6 LODOVICO SFORZA, DETTO IL MORO,
« se sono proximate a le porte da Roma, per iiecessità et non per
« volontà rhabi mutato proposito. Io tengo che finquest'hora Thabi
u fatto quello vuol el Re de franza, et se bora el starà aspectar
u lettere da Milan el starà frescho. Se adunque Tha visto per effecti
u et experientie chel retenir de mio fradello non li ha zovato cosa
« alcuna, anzi l'ha redutto a questo termine, perchè tenirlo anchora
u retenuto? Io son ben zerto che adesso el cognoscha haver fatto
u male. E però prima che el devenesse a questo acto el dovea
u consegliarse cum quella Ill.">* S."*, et non cum mad.« lulia et la
u munega, et perchè ne le lettere del vostro Ms^ ambassador da
u Roma se dice che mons.*" Ascanio me ha scripto et zustificato
« dita retention. Sapi La M.^^« V. che io non ho avuto lettera al-
u cuna fin qui ».
La discussione tra il Moro e l'oratore durò a lungo, finché il
primo concluse: « M,^^ ambassador. Scrivete a quella Ill.™« S."* che
u el confortar a tollerar le inzurie se suol et die far, quando a
u quelle non gè remedio. Ma nui non siamo in questo caso, perchè
« come el papa lassa mio fradello, la inzuria è remediata, fatte chel
u sij lassato in soa liberttà, et poi quella IH.»"* S."*, che mi è padre,
« me diga libera et apertamente: Lodovigo, fa cusì, che io son per
u far promptissimamente quanto la mi ricorderà et conseglierà. Ren-
« dome certo che per el paterno amor la mi porta, la non sia per
« ricordarme, né per consegliarme salvo cosa ch'io possi far cum
u mio honor, et che non me tiri el focho a casa »» (i).
Anche questi lunghi ragionamenti del Moro contengono molte
giuste osservazioni. Quand' egli parlava tuttavia, già la questione
del fratel suo a Roma era risolta. Alfonso II, sebbene con
troppa lentezza, aveva scritto al figlio, duca di Calabria, di
procurare l'immediata liberazione del cardinale, « commemorando
« in... lettera tutti li beneficij che ha recevuti casa sua, cominzando
« dal Re Alfonso de bo. me., da casa Sforzescha » (2). E la lettera
del sovrano di Napoli ebbe forse più efficacia su Alessandro che
non le minaccie del re di Francia, il quale rifiutavasi di intendere
il card, di Sanseverino, ma solo voleva trattare con Ascanio e
(1) Cod, cit», ce 27-29. Milano, 27 dicembre 9414.
(2) Arch. stor. Gonz., £, estemi, n. XXV, n. 3 b. 850* Giorgio Bro-
gnolo, Roma, 27 dicembre 1494*
E LA REPUBBLICA DI VENEZIA 317
minacciava di accamparsi sotto Roma (i). Il 25 dicembre, il turbo-
lento porporato fu messo in libertà, ed il duca dì Calabria, che il
papa nel tempo stesso a malincuore congedava, essendo impossi-
bile la resistenza armata contro i francesi (2), l'accompagnò fino al
suo palazzo (3), e quindi uscì da Roma, non senza essere alla sua
volta seguito da Ascanio fino al di là delle mura (4). Alessandro,
umiliato e privo di difesa, trattò col re, che il 31 dicembre da
vincitore di una guerra fino allora priva di vere fazioni militari,
fece ingresso nella capitale del mondo cristiano (5).
La prima parte dell'audace impresa era compiuta per l'ignavia,
l'egoismo e gli errori delle potenze italiane.
(Continua). Arturo Segre.
(i^ Cod. cit, ce. 29 t.-30. Milano, 29 dicembre 1494.
(2) Sawuto, op. cit., p. 156; Delaborde, op. cit., p. 505; Pastor, ni,
op. cit, p. 342.
(3) Arcb. di Stato di Milano, Potenae estere, Veneaia. Lodovico al
Viracrcato. Vigevano, 31 dicembre 1494. * .... et accompagnato da pa-
latio alla casa sua In Roma dal duca de Calabria, quale poi subito
se partite de Roma cum tutte le zente sue per andare In nel reame. „
(4) V. nota precedente; v. anche Sanuto, op. cit., p. 161; Delaborde,
op. cit., p. 505; Pastor, op. e loc. cit.
(5) Cipolla, op. cit., p. 711; Delaborde, op. cit, p. 507; Pastor, op. e
loc. cit. Il Gregorovius, op. cit, IV, 47-48, ostile molto ad Alessandro VI,
giudica questi fatti con eccessiva severità. — Sugli avvenimenti romani
V. anche il racconto assai imperfetto di Andrea Nav acero, Storia vene-
Mtana daW origine della città fino al 14^8 presso Muratori, Rer, liaL
Script,, XXIII, col. 1202.
L'invasione francese in Milano (1796)
Da Memorie inedite di don Francesco Nava
(Coni, e fine: v, Arch. tlor. lomb., ». XXIX. f
UANno mi fu possibile, procurai d'inviarmi a casa, dove
fatta una breve visita alla sorella, che avea il di pre-
cedente dato alla luce con felicità un maschio, mi co-
ricai senza ritardo a letto (i).
Dopo breve riposo interrotto per ben tre volte secondo il con-
sueto delle notti precedenti dall'arrivo di persone, che venivano a
farmi i rapporti di fatti o di affari, cui era necessario di dare im-
mediato disbrigo, mi alzai per tempo, e soddisfatti dapprima i do-
veri di religione impostimi dalla ricorrenza della solennità della
Pentecoste passai al Broletto ad operare. Le requisizioni eran gii
pronte, e nel corso della giornata andaron sempre crescendo ed in
qualità, ed in quantità de' capi, che si domandarono. Il pane, il vino
e la carne si volle in una quantità sorprendente (a), Furon fis-
sate 80 m. porzioni (3), mentre le truppe arrivate in Milano non
(1) Dalle 9 Vi ài quella sera è datato l'ordine seguente (Archivio
Civico, Dicasttri Governo 23) : " 11 sig.' Generale Massena ha ordinato
* al delegato del Consiglio generale che si chiudano tutte le porte ce-
" cettuata porla Romana, e se ne portino a Lui le chiavi. Il colon-
' nello Court, comandante della piazza, ha spedito l'ordine relativo ..
Nella notte truppe giunsero a Massena * a piccoli corpi . (FoscABim,
espresso 103},
(2) Il Gachot, La premiirt campagne d'ilalit, p. 145, mentre re-
gistra l'atto, non ne indica la misura.
(3} Cfr. Pertusati, Rappresenlanea de Meneghirt :
E s'è dovuu al bel prim di oriìcnà
Per vati e no sào che millla ilraicion
Sctlanlacìnqu i pii millia ruion.
l'invasione francese in MILANO (1796) DA MEMORIE, ECC. 319
potevano sorpassare il numero di io m. uomini (i). Per questo
fu, che ne' primi giorni si fece di cotesti generi un tale scia
lacquo, che ben molti assai del popolo ne profittarono grande-
mente (2). Fu ordinato di disporre il pranzo in Corte per ottanta
coperti, e dovea servire per il generale in capo, e per tutto
lo stato maggiore (3). Il solo commissario di artiglieria Boi-
(i) I deputati da Melegnano annunciavano un primo arrivo di
■ IO o più mille „ soldati francesi. Il Foscarini, fra quel primo nucleo
ed altri sopraggiunti (v. nota a pag. 318), fa il calcolo di io a 12 mila
di fanteria, 3 a 4 mila di cavalleria, aumentabili al massimo a 30 mila
(espresso 102), Il 14 " la cavalleria era tutta disposta in bell'ordine lungo
' il corso, e l'infanteria era appostata dal ponte sino al dazio e fuori
• di P. R. , (Notiate politiche, 18 maggio). Quel giorno giunse tutta la
prima divisione (Massena), meno la 25* demi-brigade (alors 8^j che
giunse l'indomani con Rampon (Bouvier, Bonaparie en Italie), Anche il
Botta, Storia d* Italia dal ijSg al 1S14, dice che i primi arrivati con Mas-
sena furono diecimila.
Le voci che correvano verso il tocco del 14, quando il Foscarini
mandò ai Doge il suo primo dispaccio dopo l'occupazione francese, in-
dicavano, per il numero dei francesi che arrivavano, cifre varianti " da
• sei, otto, dodeci o più millia „.
(2) E Carnot, poveretto, scriveva il 18 floreale (all' incirca in quei
giorni pertanto) da Parigi a Buonaparte: Que foeil de l'economie
surveille femploi di ciò che avrebbe ottenuto dalle conquistate popola-
zioni (Correspondance inèdite officielle et confidentielle de Napolion, t. 1).
Invece, nota il Botta, op. cit., to. I, 1. VI, " si consumava malamente in
• pochi giorni quello che avrebbe potuto bastare per molti mesi „. " Ne*
• primi giorni tutte le autorità conquistatrici pretendevano nel proprio
• quartiere un trattamento a parte „ (Becattim, op. cit, lett. II). Già
quella mattina (del 15 maggio) il Consiglio generale si vide costretto a
stendere una supplica a Buonaparte, chiedendo che le razioni delle
truppe fossero proporzionate alle forze del paese, e si provvedesse ad
evitare i duplicati. Sembra che tale supplica sia stata presentata quel
pomeriggio medesimo, nella visita che il Nava fece con quattro com-
pagni a Napoleone (Appuntamenti del Consiglio generale).
(3) Secondo il Becattini, op. cit, lett. I, il • lauto pranzo „ av-
venne al *^ rimbombo di mille musicali istrumenti da arco e da fiato, che
suonavano le arie patriottiche per noi del tutto nuove delia Carma-
gnola, del pi ira, dei Figli della patria,., in vista degli affollati spettatori
e in mezzo alle.... acclamazioni. „ Il De Castro, Milano e la repubblica
cisalpina, p. 69, riassume puramente e semplicemente questa narra-
zione. V. Correspondance de Napolion, 1, N. 449 (A la municipalité de
Aiilan — 18 mai) le limitazioni poste da Buonaparte agli abusi nelle
390 l' invasione francese in MILANO (1796)
neaud (i) per non parlare di altri presentò in quel giorno medesimo
note mai più finite di varie sorti dì utensigli, di fucine, di pezze &
lana, di sacchi, di ferramenti, che gli facevan bisogno (2) ed alla loro
somministrazione si pretini un brevissimo termine. Il più lungo era
quello delle ventiquattr'ore, (3) e tutto sempre era accompagnato
dalla minaccia di tenere responsale la mimicipalità in caso di
ritardo. Qual imbarazzo fu quello mai di provvedere sul momento
a tante ricerche 1 Non pertanto non si lasciò desiderare mai nulla.
All'accostarsi del mezzodì venne l'annunzio deQ'imminente arrivo
del generale in capo Bona parte (4). Sul momento d unimmo
tutti (5) per recarci ad incontrarlo, e con noi s'accompagnarono
taòies qut beaueoup de cilqytns st ptrmtNtHt di se fair» servir. Per altro
■ Bonaparte aveva prescritta per mezzo di Berthier (nella lettera qui
* sopra indicata) una tavola ordinaria dì 40 coperti a lire ([ualtro di
* Francia a testa, che fanno 207 lire al giorno e circa 6 mila lire il
* mese di Milano, ed invece il dispendio, in poco più di due mesi, sor-
■ passò d'assai le 50 mila , (Becattini, op. ciL, lett III).
(t) Il BouviEB, op. cit., p. 100, parla con ammirazione del svmm
Boinod, l'honnèU ti digne Boinod. Boìnod alloggiò in casa Castiglìoni
in P.'» Orientale (l'attuale casa Silvestri, come ognuno sa) ed era com-
missario per Les équipages d'arlitlerie; La Polke de tette arme; celli dt
fariilterie iégire; le Genie, et les fortificalions; les rémonles (V. Tabella
in Raccolta degli ordini ed avvisi, p. la).
(3) Aveano allora, osservò il Verri, Lettere e scritti inediti, IV,
P- 393. ' pochissima artiglieria ,.
(3) Vedemmo infatti, nell'Archivio civico, lunghissimi elenchi di
oggetti requisiti da fornire f/ans /a /oMrnfo (requisizione del commissario
ordinatore J. F. Lambert, del al floreale). E il Despinoj guadagnò al-
lora il nomignolo di * generale venti quattr'o re ,. Il Pertusati, op. dt,
M> tuli p«u in lermen àt tiatiquittr'or?
Poviràic! come «tcvcd mai de »I
(4) Com'è noto, a Buonaparte molto importava potesse giungere
l'annunzio di tal suo arrivo trionfale al Direttorio, ai cui ordini egli
s'era allora deciso di opporsi, ordini che, del resto, dividendo l'esercito
d'Italia, avrebbero rovinato non solo i disegni di Buonaparte, ma anche
la causa francese in Italia.
(5) È ben strano che il Bouvier, op. cit., ponga qui alla testa dei
decurioni le general comle de Trivutzio, che egli intende certo alludere
ad Alessandro Trivulzio, che fu, poco tempo dopo, generale delle guardie
nazionali milanesi; ed invece di Trivulzio non v'era allora nel Consiglio
generale che il m,»« Teodoro Giorgio.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 32I
pure i delegati de' Corpi sopranominati. Si avviò la gran comitiva
al dazio di P. R. (i). Là ci fermammo ad aspettare l'avviso, ch'ei
fusse vicino, e s'era affollata una gran turba di gente (2). Parendo
che la cosa andasse troppo in lungo presimo la risoluzione di av-
viarci fuori del dazio, e giunti alla prima cascina fecimo alto alle
carrozze, smontammo, e ci slam colà ricoverati. La strada era piena
di soldati a piedi ed a cavallo (3), e v' erano ben anche alcuni
artiglieri, che guardavano i cannoni di campagna (4). Al primo
veder queste truppe luride e stracciate (5) mi s'aflfacciò tosto alla
(i) Anche il general Massena andò a ricevere il suo superiore
{Gazsiita di Milano del 19). — Il Lee, Campaigns of Napoleon, e. V,
p. 87, scrive : the splendici carriages of the nobility and aristocracy of the
capital, went lo meet and lo salute the republican hero,
(2) La presenza, alla porta e lungo tutto il percorso, di una folla
numerosa e festante, è attestata dalla Gazzetta di Milano del 19; dai
Mémoires du Due de Raguse, to. I, 1. II, p. 177; dalle Oeuvres de Ste
Hilène — Campagnes d'Italie^ p. 123; dallo Stendhal, Vie de Napoleon,
VII; dalla Storia dell'anno 1796; dalle lettere del Valeri, pubblicate dal
LuBiBRoso; dal Jomini, Histoire critique et militaire des guerres de la
revolution, to. I, liv. X, chap. LVII, e Vie politique et militaire de Napo-
leon, to. I, cap. II; dal Bouvier, Bonaparte en Italie. Né il fatto affer-
mato può destare le meraviglie in noi che conosciamo l'indole dei no-
stri concittadini veri ambrosiani!
(3) Fuori di Porta Romana aveva Massena (Gazzetta di Milano
del 19) accampato le sue truppe, salvo poche, poste quali sentinelle qua
e là per la città. Dovevano essere alla porta (secondo il rapporto, già
dtato, del Monnier) gli uomini del 3** battaglione della 2i\ Molta truppa,
specie cavalleria, fu posta sui bastioni. (Massena a Bonaparte il 14 in
Correspondance inèdite officielle et confidentielle de NapoUon — Italie, to. I;
Bouvier, Bonaparte en Italie), Secondo il Becattini, op. cit., lett. I, ca-
valieri, di quelli entrati il giorno innanzi con Massena, scortavano nel
suo ingresso il generalissimo. Questi aveva ordinato a Massena di re-
golare severamente l'entrata di militari in città {Correspondance de Na-
Poléon, I, n. 415).
(4) Il Becattini, op. cit, lett. I, non registra, di artiglieria arrivata
allora^ che " un cannone grosso... uno da campagna e un mortajo ». Il
Massena, nella lettera, citata poco sopra, a Buonaparte paria delle sue
deux pièces cCartillerie légère; secondo il Bouvier, il 14, Joubert, entrando
coll'a vanguardia, aveva seco deux piéces à eheval,
(5) Questo miserevole stato delle vesti, lacere, a vari colori, in-
sufficienti a coprire tutta la persona, è confermato da numerose fonti
(Becattini, op. cit: I francesi in Italia; Verri, Storia dell'invasione, e
sovratutto Stendhal, loc. cit, che dipinge assai bene la povertà di
322 l'invasione francese in MILANO (1796)
mente il pensiero delle cure, che avremmo dovuto incontrare per
ristorarle, e vestirle (i), né mi sono ingannato. Assuefatto a ve-
dere i Corpi delle truppe tedesche ebbi motivo di fame il con-
fronto (2), e da questo ne cavai molte serie riflessionL Dovetti
strabigliare, e con molta pena potei persuadermi, che queste truppe
avessero potuto vìncere e soggiogare le tedesche, e fummi ne-
cessario di rimontare al principio, che m'insegna che la sorte dd-
l'armi dipende dal Dio degli eserciti, ne' di cui impenetrabili arcani
era fissato il destino della Lombardia. Difatti naturalmente parlando
sembra impossibile che un' armata senza magazzini, senza eqin-
paggi, e sprovvista di tutto potesse misurarsi e battere, e rovesciare
l'altra armata, che di nulla mancava. 11 valore individuale de' sol-
dati repubblicani, non nego, sarà stato maggiore, e maggiore anche
la loro costanza nel soffrire i disagi della campagna estremamente
faticosa (3). Ma fu d'uopo di troncare i riflessi, che ci andavamo
comunicando l'un l'altro, quando lo squillo delle trombe (4), ed
il nitrito de' cavalli ci annunziò l'arrivo del generale comandante (5)1
quell'esercito). Nei Mèmoirts de Mctssena trapela il timore che quel-
ì'habi/ìement en lambeaux diminuisca la considerazione in cui le popo-
lazioni doveano tenere le armate. V. infatti in De Castro, op. cit., p. 78^
i versi canzonatorii dedicati a quelle truppe male in arnese dalla musa
vernacola.
(i) Il RùSTOw, Die ep'sten Ftldzùge Napoleon Bonaparie's, p. 140,
spiega come il completamento dell* abbigliamento, pur di prima neces-
sità, non si sia ottenuto neppure dopo questo riposo ristoratore nella
Lombardia messa senza riguardi a contribuzione. Ciò accadde sovra-
tutto per colpa di fornitori senza coscienza.
(2) Confronto di cui si scorge lo spavento nei Mémoires de Afassens,
II, p. 71. Pure Io fece anche il Verri, Sfona de//' invasione, p. 392 di
Lettere e scritti inediti, IV: " Lo spettacolo dell'armata era sorprendente
" per chi ha conosciuto il militare tedesco „.
(3) V. nella Storia de/t'anno lypó, p. 210, i difetti dell' eccesso di
disciplina che rendeva il soldato austriaco un automa e spesso lo spin-
geva a disertare.
(4) Secondo il Bouvier, op. cit., le bande musicali francesi contri-
buirono a guadagnare all'esercito repubblicano le simpatie dei milanesL
(5) Secondo i Mémoires tirés des papiers d'un honinie d'ètaty to. Ili,
p. 347, r ingresso di Buonaparte avvenne avec tout /e faste d'un anh
quérant, il che però potrebbe quasi dirsi anche dell'entrata del general
Massena il dì prima.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 323
Ci affrettiamo tosto a sortir dalla cascina per portarci sulla strada
a complimentarlo, e vi arrivammo, ch'egli era già passato. All'av-
viso che gli fu dato immantinenti da una ordinanza egli ebbe la
bontà di ritornare addietro (i), ed in mezzo allo stato maggiore,
ed a' suoi ajutanti, che lo circondavano (2) si rivolse verso di noi,
e di me specialmente, che distinto dall'abito della toga (3) fui
riconosciuto da lui medesimo per il vicario di provvisione. Avvan-
zatomi in mezzo ai cavalli (4) mi portai vicino al generale, e
fattogli ad alta voce il complimento addattato alla circostanza gli
presentai i Delegati de' Corpi coll'ordine tenuto nel dì precedente
col generale Massena (5). Rispose il general Bonaparte a tutti con
aggradimento, ed all'un dipresso fece le stesse espressioni e pro-
messe, che aveam già sentite dall'altro (6), aggiungendo solo ai
delegati dell* arcivescovo (7), che il clero sarebbe rispettato e
(i) Sembra si sia recato egli pure alla cascina ove il vicario
erasi fermato ad attenderlo, che il Becattini, op. cit, lett I, seguito
dal BouviER, op. cit., p. 581, ci mostra Buonaparte che risponde alle
deputazioni '^ seduto sopra un fascio d'erba in un rustico casolare. „
(2) Massena e Joubert gli erano andati incontro; Saliceti e Kil-
maine lo fiancheggiavano: intorno erano le guide; dietro al generalis-
simo, ufficiali austriaci prigionieri ed il bastardo d'Este, Federico, ve-
nuto ad implorare la pace per il duca suo fratello (fiazzeita di Milano;
BouviKR, op. cit, p. 581).
(3) Il general Buonaparte era dal canto suo " vestito dei suoi
• abiti di cerimonia „ {Gazzetta di Milano, 19 maggio).
(4) Montava Buonaparte un cavallino bianco ed " umile „ (Melzi,
Memorie^Documenti, I, p. 144). Il Bouvier dice che era Bijou, che servì
all'eroe per quasi tutta quella campagna.
(5) A queste formalità Buonaparte avrebbe assistito " alteramente
• modesto „ (Becattini, Storia del memorabile trientiale governo, lett. I).
(6) Anche il verbale della seduta decurionale del 15 dice che la
risposta ai discorsi della deputazione fu * sostanzialmente simile a
• quella del sig.' generale Massena „. Il Tivaroni, L' Italia durante il
dominio francese, I, p. 97, pone in bocca a Napoleone un discorso che,
secondo altri tenne durante il pranzo nel palazzo arciducale, ed in cui
fra l'altro avrebbe detto: " Voi sarete liberi — Voi non sarete ny fran-
■ cesi ny tedeschi „. Il Lossau. Charakteristik der Kriege Napoleon's, nota
che apparve tosto come tutte quelle dichiarazioni non si dovessero
prender sul serio; né, coi fatti alla mano, gli si saprebbe dar torto.
(7) 1 1 CusANi, Storia di Milano, IV, p. 346, il Bertolini, Conferenze
di storia milanese, p. 529, ed il Bouvier, Bonaparte en Italie, p. 581, e,
Areh. Sior. Lomb,, Anno XXTX, FtiC. XXXVT. 21
324 l' invasione FRANCESK in MILANO (1796)
protetto, semprecchè non si fusse ingerito negli affari politici, nel
qual caso quegli individui, che vi avessero preso parte, sarebbero
stati severamente puniti. Finito così il discorso ci congedò (i) e
rivoltosi proseguì il suo cammino, e noi in mezzo alla foUa del
popolo (2), ed alle truppe (3) montammo nelle nostre carezze,
e fecimo ritorno al Broletto (4). Ahi quanto mi si è innaspato il
mal d'occhi (5) e per l'ardore del sol cocente (6), e per il nembo
quel eh' è più, il Becattini, op. cit, lett. I, che sembra averlo visto coi
propri occhi, narrano che rarcivescovo Visconti era presente in per-
sona. 11 Peroni, Epitome storico^ mentre conferma anche il monito al
clero da parte del generale, dice non esser toccato di sentirlo che ai
delegati dell'arcivescovo (con a capo Mgr. Rosales, arciprete della m^
tropolitana), che mons. Visconti era indisposto. Lo Scandella, Vita di
Gabrio Maria Nova, vescovo di Brescia, ci fa sapere che due furono questi
delegati arcivescovili, l'uno Mgr. Rosales sopra citato, l'altro D. Gabrio
Nava, prevosto della basilica di S. Ambrogio, fratello del vicario.
V. nota a, p. 97 del fascicolo precedente di questo periodico.
(i) Si che i deputati del Consiglio generale non poterono • ras-
" segnargli la supplica già disposta „ (Appuntamenti del Consiglio ge-
nerale).
(2) V. intorno all'eleganza ed al fasto di quel percorso trionfale
il Botta, Storia d* Italia dal lyS^ al 1814, to. I, lib. VI, il Bouvier, op.
cit, e la Storia di Napoleone scritta da un italiano, che assicura esser
stato riconosciuto dai francesi che " lo sfoggio fatto dai milanesi ,, oscurò
quello del ritorno trionfale del generalissimo in Francia (voi. I, cap. TV)*
(3) L'aver assistito allora le guardie urbane con coccarde alla
cerimonia è provato dai conti dell' aiutante di campo delle medesime
* al quartiere di S. Barbara in P.t« Nuova » (Archivio civico, Milizia
urbana, Prow, gener,. Materie 661).
(4) Secondo il Becattini, loc. cit, la deputazione si era già riti-
rata quando Buon^parte entrò solennemente in città, passando, oltre
che sotto la porta Romana, sous un are de triomphe de feuiUage et de
fUurs elevi un peu plus loin (Bouvier, op. cit). Per la porta fissa i sol*
dati dovettero, essendo essa stretta, entrer deux par deux (Bouvier).
(5) A tal punto che, in quel pomeriggio, il Consiglio generale
provvide, per il caso d'impedimento del vicario indisposto, a che lo
sostituissero il conte Cavenago e tre conservatori degli ordini. Per la
Congregazione dello stato il Cavenago fu abilitato ad agire e firmare
* solidalmente ccn quelli dei SS.'* Assessori dello stato che si tre ve-
* ranno nel Palazzo , {Appuntamenti del Consiglio generale).
(6) Era una giornata in cui il sole, cinto di nubi, incombeva fosco
(Becattini, Bouvier).
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 325
di polvere, che saliva in alto. Al vedermi si avrebbe detto, ch'io
avessi pianto assai (i), e questo stesso mi afliggeva in quel mo-
mento, in cui era d'uopo mostrare tutta la costanza, quantunque
fusse assai combattuta. Dopo aver date varie disposizioni in Bro-
letto potei anche quel giorno godermi l'ora del pranzo in seno
della mia famiglia, dove trovavo sempre il più caro conforto alle
mie gravissime cure. Passata quest'ora, fummi d'uopo di riprendere
il travaglio nel luogo della mia residenza (2), daddove passai ad
un' ora discreta con altri quattro compagni (3) a C-orte per com-
plimentare di nuovo il generale in capo, eh* ivi avea preso 1* al-
loggio (4), e per presentargli eziandio diverse suppliche già a
(i) Il Becattini, op. cit, lett I, nota che i deputati erano mesti
in volto ** quasi presaghi del lor destino „.
(2) Vedemmo che gli uflSci civici, in base a proposta presa in
esame il 14, accolta quel medesimo giorno 15, sembrava dovessero es-
ser traslocati la mattina seguente in casa Serbelloni.
(3) Il vicario, ritornato da porta Romana, avea fatto accettare
dal Consiglio generale la sua proposta di spedire deputati del Consiglio
e della Congregazione dello stato a Buonaparte (il verbale della Carne-
retta reca : ** Buona parte „ staccato) per " trattare degli affari presenti „
e rassegnargli la supplica che dovevan porgergli al suo ingresso ,
nonché una memoria chiedente il riaprimento " con sigurtà „ dei ma-
gazzini del sale e del tabacco. I delegati scelti per accompagnare il
vicario furono, per il Consiglio, i due conservatori degli ordini C.ti Melzi
e Castiglione, per la Congregazione dello stato, il conte Cavenago e
Don Felice Astori.
(4) 11 JoMiNi, Histoire criiique et militaire, to. I, lib. X, e. LVII,
ed il BouviER, op. cit., asseriscono che Buonaparte scese all'arcivesco-
vado. Il CusANi, op. cit., IV, p. 547, il MELzr, op. cit., I, p. 144, THUGO,
Histoire de fEmpereur Napoleone p. 44, il Muoni, Melzo e Gorgonzola^
p. 163, pongono invece il primo suo alloggio nel palazzo Serbelloni.
Ma le fonti più vicine agli avvenimenti : Peroni, Epitome storico; 1 fran-
cesi in Lombardia; la Storia dell'anno lypó; il Becattini, op. cit., lett. I
i Mémoires de Massena, II, p. 67, concordano colle nostre memorie nel
narrare che alloggiò nel palazzo arciducale. Il Bouvier, che ammette
che questa sede era stata apparecchiata dalla municipalità e che li ebber
luogo i ricevimenti delle autorità, narra col Melzi che il primo a pre-
sentarsi fu il marchese Trivulzio e che il generalissimo lo fece atten
dere, avendo prima dormito e preso un bagno. Già vedemmo del pranzo*
imbanditogli, con accompagnamento musicale di cui sonvi i conti al-
l'Archivio civico. Dicasteri Governo 2), Non consta però che, come narra
il Gaffarel, Bonaparte et les républiques italienneSf p. 6, Buonaparte
326 L' invasione francese in MILANO (I796)
questo fine disposte. Nell'ingresso alla Corte viddi due cannoni,
che stavano sempre colla miccia accesa, ed un albero in mezzo col
beretto rosso (i). Dappertutto vi erano soldati, e cavalli (2), e
vi avea una quantità di popolo (3). Le scale, le anticamere, la
galleria (4), e le sale erano sternite di paglia, su cui giacevano
varj soldati. Entrai nella sala dov'era il generale, quella cioè, che
sta vicino alla terrazza, ed ivi alla finestra (5) mi trattenni eoo
lui per una buon' ora. L'aria viva ed umida era poco acconcia pel
mio mal d'occlii, ma la premura di sentire le massime del gene-
rale, e di scoprire le sue intenzioni rapporto a noi (6) mi teneva
avesse fatto gli onori di quel banchetto ai principaux tnilamaia.^ avtc
une aisanct incroyablt. Il conte V. Bigli aveva fornito per il pranzo
ventiquattro posate d'argento, che furono agguantate dagli agenti mi-
litari per loro servizio (Archìvio civico, Ìbidem).
Da questa soggiorno nel palazzo di Milano il Norvin^ Hisloirt dt
Napoléon, to. I, e, HI, fa datare il principio dell'attitudine imperatoria
di Napoleone.
(i) Il Greppi, La rivoluzione francese. II, p. 345, dice che vi era
un albero in piazza del Duomo già dal la, mentre il Minola, Diario
storieo-polilico, il Peroni, Epilome storico, il Foscarjni dicono che non
fu eretto che il 14. Fu posto " di contro al caffè del Veronese ,. La
Gaeaella di Miìano, il Tertnotnelro politico, Principi dttla rtvolujiione lom-
barda e le Notizie politiche parlano dell'erezione d'un albero * a vista
' del palazzo , nel giorno dell'ingresso di Buonaparte.
(3) " Accamparono in piazza del Duomo, attorniati da curiosi ,
{De Castro, op. cit , p. 78).
fs) La Gaxaetla di Milano, dice che tutti poterono entrare nella
gran sala del convito; it Bouvier, op. cit, p. 584, narra che pendant k
dtntr, la /aule unie aux soldais faisait bombance sur la place du Dòme.
E, con vera esagerazione, parla di fusione delle classi e dei partiti nel-
l'entusiasmo I
(4) tìell' Iitventaire general des meubles et effeis qui exisieni dans
le Palaia auirefois archìducal Jaìt par ordrts des agents mililaires en con-
séquence de l'arrele du Commissaire du Direcloìre Execuiif il a8 pratile
seguente (ora di proprietà del Dr. L. Ratti, cui dobbiamo sinceri rin*
graziamenti per averci permesso di consultarlo), troviamo segnate:
Gallerie gamie d'une rampe en fer e, più avanti, un'altra GaUtrie.
(5) Giù nella piazza intanto venivano suonati inni rìvoluzionarii
dalle bande militari (Gazzetta di Milano).
(6) Non era invero punto escluso che il Direttorio e Buonaparte
pensassero a retrocedere eventualmente la Lombardia all' Austria in
vista d'altri compensi (Mimoires tirés des papiers d'un homme d'élat.
ti^K
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 327
attento a' suoi discorsi, cosicché non badavo al dolor, che mi ca-
gionava la flussione. Sarebbe qui troppo lungo il riferire anche in
compendio ciò, che si parlò, e basterà solo il dire, che quanto
contento fui delle espressioni pulite, e graziose meco usate dal
generale (i), altrettanto rimasi dubbioso sul senso, che dar pote-
vasi alle massime da luì spiegate nel suo fìlosofìco discorso (2).
Congedatomi da lui mi portai cogli altri compagni dal commissario
Salicetti (3), che raggiunse il generale al dazio di P. R. ed entrò
con lui in città (4) e lasciatolo in Corte recossi a casa Greppi (5),
te III; Botta, op. cit, I, 6). Per il momento facevan correr voce per
Milano che sarebbe libero agli abitanti ^ di porsi sotto la protezione
* di una delle vicine potenze, tra le quali il Sermo Dominio Veneto,
* ma eccepita sempre la casa d'Austria, o se vogliano da sé soli so-
' stenersi con quel sistema di governo repubblicano che più loro pia-
* cesse „ (FoscARiNi al doge, 16 maggio).
(i) Secondo il Greppi, op. [cit., II, p. 347, Buonaparte nei suoi di-
scorsi manifestò il giovanile entusiasmo per trovarsi a Milano cosi bene
accolto.
(2) 11 BouviER, op. cit., p. 584, narra che Buonaparte avrebbe al-
lora promesso un libero e prospero avvenire ai milanesi, dando loro
anche consigli di moderazione verso i nobili, non però verso i preti.
V. in LossAU, op. cit., voi. I, p. 38, ed in Jomini, Vie poliiique et
militaire de Napolion, le opinioni attribuite al generale in quei giorni,
da codesti due storici, non senza verosimiglianza.
(3) Il còrso Saliceti, nato presso Bastia nel 1757, di famiglia ori-
ginaria della penisola, avvocato a Corte, membro di assemblee rivo-
luzionarie in Francia, ove si segnalò qual terrorista, morto improvvi-
samente nel 1809 a Napoli, ove aveva diretto la polizia sotto il re Giu-
seppe e di nuovo, dopo un periodo di sfavore, sotto Murat, era uomo
cupido (è sbalorditivo che il Bouvy, Le comte Pietro Verri, p. 252, lo
dica cité comme un modèle de probité) ed animato da un odio feroce
contro il regime che crollava appunto allora in Italia.
(4) Invece il Foscarini, espresso 16 maggio, dice che Saliceti ar-
rivò " il 15 „ verso la sera. Le Notizie politiche del 18 dicono il " lunedi 16 ,
(con " comun giubilo „ si crede in dovere di aggiungere il gazzettiere!),
l deputati da Melegnano avevano scritto V 11 che credevano Saliceti
* disposto a venir domani o dopo innanzi „. Secondo il Michaud, Vie
abrégée de Napolion, fu a partire dall'ingresso in Milano che Buona-
parte prese a rendersi vieppiù indipendente dal commissario postogli
al fianco.
(5) Ignoriamo in base a che il Becattini, op. cit., lett. II, asse-
risca che dimorava nel palazzo arciducale.
328 l'invasione francese in MILANO {J796)
dove s'era trascelto il suo alloggio. Ero stato espressamente do-
mandato dal commissario, il quale volle essere informato del si-
stema delle Amministrazioni camerali, e civiche, ed avere la noti
delle varie Casse, e dei cassieri. Egli ci fece senza mistero com-
prendere, che noi doveamo portare il peso della guerra, e non
mancò di farci travedere l'intenzione di esigere da tutti e specia^
mente dai regolari, dagli ecclesiastici e dalle monache grandi sus-
sidi (1). Noi ci dichiarammo disposti a fare tutto quel chele
forze già esaurite dalle passate contribuzioni di guerra (2) ci avrebber
permesso, ed aggiunsimo qualche cenno per far conoscere l'impt»-
sibilità di poter esigere molto dai Corpi regolari e dalle monache,
perchè avean recentemente sofferto un conquasso pel forzato im-
prestito fatto all' iraperadore di 900 m. fiorini (3). Al che egli
rispose, che tanto più essi dovean contribuire all'armata francese,
e che nel caso di mancanza sarebbero stati inviati in Francia. Con
queste, ed altrettali pillole oppìlatìve passammo tutti nuovamente
al Broletto, e di là verso la mezzanotte io me n'andai a casa per
prendere riposo (4) e per usare la notte an rimedio addittatomi
(i) Il Pertusati commentava questa " Persecuzion di Pria , la
un poemetto incluso con tal titolo nel suo Mentghin solfai /rant*s:
Tr
<. i .llogg mi!il.r
Legionari r»clul
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Lor da b ben, lor
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di bei danéc.
(2) Già il 5 maggio il vicario scriveva all'arciduca di * non avere
' decisamente fondi da anticipare per altre provviste essendo tanto U
" cassa dello stato quanto le provinciali esauste di numerario , (A^
chjvio Nava in Cernusco Lombardone).
(3) È strano come il Botta, op. cit., I, 6, dica che i 'corpi ecd^
siastici eran " da sì lungo tempo immuni „. Quell'inverno medesin'O
erano stati obbligati a comprare tanti biglietti del prestito a foriM di
lotteria per il valore di '/4 della loro rendita annua.
(4) Fu appunto coricandosi quella sera che Buonaparte espose a
Marmont i suoi audaci, fieri propositi, di cui t riportata l'esseiwa nei
Mémoirts du duc de raguse, to. I, p. 179, cui ci richiamiamo nella no-
stra prefazione, v. fase, precedente. Cfr. nota 4, p. 335.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 329
per il male degli occhi consistente neir applicazione alla parte in-
fiammata di pomi cotti, che unito all'uso dei bagni di acqua fresca,
di cui mi sono servito frequentemente alla giornata, mi produsse
un eccellente effetto. Cessommi tosto il dolore, e dentro due giorni
finì affatto la flussione, e mi trovai nello stato naturale, e ben ne
aveo bisogno.
Perciocché incominciando dal lunedi sino al sabbato, in cui mi
fu tolto l'esercizio della carica, non posso esprimere quanto mi sia
toccato di lavorare, e quanto meco tutti abbisui lavorato e decu-
rioni e municipalisti, ed assessori dello Stato, ed altri cittadini
aggiunti alle varie delegazioni. Basta il dire, che invariabilmente
dovetti passare alla residenza quattordici e più ore continue al
giorno (i), e privarmi ben anche del sollievo di pranzare colla
mia famiglia. Le ore della notte anch'esse non erano placide, e
perchè il sonno mi veniva spesse volte turbato da chi presentavasi
a ricercar provvidenze istantanee, e perchè una folla di pensieri
tristi e melanconici mi ingombrava continuamente, e mi agitava lo
spirito. Debbo nonpertanto ringraziare in modo particolare la Prov-
vidtfnza Divina d'avermi mantenuta costantemente la sanità per
tutto quel tempo, in cui parevami, che la mia comunque tenue
abilità portasse qualche giovamento al pubblico bene, ed influisse
in qualche maniera a mantenere l'ordine, e la tranquillità (2). 'E
si che a questo scopo doveano essere specialmente rivolte le mie
sollecitudini e per soddisfare la geniale mia inclinazione ed amo-
revolezza, che sentivo sempre più crescermi in seno per il buon
popolo milanese, e per non mancare all'impegno, che per tal ri-
guardo ne aveo espressamente assunto col general Bonaparte. Nel
corso de' sopramenzionati giorni è indicibile l'affollamento degli
(i) Almeno i membri del Consiglio generale e della Congrega-
zione dello stato si erano organizzati un turno, sì che sempre fosse
• sedente un dato numero „ (Appuntamenti del Consiglio generale).
(2) Malgrado l'asserzione del Termometro politico. Disposizione
del popolo milanese a rigenerarsi calcolata, si sarebbero per altro dovuti
lamentare atti dì violenza e lascivia per parte delle soldatesche francesi.
(Becattini, op. cit, lett. 1). V. nelle fonti: Botta, op. cit, I, 6; Manto-
VMajJ)iario politico-ecclesiastico, I; Verri, Lettere e scritti inediti, IV,
p. 220, alcune testimonianze dell'affiatarsi, col favore di quella relativa
pubblica tranquillità, del popolo milanese coll'esercito invasore.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 33I
calzoni, di gillet (i), di cappelli (2), di scarpe (3), di sacchi e
sacchetti ; fra le molte poi di vario genere, che non è pos-
sibile di qui tutte riferire, meritan d* essere ricordate special-
mente quella di un milion di pietre focaje (4), l'altra di 200 bovi
da darsi dentro poche ore, quella de* fucili della Civica Armeria,
eccettuatine 600 da riservarsi per servizio della milizia urbana da
consegnarsi, e farsi tradurre fuor di Milano ed in qualche distanza,
sul momento (5), l'altra di fornire entro tre ore settecento uomini
da destinarsi ai lavori per l'assedio, che fortunatamente non ebbe
sotto quella data il suo effetto (6), e da ultimo per tacer di molte
(i) V. in Raccolta degli ordini $d avvisi, p. 11, l'invito ai sarti da
uomo ** per fare le loro oblazioni all'appalto dei gilet e calzoni „.
(a) Deux mille chapeaux (Requisizione di Lambert il 29 floreale).
(3) Cinq mille paires de souliers (loc. cit). Augereau scriveva il 19
a Buonaparte d'aver ricevuto 1500 paia di scarpe; Massena e Serurier
ricevettero mille paia ciascuno per le loro divisiom*; Favant-garde^ qui
avait use davaniage en raison des marches forcéeSf en per^ut 2000 paires
(BouviER, op. cit., p. 629, nota i). Però il 25 maggio Kilmaine si la-
gnava con Berthier che, grazie alle scarpe nuove, l'infanterie a les pieds
en compote.
(4) Cfr. Pertusati, Rappresentanza de Meneghin, " prei de sciopp ^.
(5) L'ordine di Despinoy, comunicato al Consiglio generale nella
seduta del 16 alla sera era per " 3 milla fucili colle loro bajonette „.
Pare non ve ne fosser tanti nell' armeria e si deliberò di consegnar
quei che v'erano, ritirando l'indomani il rimanente ** dall'attuale ser-
vizio della milizia urbana „. Venne poi nel Consiglio il detto generale
■ e pertossi col sig.' vicario a riconoscere l'armeria, e partì coU'intel-
• ligenza di tenere pronti li fucili sopra carri per spedirli questa notte
• ove sarà additato fuori della città „. Duemila furono distribuiti alla
divisione Serurier; il rimanente fu verse au pare d'artillerie de Lodi
pour parer aux besoins successifs des demi-brigades (Bouvier, op. cit.,
p, 629). V. Correspondance de Napoléon Jer^ to. I, n. 428 e 429. Il Bouvier,
come le canzoni milanesi riportate dal De Castro, op. cit, p. 80, inter-
preta questa requisizione come prova di sfiducia verso i milanesi. Ve-
ramente essa si spiega anche senza di ciò, date le esigenze dell'esercito.
(6) Secondo la Gazzetta di Milano, confermata dal Peroni, Epi-
tome storico, nella notte dal 16 al 17 si calcolava di dar principio * al
• lavoro delle trincee „ e " a tal fine si erano fatti venire in città 750
• paesani dei Corpi Santi.... ma poi questi furono rimandati, ed il la-
• voro trovossi differito „. Veramente nella Raccolta degli ordini ed
avvisi, v*è a p. io l'ordine * agli anziani di unire subito sulla piazza
■ di S. Damiano alla Scala gli uomini delle rispettive parrocchie abili
• a portar terra „ ed ha la data del 17.
332 L* INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
altre quella di far illuminare la città ed il teatro per ben due
volte (i), e di disporre una festa nel salone di Corte, che non
fu fatta (2), ed un' altra nella casa altre volte del ministro ple-
nipotenziario (3), che fu eseguita nella sera del venerdì giorno
20 di maggio. Converrà qui di avvertire , che alarne delle
accennate requisizioni, e segnatamente quelle de' fucili, e degli
uomini furono personalmente sollecitate dallo stesso general De-
spinoy , comandante della piazza (4)3 il quale bene spes-
(i) V. Raccolta degli ordini ed avvisi, pp. 8 e 18. Secondo il Pe-
roni, che qui probabilmente si confuse, vi fu già un' illuminazione il 14
" comandata dal Consiglio generale „; ma del comando non hawi trac-
cia. D'ordine del generale Despinoy (se ne conserva 1* autografo nel*
l'Archivio Civico, Dicasteri Governo 2j), fu fatta 1* illuminazione del 19,
celebrandosi in tutta la repubblica la festa delle vittorie in onore del-
l'esercito d'Italia. Può essere una svista il fissare al 27 fiorile (— 16
maggio) * l'accademia nel teatro della Scala „ di cui parla un mandato
della cassa civica provinciale (Archivio civico, Dicasteri Governo 2j). 11
16 il teatro non consta fosse illuminato. Per altro le Notizie politichi
fissano pure l'accademia al 16 * essendo tutto il teatro illuminato a
* giorno „ e potrebbe anche essere benissimo che V illuminazione della
Scala fosse avvenuta il 16 senz'essere stato pubblicato apposito avviso
del Consiglio generale, né è da escludersi l' ipotesi che l'accademia cui
si accenna non sia da connettersi necessariamente ad un' illuminazione
speciale. V. nella Gazzetta di Milano e nel libro del Bouvier la descri-
zione della prima di queste serate alla Scala e nella nota (2) a p. 6 del
Gaffarel, op. cit., i dettagli sul rifiuto dei cantore Marchesi ad inneg-
giare ai francesi. ,
(a) Nondimeno i Me'moires de Massena,!], p. 67; il Lee, Campaigns
of Napoleon, p. 87; il Boitvier, op. cit, la descrivono.
(3) Il barone Giuseppe de Wilczcck, conte del S. R. 1., soprin-
tendente generale e giudice supremo delle R. R. I. I. Poste, commis-
sario imperiale e ministro plenipotenziario per i feudi in Italia, e mi-
nistro plenipotenziario nella Lombardia austriaca, abitava in corso P. 0.
668, in una casa che comunicava internamente col palazzo del duca
Serbelloni, cui riteniamo appartenesse (relazione dei delegati a studiare
la possibilità di trasportare in casa Serbelloni gli uflfici civici, nell'Ar-
chivio civico). 11 MiNOLA, Diario, parla d' * invito misto di dame e di
• signore „ per questa festa, di cui pagò le spese la cassa civica pro-
vinciale (Archivio Civico, Dicasteri Governo 2j).
(4) Despinoy (1764-1848) era un ufficiale dell'antico regime rimasto
nell'esercito e salito rapidamente di grado durante la rivoluzione, poco
in favore durante V impero, del che si sarebbe vendicato sotto la Re-
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 333
SO (i) solca farci l'onore delle sue visite in Broletto ad intimarci con
tono maestoso e severo Tesecuzione degli ordini sotto la nostra re-
sponsabilità. E qui mi cade in acconcio di riferire, che la mattina del
giorno 20 entrò nella sala del Consiglio con un' aria minacciosa, e
cercato conto di me investimmi (2) dicendo, che maravigl lavasi d'aver
visto stampato l'editto proibitivo l'estrazione dei grani dallo Stato da
me soscritto (3), senza che fusse da lui preventivamente approvato.
Per buona sorte s'era fatta la consulta al general Bonaparte, ed
egli aveala tornata col decreto d'approvazione (4), in vista del
quale si compiacque di cangiare il tuono di riprensione in quello
di affabilità e dolcezza, e fu allora, che distribuì un foglietto stam-
pato contenente l'invito per il ballo fissato alla sera. In appresso
prendendo un esemplare del succennato editto in mano disse, che
non doveasi più usare lo stemma civico, e che si potevano invece
sostituire i motti di libertà, ed eguaglianza (5). Ma siccome su di
staurazione. 1 Mémoins di Marmont dicono che Buonaparte 1* aveva
allora distingue, perchè, soggiunge il Bouvier, essendo stato a Tolone,
era atto a dirìgere l'assedio. Marmont, op. cit., I. p. 176, aggiunge che
il passai! pour instruU. A Milano apparve violento, volubile, non cattivo.
Abitava in casa Sanazzari (al Marino n. 1912), ov* erano ricche colle-
zioni. {Guida di Milano antico e moderno ^ p. 286).
(i) Per es. il 15 ed il 16 maggio- 11 primo giorno disse avere:
• il tutto a partire o dipendere dai suoi ordini ^ {Appuntamenti del
Consiglio generale).
(2) Forse questa violenza ebbe parte nel dar origine alla fiaba
che, irrompendo a quel modo nella sala, un bel giorno Despinoy avesse
abolito il Consiglio generale, il che fa opera di Buonaparte, come ve-
dremo.
(3) V. Raccòlta degli ordini ed avvisi^ p. 11. Il 28 maggio la Con-
gregazione dello Stato confermò la proibizione. (Minola, Diario sto-
rico politico). In grani era accusato di speculare Tarciduca-governatore :
Dès le 16 mai,on vendali parlout une caricature qui représentait l'archiduc
vice-roif lequel déboutonnait sa veste galonnée et il en tombait du blé, Les
fran^ais ne comprenaient rien à celle figure; (Stendhal, Vie de Napo-
léon, VII). 11 provvedere al vettovagliamento era per tradizione uno dei
principali incarichi affidati al vicario.
(4) Buonaparte avea pochi dì prima provocato una misura ana-
loga nel Lodigiano (Correspondance de Napoléon I^, I, n. 401).
(5) Apparvero in testa agli avvisi emanati dalla municipalità, to-
stochè ne fu mutata la composizione (v. Raccolta degli ordini ed av-
visi, p. II).
334 l'invasione francese in Milano (1796)
ciò non era fatto alcun decreto positivo pigliossi l'espediente di
ommettere tutto, e di apporre nel mezzo il solo titolo d'avviso. Per
quanto le succennate requisizioni fussero grandi nella loro impor-
tanza, moltiplici nella quantità, e diverse nella specie, e qualità e si
riunissero nel tempo stesso altri affari gravissimi, che meritavan tutta
quanta l'attenzione, posso con sicurezza affermare, che si è fatto
umanamente tutto quel, che era in nostro potere, per servire alle
urgenze con ogni celerità, e non senza il contemplato effetto (i),
sebbene i proprietarj delle merci sottoposte alla requisizione dub-
biosi d'ottenere il lor pagamento avessero cominciato a muovere
non poche difficoltà. Colle insinuazioni amorevoli, e colle minaccie
si ottenne l'intento, e le requisizioni o nei termini, e nelle misure
prescritte, o con qualche dilazione e modificazione furono sempre
soddisfatte, dimodocchè per confessione spontanea degli stessi
ufficiali dello stato maggiore, e de' commissarj l' armata dovea
essere sommamente contenta dell'impegno, e del zelo con cui tutti
e ciascun di noi ci prestavamo a secondare, e soddisfare le sue
domande. E non era poco il poterlo fare dopocchè ci furon tolti
i mezzi di pagare li somministranti (2) col sequestro e collo spolio
di tutte le casse (3), che venne eseguito d'ordine del commissario
(i) Infatti dopo la grande rivista passée par les cotntnissaires dt
guerre fBouviER, op. cit., p. 629) il 19 maggio Saliceti pouvait écrire am
directoire que les approvisionnements étaient au compiei et que rien ne
manquait pour poursuivre les victoires, conclusione che il Rùsrow, op.
cit, p. 140, impugna, tacciandola di interessato eufemismo.
(2) Attendendo l'esazione, che non poteva farsi dall'oggi al domani,
di un'imposta straordinaria, la Municipalità fu infatti costretta a chie-
dere il 17 a Saliceti un prestito (!) di 300.000 lire per poter soddisfare
i * più premurosi bisogni dell'armata «. Risulta che, per ordine dd
commissario, il vicario ricevette L. 203,700 il 18 maggio. V'è la ricevuta
a firma Nava nell'Archivio Civico {Dicasteri Governo 2j). lì Castiglioni,
il 15, quando furono suggellate le casse civiche dal commissario Leorà,
l'aveva invano ammonito a non scordare queste imprescindibili neces-
sità. £ r impiegato Narducci l'aveva prima ancora fatto presente.
(3) Già Massena aveva * portato via per proprio uso dalla regia
" cassa del dipartimento di finanza situato nel palazzo Marino, circa un
* mezzo milione di lire „ v. Bbcattini, op. cit, lett II. Il Verri crede
questa " occupazione di tutte le casse.... fatta di notte f, molto impoli-
tica. 11 francese Gachot, La première campagne d'Italie^ p. 146, riconosce
che Saliceti prese, colle armi alla mano, des monceaux d'or.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 335
Salìcettì (i). Né le sole casse soggette airAmministrazione civica
furono vuotate in un momento (2), ma varie altre ancora come
quella dell'Istituto Elemosiniere e delle pie fondazioni (3), dei
Capitoli del Duomo (4) e della Scala (5), del Monte di Pietà,
cui furono ben anche sottratti tutti i pegni e gli effetti preziosi (6),
(1) 11 grottesco sta in ciò che il Termometro politico, Principj della
rivoluzione lombarda, seguito molto stranamente dal Tivaroni, L* Ita-
lia durante il dominio francese, I, attribuisce questa rapina all'arciduca e
la pone al 7 maggio. Da un diligente esame non risultò a noi di aspor-
tato dai tedeschi che un medagliere tolto dalla R. Biblioteca di Brera,
una carta topografica, e fors' anche instrumenti dell'Osservatorio ; (Mi-
mola, Diario 4 Maggio). Il Becattini, op. cit, lett. Ili, narra che un cas-
siere mandò suo figlio a portare in Germania del denaro per conto
dell'arciduca, ma dal contesto appare trattarsi di beni personali di quel
principe.
(a) Il 15 maggio nella mattina il conte Melzi fece accompagnare
dall'ufficiale civico dott. Narducci (di cui vi è il rapporto nell'Archivio
Civico, Dicasteri Governo, 2j) il commissario Leorà nel porre i suggelli
alle casse poste " alla Casa della Finanza » e * alla Casa del Dazio
Grande in Viarenna ,. Si suggellarono pure i libri della Dogana Ro-
mana * per non esistere ivi la cassa „ il che fu pure fatto alla Do-
gana di S. Marco. 11 Leorà sospese l'uscita dei generi ai magazzeni del
sale, del tabacco e del salnitro. Nel pomeriggio, verso le sei, il Leorà,
venuto in Broletto, suggellò la cassa del commissariato e quella dello
Stato. Il 16 alle 9 di sera furon apposti i suggelli al Banco di S. Am-
brogio, donde tolsero il dì seguente alla medesima ora L. 64.133.14.
Tra le casse civiche e Banco di S. Ambrogio si rubarono L. 1.144.311.
(3) Al Luogo Pio della Divinità fecero sborsare i francesi L. ia.ooo.
Dalla cassa di S. Corona furono asportate L. 126.326; dal Luogo Pio
delie Quattro Marie L. 1493; da quello della Misericordia L. 38.745; da
quello detto Centrale L. 9810; dall'altro della Carità L. 24.297 ; L. 18.000
dal Luogo Pio di Loreto (specifica in Archivio Civico, Dicasteri Governo 2j).
Nondimeno (v. Minola, Diario) i Luoghi Pii continuarono la distribu-
zione delle limosine. 11 16 maggio i loro deputati avevano però ricorso
al Consiglio generale, non sapendo come provvedervi.
(4) Furono pure prese L. 1448 dalia fabbrica di S. Celso, 6000 da
quella del Duomo, 260,000 lire dalla cassa del fondo di religione.
(5) Ove tre commissari si fecero dare dal can. Francesco Rosales
le L. 1348 ch'erano in cassa, sebbene il can. osservasse " che tale somma
■ era destinata per i subalterni del Capitolo ^ (Rapporto del preposto
Sforza de) Majno).
(6) Saliceti, con abuso vivacemente stigmatizzato dagli storici (vedi
Botta, Storia d'Itak'a dal 17S9 al 181 4, to. I, lib. VI ; Papi, Commentarii
33^ l' invasione francese in MILANO (1796)
e di varj altri stabilimenti (i), de' quali verrà qualche giorno in
acconcio di farne la serie, e di analizzare le perdite. Quel ch'io
posso dire delle Casse civiche si è, che sonosi volute spoliare del
danaro senza lasciare una ricevuta, che potesse ad ogni caso ser-
vire di giustificazione ai cassieri non meno, che agli amministra-
tori (2). Non ho mancato di farne le istanze, ma senza profitto,
della rivoluzione francese, to. II, lib. V^, dichiarò preda di guerra denaro
e pegni del Monte. Il 20 maggio mattina il cassiere generale dell'eser-
cito KoUot rapiva dalla cassa del Monte L. 93.722; poi il 23 il medesimo
s'impadronì di 1152 pegni, su cui il Monte aveva sovvenuto L. 694.499.
" Nel giorno seguente. .. poneva la mano sopra altre L. 23^)25 ,; (Calvi,
Vicende del Monte di Piefà, che espone come le limitazioni poi recate
alla rapina non fossero gran cosa o, come la restituzione gratuita dei
piccoli pegni, costituissero un nuovo disastro per il Monte). Il Bouvkr,
Bonaparte tn Italie, implica in quella rapina anche la responsabilità di
Fesch, che fu poi cardinale.
(i) Secondo il Becattini, op. cit, lett. I, si derubò fin la ■ cassa
" de' depositi, lasciata sui tribunali da litiganti sino alla decisione a chi
" appartenessero le rispettive controverse somme „,
(2) Secondo il Becattini, Massena non si contentò di rubare, senza
rilasciar ricevuta, quel mezzo milione la prima sera, al quale abbiamo
già accennato (v. nota 3, p. 334); ma tentò con una scenata di far apparire
che gli fosser stati consegnati 3000 zecchini in meno di quanto era indicato
nella nota; poi si volea indurre il cassiere a firmare un elenco dei valori
consegnati di molto al disotto del vero e lo si privò poi dell'impiego, per
castigarlo della sua onestà. Alessandro Verri, nelle Vicende memora-
bilif lib. XXXIX, p. 200, con qualche variante, narra la medesima cosa.
Nelle carte dell'Archivio Civico milanese che trattano di questi giorni
il trovar traccie di ricevute, come là ove Lambert le promette (requi-
sizione del 29 floreale), è cosa più unica che rara. Non si rilasciò rice-
vuta al Banco di S. Ambrogio. Peggio ancora accadde al Capitolo
della Scala: " Il can. Rosales chiese loro (ai commissari) per ultimo,
• anche per propria giustificazione, una quitanza del denaro, che si
• riportavano, ed essi replicarono, che questo doveva anzi farsi a loro
• dal can. medesimo locchè egli esegui „. (Relazione del Majno).
Il conte Pietro Verri, per il primo (Lettere e scritti inediti, IV,
p. 395), ritiene che quei figuri, che rubavan fino i libri dei cassieri per
loro sicurezza, si sien tenuto ogni cosa ed opina che a frenare tali
ladronecci avrebbe valso l' inviare tosto a Parigi delegati del Consiglio
generale. Ma al Direttorio uflScialmente o confidenzialmente Buonaparte
faceva tenere parte ragguardevole del bottino. V. RGstow, op. cit,
p. 140 ; Mémoires tirés des papiers d'un homme d'itat^ III, che concorda
col BouviER nel ritenere che Buonaparte, pur non amando quei furti.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 337
e soltanto ottenni per la Cassa dello Stato di far tenere una specie
di numerato formato dairufficiale medes.*, che fu incaricato della
esecuzione de' superiori ordini, lo che non venne accordato per le
altre Casse (i).
Mentre noi stavamo affaticandoci per soddisfar con prontezza
alle inchieste di ogni genere, che ci venivano fatte, e doveamo
veder con dolore i gravissimi danni, che lo Stato ed i suoi abi-
tanti andavano a soffrire col soddisfacimento di tante e tanto co-
stose requisizioni, la nostra sorte andava ogni di più deteriorando
non senza precipizio, e noi medesimi fummo costretti di avveder-
cene, e di conoscerci nel tempo istesso inabilitati a porvi riparo.
Il Qub di sopra nominato avea pubblicamente spiegato il suo par-
tito (2). Esso prese a forza (3) la casa del principe KevenhOller (4)
per fissarvi la sua residenza. Ivi teneva le sue sessioni, ed accet-
tava i nuovi individui, che correvano in folla ad ascriversi, cosic-
ché in breve il catalogo di essi era divenuto assai numeroso (5'. Il
frutto delle prime sessioni fu la pubblicazione di affìssi stampati,
se ne serviva per tenere in sua balia i ladri. Con tutto ciò, è proprio
un poco troppo Tosar scrivere, parlando della campagna d' Italia : Na-
poléon éiati d'une intégriié inflexible et ne iolérait pas qu'on y manquàiì
(Prince Napoléon, Napolion et ses détracteurs, p. 44). Quando nel 1814
si tentò di ottenere un risarcimento dalla Commissione centrale di li-
quidazione in Parigi per una delle più enormi spogliazioni (quella del
Monte di Pietà) i reclamanti si sentirono rispondere che la domanda
era inammissibile, trattandosi di arbitrarie ed illegali misure dei capi
dell'esercito (Calvi, Vicende del Monte di Pietà, p. 99).
(i) Veramente fu concesso anche per la cassa del Banco di Sant'Am-
brogio (Relazione Pestagalli nell'Archivio Civico, Dicasteri Governo, 2j),
(2) Cominciò a radunarsi in Rugabella il giorno 15 (Peroni, Epi-
tome storico).
(3) Secondo P. Verri, Lettere e scritti inediti, IV, p. 210), la sede
gli fu * assegnata „ dai suoi protettori Buonaparte e Saliceti.
(4) Nella contrada di Rugabella, n. 4226, abitazione del principe
Sigismondo Kevenhtìller. (Il consultore conte Emanuele, che partì col-
l'arciduca, abitava in contrada di Brera, 1556). Nell'alloggio di Ruga-
bella già avevano abitato, nell'interregno, tre commissari repubblicani
(Becattini, op. cit, lett. II). Servì poi per gli uflSci dell'Agenzia militare.
(5) Secondo il Foscarini, Espresso n. 102, il giorno 16 contava
già 600 membri. Il 17, Buonaparte scriveva al direttorio che il Club
contava Soo individusj tous avocats ou négociants, (Correspondance de
Napoléon /f, i, n. 437).
338 L* INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
ne* quali e s'invitano gli amici della libertà ed eguaglianza ad
aggregarsi alla nuova società popolare, e si annunzia al pubblico
la sua fondazione stabilita sotto il padrocinio, e coll'autorìtà del
general Bonaparte (i) e del commissario Salicetti, e si inveisce
contro i Corpi civici, contro i nobili, e contro tutto ciò, che sa d'ari-
stocratico (2). Altro frutto delle sessioni, fu il solenne impianto
dell'albero della libertà fatto sulla piazza del Duomo (3), dietro la
processione de' socii eseguitasi nel dopo pranzo del giorno 18 (4)
(i) Secondo il Termometro politico^ Principj della rivoluzione lom-
barda, Buonaparte e Saliceti avrebbero assicurato quei demagoghi della
loro amicizia già quando inviarono loro una deputazione.
(2) Secondo il Cubani, Storia di Milano^ IV, p. 353, ed il Manto-
vani, Diario politico ecclesiastico, to. 1, Buonaparte era in cuor suo molto
più propenso ai cosidetti aristocratici che ai democratici.
V. nel Becattini, Storia del memorabile triennale governo, lett. I,
la storia abbastanza piacevole dell'ammissione, prima rifiutata, poi, per
ordine di Buonaparte, concessa, del duca Serbelloni alla Società popo-
lare. L'odio contro il partito avverso era così fiero nell'animo dei clu-
bisti che il 18 inviarono alcuni di loro a Despinoy, presentandogli ana
nota dei capi delle principali famiglie dell'aristocrazia dei quali chiede-
vano l'arresto. Despinoy infuriò e li mandò via. (Cusani, op. cit., IV,
p. 369). Tanto il Verri, Storia dell'invasione, p. 398, quanto il Botta,
Storia d'Italia dal jjS^ al 1814, to. I, lib. VI, p. 222, entrambi calorosi
fautori delle nuove idee democratiche, concordano nell' affermare sem-
plicemente assurdo questo guerreggiare contro un'aristocrazia che era
lungi dall' imitare quella di Francia nell'opprìmere il popolo. Massena
aveva, pare, inostrato dapprima l'intenzione di un più savio ed equo
atteggiamento : *^ Si ascoltò una voce fra il popolo che disse: A bas la
• noblesse. Massena replicò: Non, mes amis — Five la nafion /ranfaise,
* vive le peuple de Milan , (Verri, Lettere e scritti inediti, IV, p. 209).
(3) V. nel Becattini, op. ciL, lett I e nel Cusani, op. cit, IV,
P* 358*59» la descrizione di quella mascherata nella quale si sfoggiarono
gli emblemi massonici. Il Verri, che, nella Storia dell'invasione, p. 397,
crìtica lungamente la cerimonia e fra l'altro osserva * niente avere di
* connessione un palo colla maniera di essere governati , , narra come
poco piacesse al popolo quella festa. Il Papi, Commentarti della rivotu-
sione francese, to. II, lib. V, fa per altro una confusione con awenh
menti di poco posteriori là dove narra che molta plebe • tentò di op-
• porsi e disturbare la cerimonia ,.
(4) È strano come il Termometro politico, Principj della rivolu-
sione lombarda, ponga l' innalzamento solenne dell'albero in piazza dd
Duomo al giorno 23. Il Peroni, Epitome storico^ indica la data del 19.
L* invito diramato dalla Società popolare era per il 18 alle 5 dì sera
{Allegalo j, a Dispaccio loj del Foscarini).
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 339
dalla casa della residenza alla piazza suddetta, dove si tenne una
festa popolare (i). Dio buono! quai colpi furono questi al mio
cuore I Mi parca di vedere le conseguenze terribili, che ne dovean
venire da sifatti funesti principii, e mi si parava d'innanzi un -av-
venire ahi quanto lagrimevole. Né mi sono ingannato. Continuarono
gli affissi, e se prima eran pubblicati anonimi, dopo eran regolar-
mente soscrittì dal presidente del club e dal segretario (2). U
primo era Cattaneo (3), e l'altro Barelli (4). Questo nome mi
richiama un aneddoto, che non mi posso dispensare dal qui riferire.
Stava lavorando in Broletto per dar passo agli affari, quando venni
chiamato da im anonimo in disparte. Gli domando cosa egli vuole
da me. Ed egli segretamente all'orecchio mi dice, ch'era venuto a
prendere un consiglio. Mi fece l'onore di dichiararmi la sua con-
fidenza filiale in me, che mi considerava padre comime di tutti, e
ben mi stava questo tenero nome in quei momenti, ne' quali pa-
revami veramente di nutrire un amor paterno per tutti. Indi ani-
mato da me a spiegarsi chiamommi, se poteva aderire alle pres-
santi istanze, che venivangli fatte di dare il suo nome al club.
L'interrogazione, com'era ben naturale, mi mise in avvertenza e mi
nacque tosto il sospetto, che mi si volesse tendere un laccio. Mi
tenni perciò alla larga e con termini generali gli risposi, che non
ero in grado di dar consigli sopra un oggetto, di cui non aveo
veruna contezza. Egli non contento andò viemmaggiormente insi-
stendo, e pregando per essere consigliato. Allora io gli dissi, che
assolutamente non poteo consigliare veruno su questo punto, per-
ciocché, quantunque sapessi per le stampe uscite l'esistenza del
club, non mi erano note le sue leggi, i suoi principii, le sue mas-
sime direttrici, e dietro le nuove istanze conchiusi, che, ogni qual-
(i) Non vi presero parte che uomini e donne dei bassi fondi, sì
da disgustare * gì' istessi soldati francesi d' infanterìa, che stavano in
sentinella a scanso di maggiori disordini ,. (Bscattini, op. cit, lett. I).
(a) Altro segretario era poi (v. l'invito suindicato) un certo Pietro
Mantegazza.
(3) • Chirurgo rivoluzionano bergamasco e fuggitivo per tal mo-
tivo dal suo natio paese „ (Becattini, loc cit).
(4) Secondo il Peroni, Compendio storico^ era questi il compagno
ntrato giorni addietro col Salvador!. V. nota 4, p. 117, del fascicolo
^^edente di quesf Archivio. Il Bouvier, Bonaparte en Italie, p. 574^
^fo il Barelli, quanto il Cattaneo, fra i meneurs dell'interregno,
'*''^^' 'Sìor. l^omb., Anno XXIX, Fase. XXXVI. 22
340 l'invasione francese in MILANO (1796)
volta nel club non sì fusse immaginata, trattata^ o stabilita cosa
contraria alla Religione cattolica romana, alla subordinazione dovuta
alla Repubblica francese attuale nostra sovrana, ed al bene della
patria, e de' suoi abitanti, non avrei trovata difficoltà, che chiunque
potesse ascriversi. Giimse in questo momento un decurione, il
quale conosceva questo soggetto, e salutoUo per nome. Sentii
chiamarlo per Barelli, e dovetti comprendere, ch'egli era il segre-
tario del club, il quale m'avea voluto tendere il laccio, e prendermi
per sorpresa. Fortunato lui, che mi abbia tentato in un tempo, in
cui mi era accostumato a pigliar tutto con indiflFerenza, ed a sangue
freddo, perchè invece di cacciarlo fuor dal Broletto a colpi di
bastone ed a calci, come si era meritato, mi limitai a dargli una
sonora riprensione, di cui peraltro il temerario non diraostrossì
molto sorpreso.
I progressi, che andava continuamente facendo la società po-
polare, ed i sanguinosi affissi, che si vedevano ad ogni tratto pub-
blicati, ci occuparono seriamente, e paread omai indispensabile di
prender qualche partito (i). Non e' eravamo accorti, o lo seppimo
troppo tardi, che oltre il mimicipalista Visconti (2), ed il coadiu-
(i) Secondo Pietro Verri, Storia delfitrvasione^ p. 395, i decurioni
avrebbero dovuto cooptare * un ugual numero di onesti cittadini non
* nobili, e in tal guisa togliere l'odiosità d'un governo meramente ari-
• stocratico, e conciliarsi quella popolare fiducia che s'era perduta per
■ le vicende sotto Giuseppe e Leopoldo. „
(2) Il marchese don Francesco Visconti, figlio di Alberto e di
Antonia Eleonora del marchese Pietro Aimo Goldoni Vidoni di Cre-
mona, era allora uno dei due • Elstimati Patrizj „ membri della Con-
gregazione municipale, ricevendo per tal carica dalla cassa civica pro-
vinciale un salario annuo dì L. 2500. Faceva parte della seconda dele-
gazione per le strade. Era inoltre membro della Congregazione militare
di Milano. Fu in quei giorni uno dei delegati per studiare il modo di
valersi del palazzo Serbelloni, generosamente ofierto dal duca Galeazzo,
per trasportarvi eventualmente gli uflSci civici minacciati dal cannone
del castello. Nell'Archivio Civico milanese si serba la relazione di
quei delegati. Il Visconti era stato dapprima avviato alla carriera ec-
clesiastica, nella quale uno zìo suo aveva raggiunto l'onore della por-
pora. Fu poi uno dei primi fautori in Milano delle idee rivoluzionarie
venute in favore in Francia, donde rapidamente se ne diffondeva il
contagio. Ebbe parte nella prima municipalità democratica succeduta a
quella nella quale era collega al Nava. Narra il Litta, Famiglie celebri
italiane, v. XV, Visconti di Milano, tav. 9, come accasciato per le violenze
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 34I
tore della ragionateria dello Stato Nicoli (i) vi avean nello stesso
Consiglio generale due individui ascritti al club (2). Quanto noi
parlavamo con effusione di cuore era pochi istanti dopo riferito
allo stesso club, e servivagli di norma per prevenire l'uso dei
mezzi tendenti a rendere frustranee tutte le nostre diligenze.
dalle quali non aveva rifuggito il generale Despinoy in occasione del-
l'avventato decreto dei municipalisti per l'abolizione della nobiltà, si riti-
rasse il Visconti nella Svizzera, per breve tempo però. Fu pochi mesi
dopo ministro della repubblica cisalpina presso la francese. Ed apparve
troppo devoto alla sorella dominatrice. Nel 1799 i tredici mesi lo tro-
varono ministro presso la Repubblica elvetica. Ristabilita la cisalpina,
Francesco Visconti fu membro del comitato che amministrò la Lom-
bardia per tre anni. Poco in favore durante il regime napoleonico, se
ne rammaricava, sì che ^ quando vide istituito l'ordine della corona di
• ferro, implorò d'esserne decorato colla fiducia di goder la considera-
** zione d'uom distinto dalla Corte, e di ottenerne in seguito il favore.
• Le interposizioni del principe Berthier gli ottennero nel 1807 la gra-
** zia, ma nel seguente anno morì ai 13 maggio „ (Litta, loc. cit.). Fu
uomo di opinioni accese, prodigo, ambizioso, debole; ma serbò fama
illibata. Aveva sposato Giuseppina figlia di Ambrogio Carcano e ve-
dova di Giovanni Sopransi.
(i) Riceveva il Nicoli un salario di 2000 lire, a carico dello Stato
(sicché nell'ultimo anno gli venivan ritenute 49 lire per la contribuzione
di guerra). Il Cusani, op. cit. IV, p. 370, lo dice ** oscuro intrigante „
ed il Verri, Storia dell' invasione y p. 408, lo considera " uomo di somma
• presunzione, di carattere occulto, e di nessuna scienza. „ Ma il Bouvier,
op. cit, p. 614, sembra credere suflficiente elemento di un più favorevole
giudizio l'ambasciata a Parigi, affidata pochi dì appresso a l'arithmèticien
Carlo Nicoli.
(a) " Sin'ora però nessun uomo di qualche concetto vi si è fatto
" mscrivere „ (P. Verri al fratello Alessandro, 18 maggio, in Lettere e
Scritti inediti, IV, p. 210). Errano dunque i Mémoires de Massena, II,
P- 70, chiamando i membri del governo decurionale (di cui vediamo qui
due imbrancarsi coi più esaltati e screditati repubblicani) partisans de
l'Auiriche, Proprio la mattina del 14, in cui si attendeva Massena, il
consigb'o generale, preso in esame " il punto se debbasi levare dall'aula
il busto di Leopoldo Secondo, coprendo con gesso anche le iscrizioni
" del piedestallo, e delle lapidi laterali attesa la contrarietà esternata dal
governo francese ai monumenti austriaci, e deviso in due parti il Con-
siglio per regolare la determinazione sulla parte prevalente in numero „
^f " risolto per pluralità l'afiFermativa di levarsi tosto il busto, ed in-
gasarsi ie iscrizioni, si ordinò l'immediata esecuzione. - (Appuntamenti
^' Cor-sigUo generale).
343 ^' INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
È ben vero, che nessun di noi dev'esser malcontento d*aver
liberamente esposti i proprj sentimenti. Tutto quel, che si disse,
era animato dall'amore del pubblico bene, regolato dallo spirito
di subordinazione e rispetto al Governo francese, condotto dal
desiderio di veder mantenuta stabilmente e protetta la pubblica
tranquillità, e diretto sempre dalla generale risoluta prontezza e
volontà di dimettere la carica, ogni qualvolta fusse piacciuto al
Governo di stabilire nuovi rappresentanti ed amministratori, E di
fatti ben molti erano tentati a farlo spontaneamente, e posso dire
con sentimento di vera gratitudine, che non hanno eseguita la lor
risoluzione per la stima, che fecero de' miei consigli. Non è già,
ch'io non avessi un' eguale inclinazione, ed ogni momento dovea
far forza a me stesso per superarla. Fin quando accettai la carica,
voUi mantenere in me la disposizione di dimetterla, ogniqualvolta
fussemi convenuto, e questa stessa disposizione né l'ho mai perduta,
né si è tampoco in me scemata, ed anzi erasi sommamente ravvi-
vata in queste scabrose circostanze. Ma riflettendo, che l'eseguirla
sarebbe stata una viltà, e mi avrebbe fatto reo di una vergognosa
diserzione, credetti di dover star franco al posto, e di animare i
miei compagni a fare lo stesso in un momento, che l'abbandono
avrebbe prodotti i più perniciosi effetti. Questo sia detto per dimo-
strare quanto mal a proposito il club in uno de' suoi affissi stam-
pati abbia invitato, ed animato il popolo a strapparci dalle mani
il deposito dell'autorità, che ci era affidato, quand'io, e tutti con me,
al minimo cenno de' superiori eravamo disposti a rinunciarlo vo-
lonterosamente in mano di altri, che meglio di noi sapessero ser-
virsene a vantaggio della patria, e de' suoi abitanti. Il risultato delle
serie riflessioni, che si fecero sopra i surriferiti fatti, fu quello di
compilare ima rappresentanza al general Bonaparte (i), che podr-
(i) La " rappresentanza „, che * la municipalità, il consiglio ge-
nerale e la congregazione dello Stato di Milano „ presentai ono a Buo-
naparte, è inserita sotto la data del 20 maggio nel Diario siorico-poHtko,
V. X, del MiKOLA, donde sembra tratta la stampa che ne dà il Cusami,
op. cit, voi. IV, p. 302. Secondo il Becattini, Storia del memorabili
Iriennale governo, lett. I, essa fu presentata il 18. Il Cusani, loc. cit,
così commenta: * Quest'energico e dignitoso indirizzo, contrapposto a
* stolte e ringhiose contumelie, mise in piena luce da qual Iato stessero
* la lealtà del carattere, il sentimento del dovere, il vero amor patria .
Invece il Bouvibr, Bonaparte en Italie, cui gli storici italiani sembrano
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 343
tasse un* idea dei danni, che l'arditezza de' proclammi (sic) pubblicati
dal club arrecava al buon ordine, e mostrasse nell'atto istesso con
tutta l'ingenuità la comune nostra indiflferenza di lasciare le rispettive
cariche, purché a noi f ussero nel loro esercizio sostituite persone
nazionali, possidenti, e dotate di conosciuta probità ed onoratezza.
Questa rappresentanza fu da me personalmente rassegnata al gene-
rale, cui a voce più diffusamente spiegai l'oggetto di essa, ed i
motivi, dai quali gli attuali individui de' Corpi civici furon obbli-
gati a prendere siffatta risoluzione. Il generale la accolse, e sottraen-
dosi dal parlar direttamente sul merito di essa (i), si limitò a
dire, ch'era sua premura, che il voto del popolo fusse soddisfatto,
uè si permettesse cosa alcuna, che potesse anche per poco alterare
il buon ordine e la tranquillità.
Con questi stessi sentimenti spiegossi il dopo pranzo del
giorno 19 (2), allorché venuto a farci una graziosa sorpresa in
Broletto, ebbe la bontà di trattenersi meco a non breve discorso,
e di sentirsi ripetere l'indifferenza, con cui io ed i miei colleghi
avremmo ricevuta la nuova della nostra dimissione, qualora gli
fusse piacciuto di trascegliere altri soggetti forniti delle necessarie
qualità, che dovessero avere l'autorità municipale (3). Dalla be-
troppo severi verso ces premiers ariisans de Pindépendance iialienne (!),
giudica imprudente l'atto dei decurioni, giacché, posto il dilemma fra
essi ed i democratici milanesi, ritiene che, per il generalissimo repub-
blicano, le choix ne pouvaii ciré douteux,
(i) Buonaparte aveva già espresso, in una lettera del 17 maggio
al Direttorio esecutivo {Correspondance de Napoleon ler^ t. I«r, n. 437),
l'intenzione di cambiare (es personnes qui, ayant Uè nommées par Fer-
dinand, ne peuvent miriter noire confiance,
(2) Il CusANi, Storia di Milano, IV, p. 364, dice che la visita av-
venne la mattina del ao. 11 Bouvier, op. cit„ con lodevole buona fede
non pensando neppure ad una " partita doppia „ da parte di Bonaparte,
poiché i decurioni furon congedati con decreto del 19, conclude: Il doit
y*avoir erreur de date! L'editto del 19 fu tenuto in tasca per due
giorni, il che sembra esser sfuggito al Bouvier; ma vedemmo che il
17 Buonaparte aveva già deciso un radicale cambiamento di personale
e teneva a bada le magistrature preesistenti per trame il maggior
utile possibile.
(3) Narra il Cusani, loc. cit, che Buonaparte, * nell'accomiatarsi, par-
■ tendo egli pel campo, rese grazie della premura con cui [il consiglio
■ generale] aveva fornito viveri e abiti alle sue truppe. „ Il Becattinì,
op. cit., lett. I, narra che il generalissimo era " accom(>agnato da varj
• altri generali. „
344 l'invasione francese in Milano (1796)
nignità, con cui il generale parlò (i), e dal ripetuto onore com-
partitomi d'una sua cortese visita fattami alla mia casa nel susse-
guente giorno 20 (2) parca , che dovessimo argomentare assai
bene dell'esito della rappresentanza, massimecchè non s'era man-
cato in qualche maniera di fatali comprendere, che non ci era ignoto
il decreto emanato già da qualche tempo in Parigi, col quale veniva
espressamente proibita l'unione di qualunque club, o società. Era-
vamo la sera del giorno 20 (3) uniti in Broletto a dar passo alle
pressanti requisizioni, ed agli altri urgenti affari, quando arriva un
ordine del commissario Salicetti, col quale la Municipalità è inca-
ricata di rendere avvisati 16 cittadini di portarsi immediatamente
(1) Ritenevasi pertanto dalla cittadinanza i:he il consiglio gentrale
fosse " in ottima vista.,., presso i comandanti francesi „ per i servizi
loro resi coli' assicurare 1' approvigion amento e le altre esigenze del-
l'esercito e la pubblica quiete {MunoVAm,Diario po/iiico-ecefesiasiÌco,UiA).
(2) Trovammo infatti nell'archivio Nava, in Cernusco Lombardooc,
questo foglietto, che tien luogo di biglietto dì visita:
a tergo:
Il generate in capite Buonaparte à prevenuto il capitano Barbò d'i-
speeione essere sialo in casa del Sigs Vicar''> di Provisf a restituirà La
visita e ciò lo slesso Capitano Lo previene p. suo conlegno.
Dal Quartiere della Piazaa.
Li 20 Mg.'o /7(mS,
Giov. Galli
Per il S.' Vicario di Provis.
di Milano.
In altro giro fatto in quei giorni, Buonaparte, Inoltratosi non lungi dal
castello, corse rìschio, almeno secondo il Foscarini, dispaccio h. 104,
31 maggio, di essere involto in una ' improvisa sortita ,. Sarebbe stato
preservato da un distaccamento dì cavalleria speditogli da Massena.
(3) Quest'indicazione del Vicario mostra l' inverosimiglianza della
narrazione del Tivarom, L'Italia durante il dominio francese, to. I, p. 9S,
secondo la quale Despinoy avrebbe cacciati i decurioni ed installati i
loro successori la mattina del 30. Secondo il Cusani, op. cìt., IV, p. 364-^
r irruzione del violento comandante della Piazza, che avrebbe condotto
alla cacciata dei decurioni, sarebbe pure avvenuta ' poche ore dopo la
* visita lusinghiera di Bonaparte ,. Ed i decurioni scendendo le scale,
avrebbero incontrato * i nuovi municipatistì che salivano ad occuptare
' ì loro posti ,.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 345
a Corte. Si die la combinazione, che la massima parte di essi era
composta di individui notoriamente addetti al club. Fu quindi facile,
attese le precedenze, il lusingarsi, che la loro chiamata fusse fatta
all*oggetto di prevenirli o di astenersi dall'intervento al club, o per
lo meno di essere più moderati. E per verità la cosa non sarebbe
stata fuor di proposito, perchè nel numero de' citati individui vi
avean quelli, che potean credersi i più audaci (i). Senza perdita
di tempo furono spediti a ciascuno gli avvisi, e pochi istanti dopo
con comune sorpresa ed ammirazione venimmo a sapere, che invece
d'essere chiamati a ricevere una salutare correzione ebbero l'avviso
d'essere destinati a formare la nuova Municipalità, postocchè era
decretata la soppressione del Consiglio generale, e la dimissione
di tutti gl'individui addetti all'attuale Congregazion municipale (2).
Accostumato per mia grande fortuna a riconoscere nelle umane
vicende la mano di Dio, che le dispone, o le permette, e contento
in qualunque modo di potermi sottrarre onorevolmente dal peso
omai insopportabile della carica quanto rispettabile, altrettanto
malagevole e pericolosa nel suo esercizio, non mi turbai, né mi
afflissi per l'accennata improvvisa notizia, e com'era mio costume
dopo aver affaticato tutta la giornata me n'andai a casa, ed infor-
(i) Secondo il Becattini, op. clt., lett. II, ed A. Verri, Vicende
memorabili, lib. Ili, p. 202, Buonaparte e Saliceti avrebbero avuto cura
d'includere nell'elenco dei nuovi munìcipalisti persone di così poca au-
torità da non aver modo di contrastare alcuno dei loro voleri. Il He-
cattini aggiunge che la nota sarebbe stata compilata *^ avanti al tavolino
• di Saliceti „.
(2) Secondo il Becattini, Storia del memorabile triennale governo,
lett II, Buonaparte, respingendo le suppliche sanguinarie dei deputati
inviategli dai patrioti milanesi, avrebbe loro promesso non solo di con-
gedare i decurioni o municipalisti ** al primo offerto pretesto „, ma an-
che di farli arrestare. Che nondimeno molti nella cittadinanza non s'at-
tendessero la definitiva scomparsa del consiglio generale, appare anche
dal ricorso di don Carlo Viarana ai decurioni. Chiedeva invero il po-
stulante " la restituzione delle scritture di sua famiglia, presentate nel-
" l'oggetto di conseguire il patriziato di questa città, onde assicurarle
" nelle attuali circostanze. ^ Ma aveva cura di chiedere inoltre gli fosse
concesso '^ di riprodurle successivamente, senza pregiudizio della già
• fatta petizione , {Appuntamenti del consiglio generale). Ed era naturale
che i buoni ambrosiani, memori delle molte vicende da cui il consiglio
generale aveva saputo salvarsi, non pensassero che proprio questa
volta la sua mina sarebbe rapida e definitiva.
34^ l'invasione francese in MILANO (1796)
mata la mia famiglia delle occorrenze del giorno mi ritirai nella
mia stanza per coricarmi a letto, e prendere riposo, di cui ne
sentivo estremo il bisogno. Passai la notte placida e tranquilla,
sebbene abbia stentato a pigliar sonno, come suol succedere, quando
si ha la testa ingombrata di mille cruciosi pensieri. Tale era il caso
mio non solo per le ragioni a tutti gli altri comuni, ma per il
motivo particolare per me, che mi trovavo ancora nella incertezza
della futura mia sorte. Desideravo di far causa comune cogli altri,
ma non avendo veduto nella nota degli indicati 16 soggetti, chi mi
potesse succedere, né avendo immaginato, che il pubblico dovesse
perdere la prerogativa del suo capo (i), dubitavo ancora di con-
tinuare nell'impiego. Ed oh! quanto mi costò di angustie e di
affanni il solo immaginarlo!
Alzatomi di buon tempo la mattina del sabbato giorno 21, sempre
mai memorabile e fecondo per me, e pe' miei compagni delle più
desolanti umiliazioni, affatto indifferente, e disposto per l'efficace
ajuto di Dio a qualimque avvenimento, m*afirettai a recarmi per
l'ultima volta al palazzo della mia residenza, premuroso di dar
passo a varie cose prendenti, e di mettermi sul giorno, lo che pa-
rimenti raccomandai di fare ad alcuni de' miei colleghi, ed a quelli
particolarmente, i quali ebbero meco maggiore influenza negli affari.
Arrivato appena al Broletto osservai una certa non usata ed affatto
nuova turbazione in molti degli ufBzìali, che denotava in essi loro
la scienza delle disposizioni, che doveano in quella mattina e pub-
blicarsi ed eseguirsi. Nel i>eriodo del mio vicariato avea fatto studio
di captivarmi la loro benevolenza, ed aveo la soddisfazione d'es-
servi riuscito, quantunque limitato assai nella facoltà di beneficare
non abbia potuto dare a molti di essi che piccoli attestati del mio
gradimento per l'impegno, con cui assiduamente !» prestarono a
servire. Era perciò molto naturale, che avvicinatosi improvvisa-
mente il momento di perdermi, e di vedere ben anche deluse le
speranze di riguardi che in me avean giustamente riposte, doves-
sero risentirne, e l'angustia e '1 dispiacere lasciassero trapellare sui
(i) Osserva infatti il Cusaki, Storia di Milano, IV, p. 365: ■ Così
* troncavasi d'un colpo rautonomia amministrativa d^a Lombardia;
* beni e persone erano lasciati in balìa aDe prepotenze dei generali e
* dei commissarjf i quali, vantandosi liberatori dei popoli, li malmena-
* vano peggio degli imprecati tiranni. ^
DA ìfEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 347
loro volti. Confesso ingenuamente, che ne fui commosso al primo
istante, ma non mi sono per questo smarrito. Fortunatamente in
quel giorno aveo invocato con maggior fervore l'assistenza della
divina grazia, di cui ve n'ha sempre il massimo bisogno, ma spe*
dalmente poi nei momenti della maggiore tribolazione. Questa era
disposta per me, e per tutti i miei colleghi, e doveamo tutti insieme
passare in quella stessa mattina in mezzo alle più umilianti avven-
ture. Il Signor misericordioso ha esaudita l'orazione del povero
supplicante, perchè non ho mai provato né forza maggiore, né
maggiore costanza. Aveo da canto mio dato passo a quel che più
mi premeva nel corso di quella mattina, ed ascoltata la messa nella
cappella, allorché per mezzo d'un cursore ricevetti verbalmente
l'avviso di portarmi colla Municipalità a Corte, che mi venne quasi
subito legalmente confermato coll'ordine scritto del commissario
Salicetti. Riuniti tosto i miei compagni scesi franco le scale incon-
trando dapertutto oggetti, che mi intenerivano; e con loro senza
insegne, senza corteggio, a piedi, ed in una forma totalmente di-
versa da quella usata per lo addietro, mi recai collegialmente alla
Corte passando per le contrade meno frequentate, onde fuggire
rincontro del popolo, che dovea rimaner soprafatto al vederci così
abbietti, ed avviliti.
Arrivati che fummo al Corpo di guardia, che custodisce l'in-
gresso alla Corte, rischiammo d'essere ributtati, e per ottenere il
passo fummo costretti di annunciare il carattere, che a momenti
andavamo a perdere. Montate le scale, e passate le anticamere,
entrammo nella galleria (i), e di là fummo introdotti nella sala
contigua (2), dov'eran già raccolti tutti i "nuovi municipalisti, e
stavano varie altre persone d'ogni sesso, d'ogni età, d'ogni condi-
zione, che aspettavano d'aver udienza dal generale Bonaparte.
Eranvi pure alcuni mercanti, che avean disposte sui tavoli in bel-
l'ordine le loro merci, e qua e là dispersi e sdrajati si vedevano
ben anche i varj soldati. Quale spettacolo fu mai il primo ingresso
in questi luoghi? Laddove prima solevamo ivi trovarci con per-
sone tutte conosciute^ e distinte per la loro nascita e qualità, e
(t) V. nota 4, p. 326.
(2) Ulnventaire general des menòles, et effets qui existent dans le
palais auirefois archiducal indica, dopo la gallerie gamie d* une rampe
en feTy una sale qui suit le salon.
34S L* INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
tutto conciliava rispetto vicendevole per tutti, ci incontriamo con
ogni sorta di gente, e più né si fa, né si riceve verun'atto di ur-
banità (i). Bisogna però soffocare V interno sentimento, e godere
quest'effetto della eguaglianza, di cui non potevamo ancora gustarne
la soavità, perché non ne conoscevamo abbastanza ancora i pregj.
Coll'avvanzarci nella sala incontrammo ad uno ad uno tutti i nuovi
municìpalisti, ed io ebbi campo di esaminare attentamente il con-
tegno maestoso e sostenuto, che la maggior parte di essi tenne
con noi. Mentre s'aspettava, che uscisse il generale col commissario
per darci la sentenza, io mi feci coraggio d'introdurre discorso con
alcuni di loro, e mi trattenni più lungamente col duca Serbelloni,
che avea conservate ancora con me le sue maniere dold ed affa-
bili (2). Colsi il momento, e postocché mi era nota la di lui in-
fluenza nel rovescio delle cose passate e nel nuovo ordine, che
andava ad introdursi, volli dirgli qualche cosa, e sfogarmi pruden-
temente. Non ebbi difficoltà di suggerirgli alcuni avvertimenti,
ch'egli prese in buona parte, e che gli poteano essere di grande
giovamento, ogniqualvolta avesse disposizione e volontà di appro-
fittarne. Egli fu sempre mio amico, e per tale lo volli riguardare
quella stessa mattina, come protestomi di considerarlo anch'oggi,
e non so quel che farei per mostrargli, quanto m' interesso per
lui (3). Ora però mi mancano i mezzi di giovargli, e non posso
che pregargli dal Ciel pietoso e benigno, come faccio vivamente, il
dono dell'intelletto, e del consiglio. Ma si finisca ogni discorso.
Ecco il generale, ed il commissario preceduti da un ufficiale, il
quale ordina ad ogni altra persona non appartenente alla vecchia,
od alla nuova Municipalità di ritirarsi, e d'uscir dalla sala. Allora
io mi posi alla sinistra del generale co' miei compagni, e lasciai
(i) Secondo il De Norvins, Histoire de NapoUon, to. I, e III, p. 163,
fu invece appunto durante il soggiorno a Milano che Buonaparte co-
minciò ad avere coi suoi commilitoni rapporti analoghi a quelli di un
sovrano coi propri sudditi: Il semole que le general Buonaparte se regarde
comme le descendani ou l'hiritier des rois lombards,
(2) Anche il Muoni, Melzo e Gorgonzola^ p. 164, parla della * tem-
• peranza e.... dolcezza de* suoi modi e del suo sentire. ^
(3) Questo aversi saputo conservare amicizie anche fra i vinti,
pur essendo dei vincitori, mentre torna ad elogio del Serbelloni, con-
corda con ciò che scrisse Napoleone Buonaparte, Oeuvres de SM Hilène
Campagnes et Italie^ p. 126, della tres grande popularité ài cm\ godeva il duca.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 349
che i nuovi si mettessero alla destra. Essi erano gli eletti, e noi
eravamo i presciti, e non era in quel luogo fuor di proposito Tap-
plicazione. Il generale ed il commissario rivoltisi prima verso di
noi ci annunziaron la determinazione, ch'erano obbligati di prendere
a nostro riguardo. Il proemio del discorso fu lungo, ma breve la
sentenza. Voi avete perduta la confidenza del popolo, epperò ces-
serete dall'impiego, che coprite (i). Altri vi saranno sostituiti, che
goderanno il favor della nazione. (2) Essi ebbero non pertanto la
bontà di renderci giustizia con una onorevole dichiarazione appro-
vante tutto quello, che con sommo zelo aveamo operato per servizio
del Governo, e dell'armata francese (3). Presi in quell'istante la
parola, ed in nome di tutti feci al generale ed al commissario un
discorso adattato alla circostanza, né mi sono smarrito per la pre-
senza de' nuovi municipalisti, che stavanmi ascoltando con atten-
(i) I decurioni per altro, assicura il Mantovani, Diario politiccheccUsia-
siìco, to. I, godevano * di un deciso credito presso le piazze forestiere „ ,
sì che il cronista crede che se fosser rimasti al potere, molto meno gra-
vosa sarebbe riescita la contribuzione dei 20 milioni di lire tornesi, giacché
avrebbero ottenuto prestiti per permettere di ripartirne il peso in varii
tempi. Malgrado il vento che spirava in loro favore, è evidente che i
nuovi reggitori, quasi tutti homines novi e senza patrimonio personale,
non potevano ispirare negli uomini di banca la medesima fiducia che
concedevano sino allora al fiore dell'aristocrazia, esperta di materie fi*
nanziarie per l'abituale maneggio dei pubblici interessi e costituita dai
più grandi proprietarii di terre della regione.
(2) Il Peroni, Epitome storico^ il Foscarini, n. 104, 21 maggio,
ed il BouviER, Bonaparte en Italie, additano i democratici più accesi
quale origine della destituzione della municipalità sin allora esistita.
Ma il BouviER non ne fa carico ai clubisti, riconoscendo in essi — e
corre davvero parecchio neiraff*ermarlo così alla leggera — gli inter-
preti, puramente e semplicemente, della forza delle cose. Il Bonfadini,
Milano nei suoi momenti storici, II, p. 258, probabilmente qui vittima di
una confusione, scorge l'occasione della soppressione dell'antica auto-
nomia comunale nel * tumulto provocato da un energumeno. „
(3) Questo riconoscimento solenne, da parte di chi pur dovea ten-
dere a diminuire il debito di gratitudine imposto all' armata francese
da tanti servigi dei milanesi e delle loro rappresentanze superstiti,
rende tanto più triste che uno scrittore italiano non si sia trattenuto
dall' affermare, nella sua mania di giustificare la contribuzione dei 20
milioni, che l'esercito era stato ** in nessun modo fino allora aiutato dai
• lombardi , (Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese, to. I, p. 12).
DA MflMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 351
r^e s'era rìvolto dalla parte degli eletti, e loro annunciava i motivi ed
i pregi della loro elezione, e dava le istruzioni, colle quali doveano
regolarsi nell'esercizio della nuova loro incumbenza. Dal contesto
dell'editto osservai, che nessun cenno faceasi della soppressione
della mia carica, ch'eran bensì nominati li sedici, che dovean rim-
piazzare nella Municipalità gli assessori ed aggiunti, ma non era
designato il mio successore, e che era confermata la Congregazione
dello Stato coi tredici individui (i) che la componevano, fra i
quali in ragion di senso letterale io pareva compreso. Quantunque
spasimassi di finir cogli altri, non voleo, che mi fusse imputato a
mancanza l'abbandono, che avessi fatto della carica, cui non vede-
vasi dato il successore. Credetti perciò opportuno di proporre il
dubbio alla risoluzion del commissario, il quale dichiarò, ch'io come
sospetto d'attaccamento al passato Governo dovea rimaner libero, e
soggiunse, che la Municipalità poteva fra' suoi individui eleggersi un
capo, che presiedesse ed a lei, ed alla Congregazione dello Stato.
Compiuto cosi il discorso entrambi si ritirarono, e noi restammo
nella sala aspettando il generale Despinoy, il quale era incaricato
di dare esecuzione alla sentenza (2), e di mettere in possesso la
parola ancora visibile dal verso; e sopra fu ingommato un lisiino di
carta su cui si stampò: " arrestano „t Sarebbe mai stato quel verbo,
irriconoscibile per ogni buon italiano, ad indurre in errore quell'eccel-
lente nostro concittadino che fu don Felice Calvi, sì da fargli scorgere
nel decreto del 19 maggio l'ordine d'imprigionamento dei * signori ses-
* santa decurioni, con l'intero tribunale di provvisione „? (// castello
visconteo-sforzescOf p. 433).
(i) Mentre il decreto di soppressione parla chiaro (art. 6.*^: ■ La
* congregazione dello Stato composta di 13 membri, incaricata dell' am-
* ministrazione in tutta la Lombardia,' è provvisoriamente ritenuta nelle
* funzioni che gli erano attribuite dal suo istituto „) , il Botta, op. cit.,
to. I, L 6.', ed il Papi, Commentarti della rivoluzione francese, to. Il, l. V,
p. 158, -presentano la congregazione come una nuova creazione dei
francesi, i quali, secondo il Peroni, Epitome storico^ e secondo l'opuscolo
/ francesi in Italia, gli avrebbero mutato il nome in quello di congresso
di Stato (Congrès cTEtat è nel citato decreto l'equivalente di congrega-
zione di Stato, nome conservato nel testo a fronte, italiano) ed avreb-
bero scelto nuovi membri. A. Pingaud, L'Italie in Histoire generale,
to. Vili, p. 766, scambia la Congrégation d'État colla nuova municipalità.
^) Ciò può aver dato origine alla dicerìa che Despinoy avesse con un
suo unico atto violento soppresso l'antica autonomia comunale. Il generale
procedette clamorosamente in Broletto ad una cerimonia pubblica, mentre
quella — essenziale — nel palazzo arciducale fu ben più modesta.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 353
da esso fatta nel primo ingresso in Milano di mantenere in vigore
le autorità costituite, si rivolse a noi, e ci invitò tutti a recarsi al
Broletto. Egli volle usarmi la distinzione di considerarmi ancora
per capo di tutti, e mi prese a sé vicino, e mi die il primo posto
dopo il suo nella carrozza, dove invitò pure ad entrare altri due,
e vi vennero il marchese Bossi (i), ed il conte Bolognini (2).
(i) Il marchese Benigno Bossi (1731 - 1815) era ciambellano di
S. M. I. R. A., assessore delegato alle vittovaglie (con 5000 lire annue
dalla cassa civica provinciale), uno dei 2 decurioni della congregazione
municipale, membro della congregazione militare, deputato del L. P.
della Stella e di quello delle 4 Marie. Fu caricato di molteplici incom-
benze negli ultimi giorni di vita del consiglio generale. 11 5 maggio fu
uno dei 4 scelti per salvaguardare, sotto la guida di P. Verri, i diritti
minacciati * di questo pubblico „ e dei creditori del Banco S. Ambrogio ;
fece parte della maggiore delle due deputazioni elette per incontrare
le autorità militari francesi ed, in tale qualità, trovossi il 14 all'ingresso
di Massena. Infine il 16 maggio era designato col Melzi a rappresentare
consiglio e municipio per la prestazione del giuramento nelle mani di
Buonaparte. Nella stessa seduta, quale preposto alle vettovaglie, av-
vertiva il consiglio generale non potersi continuare più oltre a soddi-
sfare le requisizioni colle casse sigillate, sì che i decurioni si decisero
a reclamare. Nel 1799 fu membro della congregazione delegata. Nel 1792
era già stato deputato a prestar il giuramento d'omaggio e fedeltà in
nome del consiglio generale di Milano. (Archivio di Stato, Potenze sO'
vrane). Abitava, nel 1796, in contrada di S. Maurilio 3622.
(2) Gian Giacomo Attendolo Bolognini, nato nel 1734, fu uomo di
mondo, che saggiò anche la carriera delle armi negli eserciti imperiali»
e, rimpatriato, si dedicò alle magistrature cittadine. Nel 1796 era asses-
sore delegato alle strade, pure con L. 5000, uno degli aggiunti ai dele-
gati sopra le pubbliche occorrenze, deputato dell'ospedale, membro
della congregazione militare. Nominato ai 10 di maggio maestro di
campo della milizia urbana per P.ta Vercellina, rinunciava dopo 6 giorni.
Ostaggio, sarebbe stato imprigionato solo a S.ta Margherita, secondo il
Calvi, Famiglie notabili milanesi, Attendolo Bolognini, tav. Vili, linea C
Infatti il FoscARiNi non lo registra nell'allegato e al dispaccio 106, ove
elenca gli hnprigionati al palazzo di giustizia. Il vicario, in memorie
intomo all'odissea degli ostaggi che fanno seguito a queste sull'inva-
sione francese e che speriamo poter presto pubblicare, narra che il
nome del Bolognini era scritto accanto al suo nel mandato d'arresto
presentatogli la mattina del 24 maggio, ma non lo nomina poi fra i suoi
compagni di prigionia in quei primi giorni. Il Bolognini fu poi anch'egli
nel 1799 membro della congregazione delegata. Aveva sposato la mar-
chésa Anna Margherita Pallavicino Triulzio. Abitava in strada del Mo-
lino delle armi 3737.
354 L* INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
Quanto opportuna fu mai per noi cotesta distinzione! Mentre noi
cammin facendo ci trattenimo a discorso col generale» abbiamo
schivato alcuni minuti di berlina, a cui furono esposti gli altri ob-
bligati a recarsi al Broletto a piedi, i quali dovettero sentire i più
iniqui improperj della ciurmaglia disposta sulle strade. Da qui era
facile l'argomentare, come la nuova municipalità avesse già for-
mato un partito (i), ed era ben naturale l'aspettarselo, dopocchè
il Club avea ampliato cotanto il suo catalogo. Giunti in Broletto
non fummo più in tempo di partecipare regolarmente ai colleghi
Decurioni, che stavano là aspettandoci, il risultato di quanto ci era
avvenuto. La sala del consiglio fu in un momento ripiena, ed af-
follata in modo, che più non vi avea luogo di muoversi. Era insiem
riunita ogni razza di gente, ed era prudente consiglio il nascon-
dere, se aveamo qualche cosa di prezioso con noi, per non espord
al pericolo d'esserne spoliati destramente, come suole talvolta av-
venire in mezzo alla folla del popolo, che si raduna ad una cla-
morosa pubblica funzione. Non esaggero; ho veduto co' miei occhi
vetturini, e mozzi di stalla, bettolinieri e garzoni, malossari e facchini,
fabbri ed artisti de' più ìnfimi della plebe confusi fra noi ed i nuovi
municipalisti, fra gli ufficiali ed inservienti del pubblico (2). Ed ecco
introdotta per la prima volta in quel luogo l'eguaglianza cotanto
decantata. Tutti si fanno lecito di parlare e schiamazzare, di an-
dare e venire senza verun atto di urbanità, e con un* aria di pa-
dronanza, e di fare persino degli insulti coi gesti e colle parole, e
per fino coi fatti prendendosela contro de' nomi dei Decurioni che
stavano scritti sulle sedie poste nella sala. A tanto era già giunto
lo spirito di libertà, ch'eraci stato promesso come un dono specia-
(i) Secodo il BECAxriNi, Storia del menwrabiie triennale governo
lett. I, quelli che, dice egli, insultarono gli espulsi decurioni erano gente
prezzolata.
(2) Cfr. Per TUBATI, Rappresentanza de meneghin ai sciur franzis:
Ecco intra la canaja barettina
Dent in Brovett con faccia petulanta,
Eren a centenàra a centeeàra
£ in d*on bott hin de aera dalla scàra.
Che badalacci che orror! ch« conftaaionl
Quest monta in pée d'on scagn, quel ri a settas.
Chi mena i man» chi guarda d^alt in basa.
T bianc e ross no ponn fa resistenza,
E M Vicari el fomiss d' ess Eccellenza.
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 355
lissimo. Ci volle per verità tutta la forza per resistere a questo
umiliante spettacolo, e questa io la ottenni alzando di tanto in tanto
gli occhi al Crocefisso, che stava appeso in un campo della sala
attigua alla porta, che mette alla cappella. Richiamando in mirarlo
alla memoria la serie dei vilipendj, e delle umiliazioni infinitamente
niaggiori da Lui innocente sofferte per noi peccatori riconobbi be-
nissimo, ch'era ben poco quel, che mi toccava di patire in quel
momento, quantunque mi paresse, e dovesse parer gravissimo alla
mia sensibilità. A questa m'era pur d'uopo di dare sfogo, e pro-
curai di farlo col sottrarmi dalla calca, e ritirarmi in un angolo
della sala accompagnato da alcuni amici, de' quali lo sguardo pie-
toso insieme, ed eloquente finiva di commovermi, ed intenerirmi.
Ringrazio però il Signore della costanza, che mi donò, mercè la
quale sebbene agitato internamente dal più crudele affanno potei
sostenermi senza dar segni esteriori, che mi avvilissero maggior-
mente in faccia alla turba festeggiante pel mio ed altrui decadimento.
Senza il divino ajuto io avrei creduto di morire per quel colpo. E
si che la cosa durò assai più lungamente di quello, che noi potevamo
immaginare. U generale Despinoy volle, che all'atto solenne, ch'egli
intendeva di eseguire, fussero presenti non solo gli individui dei
corpi civici, ma quelli eziandio della Giunta governativa già spi-
rata col giorno 14 del mese (i), e del magistrato politico Came-
rale, di cui n'era decretata l'abolizione (2). Fu pertanto mestieri
di rimanere esposti al vilipendio per tutto quel tempo intermedio
fra il nostro arrivo in Broletto, e quello degli altri individui, che
là si sono richiamati. Intanto molte grida miste di applausi, e di
insulti di tratto in tratto si sentivano dalla corte, dove era rac-
(1) Il vicario riteneva invero che la giunta avesse perduto ogni
potere da che le truppe francesi occupavano la città. L'opinione, diffusa
fra gli storici^ che tutte le incombenze affidate dall'arciduca alla giunta
sieno state assunte dal consiglio generale è esagerata. Gli atti del me-
desimo consiglio mostrano come col presidente Biondi, membro della
giunta e verosimilmente capo di questa, il vicario abbia avuto frequente
scambio d' idee all' inizio dell' interregno, mirando a meglio tutelare i!
buon ordine. La R.» giunta scelse inoltre, nelle teme che il consiglio le
propose, per le nomine a cariche vacanti della milizia urbana.
(2) Al BouviBR, op. cit, simili misure d' una barbarica e primor-
diale semplicità sembrano naturali, dovendosi, pensa egli, rinnovare
tosto integralmente il sistema di governo.
Areh, Sior. Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXVI. 23
35^ l'invasione francese in MILANO (1796)
colto un branchio di persone forse pagate per quest'oggetto (i),
le quali andavano alternando cogli improperj, che si dicevano e
facevano nella sala.
Finalmente quando piacque al Signore arrivarono i quattro
presidenti della cessata Giunta governativa, ed i consiglieri dd
magistrato, ed in seguito a loro ritornò pure il generale Despinoy,
il quale erasi absentato per qualche intervallo di tempo. Ahi vista,
amara vistai Se per una parte il sentimento di compassione mi si
eccitò nel mirare alcuni di essi rispettabili per 1' età, per la sa-
viezza, per il grado confusi insieme col popolaccio, e fatti parte-
cipi senza colpa dell'avvilimento e della abbiezione generale, dal-
l'altra parte non potei trattenermi dalla più viva commozione di
risentimento al vedere alcuni altri, i quali colle loro massime di
falsa politica avean fatta la più crudel guerra al Principato col
farla alla Chiesa, ed alla religione che ne era la soda base, il fon-
damento sicuro. Quanti pensieri patetici, e funesti mi ingombrarono
in quest'istante la mente già agitata, e diedero un nuovo colpo
terribile alla debolezza dell'afflitto mio cuore. Sapeva ben io, e mi
si parò tutto d'innanzi quel che s'era fatto per ottenere un corre-
gimento di massime nella materia ecclesiastica dai vescovi insieme
e dalla congregazion dello Stato, e non ignorava com'era stato tutto
attraversato dai ministri, che invece di difendere i diritti, hanno
sollecitata la perdita della buona causa, e sorpresa la bontà e re-
ligione dell' imperadore che malgrado la pia credulità d'aver ac-
cordate tutte le petizioni fatte dai vescovi non s'è avveduto, che
col dispaccio 30 settembre 1794, si sono talmente alterate le sue
risoluzioni, che non fu possibile di cavarne il bene da Lui imma-
ginato. Ma anche tutto questo dovea riguardarsi con ispirilo di
rassegnazione ai voleri di Dio, il quale pe' suoi impenetrabili di-
segni permise, che le chiese di Lombardia non potessero ricupe-
rare la sospirata loro libertà e nella loro servitù dovessero trave-
dere i segnali e forieri delle pubbliche calamità ed afflizioni, che
presto avrebbero desolati i popoli. Dopo queste riflessioni, che non
ho potuto a meno di fare, ripiglio la serie dei fatti. II generale
Despinoy verificata la presenza di tutti gli individui da esso ricer-
cati montò sulla cattedra altre volte da me occupata e circondato
(i) Cfr. nota i a pag. 354.
DA BfEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 357
dalla folla incominciò a parlare. Fece il proemio del suo discorso
con un'enfasi, ed una forza tale, che è difficile il poterlo spiegare.
Un toro, che mugge, un lione, che rugge, un serpente, che sibila,
sono vive immagini per comprendere con quale, e quant'alto tuono
di voce spirando fuoco dagli occhi, e terrore dal volto egli par-
lasse. Lesse l'editto delle soppressioni delle autorità in esso enun-
ziate, e della creazione della nuova municipalità, ed alla lettura vi
aggiunse varj suoi riflessi, ed indi fra gli applausi della gran turba
raccolta nella sala ripetuti da quella, che stava nella corte passò
a dichiarare, che d'allora in poi non avean più vigore le passate
autorità, ch'erano annientati i loro poteri, distrutte le prerogative,
soppresse le facoltà, e dovea soltanto essere considerata la nuova
municipalità e la congregazion dello Stato. Nuovi applausi e nella
sala e nella corte, e sempre più vivi fecero eco ai discorsi del ge-
nerale. Egli domandò in appresso gli individui trascelti o confer-
mati in funzionari pubblici a prestare il giuramento, del quale se
ne dispose tosto la formola secondo le istruzioni del generale dal
segretario Perabò (i). Vedendo allora eh' era affatto inutile la
mia presenza, e conoscendo d'altronde, che la mia debolezza re-
stava esposta a disgustosi cimenti procurai alla . meglio di sot-
trarmi dalla folla, e di uscir dalla sala, ed incontrato il mio amico
Castiglioni (2), che disponevasi a fare lo stesso, il pregai di
(i) Don Giuseppe Perabò era segretario, ricevendo dalla cassa
civica provinciale con annuo salario di L. 3500.
(2) U decurione don Alfonso Castiglioni^ figlio di Ottavio e di
Teresa del conte Gabriele Verri, era stato creato conte nel 1774 da
Maria Teresa. Dal 1791 risiedette a Vienna, deputato dello Stato di
Milano presso quella corte ; e fu durante tutto quel perìodo in continua
corrispondenza intima e d'affari, coll'amico Nava. Nel 1796 egli era gen-
tiluomo di camera di S. M. I. R. A. uno dei deputati al governo del-
l'Ospitale Maggiore, uno dei membri dell'ammiranda fabbrica del Duomo
di Milano. Anche il Castiglioni, in quei giorni del maggio 1796, di con-
tinuo lavoro per pressoché tutti i maggiorenti del consiglio generale,
dovette adempiere molteplici incarichi. La mattina del 9 maggio fu il
Castiglioni quegli che riportò maggior numero di voti nella prima scelta
di delegati del consiglio presso i comandanti francesi. L'ii veniva de-
legato, avendo a compagno il collega conte Angelo Serponti, per re-
carsi al castello ad esporre al comandante Lamy la preghiera dei de-
curioni, affinchè, possibilmente, nella sua prossima difesa, risparmiasse
358 L* INVASIONE FRANCESE IN MILANO (1796)
prendermi a compagno, e di condurmi a casa. Passammo dalla
parte più nascosta del Broletto, e dove non vedevasi union
di persone. Ma all'uscire m'incontrai con qualche buon portiere,
e con alcuni ufficiali, che mi presero per la mano, e colle lagrime,
e coi sospiri tentarono di far vacillare la mia costanza. M'affrettai
perciò a sottrarmi da loro, ed intenerito bensì e commosso, ma
non avvilito scesi le scale e montai in carrozza coU'amico, che mi
fu d'un sommo conforto in tutta la strada, su cui molti oggetti mi
si afiacdarono ad inasprirmi vienunaggiormente la piaga profonda
che aveo aperta nel cuore. Arrivai finalmente a casa, e nel seno
della famiglia, che stava ansiosamente aspettandomi, e dove non
potevami mancare più conforto. Di fatti non so esprimere quanto
mi sia esilarato. Aveo la sorella puerpera, cui non potei fare com-
pagnia anche per poco ne' nove giorni trascorsi dal suo parto. Era
per me un pensiero molto angustiante il riflettere quanto facilmente
essa avrebbe potuto soffrire a trovarsi in quello stato ne' più cri-
tici momenti. Ma qui pure lavorò la Provvidenza, ed essa non ha
mai passato im puerperio più felice. Liberato dalle cure d'una ca-
rica, che mi ha tanto occupato nel lungo periodo della sua durata,
e che negli ultimi giorni m'era divenuta oltre ogni credere pesan-
tissima, meditavo già di passare giorni tranquilli in un riposo, di
cui sentivo tutto il bisogno (i). Incominciai di fatti a gustarne le
la città. 11 14, il Castiglioni assisteva dunque, fra i deputati dei corpi
civici, al solenne ingresso di Massena. U 15 maggio accompagnava il
vicario nella prima visita a Buonaparte; verso le ore 6 doveva esser
ritornato in Broletto, che gli toccò l'incresciosa missione di dover as-
sistere, dopo aver vanamente contrastato col commissario Léorat, alla
apposizione dei suggelli alle casse civiche. Nel 1814, il Castiglioni fu
di nuovo deputato di Vienna, ma, prevalsi ormai nell'Impero i metodi
dispotici, vi fu solo per umiliare gli omaggi della Lombardia all'Impe-
ratore. Fu quindi eletto deputato nella congregazione centrale. Fu com-
petente in botanica, come il fratello Luigi, il celebre viaggiatore. Abitava
in contrada del Cappuccio, n. 2889.
(i) Sembra pertanto che il Vicario non avesse parte nel tentativo
di taluni decurioni per giustificare la loro condotta, sovra tutto colla
stampa dell'opuscolo " Gli amici dell'ordine „ attribuito al Melzi. Narra
il CusANi, op. cit. IV, p. 366, che il Saliceti temendo fossero messi in
troppa luce i suoi intrighi coi demagoghi, soppresse arbitrariamente
l'opuscolo. Crede il Cusanì che i capi della Società popolare, avendone
avuto notizia, se ne giovassero per ottenere l'arresto dei decurionL Ma
DA MEMORIE INEDITE DI DON FRANCESCO NAVA 359
prìmizìe ne' primi due giorni di domenica (i), e lunedi, che pas-
sai intieramente in famiglia. Il lunedì però rinserrato in casa do-
vetti agitarmi per un improvviso rumore, che sollevossi in città
prima alla mattina (2) sofura un falso allarme di un'uscita fatta dal
castello di alcuni croati (3) indi al dopo pranzo (4) per uu rumor po-
polare seguito sulla piazza del duomo, e suscitato da alcuni libertini
i quali ebbero l'audacia di mettere in derisione le sagre e pie fun-
zioni, che si eran fatte in Milano la settimana precedente l' arrivo
è questo un punto che converrebbe chiarire maggiormente, né dispe-
riamo di farlo, ove ce ne porgano il destro altri ricordi di D. Fran-
cesco Nava.
(i) La domenica il generale Massena riparti per il campo (Fo-
scARiNi, n. 105). Buonaparte lo se^ui il lunedì.
(2) Già nella notte dal 22 al 23, il popolo aveva temuto una sor-
tita della guarnigione del Castello (Peroni, Epitome storico; Becattini,
op. cit., Lett, IL') .
(3) Il panico fu vivo, ma di breve durata (Becattini, loc. cit;
Peroni, loc. cit.). Secondo il Becattini, anche i soldati francesi dispersi
per le strade si diedero alla fuga. I croati non escirono però, quel
giorno, che nella fantasia del popolo ed in quella, forse più fervida, di
alcuni storici (Michaud, Vie abrégée de Napoléon Buonaparte^ to. I, p. 51 ;
De Norvins, Histoire de Napoléon, to. I, e. III, p. 164), i quali connettono
la sortita coi tumulti dei dì seguenti. Secondo il Calvi, Vicende del Monte
di Pietà, p. 105, l'orìgine del panico dovrebbe ritrovarsi in un tratto di
spirito d'un certo Camozzi, pignoratario privato. In seguito agli af-
fari conclusi con costui, dettagliatamente descritti dal Calvi, molti po-
polani non potevano approfittare della restituzione dei piccoli pegni,
largita in quei giorni, essendo i loro biglietti presso il Camozzi. Face-
vano pertanto ressa all'abitazione di lui sul corso di P. Ticinese al
n. 3479. Per liberarsene il furbo uomo * non trovò migliore spcdiente
" che dì mandare in istrada un proprio commesso, il quale, fìngendo
* di arrivare in quel punto sul posto, tutto trafelato, gettò tra la gente
* la notizia essere li per sopraggiungere una masnada di croati, i
* quali, tenendo ancora il Castello per l'imperatore, si sarebbero, di-
' ceva lui, sprigionati a scorazzare furibondi per la città. Questo an-
" nunzio bastò per mettere lo spavento nei tumultuanti. Sì chiusero
" prestamente le botteghe, si sbarrarono i portoni, e fu gran ventura
" se, in quel fuggi fuggi, asserisce un testimonio oculare, la guardia
* nazionale si tenne dal darla a gambe „.
(4) ^ Mancavano tre .ore al tramontare del sole „ (Becattini, loc.
cit.). Il Papi, Commentari della Rivoluzione francese^ to. II, 1. V, sembra
credere che il tumulto avvenisse giorni addietro, quando fu piantato
dai clubisti l'albero della libertà in piazza del Duomo.
360 l'invasione francese in MILANO (1796) DA MEMORIE, ECC
dei francesi (i). Si fecero tosto chiudere le porte della casa sul-
l'esempio di quanto avean fatto gli altri (2), ma in breve spazio
di tempo cessò ogni perìcolo, tutto fu tranquillo, ed è venuta la nuova
che non era seguito alcun male. Mi acquietai per quel momento,
ma considerando in questi prìncipii di commozioni popolari i fo-
rieri di più gravi disordini nell'avvenire stavo ideando di recarmi
presto in campagna per sottrarmi dai rumorì e dalle inquietudini
della città, e rinvenire un asilo di più sicura quiete e tranquillità.
Con questo pensiero, cui gli stessi miei fratelli mi animavano ad
effettuare sollecitamente, me n'andai la sera al riposo. Ma quanto
sono mai fallaci i disegni degli uomini ! U Signore avea disposto
di farmi passare per una trafila di tribolazioni assai maggiori nel-
l'atto medesimo, eh' io disegnava di andar cercando quiete, riposo
e conforto.
G. Gallavresi.
F. Lurani.
(i) 11 solo Mantovani, Diario politico-ecclesiastico ^ to. I, accenna a
motteggi di clubisti intorno a pie pratiche come origine del tumulto.
Il Verri, che, allora municipalista, doveva conoscere bene quei fatti,
dice che la causa dei moti deve riscontrarsi nello sfavore con cui la
maggioranza del popolo aveva visto crescere in potenza la Società po-
polare ed abbattersi cosi inonoratamente gli antichi corpi civici. {Storia
dell'invasione^ p. 399-400). E, poiché non mancavano (V. Becattini, op.
cit., Cusani, op. cit., FoscARiNi) le occasioni offerte dagli eccessi, dalle
stravaganze, dagli schiamazzi di taluno dei clubisti, questi furono in-
sultati, specialmente un certo Arion, lorenese, ed il Salvador, ed anche
picchiati. Ciò avvenne nella piazza del Duomo, ove si tentò (V. Verri,
Lettere e scritti inediti IV; Becattini, op. cit; Cubani, op. cit IV.; Pe-
roni, Epitome storico; Storia de If anno 7796) di abbattere l'albero della
libertà. Il Lee, Campaigns of Napoleon, p. 88, dice a torto che l'albero
fu fatto a pezzi.
(2) Despinoy accorse colla cavalleria ed intimò a tutti di rinca-
sare e di chiudere case e botteghe (Becattini, Cusani).
VARIETÀ
Valenza venduta a Pavia nel 1207.
(Documento del Museo Civico di storia patria di Pavia).
NUTO di S. Giorgio, dopo narrata la morte di Bo-
nifacio III di Monferrato re di Tessaglia, avvenuta per
ferita nella battaglia di Sataleia, nel 1207, comincia a
scrivere di Guglielmo Sesto suo primogenito, t a cui essendo arri-
vata la nuova della morte del padre a Sataleja, Tanno millesimo
ducentesimo settimo, alli quindici del mese d'agosto, impegnò a
Gerardo Farra stipulante in nome della città di Pavia, tutto il
Borgo di Valenza col Castello, porto et ogni giurisdizione a sé
pertinente, per prezzo di libre quattro mila di moneta. Et avendo
deliberato di assicurare il fratello Demetrio nel regno di Tessalia
et ritrovarsi alla coronazione sua, con molti stipendiati navigò in
Tessalia, dove stette, per fin tanto che Enrico Imperatore ebbe co-
ronato Demetrio di esso Regno ; e poiché le cose furono ridotte
in buon termine, se ne ritornò in Monferrato, et Demetrio rimase
in Grecia (i)i.
Sulla scorta di Benvenuto, anche il Corio affermò che nel 1207
a* 15 d'agosto Guglielmo genito di Bonifacio illustre Marchese
di Monferrato, a Girardo di Farra, quale come Podestà contrat-
tava i nomi (sic per in nome) della Comunità di Pavia, fece ven-
detta (sic per vendita) di tutto il Borgo di Valenza, il Castello, et
porto con ogni giurisditione a sé pertinente per pretio di libre 400
(sic) di moneta (2)1.
(i) Benvenuto di SJ Giorgio, Hist, M, Ferrati in R. L SS,, XXIII,
col. 372.
(2) Bern. Corio, L'hisioria di Milano^ etc, Venezia, Bonelli, 1554,
p. 77 recto.
3^2 VALENZA VENDUTA A PAVIA NEL 120^
Girolamo Bossi, citato dal Robolini (i), nella sua ms. Storia
Pavese racconta il fatto, allegando un Breve discorso della Causa
di Monferrato per il Duca di Savoia : anche il Bossi parla però di
impegno non di vendita. Lo stesso Robolini poi aggiunge che tsic-
€ oome il Comi in una scheda attesta che esistesse nel nostro Archi-
tvio Municipale un atto autentico in data delli 15 Kal. Augu-
tsti 1207 portante il titolo di: e Instrumentum venditionis terre
€ Valentie pretii lib. 4000 Papiae f acte a D. Gulielmo filio D. Bo-
tnifatii do Monferrato marchionis favore civitatis Papiae, recq>-
ttum per Apollinarem de Sancta Agata imper. notarium» così si
€ dovrebbe ritenere che il Marchese del Monferrato qualificasse per
€ contratto pignoratizio la vendita suddetta per essersi nella me-
tdesima apposto a di lui favore il patto di ricupera o riscatto (2)1.
Avendo rinvenuto nelle Pergamene del Museo Civico di Pa-
via (3) il documento già visto dal Comi, mi è facile con esso togliere
le incertezze che le parole di Benvenuto da S. Giorgio avevano
causato e correggere alcune inesattezze che pur dipendono da Iul
Come si vedrà dal documento, che qui fa seguito, trattasi di ima
vera e propria vendita che Guglielmo di Monferrato fa del borgo
di Valenza a Pavia. Non è detta una parola che autorizzi a cre-
dere fosse la cessione temporanea, o semplice p^no e garanzia ; né
meno, come cercò di spiegare il Robolini, è apposta nell'istrumento
di vendita la clausola del riscatto. Cosi pure è da correggere la
data del 15 agosto messa innanzi da Benvenuto e dal Corio;
poiché la vera è quella del 18 luglio {XV Kalendas Augusti) : ed
è da correggere il nome del podestà di Pavia compratore, che non
è Girardo da Farra, sì bene Girardo de Fante, oome d*altronde già
aveva avvertito il Robolini.
La pergamena da cui trascrissi il documento, non è quella dei-
Tatto originario, rogata e scritta dal notaio Apollinare da San-
t'Agata : é invece una copia fatta dal notaio Petracio de Vicino,
per ordine dd vicario del podestà di Pavia, nel gennaio del 1236.
Un'altra trascrizione dello stesso atto fu fatta nel 1303 per ordine
di Guido Langosco vescovo di Pavia e anche questa copia si con-
serva fra le pergamene del Museo Civico (4).
Le parole di Benvenuto da S. Giorgio sopra riportate dicono
probabilmente anche la ragione della vendita di Valenza. Al mar-
(i) G. Robolwi, Notizie appari, alla storia della sua patria, voi. I»
par. I, p. 76.
(2) Idem, ibidem, p. 77.
(3) Pergamene comunalf, n. 28, cartella I.
(4) Ibidem, n. 123.
VALENZA VENDUTA A PAVIA NEL I207 363
chese Guglielmo che voleva affrettarsi verso il regno del fratello
Demetrio, e che pel lungo viaggio abbisognava di una forte
somma, fu necessità alienare quel borgo, che così cominciò forse
ad avere col territorio pavese quelle relazioni strettissime, di cui
rimase sino a tempi vicini il ricordo nella sua soggezione spirituale
alla diocesi di Pavia.
Quantunque sin dai i6 agosto 1207 Guglielmo di Monferrato
desse al podestà di Pavia l'immissione nel possesso materiale di
Valenza, come appare ^1 nostro documento, i Pavesi, non sap-
piamo per quali circostanze, dovettero alcuni anni dopo fame re-
trocessione al marchese. Benvenuto di S. Giorgio scrive: e L'anno
e Millesimo ducentesimo sesto decimo, nella quarta indizione, il
€ Mercoledì, al li sei d'Aprile, i Pavesi richiedettero il Marchese Gu-
€ glielmo, che per osservanza delle promesse fatte per lui, nel tempo
« che gli diedero in pegno il Borgo eCastello di Valenza, lo dovesse
€ rimettere in mani loro : il che si contentò di fare, con le riserve
€ però, convenzioni e patti che si contengono in uno stromento ro-
€gato da Alberto notaio palatino, alla presenza di M. Assaglito di
e Santo Nazaiio, Rainerio di Corte, Guglielmo de Negri, Ruilmo
€ Arduino et Ferrano di Valenza (i)i. La notizia è molto compen-
diosa e i troppi sottintesi a cui dà luogo non permettono di com-
pletamente spiegarla. Però possiamo con fondamento supporre che
in questo strumento del 12 16, mentre Guglielmo accondiscendeva
in genere alla domanda dei suoi amici Pavesi, ponesse quella re-
strizione alla cessione di Valenza, che non aveva potuto mettere
stretto dal bisogno nell'istromento del 1207. Alludo alla clausola
di rivendicazione del possesso di Valenza, non appena gli fosse
stato possibile restituire ai Pavesi le quattromila lire avute per
quella vendita.
Con dò si potrebbe spiegare la incertezza degli storici nella
determinazione della natura dell'atto del 1207. Questo fu effetti-
vamente una vendita ed una cessione assoluta : la clausola del
riscatto fu aggiunta solo nel 1216 ; per cui il pignoramento di Va-
lenza di cui parlano Benvenuto ed il Cono se non può riferirsi
al primo, ha suo fondamento in questo secondo atto. Ciò è tanto
più probabile in quanto che nell'atto 24 marzo 1224 stipulato a
Catania, il marchese Guglielmo per garantire un debito di nove-
mila marchi coloniesi contratto con Federico II, concede all'im-
peratore anche i suoi diritti su Valenza che dice essere t in pignore
€a Papiensibus prò libris quatuor millibus (2)1. Valenza non è dun-
(i) Benvenuto di S. Giorgio, loc. cit., col. 373.
(2) Idem, loc. cit., col. 377.
364 VALENZA VENDUTA A PAVIA NEL 1207
que più proprietà assoluta dei Pavesi : è una semplice garanzia, il
pegno del debito del 1207.
Non si hanno indizii che i marchesi di Monferrato riuscissero
a svincolare Valenza dai Pavesi : anzi il fatto che ancora nel 1303
si fanno a Pavia autenticamente estrarre copie dagli originali
della primitiva obbligazione e cessione di Guglielmo, può indicare
che il suo debito era tuttora acceso e che i Pavesi conservavano i
loro diritti su Valenza,
^Rodolfo Majocxhl
DOCUMENTO
Anno dominice nativitatis millesimo ducentesimo septimo in-
didone decima, die mercurii quintodecimo kalendas augusti, io
Papia. In nomine [sancte] et individue trinitatis Amen. Dominus
Guillelmus &lius domini Bonefacii de Monteferrato Marchionis
prò precio librarum quatuor millium monete papié vendidit et
tradidit domino Girardo de fante papié potestati recipienti ipsam
venditionem nomine comunis papié, nominative totum locum va-
lende sive burgum valencie cimi castro et curte et portu sive tra-
verso et curtibus sive curiis et territoriis et ami onmi iurisdictionc
et districtu, pladtis, fodris, bannis, albergariis, dacitis, toloneis,
pedag^is, curadiis, exerdtibas et cum juribus fadendi pacem et
guerram, angariis, parangariis, vasallis, rebus vasallarìis, arimanis
et arimaniis, aquis, piscationibus et ripis aquarumque decursibus
et volucnmi captionibus et aquis ductilibus et fluviis et omnibus
rationibus conditionibus et rd>us et iurisdictionibus ipsi domino
Guillelmo pertinentibus [vel eius ?] patri, seu spectantibus, etc
Insuper cessit et dedit eidem potestati suprascripto nomine
omnia iura et actiones realia et personalia que et quas ipse vd
pater dus habebat contra comune valende et contra quascumque
personas valencie : Eo modo vel ordine ut decetero predictum co-
mune vel rector dusdem comunis seu rectores nomine suprascripti
comunis papié qui sunt et fuerint, habeant et detineant suprascrip-
tum locum sive burgimi ctmti castro et curte et portu sive traverso
et curtibus et territoriis et insulis et moltis valende et cima omni-
bus f>ertinenciis et cum omnibus suprascriptis ut dictum est et coi
dederint et fadant exinde quicquid voluerint sine contradictionc
VALENZA VENDUTA A PAVIA NEL I207 365
suprascrìpti domini Guillelmi Marchionis £lii domini Bonefacii
suique heredum et cum eonim defensione ab omni persona cum
ratione. Et ita eidem potestati nomine comunis papié promisit
attendere et firmum tenere. Insuper predictus dominus Guillelmus
filius domini Bonefacii marchionis montis ferrati promisit eidem
potestati recipienti ipsam promissionem nomine comunis papié
quod si eidem comuni papié vel alicui rectori vel rectoribus co-
munis papié prò ipso comuni vel nomine comunis papié imbriga-
mentum aliquod apparuerit et dampnum exinde comuni vel cui
dederint iure vcl more cvcnerit, restituet eis totum ipsum damp-
num. Et prò precio huius vendicionis et dati fuit confessus no-
minatus dominus Guillelmus marchio montis ferrati accepisse ab
codem potestate nomine comunis papié libras quatuor mille mo-
nete papié. Renuntiando exceptioni non numerati predi et omni
alii iuri quo se tucri posset, dicens se esse deceptum ultra dimidiam
insti predi. Et insuper constituit se possidere et quasi possidere
suprascriptum locum sive burgum cum omnibus suis pertinendis
et castro et curte et omnibus honoribus condicionibus et rebus
etiam supra dictis nomine iam dicti comunis papié ; dando eidem
potestati licenciam nomine predicti comunis sua auctoritate in-
trandi possessionem suprascripti loci sive burgi cum omnibus suis
pertinenciis et in omnibus suprascriptis. Preterea promisit ipse
dominus Guillelmus filius domini Bonefadi marchionis montis
ferrati ddem potestati redpienti ipsam promissionem nomine su-
prascripti comunis papié facere fieri fidelitates per homines va-
lende comuni papié*. Et iuvare predictum comune papié ad
habendum et manutenendum suprascripta omnia que in pre-
senti vel suprascripta vendicione veniunt et continentur et ha-
bendas omnes fidelitates hominum valencie omnium a quatuor-
decim annis in sursum et septuaginta inferius annis. Et si de ali-
qua suprascriptarum omnium briga vel contemptio comuni papié
apparuerit et guerra inde oriretur, ipse dominus Guillelmus mar-
chio cum omni sua f orda adiuvabit comune papié et a se guerram
f adet cum omni sua f orda et treguam nec pacem f aciet nec recre-
dutam guerram nisi prius comune papié habuerit fidelitates omnes
omnium hominum valende ut dictum est Et corporaliter d eodem
nomine dabit possessionem. Et hec omnia ita d suprascripto no-
mine promisit attendere et firmum tenere. Preterea iuravit nomi-
natus dominus Guillelmus filius domini Bonefacii marchionis
montis ferrati versus ipsum potestatem nomine comimis papié re-
dpientem ipsum sacramentum et nominative versus ipsum comime
papié quod predictum locum sive burgum cum omnibus predictis
iuribus honoribus et conditionibus et rebus atque pertinenciis ut
366 VALENZA VENDUTA A PAVIA NEL T207
supra scriptum et eodem modo tunc detinebat et quo supra scrip-
tum et carta scriptio traditio obligatio investitura refutatio datum
sive data nec aliqua securitas in alia parte facta, non est nocitura
comuni papié vel rectori seu rectoribus eiusdem comunis papié
neque cui dederint: Et abbine in antea per se nec per alium non
habet exinde agere nec causari nec placitare nec contradicere nc-
que guerriare predictum comune papié nec rectorem sive rectores
papié neque cui dederint sive quibus dederint, nec etiam fatigaie
Et quod non habet pedagium iungere nec montare nec f acere iungi
vel montare per se neque per alium alicui homini papié vel tene
papié nec etiam aliquem hominem papié vel terre papié capere
nec predare per se nec per alium vel submissam personam prò
facto valetìcie vel occasione valencie. Et si briga vel contencio ipsi
comuni papié vel rectori seu rectoribus papié aut cui dederint de
predicto loco vel burgo cum castro et omnibus honoribus sive
pertinenciis de toto, vel de parte apparuerit et dampnum inde ève-
niret, restituet ìpsum dampnum comuni papié ad quindecim dies
proximos ex quo comimi papié eveniret. Et cartulas omnes ei ve!
suis predecessoribus pertinentes in quibus contineatur vel legatur
vel nominetur locus sive burgus valencie vel aliquid seu aliqua de
pertinenciis valencie, rectori papié seu rectoribus nomine comunis
papié dabit usque ad annum novum kalendas januarias proximas
et si quid aliud in ipsis contineretur dabit exemplum nisi quantum
remanserit parabola rectoris vel rectorum papié de carte datione
tantum. Hec omnia ita vera sunt et attendere et observare habet
omnia bona fide sine fraude et contra predicta amodo non venirt
si deus illimi adiuvet et illa sancta dei evangelia. Idem dominus
Guillelmus hanc cartam et plures fieri precepit Interfuere bignotus
de zuminasco, Gualfredus de turricella, petrus Albaricius, petrus
Aghiratus, Guido de sycleriis, Petrus niger iudex, Albricus de
sancto Systo, Guido Sedacius, Bemardus Ysenbardus atque Ro-
sonatus de campese testes. Ego Apollinaris de sancta Agatha im-
perialis notarius hanc cartam tradidi et scripsi.
(Signum tabellionatus). Ego petracius de vicino sacri paladi
notarius autenticum huius capituli vidi et legi et sic in eo conti-
nebatur ut in hoc legitur exemplo preter litteram vel sillabam
plus minusve et hoc exemplum scripsi. Et dictum originale instru-
mentimi autenticavi et in publicam formam redegi mandato do-
mini Rufini de Camporumoldo iudicis et vicarii domini Zanoni
de Anditu papié potestatis millesimo duecentesimo trigesimo scxto
indicione nona die mercurii nono mensis januarii, presentibus tc-
stibus Lantelmo Ferrario, Detesalvo Capello atque Ottone de
Carexano.
VALENZA VENDUTA A PAVIA NEL 1307 3^
(Signum tabellionatus). Anno dominice nativitatis millesimo
ducentesimo septimo indicione decima die sabati duodecimo men-
sis augusti. Dominus Guillelmus filius marchionis Bonefacii Mon-
tisf errati aput portam valencie que dicitur de biduino assignando
et faciendo Girardum de fante potestatem papié ipsam pórtam
tajigere et accipere, dedit eidem potestati nomine comunis papié
et a parte ipsius comunis papié corporalem possessionem et quasi
corporalem et in eam ipsum dominimi Girardum predicto nomine
comunis papié induxit : Nominative de loco et turri valencie et
de illis rebus et rationibus et honoribus et omni iurisdictione et
gaudimentis de quibus fecerat ipse dominus Guillelmus marchio
ipsi Girardo nomine comunis papié vendicionem sicut in carta
facta per Appollinarem de sancta Agatha per omnia continetur.
Et hanc cartam inde fieri rogavit.
Interfuere Raynerius de sancto Nazario, Johannes bucentau-
rus, Guidonus mediabarba, Guillelmus de Systis, Otto merellus
atque Guifredus filius quondam Castellani de Baseniana testes.
Ego Appollinaris de sancta Agatha cui quondam Johannes
carianus sua r^liquit breviaria hanc cartam eiusdem quondam Jo-
hannis iussu scripsi.
(Signum tabellionatus). Ego Petracius de vicino sacri palacii
notarìus autenticum huius exempli vidi et legi sic in eo contine-
batur ut in hoc legitur exemplo preter litteram vel sillabcim plus
minlisve et hoc exemplum scripsi et dictum originale instrumentum
autenticavi et in publicam formam redegi mandato domini Rufini
de Camponmioldo iudicis et vicarii domini Zanoni de anditu
papié potestatis millesimo ducentesimo trigesimo sexto indicione
XK)na die mercurii nono mensis januarii. Presentibus testibus Lan-
tehno Ferrano, Detesalvo Capello atque Ottone de Carexano.
368 ANTONIO DE* MINUTI, IL BIOGRAFO CONTEMPORANEO
Antonio de' Minuti, il biografo contemporaneo
di Muzio Attendolo Sforza. (<)
[ella raccolta degli Scrittori Italiani del Muratori si trova,
accanto alla biografia di altri condottieri, anche la vita di
Muzio Attendolo Sforza, scritta da Lodrisio Crivelli;
indarno vi si cerca invece l'opera di Antonio de' Minuti, di Pia-
cenza, dalla quale il Crivelli ha attinto la materia. Soltanto nel 1869
fu pubblicata dal conte Giulio Porro Lambertenghi (2). L'editore
conosceva due manoscritti dell'opera: l'uno, terminato il io giu-
gno 1490 da Elia del Pozzo, si trova nella biblioteca Trivulziana di
Milano; l'altro, ultimato il 20 settembre 1491 da Bartolomeo Cam-
bagnola di Cremona, per ordine del segretario ducale Marchesino
Stanga, nella biblioteca Nazionale di Parigi (3). D codice trìvulziano
forma la base dell'edizione. Un terzo manoscritto fu da me scoperto
nello scorso anno, nella biblioteca Civica di Breslavia (4).
È un manoscritto cartaceo di 80 fogli scritti (25 X 20 cm.),
legato in pergamena, ed ornato collo stemma del letterato Tomaso
Rehdiger (f 1576), dalla cui eredità proviene il codice. 11 manoscritto
porta la segnatura R. 299. U foglio I porta l'intestazione: « Initium
« libri et origo generationis Magnanimi et probissimi viri et Domini
« Sfortie de Attendolis de Cotignola repertum per Serenissimum
« Principem dominum Robertum de Baveria Romanorum regem in
« Padua anno domino MCCCLXXXXVII » {5). Questa intestazione
non si riferisce a tutto il libro, ma solamente al racconto dell'ori-
gine di Casa Sforza, che va dal primo sino al terzo foglio. D testo
di questa genealogica narrazione, incomincia colle parole (fol. i):
« [H] aec omnia qui legerit ne admirari incipiat... » E si chiude
(i) Trad. dal manoscritto tedesco dell'autore.
(a) Antonio Minuti, Vita di Muzio Attendolo, edita da Giulio Porro
Lambertenghi in Mise, di stor. ital^ VII, 95-306.
(3) n codice parigino, appartenuto alla libreria ducale di Pavia, è
splendidamente miniato, forse da fra Antonio da Monza (cfr. D'Adda
MoNGERi, Vartt del minio nel ducato di Milano in Arch. stor, tornò., iSSs,
p. 772 e sgg.
(4) Io indico i manoscritti di Milano, Parigi, Breslavia, semplice-
mente con M, P, B.
(5) La data dell'anno è falsa; Rutperto del Palatinato diventò re
nel 1400 e comparve in Padova soltanto nel 1401.
DI MUZIO ATTENDOLO SFORZA 369
(fol. 3): « ... corno per altre scripture se può videre e molte cro-
tf niche. » Al foglio quarto segue il titolo della biografia stessa:
» Compendio di gesti del Magnanimo et gloriosissimo Signore
tf Sforza etc. dal tempo da la soa natività fine ala morte sua com-
*i pUato per Antonio di Minuti Piacentino in lanno MCCCCLVIII in
« vulgare cioè in 1458 in Milano sotto lo Illustrissimo Francesco
« Sforza ducha IIII ».
D testo della biografìa incomincia come segue: (fol. 4): « [P] er
« che al mio parere non e da pretermetere e lassare... n La chiusa
trovasi al foglio 80: « Li altri gesti del conte Francesco per altri
M modi se descrivano particularmente et ordinatamente in altre carte.
u finito die 24 Julii 1492. Finis Deo Gratias Amen ».
Il manoscritto venne pertanto terminato nell'anno 1492. È ese-
guito colla stessa uguale calligrafia a caratteri chiari. Sull'ultima
pagina (fol. 80 b.), sta registrata d'altra mano, con scrittura appena
leggibile, una serie di annotazioni che sono importanti per la storia
del codice (i).
Non potei decifrare le prime sei linee; sembra che vi sia
espressa la preghiera per una inscrizione sepolcrale. Vi segue il
poetico epitaffio:
Horida morte tenebroso [sic] e scura
Ha posto al fine imo amoroso core
Quel giace soto questa pietra dura
La causa fu gran fede et tropo amore
Finis.
Alla fine, la innamorata scrittrice si palesa per nome:
Julia Sforza a scrito el presente verso di sua mano propria, et
ancora a scrito el presente sotoscrito.
Io Julia Sforza confeso aver recevuto el presente libro dal
Illustrissimo signor conte Ugo de la Somala [?] patrono suo [sic]
singulare.
Perciò il codice si trovava in possesso di un conte Ugo, che
forse apparteneva al casato lombardo dei della Somaglia (2); il conte
(i) Pel suo aiuto nella decifrazione di questi passi debbo rendere
grazie al signor bibliotecario dott. Hippe in Breslavia; altrettante per
cortesi comunicazioni, ai signori Emilio Motta in Milano, professore
G. Romano in Pavia, dott. O. Cartellicri in Berlino e cand. phil. Koch in
Breslavia.
(2) Un conte Ugone della Somaglia vien confermato nel 1470 nel
possesso del feudo di Somaglia; egli era senatore, più tardi governa-
tore di Pavia (cfr. Tkttoni, Teatro araldico italianOf III).
370 ANTONIO de' minuti, IL BIOGRAFO CONTEMPORANEO
lo cedette a Giulia Sforza. Due donne che portavano lo stesso
nome entrano qui in questione. Ambedue discendono dalla linea di
Santa Fiora, fondata da Bosio, figlio di Muzio Attendolo. Giulia, la
maggiore, era la figlia di Guido Sforza e nipote di quel Bosio. Si
sposò nel 1487 con Pietro Paolo Conti, signore di Valmontone^
e fece il suo testamento nel 1509. La Giulia più giovane, fi^ia
di Bosio Sforza, era pronipote della maggiore, e moglie dello
Sforza-Pallavicini, marchese di Busseto e Cortema^ore; ricevette
nel 1548, da papa Paolo III, il possesso di S. Arcangelo in Ro-
magna (i).
Il manoscritto, scritto nel 1492, giunse al più tardi nel 1576
in possesso di Tomaso Rehdiger che mori nello stesso anno, e
lasciò una ricca biblioteca, il fondo principale dell'attuale Biblioteca
Civica di Breslavia.
Tra il 1492 e il 1576, la Giulia maggiore, come la minore,
poteva aver benissimo posseduto il codice. Una decisione sicura
non è possibile colle fin qui a me accessibili fonti.
Senza dubbio il manoscritto ^ è in parentela più stretta con P
che con M, Già il principio suona uguale in £ e P, fatto astra-
zione da piccole varianti: « Initium libri et origo generationis^. »
Anche la falsa data del 1397 ricompare in P (2). M incomincia
invece colle parole: « Compendio di gestL.., » che in B non
inaugurano tutto il manoscritto, ma solo la sua seconda parte,
la biografia. Come anno della compilazione dell'opera, M oflfre al
princìpio la data dal 1454 (3), alla chiusa 1458; B e P concordi,
non danno alla fine, alcun numero, al principio della biografia,
Tanno 1458. U Porro ha citato soltanto alcune poche varianti del testo
parigino dal milanese; nel maggior numero di questi casi, P s'ac-
corda con B. In generale M, il manoscritto più antico, ofl&re il testo
più esatto.
Tuttavia scaturiscono da B un ragguardevole numero di cor-
rezioni. Nomi falsi di luoghi e di persone vengono corretti, tolte
cronologiche contraddizioni, lacune riempite, e chiarite frasi in-
comprensibilL
(i) LiTTA, Famigiit c€lebri ùmàmnt, fase I; Ratti, Mnmorii éiik
famtgiìm Sforza, I, 208, 226.
(2) V. sopra p. 368, nota 5.
(3) O 1459 1 La prima data sta neiredizioDc del Porro, la se-
conda nel Caiaiogo dn manoscritti étUa Trivulmiana^ p. 243, parìmeote
edito dal Porro.
DI MUZIO ATTENDOLO SFORZA
371
Produco qui due esempi:
M.
[Mise, di stor. Hai, VII, 120]; E
andarono insema ambidui [Sforza e
Lorenzo Attendolo] la prima volta
ne l'anno MCCCLXXXV de aprile
al soldo del marchese Alberto mar-
chese de Ferrara.. Stette con il mar-
chese circha anni XV III, poi si
partirono dicti Sforza et Lorenzo
tutti dui insema dal detto mar-
chese... Nell'anno MCCCLXXXXII
de marso se condusse con il conte
Johanni et con el conte Albericho
da Barbiano.
B.
[fol. 7]:... et andarono in seme
ambi doy la prima volta de lanno
MCCCLXXXX.*' daprUe al soldo del
marchexe Alberto de Ferrara...
stato col marchexe circha mtise
[= w«i] XVllI se partirono dicto
Sforza et Laurentio tuti doy in
sema dal dito marchexe... del anno
MCCCLXXXXII di marzo se con-
dusero col conte Johanne et col
conte Albrico da Barbiano.
[Mise, di stor, ital,, VII, 195]: Li-
berato Sforza, come è ditto, et in-
tendendo farsi signore di Roma,
dette licenzia a Micheletto e Gas-
solo, non obstante Micheletto ha-
vesse havuto Brazo a farlo signore
ne la Marca...
[fol. 36]: Liberato Sforza comò
è dito Braso intendendo farse si-
gnore de Roma diede licentia a
Micheleto et Casolo non obstante
Micheleto havesse adiutato Brazo
a farlo signore in la Marcha...
Il primo dei passi citati contiene in M due contraddizioni :
!.• Se lo Sforza nel 1385 entrava al servizio del marchese di Fcr*
rara, nel 1392 in quello dei conti Barbiano, non poteva egli aver
servito al marchese per 18 anni, a.*» Alberto diventò marchese sol-
tanto nel 1388. — Ambedue le contraddizioni cadono in B: nel
1390 lo Sforza entra al servizio d'Alberto, rimane 18 mesi presso
di lui e nel 1392 diventa condottiero dei conti di Barbiano. Nel
secondo passo^ Sforza diventa soggetto m M, in B Braccio da
Montone; soltanto a quest'ultimo si adattano le imprese narrate.
Dopo queste comunicazioni intorno al ms. nuovamente trovato,
mi rivolgo alla persona del Minuti. 11 Porro nella prefazione della
sua edizione osserva (i): « Della vita dell'autore nulla ho potuto
u raccogliere.... Solo risulta dal suo libro che seguiva lo Sforza,
M ed era da lui adoperato in alti uffìcii ».
Ma per verità si rivelano dalla Vita dello Sforza, notizie di più
generi intomo all'autore. A queste si associano testimonianze do-
(i) Mise, di stor. itaL, VII, loi.
rirch. Stor. Lomb., Anno XXTX, Fase. XXXVl
24
372 ANTONIO DE* IflNUTIy IL BIOGRAFO COMTEKPORAIIEO
cumentarìe che il Porro non poteva ancora conoscere. Tentiaiiio di
ricostruire, da queste notizie frammentarie, la biografia del aronista.
Antonio era figlio di Jacopino de' MQnuti, e traeva l'orìgìiie da
Piacenza (i). Nacque avanti il 1400, poiché nel!' inverno del 141718;
copriva, come verrà dimostrato, un'importante carica; doveva quincfi
allora esser già giunto all'età virile. Intorno alla sua educazimie
non possiamo che formare delle congetture. Egli ha più tardi ri-
coperto la carica di notaio, dunque è verosimile, che, come la
maggior parte dei suoi colleghi, egli abbia studiato all'univetdtà
r « ars notariatus », e forse si sia anche esercitato presso un
notaio.
I tempi procellosi dello scisma, in cui cade la giovinezza dd
Minuti, offrivano agli audaci condottieri l'occasione più favorevole
di salire in alto.
Gli sguardi d'Italia riposavano allora con compiacenza sopra
Muzio Attendolo Sforza ed il suo rivale Braccio da Montone.
Quando quest'ultimo, nel 1416, durante la sua campagna contro
Perugia, traversò il territorio di Forlì, il Minuti si trovava appunto
in Forlì (2). Non contento del possesso di Perugia, Braccio si fece
pure signore della città etema, che, dopo la deposizione dei pa|»
scismatici, ed avanti l'elezione di Martino V, era senza padrone.
Dopo un dominio di soltanto 70 giorni sopra a Roma, Braccio ve-
niva scacciato il 26 agosto 141 7 dalle truppe napoletane che la
regina Giovanna II, sotto il comando del suo gran connestabilc
Sforza, aveva inviato contro di lui per obbligarsi il papa futuro. In
quel tempo Minuti stava già al servizio dello Sforza, e godeva la
sua fiducia. Ciò risulta dal seguente passo della biografia I3):
u Dopo questo Sforza... andò a Roma a la intrata de dicembre.
u Et stato lì in Monte Jordano da li Orsini ebbe novella de la crea-
rt tiene de Papa Martino quinto. Et da lì a pochi dì retomò nd
u reame et lassò Fuschino suo nepote al governo et guardia de Roma
u con mille settecento cavalli et con Antonio Minuti .. et a la uscita
u de mazo [= maggio] mandò [lo Sforza] per Fuschino suo nipote et
« Antonio de Minuti che era a Roma et feceli venire in el reame... ■
Secondo questa relazione, allorché lo Sforza ritornò dalla
(i) Nel titolo della biografìa, viene nominato come autore * Antonio
" de* Minuti Piacentino „. In un documento egli si è sottoscrìtto di pro-
prio pugno come " Antonius condam Jacopini de Minutis de Placeotìa r
Osio, Documenti diplomatici tratti dagli Archivj milanesi. III, n. 249.
(2) Mise, di stor. itaL, VII, 190.
(3) Ibid., 2i2:^2Z^,
DI MUZIO ATTENDOLO SFORZA 373
conquistata Roma nel reame di Napoli, vi restò suo nipote Fo-
schino Attendolo fino alla (ine di maggio 1418 come comandante,
e con lui il Minuti, probabilmente colla carica di un notaio. Lo
storiografo Crivelli riferisce lo stesso fatto colle seguenti parole (i):
« Sfortia Foschinum Attendulum cum magna militum manu et
« Antonium Minutum, spectatae virtù tis quaestorem, in Urbe reli-
« quit » Questa testimonianza non ha verun valore sostanziale,
poiché il Crivelli ha attinto dall'opera del Minuti : il titolo « Quaestor n
che al Minuti s'è attribuito, è ben ancora solo un antico ricordo,
che non ci istruisce sopra alla sua vera posizione.
Nell'anno 1419 lo Sforza intraprese per desiderio del papa
e della corte napoletana, una nuova campagna contro Braccio
che non aveva ancora sgomberato dagli Stati della Chiesa; ma
questa volta la fortuna era dalla parte di Braccio. In giugno, tra
Viterbo e Montefiascone, toccò allo Sforza una grave sconfitta.
il Minuti si trovava di nuovo presso l'esercito dello Sforza (2). Cadde
prigioniero di guerra; da principio fu tenuto prigioniero in Mon-
tefiascone; ai primi d'ottobre Niccolò Piccinino, il luogotenente di
Braccio, lo condusse seco lui ad Assisi (3). Dopo la sua libera-
zione ritornò probabilmente dal suo signore, e restò al suo ser-
vizio sino alla morte dello Sforza, annegatosi, come è notorio, nel
fiume Pescara il 4 gennaio 1424.
Dal servizio del padre sembra ch'egli passasse tosto a quello
del figlio; poiché se egli vanta con calde parole la bontà di Fran-
cesco Sforza verso i servitori di suo padre, é manifesto che parlava
per propria esperienza (4).
Dieciotto anni più tardi il Minuti appare come notaio e segre-
tario di Francesco Sforza. Questi aveva intanto solidificato la sua
gloria di condottiero ed acquistato una carica principesca; erasi
maritato coll'unica figlia del duca di Milano Filippo Maria, e pos-
sedeva la Marca d'Ancona come feudo pontificio. In questo pos-
sesso egli fu minacciato tuttavia nel 1442 da una lega, alla quale
appartenevano assieme al duca milanese, papa Eugenio IV ed
(i) Muratori, Scriptores Rer. ItaL, XIX, 682.
(2) Mise, di stor. ital, VII, 236, 239.
(3) Ibid., 244 : " Ei io che scrivo el so perchè io essendo prigione
in Montefiascone Nicolò Piccinino corno me doveva liberare me menò
■ con lui quella notte et poi me menò a Santi... „. Un sito chiamato
Santi non esiste; B legge: Sisì (— Assisi); anche il Crivelli (Muratori
XIX, 698) ha: Assisium.
(4) Ibid., 290.
374 ANTONIO DE* MINUTI, IL BIOGRAFO CONTEMPORANEO
Alfonso V di Aragona. Francesco Sforza cercò di farsi amico
Tultimo con un' alleanza di famiglia. 11 re consenti difatti che la
sua figlia naturale si fidanzasse con un figlio di Francesco, ed a
questo fatto cooperò il Minuti. Egli autenticò Tatto stipulato
pello sposalizio, il 31 luglio 1442 a Rottacoppa, nel territorio
di Servigi iano (a sud di Ancona). Qui egli si sottoscrisse di proprio
pugno: « Antonius, condam Jacopini de Minutis de Placentia,
H publicus imperiali auctoritate notarius et judex ordinarius, et nunc
« notarius et secretarius eiusdem illustris Domini Francisci Sfor-
« tie » (i). L'accordo con re Alfonso naufragò; nell'anno s^uente
Francesco annodava trattative di pace col papa, ed eleggeva al-
l'uopo in Jesi, il 30 aprile 1443, due intermediari. Alla nomina era
presente come testimonio il Minuti; egli venne allora indicato come
secretarités et cancellarius (2). Anche questa volta la pace non venne.
Francesco fu finalmente costretto dai suoi avversari a rinun-
ziare alla Marca d'Ancona; all'opposto la casa Sforza salvava il
possesso della città di Pesaro mediante una convenzione coi Ma*
latesta. 11 cancelliere Minuti era testimone quando fu conchiuso il
patto di Pesaro, il i maggio 1447 (3). Il suo signore ottenne ricchi
compensi pel perduto territorio, conquistando nel 1450 il ducato di
Milano. Che il Minuti restasse al servizio del duca Francesco, lo
provano tre lettere inedite, scritte dal campo di battaglia al suo
fedele, il 28 agosto, il 13 novembre e il 20 novembre 1452. L'in-
dirizzo dell'ultima di queste lettere palesa che il Minuti ricoprisse
un' alta carica nell'amministrazione delle finanze del ducato; esso
suona così: « Antonio de Minutis regulatori ìntratanim... » (4).
Come u Regulator ducalium intratarum » figura il Minuti anche
ai 24 maggio 1456 in un'esenzione di dazi, concessa dal duca di
Milano a favore delle valli Verzasca e Maggia, documento attual-
mente in possesso del sig. Emilio Motta. In Milano nel 1458 il Minuti
dettava la vita di Muzio Attendolo Sforza; indica egli stesso il
luogo e l'anno della composizione (5). Forse egli scrisse il suo
(i) Osio, 111, n. 249; cfr. Rubieri, Francesco 1 b/orza, 1, 352-353.
(2) Ibid., n. 260.
(3) Ibid., n. 432.
(4) Le lettere si trovano nella Biblioteca Nazionale di Parigi (Co-
dice itaL 1S94)' Delle copie sono in mia mano; rinuncio tuttavia alla
pubblicazione dei testi, contenendo esse niente di nuovo intomo al Mi-
nuti. Il Mazzatinti ha segnalato per primo le lettere in quest'^nrArwìD,
a. 1885, p. 680 e 684.
(5) Mise, di sior. itaL, VII, 305.
DI MUZIO ATTENDOLO SFORZA 375
lavoro per incarico del duca, certamente lo consacrò a lui, poiché
alle frasi introduttorie della biografia, ei fa seguire un' arringa
a Francesco: « Cominciarò adunque, Illustrissimo principe et cie-
li mentissimo mio unico segnore, del vostro gloriosissimo genitore li
u gesti soi et facti... n (i). Che il Minuti dettasse il suo lavoro nel 1458,
questa è Tultima testimonianza concernente la sua vita, che noi,
sebbene con grandi lacune, dal 1416 al 1458, abbiamo potuto se-
guire.
Anche come storico il Minuti non rinnega il cortigiano.
Chiama con forma adulatrice il suo duca e il dì lui padre una
u natura angelica più tosto che umana »; e falsamente afferma
che Francesco Sforza non cedette mai davanti ad un avversario (a).
Come uomo che passò tutta la sua vita al servizio di un (prin-
cipe, sa le regole come si possa mantenere a corte la propria in-
fluenza (3). Le sue esperienze gP insegnarono a disprezzare gli
uomini. Sa che la sete di dominio molti seduce a sprezzare i
legami del sangue e le leggi dell'onore ; sconsiglia di fidare
troppo nel nemico riconciliato; chiama le donne « frivole, leggere,
u mobili » e il suo secolo u misero e fallace » (4), Ma egli è pure un
figlio germano del suo secolo, anche in lui vi è confuso il senti-
mento del bene e del male. Narra apertamente la partecipazione
dello Sforza all'assassinio premeditato di Ottobuono Terzi, signore
di Parma e di Reggio (5), ma non perchè lo costringa il severo
amore della verità dello storico di riconoscere i difetti del suo eroe,
ma perchè egli non sente il biasimo del fatto. Vede in esso una
azione conforme allo scopo, compiuta con coraggio e prudenza;
ma non gli viene punto alla mente di chiedersi se sia giustificata
moralmente. Fra i suoi contemporanei il Minuti si distingue perchè
non ha subito una più profonda influenza del classicismo. Vera-
mente egli nomina alcuni antichi storici, e paragona il suo eroe
ad Orazio Coclite (6): ma la sua opera, scritta in lingua volgare,
mostra niuna cura di voler imitare i classici esempi.
La biografia dello Sforza venne, come il Porro già fece risal-
tare, usufruita da due storiografi del quattrocento. Lodrisio Crivelli,
del ciclo di letterati che circondava il duca Francesco, nel suo
(i) Ibid,, £10.
(2) Ibid., 141, 250, 140.
(3) Ibid., 204.
(4) Ibid.. 204, 258, 293. 297.
(5) Ibid., 153-154-
(6) Ibid., 109, 209.
37^ ANTONIO de' minuti, IL BIOGRAFO CONTEMPORANEO
scritto latino : De vita rebusque gestis Sfortiae s* è strettamente
uniformato col Minuti (i). La supposizione che i rapporti di am-
bedue le fonti siano inverse, il Porro ha con ragione dichiarato
inamissibile (2); accettandola, riusciremmo all'assurda conseguenza
che il Minuti avrebbe attinto i fatti cui egli aveva preso parte,
dal libro di un autore che non vi aveva partecipato. La conso-
nanza è così grande, che il Crivelli presta buoni servizi alla ela-
borazione del testo del Minuti; talvolta rende possìbile di correg-
gere i nomi malamente tramandati. Anche Lorenzo Buonincontrì
da S. Miniato, come lo provano le note del Porro, si è servito
dell'opera del Minuti per comporre i suoi Annali (3). Il Porro al
contrario, non ha toccato alla questione, se il Minuti stesso si
sia servito dì qualche fonte. Il nostro storiografo non ha lui stesso
osservato tutto ciò che racconta del suo eroe; secondo la sua
medesima aflfermazione, ei conosceva narrazioni delle gesta dello
Sforza : « Più hanno commentato et scripto, più et chi manco de questi
u gesti de Sforza come Leonardo Aretino, Biondo da Forlì, Bartolo-
u meo Genoese et più altri (4). » Leonardo Bruni di Arezzo (f 1444I
ha parlato dello Sforza in due sue opere storiche (5), ma in en-
trambe così brevemente, che il Minuti non poteva attingervi no-
tevoli informazioni. Lo stesso valga anche di Bartolomeo Fazio,
che il Minuti chiama Genovese, perchè la patiia sua è Spezia, e
giace nel Genovesato. Ha schizzato nella sua opera ultimata nel 1456:
De viì'is illustribus (6) le biografie dello Sforza, dì suo figlio Fran-
cesco e di Braccio da Montone, ma si limitano tuttavia a poche frasi.
11 Minuti trovò una fonte più ricca nelle Decadi di Flavio Biondo
da Forlì, terminate nel 1452 (7). Veramente intorno ai primitivi
tempi dello Sforza, il Biondo non riferisce quasi nulla ; più det-
tagliatamente egli dipinge la sua posteriore attività ai servigi napo-
letani e papali. 11 Minuti deve varie notizie a questa narrazione (81,
(j) Edito in Muratori, l\. 1, S., XIX, 623 e sg.
(2) Aftsc. di stor. ital., VII, loi.
(3) Edito in Muratori, R, I. S., XXI, i e sg.
(4) Mise, di stor. ital.y VII, 109.
(5) Ilistoriar. Jlorentinar. lib. XII, Argentorati 16 io, p. 242. Rtrnm
in Italia suo tempore gestaruni commetitarius in Muratori, XIX, 927 e 933.
(6) Edito da Lorenzo Mehus, Florentiae, 1745. Intorno alla data della
sua relazione cfr. Praefatio^ p. X-XIV.
(7) F. Blondi, Opera, Basileae, 1559. cfr. Masius, FI. Biondo^ Disser-
tazione inaug., Lipsia 1879, p. 31-36.
(8) Cfr. Biondo, op. cit., p. 406-411; Mise, di stor. ital., VII, i8i-ki
227-232, 252-298.
DI MUZIO ATTENDOLO SFORZA 377
ma oflFre insieme un ricco tesoro di particolari sue indipendenti
notizie. Così di fronte alle scarse indicazioni del Biondo intorno ai
combattimenti di Viterbo nel 1419, sta nel Minuti un preciso rap-
porto ricavato da esperienza propria (i). Dall'altra parte egli sa
rendersi conciso negli argomenti che non hanno relazione imme-
diata colla sua materia; l'assedio di Bonifacio da parte degli Ara-
gonesi che il Biondo descrìve minutamente» è sfiorato appena dal
Minuti (2). Oltre queste numerose fonti, egli cita ripetutamente una
enigmatica opera: Gesta del conte Francesco, Questo scritto deve avere
dipinta la vita dello Sforza almeno sino al 1450; poiché la sua
assunzione al trono di Milano vi era mentovata (3). Esso com-
prendeva pure la giovinezza di Francesco (4) ; perciò non può es-
sere identica colla inedita Sforziade del Filelfo che comincia solo
colla morte di Filippo Maria (1447) (5). Non può essere nemmeno
identificata colla breve Vita di Francesco nell'opera di Bartolomeo
Fazio, poiché a questa mancano diverse notizie che il Minuti trovò
nelle Gesta, Forse le Gesta che vengono sempre citate senza indi-
cazione dell'autore, sono una opera propria del Minuti.
Nei tre mss. conosciuti, alla Vita, in volgare, dello Sforza,
precede una genealogia della sua casa (6). E stesa in latino; le
ultime frasi soltanto sono in italiano. Secondo quest'esposizione il
figlio di contadino della Romagna deriverebbe da nobile schiatta
della Dacia; il suo antenato era calato, come vi si dice, in Italia,
coirimperatore « Longofredus de Sausonia » [= Lotharius de Sa-
xonia?]. Dacia sta, come in molti casi, per Dania (Danimarca). Solo
in questa maniera si spiegano i passi riferentisi all'aspetto este-
riore germanico dello Sforza; solo in questa guisa si comprendono
le parole: « Christoforus Datiae, Sbigae et Norvigiae, Hostiae et
fc Vendiae rex »» ; esse significano : « Cristoforus, Daniae, Sveciae et
« Norvegiae, Gotiae et Wendiae rex ». Il racconto riferisce che fu
per primo il re dei romani « Robertus de Bavarìa » (Rutperto del
Palatinato) a scoprire l'origine danica dello Sforza, allorché egli
convenne in Padova col condottiero. A questa invenzione diede
motivo un fatto autenticato. L'8 febbraio 1402 aveva concesso uno
stemma allo Sforza (7) che a lui guidato e condotto aveva gli am-
(i) Biondo, op. cit, p. 409; Mise, di stor. ita/,, VII, 2^3 e sg.
(2) Biondo, op. cit., p. 409-410 ; Mise, di stor. Hai., VII, 258.
(3) Cfr. Mise, di stor. Hai, VII, 291.
(4) Cfr. ibid., 273, 286, 293, 300.
^5) Cfr. Rosmini, Vita di Francesco Filelfo, v. II, p. 159.
(6) Mise, di stor. ital,, VII, 103-108.
(7) Chmel, Regesta Ruperti regis, n. 1135.
DI MUZIO ATTENDOLO SFORZA 379
nianze intomo alla persona di « Mandolus de Franchis de Padua. »
Le sue relazioni colla casa di Brandeburgo spiegano a sufficienza
ch'ei si appoggi alle fonti brandeburghesi ed alla testimonianza di
un Elettore Federico. La Danimarca, la supposta patria dello
Sforza, egli ritenne probabilmente come paese confinante col Bran-
deburgo.
Credo di poter stabilire con esattezza il tempo in cui scrisse
Mandole. Nella genealogia sono incastonati alcuni pesanti esametri,
i quali pel contenuto e per la lingua si avvicinano talmente al rac-
conto in prosa, che si possono ritenere come produzione sua.
In questi versi vien raccontata ancora una volta la grande sco-
perta di Rutperto; indi prosegue il verseggiatore:
Ex igitur proavis ex Datiis nata propago
Sforcia Franciscus, qui bello invictus et armis, (j)
Virtute et superis fautricibus omnia vinceos (a)
Rex miram Italiam pacem revocavit in omnem
Et tamen sanctum indigna ditione sepulchrum
Eripere est cupidus gentemque domare profanam (3)
L'autore usa in questi versi il tempo presente, mentre prima si
è costantemente servito dell'imperfetto. Racconta come un fatto con-
temporaneo che Francesco Sforza abbia desiderato di liberare « 1
u Santo Sepolcro dalla indegna dominazione e di domare l'impuro
u popolo pagano » dopo aver « ricondotto in tutta l'Italia una pace
« meravigliosa ».
Questi dati non si possono riferire che al tempo della dieta di
Mantova inaugurata da papa Pio II, al i giugno 1459, a scopo di
condurre a termine il progetto di una crociata contro i Turchi, i
conquistatori di Costantinopoli. Ma dei grandi principi italiani uno
solo ivi comparve, Francesco Sforza, che perciò ebbe una grande
parte nell'adunanza. Quando egli arrivò in Mantova, nel settembre
del 1459, in suo nome, Francesco Filelfo tenne un discorso nel
quale assicurava che il suo signore s'era determinato ad intrapren-
dere la guerra santa (4). Non era cosa seria da parte del duca : ma
lo si credette, e si capisce che Mandole si sentisse allora indotto
ad encomiarlo come il futuro liberatore del Santo Sepolcro, e in
(i) Af. scrive : aun'o, B, : armis,
(2) M. dà: vinciusj B, e P.: vincens,
(3) Domare è congettura; tutti i mss. leggono: donasse.
(4) Cfr. Pastor, Geschichte der Pàpste, lì, 52.
380 ANTONIO DE MINUTI, IL BIOGRAFO CONTEMPORANEO, ECC.
egual tempo a proclamare a tutto il mondo la nobile sua orìgine
danese. A questo tempo conviene pure l'altra notizia che regnasse
la pace in Italia. Alla pace di Lodi, concordata in primavera del 145^
tra il duca ed i Veneziani, i rimanenti stati della penisola avevano
successivamente annuito; e il 2 marzo 1455 gli araldi potevano
proclamare in Roma la fondazione di una lega italiana. Purtroppo
già al principio d'ottobre del 1459 (i) la spedizione intrapresa di
Giovanni d'Angiò contro Napoli poneva (ine allo stato pacifico. Man-
dole deve avere scritto prima di questi avvenimenti, e dopo l'ar-
rivo'di Francesco in Mantova; dunque nel settembre 1459, un anno
dopo il Minuti. Probabilmente egli scrisse in Mantova dove regnava
il marchese Luigi 111, figlio del suo vecchio protettore Giovanni
Francesco Gonzaga, e sedeva la dieta. In rapporti con la casa di
Brandeburgo stava anche la corte mantovana , poiché Barbara,
moglie di Lodovico 111, era figlia di quel marchese Giovanni, che
Mandole aveva accompagnato in Terra Santa.
Forse Francesco stesso ebbe a commettere in Mantova a
Mandole di stendere la genealogia di casa Sforza, e di premet-
terla come introduzione alla nuova opera del Minuti ; poiché un
rimando a questo scritto è contenuto nell'opera del Franchi (a).
Quest'ultima è senza alcun valore storico ; il lavoro di Antonio
de' Minuti per contro meriterebbe sulla base di questi tre conser-
vati mss., di essere ripubblicato in edizione critica.
Otto Schiff.
(1) Pastor, op. cit., Il, 73; Voler, Enea Silvio de" Piccohmini, HI, 137;
Gregobovius, Gtschiehte dtr Stadi Rom, 4." Aufl., VII, 179.
(a) Mise, di stor. ital-, VII, 104; " De Sfortia agendum est.... ^
NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI, ECC. 381
Notizie e documenti inediti
intorno all'alchimista Giuseppe Borri.
|el milanese Borri e delle sue curiose e stravaganti av-
venture discorse or non è molto il compianto De Ca-
stro (i), e poiché ci fu dato di ritrovare nella Biblioteca
e negli Archivi Vaticani, mentre eravamo occupati in altre ricer-
che, alcuni documenti che gettano una più chiara luce sulle gesta
di quest'uomo, che nel sec. XVII tanto fece parlare di sé in Italia
e in gran parte dell'Europa, non ci sembra inutile di ritornare
suirargomento.
Nato verso il 1625 in Milano da un'antica e nobile famiglia
lombarda, Giuseppe fu per volontà del padre, medico di buona
fama e senatore, mandato a Roma a studiare nel Seminario dei
Gesuiti ; e il giovinetto, d'ingegno fervidissimo e caro perciò ai
maestri, non tardò a manifestare l'indole sua ribelle e prepotente.
In collegio, ricusando un giorno per ragion di salute di frequen-
tare le lezioni, ebbe una vivace disputa col rettore che l'aveva se-
veramente rimproverato ; gli venne quindi inflitta, insieme a una
trentina di compagni che avevano preso parte per lui, la non pe-
regrina punizione del pane e acqua, e tutti gli scolari allora, ani-
mati dalle sue ardite parole, insorsero, e rinserrati i gesuiti in
una stanza, li tennero prigionieri finché il Cardinal Vicario e due
altri prelati non riuscirono a persuadere e a calmare i tumultuanti :
ai quali fu tuttavia concessa, pegno della resa, l'alta soddisfazione
di veder rimosso il rettore dall'ufficio.
Lasciato presto il seminario, il Borri, non privo di denaro,
condusse vita allegra e spensierata, pur non trascurando lo studio
della medicina, e sopratutto dedicandosi con ardore alle ricerche
alchimistiche, per le quali aveva una vera passione ; ma nel 1654,
per gravi accuse che riguardavano probabilmente la sua condotta
troppo disordinata, costretto a sfuggire al rigore delle leggi, ri-
parò nella chiesa di S. Maria Maggiore. Ne usci senza aver noie,
fingendosi molto pentito di quanto gli si era imputato, e da quel
momento il medico alchimista si camuffò da apostolo ; confidò
(i) G. De Castro, Un precursore milanese di Cagliostro in questo
Archivio, serie III, fase. IV, 350-89. Il De Castro, citando lutti quelli
che del Borri più o meno scrissero^ non accenna a ciò che ne disse il
Cantò, Eretici d'Italia^ III, 329-32, Torifio, 1866.
382 NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
agli amici che una celeste visione gli aveva annunziato esser pros-
sima in lui la venuta dello spirito profetico, e meditò una specie
di riforma religiosa, nella quale non è in verità difficile di rico-
noscere Tuomo pieno di fede nelle scienze occulte ; cosicché si
può ben dire ch'egli si era assunto il grave compito di combattere
o di modificare i dogmi coll'aiuto dell'alchimia.
Il De Castro crede ch'egli, disgustato dallo spettacolo triste
che Roma presentava in quei giorni, sia stato tratto ad un esa-
gerato ascetismo, e per purgare le proprie colpe, e per rimediare
al mal costume del clero e della corte pontificia ; eppcrò, esclu-
dendo ch'egli fosse un impostore, lo giudica piuttosto im allu-
cinato, e trova che in ciò appunto differisce dal famigerato Ca-
gliostro. Ma se si può ammettere che il Borri, passando lunghe
ore tra i fornelli e i lambicchi per scoprire il modo di fabbricare
l'oro, si fosse proprio convinto di poter comunicare col mondo
degli spiriti, non è affatto provato che le sue strane idee di riforma
movessero dal desiderio di purificare la Chiesa di Roma: è in
lui evidentissima, un'acuta smania di acquistarsi il favor popo-
lare, di guadagnarsi fama di grande filosofo e scienziato, e i
suoi progetti di riforma, dove non si vede chiaro che cosa egli
volesse, miravano forse più a questo che ad altro scopo.
Partito infatti da Roma nel 1655, dubitando che l'clcfione
del cardinale Chigi al Papato (Alessandro VII) potesse rendere
l' Inquisizione più oculata e zelante, venne a Milano, e quivi e a
Pavia non gli mancarono numerosi e entusiasti seguaci che lo
ritenevano realmente il Pro-Cristo, com'egli si compiaceva di pro-
clamarsi ; ma per quattro lunghi anni si accontentò di riunire di
quando in quando i suoi ingenui e fedeli proseliti, loro spiegando
il novissimo e confuso verbo, e imponendo anche una regola in
cui si parlava di amor fraterno, di obbedienza a Cristo e agli
angeli, di povertà (e i maligni insinuarono che qualche seguace
più.... buono affidasse al profeta le proprie ricchezze), di zelo e di
sacrificio nel diffondere la riforma, ecc NuU'altro egli fece, né
mai tentò di mettersi alla testa de' suoi fedeli e di guidarli a
quelle pazze imprese di guerra sterminatrice, preannunziata contro
i nemici della verità ch'egli si vantava di predicare : vero è eh;
aveva prudentemente promesso di mantenere il suo futuro e im-
ponente esercito coll'oro che il lapis phylosophorum gli avrd)bc
fornito in grande quantità, quel Lapis ch'egli non si stancava di n-
cercare nelle sue fatiche chimiche.
Il Santo Uffizio, o che non lo giudicasse pericoloso 0 che
non avesse notizia della sua propaganda (il che non ci sembra
possibile), lo lasciò tranquillo fino al 1659, e solo in seguito a
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 383
formale denunzia dell'abate Piazza, il Litta, arcivescovo di Mi-
lano, si decise a ordinare l'arresto di parecchi proseliti ; il Borri
intanto se ne fuggi in Isvizzera, terra ospitale ai perseguitati dal-
l'Inquisizione, e fu condannato in contumacia. Nel testo della
sentenza proclamata a Roma e che ho trovata, tradotta in ita-
liano, in molti codici (i), si dice ch'ali, anziché alla fuga, pen-
sasse di radunare i compagni nella piazza del Duomo, di uccidere
l'arcivescovo, di eccitare il popolo a insorgere contro i tiranni del-
Tanima e del corpo ; e sebbene tutti gli storici, dal Brusoni al
Cantii e al De Castro, non mettano in dubbio l'audacissimo pro-
getto, è lecito supporre ch'esso sia pura invenzione dei denun-
ziatori : aveva troppa fretta di mettersi al sicuro, per immaginare
un simile piano !
L'istruzione del processo, seguita contemporaneamente a Roma
e a Milano, si chiuse nel 1661 con la condanna del Borri e di
alcuni seguaci ; nello stesso armo ebbero poi luogo, nelle due
città, le solenni funzioni di abiura, delle quali diamo qui due
relazioni inedite. Queste furono dirette al cardinal Ottoboni, al-
lora vescovo di Brescia, e narrano l'una, la funzione che ebbe
luogo nella chiesa della Minerva in Roma, l'altra, quella tenuta
nel Duomo di Milano (2) ; ecco la prima :
e Roma, 2 genaro 1661. — Fu fatta Domenicha l'abiuratione
dairinquisitione di heretica pravità S'espose sopra d'un palcho
a vista di tutti un quadro con il ritratto al naturale con l'inscri-
(i) Trovasi nei seguenti mss. : Cod, Vatic, lai. ^4)0 (Libro di diverse
memorie di Roma)) fol. 70-76; Cod. Urbin, lyaS (miscell.)i fol. 119-148;
Cod. Ottoò. 24J2 (misceli.)) fol. 31727 della part. II; Cod. Otiob. aj62
(misceli.), fol. 178-190; Cod. Cappon. iji (misceli.), foL 46-53; tutti della
Bibl. Vaticana. Tale sentenza è pure conservata nel Cod, Arm. Ili,
part, II, dell'Archivio Vaticano; nei Codd. UH, 89 e LVII, 69, della
Bibl. Barberini, e nel Cod. ajjS (misceli.), fol. 77-108, della Casanatense.
Questo elenco, certo incompiuto, di mss. quasi tutti contemporanei al
processo, dimostra la grande curiosità ch'esso suscitò; la quale, data
la relativa importanza dell' avvenimento, s' acquietò ben presto, e in
pochi libri infatti la lunga sentenza fu pubblicata. Cfr. G. Brusoni, Della
nistoria d* Italia f 74851, Venezia 1671; Vita del cavagliere Borri, ecc.,
Colonia, 1681, e U Ambasciata di Romolo ai Romani ecc., Bruxelles, 1671,
(due operette anonime, attribuite a Gregorio Leti); Amotniiates litera-
^f quibus variae observationes ecc., V, 149-62. FrancoforteLipsia, 1725-31 ;
(m quest'ultimo è riportata la sentenza nel testo latino).
(a) Sono nel Cod. Ottob. 2472, pjirt. II, fol. 311-13 e fol. 315-16 della
Biblioteca Vaticana.
/
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 385
dotrine bestiali sopradete, fu, per essersi riconosciuto, condenato
a carcere perpetuo et assoluto dalle scomuniche per esser stato
heretico et datoli Thabito di penitenza con una Croce avanti e
l'altra a dietro con altre penitenze salutari.
fUis tesso fu fatto al cercante per il monastero da S. Pelagia,
che fu l'ultimo ad esser abiurato, essendovene stati altri due di
mezzo tra il Brusati et detto cercante. Ho osservato che al Borri,
quando furono fatti prigioni quelli suoi, gli fosse d'altri detto :
ma che fatte? ove sono le promese? et che egli disse: mundum
vtnìt hora mea, et che poi doppo alcuni altri giorni replicatoli il
medesimo, ripigliasse che sarebbe andato su la piazza del Duomo
a predicare et che haverebbe convitato il popolo et sarebbe in-
trato nel arcivescovato et haverebbe amazato tutti quelli Ministri.
fll giorno seguente fu condoto dal Boia il Borri in statua
sopra d'una careta per Roma, et poi in Campo de fiori fu apic-
cato il suo ritrato alle forche con darli l'urtone il Boia e poscia
abrugiarlo •.
A poca distanza di tempo segui l'abiura di altri seguaci, nella
Metropolitana milanese, e l'avvenimento è cosi narrato nella se-
conda delle relazioni citate: (i)
f Milano, alli 26 del mese di marzo 1661. — La nuova che
alli dua del mese di Genaro prossimo passato fosse in Roma ter-
minata la causa di Giuseppe Francesco Borri milanese, autore
d'esecrabili Dogmi contro la Fede Cattolica, e che nella Chiesa di
S. Maria della Minerva, alla presenza di tutto il Sacro colleggio
e di tutto il popolo, doppo letto il di lui Processo, sentenza, e con-
segnata Timagine del medesimo alla Corte secolare per farla ab-
bruggiare il giorno seguente dal carnefice con suoi empij scritti
in Campo dei Fiori, seguisse il solennissimo abiuro del li Preti
Andrea Brusati e Gip. Pietro Schilizino cercante di S. Pelagia
suoi s^uaci, con la pubblicazione dei loro Processi e sentenze,
mosse in tutti grandissimo e santo desiderio di sentire che se-
guirebbero delli Corei detenuti nelle carceri di questa Santa In-
quisitione di Milano ; come, quando, in che luogo et in qual modo
si dovessero far abiurare? Applicò Mons. Ill.mo Litla Arcivescovo
di Milano all'utile e soddisfatione commune, che haverebbe ap-
(i) n De Castro, op. cìt., 369, riportò ciò che ne scrisse Marco
Cremosano nel suo Diario ^ pubblicato dal conte Porro Lambertenghi,
secondo il cod. della Trivulziana; ma la relazione di Marco è più breve
e meno compiuta di questa del cod. Vaticano.
386 NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
portata quando l'abiuro dei complici del Borri fosse s^uito nella
sua Chiesa Metropolitana, suggerendo a Mons. lU.mo Vizzani,
assessore del S. Officio, gagliardissimi motivi, da parteciparsi alla
sacra suprema Inquisitione, in riguardo di che, benignamente con-
discesero gli Eniin.mi P.i Cardinali Inquisitori Generali, e con
lettere delli 19 Febraro dell'anno corrente ne concessero ogni op-
portuna facoltà.
e Esseguendo dunque Sua Sig.ia IlLma gli ordini del Santo
Tribunale, oltre varie Congregationi particolari, una consulta
tenne avanti di sé con l'intervento del Padre Inquisitore di Mi-
lano et altri di più periti e pratici Ecclesiastici del suo Clero, col
parere e consulta dei quali si deliberò che per non impedire il
corso alle Prediche Quadragesimali, il sabbato immediato alla
Festa dell'Annonciatione della Beata Vergine Maria, 26 del ca-
dente mese di marzo, fosse giornata molto proporzionata a simil
fontione, massime che, concorrendo alla città da tutta la Diocesi
e Provincia infinite persone per occasione dell'Indulgenza per-
petua in forma di Giubileo che si espone annualmente a vicoida
nella Metropolitana e nel Veado Hospitale Maggiore nel me-
desimo giorno dell'Annonciatione, moltissimi mossi da santa cu-
riosità vi si sarebbero trattenuti.
« Pubblicaronsi la Domenica antecedente nella Metropoli-
tana gli Avvisi e r Indulgenza di Quindici anni et altre tante Qua-
rantine che la S.tà di N. S. come haveva fatto in Roma ha con-
cesso a chi fosse intervenuto all'abiuro, e se ne affissero ne' luoghi
più publici della Città gran quantità di copie.
tFrà tanto fabbricossi nel choro senatorio della Metropo-
litana palcho capace di ben trenta persone, contiguo ad uno dei
vasti pergami di bronzo per comodità dei Padri Domenicani de-
stinati alla lettura dei Processi ; ampio, spatioso, alto, conspicuo
e senza verun apparato, che di nude tavole, eccettuatone un ta-
volino con tapeto pavonazzo, sopra del quale doveva collocarsi
il Missale e stola per l'abiuratione, con due sedie, l'una per il Pa-
dre Vicario, l'altra per li Fiscale del S.to Officio, Ministri neces-
sarissimi all'abiuro.
«S'intimò la fontione per le bore 18, ma impatientando il po-
polo, cominciò la mattina del sabbato per tempo ad affollarsi ;
moltissimi Cavaglieri, Titolati e Dame per godere opportunamente
di quella, convennero tre hore prima ne' luoghi da loro la sera
antcxredente apostati e preparati, trattenendosi con grandissima
patienza sino che terminò la Fontione. Precedette longhissimo
segno della Campana Maggiore del Duomo» che durò un'hora in
ponto, e doppo con tocchi interpolati continuò sino al fine in segno
di mestizia.
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 387
cCalò Mons. Ill.mo Litta Arcivescovo alle hore dieciotto
dalle sue stanze nella Metropolitana in Cappa, accompagnato dal
suo Capitolo in habito chorale e da tutto il Clero della Metro-
politana, seminaristi et altri ecclesiastici con corteggio innumera-
bile dei Titolati, Cavaglieri e Nobiltà, che lo servivano assistiti da
ventiquattro tedeschi alabardieri. L'attendeva ivi il Padre inquisi-
tore, fattosi portare prima come maltrattato dalla podagra, col-
locato in choro vicino alla sede archiepiscopale nel luogo de-
stinato ai vescovi con postergale, tapeto avanti e cussini pavo-
nazzi, alla cui sinistra sedeva mons. Biandrà, vicario generale con
rochetto e mantel letto pavonazzo, habito solito ; stando alla de-
stra della sede pontificale fuori dei cancelli al luogo solito il
Tribunale archiepiscopale ; li signori Consulton sotto al sten-
dardo di S. Pietro Martire, che si collocò in faccia al Palcho, sta-
vano disposti nella parte del primo choro, luogo destinato a) se-
nato quando interviene alle prediche, ornato con postergali et in-
ginocchiatori di colore verde, et li quaranta del S. Officio con
Padri Domenicani in altre banche inferiori ornate di tapeti verdi
parimenti. Quattro giudici secolari con stuolo di sopra cento birri
assistevano al di fuori del gran Duomo, acciò non seguisse tumulto
nell'entrare et uscire, che faceva dalla Metropolitana il ntmiero-
sissimo popolo amassato da tutte le bande.
€ Arrivato alla sede Mons. Ill.mo Arcivescovo con molta fa-
tica, collocati e disposti nei suoi luoghi il Capitolo e Clero, di-
stribuito il corteggio in varie e nude banche a ciò preparate, li
rei custoditi da trenta birri adunati dal barigello archiepiscopale
si condussero in palcho a vista di tutto il gran popolo onde-
giante, che sembrava un mare, calcolandosi da matematici, com-
putisti et uomini pratici che passasse il numero di quarantamilla
persone, oltre il continuo flusso e riflusso di chi partiva e sopra-
giongeva, essendo tutte piene le vicine piazze e contrade. Diede
principio alla fontione il Padre Inquisitore con dotto ed erudito
breve ragionamento, delle prerogative e sodezza della nostra Fede,
che a qualonque fiero empito d'heretica pravità non si move, alle
scosse de* perversi dogmi persevera immobile e ferma nei suoi
fondamenti, a differenza della mal stante heresia che ad ogni
soffio di verità si scuote, traballa e si sconvolge : doppo del quale,
dato segno che si cominciasse la lettura dei processi, fu dal gran
pergamo con chiara, alta et intelligibil voce primieramente pubbli-
cato il Processo e sentenze del Borri.
€ Susséguentemente si* condusse nel mezzo del palcho Lazaro
Francesco Pontio, sacerdote secolare milanese d'anni 35, e fattolo
inginocchiare sopra gradino a ciò preparato, col lume acceso nella
Arch. Stor, Lomb., Anno XXIX, Fase. XXXVI. 35
388 NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
mano destra, e con la faccia rivolta al popolo, fu letto il processo
e sentenza, e doppo vestito d*habito di penitenza con una croce nel
petto e Taltra negli homeri, il barigello lo condusse a sedere in
altra parte del palcho a vista di tutti. Al secondo, cioè Antonio
Bonardo, pure sacerdote secolare milanese d'anni 39, nell'istesso
modo e forma si lesse il processo con la sentenza, vestito e collo-
cato come sopra.
ili terzo, Carlo Mangino, chierico da Voghera, d'anni 25,
inginocchiato e col lume in mano, sentendo concludere dal pro-
cesso che contro di lui si leggeva, che le consolationi e dolcezze da
lui sentite nel ricevere l'Eucharistia, in comprobatione che fosse
vero Tempio dogma dal Borri insegnato, delPincamatione dello
Spirito Santo nel ventre di S. Anna, erano immaginarie e finte,
balzò senza verun riguardo in piedi e con temerario ardire disse
e replicò che le dolcezze da lui sentite non furono altrimenti im-
maginarie o chimeriche, ma vere ; diede segno nelPistesso atto di
voler, con la mano destra che haveva di libertà, cacciarsi qualche
scrittura dalle bisaccie, se non fosse stato da birri impedito, che
v'accorsero, lo trattennero e vi posero un freno o sia sbadacchio
alla bocca, acciò non vomitasse nuovo veleno d'heresie ; e d'ordine
di Mons. IlLmo Arcivescovo fu fatto rimovere, cessandosi di pro-
seguire la lettura del suo processo, già che con segni e gesti si
mostrò perverso et haveva animo d'esagerare.
€ Quarto complice. Cesare Barberio chierico milanese di anni
23, nel modo e forma oome sopra fu condotto e fatto inginocchiare
nel palcho e gli fu letto il processo e sentenza : lo stesso fti fatto
al quinto Federico Pirola, laico milanese d'anni 26, et al sesto Bar-
tolomeo Gabnieli, chierico secolare da Paruzano, diocesi di No-
vara, d'anni 24, e questi tre non furono altrimenti vestiti d'habito
di penitenza come li primi Pontio e Bonardo, per essere questi so-
lamente sospetti d'heresia.
e Compiute le letture dei processi e sentenze dal Padre Vicario
e Fiscale del S. Ofi&do, con l'assistenza del loro Cancelliere, si fe-
cero abiurare ad uno ad uno nel palcho pubblicamente, tenendo
essi la mano sopra al Missale, sotto al quale era la stola, e dal Pa-
dre Inquisitore doppo la fontione privatamente furono assoluti e
liberati dalle censure. Solo il Mangini non fu né abiurato né asso-
luto presumendosi conttmaace nelle perverse sue opinioni, e cosi
circa le ore 23 terminossi felicemente con grandissima et univer-
sale sodisfatione il solenne abiuro ad etema memoria dei posteri.
lAl Mangini fu fatta subita et diligente perquisitione nelle
Carceri Archiepiscopali, ove si depositarono li rei quella notte j)er
esser l'hora tarda, trattati ivi con ogni carità, siccome antecedcn-
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 389
temente alla fontione, per ordine di sua Sig. IlLma ; ed esso, fat-
tosi sligare le mani, cacciò volontariamente da sé ima scrittura,
che teneva fra le coscie, quaJe fu ricevuta dal fiscale della santa
Inquisitione alla presenza di due testimoni j, e senza esser letta
consegnata dairistesso fiscale a Mons. lU.mo Litta arcivescovo,
soggiongendo esso Mangini che la scrittura era un compendio di
quello che voleva dire nel palcho, ma che né più né meno rilave-
rebbe quando fosse esaminato : la mattina seguente furono tutti
ricondotti alle carceri della santa Inquisizione.
Esule forzato, il Borri rimase lontano dall'Italia una decina
d'anni ; e dei suoi viaggi e delle sue gesta non intendiamo occu-
parci, nulla o ben poco avendo da aggiungere a quanto ne scris-
sero il Cantò e il De Castro.
Ricorderemo solo ch'egli lasciò ben presto la Svizzera, e dopo
breve soggiorno a Dresda (i), passò a Strasburgo, dove nel 1660
pubblicò il libercolo Gentis Burrorum Notitia, per magnificare
l'orìgine della famiglia sua, che diceva antichissima ; fu poscia
ad Amsterdam, e quivi si acquistò fama di medico illustre, e ven-
nero a consultarlo ricchi malati da lontane città di Francia e di
Germania, e guadagnò molto denaro, che non gl'impedi tuttavia
di contrarre grossi debiti, amando condurre vita principesca. E
sebbene i buoni olandesi l'avessero nominato cittadino ad hono-
rem di Amsterdam, i debiti lo costrinsero a emigrare in Dani-
marca. Già noto come medico senza rivali, non gli riuscì difficile
di penetrare nella corte di Federico III, il quale, trovandosi in cat-
tive condizioni finanziarie, accolse con lieto animo il profugo al-
chimista, e assai fidò nel suo filosofico fornello per aumentare le
scarse ricchezze. Il fornello valse pure al Borri l'amicizia della
regina Cristina di Svevia, che lo volle seco in Amburgo e cieca-
mente gli fu prodiga di molto oro.... naturale, per aiutare i suoi
segreti e insistenti esperimenti, diretti ad ottenere la tramutazione
dei metalli inferiori in oro artificiale ; di tali costose esperienze
la regal donna non tardò a stancarsi, ma non così l'ingenuo Fede-
rico che l'ospitò ancora in Copenaghen, continuando a sommini-
strargli denaro, senza perdere la pazienza, a malgrado dei risul-
tati poco lusinghieri per lo scienziato italiano.
(i) U Cantù e il De Castro non accennano affatto al soggiorno
del B. in Dresda, mentre se ne discorre chiaramente in due curiose
lettere tedesche del 1660, pubblicate nelle Amoenitatés, ecc, V, 143-5.
390 NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
Né si accontentò il Borri di essere il chimico di corte; ebbe
la pretesa di erigersi a consigliere intimo del sovrano, e di questo
tempo egli avrebbe scritto anzi una specie di trattato politico,
un opuscolo che uscì alle stampe nel 1681, quando Fautore aveva
già perduta la libertà ; è però dubbio ch'esso sia opera sua, al
pari di quelle lettere scientifiche che furono pubblicate nello stesso
anno. Forse quel bizzarro ingegno che fu Gregorio Leti, o il furbo
editore di Colonia, avranno pensato di adoperare il nome di dii
era tanto celebre, per comporre un libro che p>oteva esser facil-
mente venduto (i).
Il Borri visse tranquillo e potente nella Danimarca sino al
1670, finché durò cioè il regno di Federico ; morto costui, il suc-
cessore Cristiano V, non avendo simpatia alcuna per Talchimia,
e meno ancora per l'alchimista milanese che gli pareva un abile
scroccone e nulla più, minacciò di muovergli processo, e quegli,
odorando il vento infido, abbandonò subito la corte e il paese
stesso : percorsa rapidamente la Germania, egli decise di recarsi
in Turchia ; ma mentre si disp>oneva ad attraversare V Ungheria,
(agitata da gravi lotte politiche, per aver l'Austria aboliti i pri-
vilegi di cui quella terra generosa era tanto fiera, e piena quindi
di armati che arrestavano ogni persona sospetta, e sopratutto gli
stranieri), fu il* Borri fermato a Goldingen nella Moravia. Sapu-
tosi Tesser suo, fu senza indugio mandato a Vienna sotto buona
scorta ; intervenne allora il nunzio p>ontificio, cardinale Pigna-
telli, che reclamò il prigioniero in nome del S. Uffizio, quale mal-
vagio e pericoloso eretico già condannato in contumacia.
Le trattative per l'estradizione furono piuttosto lunghe e la-
boriose, come si rileva dalle lettere, scambiate fra la nunziatura
di Vienna e la corte di Roma, che noi abbiamo tratte dall'Archivio
Vaticano ; dalle quali anche risulta non esser vero ciò che altri
suppose, che le imperiali autorità desiderassero di trattenere il
Borri nelle carceri viennesi, nel dubbio ch'egli avesse avuta parte
in una grave congiura da poco scoperta nell'Ungheria e terribil-
mente punita.
Le lettere che qui pubblichiamo dicono chiaro che il principe
(i) Istruzioni politiche del cavagliere G. Borri milanese, date al Re
di Danimarca^ Colonia, 1681. Le lettere scientifiche sono raccolte sotto
il titolo: La chiave del Gabinetto del cavagliere G. Borri, ecc., Colonia,
1681; esse trattano della formazione naturale e artificiale dei metalli,
del segreto per trarre la semente dall'oro, del modo di congelare fl
mercurio e di ridurlo in argento, ecc. Si veda in proposito De Castro,
op. cit., 375 e segg.
INTORNO ALL ALCHIMISTA GIUSEPPE BORRI 39I
di Locovitz e altri familiari della corte di Leopoldo, appassionati
cultori delle scienze occulte e sinceri ammiratori del Borri, su-
bito avevano a lui offerto quanto occorreva perchè iniziasse le sue
misteriose esperienze ; si comprende dunque che quei cortigiani
facessero il possibile per salvare chi poteva dare a lofo milioni
e mia lunga. Ma il nunzio seppe insistere e ottenne il suo scopo :
si leggano infatti le seguenti lettere, disposte non in ordine di
data, bensì secondo lo svolgersi della quistione.
I. — (Arch. Vatic, Lettere della Nunziatura di Germania, voi. 187 :
i foli, non sono numerati).
Di Vienna, 27 aprile 1670 : mons. Pignatelli al sacro Col-
legio.
e .... In Moravia, nelle presenti congiunture di sospetto, ar-
restandosi come succede hoggi e in quelle parti et altrove per
questi confini ogni forastiero, segui lo stesso del Pori o Borri che
sia, famoso heresiarca milanese che di Danimarca, di dove doppo
la morte di quel rè fu licenziato, se ne passava nell' Ungheria
superiore ; e perchè vols'egli nell'atto d'esser fermato tirar un
colpo di pistolcL, che non offese, al capitano che l'arrestò, fu da
questo fatto prigione, onde vedendosi perso, prese il veleno senza
che alcuno se ne avvedesse ; ma dicend'egli poscia che non sa-
rebbe vissuto più di 16 hore, si fecero le diligenze per ricono-
scere la persona: il che seguito, gli accorti comandanti fattagli
sperare dalla clemenza cesarea la liberazione, l'indussero a non
perdersi et a prendere il contraveleno. Aspettasi hora qua, dove
vien condotto ben custodito e guardato».
IL — (Lettere, ecc., voi. 187).
Di Vienna, 4 maggio 1670 : lE' stato poi qua condotto con
buona guardia il Borri milanese, famoso heresiarca ; e perciiè sono
molti quei che lo favoriscono, forse per la curiosità dei segreti,
ch'egli ha già propalati d'havere, io non lascio d'adoperarmi af-
finchè venga ben custodito e guardato, come segue, et ha la pietà
somma di S. M. comandato!.
III. — (Lettere, ecc., voi. 188).
Di Roma, 7 giugno 1670; a mons. Pignatelli: ilo sperava
che la cifra di V. S. de 18 maggio mi portasse qualche avviso
dell'affare del Borri, per poter sodisfare all'attenzione e al zelo
con che N. S. lo riguarda ; e se bene il tempo non serviva per far
392 NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
ch'io potessi ricevere le risposte delle lettere, che intomo alla ma-
teria medesima le ho scritte, nondimeno l'importanza di essa per
continuazione di negotio, mi faceva credere che la diligenza di
V. S. non haverebbe preterito di tenermi raggiiagliato di tutte le
cose particolari che fossero succedute in ordine al fine che si ha;
ed acciocché V. S. possa eccitare più precisamente la pietà del-
l' Imperatore e secondare il sentimento e desiderio di S. B., le
si trasmette un Breve che si sarebbe prima spedito se si fosse
creduto necessario, e di cui l'uso si rimette alla prudenza di V. S.,
che non lascerà di considerare tutto il più, che possa conferire al
conseguimento di ciò che si pretende, per operare con fervore e
con frutto. Del rimanente non altro debbo a V. S. sopra le par-
ticolarità che l'accennato foglio, se non che havendone fatta la
lettura a N. S., è stata da S. B. gradita l'applicazione e la sin-
cerità delle riflessioni spiegate da leii.
IV. — Lettere, ecc., voi. i88).
Di Vienna, i giugno 1670 : «Fin da che fu qua condotto il
Borri milanese io m'avveddi quanto efficacemente veniva egli pro-
tetto e favorito anche da principali ministri di questa Corte, a
segno che intendevano di lasciargli godere ogni libertà ; e perciò
io non mancai d'adoperarmi e con S. M. e con quei che tengono
conto della coscienza della M, S., nella più efficace maniera, et
a segno che poi, se bene con grandissimi stenti, finalmente si in-
dussero a restringerlo et a ritenerlo con guardie per meglio assi-
curarsi della persona di lui. E con tutto che fin qui non vogliano
sentire che si parli di doversi tenere a disposizione di N. S., chi
per venirgli raccomandato da principi forastieri, e chi per pro-
prio interesse o allettato dalla speranza di poter ricavare da lui
segreti di grandissima importanza, ad ogni modo col mezo dei
sudetti religiosi e di qualcheduno di questi Ministri più zelanti,
sf)ero di poter superare tutto e d'indurre la M. S. ad assentire a
ciò che si conviene!.
V. — (Lettere, ecc., voi. 188).
Di Roma, 21 giugno 1670 : «Le notizie da V. S. per la sua
cifra del primo corrente, sopra le utili diligenze ch'ella haveva
fatte per impedire che il Borri non havesse la libertà che gli ve-
niva procurata, e che anzi rimanesse attentamente custodito, sono
state gratissime a S. S. che ha di cotesto importante affare una
singoiar premura. V. S. non tralasci però di secondarla col zelo
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 393
SUO, impiegando tutta l'opera della prudenza e della destrezza
per ottenere, com'appunto ella mi ha significato di sperare, che il
Borrì si dia alla dispositione libera di S. B. ; e se di qua, oltre al
Breve trasmessole, alcuna cosa potrà farsi la quale conferisca al
fine che si ha, godrò che V. S. me la suggerisca, dovendosi far
tutto ciò che sia possibile per conseguirlo».
VI. — {Lettere, ecc., voi. 188).
Di Vienna, 8 giugno 1670 : t Già da altre mie bavera l'Em.
Vostra inteso quanto passa in ordine all'affare del Borri e le dif-
ficoltà grandi che ho avute perchè venisse ben guardato, com'è
seguito. Pervenutami poi l'humanissima delFE. V., coll'ordine di
procurare ciò a nome della S.tà di N. S., io ne rinnovai con la
dovuta premura gli offitij presso la M. Sua, che è dispostissima al
solito ; ma i ministri e particolarmente il principe di Locovitz, che
è quello che hoggi fa tutto, mi rispondono che per interessi di
stato sono in necessità di ritenerlo così, senza dichiararsi per hora
a dispositione di chi, volendo, dicono essi, venir prima in chiaro
s'^li habbia havuta veruna parte ne i veleni che vogliono siano
stati dati a S. M., fin da che la M. S. stette si gravemente amma-
lata, parendo loro haver giusto titolo di creder così, mentre egli
è passato per corti sospette, et hora, in tempo delle maggiori ri-
bellioni, si portava in Ungheria. Io però gli ho tutti per pretesti,
con fine di guadagnar tempo per qualche loro interesse, come ho
pur detto con altre a V. E. ; ma questo ancora si supererà, tanto
maggiormente ch'essi medesimi me lo fanno sperare tra pochi
giorni, dichiarandosi apertamente che chiaritisi del fatto, non
intendono di tenerlo che a dispositione della S. S. Continuerò io
le mie parti con tutta la vigilanza et applicatione possibile, et
attenderò insieme gli ordini più precisi che con le prime mi fa
r E. V. sperare, per dar loro la dovuta esecutione e l'ultima mano
all'affare sudetto».
VII. — (Lettere, ecc., voi. 188).
Di Roma, 28 giugno 1670 : «Mentre cotesti Ministri si di-
chiarano apertamente che non intendono di ritenere il Borri che
a dispositione di S. S., chiariti che siano, s'egli havesse parte nel
fatto de' veleni, ancorché V. S. si persuada essere ciò un pretesto
di particolare interesse, forse per guadagnar temjK) come ella
mi ha significato per la sua cifra de 8 cadente, può sp)erarsi di
bavere il negotio in sicuro, che rispondendo alla singoiar premura
394 NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
di S. B. diviene per la medesima una materia di notabil sodisfa-
tione. Ciò non ostante, se oltre al Breve trasmessole, V. S. giu-
dicherà che da questa banda possa darsi aiuto maggiore alla di-
ligenza di lei per assicurare affatto il fine che si ha, sarà gratis-
simo a S. B. ch'ella ne suggerisca i modi creduti opportuni, tutto
volendosi fare che sia possibile per conseguirlo».
Vili. — (Lettere, ecc., voi. i88).
Di Vienna, 15 giugno 1670 : t Ih questo punto torno dall'au-
dienza dell'Imperatore, dove mi sono portato a rappresentargli
quanto passa, e la M. S. ha nuovamente comandato al signor prin-
cipe di Locovitz e al signor Cancelliere di corte unitamente in-
sieme, affinchè mi facciano l'accennata consegna del Borri. Ma mi
dice in somma confidenza il suddetto Cancelliere, che la difficoltà
di questa maggior dimora si ristringe hoggi solo in voler Loco-
vitz ricuperare Toro che trovasi haver dato al sudetto Borrii.
IX. — {Lettere, ecc., voi. 188).
Di Vienna, 15 giugno 1670 : «Nonostante le opposizioni va-
lidissime del signor principe di Locovitz, intomo al particolare
del Borri, mi sono adoperato tanto particolarmente con il Cancel-
liere, huomo il più zelante e il più grato a S. M. fra questi Mini-
stri, e con li P.P. Miller confessore et Emerigo cappuccino, am-
bedue efficacissimi e potenti presso la M. S., che ha questa final-
mente ordinato che mi venga quanto prima consegnato il sudetto
Borri. A tutto ciò ha molto bene et opportunamente cooperato
l'efficace zelo e premura della M.tà dell'Imperatrice Eleonora, ben-
ché pregata da Locovitz di fare l'opposito, fin con seriamente
proponerle che haverebbe il Borri colla sua conosciuta virtù po-
tuto far molte cose in vantaggio di lei ».
Qui il Nunzio dà notizie riguardo ad altri argomenti, e ritor-
nando in fine al Borri, assicura che egli non fu trattenuto «a ti-
tolo di esaminarlo per negotij politici, ma in sostanza per far oro,
havendolo fatto trasportare ad altro quartiere, dove si trovano for-
nelli et altre commoditài.
X. — (Lettere^ ecc., voi. 188).
Di Roma, 5 luglio 1670 : «Le diligenze impiegate da V. S.
per bavere il Borri, quali sieno state, assai apparisce nell'ordine
che l'Imperatore havea dato a' suoi Ministri di consegnarglielo,
non ostante tutte le contradittioni dei personaggi che si sono in-
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 395
teressati nell'affare per salvarlo. Gratissimo è stato questo av-
viso a N. S. per la relazione che ho fatto alla S. S. delle due cifre
de 15 giugno, come inesplicabile appunto è la premura di S. B.
di vedere che all'ordine della consegna corrisponda l'effetto ; in-
tomo a die ogni dubio, per piccolo che sia, mi fa desiderare tutta
Tapplicatione dell'opera e lo sforzo maggiore della prudenza e
della destrezza sua, per superare le difficoltà che si fossero fra-
poste overo si f raponessero. Anzi S. B. altrettanto confida del zelo
di V. S. in questa grave congiuntura, quanto io goderò del me-
rito ch'ella acquisterà colla S. S. e colla Sede Apostolica!.
XI. — (Lettere, ecc., voi. 187) (i).
Di Vienna, 20 giugno 167O: t Fu poi hieri da me il signor
principe di Looovitz a dirmi in nome della Maestà dell'Impe-
ratore che questa sera a punto mi haverebbe fatto consegnare il
Borri. Ond'io, subito che sarà seguita questa consegna, c'havrò al-
l'ordine tutto il necessario (a che non si perderà punto di tempo)
per la sicura condotta del medesimo ; non lasciare di trasmetterlo
costà secondo il comandamento della S. Gong, del S. Offitio e
dell'Em. Vostra medesima, alla quale ne porgo questo riverente
cenno in continuazione del mio debito, e le faccio per fine pro-
fondissimo inchino».
XII. — (Lettere, ecc., voi. 188).
(E' una copia di lettera indirizzata dalla Sacra Gongrega-
zione del S. Uffizio nel giugno 1670 al Nunzio di Vienna, inca-
ricandolo di far condurre il Borri al porto di Trieste per ivi im-
barcarlo).
XIII. — (Lettere, ecc., voi. 188).
Di Vienna, 29 giugno 1670 : Il Nunzio, dopo aver toccati di-
versi argomenti, scrive che il principe di Locovitz e gli altri cor-
tigiani sentirono assai dolore per aver dovuto consegnare il Borri,
parendo loro i d'aver perso chi doveva far qua milioni e dar loro
vita lunga ; tanto è grande la fede che tutti comunemente haveano
nei segreti di luii.
XIV. — (Lettere, ecc., voi. 187).
Di Vienna, 29 giugno 1670 : tFeci giovedì di buon hora la
spedizione della persona del Borri, per cotesta volta, accompa-
(i) In calce è scritto : L'originale di questa lettera è restato alla S. Con-
gregatione del S, Offitio, addi 3 luglio 16'jo,
39^ NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
gnata da una squadra di 30 soldati e da due miei servitori, cbc
per la strada di Gratz e Lubiana dovranno condurlo a Trieste, in
conformità degli ordini della S. Congreg. del S. Ofl&tio. Ho scritto
]x>i anche a mons. Nunzio in Venezia, affinch'ali, non trovandosi
pronto rimbarco a Trieste, lo provegga tempestivamente e con
gente bastante per la sicura e celere condotta del medesima Sparo
che, se bene il Borri sudetto per alcune palpitazioni di cuore so-
lite a venirgli di quando in quando, non voka, per quanto m^av-
visano, che mangiar poco e bever meno, sia con tutto ciò per con-
dursi vivo costà, per la buona ed esattissima cura c'havevano di
lui i sudetti miei servitori. E senza più di nuovo profondamente
m'inchino, ecc».
XV. — (Lettere, ecc., voi. 187).
Di Vienna, 6 luglio 1670 : e Tutto che in questa settimana
non possa dar io airEm, Vostra verun a\'viso certo del prosegui-
mento del viaggio del Bórri per costà, per non haver da quattro
giorni in qua nuova di lui, non essendo per anche comparsa da
quelle parti la posta ordinaria, ne ritornato tampoco tm mio huomo
che a posta vi ho inviato per haveme qualche notizia, non dovrà
recare a V. E. alcima ammirazione, non potendo dò nascere che
a causa delle continue pioggie che pur tuttavia non cessano e
c*hanno in questi giorni portate via le case intere, fuori e ne* borghi
di questa città, et allagate a s^no le campagne e strade, c'ha
quasi levato il commercio in questi contomi».
XVL ~ [LetUre, ecc., voi. 187).
Di Vienna, 13 luglio 1670 : «ili per\'enne poi nel fine della
decorsa settimana la nuova del Farri vo del Borri a Gratz, dove
si trattenne alcuni giorni a causa dell'acque, c^havendo allagato
d'ogni intomo il paese, rendeano impraticabili le strade: S'era poi
mosso di là per Lubiana, e sicome spero che siano per esser mi-
gliori le strade, così potrà da qui avanti riuscir meglio a dii lo
conduce di seguitar senz'altro trattenimento, se bene mi avvisano
di stentar molto per fargli pr^ider cibo. Di qui intanto wm si
lascia di spiccar sempre nuovi ordini per ogni maggior sicurezza».
XVIL — (LetUre, ecc., voL 187).
Di Vienna, 20 luglio 1670 : e Colle ultime lettere in data de
15 del corrente, da Lubiana scrittemi dal mio huomo che sopra-
intende alla condotta del Borri, sento ess^ questo giunto in qudla
■k
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 397
città, benché con mille stenti a causa delle pessime strade et acque
grosse trovate. Dalla medesima se ne sarebbe passato a Trieste
subito, se gli fosse riuscito di ritruovare nuova gente, della quale
v'era grandissima penuria per quei luoghi. Spero poi che a Trieste
truoverà rimbarco che da mons. Nunzio di Venezia, in confor-
mità dello scrittogli e della maggior comodità che ne ha, gli sarà
stato preparato».
Nel lungo viaggio da Trieste a Roma, il prigioniero fu sempre
piuttosto malinconico : in una sua biografia, conservata nel Cod.
Ottob. 2762 (fol. 171-7) della Bibl. Vaticana, dove l'anonimo
autore inveisce contro di lui, accusandolo di aver satirizzato verso
i ministri della Chiesa come cane arrabbiato^ si leggono questi
curiosi particolari a proposito del viaggio stesso :
€ Per tutto fece [il Borri] dimostrcizione di ricevere le cortesie
di ciascuno, avendo grati i trattenimenti che se li facevono ; ma
quando arrivò a Fano, dove ritrovossi in quel tempo per vice-
legato mons. Bentivogli bolognese, quest'huomo [il B.] non vo-
leva né parlare né mangiare né conversare con veruno ben'ché ne
fosse pregato da gentiluomini del paese e da cortigiani di Mon-
signore. Era grande il disgusto di questo pn-elato in vedere l'osti-
nazione che in tutto mostrava, essendo scorsi giorni che non aveva
gustato alcun cibo, e perché l'istanze che si facevano di lui in
Roma, che da tutti fosse ben trattato...., erano di grande stimolo
a Monsignore...., si portò dal Borri nelle carceri dell'Inquisitione
e disse queste parole al medesimo : t Homo di tanto spirito, ga-
lante e giovane, non sta bene che ne viva immerso in una si fatta
ipocondria ; via via, allegramente signor Borri ; lei non deve te-
mere, che la Chiesa maternamente benigna l'accoglierà in modo
differente da quello ch'ella si pensa ». Allora rispose il Borri :
€ Monsignore, io vorrei sapere da V. S. lU.ma ingenuamente se
io sia prigione effettivamente ad istanza del St Offìzio o pure dei
signori Chigi ; ma di grazia, me lo dica liberamente, se gli ag-
grada».
Senza riflessione alcuna né punto pensarvi, disse Monsignore
che esso era prigione per ordine del S. Offìzio e non altrimenti ad
istanza dei signori Chigi
tSe così é, disse il Borri, io ormai non temo né ho più oc-
casione di temere l'ultime mine mie, perché spero in Dio esser
libero dal fuoco» ; e così respirando da tanta malinconia che gli
affliggeva l'animo, mangiò con Monsignore e cercò di sollevarsi
quanto potè. Temeva lui d'esser strumento della potenza del
cardinale Flavio Chigi, perché in tempo del zio [Alessandro VII],
lui fu tiranno e della sua persona e della sua dignità, e fu non
ordinaria la maledicenza che cindò seminando di questa casa
398 NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI
.... Seguitando il suo viaggio, giunse ai confini di Temi,
.... e perchè nelle carceri dell* Inquisitione non vi poteva esser ri-
cevuto, per non esser quelle né sicure né capaci in materia tanto
gelosa, fu subito e adirittura condotto in quelle di Mons. Gover-
natore ; ....sendo ora di pranzo, fu interrogato se avesse voluto
mangiare carne o pesce, et egli rispose che essendo in quel giorno
la vigilia di S. Lorenzo voleva del pesce, perché era buon catto-
lico. Fece istanza d'un pettine che subito gli fu dato e donato
dal medesimo Governatore, e nel desinare, fu nobilmente servito
et in servitio d'argento ; alla sua tavola mangiò anco il Padre Vi-
cario con il signor Francesco Ranieri, Cancelliere del S. Offizio
di Temi, e in tavola non comparvero mai coltelli, sicome era
seguito in tutti gli altri luoghi, ma la roba era già trinciata
Dopo desinato, fu visitato da molti signori e specialmente da
padri Gesuiti e dal signor conte Bartolomeo Canali, che era stato
suo condiscepolo nel seminario romcino, quando successe Taccen-
nata sollevazionei Fugli detto dal padre Anton Venturi, gesuita
e lettore di filosofia nel collegio di S. Lucia di Temi, che egli
andava a Roma per caldi eccessivi [si era alla metà d'agosto], ed
esso replicò subito le precise parole : t Non teme questi caldi dii
è destinato ai maggiori, già che io so molto bene che se è stata
abbruciata la mia statua in Roma, correrà Tistesso pericolo rori-
ginale ».
.... Il sopra accennato cancelliere del St Offizio di Temi
aveva un male che bene spesso lo tormentava terribilmente, e per
vedere se pure una volta ne potesse esser libero, aveva usato tutti
quei medicamenti possibili che i medici del paese e fuori gli ave-
vano ordinato. Sapeva dunque che il Borri in materia di medi-
cina era eccellentissimo ; gli confidò la sua fastidiosa e molesta
indisposizione ; il quale comprese la qualità del male, e adope-
randosi volontieri per guarirlo e forse per acquistar fama, ordi-
nogli una ricetta scritta di propria mano. Esso consolato dal sud-
detto, messe in pratica quanto prima quei medicamenti ordinatigli
e in pochi giorni guarì affatto.
Il resto della nobiltà di Temi, non vi restò alcuno tanto di
dame che di cavalieri che non andassero a vederlo alle carceri
del governatore, et essendo compitissimo, complimentò con tutti
benché si vedesse vicino alle porte di Roma, che vuol dire vicino
all'ultimo dei suoi giorni...»
Arrivato finalmente in Roma, il Borri fu rinchiuso in Castri
S. Angelo, e subito si rinnovò il processo a suo carico ; ma la sen-
tenza si fece attendere non poco, perchè i giudici non erano con-
INTORNO all'alchimista GIUSEPPE BORRI 399
cordi: i signori consultori, narra l'anonimo biografo del Codice
ora citato, si divisero in due parti fazionarij, volendo gli uni, in
ossequio alla sentenza del i66i, mandare l'imputato alla morte,
e opinando invece i più miti, che il carcere perpetuo fosse la
giusta pena.
Secondo il De Castro, prevalse il parere dei secondi, anche
perchè era stato soleimemente promesso all'imperatore Leopoldo
di risparmiare all'eretico alchimista la pena capitale; ma ciò
non risulta affatto dalle lettere del Nunzio : è evidente che la re-
lativa mitezza del giudizio, derivò soprattutto dalla condotta che
il Borri tenne durante le sue peregrinazioni in Europa, non avendo
egli più insistito nella propaganda per la sua confusa riforma
religiosa, ma soltanto coltivato Io studio delle scienze mediche
e dell'alchimia.
La sentenza proclamata nel 1672, oltre al carcere perpetuo, lo
condaimò a recitare una volta al giorno il simbolo delli Apostoli
r lì sette salmi penttenztali, a ricevere una volta il mese i sacra-
menti, e lo riammise, dopo la funzione dell'abiura, tenutasi nel
settembre di quell'anno nella Chiesa della Minerva, nel grembo
della Chiesa cattolica, riserbando a chi spettava, il diritto di
aumentare 0 diminuire la pena, secondo i suoi portamenti (i).
Rimase fin al 1678 nelle carceri dell'Inquisizione; e chiamato
allora per ordine di Innocenzo XI a curare il duca d' Estrées, am-
basciatore di Francia, ebbe la ventura di guarire l'illustre malato,
ottenendo in premio di passare da quelle carceri a Castel S. An-
gelo ; più tardi gli fu anche concesso di passeggiare libero per le
vie della città e di dedicarsi alla medicina.
Era quindi naturale ch'egli si occupasse col solito ardore di
scienze occulte, e ciò gli procurò l'amicizia e la protezione di
molte, nobili e ricche famiglie romane, perchè quelle misteriose
ricerche esercitavano sempre il loro irresistibile fascino ; prigio-
niero dunque a metà, per cosi dire, e accarezzato dai patrizi, il
Borri non lamentava certo la sua sorte. Ma nel 1691, un altro In-
nocenzo, il XII, che era l'antico Nunzio di Vierma, e che fu pon-
tefice rigidamente severo verso tutti, si mostrò inflessibile anche
verso il Borri, sua vecchia conoscenza ; gli fu quindi negato il
piacere d'uscire per la città, e in Castel S. Angelo terminò quasi di-
menticato i suoi giorni nel novembre del 1695.
Nel Cod. Urbinate i6go, della Vaticana, cosi è scritto a
(i) Copia di questa sentenza sta nel Cod. Urbinate 1690, della Bi-
blioteca Vaticana, fol. 173-184. Il Brusoni, nell'altra edizione della sua
Historia d'Italia (Torino, 1680)^ ne diede sommaria notizia.
400
NOTIZIE E DOCUMENTI INEDITI, ECC.
f ol. 1 84 : t Morse il suddetto Borri in Castel S. Angelo ivi ri-
stretto dalla sacra Inquisitione, di novembre del 1695 (i) stante una
infetione d'aria per Tinondatione del fiume che partorì e nclli
borghi e nella fortezza quasi un contaggio. Mentre il detto visse
nella detta fortezza Adriana attese alla chimica, facendo di molte
cure, fra l'altre del Duca di Lestre (sic), che fu permesso di an-
darlo a curare nel suo palazzo. Come parimente fu permesso nella
malattia et ultima infermità del signor cardinale Verginio Orsino
del mese d'agosto del 1676, che fu l'ultima malattia della sua
vita».
Arturo MAGNOCAVALLa
(i) II Cantù, op. cit., Ili, 331, reca invece la data ao agosto 1695.
BIBLIOGRAFIA
P. Kehr. Ueber d€n Pian einer kritischen Ausgabe der Fapstnrkwnden
bis Innocens III, Rede gehalten in der òffentlichen Sitzung der Kó-
nigl. Gesellschaft der Wissenschaften am 7 November 1896 : Sopra il
piano di una edizione critica dei diplomi pontifici fino ad Inno-
cenzo Illy Discorso tenuto nella seduta pubblica della R. Società
delle Scienze (di Gòttingen) il 7 Novembre 1896, pp. 15 in-8®.
— Papsturkunden in Venedig. Aus den Nachrichten der K. Gesellschaft
der Wissenschaften su Gòttingen, Philologisch-historische Klasse,
1897, Heft 2 : Diplomi pontifici in Veneaia, Dalle Notizie della R. So-
cietà delle Scienze di Gòttingen, Classe di Filologia e Storia, 1897,
fascic. 2 : ecc. ; v. sotto p. 410, seg. per i diplomi pontifici nelle
altre città e regioni d' Italia.
La data del 7 novembre 1896 rimarrà memorabile per la R. Società
delle Scienze di Gòttingen. In quel giorno in pubblica seduta della So-
cietà il prof. Paolo Kehr, già tanto favorevolmente noto pei suoi lavori
di diplomatica e di storia, esponeva in forma altrettanto piena che con-
cisa il piano di una grandiosa impresa dietro sua proposta già votata
dalla Società stessa : e la proposta era nientemeno che di dare un'edi-
zione critica dei più antichi diplomi pontifici fino ad Innocenzo III, ossia
anteriori all'anno 1198. Al principio dell'anno 1897 veniva costituita una
speciale commissione composta dei due segretari della Società e dei si-
gnori Frensdorf, Lehmann, Kehr, e tosto si poneva mano all'opera ; dico
all'opera di esecuzione, perchè ognuno può pensare quanta opera di pre-
parazione dovette precedere la definitiva partenza per tale e tanto viaggio.
10 non saprei meglio dare una qualche idea della natura, della
grandezza e dell'importanza dell'opera annunciata, che riassumendo per
sommi capi il piano esposto dal prof. Kehr, ricollegandovi le considera^
zioni ch'esso mi suggerisce ; dopo di che non mi rimarrà altro a fare che
porgere un breve cenno del lavoro fino ad ora eseguito.
11 prof. Kehr prende le mosse da un'idea verissima, che cioè, se al
giorno d'oggi non si manca, anzi si abbonda di buone raccolte dei mo-
numenti del passato messe insieme con i sussidii dell'odierna critica, non
'
402 BIBLIOGRAFIA
si può a meno dì riconoscere che queste raccolte presentano in fondo un
grande difetto ed una grande lacuna. Esse sono quasi esclusivamente
nazionali e regionali ; il che è verissimo non solo per le raccolte più re>
centi, ma anche*, e più, per quelle onde fu così ricco e benemerito il se-
colo XVIII.
Ora è certo che scindere il passato, e segnatamente il primo medioevo,
per nazionalità e regioni, è in un certo senso far violenza alla sua intima
essenza, data l'unità e Tuniversalità del pensiero e della vita cristiana in
cui tutto l'occidente, a dir poco, in quell'epoca si adunava. Ed è manife-
sto che, come di quella universale unità causa e centro fu il papato, così
nessuna impresa può sembrare più atta a colmare l'accennata lacuna, che
la raccolta di quei documenti pei quali e nei quali la viva e potente azione
del papato dovunque e in ogni senso si faceva sentire. E come ai giorni
di Innocenzo III la potenza di quell'azione giungeva nel medioevo al suo
colmo, così già per questo, sebbene non solamente per questo, il pontifi-
cato di quel gran papa poteva prendersi come limite cronologico ai
quem dell'impresa. Ho detto non solamente per questo ; perchè precisa-
mente con Innocenzo III comincia la serie continua dei Registri papali
di anno in anno e di secolo in secolo sempre più copiosa, che si consen.*a
negli archivi pontifici e che l'animosa sapienza di Leone XIII metteva a
disposizione dei cercatori e studiosi di tutte le nazioni, con un tratto de-
gno di eterna memoria e di etema gratitudine.
Non meno chiaramente sono indicati i confini geografici : non solo
Italia, Francia e Germania, ma anche Spagna, Inghilterra e Scandinavia
sono espressamente contemplate nel piano generale. Davvero che ba-
stano questi nomi, bastano i secoli decorsi fino ad Innocenzo III, per
farci intravedere la vastità dell'impresa; anche meglio la si intravede, se,
come bene osserva il prof. Kehr, si pensa ai quasi 19000 documenti pon-
tifici indicati nei Regesti di Jaffè-Ewald (ed. 1888) ; se si pensa ancora
alle migliaia (vedremo a' fatti che non è dir troppo) di documenti che
ancora attendono la luce nei nascondigli che finora li celavano.
Il prof. Kehr ha sentito il bisogno di una qualche maggiore limita-
zione della massa veramente immane, e ne ha ricercato le ragioni ed i
criteri nelle diversità del materiale diplomatico e dei modi onde ci venne
tramandato.
E per cominciare da questi ultimi, vengono subito in mente tre di-
stinti modi di tradizione : le collezioni (come per es. le notissime Ispana,
Adriana, Avellana), le reliquie degli antichi regesti, e finalmente i di-
plomi papali stessi singoli e per sé stanti, quali uscirono dalla Cancellerìa
pontificia e si sparsero in tutte le direzioni. Come si vede, sono tre gruppi
ben distinti, tutti certamente e notoriamente di inestimabile valore per lo
storico e pel cronista ; ma dei tre gruppi, solo il terzo sembra venire indi-
cato come l'oggetto proprio della raccolta divisata.
Chi ricordi che il primo documento pontificio conservatoci nell'ori-
ginale è quello del 819, di Pasquale I per Ravenna (J-E, 2551), che (per
quel che si può dire al presente con tutte le riserve) i secoli IX e X ci
BIBLIOGRAFIA
403
danno su per giù una dozzina di originali, due centinaia in circa il se-
colo XI (grazie alla sostituzione della pergamena al papiro), assai più
d'un migliaio il secolo XII ; chi pensi queste cose, dico, può anche sen-
tirsi tentato a pensare che in effetto siasi trovato il modo di ricondurre
rimpresa dentro confini abbastanza ristretti. Ma innanzi tutto la rinuncia
ai primi due gruppi non è, come vedremo né da parecchi fu rilevato, in-
tera ed assoluta; in secondo luogo rimane la grande incognita (incognita,
ma certamente grande) del materiale affatto nuovo che deve di necessità
saltar fuori ; rimane ancora in terzo luogo la vastità dei territorii da per-
corrersi frugando in tutti i sensi ; rimane finalmente e sovratutto la ela-
borazione critica del materiale raccolto, elaborazione che sola può con-
ferire all'impresa il suo miglior e caratteristico merito, come al materiale
stesso il suo valore scientifico; elaborazione che appunto per questo
prende posto principale nell'impresa e nel piano, e che, come diremo,
presenta da se sola le più ingenti difficoltà.
L'impresa tornava pertanto a sconfinare gigante : donde una nuova
ricerca di confini nelle diversità del materiale stesso diplomatico.
Qui il prof. Kehr si sente forzato dal bisogno (notgedrungen) a
prendere le mosse dalla definizione del diploma, o documento (Urkunde),
e non secondo il significato comune e giuridico della parola, sibbene
secondo il significato diplomatico ; e la sua definizione è questa : « quegli
(c scritti della romana Cancelleria, che in qualche molo esercitarono un'in-
a fluenza nei rapporti giuridici dei destinatarii od erano destinati ad eser-
« citarla ». Colla più benigna e, dirò così, mansueta interpretazione più
che tradurione del verbo, « eingreifen » adoperato dal prof. Kehr, credo di
avere fedelmente interpretato il fondo storicamente e teologicamente
più vero del suo concetto : fondo che ritrovo là dove (p. 14) egli vede in
quegli scritti altrettanti tratti e modi dello sviluppo (Entwickelung) del-
l'autorità pontificia rispetto alle altre chiese ; sviluppo che esprime assai
meglio il naturale e legittimo svolgimento nell'ordine dei fatti, e la pro-
gressiva applicazione di quella autorità secondo l'originaria destinazione
che nella non meno originaria costituzione sociale della Chiesa le com-
peteva per diritto divino; assai meglio, dico, che non facciano altre
espressioni, secondo le quali il eh. A. sembra vedere in quei medesimi
scritti usciti dalla Cancelleria papale altrettanti passi innanzi alla con-
quista di una egemonia più o meno usurpata, che, non è dubbio, rispon-
derebbe meglio al primo e più comune significato sempre un pochino
combattitivo ed attentatorio di quel verbo « eingreifen ». Noterò anche
come può a ragione sembrare poco chiara l'opposizione di una definizione
fondata sui rapporti giuridici e il significato giuridico del diploma.
Dette queste cose di passaggio, conviene seguire il prof. Kehr, il quale
procede dichiarando sempre meglio il suo pensiero con dire che dunque
nel suo piano entrano non le lettere ed i decreti del capo della Chiesa che
istruisce i fedeli e interpreta i canoni, ma i documenti (Urkunden) del
papato che governa la chiesa ed il mondo medioevale. Qui al limite cro-
nologico ad quem, sembra aggiungersi il limite a quo; sarebbero adunque
Arch. Stor, Lomb.f Anno XXIX, Fase. XXXVI. 36
BraLIOGRAFIA 405
Di più : quando si parla di disposizioni giurìdiche e di effetti
giuridici delle disposizioni stesse, bisognerebbe innanzi tutto chiarire
di qual giure o diritto si intende parlare. Perchè, se, come sembra, si
parla del diritto ecclesiastico o canonico od anche solo del diritto civile
dei secoli cristiani, in tal caso anche « le lettere ed i decreti del Capo della
« Chiesa che istruisce i fedeli ed interpreta i canoni », anzi essi sopratutto,
ebbero una portata altamente giuridica : non solo perchè giuridica era
nella Chiesa la suprema potestà di magistero e di governo ; ma anche
perchè per tale era giuridicamente riconosciuta, e per le influenze esteme
che in conseguenza di ciò le disposizioni di quella potestà esercitavano.
Non per nulla già i codici Teodosiani e Giustinianeo si aprono col titolo
de Summa Trinitate et fide catholica; ed è noto che gli articoli della fede
e le disposizioni dei canoni appartenevano, si può ben dire, al diritto pub-
blico della cristianità medioevale.
Ma il prof, K. mi obbliga a seguirlo più in alto. Sempre nell'intento
di meglio delimitare la sua impresa, egli dice che « per grande che fosse
«la considerazione del vescovo romano già nei primi secoli, per quanto
«generale la fede che egli custodisce la tradizione apostolica e la dot-
« trina autentica di S. Pietro, il principe degli Apostoli, la sua autorità
« era bensì eminente in linea morale, ma di gran lunga lontana dall'es-
«sere un'autorità giuridica ». E aggiunge come ragione o spiegazione
che « nella salda compagine burocratica del Romano Impero ivo» rima-
«neva posto per un'altra potestà di così universale tendenza!»
Nessuno ha mai preteso, ch'io sappia, che la suprema potestà ponti-
ficia sia stata giuridicamente riconosciuta dal potere civile fino dai pri-
missimi tempi del cristianesimo ; ma questo non poteva evidentemente to-
gliere nulla alla condizione giuridica di cui godeva nei rapporti colla
Chiesa, e sono certamente questi i rapporti che devono nel caso nostro
innanzi a tutti gli altri considerarsi. Ora che il vescovo di Roma, appunto
perchè successore del principe degli Apostoli, goda rispetto alla Chiesa
ed abbia sempre goduto per diritto originario e divino di una condizione
veramente e pienamente nel genere suo giuridica, non è soltanto (catto-
licamente parlando) un vecchio dogma, come appare anche solo dai con-
cili Lateranese IV, Lionese II, Fiorentino e Vaticano, ma è anche una
verità storica. Quando Ambrogio dice : ubi Petrus, ibi Ecclesia; quando
Agostino soggiunge : Roma locuta est, causa finita est; quando papa Vit-
tore interpone la sua autorità nella querela pasquale che scindeva
l'Oriente ; quando Clemente interviene nei torbidi della chiesa di Corinto
e vi manda suoi nunci, e con garbo veramente diplomatico ingiunge che
gli siano tosto rimandati colla notizia dell'ordine ristabilito ; quando Li-
berio, Innocenzo I, Celestino I, Leone il Grande, Ormisda, Vigilio, Gre-
gorio Magno, Agatone e tanti altri pontefici, senza che storicamente si
possa indicare e dimostrare avvenuto un cambiamento di costituzione
nella Chiesa, si vedono intervenire, invocati o di proprio moto, nelle ver-
tenze di tante chiese, anzi di tutta la chiesa, bisogna ben dire ch'essi e le
chiese tutte erano consapevoli della condizione giuridica che al papa fin
dal principio competeva.
4C6 BIBLIOGRAFIA
Ed ecco che un'altra volta l'assunta impresa sconfina da ogni limile
di tempo, e non è più soltanto l'occidente cristiano medioevale che ia
forza dei criteri adottati domanda di essere contemplato, ma tittta la
grande unità cattolica fino dai suoi inizi, quell'unità di cui e l'Orioile
e l'Africa, e i popoli Slavi furono già parti cosi cospicue ed importanti,
pur non varcando il limite ad quem del pontificato di Innocenzo III.
In conclusione, stando ai criteri adottati, mi sembra che bisogne-
rebbe da una parte (salvi sempre i diritti e le diverse esigenze della aì-
tica pei diversi gruppi) fare quasi l'istesso trattamento a tutti tre i grappi
indicati : antichi registri, antiche collezioni canoniche, singoli diplomi per
sé stanti ; bisognerebbe dall'altra parte sorpassare ogni confine di tenqw
e risalire agli inizi : come da altri fu già del resto insinuato {Histamckit
Jahrbuchy XXII, 4 Heft, 1901, p. 910).
Vero è in che in tal caso l'impresa da una parte diventerebbe di usa
grandezza veramente spaventevole, dall'altra rientrerebbe nel solco o nei
solchi di due imprese antecedenti : l'edizione delle lettere pontificie (ini-
ziata da Antonio Carafa e da Antonio d'Aquino prima ancora che dal
Constant) ed il Bullarium magnum. £ certo il compiere tale impresa,
portandovi quella maggiore integrità di materia e perfezione di tratta-
mento critico che al giorno d'oggi si richiedono, sarebbe cosa di smisu-
rata ed incomparabile grandezza ed utilità; ma forse i tempi non sono
maturi, se pure lo saranno mai.
Stando cosi le cose, pare a me (espongo molto sommessamente 3
mio parere) che a volere assegnare all'impresa dei confini ben deter-
minati e fìssi, a voler mantenerle un carattere proprio e ben distinto, a
voler sopratutto farla più precisamente rispondere all'intento veramente
provvido ed originale di rappresentare il reale e genuino sviluppo della
diplomatica pontificia propriamente detta nelle tante particolarità che
ancora rimangono a fissarsi ; a volere, dico, tutto questo, convenga tor-
nare puramente e semplicemente all'idea, che, se non erro, primamente
affulse allo spirito così profondamente diplomatico del prof. Kehr e gli
diede la spinta, l'idea cioè dei diplomi stessi singoli e per sé stanti, ^.
questi per il solo Occidente, come anche l'immortale Maassen ha sentito
il bisogno di limitare geograficamente la sua opera sulle fonti del diritto
canonico.
Chi pensi ai non pochi originali già conosciuti, ai tanti finora rimasti
nelle tenebre, alle innumerevoli copie e falsificazioni degli uni e degli
altri, alla dispersione geografica di tutto questo materiale ; colui si farà
presto il giusto concetto della grandezza e difficoltà dell'impresa, anche
solo per quel che riguarda la raccolta della, diremo così, materia prima.
E resta ancora tutto il lavoro critico, al (fuale i materiali raccolti do-
vranno assoggettarsi. Lavoro di esame, di classificazione, di confronto, di
verifiche senza numero : lavoro spinoso, delicato, e fino ad oggi, si può
dire, impossibile, data la attuale mancanza del mezzo migliore, che è la
visione contemporanea del maggior numero possibile dei documenti é
una stessa epoca e di uno stesso genere, visione che solo dopo la nuova
raccolta sarà possibile di procurarsi.
BIBLIOGRAFIA
407
E il lavoro di raccolta viene appunto condotto ed eseguito in vista
ed in servigio del lavoro critico. Si è cosi già fin d'ora adunato nella
camera deir« Apparato diplomatico » dell'università di Gòttingen un te-
soro di materiali diplomatici di primo ordine. E' (dice il fortunato ano-
nimo che potè vederlo: Histor. Jahrh., 1. e, p. 912), una massa di ri-
produzioni delle più esatte, già oggi tanto grande, che mai fin qui la
maggiore.
L'apparato si divide in fotografie e lucidi. Ove l'importanza del do-
cumento richiede e le esterne circostanze permettono, le pergamene
sono fotografate in grandezza possibilmente naturale : in tutti gli altri
casi vengono colla maggiore esattezza lucidate dalle bolle c|ucllc parti
che hanno un «lignificato sia per il giudizio del documento in sé, che per
gli usi cancellereschi, gli scrittori, i datari, i cardinali e così via. Le
riproduzioni vengono tirate su forti cartoni, disposti e raccolti cronologi-
camente secondo i diversi pontificati.
Quali e quanti frutti possano e debbano sperarsi da tali lavori per
la diplomatica e per la paleografia pontificia, non è chi non veda. E non
sono meno certi ed evidenti i frutti da raccogliersi sul vasto campo della
storia ecclesiastica sia generale che, e specialmente, particolare.
S'aggiunga tutta una ricchezza di nuovi o più esatti elementi cro-
nologici e topografici che non può a meno di derivarne ; s'aggiungano le
innumerevoli utilissime indicazioni intorno a biblioteche ed archivi, pri-
vati e pubblici : s'aggiungano infine i fortunati incontri che né in tante
ricerche potevano mancare, né a cercatori abili e sperimentati potevano
sfuggire, anche all'infuori del prefisso intento.
Una parte, e cospicua, di questi frutti è già maturata e sta innanzi al
pubblico, come si vedrà nella notizia del lavoro fino ad oggi compiuto;
un altro frutto per noi italiani promettentissimo dev'essere ormai vicino a
maturanza rìoìVItalia pontificia, della quale il prof. Kehr sperava di
metter mano alla stampa prima che quest'anno (1902) finisse (Nachrich-
ten von der K. Gescll. d. Wiss. zu Gòtt. Geschàfil. Mitth, 1902, i). Egli
stesso il prof. Kehr dava come un saggio ed una primizia di tanti frutti
in un pregevole contributo alla storia della cancelleria papale nel se-
colo XI, sotto il titolo suggestivo « Scrinium und Palatium » {Mitth. /.
Oesicrr. Geschichtsf., VI Egzbd., Innsbruck, 1901, pp. 70-112) : senza dire
dei belli e buoni studi diplomatici e storici pubblicati dal prof. Kehr e dai
suoi collaboratori tanto nell'organo principale dell'impresa, come in al-
tre sedi ; che ci danno un saggio degli incontri ai quali accennavo e
sono come altrettanti episodi (certo non i soli) delle lunghe peregrina-
zioni scientifiche.
Ho pure accennato ai collaboratori del prof. Kehr. Che per un'impresa
come quella da lui divisata, della collaborazione di molti vi fosse biso-
gno, è cosa evidente. Dessa non poteva mancargli, data la nobiltà e gran-
dezza dell'impresa stessa e la generale utilità che é destinata a produrre,
data ancora la buona grazia con la quale egli non solamente la ammise,
ma la richiese e nell'esposizione stessa del suo piano e poscia nella esecu-
408 BIBLIOGRAFIA
zìone dclTopera, né soltanto da^ suoi connazionali, ma ancora dai no-
stri, come si vedrà più avanti : sistema non meno liberale che pratico e
savio, e che non è dubbio sarà mantenuto e secondato anche negli altri
paesi che entrano nell'ambito del piano prestabilito. Vero è che la Com-
missione di Cìòttingcn non ebbe bisogno d^uscire dai confini della Ger-
mania per trovare la prima e indispensabile coopcrazione, quella pecu-
niaria. Oltre ai fondi della pur non largamente dotata Società delle
Scienze, e aiuti da diverse parti affluiti a misura che il progetto prese
consistenza e fu visto entrare in esecuzione, vanno segnalate le cospicue
elargizioni del prof. Nernst che primo metteva a disposizione dellim-
presa 10,000 marchi, poi quelle del Cardinale Kopp di Breslavia e del
Cancelliere dell'Impero, ciascuno dei quali nell'occasione del giubileo
della Società offriva 15,000 marchi per la pubblicazione dei diplomi pon-
tifici. Così il compimento dell'impresa è ormai assicurato, e può de-
porsi il segreto timore già espresso (Arch. Star, /tal., ser. V, to. XX»
disp. 3, a. 1897) che il grandioso progetto abbia a rimanere un bel
progetto.
Il lavoro si può dire omai condotto a termine per la parte che ri-
guarda l'Italia. Avendo già sopra accennato alla raccolta delle ripro-
duzioni costituenti il primo nucleo dell'apparato diplomatico di Gòttin-
gen, ed anche ai lavori incidentali ed episodici, non mi rimane se non
dare un'idea di quanto fu pubblicato per le stampe concernente il lavora
di collezione.
Come l'andamento, dirò così, economico dell'intrapresa è dato da
regolari comunicazioni della Commissione (IVachrichten, ecc. Gesckdftl.
Mitth.)j così il frutto dei lavori compiuti viene mano mano raccoho e
rassegnato in appo-iti rapporti o rendiconti presentati alla Società di
Gòttingen, e -tampati nelle \- achnchten (Philos. hist. CI.) di essa,
tranne due che vennero rispettivamente inseriti nel lìtdlcttìno smese di
Storia -patria v. nella Miscellanea Cassinese.
1 mentovati rapporti si dividono regolarmente in tre parti. Daj»-
])rima è un'introduzione consacrata all'itinerario, e ad un largo (talvolta
fin troppo largo) tributo di riconoscenza all'ospitalità incontrata, ai mol-
teplici aiuti prestati da diverse p<Tsone., massime bibliotecari ed archivi-
ati, e sopratutto ai collaboratori propriamente detti. Segue Tenuniora-
zione degli archivi e d<'lle biblioteche pubbliche e private n<:i div^T-i
luoghi visitate, col -ommario elenco dei diplomi papali sia in originale
che in copia trovati, non -cnza gli op])ortuni rinvii alle fonti stampai'
p<'r i materiali già (:(»nosciuti. t- con chiari cenni ai diversi fondi ed
anche a notevoli materiali d'altro genere, s])e( ialniente di])lomi impe-
riali. Viene ultima \m"appendice, nella c[ualc le bolle inedite o qua-i sono
pubblicate per intero (per (guanto in forma preliminare e non deiìniti>*a,
questa non potendo evidentemente fissarsi che a lavoro compiuto), in po-
chi casi indicate e riassunte colla dovuta larghezza. Così questi rendi-
conti con tutta la concisione e brevità che le fa davvero sembrare note di
viaggio, riescono un doppio t(!soro di testi nuovi distribuiti per regioni e
per luoghi, e di indicazioni ])reziosis^ime, una vera guida attraverso uno
BIBLIOGRAFIA 409
grandissimo numero di biblioteche, archivi, ripostigli d'ogni maniera.
Chiunque ha anche appena un poco di pratica a ricerche di questo ge-
nere, sa che cosa voglia dire anche la sola notizia dell'esistenza di certi
fondi in un luogo o nell'altro.
Credo di fare cosa altrettanto gradita che utile a molti inserendo qui
appresso l'elenco completo dei diversi rendiconti, con la indicazione delle
annate e dei fascicoli delle Nachrtchten ove si trovano stampati, non che
del numero dei nuovi testi in ciascuno di essi pubblicati : aggiungo per
ciascuno il nome od i nomi degli autori e collaboratori. Con questo espe-
diente credo anche di potermi dispensare dall'entrare in più minuti par-
ticolari a rischio di prolungare di troppo questa mia già non breve recen-
sione. Ma dispensarmi non posso dal dare qualche particolare notizia di
due ricerche e dei relativi rendiconti.
La prima ricerca riguarda Milano e la Lombardia. Per quel che ri-
guarda Milano basterà dire che furono visitate e ricercate le biblioteche :
Nazionale, Ambrosiana e Trivulziana, e gli Archivi di Stato, Civico,
Arcivescovile, Capitolare Metropolitano, Capitolare Santambrosiano,
dell'Ospedale Maggiore, della Congregazione di Carità, delPOrfanotro-
fio. E il frutto raccolto non fu esiguo : per non dire che delle bolle ine-
dite, sono ben 44 cosi distribuite : Osped. Magg. i, Archiv. Santambros. 3,
Bibl. Ambros. 5, Congregaz. di Carità 8, (una spuria), Arch. di Stato
27. Per la Lombardia fu fatta la visita, od almeno si danno certe notizie,
degli archivi e biblioteche dei seguenti luoghi: Como, Monza, Pavia,
Lodi, Cremona, Mortara, Vigevano, Tre viglio, Varese, Intra, Pallanza,
col guadagno di 22 nuove bolle delle quali però 7 spettano ancora al
nostro Arch. di Stato, 6 alla Braidense, 2 alla Trivulziana, i all'Osped.
Magg., I all'Ambrosiana : i diversi diplomi venendo sempre, con giusto
criterio, raggruppati secondo i luoghi di destinazione.
L'altra ricerca è quella che riguarda i registri papali da Innocenzo III
a Paolo III. Un cenno speciale era tanto più necessario, in quantochè può
sembrare siasi qui dato uno strappo al piano ; ma non è così.
E' noto che bolle papali anche molto antiche, sono non solamente
citate, ma bene spesso per l'intero tenore inserte e riprodotte in bolle di
data posteriore. C'era motivo sufficiente per arrestarsi a Paolo III,
dopo il quale le bolle antiche inserte nelle nuove non possono essere che
pochissime, così da non francare la spesa del lavoro. E per quanto cor-
tese ed operosa la prevenienza ed assistenza ormai a tutti nota delle
egregie persone che presiedono all'Archivio segreto Vaticano o le coa-
diuvano (mons. Wenzel, P. Denifle, prof. Melampo, sig. Rannuzzi), per
quanto non siano anche qui mancate efficaci collaborazioni, rimase pur
sempre al prof. P. Kehr un lavoro veramente erculeo, rare volte e di
poco alleviato dalla presenza degli antichi repertori e schedari, ben noti
agli studiosi, il più spesso accresciuto dalla loro parzialità e imperfezione.
Il prof. Kehr stesso ha riferito sul suo lavoro nell'ultimo dei ren-
diconti finora pubblicati e che tutto solo riempie un grosso fascicolo di
più che 160 pagine. La relazione è divisa in tre parti rispondenti a tre
gruppi di registri nella loro naturale distribuzione per secoli dal XIII
4IO BIBUOGRAFIA
al XV : precede una introduzione generale, che si legge col più grande
interesse e con pari vantaggio. Dopo quattro mesi dì lavoro intenso e
veramente vertiginoso il prof. Kehr poteva guardare con compiacenza
alla scric dei 1500 grossi volumi de' Registri dovuti il più spesso ricer-
care foglio per foglio.
((Millecinquecento volumi di Registri! i> egli esclama, a Non è
« questa una ben severa penitenza per i peccati degli ultimi dicioCto
a mesi ?» Io non so in seguito a qual segreto esame di coscienza il pr. Kehr
s'è fermato all'ultimo anno e mezzo ; ma so che, se penitenza doveva es*
sere, quella da lui fatta può ben bastare per un numero di mesi e di
peccati assai maggiore; devo anche conchiudere che la penitenza fatti
gli sia stata imputata ad espiazione cosi completa e sovrabbondante, da
rimanere un largo margine al merito puro. Difatti la ricompensa nim
fu mai tanto grande : 83 nuove bolle t Noto tra queste Aless. Ili (1180,
XI, 19) per l'ospedale d'Isola (dioc. di Como); Eug. Ili (1146, XII, 9)
per la chiesa di S. Giovanni £v. fuori Brescia; Aless. Ili (1171, VI, ao)
per il convento di S. Pietro di Lenta (dioc. di Vercelli) ; Aless. Ili (1177*
IV, 38) per il monastero di S. Cristina in Corte Olona; Celestino III
(s. 1. et a.) per la chiesa di S. Maria dì Corazzano (dioc. di Lucca) con-
fermante le largizioni dei vescovi Anselmo e Gregorio.
Ma ecco il promesso elenco :
Venezia (1896. 4) — Predeili .... Nuove bolle 15
Pisa, Lucca e Ravenna (1897. ^) ^* Kihr, Schiapartliù , 18
Reggio Emilia (1897. ^) ^* ^^^'^ • ^
Nonantola, Modena e Verona (1897. 2) Klinkinborg, « 5
Brescia e Bergamo (1897. s) KUnktnborg . . . , 9
Padova, Ferrara (P, Kehr) e Bologna {Klitikenborg,
Schiaparellì) App. a Venezia (Predelli). . . » i3
Romagna e Marche (1898. i) P. Kehr, Schiaparellì . ^ 21
Benevento e Capitanata (1898. 1) Schiaparellì . . ^ 27
Apulie (1898. 3) Schiaparellì » 3^
Abruzzi e Monte Gargano (1898. 3) Klinkenborg,
Schiaparellì » 23
Principato, Basilicata e Calabrie (1898. 3) Klinkenborg , —
Umbria (1898. 3) Klinkenborg , Schiaparellì ... » aB
Archivi Senesi {BtilL Sen. di St P. VI, i. 1899). P. Kehr, „ 14
Venezia (1899. 2) Schiaparellì, » 42
Friuli (1899. 3) Schiaparellì w 24
Sicilia (18993) ^« ^ ^' Kehry Schiaparellì ...» 35
„ S. Maria de Valle Josaphat (app. al prec.) . ^ 7 (3 false)
Malta (1899. 3) Schiaparellì » 53
Parma e Piacenza (1900. i) Schiaparellì ... « 53
Roma I (1900. 2) P. Kehr^ ÌViederhold, Hesael, Schiapa-
rellì » 45
Da riparlare 469
i
BIBLIOGRAFIA
411
Riporto 469
Salerno, Cava e Napoli (1900. 3) P. e K Kehr, Schia-
panili. Nuove bolle 36
n 31
» 25
» 12
» 12
» 44
Campania (1900. 3) Klinkenborg, Schiaparelli,
Roma II (1900. 3) P. Kehr ....
Torino (1901. 1) Schiaparelli,
Piemonte (1901. 2) Schiaparelli
Patrimonio e Toscana merid. (1901. 2) Tonelli, Fedele
Roma III (1901. 3) Fedele ....
Milano, (1902, 1) Schiaparelli
Lombardia (1902. i) Schiaparelli .
Liguria (1902. 2) Schiaparelli
Registri da Innoc. Ili a Paolo III (1902. 4) P, Kehr^
Baumgarien^ tìessel, Schiaparelli .
Firenze (1901. 3) Wiederhold
Montecassino (Misceli. Gassinese 1899) P. Kehr
V
83
21
40
Totale 860
Come si vede, alla nostra Italia fu assegnato e mantenuto il primo
posto neiresecuzione del lavoro, e per la parte italiana il lavoro si può
dire compiuto, salve, s'intende quelle spigolature che in un lavoro cosi
vasto e (basta badare alle date) così rapido, non ponno non essere ri-
maste indietro, e per le quali ci sarà sempre il tempo.
In mezzo al quasi costante silenzio (silenzio relativo, come si può
vedere nel Neues Archiv) delle riviste scientifiche germaniche, notato
dal recensore deìVIlistorisches /ahrbuch (1. e, p. 914 seg.), le riviste ita-
liane ebbero ed hanno ogni ragione -di applaudire alla nobile e grande
impresa e di raccomandarla al favore ed alla cooperazione di tutti gli
studiosi. Ho già notato che il prof. Kehr s'è dato una cura diligentissima
e veramente cavalleresca di attestare pubblicamente che la raccoman-
dazione non è, almeno nella grandissima maggioranza dei casi, stata
fatta al deserto. E questo basterebbe a provare al sullodato recensore, che
se al di qua delle Alpi si è reso omaggio al dummodo fiiy non lo si è fatto
sino al punto da esserci indifferente « gleichgiiltig », che i nostri e il
nostro paese prendessero parte attiva alTimpresa o meno. Il prof. Zdle-
kauer (Arch. St. It., to. XX, disp. 3, a. 1897) abbastanza espressamente
ha deplorato che una cosi nobile iniziativa non sorgesse primamente
in Italia. E portava anche due ragioni : la prima, a essendo il papato
« cattolico, ma di origine e dandole per eccellenza italiana » ; la seconda,
« che ormai non mancano tra noi né maestri valenti né scolari capaci
(e ne dava i nomi) « per eseguire simili lavori». Non vi è certo un solo
italiano, per quanto animato dal piti puro ed universale amor della
scienza, il quale possa non riconoscere la storica verità della prima ra-
gione, e non debba amare di trovar la seconda sempre più vera.
ad ogg
alPinui
severai;
soltanb
la parti
Co
<< Mono
prorint
che le
quell'ai
917 ali
al 1366
S. Nict
del Coi
Nini di Vito, il quale ultimo ha atteso e attende con somma cura a pub-
blicare le pergamene della Basilica di S. Nicola, e Francesco Carabellese,
a cui 5i deve il voi. Ili : il Nìtti di Viio ci offre anche un'appendice,
staccata però dalla raccolta, dove tratta della leggenda della tiasU-
zione del corpo di S. Nicola a Bari. Tutti i volumi sono arrìixhiti di
facsimili in fototipia e di (avole di suggelli, ed fc opera, ripetiamo, che h
onore alla Commissione che l'ha ordinata e agli Egregi, che non ri-
sparmiando fatiche, ne curarono la pubblicazione.
Anche i ic Documenti e Monografie » ci presentano lavori d'iinp«-
tanza e di pregio : Il voi. I è occupato dalle « Cronache dei fatti del 1799"
di Gian Carlo Berarducci e Vitangelo Bisceglio, presentate da Giuseppe
Ceci; il III volume, che parla della Puglia nel sec. XV, è opera diligeatt
di Francesco Carabellf'^e, che ba raccolto ir essa molti documenti ri-
guardanti l'organizzazione interna dei comuni e le condizioni del popolo
e i loro rapporti col re e con la feudalità, le relazioni con le altre pMti
d' Italia, ecc. ; il II volume infine, come appare dal titolo che ib-
biamo posto in capo di questa recensione^ interessa molto da vicino anche
noi, ed è giusto e doveroso che ne rendiamo conto più dìfinsameate »
lettori dell' Arckii'io.
BIBLIOGRAFIA 4I3
Pensiero dell'Autore era, com'egli dichiara nella prefazione, di dare
intera la vita di Isabella d'Aragona, duchessa di Milano e di Bari, e
quella di sua figlia. Bona Sforza ; ma la gran copia di documenti venu-
tigli tra le mani nelle sue ricerche d'archivio, ne ha fatto difiFerire l'ese-
cuzione. Parendogli intanto che dai documenti trovati la storia della suc-
cessione degli Sforzeschi negli stati di Puglia e di Calabria, ne uscisse
ben delineata e completa, attese a pubblicarla nel presente volume. £
noi, veramente, siamo grati all'Autore del saggio che ci ofiFre dei suoi
studi ; ma ci permetta di esprimere l'augurio che non abbia a differire ol-
tre a consumare la prima impresa, poiché le pagine che abbiamo din-
nanzi, dimostrano che il Pepe ha profondamente studiato e s'è appro-
priato l'argomento, e saprà perciò darne una trattazione degna dell'im-
portanza del soggetto. Ma veniamo all'esame del libro.
Chi fu il primo duca di Bari di casa Sforza.^ Nella gran discordia
dei cronisti sincroni, a stento ci si può raccapezzare ; e l'A. enumera nel
cap. I le contraddizioni e le negligenze degli storici, venendo, colla
scorta dei documenti, alla conclusione che fin dal 9 settembre 1464 re
Ferdinando di Napoli, memore dei grandi benefici ricevuti da France-
sco Sforza, donava al figlio di lui Sforza Maria, promesso sposo di Eleo-
nora, figlia del re, il ducato di Bari, che constava della città stessa di
Bari e delle terre di Palo e Modugno : donazione confermata un anno
dopo, il 27 settembre 1465, quando Sforza Maria accompagnò a Napoli
la sorella Ippolita, e più tardi, nel 1473, poco dopo che la casa d'Aragona
si era stretta con nuovi vincoli di parentela alla casa Sforza per il matri-
monio tra Isabella d'Aragona e Gian Galeazzo Sforza.
Del governo di Sforza Maria nel suo stato di Bari, ben poco ci dice
l'A., e anzi non sa se v'abbia mai dimorato; alla mancanza di notizie per-
tanto, in quest'ultima parte del I cap., ci sia lecito di supplire noi che,
poca cosa, è vero, ma pur qualcosa abbiamo trovato, occupandoci di al-
tre ricerche, nell'Archivio di Stato della nostra città.
Che Sforza Maria si sìa recato ad abitare nello stato di Bari, ce lo
provano più lettere, dell'ottobre e del dicembre del 1477 ; tra l'altre, due
in data dei 7 e 9 ottobre, indirizzate a Giovanni Simonetta, a cui Sforza
Maria si rivolge con preghiera di raccomandarlo al fratello Cicco, perchè
gli faccia mandare a Bari, onde possa mostrare la sua intenzione, a o
« prete o frate qual meglio gli pare e di chi più si fidi che si vuole confes-
« sare da lui e su l'ostia consacrata », e giura di essere buon servitore alla
duchessa di Milano e ai suoi figli (1).
Quanto al tempo poi che s'è fermato, pare che lo Sforza, allontanato
da Milano per le note ragioni, si sia recato a Napoli e di qui a Bari dove
(i) Arch. di Stato, Milano. Autografi di Principi, Sforza Maria Sforza.
Sforza.
4^4 • BIBLIOGRAFIA
sarebbe stato ben poco, cioè gli ultimi mesi soltanto del 1477 e i primi
del '78, poiché all'ultimo d'aprile di quest'anno egli giunge a Pozzuoli
per curarsi ai bagni la spalla « che altre volte si guastò » per una caduta, e
vi dimora dieci giorni, dopo di che torna a Napoli per assistere ad al-
cune giostre (i). Da questa città manifesta in una lettera alla duchessa
di Milano la speranza di poter ritornare in Puglia, se la peste glielo
permetterà, che è quasi per tutto quel paese; a Napoli però si ferma
a lungo e anzi sembra che non ne parta più se non per venire nel
Genovesato, nel febbraio del '79, alla testa di un esercito, per lo scopo
che sappiamo. Ma ai 29 di luglio dello stesso anno moriva improvvisa-
mente a Varese Ligure, e il ducato di Bari subito dopo veniva concesso
dal re Ferdinando a Ludovico il Moro.
Sforza Maria, assente dal ducato, vi teneva un vice-duca, Azzo Vi-
sconti, e altre persone erano incaricate di riferirgli sulle condizioni di
esso. Così un « Simon de Calco » gli scrive da Bari in data 4 agosto 1467,
dando notizie sulla dogana di questa città (2) ; e così pure da un'altra let-
tera apprendiamo che in Bari nel tempo che egli vi stette, vi fu grande
carestia, tanto che nulla vi si trovava se non col denaro in mano (3). An-
che prima di recarvisi, però, s'era lo Sforza occupato delle cose dei suoi
sudditi, che egli raccomanda ad Agostino de Rubeis, oratore ducale a
(i) Leti, di Sforza Maria Sforsa a Bona Duchessa di Milano y Napoli,
17 maggio 1478. Ibidem.
(2) Ecco la lettera che crediamo opportuno trascrivere :
« lUustris et excellentissime dne dne mi. Post humilem recommendac*
ce cionem ; venuto qui trovo questa dohana essere stata ben servita et exer-
c< cita per quisti dni citatini quali multo bene intendono le raiune et exer-
« cicio de epsa dohana et specialmente quello filliolo de notar Stephano
« de chi parlai ad V. L S., posto in epsa dohana per la M.ta del Re. Sento
« quisti citatini de bari per uno capitulo recercano ad V. S. che non vo-
te lyano dohaneri citatini. Non so la casone ; pur mi pare comprehendere
t( non posere essere per casone nulla bona per utile de epsa aohana per
« multi casuni quale se se fosse cum V. S. li porya dire, ma fra li altri
« non seria possibile per li pochi dinari possere bavere frustieri qui, che
« non so per bavere huno intendente se possesse bavere meno de cento
«fini septanta o octanta ducati; che lo prencipe de taranto che tuto lo
« payse era suo, operava la dohana per citatini per pocho prezzo et quando
« neci teneva alcuno frostrero, quantunque fosse suo vassallo, li dava
« ducati septanta. et vulendo V. S. ponerenci frostieri nello ducato de
ce bari, non de so, bisognyarya ponerenci homo de Re, et tuti li altri do-
« hane sono de Re : pò extimare V. S. comò in questa dohana se possesse
« fare cosa bona havendose ad tractare per altre mane che de homini sub- ,
f< diti et afiFeccionati de V. L S. Me ha parso daxinde adviso ad V. I. S.
(( comò tenero del utile de epsa dohana, et syando aui conoxo el dampno
« inde porya sequire ; perho inde adviso V. S. alla quale continuo mi
« recomando. Ex baro die IIII agusti XV indicione ».
E. J. D.
Servus Simon de calco.
(3) Arch. di Milano, Carteggio dei Principi^ Sforza Maria.
BIBLIOGRAFIA
415
Roma, la badessa di S. Scolastica della sua città di Bari, perchè ne parli
favorevolmente al papa e al cardinale Orsini, per una supplica da lei
presentata (i). Ma gli avvenimenti non permisero che attendesse con
maggior cura al suo ducato, e la morte lo colse quando meno s'aspettava.
Si può ancora aggiungere che Sforza Maria era sempre stato bene accetto
alla corte di Napoli : e prima, come promesso sposo di Eleonora d'Ara-
gona, e anche dopo che il matrimonio era sfumato. Però sarà bene qui
completare la notizia data dal Pepe che assegna, pei documenti trovati
nelParchivio di Napoli, al 1474 la concessione in favore di lui delle armi
e insegne di casa d'Aragona, con quanto si apprende da un documento del
nostro archivio, cioè che fin dal 1466, ai 23 di luglio, re Ferdinando aveva
fatto tale concessione. Sarà stata quindi quella del '74 una conferma della
concessione del '66 (2).
Successo allo Sforza Maria Ludovico il Moro nei diritti sul ducato
di Bari, questi affida ad altri l'incarico di rappresentarlo, e il Pepe sup-
pone che tale incarico sia stato dato fìn dai primi anni alla sorella Ippo-
lita, che l'avrebbe conservato fino al 1484. Ora tale supposizione si deve
ritenere infondata, perchè nel marzo 1483 era governatore del ducato per
il Moro, Benedetto da Castiglione, che, scrivendo da Bari a Bartolomeo
Calco per ringraziarlo di essere intervenuto in suo favore nella causa
presso il duca per escludere la « prava e malevola intenzione » di Gaspare
Visconti (3), si firma appunto « dottore e governatore del ducato di
« Bari » (4). Il che esclude che fosse un vicario di Ippolita Sforza, mentre
d'altra parte non può pensarsi che il Moro abbia dato il governo alla
sorella e gliel'abbia tolto per tornare ad affidarlo a lei poco dopo. E'
certo adunque che prima del 12 marzo 1483 questa non potè essere gover-
natrice di Bari. E quanto alla sua scelta, crediamo anche noi coll'A. che
significasse intimità, non già inimicizia tra Napoli e Milano : intimità
cessata ben presto, è vero, perchè nel 1485, dopo la rottura tra Alfonso e
il Moro, questi affida il ducato a Giovanni Erminzani ; ma tosto ristabi-
litasi, che nel 1487 re Ferdinando concede allo Sforza, in ricompensa de-
gli aiuti prestatigli contro i Baroni, il principato di Rossano e la contea
di Burrello, Rosarno e Longobucco. Con che il Pepe corregge l'errore di
non pochi scrittori, come il Ratti, il Giannone e il Petroni, che pongono
al 1479 la concessione al Moro del principato di Rossano e della contea
di Burrello.
Diventato il Moro duca di Milano per la morte di Gian Galeazzo e t>/V . ' *^ y ^
successo a Ferdinando Alfonso II, questi, mentre Carlo VIII è già in
(i) Ibidem. Mediolani, 16 Feb. 1468.
(2) Ibidem. 23 Luglio 1466.
(3) E' quel Gaspare Visconti che troveremo Vice-duca e general go-
vernatore- di Bari ancora pel Moro nel 1488, nel qual anno fa erigere una
delle torri del castello, detta Torre Viscontina, come risulta dalla iscri-
zione posta sulla lapide che si conserva nel Museo di Bari e che l'A.
riporta.
(4) Arch. di Milano. Comuni. Bari, in data 12 marzo 1483.
4l6 BIBLIOGRAFIA
Italia, fa sequestrare le entrate degli stati dello Sforza; ma lo Sforza,
appena il re di Francia entra in Napoli (febbraio 1495), se le fa riconse-
gnare e il governo viene di nuovo affidato a Gaspare Visconti (i). Altre
vicende attraversa il ducato per gli avvenimenti successivi. Ritolto al
Moro dal Montpensier e dato al principe di Salerno, gli vien restituito da
Ferrante II e conservato da Federico che il 6 dicembre del 1496 firma in
suo favore un privilegio di conferma e nuova concessione, e ranno dopo,
il 20 giugno, gli concede un altro privilegio, da lui chiesto, cioè la con-
ferma e nuova investitura iure feudi in persona del secondogenito Fran-
cesco Sforza, che contava allora tre anni e che da questo tempo portò il
titolo di duca di Bari. Ma ben presto ci troviamo davanti a una nuova
incredibile decisione del Moro : dopo soli sei mesi dall'ultima data egli
cede tutti gli stati del Regno di Napoli ad Isabella d^Aragona I
Secondo gli storici, ciò fece per compensarla, in certo qual modo,
della dote di centomila ducati portati a Gian Galeazzo ; secondo il nostro
A., il Moro che ben sapeva, nella sua qualità di usufruttuario del ducato
di Bari, di non poterlo cedere, non volendo, costretto dai Francesi a la-
sciare lo stato di Milano, che questo venisse dato a Isabella e al fighe
Francesco, aveva escogitato tale mezzo di allontanamento, riservaxidoà
di accampare le ragioni di nullità quando gli riuscisse di ritornare a Mi-
lano. Questo vuol dimostrare il Pepe nel cap. Ili, seguendo i docu-
menti ; e la narrazione, di necessità, diventa in questa parte un po' intri-
cata, perchè il re Federico, a sua volta, temendo che Toccupazione di
Bari come dominio del Moro, servis.^o di pretesto per metter piede ne*
Regno, pensa bene di assicurarselo, senza badare né al Moro ne alla
nipote; ma dove lottare cogli ufficiali dolio Sforza cho si rifiutano di con-
segnare i cast(?lli ; e in questo succedersi di ordini e contrordini, di let-
tere e di messi, si arriva fino al 1500, nel qual anno il Moro riprende il
suo ducato (2) e Isabella rimane sacrificata : invece di impossessarsi ^en-
(i) Così il Pepe, affidandosi al Petroni. \oi però abbiamo trovar.'
una lettera di una certa Sara Macedonia, diretta al duca di Milano. n< ili
quale dopo essersi con lui congratulata della nascita di un figlio maschii.',
scrivt' :
« Praeterea. cum onini fidutia et astricta da piotate materna, ric'>
mando strictissimamente i filgioli mei a V. 111. S. et maximamente Pa-
doano ; el (juale per gratia de ipsa excel. S. V. e facto viceduca de Ban»?.
— La lettera (Arch. di Milano — Autografi Doìinc celebri ( ?), Lett. Mi
è in data del 7 aprile 1495 ^^ Napoli. — A quc>to Padoano Macedonio
{itttro N capolini) v'è anche un'istruzione dello Sforza in data ultimo Giu-
gno 1496 (ibidem, Fot. estere, Napoli).
(2) Alle notizie date dall'Autore sulla restituzione del Durato allo
Sforza, serviranno di utile complemento (|uelle contenute nella lettera
che ^egue (Arch. di Milano, Fot. est., Napoli, 1496-1500) scritta in cifra
e colla spiegazione a lato :
(( Per un altra ho advisato v. ex.tia de la venuta mia dal Re de Na-
«poli et corno li havea facto intendere (|uanto habi in commissione part-
« cularmente domandandoli il stato de bari clic fusse ne le mane de v
« ex.tia et lui mi ri^pose che vta contento darme le intrate et le raze non
BIBLIOGRAFIA 417
z'altro dei suoi stati, come dicono gli storici, ella ne ha nuova causa di
dolore. Per poco però, che il 9 d'aprile dello stesso anno il Moro cadeva
nelle mani dei Francesi ed era mandato in Francia donde non sarebbe
più tornato.
Isabella che s'era mossa da Milano non appena aveva saputo del-
l'avvicinarsi del Moro per riacquistare il ducato perduto, entrò in Napoli
il 7 marzO; senza che lo zio potesse farle promessa alcuna, per ragion di t^ 'j
stato, di darle quanto ella voleva. Ma poi che fu morto lo^Sforza, nessuna l If^ Jrf ^ ^ ,, *
causa poteva giustificare che il re negasse ad Isabella la conferma degli *^ '. ' ^ ^
stati di Puglia e Calabria, e Federico difatti ordina che siano consegnati ' '*'' '* l ,
agli ufficiali di lei; ma i suoi ordini non hanno esecuzione perchè si ri-
fiutano i ministri del Moro, e la lotta si fa viva non solo tra ufficiali del-
l'uno e dell'altra, ma anche tra i rappresentanti vecchi e nuovi del Moro,
e solo quando è scomparsa ogni possibilità di ritorno di quest'ultimo, al-
lora essi si assoggettano e cedono il campo.
aobstante che lo havesse tolto ogni cosa : ma quello havea facto
« per bavere il castello ne le mane che non havesse causa de andar
CI in mane de venetiani. Como più distinctamente ho scripto, Luise Ri-
ce poi ( ?) mi ha tenuto in parole fin al presente cum dire aspectare la
c< risposta che havesse hauto il castello, et poi me restituiva il resto del
« stato. A questhora ha havuto adviso comò lo havea hauto per tremila
« ducati et ha donato al Vice duca la possessione che havea donato v.
« ex.tia ad Elia. Et cusi mi ha facto la expeditione del tutto cusi de in-
« trate come de le raze et del resto exccptuato el ca^^tello del qua dice
« che ne farà quanto scriverà v. ex.tia. Aviso comò la Duchessa Isabella
u ha scripto al Re pregandola che li voglia dar il stato de Bari corno li
CI ha una volta dato v. ex.tia, perchè voi e venir qua per non bavere il
« modo de vivere et che la M.ta sua scia che v. ex.tia ha havuto le sue
« dote che era obligato dargelo ovcro il modo da poter vivere. Et cusi li
u ha facto scrivere per m. zo. iacomo in favor suo tanto gaiardamente
u quanto sia possibile a dire. Et ne parlò in camera di questa cosa fin a
« lultimo giorno per non voler dare a v. ex.tia el stato, e poi volerlo dare,
« ma che voleva scrivere in recomendatione a v. ex.tia de la Duchessa
« che li volesse dare il modo da vivere : che v. ex.tia havea in mano le
« dote et lui non havea el modo ad succurrere. Ma credo che faria più
« per m. zo. Jacomo che per epsa. Et cusi comandò che non mi fusse
« dicto niente perchè non havesse causa scriverni a quella, ma subito ho
« voluto fare el mio officio. Ho etiam inteso che m. Dione Sir (sic) qual
« era ambas.re appresso v. ex.tia a M.lo secretamente se dice ò andato a
« nome de Re da Napoli a m. zo. iacomo perchè par che le cose de Ale-
c< mania siano molto disfavorevole, non havcndoli scripto dapoi v. extia
« qualche bona conclusione cum la M.ta Ces. Vedendo 10 queste trame de
(c la Duchessa, andarò a Baro per visitare quelli homini da parte del Duca
ce de M.lo et mi sforzerò di bavere più dinari che sia possibile et farò
ce bavere pacientia quelli che devono bavere per adesso, perchè acca-
« dendo una cosa più che un'altra, v. ex.tia se ne possa prevalere. Et
ce cusi m. ioane adorno domandava licentia, per venire ad confortare li
ce homini da parte de v. ex.tia et assettare quelle intrate. Certamente io
ce conosco che The servitore di v. ex.tia et mi ha facto tanto bona dimo-
cc stratione quanto si possa dire per amore vro. Et più volte ragionando
ce seco mi ha dicto che si delibera venire in Alamannia per servirla in
<c omnibus. Et panni che tutto il giorno non pensi maj in altro et sempre
4l8 BIBLIOGRAFIA
Ma per il Regno di Napoli si preparano tempi procellosi, e nel 1501
Federico sa e manifesta ai suoi popoli che i re di Francia e di Spagna si
sono divisi il suo regno. Resa Capua il 25 luglio, si ritira ad Ischia con
Isabella e in favore di lei fa adesso il diploma che prima non aveva fatto,
e che non avrebbe nessun valore se non gli facesse dare un'antidata:
ciò confessa il segretario del re Vito Pisanelli. Così non ostante l'illegale
donazione del Moro e la non valida conferma dello zio. Isabella si trova
ora in possesso dei suoi stati che sono compresi, nella spartizione del Re-
gno, nella parte toccata al Re Cattolico. Ella deve perciò mantenersi fa-
vorevole il nuovo sovrano, ed entra in relazione con Consalvo di Cor-
dova, e ne ottiene il permesso di andare a reggere personalmente i suoi
stati e si reca a Bari con la figlia Bona che unica le era rimasta dopo la
morte di Ippolita. Ma la sua vita in Bari è tutt'altro che tranquilla. Avve-
nuta la rottura tra Francia e Spagna per la divisione della preda, Isa-
bella è nel bel mezzo del campo della guerra ; né sta inattiva. Si fortifica
nella sua città e perciò i Francesi, che non vogliono combattere una donna,
decìdono di porre l'assedio a Barletta; poi prende parte alle varie fa-
zioni inviando buon numero di milizie e rende vari servigi al Cattolico
che la compensa con la conferma e concessione « de novo » degli stati
che furono del Moro.
Rimaste vittoriose le armi spagnuole. Isabella è invitata a recarsi
a Napoli a godere le feste della vittoria, e quivi si trova anche presente
alla venuta di Ferdinando ; ma tale venuta interrompe le trattative che
(f mi ha participato tutte le cose che ha in corte. Haveria grande deside-
« rio per quello ho possuto comprehendere, che v. ex.tia lo adoperasse a
« ciò paresse che ne facesse conto adesso comò per il passato perchè non
« desidera altro che servire e far cosa grata.
f< Et in questa cosa di Barri non se li potria passare meglio.
« Circha li dinari sua M.ta mi ha risposto che li conti non sono an-
Mche chiariti tutti, che quando saranno facti, faria il debito. Io risposi
« che una parte era chiara, che pregava sua M.ta sicut la volesse dare.
« Lui me rispose che era contento de quello era chiaro et cusì comandò al
et secretarlo che mi facesse vedere li cuncti et da poi sua M.ta si è ama-
« lata di gotta. Ma fra questo mezo andarò a Bari et ritomarò per soli-
ci citare questi dinari comò de la rocha, perchè quando v. ex. Inavessc,
« seria poi più secura de lo resto. Adviso comò gionto che fu Elia, andò
« dal Vice duca in castello et li disse che havea Ire et contrassegni di
H V. ex.tia et lui rispose che ]i desse : replicò facesse chiamare dui ho-
« mini da bene che li daria presente loro : li fu risposto che li daria per
« amore o per forza, et ordinò fusse andato a la casa per trovarli et lo
« tenne un giorno in castello et da poj a otto giorni Elia li dette la Ira e
« li contrassegni : epso li rispose che non scontravano et quando Ihavcs-
« sero facto li haveria dato il castello. Aviso ultimo che se v. ex. lassa
n passare la tregua che non faccia la impresa, per quanto posso compre-
« hendere, le cose di qua scranno del re de Franza a un modo o a un
« altro ogni volta che lui vorà. Ex Nea]>oli a septe de genaro 1 500 ».
VINCENTIUS ALBINUS HOC EST LlTISE DE ATTELLA-
(Arch. dì Milano, Potente estere, Napoli).
BIBLIOGRAFIA
419
Ella aveva iniziate per ingrandire il suo ducato e deve accontentarsi di
uno scambio che a sua volta importa altri mutamenti di domini.
A questo punto del racconto il Pepe si propone di porre in chiaro
quanto vi sia di vero nelle voci che corrono, lesive all'onore di Isabella
e, che è anche più importante, quale fosse il suo governo; ma se nella
prima parte riesce nell'intento di dimostrare come non si debba in nes-
sun modo prestar fede a tali dicerie, nella seconda sono troppo scarsi i
documenti di cui può valersi per venire a una conclusione sicura. Par-
rebbe che la duchessa, più che amata, fosse temuta, che governasse col
terrore ; e nelle finanze sembra che nulla accenni a rettitudine. Die mano
per altro a opere di utilità pubblica, specialmente mirando a rendere forte
la città e ampliando il molo e incominciando a scavare un largo canale.
Mortole nel gennaio del 15 12 in Francia il figlio Francesco, nel quale
riponeva tante speranze, volge l'animo al matrimonio della figlia Bona
e da queste nozze cerca ritrarre il massimo vantaggio. Le aspirazioni
di Isabella sono indirizzate a riafferrare il trono di Milano e a raggiungere
un tale scopo non dubita di trattare con Massimiliano Sforza, figlio del
Moro ; non riuscendo in ciò che voleva, mette gli occhi sul fratello del
duca di Savoia, che successo lui nel ducato a Carlo il Buono, per una
ipotetica abdicazione di quest'ultimo, avrebbe senz'altro accampato i di-
ritti della moglie sul Milanese. Fallito anche il secondo tentativo, che
fa Isabella? Offre la mano di Bona a uno dei figli del re di Francia che
colla vittoria di Marignano ha preso il posto dello Sforza; ma neppure
questa pratica va innanzi, e allora finalmente, rinunciando al suo sogno,
fa sposare a Bona Sigismondo re di Polonia. La pertinacia d'Isabella, in-
credibile se non risultasse dai documenti, è posta in evidenza dal Pepe
in uno scritto già uscito nella Rassegna pugliese di Trani (voi. XII,
fase. 5) e che l'A. dà opportunamente in fine del presente volume come
appendice.
Maritata la figlia, anche Isabella si sente più tranquilla e non scrive
più nelle sue lettere, accanto alla firma, le parole « unica in disgrazia ». ""
Può ora attendere a rassodare i suoi stati, ottenendo conferme e iniziando
liti contro chi cerca menomargliene l'integrità : e cosi passa la sua vita
in Napoli, allontanandosene solo nel 1520 quando per la nascita di un
figlio a Bona volle recarsi in Polonia; ma non oltrepassò Loreto, e da . ^,
Roma tornò a Napoli, e quivi agli 11 di febbraio del 1524 fu tratta da una | ' ^
infermità alla tomba.
.■f
* ^ '
\ \***
Questa la materia svolta nei capitoli IV e V, che noi abbiamo cercato . ; - ^^^.^^^ ,,^
di riassumere. Diciamo <c abbiamo cercato », perchè l'A., evidentemente, ^ v v^'*
s'è trovato qui sopraffatto dalla gran quantità di notizie che aveva a sua
disposizione e, benché egli dica di lasciare molte cose che avranno mi-
glior posto in una vita di Isabella Sforza, appare una eccessiva abbon-
danza di particolari che in questa avrebbero trovato luogo più opportuno.
Ne perde così l'armonia del lavoro e se ne estendono i confini più di
quanto richieda l'argomento preso a trattare.
Areh. Stor, Lomb,, Anno XXIX, Fase. XXXVI. a?
420 BIBUOGRAFIA
• 1 ',
-^ ■ • "
«
♦ »
I due capìtoli che seguono (VI e VII) hanno per titolo :«Bona Sforza»
e « Bona Sforza in Bari ». In essi il Pepe ci narra degli sforzi fatti dalla re-
gina di Polonia per conservare il dominio avuto in eredità dalla madre
contro le pretese di Francesco Sforza, altro figlio del Moro, ma più che
contro lo Sforza, contro Carlo V che gli stava dietro a dargli ragione. La
lite fu portata dinanzi ai giudici e si mostrò ben presto piuttosto compli-
cata; per il che Bona chiese ed ottenne che le fosse concesso di ammi-
nistrare lo stato « lite durante ». Quando poi, dopo la battaglia di Pavia,
Francesco II Sforza ricupera, con Topera di Carlo V, il ducato di Mi-
lano, cede alla corona cesarea tutte le ragioni che vantava sui feudi dèi
Regno di Napoli, e allora la lite continua per conto del solo imperatore ;
ma, ciò non ostante. Bona governa come assoluta signora, e, dato assetto
all'amministrazione, attende, per mezzo dei suoi ufficiali, a rivendicare
diritti, a strappare nuove concessioni e ad ampliare lo stato. Ciò dimostra
minutamente il nostro Autore con copia di documenti.
Ma forti motivi ormai spingono Bona ad abbandonare la Polonia,
ond'ella riprende la pratica del suo diritto contestato alla definitiva suc-
cessione negli stati della madre ; e poiché, rotta ogni relazione col figlio,
a lei non preme che di procurare a sé stessa una stanza sicura per la
vecchiaia, diventa più facile l'accordo con l'imperatore che, avuta da lei
la dichiarazione di non tener ragione in detti stati, gliene fa concessione
vita durante. Il che ottenuto, Bona parte dalla Polonia e dopo un viaggio
di parecchi mesi, per Venezia, giunge a Bari il 13 maggio del 1556.
Visitate le città del suo ducato, ella prese con cura amorosa a go-
vernare personalmente, e, posta tra il desiderio del figlio che l'invita a
tornare in Polonia, e la volontà del suo ministro, Gian Lorenzo Pappa-
coda, che d'accordo con Spagna, e per conservare l'influenza acquistata,
cerca ogni mezzo per indurla a rinunciare al viaggio, ottenendo perfino
da Filippo II la concessione di un palazzo in Napoli e della villa di
Poggio reale, per allettarvi la regina a ripristinare la corte che già vi
aveva tenuto la madre, pare piuttosto disposta ad arrendersi all'invito
del figlio, quando muore nel castello di Bari, il 19 novembre del 1557.
Col testamento da lei lasciato e che il Pepe trascrive, istituiva crede uni-
versale il figlio Sigismondo Augusto, re di Polonia; ma tali e tanti fu-
rono i legati di eccezione, che, assorbendo tutto, a lui fini per non toccare
più nulla. Tra questi legati citeremo quello fatto al re Filij^H) II del
ducato di Bari, del principato di Rossano, di Ostuni, Grottaglie e Monte-
serico, così come li aveva avuti e posseduti,
II testamento, come era da prevedere, fu tosto impugnato di nuUiti
dal re di Polonia, e scoppiò una tempesta di questioni che impedirono che
si venisse ad un accomodamento. Morto poi Sigismondo Augusto nel 1572,
l'eredità di Bona ci presenta una storia nuova e lunga e confusa che l'A
si adopera a districare nell'ultima parte del cap. VIII, ma che a noi non
interessa.
BIBLIOGRAFIA 42 1
Come si vede dal nostro riassunto, l'opera del Pepe è senza dubbio
pregevole per molti riguardi e in complesso le varie quistioni son poste
con chiarezza e discusse con competenza; noi abbiamo Ietto volentieri il
grosso volume (i) e ci siamo interessati alla diligente narrazione. Un
altro pregio del lavoro è la cura con cui TA. ha voluto accertare le no-
tizie date dai documenti, dai quali ha saputo trarre quanto potevan dare^
sì che, valendosi di essi, ha corretto inesattezze ed errori di storici. Cer-
tamente qualche maggior notizia avrebbe ricavato, utile all'opera sua,
se le ricerche che ha fatte a Napoli, a Bari, a Modena e altrove, avesse
estese all'archivio di Milano. Qui, oltre al poco (2) che abbiamo ag-
(i) Sono più di trecento pagine, in una bella edizione dalla stampa
chiarissima e assai corretta, ornata di stemmi e di ritratti e con gl'indici
delle persone e dei luoghi.
(2) Crediamo utile pubblicare anche quest'altro documento, senza
data, ma che parrebbe doversi riferire ai tempi del Moro.
« Informatio habita a diìo Jacobo Facipecora de intratibus Bari.
« Imprimis : ha la dohana la quale in tempo del principe fructava per
« anno ducati VI.mLXXX et quando più, a carlini dece per ducato : altro
« fructo de dericto non c'è.
<f Solevano li citatini donare al principe el di de Natale per strena
a ducati ecc.
A 1,0 castello pagava lo principe, dava al castellano ducati LXX
« l'anno.
« Teneace XVI compagni et talvolta più et meno secundo li tempi de
« pace et de guerra : haveano XV carlini per compagno. Pagavanse mese
« per mese da la doana et non se li tenea paga nulla.
ce Lo capitaneo lo paga la università : havea onze XVIII l'anno dal
«principe: ma la s.sua ne havea trenta da la università et avanza-
le vane XII.
« Li proventi civili erano de la università : li criminali erano del
« principe : proventi sono le condemnatione et altri guadagni se fanno
ce per l'officiale.
c< Lo magro d'atti lo paga la terra : quello guadagna cum la penna
ce se parte cum lo capitaneo.
<c Lo mastro jorato et tuti altri officiali comò so guardiani dele porte
« de mare et de terra, li pagava la università.
« Palio : lo s. ha uno phoo dove so circa X.m pedi de olive, uno tar-
c( pedo de due macine : et queste olive, da anno fertile ad non fertile, so-
ci gliono fare salme ducento di oglio. Lo prezo de la salma del oglio sole
ccessere ducati cinque per salma alle volte, et sei alle volte : tengo per
ce fermo cinque, che sonno questi ducati mille. Tuti li citatini so tenuti
ce macinare tute loro olive allo trapito del S. et de questo se cazava ducati
ce ducento.
ce Have una baglia che se vende ducati LXXX a LXXXX.
ce Sonce alcune altre intrate de grani et de censi : poriano montare
ce cinquanta ducati.
ce La castellano pagava lo principe, haveva in denari et grano et vmo
ce ducati XXXVI.
ce Li compagni erano octo, haveano XV carlini per uno lo mese et
ce pagavanse mese per mese.
422 BIBLIOGRAFIA
giunto alla presente recensione, ci ricordiamo d'aver visto, nei nostri
studi, altri documenti, e altri ancora se ne potranno trovare importanti
per la storia del ducato di Bari. Ma ciò che non ha fatto l'egregio Autore
potrà fare quando si accingerà a darci compiuta la vita di Isabella e di
Bona Sforza : il che speriamo che presto avvenga.
Luigi Rollone
FRANCESCO Malaguzzi VALERI. — Pittori Lombardi del Quattrocento. —
Ricerche, Milano, Cogliati, 1902, 16, pp. 250, con 20 illustrazioni.
Di questo nuovo lavoro del Malaguzzi, il più importante tra i molti
suoi, già si occuparono la Rassegna d'Arte (num. d^ottobre), la quale ri-
produsse anche alcune illustrazioni, e, assai più largamente e critica-
mente, il sig. Willhelm Suida {Neue Studien sur Geschichte der lom-
bardischen M alerei des XV lahrhundertSy nel Refertorium fùr Kunst-
wissenschaft (XXV Band, 1902), che già ebbe Tonore d'accogliere lo stu-
dio del Malaguzzi su « gli artisti lombardi a Roma ». Alquanto tardi perciò
arriva la recensione del nostro Archivio e, per giunta, affidata al più
oscuro ed incompetente fra i soci, il quale, anche accingendosi ad una
semplice esposizione, non è scevro dal timore di non sapere degnamente
rilevare i pregi e le caratteristiche del libro. Tuttavia mi studierò d'essere
almeno fedele e diligente, rendendo chiaro ed intero il pensiero del-
l'Autore.
Anzitutto non mi sembra inutile notare, poiché il bell'aspetto este-
riore d'un libro costituisce già per sé un'attrattiva ed è tanto più deside-
rabile in opera che tratti d'arte, come il volumetto, nitidamente stampato,
si presenti con una copertina gaia ed elegante, adorna d'una tra le mi-
gliori illustrazioni del testo, e non scelta a caso; poiché il soggetto che
rappresenta, cioè un particolare dello Zenale nell'ancona di Treviglio,
richiama l'attenzione del lettore sopra uno dei pittori più importanti e
con maggior predilezione studiati dall'Autore. Ciò per l'estetica^
Non bisogna poi tacere, come d'esempio che dovrebb'essere imitato
specialmente in lavori storici, assai più che non si faccia, della comodità
offerta ai lettori dai chiari e copiosi indici che precedono il testo, cioè
degli artisti, dei luoghi e delle collezioni, dei ritratti, dei capitoli e infine
delle illustrazioni, tutte belle, parecchie grandi a guisa di tavole e al-
cune di soggetti finora mai riprodotti. Anche questo di buone e numerose
« Lo capitaneo havea ducati L.ta et talle XXXVI et li pagava lo prin-
« cipe : li proventi tanto civili quanto criminali erano tuti del principe:
« sogliono montare per più che lo salario del capitaneo : altra spesa non
«c'è da fare per lo signore.
« Ricorda d. Jacomo se facia uno ordine che tuti li olii che nascono
« nel ducato de bari non se habiano ad infondetarse altrove che a bari
« come facea il p. che migliorava assay l'intrata de la dohana ».
(Arch. di Milano, Comuni^ Bari).
BIBLIOGRAFIA 423
illustrazioni è un esempio da imitare in libri d'arte, poiché ivi la parte
figurata non è solo un piacevole ornamento, ma un elemento indispen-
sabile ; è come un secondo testo necessario a dimostrare l'altro.
Ma veniamo finalmente al contenuto. Nella prefazione, accompa-
gnata da una opportuna sentenza di Leonardo sulla pittura, l'A., dòpo
aver osservato come alla mancanza d'un Vasari sia stata ascritta la causa
dell'oscurità che avvolse la storia dell'arte lombarda e come di conse-
guenza siano stati accolti con favore gli studi storici del Calvi e del
Cafi& e quelli critici del Morelli e di altri intesi a far un po' di luce in-
tomo ai predecessori e agli immediati seguaci di Leonardo, aggiunge che
molte novità sono ancor destinate a rivelare gli archivi lombardi e l'os-
servazione diretta delle opere. Egli chiama il suo lavoro ce frutto mo-
« desto delle ricerche storiche e degli studi di confronto intorno ad alcuni
« maestri del gruppo preleonardesco », e avverte che, lasciati da parte i
più noti, come il Bergognone, il Foppa, il Civerchio ed altri, ha preferito
trar dall'oblio i negletti e i modesti, abbondando talora nelle notizie
storiche, cosi che, secondo lui, n'è risultato un libro « esclusivamente
« utile, e non utile e piacevole insieme ». Modestia propria del vero valore,
alla quale però io oso contraddire, esprimendo all'Autore di tanti lavori
ed articoli storici ed artistici l'impressione provata nella lettura del li-
bro, quella cioè d'una mirabile armonia dell'utile col diletto. Poiché le
notizie storiche, già per sé interessanti, e i caratteristici particolari bio-
grafici, che lumeggiano le figure e l'ambiente degli artisti, sono così
abilmente intrecciati alla critica artistica, da procurare al lettore un go-
dimento sempre più vivo. I numerosi documenti poi, dei quali molti ine-
diti, sono riferiti in modo che, mentre a chi sa apprezzarli servono a far
più intimamente gustare il carattere degli uomini e del tempo, possono
esser tralasciati di leggere da chi abbia fretta, senza interrompere il filo
e scemare l'intelligenza del testo. Se poi si consideri non solo quali ri-
cerche ha dovuto fare l'A. negli archivi per la parte storica, ma anche
quali indagini e studi per la parte artistica, che presentava la difficoltà di
dover confrontare tra loro opere varie o di un medesimo pittore sparse
in chiese, collezioni pubbliche e private, di scovare talora affreschi na-
scosti e di penetrare spesso nel segreto di pitture quasi irriconoscibili per
scoprirne l'autore, si dovrà tanto più ammirare il merito del Malaguzzi
nel presentarci un quadro vivo ed armonico d'un periodo di storia del-
l'arte lombarda poco noto e un gruppo di pittori quasi contemporanei ed
affini, mettendone in evidenza con singolare finezza le rispettive caratte-
ristiche, le somiglianze e le differenze, le reciproche influenze e i rapporti
con altre scuole, cose spesso difficili ad essere avvertite da occhi meno
acuti ed esercitati. Perciò desidero tradurre qui un giudizio dello Snida,
in cui egli coglie nel segno, mostrando qual sia il vero pregio dell'opera
del Malaguzzi: « All'adeguata diligenza per la faticosa ricerca negli
« archivi milanesi univa l'Autore un occhio esercitato per rilevare le sot-
« tili diflFerenze di stile, così che i risultati dei suoi studi che ci stanno da-
' « vanti possono venir segnalati come veramente sorprendenti ».
4'H BIBLIOGRAFIA
Il libro è diviso in otto capitoli, dei quali il primo, comprendente 78 pa-
gine, è dedicato a Bernardino Pontinone e a Bernardo Zenale^ e distinto
in due parti, di cui la più lunga (59 pagine) è assegnata al Butinone; ma
in essa si parla anche dello Zenale, poiché TA. si propone di stabilire
nettamente la rispettiva opera dei due pittori trevigliesi che lavorarono
insieme : compito arduo e delicato, rimasto finora insoddisfatto, e che il
Malaguzzi adempie con ottimo successo. Le due personalità artistiche,
prima confuse l'una coll'altra, vengono dalla critica di lui chiaramente se-
parate ; a ciascuna di esse è rivendicata Popera propria coi relativi pregi e
difetti, così che esse appaiono come due nuove figure acquisite alla sto-
ria dell'arte. E questo è tal frutto, che rappresenta uno dei principali
meriti del libro e basterebbe da solo a costituirne tutta l'importanza. Per
arrivare a ciò l'A. tesse da capo la biografia del Butinone, facendole poi
seguire l'esame delle opere che a quel pittore si possono attribuire in base
a una severa osservazione e ai nuovi criteri critici.
Il Butinone è ricordato per la prima volta in un quadro di Brera raf-
figurante la Vergine col Bambino in trono e i santi Bernardino e Vin-
cenzo Diacono, ove deve leggersi la data 1454 anziché 1484; nel 1467 egli
avrebbe dipinto per l'aitar maggiore di S. Maria delle Grazie un'ancona
rappresentante Gaspare Vimercati dinanzi alla Vergine e al Bambino. Il
suo nome si legge pure in un quadretto dei Borromeo all'Isola Bella
che raffigura la Madonna in trono col Bambino, due santi e due angio-
letti. Altre opere gli attribuisce il Calvi, fra cui due ritratti della colle-
zione Borromeo e le figure allegoriche della cappella di S. Antonio in
S. Pietro in Gessate, mentre ascrive allo Zenale le pitture delle pareti,
che sono invece opera di Donato da Montorfano. Nei lavori seguenti i
pennelli dei due artisti sono intimamente associati. Circa il 1484 lo Ze-
nale dipingeva in una cappella della chiesa del Carmine, e il Butinone
una pala (firmata) colla Sacra Famiglia, della quale però non rimane
più se non una traccia insignificante in un quadro della stessa chiesa. Tra
il 1489 e il 1493 ^ ^^^ pittori dipinsero insieme la cappella Griffi, come
dimostrò L. Beltrami in due suoi articoli nella Perseveransa (27-28 mag-
gio 1901). Anche il loro paese natale vanta una loro opera comune nella
ben conservata ancona della chiesa di S. Martino, ancona ordinata ai due
pittori dal rettore e dai fabbriceri della chiesa in un contratto del
26 maggio 1485, che il Malaguzzi pubblica per la prima volta. In una
lettera ducale del 1490, che ci dà un'idea del modo spiccio con cui i si-
gnori di quel tempo esprimevano agli artisti i loro desideri e della pron-
tezza con cui volevano essere serviti (alla quale però da parte loro non
corrispondeva sempre altrettanta prontezza nel pagarli), si ordina allo
Zenale e a Bernardino de Rossi di decorare la sala della Balla. Allo
Zenale attribuirono il Vasari e il Lomazzo alcune pitture del chiostro
minore di S. Maria delle Grazie, che il Gattico invece ascrive al Butinone
in un lungo interessante brano riportato dall'A., il quale concilierebbc
le due opinioni, immaginando che anche in S. M. delle Grazie i due
pittori lavorassero insieme. Dalla biografia del Butinone, di cui non si
BIBLIOGRAFIA
425
hanno più notizie certe dopo il 1507, l'A. passa ad esaminare le opere di
lui e dello Zenale, che la critica del Morelli, del Crowe e Cavalcasene,
del Cook, del Seidlitz e del Brinton non era finora riuscita a ben distin-
guere. L'A. parte da un punto sicuro quaVè il trittico di Brera firmato
dal Butinone e datato 1454, quadro che rivela un artista di poca genia-
lità e di grande durezza, le cui peculiarità sono il colorito terreo con lu-
meggiature bianche sul volto e gialle sui capelli, gli orecchi grandi quasi
staccati dalPoccipite, le mani scheletrite con strisce di biacca che dalle
dita si prolungano fino al polso, e in generale la volgarità dei tipi. Gli
stessi caratteri, ma con un segno delPinfiusso indiretto della scuola pa-
dovana, si ritrovano in tre tondi con mezze figure di dottori della Chiesa,
di cui due appartengono al cav. Aldo Noseda e uno alla Pinacoteca di
Parma. Fondamentale per poter discemere Topera dei due pittori è l'an-
cona di Treviglio, cui l'A. dedica alcune pagine. Egli assegna al Buti-
none, dietro una minuta analisi e un diligente confronto col quadro di
Brera : la Madonna col Bambino e gli angioli, il S. Martino e il povero
(che lo Snida dà invece allo Zenale), i due gruppi dei santi Sebastiano,
Antonio, Paolo e Giovanni Battista, Stefano e Giovanni Evangelista;
infine parte della predella, in cui ascrive allo Zenale, più dolce e più
corretto, la Resurrezione.
Questa è al contrario assegnata dallo Snida al Butinone per l'affi-
nità ch'egli trova tra essa e tre quadretti, uno dei quali (raccolta Lochis
a Bergamo) rappresenta la Circoncisione — anche il Malaguzzi nella
nota a pag. XI lo riconosce affine alla predella di Treviglio, — l'altro
(collez. Borromeo) le nozze di Cana, il terzo (galleria Mal aspina a Pa-
via) Tommaso l'incredulo. Al Butinone il Snida darebbe anche la Pietà
del Museo di Berlino.
L'A. confronta l'ancona di Treviglio colla pala del Mantegna nel
S. Zeno a Verona e, rilevandone la somiglianza, osserva che dal capo
della scuola padovana può aver preso il Butinone il modo di lumeggiare
fortemente le parti prominenti dei volti. L'influsso della scuola di Pa-
dova appare ancor più evidente dal confronto tra i particolari del Buti-
none e il quadro della galleria di Torino ; e appunto la permanenza dei
due pittori, nella loro giovinezza, a Padova può spiegare il fatto che di
loro si trovino notizie molto tardi. Certo è che l'ancona di Treviglio è
anteriore alla venuta di Leonardo a Milano. Dalla scuola del Mantegna
il Butinone sembra aver preso piuttosto i difetti che i pregi, mentre a
Milano sentì il benefico influsso del Foppa, con cui aveva qualche co-
munanza d'ideali, specialmente nella ricerca del vero; egli andò per-
dendo la primitiva durezza.
Nella stessa Treviglio, in un'antica cappella presso l'organo nella
parrocchiale, l'A. scoprì alcune pitture assai guaste, delle quali attri-
buisce al Butinone quelle della volta. Ma dove egli ravvisa tutte le ca-
ratteristiche di questo pittore è nel grandioso affresco, già nell'abside di
S. Primo a Pavia ed ora presso i signori Grandi a Milano, raffigurante l'in-
coronazione della Vergine. Vengono poi le pitture della cappella Grifi
4^6 BIBLIOGRAFIA
in S. Pietro in Gessate, nelle quali l'A. vede l'opera del Butinone nel reo
inginocchiato, nelle figure della zona inferiore e specialmente nella
prima a destra di chi guarda, nell'impiccato; quella dello Zenale nella
parte superiore popolata di gruppi vivaci e coronata da un tempietto in
stile del Rinascimento. Lo Snida darebbe invece l'intero affresco allo
Zenale.
Una delle migliori cose che il Butinone abbia fatto senza la collabo-
razione «dello Zenale è per l'A. il piccolo quadro nella cappella Borromeo
all'Isola Bella rappresentante la Madonna col Bambino e ai lati Santa
Giustina e S. Giovanni Battista, dato a Gregorio Schiavone dal MoreHi,
il quale ritenne la firma una contraffazione, mentre TA. dimostra che le
lettere coi loro punti a triangolo sono proprie della scrittura del XV sec.
e identiche a quelle che compongono le parole Salve Regina Maria Vir-
GlNis, scritte nell'orlo del mantello secondo l'uso del tempo.
Confrontando poi questo quadro col trittico di Brera e coll'ancona di
Treviglio, vi trova maggior dolcezza e un manifesto influsso della scuola
di Padova, ove anzi crede che il quadro sia stato eseguito pei Borromeo.
Vitaliani, data la presenza del motto Humilitas della scritta Domtnus
Carrarie e della Santa Giustina, per la quale quella famiglia aveva par-
ticolar devozione, tanto che le eresse la ricca tomba marmorea che an-
cora ammirasi all'Isola Bella. Una delle ultime opere del Butinone sa-
rebbe il quadretto recentemente acquistato dalla pinacoteca di Brera raf-
figurante la Vergine davanti a un balcone in atto di sfogliare un libro,
col bambino ritto sul davanzale ; vi spira una tal soavità, quale non ha
la stessa Madonna del Poppa nel quadro analogo della galleria Muni-
cipale di Milano, cui il Butinone sembra essersi ispirato. Affine al qua-
dro dell'Isola Bella è uno del duca Tommaso Scotti, che una falsa firma
fa ascrivere al Mantegna, errore commesso anche dal Vasari ; mentre l'A.
vi ravvisa l'opera più accurata e gentile del Butinone, di cui rivela la
lenta evoluzione. Al suo ultimo periodo artistico appartengono le deco-
razioni dei chiostri e della chiesa delle Grazie, intomo alle quali TA. si
intrattiene alquanto, attribuendo al Butinone i tre tondi del chiostro
grande raffiguranti i santi Pietro Martire e Domenico e un Domenicano,
ma a nessuno dei due pittori la Flagellarione e il frammento del Cristo
al pretorio apparsi sotto l'intonaco nell'interno del medesimo chiostro.
Incerto poi se appartenga al Butinone o allo Zenale, giacché rivela i
caratteri d'entrambi, è la graziosa pittura d'una lunetta rappresentante la
Madonna col bambino ritto sul davanzale; mentre nei santi dipinti sui
pilastri della chiesa, ascritti dal Sant'Ambrogio a Bernardino de Rossi,
FA. vede senza dubbio un Butinone progredito, non ignaro delle leggi
della prospettiva e specialmente di quella del sott'in su.
Infondate, secondo TA.. sono le attribuzioni di alcuni ritratti al fiu-
tinone. Il ritratto virile della collezione Borromeo, imitazione di Anto-
nello da Messina, sebbene presenti caratteri butinoneschi, pure, dal
nome Leonardo scritto nel quadro, dev'essere opera d'uno di quei pittori
omonimi che lavoravano in quel tempo in Lombardia, tra i quali un
Leonardo Tanzoni.
BIBLIOGRAFIA
4^7
Anche un altro ritratto d'uomo della stessa collezione, ascritto a
Bernardino da Treviglio, è di scuola leonardesca, e così pure la testa
del S. Giovanni decollato, datata 151 1, nel qual anno il Butinone aveva
già finito di lavorare. Parimenti infondata è Tattribuzione al Butinone
delle pitturje della cappella di S. Antonio in S. Pietro in Gessate, che ri-
sultano essere di Donato da Montorfano dal confronto colla Crocifis-
sione del Cenacolo delle Grazie e con quella poco nota del palazzo Ra-
viiza, la quale è l'ultimo lavoro del Montorfano. Non sono infine del
Butinone due Adorazioni del bambino nella galleria comunale di Lo-
vere e la piccola Madonna, segnata Bernardino B., nella raccolta Lochis
a Bergamo.
Nella seconda parte del primo capitolo l'A. aggiunge a quanto ha
già detto dello Zenale, parlando del Butinone, le nuove notizie raccolte
intomo a lui, nato nel 1436 e morto novantenne. Pone fra le leggende,
di cui è purtroppo piena la storia dell'arte nostra, la stima che Leonardo
avrebbe avuto dello Zenale fino a chiederne il parere per la testa del
Redentore nel Cenacolo. Trova infondata Pattribuzione allo Zenale, am-
messa anche recentemente, della tavola braidense raffigurante la Ma-
donna col bambino fra i santi Gregorio, Girolamo, Ambrogio e Ago-
stino, e Lodovico il Moro con Beatrice e i figli in ginocchio. Neppure
sarebbero dello Zenale, malgrado la firma, il Cristo alla colonna della
collezione Borromeo, e la tavoletta con la Vergine allattante il bam-
bino nella raccolta Lochis a Bergamo, la quale è piuttosto del Borgo-
gnone.
Nel 15 19 lo Zenale fu eletto architetto del Duomo, ma pare che si
limitasse a presentare modelli e disegni fino alla morte dell'Amadeo
(1522), cui succedette nella direzione generale della fabbrica. Come ar-
chitetto fu richiesto anche a Bergamo per esaminare i lavori di S. Maria
Maggiore, intorni ai quali VA. pubblica alcuni documenti. Lo Zenale si
rivelerebbe inoltre^ *'heologo da un passo dell'Alciato, in cui questi ri-
ferisce un'opinione del pittore sull'urna di Valperto, che servisse cioè
come castello d'acqua.
Dello Zenale ci rimane assai minor numero di opere che del Buti-
none, tuttavia oggi non è più vera l'affermazione del Morelli, che noi
siamo al buio sul conto suo. Il confronto coll'ancona di Treviglio per-
mette di ascrivergli, se non decisamente, anche le parti laterali d'un trit-
tico della collezione Frizzoni Salis a Bergamo, delle quali una raffigura
un Certosino con un devoto, l'altra S. Michele che pesa le anime sulla bi-
lancia, mentre colla spada trafigge il demonio in forma di drago. Di
maniera dello Zenale è pure un quadro nel castello sforzesco rappresen-
tante S. Chiara e due monaci, dato alla scuola lombarda.
La figura dello Zenale è stata finora delineata su basi così incerte
anche dai maggiori critici, che se ne fece perfino un imitatore di Leo-
nsu'do e gli si attribuirono opere disparatissime, tra cui il quadro di Brera
raffigurante la Madonna in trono fra i quattro Dottori della Chiesa e ai
lati il Moro con Beatrice e i figli in ginocchio, mentre un attento esame
428 BIBLIOGRAFIA
di questo quadro sarebbe bastato a impedire gli errori. Anche raffresco
dell'atrio di S. Ambrogio, se la data deve leggersi 1498, rappresenterebbe
nello Zenale un regresso in confronto della pala di Treviglio ; perciò e
pel suo stato di conservazione esso deve forse aggiungersi a quei dipinti
della Rinascenza, cui la critica non può ora assegnare una sicura pater-
nità. Le tracce dell'affresco della parete opposta lasciano trasparire qual-
che accenno al Butinone, ma mancano gli elementi sufficienti per un
giudizio. Il trittico a destra della porta d'accesso alla canonica, ascritto
allo Zenale e al Butinone insieme o solo al primo, raffigurante la Ver-
gine col bambino tra i santi Ambrogio e Gerolamo, non risponde allo
spirito dei due pittori.
Dello Zenale ritiene invece l'A. alcuni quadri dei signori Bagatti
Valsecchi, del Museo Poldi-Pezzoli (dati alla vecchia scuola lombarda)
e dell'Ambrosiana ; trova reminiscenze zenaliane in alcune pitture di Pa-
via e chiude il lungo e importante capitolo notando come i due pittori
trevigliesi, anteriori all'influsso di Leonardo in Lombardia, risentano
quello della scuola padovana, pur non essendo estranei a certi caratteri
dei loro predecessori (i Zavattari, Masolino da Panicale e il Foppa) ; e
come l'orbita in cui essi si svolsero sia modesta, ma interessante e mi-
sconosciuta fin qui.
Mi concedo accennare che, quando era già uscito o stava per uscire il
libro del Malaguzzi, si scoprivano gli affreschi della volta della cappella
Grifi in S. Pietro in Gessate, che il benemerito onor. Guido Gagnola volle
restituiti alla luce inieme con altre reliquie pittoriche della cappella
medesima. L. Beltrami nella Perseveranaa del 28 maggio 1902 segnalava
con gioia la lieta scoperta, ascrivendo al Butinone la decorazione della
volta a spicchi, riapparsa con colori ancor vivi, e distinguendola in tre
zone, di cui la superiore occupata da un motivo circolare, contenente la
testa del Cristo coronato di spine, e da numerose teste di angeli ; le altre
due presentano sei angeli preganti e sei coppie di angeli suonanti vari
strumenti, così che ogni spicco di volta reca tre figure intere di angeli
che fanno corona al Cristo nel centro. Nella parete di fondo, sopra il
mastodontico altare barocco, dietro cui era dipinta la battaglia di Pa-
rabiago, nella figura del cavaliere galoppante nel cielo il Beltrami rav-
visa S. Ambrogio collo staffile, figura che per lo Snida è l'opera più gran-
diosa dello Zenale. Malgrado i guasti e le lacune, l'elegante cappella
fatta erigere e decorare da Ambrogio Grifo (nella seconda metà del se-
colo XV), la cui severa statua giace negletta in un angolo della medesima,
risplende ancora di alcune tinte e figure vivaci e suscita nei visitatori il
desiderio, che anche alle altre pareti imbiancate dell'ampia e artistica
chiesa venga ridonata la vita parlante degli antichi affreschi, latenti sotto
il muto intonaco.
Il secondo capitolo è dedicato a Cristoforo Moretti^ che in una let-
tera si firma Christoforus de Moretis de Cremona pictor frope officium
Bulletarum Mediolani. Egli dipingeva barde, cioè gualdrappe da ca-
vallo, che avevano spesso l'importanza d'opere d'arte. Nel 1474 il Moretti
BIBLIOGRAFIA 429
è cittadino milanese, ma nel '76 un passaporto concessogli dal duca fa-
rebbe supporre ch'egli lasciasse Milano; infatti dopo quell'anno non
s'ha più notizia di lui. L'A. abbonda nelle notizie biografiche e riporta
parecchie lettere e documenti interessanti. Citerò l'aneddoto del bando
cui fu condannato il Moretti per una lettera offensiva a una signora,
bando di cui fu però graziato dal duca; una lettera di questi a un de-
bitore del pittore sollecitandolo a pagarlo, una supplica del pittore al
duca, in cui gli chiede di poter erigere presso la sua bottega un palco da
servire alle sue « done per vedere li triumphi ».
Opera autentica del Moretti è quella firmata raffigurante la Ma-
donna col bambino (presso il comm. Bassano Gabba), la quale rivela
l'influsso della scuola veronese; cosa naturale dati i rapporti del Pisa-
nello colla corte di Milano : egli ritrasse in una medaglia l'effigie di Pier
Candido Decembrio per incarico di Leonello d'Este, di cui fece pure il
ritratto, ch'è ora all'Accademia di Bergamo.
Affine al Pisanello è Michelino da Besozzo, detto Molinarì, autore dei
tre interessanti affreschi che adomano tre pareti di una sala a terreno del
palazzo Borromeo e rappresentano i giuochi del tarocco, della balla e del
batter le palme delle mani a cadenza; le figure sono grandi al naturale,
vestite sfarzosamente con lunghi strascichi e alte acconciature. Queste
pitture furono anche attribuite ai Zavattari, ma poiché Michelino da
Besozzo fu agli stipendi dei Borromeo (forse ciò si chiarirebbe con una
ricerca nel ricco archivio della famiglia), le maggiori probabilità sono
per lui.
Giustamente osserva il Malaguzzi che quegli affreschi son più im-
portanti per la rappresentazione dei costumi e della vita della nobiltà al
principio del sec. XV, che non pel loro valore artistico. Tuttavia io mi
permetto soggiungere che al loro grande valore storico, come rappre-
sentanti giuochi e costumi prettamente italiani, s'accoppia qualche sa-
pore d*arte riguardò all'originalità delle figure che, sebben rigide, pure
presentano, almeno alcune di esse, una certa naturalezza e spigliatezza
nelle movenze. Io anzi vorrei, mi sia concessa la digressione, che un ar-
tista valente riproducesse quelle pitture sulle pareti della vasta sala della
balla nel castello sforzesco, restituita ora alle sue pristine linee architet-
toniche, ma priva dell'antica decorazione fatta eseguire da Lodovico il
Moro, come riferisce il Malaguzzi stesso, per mezzo dello Zenale e di
Bernardino De Rossi in occasione delle sue nozze con Beatrice d'Este,
che appunto nella grandiosa sala fastosamente si festeggiarono. Ed essa
è ora forse destinata ad accogliere quadri moderni in contrasto più o
meno stridente con tutto il suo carattere I
Anche le pitture dei Zavattari nella cappella della regina Teodo-
linda a Monza rivelano quella sana tendenza al naturalismo, che carat-
terizza la scuola veronese della prima metà del sec. XV ; ed è curiosa
l'analogia tra i tipi di quelle pitture e quelli raffigurati in alcune carte
da giuoco contemporanee, che ancora si conservano. Della maniera del
Moretti è l'Adorazione dei Magi nel castello sforzesco, ascritta aaun ignoto
430 BIBLIOGRAFIA
« del sec. XV di scuola veronese » ; essa ricorda alquanto Parte del Pisa-
nello, che influì moderatamente sui pittori lombardi della prima metà
del Boccaccino.
Il terzo capitolo tratta di Bonifacio e Benedetto Bembo ^ del primo dei
quali TA. ha raccolto notizie cosi abbondanti negli archivi milanesi, da
poter rifame la biografìa, utile assai, data l'importanza del pittore come
il maggior rappresentante della scuola cremonese del quattrocento, prima
del Boccacino.
Nato a Brescia e vissuto a Cremona, egli lavorò nel castello di Pa-
via, interrotto però al principio da una sua causa privata composta poi
per intervento del duca, al quale pure ricorse per essere pagato intera-
mente, dopo cinque anni !, d'una sua ancona, ch'è ora a Brescia. I suoi
lavori nel castello di Pavia son spesso ricordati nelle lettere ducali, di
cui alcune riportate dall'A.
Gli vennero ordinati anche parecchi e svariati ritratti del duca e
della duchessa coi loro cortigiani, e gli ordini erano accompagnati da
indicazioni minute sul modo di svolgere i soggetti. Dal 1469 al 1471 corre
forse il periodo di maggior attività di Bonifacio riguardo alle pitture del
castello di Pavia che, ridotto ora purtroppo a caserma e ad uno stato
indegno di tanto monumento, non mostra quasi più nulla dell'antico splen-
dore decorativo. L'A. cita parecchie prove dell'interessamento di Gian Ga-
leazzo Maria a favore di Bonifacio in occasione di liti e mancati paga-
menti e ne riporta anche le lettere. Dopo il 1471 il pittore è chiamato a
lavorare nel castello di Milano, in una chiesetta presso Vigevano e a Ca»
ravaggio, come risulta da molti documenti.
Di Benedetto Bembo rimangono : un'ancona, firmata, nel castello di
Torrechiara presso Parma raffigurante la Madonna col bambino e quat-
tro santi con molti altri a mezzo busto nella predella, e un affresco in
casa Scssa a Milano rappresentante il bambino adorato dalla vergine e
dai santi Francesco e Giuseppe.
Quasi nulla invece rimane della grande attività di Bonifacio, il quale
potrebbe anche essere l'autore degli affreschi dell'oratorio Branda Casti-
glioni in Pavia datati 147 1, tempo in cui, secondo un documento recente-
mente scoperto, il Bembo abitava appunto in quel collegio.
Il quarto capitolo è intomo a Zanetto Bu gatto e ai ritrattisti della
corte di Francesco e di Galeazzo Maria Sforza. Anche questo artista ri-
ceve una luce particolare da nuove scoperte d'archivio. E' ricordato la
prima volta nel 1458 come pittore di barde e compositore di trionfi che si
fecero alle porte del duomo. Caro alla duchessa Bianca Maria, fu da lei
inviato a fare un viaggio d'istruzione in Fiandra, di ritomo dal quale è
spesso nominato nelle lettere ducali, di cui TA. riferisce le più interes-
santi. Lo Zanetto era ricercato specialmente come ritrattista. Collaborò
col Bembo nell'affrescare una chiesetta presso Vigevano ed anche in al-
cune pitture del castello di Pavia. Morì nel 1476 e gli succedette come
ritrattista Antonello da Messina; in un documento si parla di sedici ri-
tratti eseguiti per la corte sforzesca, la maggior parte dei quali saranno
BIBLIOGRAFIA 43I
Stati forse opera del Bugatto. Dei ritrattisti che fiorirono dopo di lui e
dei loro ritratti l'A. fa un'interessante rassegna. Accenna a Baldassare
d'Este di Reggio, a un Niccolò di Ferrara « teutonicus pictor », ai vari
ritratti di Bianca Maria Visconti, tra cui caratteristico quello colPelmo
in mano (in S. Eustorgio), a quelli del castello di Pavia rappresentanti
dame della corte ducale che giuocano al a ballone o a la poma cum
« le sue donzelle ad triumphi, al pelluco, ecc. », ai ritratti dei ribelli e dei
malfattori dipinti sulle pareti esteme delle case a pubblico dileggio, ri-
guardo ai quali è curioso un ordine ducale in cui si comanda di dipin-
gere in luoghi pubblici l'effigie d'un ribelle, avvertendo di ritrarlo <c ve-
ce stito de brochato doro et con li capelli canuti, et piti naturale sij possi-
ci bile acciò che ogniuno intenda che è ».
In alcune lettere di un Filippo da Borsano e di un Bernardino da
Landriano al duca si parla di parecchi ritratti di belle donne nobili ordi-
nati da lui ; l'A. osserva che questa specie di concorso della bellezza in-
detto da Galeazzo Maria, forse allo scopo di maritare le <c fìole » con per-
sonaggi della corte, è importante per la storia dei costumi italiani nel
XV sec. e fa rimpiangere la perdita dei ritratti di quelle bellezze lom-
barde. Tra quelli conservati si possono assegnare allo Zanetto, ma solo in
via di possibilità, i ritratti di Francesco I e di Bianca Maria Visconti nel-
l'Archivio Capitolare di Monza, raffigurati di profilo, a mezzo busto, Tuno
di contro all'altra; sebbene un po' guasti rivelano l'arte lombarda della
prima metà del quattrocento e fanno pensare ai disegni per le medaglie
eseguiti dal Bugatto ; il loro profilo tagliente su fondo scuro si vede pure
in sei ritratti a carboncino della galleria Carrara a Bergamo, rappresen-
tanti cinque uomini e una donna, in busto. I due medesimi personaggi,
ducali son rappresentati anche in due quadri del XVII sec. nell'Ospedale
Maggiore, copiati da due antichi perduti, eseguiti forse a fresco sotto il
portico; nello sfondo appare l'Ospedale, quale l'ideò e lo costrusse il
Filarete nella parte ora meno deturpata, cioè verso S. Nazaro. Quattro
tavolette di Brera, raffiguranti dei Visconti e degli Sforza, sono analoghe
a quelle che decoravano gl'interstizi dei travicelli nei soffitti delle sale e
delle quali la raccolta del Museo industriale nel castello Sforzesco offre
copioso e interessante materiale per studi iconografici. Infine presso il
sig. Gatti a Milano sono due ritratti di Galeazzo Maria Sforza e di Bona,
restituzioni accurate del sec. XVI.
Nel breve quinto capitolo l'A. dà le poche notine potute raccogliere
intomo a Bartolomeo da Prato detto Bresciano, e tocca la questione se
egli abbia potuto collaborare col Foppa nelle pitture della cappella Por-
tinari in S. Eustorgio. Alcune suppliche del pittore al duca, in cui re-
clama il pagamento dei propri lavori, d'uno dei quali non essendo stato
soddisfatto, si accontenta di tenersi come pegno un vestito del commit-
tente, rivelano le non floride condizioni della maggior parte degli artisti
di quel tempo. In una supplica al duca firmata Bartolomeo da Prato, il
pittore prega il duca di fargli restituire una gro?sa somma prestata e di
continuare a beneficarlo come faceva Filippo Portinari, suo mecenate, di
43^ BIBUOGRAFIA
cui la morte aveva troncato i benefici. Infatti risulta da documenti cbe le
pitture della cascina Mirabello, appartenente appunto al Poninari, fu-
rono eseguite da c< maestro Bartolomeo Brexano » nel 1472 ; di esse ri-
mangono solo scarse tracce, eccetto una figura meglio conservata, che
rivela però un artista povero diverso forse dal Bartolomeo.
Riguardo alle pitture della cappella di S. Pietro Martire, queste de-
vono porsi circa il 1466, poiché nel 1468 il Portinari morì, mentre la cap-
pella era già finita ; furono giustamente attribuite al Foppa, ma è pro-
babile che v'abbia collaborato anche Bartolomeo, data la sua amicizia col
Portinari, il cui ritratto su tavola, datata 1462, si vede nella stessa cap-
pella e non è impossibile che sia opera di Bartolomeo. Questi ebbe r^
porti anche con Bartolomeo Colleoni, il celebre proprietario del castello
di Malpaga.
Il sesto capitolo è dedicato a Gio, Ambrogio Bevilacqua detto Libe-
rale, nato in Milano e vissuto, pare, a lungo.
Scarseggiano le notizie biografiche, ma tale mancanza è compensata
dalle opere che ci son rimaste di lui, le quali provano il suo valore arti-
stico e insieme un'imitazione cosi diretta del Bergognone, che lascia sup-
porre egli lavorasse nella bottega del maestro. Il primo lavoro ascrivibile
al Bevilacqua, in ordine cronologico, è forse il trittico della cappella
Melzi nella bella chiesa di Casoretto fuori Porta Venezia, raffigurante
nel mezzo la Resurrezione, ai lati due santi con due figure inginocchiate,
nella lunetta il Padre Eterno e nella predella molti ritratti di apostoli.
Quest'opera, forse non anteriore né posteriore al 1468, risente un po'
ancora l'influsso del Foppa, ma insieme mostra già q\ialche caratteristica
del Bergognone ; le figure migliori sono le due dei committenti. Nella
stessa chiesa una Madonna adorante il bambino steso in terra ricorda pure
il Bevilacqua.
A lui è ormai attribuita la tempera della galleria di Dresda rappre-
sentante la vergine che adora il bambino giacente sull'erba; in alto do-
mina il Padre etemo circondato dagli angeli recanti il motto « Gloria in
<c excelsis Deo », ecc. ; il paesaggio è fiancheggiato da due alture con ca-
stelli e attraversato da un fiume. Alcuni motti scritti sul basso del quadro
e la parola PAX ripetentesi sulla veste della Vergine provano che il qua-
dro proviene dalla chiesa della Pace ora restaurata; la figura del Padre
etemo è simile a quella dell'affresco del Bergognone nell'abside di San
Simpliciano. Affine alla tela di Dresda è un affresco in una cella della
Certosa di Pavia raffigurante la Madonna (anche qui troppo alta e colla
veste seminata d'un motivo ornamentale), S. Giuseppe, un certosino e
gli angeli adoranti il Bambino; nel fondo scorre un fiume. Le stesse par-
ticolarità offre un quadro della Galleria di Pavia, rappresentante la ver-
gine col bambino.
L'imitazione del Bergognone della prima maniera è evidente nel
trittico della chiesa di S. Vito a Somma Lombardo, che raffigura la ver-
gine col bambino, S. Vito e i genitori di lui S. Modesto e S. Crescenzio.
Notevoli sono due affreschi eseguiti nel 1485 dal Bevilacqua, forse
BIBLIOGRAFIA 433
per commissione di Cristoforo Landrìani, nella bella chiesa di S. Vittore
a Landriano presso Locate. Uno di essi rappresenta i santi Sebastiano,
Rocco e Cristoforo con un ricco paesaggio nel fondo ; è guasto e sopra-
stante a un barocco confessionale su cui dovette salire l'A. per poter de-
cifrare la quasi illeggibile scritta aAmbrosius De Beaequis.... 1485». Il
S. Cristoforo, col suo lungo bastone, assomiglia a quello del Bergognone
nel quadro dell'Ambrosiana. Datato pure 1485 è l'altro affresco raffigu-
rante la vergine col bambino, due santi e due offerenti, assai probabil-
mente Cristoforo da Landriano e la moglie Cecilia da Marliano ; queste
due figure sono le migliori del dipìnto, perchè l'artista s'è ispirato al vero
scostandosi dal maestro, il cui influsso però traspare nel resto. Di minor
valore è un quadretto della raccolta Lochis nella galleria comunale di
Bergamo, assegnato alla scuola milanese, che rappresenta la vergine col
bambino fra due santi e un fedele inginocchiato.
Progredito e indipendente dal maestro si mostra il Bevilacqua nel
quadro di Brera raffigurante la madonna col bambino, re Davide e un
devoto inginocchiato patrocinato da S. Pietro Martire ; porta la data 1502.
Diego Sant'Ambrogio attribuirebbe al Bevilacqua anche una pala, pure
di Brera, ritenuta del Luini e raffigurante la vergine col bambino tra i
santi Giacomo e Filippo e tre devoti inginocchiati, ma il Malaguzzi, con-
frontandola col quadro precedente, l'ascrive senza esitare al Luini. Dà
invece al Bevilacqua una madonna della raccolta Piccinelli a Bergamo
e un'altra dei Bagatti Valsecchi, un quadretto nella chiesa della Passione,
rappresentante due scene del sacrificio d'Abramo, la pala in S. Michele di
Cremia sul lago di Como, già tolta al Bergognone dal Beltrami, rappre-
sentante una Pietà tra i santi Gerolamo e Domenico, e una madonna col
bambino tra i santi Sebastiano e Rocco ; infine due pezzi d'una predella
nella raccolta Vittadini ad Arcore, raffiguranti l'apparizione del Redentore
a S. Domenico. L'A. toglie al Bevilacqua una vergine tra due santi e un
offerente nel Museo di Berlino, una madonna con tre angioli dell'anti-
quario Cantoni, e la santa Caterina del Castello Sforzesco.
Il settimo capitolo è pei Zenone da Vaprio, dei quali il più conosciuto
è Costantino y nominato la prima volta in una carta del 1453 e poi in altre
lettere, da cui si rileva ch'egli lavorava per la corte ducale, dipingendo
per Galeazzo Maria Sforza stendardi e barde, stemmi ducali, otto casse e
una corbetta per la duchessa Bona, eseguendo disegni pei c( ducali ».
Costantino lavorò anche nel castello di Milano, e i particolari si trovano,
oltre che nei documenti pubblicati dal Beltrami, anche in una lettera rife-
rita dall'A. Altri accenni su Costantino sono sparsi nelle carte di quel pe-
riodo, ma purtroppo nulla ci rimane dei molti lavori del pittore, la cui
fama è ricordata dal Lomazzo in un sonetto de' suoi « Grotteschi ». L'A.
accenna infine brevemente al fratello Agostino e al cugino Gabriele, il
primo dei quali non sembra però essere il « discepolo del Bramantino »
lodato dal Lomazzo come u peritissimo del sotto in su ».
L'ottavo ed ultimo capitolo, intitolato i Maestri Minori^ contiene una
serie abbastanza lunga di notizie di pittori nominati raramente nei docu-
434 BIBLIOGRAFIA
mentì del quattrocento ; serie utilissima, anxi preziosa, poiché trae a co-
noscenza degli studiosi nomi e notizie ignorate, offrendo loro una nuova
fonte di materiale per la storia dell'arte lombarda e una guida sicura alla
ricerca di altre scoperte e di maggiori particolari.
Così si chiude utilmente questo volume, altrettanto modesto quanto
importante esempio e sprone nobilissimo allo studio amoroso e serio dei
nostri meno noti tesori artistici.
ARTURO FROVA.
ALESSANDRO GIULINI. — // Gran cancelliere Salasar e la sua famiglia,
Bari, 1902, p. 13 con sei tavole.
— Vicende feudali del borgo di Parabiago (estratto dal Giornale Aral-
dico italiano, XXVIII, 8), Bari, 1902, pp 7.
Diego de Salazar è uno di quei gentiluomini che, venuti di Spagna
nella dominata Lombardia, ne fecero una seconda patria d'elezione, e
l'amarono e consacrarono l'ingegno e la potenza a favorirla. Studiò legge
a Bologna e ne uscì dottore nel 1565, quindi s'avviò per la carriera delle
magistrature che percorse fino ai più alti onori. Pretore a Pizzighettone^
referendario a Lodi e avvocato fiscale, giudice al segno del cavallo in
Milano: auditore generale dell'esercito nel 1582, questore del Magistrato
ordinario neir84, senatore nell'SS, e nel '90 reggente nel supremo Con-
siglio d'Italia a Madrid, carica ambita dai più potenti membri dell'ah-
stocrazia. Ma nel '91 di nuovo a Milano ad occupare il primo posto dopo
il Governatore, quello di Gran Cancelliere. Il Municipio di Milano
aveva questa volta, come al solito, supplicato il re affinchè chiamasse
all'alto onore un milanese; ma non dovette rimpiangere di non essere
stato esaudito, tanto il Salazar seppe conciliarsi il consenso e la simpatia
di tutti. Egli ebbe, e meritò, per se e pei discendenti la cittadinanza mi-
lanese, come aveva avuta quella di Pavia e di Lodi. Ebbe amplissime
relazioni coi personaggi più eminenti dell'età sua e coi membri più di-
stinti dell'aristocrazia milanese.
Ben degna di nota è la sua amicizia con san Carlo Borromeo, durata
a malgrado della tensione di rapporti tra il grandé^fVrcivescovo e il Go-
verno. Morì novantenne nel 1629 e volle essere sepolto in Pizzighettone
nella sua cappella gentilizia.
Queste e molte altre notizie dà il Giulini intomo al gran cancelliere,
completate da un'appendice intomo alla sepoltura di lui, alle iscrizioni,
alla splendida cappella e ai preziosi altorilievi ivi collocati, e dal D. San-
tambrogio attribuiti a Balduccio da Pisa, infine con ampie tavole genea-
logiche, le quali dimostrano quanto la nobiltà milanese ambisse d'im-
parentarsi con quella illustre famiglia. ^ |^ }^ * ^j^^^. 'i.
. • ' •
BIBLIOGRAFIA 435
All'epoca spagnuola si riferisce pure il secondo opuscolo che tratta
delle vicende feudali del borgo di Parabiago, cominciate quando il Go-
verno per le strettezze dell'erario mutò la natura del feudo e ne fece una
fonte di lucro.
Con questi lavori il Giulini s'è messo sur una strada nella quale
sarebbe bene proseguisse. Il seicento è negletto; quel poco che gli sto-
rici ce ne hanno tramandato si svolge in mezzo a pregiudizi ed è condito
delle solite declamazioni contro il governo corruttore e demoralizzatore.
E' un periodo di storia che va rifatto con criteri più moderni, e quanta
materia può offrire allo studioso che, preparato specialmente in argo-
menti d'indole sociale ed economica^, ponga la mano sui ricchi depositi
de' nostri archivi!
Ettore Verga.
Francesco Lemmi. — La restaurazione austrìaca a Milano nel 1814 con
off endice di documenti tratti dagli Archivi di Vienna^ Londra^ Mi-
lano, ecc.), Bologna, Zanichelli, 1902; 8 p. vill-511.
Prima di accingersi a ricostruire gli avvenimenti che segnano la
caduta del regno italico, il Lemmi ha voluto compulsare, oltre gli ar-
chivi italiani, anche quelli di Vienna e di Londra, colla speranza di riu-
scire, mediante nuove e più ampie indagini, a diradare le ombre e scio-
gliere i dubbi che offuscano la storia italiana, e particolarmente mila-
nese, del 18 14, e sembrano contenderla ai scrupolosi ricercatori del vero.
Il bravo discepolo di Pasquale Villari ha riportato in patria docu-
menti ricchi certo di particolari sconosciuti o mal noti, ma non forse il
contributo di notizie tali da modificare profondamente cognizioni e giu-
dizi. Il punto più oscuro è sempre la rivoluzione del 20 aprile : il pro-
blema che più ci tormenta è quello di stabilire le responsabilità della
strage del Prina, di vagliare le tendenze tutte e le aspirazioni degli
uomini e dei partiti che la promossero o la favorirono. La fortuna di
risolvere questo problema non è toccata al Lemmi e non toccherà pur
troppo a nessuno, sia perchè le carte più eloquenti andaron distrutte per
mano delle persone interessate, sia perchè le porte gelose di molte case
patrìzie contendono, anche agli studiosi più onesti e valenti, i tesori degli
archivi privati. Brutta ostinazione invero, e non generosa né illuminata.
In compenso il Lemmi ci ha dato un bel lavoro di sintesi, dove, se
il nuovo è scarso, il vecchio è esposto con sicuro e lucido ordine; le
opinioni di chi lo ha preceduto nella narrazione di quei fatti, e i fatti
medesimi, sono vagliati con sano criterio ; in molti, potrei anche dire in
tutti, i suoi apprezzamenti il Lemmi dà prova di non comune buon
senso, di serena imparzialità e rivela, senza punto ostentarla, una larga
conoscenza degli uomini e delle cose onde si compone la storia del pe-
rìodo napoleonico.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXTX, Fase. XXXVI. a8
BIBLIOGRAFIA 437
Storici passarono per veri partigiani dell'Austria anche prima della ca>
duta del regno, ma in realtà tutti avrebbero preferito un governo libero e
indipendente; e un documentino viennese prova persino che il famoso
Medici, ministro di Ferdinando, la pensava cosi.
L'Austria era a quel tempo considerata come liberatrice e anche la
maggior parte degli italici puri, ingenui, illusi senza dubbio, ma sinceri,
ad essa volgevano gli sguardi : Bellegarde, come prova il Lemmi, fu
invitato a intervenire dagli italici e un italico si recò a Verona a chia-
mare l'esercito austriaco, e d'altra parte documenti, che rappresentano
la miglior messe dal Lemmi raccolta, dimostran chiaramente il pensiero
dei consiglio comunale, che gli storici voglion composto di austriacanti ;
il 21 aprile quel consiglio invitava ad intervenire non solo il Bellegarde,
ma anche Murat, al quale mandava con un indirizzo il conte Luigi Porro
Lambertenghi, e perfino lord Bentink, per mezzo del barone Sigismondo
Trechi, allo scopo medesimo di por fine alle agitazioni e assicurare l'or-
dine. Essi eran ben lontani dal pensare che quei soldati sarebbero qui
rimasti per tanti anni, come non supponevano che, per esser le Potenzr
alleate riunite in Francia, si dovesse smembrare quella nazione.
Anche la Reggenza, quantunque dalla debolezza sua stessa costretta
a rappresentare una parte odiosa, era animata da sentimenti sinceri di
libertà. Il Lemmi contesta al Casini e al D'Ancona che essa parteggiasse
per l'Austria. La mancanza d'energia, una condotta certo né accorta né
dignitosa e, più che altro, l'esser rimasta al potere durante la restaura-
tone, la resero antipatica ai milanesi e diedero origine ai sospetti, ma lo
storico imparriale deve riconoscere l'onestà delle sue intenzioni. Una
risposta di ringraziamento al Bellegarde del 29 aprile, che giace in mi-
nuta nell'Archìvio di Stato e non fu mandata a destinazione, prova che
gli amori austro-milanesi non eran durati più d'una settimana. Il Bel-
legarde aveva risposto che sarebbe venuto anche senza l'invito, e si
cominciava a capire. Le trattative cogli inglesi, fra i quali, eccettuato lord
Castelreagh costretto da impegni già presi colPAustria, i personaggi più
influenti sulle cose d'Italia, come Wilson, Bentink e Mac Farlane, erano
per un regno autonomo, trattative ben lumeggiate da una lettera di
Mar Farlane a Bentink, dimostrano che la Reggenza voleva a Milano un
commissario inglese, còme ce n'era uno austriaco : e, a tal proposito, è
pur da notare che, nella seduta del 30 aprile, essa preoccupavasi di smi-
nuire l'importanza degli applausi alle truppe austriache condotte dal
Sommariva, e li dichiarava rivolti e dovuti solo al Commissario rappre-
sentante delle « Alte Potenze alleate ».
Insomma il dare la colpa di quanto in seguito avvenne ad un par-
tito austriaco, non è né esatto né imparziale : se la discordia, l'incertezza
delle idee, e l'impreparazione ad una azione politica ben determinata non
avessero fatto il giuoco dell'Austria, le cose sarebbero andate ben diver-
samente, giacché tutto lascia credere che l'Austria stessa, la quale del
resto fin dal principio del '14 aveva offerto la corona d'Italia al principe
Eugenio, purché avesse abbandonato Napoleone, non pensasse alla ri-
lanciate dall'Annaroli, quindi da altri molti ripetute: se per il fatto di
aver buttato dalla finestra, mobili e carte, azione collettiva, commessi
dalla folla, si può non pensare al Confalonien, per la laceraiione del
ritratto dell'Appiani, commessa da una sola persona, l'unica, accusa bea
definita a carico del conte, non è altrettanto facile la difesa, e d'attn
parte non crede il Lemmi che questo atto sia tale da disonorare un uonw
in quei momenti, quando la nobiltà francese non riteneva d'insudician il
blasone abbattendo la statua del soldato d'Austerlilz ; violento certo mi
non volgare come sembra. Riguardo all'accusa di aver partecipato all'ec-
cidio del Prìna, o anche provocatolo, come molti asseriscono adducendo
a prova il famoso grido ; « A San Fedele », osserva il Lemmi che qael
grido, quand'anche uscito dalla bocca del Gonfalonieri, non prova nnlU:
poiché una dimostrazione si voleva, era naturale la si rivolgesse ctntn
una persona che rappresentava la parte più odiosa del governo ; e non
vuol dire che chi segnalava la casa del ministro pensasse alla fame-
ficina che doveva succedere. La responsabilità del Gonfalonieri, ritengo
anch'io, è tutta nell'essere stato uno dei principali fautori della dimo-
strazione, giacché chi fa scendere il popolo nelle piazze è responsabik
in faccia alla storia degli eccessi che ne seguono : essa non è per nalU
3. dai particolari sui quali tanto si è voluto insistere.
BIBLIOGRAFIA 439
Non ci trattiene tuttavia quella responsabilità, purgata da quindici
anni di Spielberg, dall'inchinarci reverenti e commossi innanzi al glo-
rioso, al sublime martire del nostro risorgimento.
Il Prina è dipinto coi soliti colori, il che mi fa meraviglia, mentre
mi aspettavo dal Lemmi un giudizio più completo, più equanime e, direi,
più moderno. Poiché tanti altri personaggi egli ha considerato anche al-
l'infuori dell'azione direttamente esercitata negli avvenimenti che son
tema al racconto, ed anzi dal complesso di molte altre azioni egli ha
tratto la materia e la ragione dei suoi giudizi, poteva ben considerare
i documenti pubblicati dal prof. Pellini, che pur tanta luce proiettano
sulla figura del ministro novarese. Quei documenti riguardano è vero,
un periodo della vita di lui anteriore al 1814, ma gli avrebbero tuttavia
dimostrato quanta coscienza, quanta abnegazione, quanta dignità abbian
sempre ispirato tutti i suoi atti, gli avrebbero dato modo di rilevare come
egli non secondasse, bensì frenasse a tutta possa la furia innovatrice dei
francesi, qual lotta sostenesse coi ministri dell'impero, per rifiutare tutto
quanto credeva ripugnante all'indole ed ai costumi degli italiani, come,
sdegnoso di farsi cortigiano del popolo, sdegnasse non meno di esserlo
dei re ; gli avrebbero rivelato le cure indefesse che egli, l'aborrito nova-
rese, consacrava a promuovere l'incremento di Milano, capitale del re-
gno, e fino a qual punto favorisse le iniziative dei milanesi che se ne
credevano spregiati. Cosi in un libro il quale, in fondo, ha per principale
argomento la rivoluzione che dal Prina ha preso il nome, la figura del
protagonista direbbesi quella che più resta nell'ombra (i).
Riguardo al Prina, non manca il Lemmi di rilevare un fatto che, an-
che considerate le condizioni dei tempi e degli spiriti, non può non riem-
pirci di stupore : la indifferenza per la tragica fine del ministro dimostrata
anche da uomini di gran cuore e non turbati da passioni politiche, come
il Pellico e il Manzoni. Nessuno, dic'egli, trovò una parola di sdegno né
di compianto. Mi piace, a questo proposito porgli sott'occhio alcune pa-
role di C. Cantù, nelle Reminisceme intorno ad A. Manzoni (Mi-
lano, 1885, II, 35). Parlando dell'archeologo Gaetano Cattaneo, il bene-
merito fondatore del Gabinetto numismatico di Milano, egli dice : « II
«Cattaneo ebbe il merito di lodare e compassionare il ministro Prina
(c nel 181 5, quando cioè bolliva ancor l'ira d'una delusa plebe contro questa
« sua vittima : lodando in un rapporto ufficiale diretto al Governo succe-
(i) Giuseppe Prina, ministro delle finanze del Regno italico ^ Docu-
menti inediti raccolti per cura del dott. SILVIO Pellini, Novara, Fratelli
Miglio, 1901. — Voglio avvertire, per amor di giustizia, che, essendo la
pubblicazione del Lemmi uscita appena un anno dopo quella del Pellini,
potrebbe a quello essere mancato il tempo di valersene. In tal caso il
mio rimprovero non avrebbe più ragion d'essere.
dnto w. Il CaBtb aoa
boa ae comprenderi
fame ricerca.
L'ultimo capito
impottaste episodio
pic^sito, ci fu, si j
l'atto d'accoM, potfe
l'indipenden» nazit
tkotari fornitigli da
ma pur Mgue, se i<
■iene, lo storico mi]
citame&te il metito
dagia a descrìvere 1
poidtfe a ia essa il
giounti politici che
avanti. Dne elenchi
Milano ci fanno ap;
classi colte ; dal vice
a Vincenio Monti, i
apparteneva- Il che
napoleonico aveva
mento di governo,
cui interessanti infc
garde : avversi alla .
lusi nelle speranze, dopo il declinare dell'astro di Bonaparte, ed avena
preso colore di partito nazionale. Avvenuta la restaurazione coBiaÒa-
rono le denunzie degli zelanti e degli intransigenti contro gli impiegai
dello stato che erano, o si supponevano, affigliati alle società segrette
specialmente alla massoneria oramai proibita. Il Bellegarde ne riceven
centinaia ed era continuamente assediato da chi avrebbe voluto prendeR
il posto degli odiati massoni.
L'esercito memore delle passate glorie e sul punto di vedersi disdì^
o confuso con quello austrìaco era ancor più ostile all'Austria. Eni
momenti assai difficili pel Bellegarde, e tuttavia la sua condotta, che il
Lemmi esamina con molta cura e giudica colla solita iropanìalitt, f*
moderata e giusta. Egli riconosceva LI valore dell'esercito italiano e oo»
voleva lasciarsi trascinare ad una azione brusca dagli impazienti, qua-
lunque primo tra questi fosse Timperatore ; riconosceva la onesà e li
diligenza degli impiegati ed era affatto alieno dal prendere contro di
essi misure odiose. Egli aveva una perfetta conoscenia dello siùrito pab-
blico in Milano e pur si sentiva sicuro : a chi gli parlava di combriccole
e di congiure, fossero o no bonapartiste, non prestava gran fede. I>
. mezzo a quella fioritura di misteriosi congiurati, frutto in gran pane dtl ,
BIBUOGRAFIA 44I
romanticismo, la polùia stessa rimaneva quasi inerte e si dimostrava ami
spesso, perfin seccata delle denuncie che le invadevano gli uffici;
capo ne era quel Pagani il quale nel '21 aiutò i federati ed ora non
appar punto qual lo descrìve il Cusani « pieno d'acume e d'astuzia e
M zelante di rendersi beneviso ai nuovi padroni » ma piuttosto incline a
lasciar correre. Si nota nel '14 un fatto che si rìpete, ed è sicuramente
più strano, nel 'ai : il processo famoso dei Carbonari si fece per la insi-
stenza dell'imperatore e per la volontà ferrea del Salvotti; ma Funo e
l'altro dovettero lottare colla indifferenza, e qualche volta colla ostilità,
del governo di Milano. Così hanno dimostrato gli ultimi studi del Lu-
zio. Anche nel 18 14 il Rasorì e i suoi compagni avrebbero potuto dormire
i loro sonni tranquilli, se, con una ingenuità fenomenale, giustificabile
del resto in persone affatto impreparate alle cospirazioni, non si fossero
lasciati gabbare dal famigerato imbroglione St. Agnan, scoprendosi in
modo da rendere impossibile al governo di mantenere gli occhi chiusi.
Una congiura senza capo, perchè nessuno dei vecchi generali, com-
preso il Pino naturalmente, voleva assumersi la responsabilità nell'in-
certezza dell'esito, senza un piano ben determinato, senz'armi, senza da-
nari, senz'appoggio nelle popolazioni, non era tale da far grande paura.
Ben lo aveva compreso il Bellegarde e procurava di farlo comprendere a
Vienna. Il processo fu fatto da una commissione speciale; molti docu-
menti del Lemmi illustrano Tistruttorìa, fin ora poco nota ; si chiuse con
una condanna severa; ma in fondo la pena maggiore pei condannati fu
l'aspettativa, durata più d'un anno, dì quella grazia, che del resto, fin
dai giorni del processo i giudici medesimi avevan loro, se non promessa,
susurrata : in pieno processo, narra il Cusani, una lettera di Bellegarde
partecipava essere nelle intenzioni di Sua Maestà il perdono dei colpe-
voli, ma nel tempo stesso richiedersi una rigorosa condanna, affinchè me-
glio brillasse la sovrana clemenza 1 £ fu grazia quasi completa : il mas-
simo castigo, due anni di fortezza, toccò al Lattuada e al Cavedoni : il
buon Rasori s'ebbe un anno di semplice arresto.
Cosi ebbe fine il prologo del nostro risorgimento. Quanto cammino
c*era ancora da fare ! L'esercito non era omai più in Italia : gli impiegati
desideravano assicurarsi il pane per la vecchiaia ; il popolo era stanco di
agitazioni. La grande idea doveva farsi strada lentamente e prepararsi il
trionfo tra le persecuzioni e i martirii
Ettore Verga.
F. SAVIO. — La légendi des ss. Fidèle, Alexandre, Carfophore et autres
martyre, Bruxelles, 1902 (extr. des Analecta Bollandiana, to. XXXI),
8, pp. IO.
Proseguendo le sue utili ricerche sopra la storia della Chiesa, il pa-
dre Savio esamina in queste poche ma succose pagine le oscure tradi-
zioni concementi un gruppo di santi che avrebbero sofferto il martirio sul
44^ BIBUOGRAFIA
territorio di Como e di Bergamo, lasciando in codeste città i corpi loro
alla venerazione dei devoti. I santi, martirizzati a Como, sarebbero sette:
Fedele, Carpoforo, Exanto, Licinio, Cassio, Secondo e Severo : a Ber-
gamo un solo avrebbe conseguito la palma : Alessandro. Di tutti questi
santi, cui già nel secolo V troviamo prestato un culto che ci accerta della
loro storica realtà, si posseggono degli atti assai poco sinceri II p. Sa-
vio si è proposto d'indagarne le origini, e con critica flotta e sagace viene
alla conclusione che le tre leggende oggi note intomo ai SS. Carpoforo
ed Exanto da un lato, S. Fedele e S. Alessandro dall'altro, non siano che
estratti di un unico testo più antico d'una più antica leggenda che tutti
concerneva. Alcuni dati di fatto molto notevoli inducono poi il eh. Autore
a far risalire al sec. Vili cotesto scritto, che però non merita veruna at-
tenzione, intessuto com'è di narrazioni inventate di sana pianta, messe
insieme con elementi desunti dal gran fondo dell'agiografia dell'alto
medio evo. Ma se tutto quanto il pio romanziere ha narrato sulla ve-
nuta dei santi già ricordati a Milano e sulle loro reciproche relaziooi,
deve giudicarsi falso; rimane assodato che i Santi stessi, fossero o no
dei soldati, come la tradizione assicura, esistettero realmente, e se non
furono oriundi di Como e di Bergamo, dove soffrirono il martirio, certo
vi ebbero dimora, quando scoppiò la persecuzione di Massimiano, di cui
furono vittime.
F. N.
£. Motta. — La più antica descrizione poetica a stampa del Lago é
Como. Como, Ostinelli, 1902, 8, pp. 26.
Bettino da Trezzo, rimatore lombardo della fine del sec. XV, è noto
per aver scritto e mandato alle stampe, correndo l'anno 1488, un curioso
suo poema in quarta rima dedicato ad Ascanio Sforza. E' desso intitolato
Letilogia, ed il funebre titolo ben s'addice ad un'opera la quale si pro-
pone di commemorare le stragi che la peste aveva fatto in Milano, in
Pavia, in Lodi, ed in Como tre soli anni prima. Essendo il libro, im-
presso dallo Zarotto in gotici caratteri, di singolare rarità, i bibliografi
hanno sul conto suo dette molte inesattezze, che il eh. mg, E. Motta,
valendosi d'un esemplare della Letilogia, conservato in Trivulziana, op-
portunamente corregge. Ma l'opericciuola di Bettino non è soltanto un
tipografico cimelio, bensì un libro pregevole se non per splendore di
forma e vena di poesia, per i curiosi ragguagli che l'Autore vi ha accu-
mulato sopra uomini, monumenti, istituzioni delle varie città di cui can-
tar volle le sciagure. Ben fece dunque il Motta ad estrarre dal poema il
capitolo concernente al lago di Como, che può dirsi davvero una descri-
zione minuziosa dell'incantevole bacino; e ad arricchire i versi un po'
sgangherati di Bettino di succinte annotarioni, dalle quali però traspare
tutta la ricca informazione ch'egli possiede intomo alFargomento. Pa-
recchie cose interessanti sarebbero da additar qui ; ma» rimandando i I^^t-
BIBLIOGRAFIA 443
tori allo studio del M.^ staremo paghi a notare come Bettino rimetta
in vigore la vecchia moda d'introdurre in un poema italiano delle strofe
in lingua straniera (qui, come nel Dittamondo, troviamo usato il tedesco).
F. N.
ALESSANDRO Luzio. — Leonardo Arrivabene alla corte di Caterina de*
Medici (1549-1559). Notizie e documenti (Nozze Arrivabene-Papa-
dopoli), Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, MCMII, 4, pa-
gine 76, edizione di CC esemplari.
Nell'estate del 1549 Lodovico Gonzaga, terzogenito del duca Fede-
rico e di Margherita Paleocapa, in età di dieci anni appena, era man-
dato alla corte di Francia. La cagione del viaggio ? Cert'eredità della du-
chessa d'Alen^on ch'egli doveva raccogliere e che gli veniva contestata :
ma quest'era un pretesto ; in realtà, il cardinale Ercole, reggente allora
il ducato per i nipoti minorenni, mirava a riavvicinarsi alla Francia,
che dalle strette relazioni di Ferrante Gonzaga colla Spagna, traeva non
infondato motivo di vedere ne' reggitori di Mantova degli avversari piut-
tosto che degli amici. Qual destino attendesse il giovine principe ol-
tralpi, è ben noto ; egli vi acquistò riputazione insigne di Capitano, salì
ai massimi onori ; caro ad Enrico IV, come era stato accetto ai suoi due
immediati antecessori, divenne francese fondando il ramo de' Gonzaga
Nevers. Col fanciullo, intelligente e baldo, ma bisognoso di appoggio,
passò in Francia anche un fedele ministro de' Gonzaga, Leonardo Arri-
vabene ; ed appunto dal carteggio che questi tenne colla corte mantovana
durante il decennio 1 549-1 559; che tanto tempo egli ebbe a conservare
la sua carica di precettore del principe; il Luzio ha cavata materia a
dettare l'importante libretto che annunziamo.
Quanti conoscono gli antecedenti lavori del nostro valentissimo
amico e consocio non hanno d'uopo di apprendere da noi che anche que-
sto nuovo suo scritto si abbellisce de' pregi stessi onde gli altri sono di-
stinti; chiarezza ed eleganza di forma, novità e ricchezza di contenuto. Il
Luzio ritrae con sobrio ma sicuro tocco la corte Francese in quegli
anni ; ci presenta tutti i personaggi che vi campeggiavano, a cominciare
dal re Enrico II, da Caterina de' Medici, sua moglie, dal Delfino, ai ser-
vigi del quale Lodovico Gonzaga fu ascritto, venendo alla signora di
Poitiers,' la celebre Diana, e a tutti gli altri cortigiani. Oltremodo cu-
riosi i documenti che seguono, a mo' di appendice, lo scritto del Luzio,
il quale è a giudicare un nuovo e preziosissimo contributo alla miglior
cognizione di quella società francese del sec. XVI, su cui V Italia ebbe
a esercitare così preponderante influenza.
X.
storiche [Autobi<^a(ìa di Antongioseffb della Torre di Rtnooko.
— La Cena di Leonardo da Vinci nel refettorio del monasteio dd!e
Grazie in Milano. (Lettera di fra Vincenzo Maria Mond, dalle Gnòc
5 ottobre 1765)].
AMATI (A.). L'educazione e l' istruzione prìnla patriottica ia ItaUa àt
1815 al i^. Milano, igea.
(Sn.viA). Das Beiceli. Wandeniiigen in der Landschaft undibiff
Geschichte. Mit Abb. Frauenfeld, Huber, 1901. in-fi, pp. ir-ui.
Ia Valle Brigagli^ Bscursiont nel pux e atinveno k sw M)ri4
(Anselmo). Oocumenti intorno ■ al più bel volume uscito diDe
stampe di Girolamo Soncino >. La Bibliofilia voi. IV, disp-I-D, igea
11 libro: Viftrì Màrci Samumit, cardiotlia Decadkardtan iliihliwiw
(Fino 1507), gl'intagli del quale vennero illuMnti dal PasnvaM.
APOSTOLO (L.). Una necropoli dell'età del ferro a Bellinzago Novarese. — j
// Corriera di Novara, 13 febbraio igoa. [Cfr. BuUellino <A'
logia ilaliana. 111, Vili, 54].
BOLLETTINO BIBUOGRAFICO 445
(Ed.) Un episodio doloroso della guerra del 1866. La condansa
di Persane. — Nuova Antologia, 16 giugno 1902.
Autobiografia e vita de* nmggìori scrittori italiani fino al secolo deci-
mottavo, narrate da contemporanei, raccolte ed annotate da Aivgelo
SoLERTL In- 16. Milano , Albrìghi, Segati & C, ic^3.
9. n Poliziano: vita scrìtta da PieranUmio Strassi. 13. Torquato Tasso:
compendio della viu scrìtta da Gio. Battista Manso, 18. Lettera autobiogra-
6ca di L. ^ Muratori,
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BARZELLOTTI (Giacomo). Gaetano Negri. — Il Marzocco, n. 50, 1902.
BA8ALARI (Giov.). Descrizione delle chiese in Cremona e di quelle state
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de Gonzague (1652-1708). — Revue cthistoire diplomaiique, n. 3, 1902.
BELLONI (prof. Antonio). Frammenti di critica letteraria. In-i6. Milano,
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6. Di due pretesi inspiratori del Tasio. 9. Sul soggetto della Ricciarda
di U, Foscolo.
BELLORINI (E.). Lodovico di Breme (A proposito di una nuova pubbli-
cazione). — Fanfulla della domenica^ n. 34, 1902.
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— Rassegna d'Arte n. 3, 1903.
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\ J-^ ■' ^** — La Torre Umberto I. — Il rinnovamento edilizio in Milano e Gaetano
Negri. — Corriere della Sera, 29 luglio e 2 agosto 1902.
— Notizie inedite riguardanti i frammenti del sepolcro di Gastone di
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rOpera nella Basilica Ambrosiana di Milano. Milano, tip. U. Alle-
gretti, 1902, in-8 ili., pp. 29 (Nozze Gussalli-Cavenaghi).
— Ancora il ciborio e l'altare d'oro nella Basilica di S. Ambn^io. —
Rassegna d'arte, ottobre 1902.
— L'altare d'oro e il ciborio della Basilica di S. Ambrogio. — Il tiburio
del Duomo : nuovi documenti e nuove ricerche, — il restauro della
Ponticella di Lodovico il Moro. — La Perseveranza, 15 e 16 no-
vembre 1902 e segg.
— « Leonardo da Vinci ed i problemi della terra ». — // Marzocco di
Firenze, a. VII, n. 47, 23 novembre 1902.
• * BERGAMASCHI (sac. Domenico). Cremona possiede veramente i corpi dei
santi Marcellino e Pietro ? Dissertazione storico-critica. (Estratto dal
periodico La Scuola Cattolica, quaderno di giugno). Monza, tip. Ar-
tigianelli, 1902, in-8, pp. 19.
Bergamo. — V. Autobiografia Barelli, Caprile, Pacchetti, Gandino, Manaus,
Holder, Mazzi, Oberziner, Pellegrini, Pieth, Racheli, Secco Suardo,
Tasso, Torretta, Zumbini,
y- BERTARELLI (Achille) & CAROZZI (L.). Nella vecchia Milano. Con ilL -
La Lettura, a. II, 1902, n. i.
Con riproduzione di diversi curiosi segni di botteghe antiche milinesi
di orefici e spadarì.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 447
BERTINI-ATTIU (Clelia). Due grandi amori di Bellini. — Nuova Antologia,
i.^ giugno 1902.
Amori noti del Bellini per Giuditta Turina, milanese, moglie di un
ricco mercante comasco.
A BERTMUO PISANI (conte Napoleone). Il castello di Rinasco nel circon-
dario di Abbiategrasso. — Arie e Storia, n. 5, 6 e 7, 1902.
BERTON (A. P.). I vinti di Novara. Commedia in un atto, rappresentata
la prima volta a S. A. R. e I. la Principessa Laetitia Napoleone.
Torino, Libreria Salesiana, 1902, in-i6 pp. 100, con ine.
BETTONI (Pio). Un celebre letterato Salodiano [Mattia Butturini, 1752- 1817].
— Rassegna Nazionale, 1/* ottobre 1902.
BIADEQO (G.). Cesare Betteloni. Discorso commemorativo con documenti
e la bibliografia del poeta. Verona, Franchini, 1902, in-8 pp. 92.
Cfr. Lu^io (A.), U primo poeta della nevrastenia, in Corriere dàlia Sera,
n. 254, 1902.
BIASINI (prof. Enrico). Uno sguardo retrospettivo all' Esposizione d*arf ,
sacra antica, tenutasi in Lodi (2 settembre-ottobre 1901). Lodi, tì^>
grafìa Quirico & Camagni, 1902, in-8, pp. 43.
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— Convenzioni circa la giurisprudenza ecclesiastica [dell'arcivescovo
di Milano] nelle Tre Valli nel 1616. — Note e documenti inediti di
Stefano Franscini. — Lettere da Roma ai nunzi pontifici in Svizzera
negli anni 1609-1615. — Catalogo dei documenti per l'istoria della
prefettura di Mendrisio dall'anno 1500 all'anno 1800. — Varietà: Le
condizioni di Bellinzona quasi alla vigilia della battaglia di Giomico;
Per la storia religiosa della Caprìasca e di Lodrino (sec. XIV-XV);
Un ticinese nella scuola del convento di Engelberg; Un amico di
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* Bollettino della Società Pavete di ttoria patria. Anno II, fase. Ili e IV.
In-8 gr. Pavia, Fusi, 1902.
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Ambrosiana nella lotta contro Francesco Sforza (agosto 1447-giugno
1449). — Damiani (Andrea). La giurisdizione dei Consoli del Col-
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(Giacinto). Una bolla dell'antipapa Clemente VII relativa alla fon
dazione della Certosa di Pavia. — Ferretto (Arturo). Giusdicenti
)(^ Pavesi in Genova, 1 184-1404. — Taramelo (T.). Dell'antico corso )C
449 Bouxmiio smuoGRAnoo
j»tiinJe <M fianie Oknuu — CataiSka SAHcauuAH (A4. Lotta te ■
Comune di Montesegale e i marchesi Malaspina nrì XVI w&td». -
RecmsioHi [di A /^o/^ H probabile itìnerarìo ddla foga di Ariberto
arcivescovo di Milano (Gì. Romano); di G. Romamo, Nicsoolò Spindli
da Giovinazzo (A. SACCintm); di A. Lhmo, Antonio Salvotti ei
processi del ventuno (Ferbugcio QunTAVAUJt)]. — BolUtmB èiàS^
grafico. — NoììmU ed appuM: Bdle piq^mli negli axchiri loobnfi
relativi a Pavia ^6ussidio di guerra per l'invasione di Giacomo di
Armagnac nd 13^ tfSL snaaidio per la dote di Valentina VìmmÌ
(G. Romaho); Notine nnmisniatiche ; Perfoooratescn del aamninlp
prof. Elia Giardini (R. if aiogch^ -^ AUi étUm SooMi. — Umm/m
(Eveuna). Indici del BaUetHno Storico Pouésc diretto dal conile AG»
vagna Sangiuliani e delle Memorie $ docmmemH per la siorm S /Wi
e dei suo IVincipato dirette dal sac d. Pietro Moìraglil.
1^ BONATTI (cap. R.). Dalla freccia al cannone. Con t8 ine dafotogniftC
anni e di stampe antiche. ^ // Secoh XX, n. 11^ Ingoio 1901.
Tra le incisioni ve ne tono cioqiie cne riproducono btkritrei tCM^
caschi, elmi ed anntture medioevali della oònezione Bd^gattl-ValKoAi il
Milano.
< BONI (sac. Giuscpfk). Sulla ricostruzione della chiesa di Broni nd 15^7:
documento pubblicato a cura del sac. G. Boni. Favim, Fusi, 1901^
in-8y pp. 16.
^ * BORGHI (F.). Venticinque secoli di storia milanese: narrazione compeo-
diosa per le scuole e le famiglie. Milano, Ulrico Hoepli, 1902, ìd-i^
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pubblicati dal prof. £. HQfer. — Rivista di Storia d'Alessandria, a*
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Emporium, agosto 1902.
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— V. Bel/rami, Girotti, Frase/tetti, Malagiizzi, Piccinelli, Ricci,
BRAMBILIA (Ettore). Ugo Foscolo in casa Giovio e i suoi amori — A^
tura ed Arte, i.® e 15 settembre 1902 (con ili.).
Brescia e Venezia ossia Luigi Gambara e Maria da Brescia neBe ctf-
ceri del ponte dei Sospiri in Venezia : dramma storico in qmttto
atti. Milano, Carlo Barbini editore, 190^1 in-i6, pp. i^ [< Gdkrìi
teatrale nn. 241-242]. »
1
BOLLETTINO BIBUOGRAFICO 449
Brescia. — Finestrone pel restauro del Palazzo Broletto in Brescia.
Studio ddl'ing. Alfredo PremolL — Memorie cfitin architetto, voL XII,
fase. Ili (Torino^ iQoa) tavole III e IV.
— V. Betloni, Biadego, Bustico, Christie , Colini, Condio, Fenaroli,
F/oulkes, Foà, Hanauer, Lattes, Lauchert, Livi, Maìaguzai, Manolesso,
Michieli, OmoHt, Piliz, Rosa, Solitro, Sommi'Picenardi, Valentini,
Zanelli, Zingarelli, Zuccoli,
Breviarium ambrosianum S. Carolo archiepiscopo editum., Andrea C. car-
dinale Ferrari archiepiscopo denuo impressum. Medio/ani, Cogliati,
1902, in-i6, 4 volumi, pp. XXX1/-836, XXX1/-553, LXX1/-594 e XXX1/-756,
con 4 tavole.
* BUSTICO (Guido). Ferrante Aporti (a proposito di due lettere inedite).
— // Torrazzo, di Cremona, n. 14, 1902.
Lettere 3 maggio 1644 e i maggio 1847 <tintce da Cremona all'aw. G&o-
seppe Sttieri breadano, odo de' più strenui propugnatori ddPasilo aportiano.
' bèlli (A.). I tratti fìsonomici de' personaggi ne' « Promessi Sposi ». —
Discussioni crìtiche a proposito di seminio. Medusa, I, id-19 e 28.
* BUZZETTI (sac. Pietro). Lo stemma di Chiavenna. Como, Ostinelli, 190S.
C. Le cheval de Vinci. — Un manuscrit illustre d'après Vinci. — Journal
des dihais, 12 luglio e 1 settembre 1902.
CA8N0LA (aw. Francesco). Evoluzione tecnica e legislativa nell'uso delle
acque pubbliche da studio sull'Aida e sue derivazioni. VoL II : La
Martesana Vailata, Roggia di Cassano, Rètorto. Lodi, tip. Quirico
& Camagni, 1902, in-8, pp. 249 a 533.
/ CAIRO (Giovanni) ft GIARELLI <F.) Codogno e il suo territorio nella cro-
naca e nella storia. Voi. Il, fase. 54-57 (fine del voi. II). Codogno,
tip. edit. A. G. Cairo, 1902^ in-8^ da pp. 3B5 a pp. 451.
* Calvi. — In memoriam Felicis Calvi XXIV aprile MCML Milemo, tip.
edit L. F. Cogliati, 1902, in-4, pp. 70 con ritratto.
Cfr. il cenno in qutsi' Archivio, 1902, III, p. 187.
CALVI <G.) Di Carlo Cattaneo. — Fiia Internaséonaie, di Milano, 5 lu-
glio 1901.
■ CAMBIASI (P.). Una famosa cantante varesina, Giusepixna GrassinL —
Gazzetta Musicate, n. 8, 1902.
CMUEO (Bice). Laura Solerà Mantegazza, 1813-1873. [Appimti biografici].
Milano, Unione femminile edit., 1902, in-i6, pp. 16 e ritratto. (« Bi-
blioteca A€^' Unione femminiU n, n. i)
450 BOLLETTINO BIBUOGRAFICO
*■ Campagne del Principe Engenio di Savoia* Volumi XVIII-XX. (Campagne
1733 e 34). In-8 gr, con atlante e tavole, Torino, tip. Roux, 1902.
CANDIANI (Giuseppe). Memorie. Milano, U. Hoepli, 1902, in^ pp. xvi^
e ritratto.
CANTONI (rag. Mino). Storia del collegio dei ragionieri di Milano. Milano,
tip. G. Abbiati, 1902, in-8, pp. 96.
CAPETTI (V.). Reminiscenze poetiche suggestive. — Rivista di filosofia e
scienze affini, III, 5-6.
Con intento e metodo di psicologo, studia le imitazioni spedalinente
dal Mascheroni, che si ravvisano nella Conchiglia fossile dello Zanella. (C£r.
Giornale Storico, fase. 120, p. 468).
CAPRILE (Luisa). Due poetesse italiane del secolo XVI [Vittoria Colonna
e Gaspara Stampa]. Firenze, S. Landi, 1900, in-ió, pp. 52.
* CARNEVALI (aw. Luigi). L'Accademia Virgiliana di Mantova nel secolo
XIX. Nota storica. Mantova, tip. Mondovi, 1900, in^ gr., pp. ao.
>{ CAROm (Giuuo). Notizie di Lombardia — LArle, a, V, fase. III-IV, 1902.
La decorazione di Leonardo nella e Sala delle Asse > nel Castello Sfor-
zesco di Milano. — La pondcella di Bramante in Castello. Le pitture di Z^
naie e fiutinone a S. Pietro in Gessate. — La casa dei Missaglia. ~ 1 ri-
tratti degli Sforza ritenuti del Luioi. — Otto affreschi di Bramante. — Li
medaglia ovale o plachetu del Filarete. — La chiesa di S. Raffaele in Mi-
lano. .
Carteggi italiani inediti e rari, antichi e moderni, raccolti ed annotati da
Fiuppo Orlando. Prima serie, voi. IV. Firenze, ditta edit Ugo Fo-
scolo (tip. L. Franceschini) 1902.
Lettere di G. Acerbi, P. Giordani, ecc.
CASTAGNA (N.). Conversazioni storiche e letterarie con C. Cantù. — /&•
vista Abruzzese, XVII, 3.
Catalogo dei volumi della Biblioteca popolare circolante istituita dalla
Società generale operaia di Lodi nell'anno 1864. Lodi, tip. Nuova ^
G. Suzzani, 1902, in-8, pp. 102.
CERETTI (sac. Feuce). Biografìe mirandolesi. to. II : L^O. Mirandola, òt
p>ografìa Grilli Candido, 1902, in-8 gr. [« Memorie storiche della dttà
e dell'antico ducato della Mirandola» voi. XIV].
Vi segnaliamo a pp. 37-65 e 241 la biografia del gran giudice e rotoi*
stro della giustizia Giuseppe Luosi, in Milano a* tempi Napoleonici.
BOLLETTINO BmLIOGRAFICO 45I
CESSI (Camillo). Note Vergiliane: I. Intorno aU'Elcloga prima. IL Intorno
ai u Cantores Euphorionis ». — L'Ateneo Veneto, a. XXV, voi. II,
fase. I, luglio-agosto 1902.
CNATELAIN (Ébule). La tachygraphie latine des manuscrits de Verone.
— Reuue des biblioihèques, XII, nn. 1-3 (1902).
CHECCHI (Eugenio). Alessandro Manzoni e i luoghi dei « Promessi Sposi ».
— Natura ed Arte, 15 giugno 1902.
y CHIARA (Biagio). Il castello di Novara (con la ili.). — Emporium, set-
tembre 1902.
CHILESOTTI (O.). Note circa alcuni liutisti italiani della prima metà del
cinquecento. — Rivista musicale italiana, a. IX, 1902, fase. II.
Gio. Maria da Crema, Pietro Paolo Borroni da Milano.
CHftlSTIE (Richard Copley). Selected Elssay and Papers. Edited with a
Memoir by W. A. Shaw. London, Longmans, Green and Co. 1902.
Pomponatius, a Sceptic of the Renaissance. — The Scaligers. — An
Jncunabulum of Brescia.
CmMINO (sac. Aifr.). S. Ambrogio e Dante: conferenza recitata nel Cir-
colo Cattolico per gì' interessi di Napoli il di 6 dicembre commemo-
rando il XV anniversario del s. dottore, a.' ed. Napoli, stab. tipo-
grafico Michele D'Auria, 1902, in-8, pp. 32.
* CIPOLLA (F.). Dante censore di Virgilio. — Atti R, Istituto Veneto.
LXI, 3.
Colini. Il sepolcreto di Remedello e il periodo eneolitico in Italia. — Bui-
lettino di Paletnologia Italiana, 1902, fase. I-III.
Collezione Qnecchi. Italienische MQnzstàtten. III. Abtheilung. MOnzstfttten
Napoli bis Zara. Auction 12 Januar 1903, L. & L. Hamburger in
Frankfurt am Main. In-8 gr. Frankfurt a. M., Osterrieth, 1902.
Zecche di Novara (con tav.), Noveìlara (idem), Pavia Qdein), Pompo-
nesco, Retegno (con tav), Rogoredo (idem), Sabbioneta (idem), Solferino ^ Ti-
cino (Canton), Vercelli, Verona,
^ * COLOMBO (Alessandro). La fondazione della villa Sforzesca, secondo
Simone del Pozzo ed i documenti dell'Archivio Vigevanasco. (Con-
tinuazione e fine). — Bollettino Storico Subalpino, a. VII, n. 2-4 (1902).
— La nostra piazza. — Corriere di Vigevano, a. 1092.
— La fondazione del convento di S. Francesco e l'antica sua chiesa, —
Corriere di Vigevano, a. IV, 1901.
Arch. Stor, Lomb,, Anno XXIX, Fase. XXXVI. 29
]
452 BOLLETTINO BIBUOGRAFIOO
— La casa di Galeazzo de' Colli capitano della Guardia ducale e i Graf>
fiti nel cortile dell'Ambasciata. Vigevano, Unione tipografica vìgeva-
nese, 1901.
COLMBO (A.) & TARAMELU (A). La Piazza Ducale, detta del Doomo, in
Vigevano, e i suoi restauri (con ili). — L'Arie, a. V, 1902, n. VU-VIIL
COMANDINI (Alfredo). L' Italia nei cento anni del secolo XIX giorno per
giorno illustrata. Dispense 32 e 33, 1833-1934-1B35. Milano, ditta An-
tonio Vallardi, 1902^ in-i6 ili., da pp. 433 a p. 552.
Interessanti le pagine illustrate consacrate ai fatti principali di Lombtrdii
di qud triennio.
— Di cronaca in cronaca. Con io incisioni, riproduzioni di rare stampe
antiche. — // Secolo XX, luglio 1902.
A pp. 189 e 191 per le incoronaziom di Napoleone I e di Ferdinando I
in Milano (1805 e 1838). Cfìr. anche il suo articolo Cento anm sono (eoo 14
ilL tolte da rare stampe antiche e moderne), nella medesima rivista, giu-
gno 1902.
Como e Valtellina. — V. Albers, Almanacco, Andrea, Berlini, Bollettino,
Bozzi, Brambilla, Buzzetti, Cambiasi, Castagna, Collezione, Dette fsen,
Egger, Folengo, Gerspach, Giussani, Gnocchi, Hanauer, Indice, Ja-
cobsen, KcUalog, L., Landmann, Marinelli, Monti, Negri, Periodico,
Pieth, Pugliese, Reòardel, Rivista, Rùck, Sckellhass, Tarnuzzer,
* CONINO (Fojppo, sotto archivista di Stato in Brescia). Archivio camerale
veneto (Tassa Quintello). Brescia, tip. F. Apollonio^ 1900» in-8, pp. il
Notizie storiche della magistratura alla e Tassa del Qmntello > con la
descrizione del materiale contenuto nel suo Archivio.
C0NFALONIERL — I Costituti del conte Gonfalonieri. Artìcolo I. — Civiltà
Cattolica, quaderno 1255 (4 ottobre 1902).
I. Della controversia intomo a F. Confalonierì tra gli storìd roodenii:
Enrico Misley (1831) e Paride Zajotti (1834). — IL La relazione originak di
.Antonio Salvotti, come non fu pubblicata nella Galletta mildMese, a' 22 di
gennaio 1824. — III. Federazione itali4ina, — IV. Guardia na^ionak ^
V. La Giunta. — VL Chiamata delio inimico,
CORRIÈRI (A. G.). Une réconstitution artistique; la salle Perosi à Milan.
— Monde Catholique Illustre, 30 giugno 1902.
Cremona. — Anselmi, Basadon9UM, Bergamaschi, Bustico, Giulini, Hanauer,
Holder, Lancetti, Lucchini, Medaguzzi, NoUi, Romani,
DEABATE (G.). Un Meneghino celebre [G. Moncalvo]. — Gazzetta del Po-
polo della Domenica, n. io, 1902.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 453
DE BARTHOLOMAEIS (V.). Un' antica versione del u Libro di Sydrac » in
volgare di terra d'Otranto. — Archivio Glottologico Italiano, XVI, i .
In un codice Pinelli dell'Ambrosiana.
* DEL GIUDICE (P.)- Sulle aggiunte di Rachis e di Astolfo all'ediUo Lon-
gobardo. — Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, voi. XXXV, fa-
scicolo XIII (1902).
I. I quattro capitoli di Rachis. — II. I nove capitoli di Astolfo.
DELLL'ACQUA (dott Carlo). Le due nuove lapidi a S. Salvatore (presso
Pavia) e il prof. Giacinto Romano. Pavia, tip. Ponzio, 1902, in-8, pp. 25.
— Bianca Visconti di Savoja e l'Augusta nostra regina Madre Margherita
di Savoja (Profilo storico commemorativo). — // Buon Cuore, 6 di-
cembre 1902.
DE ROSSI. Telegrafo da campo nella guerra del 1866. — Rivista di Ar-
tiglieria e Genio, 1902, luglio-settembre.
DETLEFSEN (D.). Die eigenen Leistungen des Plinius [fOr die Geschichte
der KQnstler. — lahrbuch des K, Deutschen Archàolog, Instituts
XVL 3 1901.
DOREZ (L.). Un manuscrit précieux pour l'histoire des oeuvres de Léo-
nard de Vinci. — Gazette des Beaux-Arts, n. 543.
* EQ6ER (I.). Die Barbareneinfàlle in die Provinz Rfltien und deren Be-
setzung durch Barbaren. — Archiv fUr oesterr. Geschichte, voi. 90,
parte I & II (1901).
Le invasioni dei barbari nella provincia della Rezia e la sua occupa-
zione per parte dei barbari.
EPIFANIA (Anna). Carlo VIII di Valois a Napoli. Napoli, Giannini, 1902,
in-8, pp. 16.
Elenco degli edifizi monumentali in Italia (Ministero della Pubblica Istru-
zione). Roma, tip. L. Cecchini, 1902, in-8, pp. 575.
^ *yLìifiEf(k (Carlo) L'incremento del delta della Toce nell'epoca storica.
— Bollettino della Società geografica italiana, fase. K-X, 1902.
ETmAYER (K. von). Lombardisch-ladinisches aus SQdtirol. — Romani-
sche Forschungen, XIII, 2.
FABRICZY (C. de). Un Codice miniato di Cristoforo de Predis nella Bi-
blioteca Estense di Modena. — Rassegna et arte n. 5, 1902.
FACCHETTI (G.). Il dialetto trevigliese. Treviglio, tip. Messaggi, 1902,
in-i6, pp. 51.
454 BOLLETTINO BIBUO(HtAF100
FAGIOLI (Beatrice). Angiolo Della Pergola, capitano di ventoim dd »
colo XV. Pergola, stab. tip. Gasperìni, 1909^ in-i6^ pp. 39.
* FENAROLI (Giuliano). U primo secolo dell'Ateneo di Brescia, i8(B-i9aa
Brescia, stab. tìpo-lito F. Apollonio, 1900^ in foL ilL, pp. 4BMa.fB^
con 5 tavole.
1
Se ne riparlerà. ]
FERRETTO (Arturo). Relazioni tra Genova e Novara nel secolo XOL —
In Numero unico in omaggio a mons. Edoardo Pulciano nuofo »
civescovo di Genova (tip. Arcivescovile e della Gioventù, 1900).
Notizie dettate su documenti, per la maatima parte
dcnae di fatti. Agg. nd medesimo « Numero unico » rarticolo
dd sac Giuseppe Parodi dove si parla di Pietro Petrozino de Cauigìl^
pavese, traslatato dalla diocesi di Kovara a Genova nd secolo XV (db
Giornale Storico-Letterario della Liguria, a. Ili, 1900^ ^tsc. V-VII, ppi sfl^
A * — La prigionia di Francesco I, re di Francia, a Genova, a PortofiM <
alla Badia deUa Cervara. ~ Gioma'e SfoHcO'Lef̀raHo dtilm Ugi^ j
a. m, 1902, fase. VIII-X.
FFOUUCES (C. Jocelyn). Notes on two pictures ascribed to Vìl
Foppa. ^ Repertorium far Kiittstunssetisc/ta/t, voL XXV, fucUL
(i9oa).
FIOCCA (L.), £. Enlart Orìgines fran^aises de rarchitecture gotfaiqM*
Italie. — Rivista Abruzsese, XVI, II, 1901.
Contrariamente alle affermazioni baldanzose ddlo scrittore fmcesee
dd suoi seguaci, dimostra la trasformazione dello stile lombardo in pàai
(Cfr. Rivista Storica Italiana^ luglio-settembre 1900, p. 363).
FOA (PALMmA). I concorsi Bettoni p>er novelle morali. — Ateneo Vtmlf,
maggio-ottobre 1902 [Continuazione fine\
VI. Annibale Parea e Luigi Bramieri [nel 1789 furono premiate nofdk
del Parea e una di lui nel 1790. Il Parea fu medico, nativo di Milano^ -
VII. Giambattista Rodelìa [al concorso del 1776 prese forse anche pntel
Rodella, minore osservante bresciano, vissuto dal 1724 al 1794 che si tf*
quistò un certo nome nella letteratura del suo tempo]. — Vili. Gùm/t»
Cesco Altanesi e Francesco Albergati Capacelli.
FOLENGO TEOFILO. L*agiomachia, edita con introduzione e note dal d'Av*
TOMO Rafanelli. — III. (Passio s. Abundii sociorumque Proculi pnt'
sulis et Carpophori). Salerno, stab. tip. Migliaccio succ. G. Fi>
scione, 1902, in«^, pp. 18.
FRASOHETTI (Stanislao). L'architetto della Cancellerìa [Bramanie]. •
Fanfulla della Domenica, n. io, 1902.
OOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 455
FRIZZONI (Gustavo). Due opere del museo artistico minicipale di Milano
nuovamente illustrate (con ili.). — L'Arte a. V, 1902, fase. III-IV.
San Girolamo penitente, del Borgognone; La Vergine col Bambino,
delPAmadeo.
1BAB0TT0 (Ferdinando). Il comune astese e la casa di Savoja. Torino,
1902, in-B, pp. 206.
Canoino. — Scripta anedocta glossatorum vel glossatonim aetate com-
posita, scilicet Pillii, Jacobi Bertaldi, Alberti de Gandino, Johannis
Viterbiensis, Vaccellae aliorumque prodeunt, curantibus Job. Raptista
Palmerio, Francisco Schupfer, Heinrico Solmio, Caietano Salvemini,
Carolo Cicognario, Heinrico de Besta, Artburo Palmerio. />/. Bo^
noniof, succ. Monti, 1902. [« Bibliotbeca juridica maedii aevi, edidit
Aug. Gaudentius n voi. III].
* QAUTHIEZ (Pierre). Nuovi documenti intorno a Giovanni de* Medici,
detto delle Bande Nere. — Archivi} Storica Italianj disp. Ili , 1902.
Lettere di diversi (1499-1509) a Caterina Sforza. Una (Roma, 20 gen-
naio 1504) d'Ottaviano Maria Sforza, vescovo di Lodi, a Caterina, sua so-
rella, in Firenze.
fiELU (Jacopo). Una spada di Emanuele Filiberto. — Emporium, giu-
gno 1902.
Neir Armeria di Torino e che il G. attribuisce ad Antonio Piccinino,
armajuolo milanese.
— Tra Benvenuto Cellini e Filippo Negrioli. — Rassegna et Arte, a. li, n. 6.
La celebre targa del Cinquecento, che è una delle gemme deirArmerit
di Torino, anziché del Cellinì, sarebbe del milanese N'egroli.
< SELLI Jacopo) & MORETTI (Gaetano). Gli armaroli milanesi. I Missaglia
e la loro casa. Notizie. Documenti. Ricordi. 56 tavole e 12 incisioni
nel testo. Milano, Ulrico Hoepli, 1903, in-4 gr., pp. xvi-iiy.
GEROLA (Giuseppe). Guglielmo Castelbarco [notizie storiche]. Trento,
Soc. edit. Trentina, 1902, in-8, pp. 35 e 4 tavole. (Dal VII Annuario
degli studenti trentini, 1900-1931).
(lERSPACH (E.). Gii affreschi di Campione. (Con ili.) - LArie, a. V, 1902,
fase. V-VI.
* ttllUfll (Girolamo). Annali di Alessandria, annotati, documentati e con-
tinuati da Amilcare Bossola. Editi a cura della Società di storia
della Provincia di Alessandria. Voi. I, dispense I-VI. Alessandria,
tip. libraria ditta G, M. Piccone, 1902, in-4, PP- 9^-
Arrivano colla VI dispensa all'anno 1194.
45^ BOLLETTINO BIBUOGRAFICO
^ QHISLANZONI (dott. Giuseppe). Brevi cenni sulle acque private in Lom-
bardia : lettera ad un amico. Lecco, tip. Giuseppe Corti, 1900^ in^
PP- 25. J
6IARELLI (F.). La « Principessa bianca » [Cristina di Belgiojoso Trivulzio^
— Natura ed Arte, i.® ottobre 1902.
GiOVANNONI (G.). Recenti studi sulle orìgini dell'architettura lombardi
(con 5 ili.). — Nuova Antologia, i.° luglio 1902.
GIRI (Giacomo). Il codice autografo della Sforziade dì Francesco Fildfa
Tolentino, tip. Filelfo, 1901. [Estratto dal voi. V degli Atti e Memork
della R, Deputazione di storia patria per le Marc/te],
Cfr. Giornale Storico, fase. 118-119 (1902) pp. 246-47.
^ * GIUUNI (Alessandro). Vicende feudali del borgo di Parabiago. — Gior-
nale Araldico- Genealogico, a. XXVIII, nn- 8-9, X, 1901, [1902].
— Il gran cancelliere Salazar e la sua famiglia ; ricerche storiche e ge-
nealogiche. — Giornale Araldico-genealogico-dipioniaiico, a. XXVII^
nn. 8-9, 1891 [pubblicato 1902].
^ Genealogia del ramo milanese dei Salazar e biografia del personaggio
più insigne della casata, il gran cancelliere don Di^o, il quale per hmgo
volgere di tempo ebbe parte importantissima nel governo dello Stato di Mi-
lano. In separata appendice trattasi della Cappella del SS. Rosario di Pi^
ghettone e degli altri depositi gentilÌT^ii dei Sala:(ar conti di Romanengo.
6IUSSANI (A.). L* iscrizione nord-etrusca di Tesserete e le altre iscrizioni
pre-romane del nostro territorio. Como, tip. Ostinelli, 1902, ìd-8,
pp. 49 (Nozze-Perlasca-Carraroli. — Estratto dalla Rivista Arclu>
logica, di Como, fase. XXXXVI).
* 6NECCHI (Ercole). Falsificazioni di monete italiane (Con due tavole). -
Rivista Italiana di Numismatica, fase. III, 1902.
Falsificazioni di monete delle zecche di Maccagno, Mantova.
6NES0TT0 (ATriLio). Leggendo il I libro del De officiis di Cicerone nel
codice Mantovano A. IV, 35. Padova, Raudi, 1902, in-8. — (Estratto
Atti Accademia di scienze e lettere di Padova).
GOLDSCHMIDT (A.). Die Kirchenthùr des heiligen Ambrosius in Mailand:
ein Denkmal frahchristlicher Skulptur. Strasshitrg, Heitz und Mfin-
del, 1902.
La porta della chiesa di S. Ambrogio in Milano, un monumeoto ddU
scoltura primordiale cristiana.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 457
* GOODYEAR (William H.). Architectural Refinements in Italian Churches.
— American Journal of Archeology, voi. VI, n. a, 1902, aprile-giugno.
Osservazioni architettoniche, con disegni, intomo alle chiese di S. Am-
brogio e di S. Eustorgio a Milano e di S. Michele a Pavia, a pp. x8i e sgg»
e figg- 7» 8i IO, II.
Corani. — Un nuovo nostro romanzo storico e le sue storiche fonti. —
Civiltà Cattolica, quaderno 1255 (1902).
n. Tempo e persone, che pigliamo a descrivere nel Caporale irasttV'
rino. — III. Di Giuseppe Goram, non storico, ma libellista e scrittore ca-
lunnioso e prezzolato ; Alessandro Verri, storico veridico.
>( GUSSALLI (Emiuo). Una villa lombarda del settecento (con io ili.). — £m-
porium, aprile 1902.
La villa di Cemusco degli Alari, ora del conte Visconti di Saliceto, del-
Tarchitetto romano Giovanni Ruggieri (17 19).
* HAMPE (Karl). Aus verlorenen Registerbanden der Pàpste Innozenz III
und Innozenz IV. — Mittlieilungen dell'Istituto storico austriaco,
voL XXIII, fase. IV (1902).
A p. 566 il doc. 23. : ff Confìrmatur pax Inter potestatem et populum
« Mediolanenses et Venetos ac Tervisinos cives per (Wolfgenim) patriar-
« cham Aquilegensem et (Henricum) episcopum Mantuanum reformata »
(circa maggio 1216).
*
HANAUER (G.^. Das Berufspodestat im dreizehnten lahrhundert — Mit-
tlieilungen dell'Istituto Storico Austriaco, voi. XXIII, fase. Ili, 1902.
Interessante lavoro intomo ai podestà di carriera nel secolo XIII, con
larghi riferimenti alla Lombardia. Notizie sullMutroduzione del podestà, carat-
teristica del suo ufficio, lista dei podestà di Mantova, nomina, giuramento,
funzioni, importanza politica della carica, famiglie di podestà e tipi di esse
(Mandelli di Milano, Dovara di Cremona, Torrìani di Milano, Sommi di
Cremona, Amati di Cremona, Borgo di Milano, Gonfalonieri di Bresda,
Cavalcabò di Cremona, Inchoardi di Milano, Marcellini di Milano, Rivoli di
Bergamo, Rusca di Como, Strada di Pavia).
HANN (F. G.). Raimundus Peyraudi, KirchenfClrst. — Carinthia, a. XCI,
fase. I-VI (1901).
Prete francese che fu vescovo di Gurk dal 1491. Banditore noto d* in-
dulgenze papali e ch'ebbe parte importante nelle lotte tra papa Alessandro VI
e i re di Francia Carlo Vili e Luigi XII, e nelle vicende della politica ita-
liana a quei tempi.
HOLDER-EGGER (O.). Annales Cremonenses, Sicardi ep. Cremonensis Cro-
nica, Ann. Bergomates, Ann. Bergomates breves. In-4. Hannover,
Hahn, 1902 (M. H. Germaniae, Scriptores, to. XXXI, p. I).
458 BOLLETTIMO BIBUOGRAFICO
NOPFNER (JJ- Der Wandel in den rdigiOsen Auschaau^gen Manwni^
beleuditet aus seinem Leben und seinea Schrìflea (Programm Gin-
nasio Feldkirch, 1933).
tWTHCNINMN (L.). Orientai Trade and die Rise of tiie Lombnrd com»
munes. ^ Quarterly foumeU Economics, maggio igoa.
* ladloe gMMrala deHa Rivista Arcktohgica dilla Provimcia di Com», fiip
scicolo I-XLIV. Como, Bettolini, 1900, in-8 gr., pp. 74.
Compilato dal dott. Franeueo FassaH^ bibliotecario dvioo in Como^ fa-
lcate autore dell' indice, uscito pure in quest'anno^ del PeriodUo itO^ Sh
cietà sierica Cmimiì.
INTRA (Q. Battista). La basilica di S. Andrea in Mantova. — ilrHr #
Storia, n. 15, 1902.
* IsTmrro Lombardo m scnoizi b LirrERK. Indice generale dei lavori dal
1889 al 1900 con le aggiunte e correzioni all'Indice generale i8o]-
i888y compilato per cura deUa Presidenza. Milano, U. Hoepli, 190%
in-8, pp. XIV-I35.
lACOBSEN (EiOL). Pitture della scuola lombarda nella diieaa di S, Maria
degli Angioli a Lugano. — Arte, a. V, 1902, fase V-VI.
•— Italienisdie GemAlde im Louvre. Kritische Notizen. — Rgptriorùm
far KuMstwissencka/f, voi. XXV, fase III, 1903.
BoUraffio (Madonna della famiglia Casio) — Borgppumg — lùrm^ h
FasoK (di Pavia) — Girolamo dei Libri — B. Lnifn (Gesb bambino, dar
miente) — Marco d*Oggiono (Sacra famiglia) — Mantegna.
Katalog der Kantons - Bibliothek von GraubQnden. Raetica. Supple-
raent I. C/iur, H. Fiebig, 1901, in-8 pp. 348.
Importante per la copiosa letteratura storica valtellinese elencatavi.
KRISTELLER (Paul). Mantegna. Berlin, Cosmos, 1902. [Edizione tedesca].
KRAUS (F. S.). Cavour. Il rinascimento d'Italia nel secolo XIX. TorMh
libr. E. Loescher, 1902, in-8 fig. pp. loi e una tavola.
KRETSCHMER (Paul). Die Inschriften von Omavasso und die ligurische
Sprache. — Zeiischsrift fur vergleichende Sprachforscìuing, volume
XXXVIil, fase. I (1902).
Le iscrizioni di Oraavasso e la lingua ligure.
* L. (B.). La zecca di Valenza. — Rivista di Storia ed Arcftecdogia di
Alessandria, a. XI, aprile-giugno 1902.
Con qualche nota illustrativa si riproduce Tarticolo del dott. Ambrosoii
edito nella Rivista Numismatica fase IV, 1901. [cfr. Arcb. Sior, Lomh, i^aa,
p. 190].
j
BOLLETTINO B3LIOGRAFICO 459
* LANCETTl. — Una lettera inedita di Cesare Sai uzzo. — Rivista di Storia
d'Alessandria, a. XI, 190», luglio-settembre.
Lettera autografa scritta al cremonese Vincenzo Laiicetti (24 marzo 1836)
e conservata nella Biblioteca Braidense.
LANDMANN (Juuus . GrQndung und Fall des Bankhauses Malacrìda & Co.
in Bem. — Beilage déìrAlIgemein€ Schweizer Zeitung, nn, 45-47, 1901.
Fondazione e catastrofe bancaria della casa Malacrida & C* in Berna
(Svizzera). I Malacrida provenivano dal lago di Como.
* LATTES (Alessandro), Il Liber Potheris del Comune di Brescia. Studio
storico-giuridico (Estratto àd\V Archivio Storico Italiano, dispensa II,
del 1903). Firenze, tip. Galileiana, 1902, in.-8, pp. 83.
LAUCHERT (Friedrich). Oliverius Legipontius und der Kardinal Quirini.
— Siudien und Miitlieilungen aus dem Benediciiner Orden, II-III se-
mestre (1902).
LEOMAROI (Valentino). Mantegna. — Fan/ulta della Domenica, n. a8 (1902).
A proposito del libro del Kristeller sul Mantegna.
Leonardo da Vmcr. — V. Almanacco, Baratta, Beltrami, C, Carotti, Do'
ren, Manfredini, Mazzatinii, Muntz, Péladon, Sant'Ambrogio.
* LEONE (A.). Renato di Savoja (continuazione e fine), — Bollettino Storico
Subalpino, a. VII, nn. 2-4, 1902.
Morte di Renato alla battaglia di Pavia (1524).
LIVI (Giovanni). Debiti e crediti di un librajo bresciano del secolo XVI
— La Bibliofilia, a. IV, n. 3-4, giugno-luglio 1902.
Polizza d'estimo presentata nel 1566 dal librajo Marchetti.
LOCATELLI (sac. Carlo). Il 4 novembre 1602: memorie e documenti [ri-
guardanti S. Carlo Borromeo e i sinodi diocesani]. Milano, ditta
Boniardi Pogliani, 1902, in-4, pp. 87.
LoDL — V. Gagnola, Cairo, Catalogo, Malaguzzi.
LO PARCO (Francesco). Una lettera inedita di A. Manzoni. Trapani, tipo-
grafìa Gervasi-Modica, 1902.
LoDL — Heuillet, tambour au pont de Lodi, en 1796. — Inter médiaire
des cliercheurs et curie ux, 20 agosto 1902.
LOZZI (C.). La Musica e specialmente il Melodramma alla Corte Medicea.
— Rivista Musicale Italiana, fase. II, 1902.
Relazioni musicali dei Medici coi Gonzaga in Mantova.
460 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
LUCCHINI (cav. Lutei). Alcune sculture moDumentalì in Cremona nel p^
riodo del Risorgimento dell'Arte. — Arie e Storia, nn. 6-7-9-10, 1900.
Il sepolcro Trecchi — Porta monumentale nel Mosco Civico dj Cr-
mona — Trabeazione mannorea di un arco trìonble nel Museo Gtìco di
Cremona dell'epoca del Risorgimento.
— Commentario dei ■ Promessi Sposi », ovvero la rivelazione di tutti
i personaggi anonimi. Boneoio, tip. Commerciale, 1903, in-^ pp. 131.
— Il castello di S. Croce in Cremona. — Arte * Storia, nn. 15-16, 1900.
LUZIO (A.). I documenti austriaci sulle • Mìe Prigioni •>. — Corriere delia
Sera, 12-13 gennaio 1909.
In complemento di quanto scrisse il Taog] nella Deutsche RundscluM.
— L'epistolario di Giuseppe Mazzini [con notizie sulla spia Attilio Par-
tesotti]. — II rinascimento italiano in Inghilterra [con notizie sol
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 46I
HALA6UZZI (Francesco). Note sulla Scultura Lombarda* I. Alcune scul-
ture del Museo Archeologico di Milano da assegnarsi all'Amadeo
(con 6 ine). II. Ancora della porta degli Sforza e un bassorilievo
inedito di Pietro da Rho (con 4 ine.) — Rassegna d'Arie^ n. 2, 1902.
Agg. del med. A. : Ambrogio Preda e un ritratto di Bianca Maria Sfor:^a
in Rassegna, n. VI, 1902.
— Note storiche sull'arte cremonese. — Rassegna d'Arte, settembre 1902.
Notizie per gli architetti Bartolomeo Gadio, Bernardo Bocoli detto de
Lera ed altri Cremonesi, a complemento deUo studio U architettura a Cre-
mona pubblicato néìì^Emporium (ottobre 1901).
— Archi trionfali del Rinascimento. (Con ili.). La Lettura, luglio 1902.
Portali del Banco Mediceo a Milano, del palazzo Sforza a Cremona,
della casa Varesi a Lodi, della casa Fanti a Brescia.
■ANFREDINI (A.). La u Sala delle Asse n nel castello di Milano. — Mo-
nitore Tecnico, n. 16, 1902.
MANN (H. K.). Lives of the Popes in the Early Middle Ages. I, i : Popes
under the Lombard Rule, A. D. 590-654. London^ K. Paul, 1902, in-8,
pp. 450.
* MANNO (Antonio). Bibliografìa storica degli Stati della monarchia di Sa-
voja. Voi. VII [Indice generale alfabetico dei primi sei volumi]. To-
rino, fratelli Bocca, MCMII, in-8 gr., pp. vi-551. [» Biblioteca storica
italiana pubblicata per cura della R. Deputazione di storia patria » III].
* MANOLESSO FERRO (G.). La fuga del cardinale Molino vescovo di Brescia
(176Q. — Ateneo Veneto, maggio-giugno 1902.
MANTEGNA... — Andrea Mantegna. — Quarierly Review, n. 389, gen-
naio 1902.
A proposito delle opere di Yrìarte, Kristeiler, Cruttwell, Berenson.
— V. Leonardi, Kristeiler, MUntz.
Mantova. — V. Beaucaire, Carnevali, Christie, Collezione, Folengo, Gnecchi,
Gnesotto, Hampe, Hanauer, Intra, Jacohsen, Leonardi, Lozzi, Lazio,
Mantegna, Matteucci, Opdycke, Sirén, Storia, Virgilio.
MANZONI (A.). Il fiore dei u Promessi Sposi » e della « Storia della co-
lonna infame », con note illustrative di Luigi Venturi. Sesta edizione
ritoccata e accresciuta ad uso delle scuole. Firenze, Bemporad, 1902,
in-i6, pp. vn-296.
Manzoni. — V. Butti, Checchi, Hopfner, Lo Parco, Lucchini, Martinaz^
zoli, Porena, Pizzuti, Vandelli,
462 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
MARESCOTTI (Ercole Arturo). La scultura al Monumentale : note di cri-
tica. Seconda edizione accresciuta di nuovi studj. Milano, ditta Ar-
turo Fumel, tip. edit., 1902, in-i6, pp. 167.
MARINELLI (L.). Ceraobbio. (Con ili.). — Natura ed Arte, 15 agosto 1901
* MARTINAZZOLI (Antonio). L'ambiente e la coscienza morale nei « Pro-
messi Sposi » di Alessandro Manzoni. — Rendironii Istituto Lon-
bardo, serie II, voi. XXXV, fase. XVI.
MASSARA (Ant.). Il venerdì santo a Romagnano Sesia. ^ Archivio ptr
io studio delle tradizioni popolari, 16 agosto 1902.
MATROD (H.). Un sanctuaire ignoré. Le sacro monte d'Orta. — Etudes
Franciscaines, settembre 1900.
MATTEUCCI (Vittorio). Le chiese artistiche nel Mantovano. Mantova, eredi
Segna, 1902, in.4 fig., pp. 567.
I. L'arte cristiana a Mantova. — II. Le chiese artistiche. — IH. L'arte
nelle chiese. — IV. Quadri riassuntivi.
MAZZATINTI (G.). Per Leonardo da Vinci. — Rassegni bibliografica del-
torte ilaliana, a. V, n. 7-9 (Ascoli Piceno, 1902).
* MAZZI (A.). Lo Statuto di Bergamo del 1263. — Bergamo, tipo-lit Ma-
riani, 1902^ in-8, pp. 38.
V erudito Bergamasco, colla consueta padronanza dei documenti editi
ed inediti mira ad aggiungere nuovi argomenti a quelli raccolti in altri
suoi scritti a sostegno della sua opinione (combattuta dal Secco Suardo nel-
l'opera di cui a p. 419 di quat^ Archiviò, XX (X), che lo Statutum anHquum dd
quale ci rimangono solo alcuni capìtoli, trascritti letteralmente negli Statuti
del 1331, sia stato compilato nel 1263.
MELE6ARI Pora). Une princesse italienne à Paris. Christina Trivulzio
Belgiojoso. — Le Temps, i." agosto 1902.
MELODIA (Giovanni). Aftetti ed emozioni in Torquato Tasso. — S^^ ^
letteratura italiana, 1901. (Napoli 1901).
Recensione di Gildo Valeggia in GiomaU storico della Utteraturi i^
liana, fase. 118119, p. 200.
MERCATI. Letteratura biblica e cristiana antica. Liturgia ambrosiana e
romana. — Studi e Testi (Biblioteca Vaticana), nn. 1-8 (Roma, 19°^
1902).
MEYER (H.). Matteo Randello nach seinen Widmungen. — Archiv /^
das Studium der neutren Spraclttn und Litteraluren, CVIII, 3-4-
*v
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 463
■ICHIELI (A.). Un avventuriere. — Rivista d* Italia, V, 7.
É il bolognese Giovanni Greppi (nato il 1751 e morto il i8a6) noto
commediografo del settecento.
— Un curioso disegno di Niccolò Bettoni (1815). — Fapt/ulia delia Do-
fmnica, n. 7, 1902.
* Milano. — Die anonyme Chronik der Mailànderkriege, 1507-1516. —
Baskr Oironiken herausgegeben von der Histor. u. Antiquarischen
Gesellschaft in Basel. Voi. VI. (Leipzig, Hirzel, 1903).
Interessante questa cronaca di anonimo delle guerre milanesi 1509-1516,
^^iamente edita e commentata dal dott. Augusto Bernouilli, Anche le
altre cronache, edite in questo volume, interessano le campagne degli Sviz-
ieri in Lombardia.
— Una lettera di Rossini (con fac-simile). — Musica e Musicisti, a. I,
n. a. 1902.
Da Parigi, la gennaio 1863, a Tito Ricordi in Milano.
— V. Beltrami, BertarelH, Ber tini. Bollettino, Bonatti, Borghi, Bramante,
Calvi, Cammeo, Cantoni, Carotti, Chilesotti, Cimmino, Collezione, Cornane
dini, Confalonieri, Corrieri, Deabate^ De Bartholomaeis, FfoulkeSy Foà,
Frizzoni, Celli, Giulini, Goldschmidt, Goodyear, Corani, Gussalli,
Hampe, Hanauer, Istituto, Jacobsen, Locatelli, Magistretti, Malaguzzi,
Manf redini, Manzoni, Marescotti, Meyer, Miscellanea, Moretti, Nogara,
Negri, Orano, Piacenza, Ratti, Romussi, Rotta, Salvioni, Sant'AmbrO'
giù, Sol, Zanichelli,
* Mltotllftiiea di Storia Kaliant. Terza serie, voi. VII (XXXVII della rac
colta). Torino, Bocca, 1903, in-8, pp. lvi-458 [« R. Deputazione sopra
gli studj di storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia n],
Seregni (Giovanni), Del luogo di Arosio e dei suoi stamti nei secoli
XH-XIII, con appendice di documenti inediti. — Laties (Alessandro), Alcuni
capitoli inediti degli statuii d'Alessandria. — Pasti (Romualdo), Storia do-
cumentata dell'abbazia di S. Andrea di Vercelli nel periodo medioevale
1219-1466. — Cipolla (Carlo), Innocenzo VI e casa Savcja: documenti del-
l'Archivio Vaticano trascritti da Francesco Gansoli. — Rossi (Girolamo). La
▼alle di Diano (Liguria) e i suoi statuti antichi. — Staglieno (Marcello).
Due documenti di Teodosio vescovo di Torino.
•W5CI (A.). Frate Gomita, Nino Visconti e la Gallura. — La Sardegna
letteraria, I, 3.
■unti (dott. sac. Santo). Storia ed arte nella provincia e antica diocesi
di Como. Dispense XVIH-XXV. Fol. ili. Con:o, OstineUi, 1902, da
P- 433 a p. 568 [continuazione e fine].
4^4 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
"^ Mo*zA. — La vera * Signora dì Monza? " (Da una conferenza di Frani
Eyssenhardt, nella Sa'nHlung wiSMnschafllichtr Vorlrage di Am-
burgo). — La Lettura, marzo 1903.
Monza. — V. Barbirr, Talamom.
MORANDO (G,). In morte del senatore Gaetano Negri. — Rassegna ffa-
eiotiale, 16 agosto 1902.
"^ ' IKfflETTI (Gaetano). L'architettura civile del secolo XV in Milano e la
casa dei Missaglia (con tav. e ili.). — Edilieia Moderna, a. XI, igea,
fase. II-lII..
MONTZ (E.). Léonard de Vinci et les savants du moyen flge. — Rtvnt
Scientifique, a6 ottobre 1901.
— Andrea Mantegna. — Le Monde Modertte, luglio 1901.
* MUONI (Guido). Ludovico di Breme e le prime polemiche intomo a
madama di StaCl ed al romanticismo in Italia, 1816. Milano, Società
edit. libr., 1902, in-8, pp. loi.
Cfr. la recensione del prof Scherillo in questo Archivio (1900, III,
179, e s^.).
* NEGRI (Francesco). Il Santuario di Crea in Monferrato {con ilL fuori
testo). — Rivista di storia ed arte di Alessandria, a. XI, fase. VI, 1903.
Nella chiesa, ritratti della corte marchionale del Monferrato, se non dd
De Predis, di uno della sua scuola (p. 18). Il Martirio di S. Marghirtta, te
non del cremonese Cristoforo Moretti (p. ai) forse di Pietro o Martino
Spaniotia, pittori di Varese. Nel Santuario, cappella della Concezione di M. V,
starna della contessa Margherita Beccaria, dell'antico casato pavese, ini^ie
del conte Carlo Mercurmo di Gattinaia, fattura del (ìaramiugo Giovanni Ta-
bachettl, che lavorò assai al santuario di Varallo Ip. 33).
' NE6RI (Gaetano). Appunti bibliografici: R. Barbiera. La principessa
Belgiojoso. — La Perseveranaa, la giugno 1902.
— V. Barzellatti, Beltrami, Morando, Novali, Oliva, ScheriUo,
NERUCCI (Gherardo). La Porzia Rossi, madre di Torquato Tasso [a pro-
posito della epigrafe commemorativa posta in Pistoja]. Prato, tipo-
grafia G. Salvi, 1902, in-8, pp. 7.
N06ARA (B.). Mons. Antonio Cerianì. — Monde Catholiqut Illustri, 15-
30 agosto igoa.
t
BOLLETTINO BIBUOGRAFICO 465
NOLHAC (P. de). Un nouveau manuscrit de la Bibliothèque de Pétrarque.
— Mélanges Paul Fabre (Paris, Picard, 1902).
Ms. parigino, già visconteo, che contiene il Liher rerum memorandarum
del Petrarca.
* NOLLI (Guido). Sacco e vicende di Sesto Cremonese durante la guerra
di successione della Polonia (1733-36) secondo un manoscritto del-
l'Archivio Parrocchiale (Estratto dal Torrazzo, Rivista cremonese,
anno 1902, nn. 4, 5, 6). Cremona, tip. Pezzi, 1902, in-8, pp. 28.
Novara. — Testamento e codicillo del conte Giovanni Francesco Caccia.
Testo originale, con traduzione letterale per cura degli avvocati
L. Razzano^ A. Tadini^ B. Busser. Novara, tip. Miglio, 1902, in-4,
pp. 115 con ritratto.
Novara e Ossola. — V. Apostolo, Ber fon, .Bolleiiino Pavese, Chiara,
Collezione, Colombo, Errerà, Ferretto, Kretschmery Massara, Matrod,
Negri, Sabbadini.
NOVATI (Francesco). Il passato di Mefistofele. — La Lettura, a. II,
1902, n. I.
Con riferimento della storia, tipica tra tutte, di Martinetto, narrata
come avvenuta a Pavia in cosa Boccoselli, sullo scorcio del Duecento, dal
cronista fra Jacopo d'Aqui.
— Gaetano Negri. (Con ritratto). — La Lettura, settembre 1902.
* OBERZINER (G.). I Liguri antichi e i loro commerci. — Giornale Storico
e Letterario della Liguria, a. Ili, 1902, fase. V-VII.
OBERZINER (L.). Ritratti classici a Trento: 3 Giovan Battista Moroni
[ritratto di Lodovico Madruzzo] — Rassegna d'arte, giugno 1902.
OLIVA (Domenico). Gaetano Negri. — Natura ed Arte, i.* settembre 1902.
* OMONT (H.). Dìctionnaire d'abbréviations latines publié à Brescia en
1534 (Avec fac-simile). — Bibliothèque de fEcole des Cliartes, gen-
naio-aprile 1902.
OPDYCKE (Léonard Eckstein). The book of the Courtier by count Bal-
desar Castiglione, translated from the italian and annotated. New-
York, Scribner, 1901 [Il Giornale Storico, fase. 118-119, p. 286 ne
promette una notizia specificata].
ORANO (P.) Carlo Cattaneo e la sua dottrina scientifica. — Rivista di
Filosofia e Scienze affini, VI, 4.
466 BOLLETTIKO BIBUOGRAFICO
OTTINO (G.) & FUMAGALLI (G.). Bibliotheca bibliographica italica: Catalogo
degli scritti di bibliologia, bibliografia e biblioteconomia pubUicati
in Italia e di quelli risguardanti l' Italia pubblicati all' estero. 4.* sup-
plemento a tutto Tanno 1901, con rifusione completa degli Indici al-
fabetici dei soggetti e degli autori contenuti nei sei volumi finora
pubblicati, per cura di Eiouo Calvl Torino, Qausen, 1902^ ìd-8^
pp. 130-
OXILIA (Giuseppe). Curtatone e Montanara. — Rassegna Nazionale, 16 mag-
gio 1902.
— Un oscuro milite del secondo battaglione fiorentino a Curtatone e
Montanara. Firenze, Bemporard^ ^902, in-8, pp. 54.
PARODI (E.). I prigionieri dello Spielbei^ in luce austriaca. — Rassegna
Inter nazionale, 1902, nn. i-a.
A proposito del noto articolo del TangL
PATETTA. Nobili e popolani in ima piccola città dell'Alta Italia [Belluno].
— Annuario della R. Università di Siena, a. 1901-1902. (Siena, 1902).
Pavia. — Restauri di chiese e monumenti {t!" Pavia: San Michele, San
Pietro in Ciel d'oro, la Cattedrale). • — Civiltà Cattolica, quadenio
1242 (1902).
— V. Bertoglio, Bollettino, Boni, Collezione, Colombo, Del Gitutìa, Dti-
r Acqua, Goodyear, Hanauer, Negri, Novali, Ponzio, Praviel, Sant'Am-
brogio, Schòne, Suida,
PÉLADAN. De la subtilité comme idéal. Léonard de Vinci. — Reime Bleue
22 novembre 1902.
Del med. A.: JL. de Vinci et les sdences ocadtes, in Revue umverseBt,
I dicembre 1902.
PEUCELLI (sac. Nestore). Della Raguseide e Storia di Ragusa, opere
inedite di Gian Mario Filelfo : memoria. Parma, tip. M. Adorni di
L. Battei, 1902, in- 16, pp. 36.
— Opere inedite di G. M. Filelfo. — Rivista Dalmatica, a. lU^ n. i.
PÉUSSIER (Léon-G.). Le Porte feuille de la comtesse d'Albany. Lettrcs
mises en ordre et publiées par Léon-G.Pélissier. Paris, Fontemoing,
1902, in-8, pp. xxvm-726.
* PELLEGRINI (A.). Il Piccinino (/ine). — Zeitschri/t fùr romanische Pkè-
lologie, voL XXVI, fase. Ili (1902).
PELLEGRINI (sac. Carlo). Mons. Secco-Suardo e l'istituzione del Semi-
nario Lombardo a Roma. — Satola Cattolica, agosto 1902.
BOLLETTINO BffiUOGRAFICO 467
* Periodico Mia Società Storica per la Provincia e antica diocesi di Como.
Fase. LIV. Como, Ostinelli, 1902.
Colò (prof. Giuseppe). Lo storico bormiese Ignazio Bardea. Cenni
bibliografici [con una « Bibliografìa Bardeana », in ai articoli]. —
Motta (Ebcuo). La più antica descrizione poetica a stampa del lago
di Como [quella del poeta Bettin da Trezzo, stampata nel 1488 a
Milano e che fa parte del suo poemetto « Letilogia »]. — Spigola-
ture volitane: Una lettera inedita di Alessandro Volta (con fac-si-
mile); Aggiunta alle medaglie del Volta (con figure). — S. A. Ne-
crologia di Giovanni Gemelli. — Atti della Società Storica Comense,
PESCI (U.). La principessa Belgiojoso. — Rassegna Nazionale, 16 lu-
glio 1902.
PETIUftUONE (Giuseppe). Tre lettere inedite di scrittori italiani (G. Cap-
poni, F. Ugolini, G. Carcano). Lecce, 1902. (Nozze Natali-Costanzo);
* PIACENZA (Mario). Per l'epistolario di G. B. Beccaria. - Bollettino Sto-
rico Subalpino, a. VII, fase. II-IV, 1902.
Delle due lettere del celebre fisico, di Mondovì, dirette al fratello Giu-
seppe Maria, qui pubblicate dal P., la seconda è interessante perchè parla
della nomina di mons. Michele Casati, milanese, a vescovo di Mondovi (175 3).
PICCINELLI (prof. sac. Antonio). A proposito degli affreschi attribuiti al
Bramante. — Arte e Storia, n. 11, 1902.
** Due righe di lettera aperta „ all'ardi. Luca Beltrami.
PIETH (Friedrich). Erinnerungen des Landammanns Johann Salzgeber auf
Seewis i. P. (1748-1816). Herausgegeben von Fr. Pieth. Chury Hermann
Friebig's Buchhaadlung, 1902, in-4, pp. vn-109. (Programma della
Scuola Cantonale di Coirà, 1902).
Cfr. spedalraente il 2.** capitolo Podestà in Bormio (i 771-1772) a pa-
gine 10-31 e 93-95 dov'è contenuta una dettagliata " Descrizione della Contea
di Bormio e sua costituzione „. Anche nel i."* capitolo sono riferite no-
tizie intomo ai primi viaggi e soggiorno dello Salzberger (i 748-1770) a
Chiavenna, Piuro e Bergamo.
PILTZ (Ottomar). Sommemàchte am Gardasee. Skizzen und Novellen.
Salò, tip. Giovanni Devoti, 1902^ in-i6, pp. 123.
P06GI (Victorius). Series Rectorum Reipublicae Genuensis, videlicet Po-
testatum, Consulum, Vicariorum et Capitaneorum Populi inde a primi
potestatis electione anno MCXCI usqne ad ducalis regiminis insti-
tutionem anno MCCCXXXXIX. Accedit series Abbatum Populi a prima
eorum origine anno MCCLXX ad annum MCCCXXXIX. Augustae
Taurinorum, Paravia, 1900 [1902], in-8 gr.
Copiosi i nomi di Lombardi podestà di Genova; all'elenco è unito
quello dei genovesi podestà fuori di Genova, epperò anche in Milano ed
altre città della Lombardia.
Arch. Star. Lomb., Anno XXIX. Fase. XXXVI. 30
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 469
RfCd (Corrado^ Gli affreschi di Bramante nella R. Pinacoteca di Brera.
Milano, Baldini, Castoldi & C, 1908, in^ pp. 86 e ili.
■* Les fresques de Bramante à la pinacothèque royale de Brera. —
Monde Caiholique Illtistré, 15 maggio 1902.
RiaORGiMENTO iTAUAifa — V. Amati, Arbib, Berion, Cammeo, CàndiàHi,
Confalonieri, De Rossi, Kraus, Luaio, Orano, Oxilia, Farodi^ Rosa,
Trivuleio, Vachée, Valle,
* Riviste Ardieoldiica della Previnola e antica di«oe%i di Gomt. Fase. XXXXVI,
settembre igoft, in-d gr. Cà:nOf Ostinellì, 1908.
Presidenza. La Società Archeologica Comense. — Magni (d/ An-
TONK^. Simulacri di fibule a Sagno ed a Breccia (con tavola). —
GiussANi (ing. Antonio). U iscrizione nord-etrusca di Tesserete e le
altre iscrizioni pre-romane del nostro territorio, — Bernasconi (sa-
cerdote Baldassare). Braccialetti ed anello gallici (con tavola). — Ba-
SERGA (sac. dott Giovanni). I Capulatores, ossia una nuova corpora-
zione professionale di Como Romana. — Volcwtè (prof. Pierfranco).
Una lapide romana in Camago; Marmi romani in Varese e suo
Circondario. — Giussani (A.). Il nuovo Museo Cantonale di Lugano.
— Magni (dott. A.). Notizie archeologiche; I nostri monumenti. —
Giussani (A.). Giovanni Gemelli (con ritratto). — Doni e cambi. —
Bollettino Bibliografico.
RIZZUTI (A.). Nota di bibliografia manzoniana. — Fanfulla della Dome-
nica, XXIV, n. 29.
Suiredìziooe romana del carme in morte dell' Imbonad, fatta nel 1806.
(dott. Giovanni). Commemorazione del pittore Giuseppe Diotti.
Casalmaggiore, tip. Bertoni, 1902^ in-8, pp. 35.
ROMUSSI (C). Les armuriers milanais et la maison des Missaglia. —
Monde CatltoHquit Illustre, 30 apn-ile 1902.
— n Duomo di Milano. Milano, U. Hoepli, 1902, fol. pp. 15 e 43 tavole.
— Les portes du Dòme de Milan. — Monde Catholique Illustre^ 15-30 ago-
sto 1902.
— La questione dell'architettura lombarda. La chiesa di Rivolta d'Adda.
— // Secolo, 13-16 ottobre 1902.
— Le porte del Duomo di Milano (con 3 ine.) — Rassegna et Arie, ot-
tobre 1902.
— Gli Sfotta nei medaglioni del Luini (Con ili.). - // Secolo Illustrato,
^ -^?V, n. 672, 30 novembre 1902.
Agg. // Sec0Ìc n. del 9-10 settembre 1902.
Rassegna delle opere del Kdler, del De BanhoUmeù e del BiulcDe in-
Ionio a Pietra da Bescapfc e Bonvesb da Riva.
* — Il plurale dei femminili di i* declinazione per -a ed -an in qualche
varietà alpina di Lombardia. — Rmdiconti Isti/u/o Lombardo, se-
rie II, voi. XXXV, fase. XIX (ipoa).
— Etimologie. — Romania, XXXI, 074-395 (Paris, 1903).
Gm molti esempi dialettali lombardi.
* SANrAMBROeiO (D.). Sempre intomo al quadro leonardesco di Affori e
della data sua. Ancora la tavola della Vergine delle Roccie. D gesto
che fa l'Angelo colla mano destra nella Pala di Parigi, — Arti *
Storia, nn. 9, IO e la, igoa.
' — Di due marmi ascrivibili alTOmodeo nel Museo di Parma; Nd ■ Ct-
stello di Porta Giovia i; La decorazione u a scarlioni ■ ; La ricosti-
tuzione della statua di 5. Ambrogio sulla torre del Filarete; D qaato
già dei Gerolomiti di S. Marino in Pavia. — Lega Lombarda, i-ij
novembre; 9-10 novembre; 30 novembre e 7 dicembre 1900.
— Un bassorilievo del 1436 attinente alla Fabbrica del Duomo 1 Voi- i
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in Roma, voi. V, fase. I (1902) [Contwuasion? : anno 1577].
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SCHERILLO (Michele). Gaetano Negri (Con ritratto). — Nuova Antologia,
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SCHMOLZER (Hans). Die Fresken des Castello del Buon Consiglio in Trient
und ihre Meister. Eine kunstgeschtliche Studie. Innsbruck, Wagner,
1901, in-8, pp. 6S.
Lo S. dà nella presente monografia una descrizione ragionata dei molti
e pregiati affreschi che vennero eseguiti nel Castello del Buon Consiglio in
Trento tra il 1551 e il 1535, °^ dimentica gli affreschi del Romanino che
forse troppo dispregia (cfr. Arch. Storico Trentino a. XVII, fase. 1, 1902, pp. 106).
* SCHONE (H.). Ein Palirapsestblatt des Galen aus Bobbio. - Sitzung-
sberichte dell'Accademia delle scienze, di Berlino, XX, XXI, 17 aprile
1902.
Un foglio palimsesto di Galeno, provenieate da Bobbio.
* SECCO SUARDO (aw. conte Girolamo). Lo sgombero della suppellettile
libraria inutile dalle biblioteche pubbliche, e la Biblioteca Civica di
Bergamo. Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1902, in-8, pp. 24.
SETON WATSON. Maximilian I, Holy Roman Emperor. London, Constable,
1902, in-8, pp. 144.
Sforza. — L'eroica Milanese capostipite di sei dinastie. — La Lettura,
2u n, n. I, 1902.
Da uno studio della baronessa Lodovica di Bodenhausen nel Nord und
sud (dicembre 1931) intomo a Catterina Sforza-Riario.
Sforza e Visconti. — V. Agnelli, Dell* Acqua, Epifania, Fagioli, Ferretto,
Gabotto, Gauthiez, Giri, Hann, Leone, Malaguzzi, Mocci, Nolltac,
Pellegrini, Pelicelli, Rénoche, Tumiati, Zanutto,
SIRÉN (Osvald). Dessins et tableaux italiens de la Renaissance italienne
dans les collections de Suède. In-8 gr. Leipzig, Karl W. Hiersemann,
1902, con ili. e tav.
Giulio Romano (1498-1546) 17 tav. — Polidoro da Caravaggio (1495-1543)
12 tav. — Bianchi'Ferrari (scuola ?) — G, B, e G. Domenico Tiepolo,
SOL (abbé e.). L'oeuvre canonique du cardinal Giacomo Simonetta. Le
traité sur les deux signatures de justice et de gràce. - Annales de
Saint'Louis-des Franfais, ottobre 1992.
A. pp. i-Lxi la " Relaiioae Maltiguui-Valeri e voto d«Ua Caoim»-
sion« araldica lombarda , adla vertenu del principe Ferrante GoDngioi
marchesi Guerrieri di Mantova.
STOUDITSKII (J-)- Generalissimus A. V. Souverov. Koslroma, imp. d«
États provinciaux, 1901, in-8, pp. 19.
SUIOA (d/ Wilhelm). Das Leben dcr hi. Agnes.Fresken-Cyklus in S. Teo-
doro zu Pavia. — Helbings Monalsbericìite, a. II, 1903, p. igT-aoa
TALAHONI (sac. Luigi). Cronaca illustrata delle feste celebrate in Mona
nell'ottobre dell'anno 1901 per la solenne traslazione del conditi-
dino S. Gerardo de' Tintori. Monza, tip. Artìgìanellt orfani, 1900.
in-8 fìg-, pp. 127 con ritratto.
TARNUZZER (Chr.). Friedrich Rolle Ober den Bergsturz von Phirs i6ii
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Il giudizio del geak^ Federica RoUe intorno 1
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stampe a cura di Aogek) Solerti. Voi VI (Rime d'occasione e d'en-
comio). Bologna^ Romagnoli-Dell'Acqua, edit., 1902. [« Collezione di
opere inedite o rare »J.
-» Il codice autografo di rime q pro$e di Bernardo Tasso, [esistente
nella Biblioteca Oliverìana di Pesaro e pubbhlicato da Domenico
Tordi] : appendice al libro terzo degli amori. Firenze, stab. tipo-
grafico C A. Materassi, 190Q, in-8, pp. 36.
Tasso. — V. Autobiogrgfia, Belloni, Melodia, Nerucci, Rydel, Pommerich,
* TORRETTA (Laura). Il « Liber de claris mulieribus » di Giovanni
Boccaccio. Parte IV. I plagiari, gli imitatori, i continuatori del
« Liber de claris mulieribus ». — Giornale Storico della Letteratura
Italiam, fase. CXVIILCXIX, 1903.
L'A. prende in esame il plagio di Giacomo Filippo Foresti, noto più
comunemente sotto il nome di fra Filippo da Bergamo, che dovette avere
una notevole diffusione nelli secoli XV e XVI, e quello di Domenico Bor-
digallo, cremonese, rimasto nonché inedito, sconosciuto sino a tempi recenti.
Intorno al Bordigallo Yt^ il noto lavoro del Novati, in Areh, Veneto, i88o.
"* TSIISO (Enrico dott. dol). Dello stemma dei Signori di Vilalta (Friuli)
(Villa)ta*Caporìacco © Torriani). •— Giomak ApMì€^, a. XXVIII,
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VACHÉC (CoJdMANOAJrr). Magenta; uno visite au champ de bataiUe. w
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con nuovi documenti. Pubblicata a spese dell'Ateneo in occasiono
del suo Centenario. — Brescia 1^ tip, F* Apollonio, 19084 in-B pp." 42
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ZUMBINI (B.). Studi sul Leopardi. Voi. I, in-i6. Firenze, G. Barbèra, 1902
[6. Canzone ad Angelo Mai].
APPUNTI E NOTIZIE
^\ ASCOBUi DEL c( PlUmABILE ITINERARIO DELLA FUGA DI AUBnOD A»-
civ. DI Milano ». — Il mio piccolo lavoro dal titolo : Il frobabSh i6m^
rio della fuga di Ariberto Arciv, di Milano (i), è stalo fatto Ofi^tloé
molta attenzione dal eh. prof. G. Romano, che gli dedicava quasi Kt
piene pagine del BoUetHno della Società Paxfse di Storia, Patria (Al. Id
Fase. III-IV, Sett.-Dic. 1902), e di tanta attenaicme io non patcìvo taoa
posso che ringraziarlo di cuore. Ma la cortese franchezza e Ubeità deDa
sua crìtica, mi fanno ad un tempo e necessità ed animo di indiziiiaq^
una breve risposta : credo di doverla non solamente a lui, ma anche a
me ed ai nostri pochi o molti lettori.
Invece dell'itinerario, dopo Landolfo Seniore e sulla testimonina
di lui solo, comunemente ammesso, e che conduce il profugo Ariberto
dalla Trebbia immediatamente al Po, e da questo a Milano, io ne propo-
nevo un altro, passante pei territori di S. Salvatore di Tolla e per Bob-
bio, e per ciò stesso assai più lungo, ma che mi sono sforzato di dimostrare
come assai più probabile e poco men che certo, in grazia della sua moho
maggiore sicurezza e di documenti e fatti che mi sembravano e mi sem-
brano ancora deporre in suo favore.
Ora il eh. prof. Romano viene in sostanza a dire : i.** che ritincraiio
fin qui comunemente ammesso, non poteva presentare le quasi insormoD-
tabili difficoltà da me accennate ; 2.^ che il primo de' mici documenti Don
prova l'andata di Ariberto all'abbazia di S. Salvatore di Tolla ; 3.^ die
l'altro documento, certamente Bobbiese e recante la sottoscrizione auto-
grafa di Ariberto, non può ass(?gnarsi all'anno della fuga 1037, se noa
dando esagerata importanza a pochi e vaghi indizi ; 4.® che non c'è ragiose
sufficiente per rifiutare nel caso nostro la testimonianza di Landolfo s^
niore; 5.^ che in conclusione la mia ipotesi, pur non mancando di certa
ingegnosa abilità, non è affatto scevra di temerità e di imprudenza, ed i
il risultato di un'artificiosa combinaz'ione di circostanze e d'india, che
non regge alla critica obbiettiva de' fatti ed alla forza delle tcstimoniaaie
sincrone debitamente vagliate.
(i) Arch. stor. lomb., a. XXIX, 1902, pp. 5-25.
APPUNTI E NOTIZIE 477
Non posso e non devo ripetere le cose già dette ; ma devo pure . ri-
spondere a tante e tanto gravi osseivaiioai, e lo farò colla massima bre-
vità. £ in^nvi tutto mi preme di dichiarare che detesto sinceramente ogni
sortaL di esagerazione e di artifìcio, e dovrei riconoscermi vittima di uno
strano fenomeno psicologico, ove dovessi persuadermi di essermivi ab-
h^ndoUflto in questo caso. Sappiamo tutti quello che può produrre in uno
spirilo la preoccupaiione di una tesi, come suol dirsi, sposata. Ma anche
i) Bjiio egregio contradditore riconosce ripetutamente che mi son limitato
a pnetter fuori un'ipotesi, e un'ipotesi di pura probabilità, per quanto que-
sta mi sembrasse grande e vicina alla certezza ; vicina ma non tanto da
raggiungerla, ciò che lascia luogo al dwubbio prudente e mi pare già
abbastanza lontano da temerità.
In quanto al primo dei punti suaccennati, le grandi difficoltà erano
per me la facilità dell'inseguimento in aperta pianura, e la quasi neces-
sità di pensare che i passaggi del fiume dovessero trovarsi occupati e guar-
dati dagli imperiali. Or la prima di queste difficoltà non vedo perchè e
come si debba proprio negare ; e per la seconda il eh. prof. R., che (come
egli stesso ci informa) fu sotto le armi, sa meglio di me la necessità di
assicuarsi le retrovie per truppe che si trovano in paese mal sicuro : e mal
sicuro per certissimo era il paese nostro ai tedeschi nell'epoca che ci ri-
guarda, e lo sapevano essi e lo mostrarono poi chiaramente i fatti seguiti,
come è notissimo.
Secondo punto : il primo dei miei documenti non prova l'andata di
Arìberto all'abbazia di S. Salvatore di Tolla. Ma non è questo ciò che io
chiesi al documento. Esso prova, e questo evidentemente, che Ariberto nel
luogo di sua detenzione pensò, e presto, a quell'abbazia. Ora a questo
pensiero (io diceva) dovette associarsene un altro : quello di tutto un ter-
ritorio che proprio dai pressi del luogo della detenzione di Ariberto saliva
fino al sommo Apennino, ai confini di quel di Bobbio, territorio ed eccle-
siasticamente e civilmente soggetto all'Arcivescovo di Milano, e precluso
a* funzionari di ogni altra signoria, compresa l'imperiale, e seminato di
luoghi forti, dove quindi con tutta facilità potevano gli inseguitori essere
od arrestati o tenuti a bada. E dico propriamente che Ariberto «dovette»
ricordare tutto questo, se io stesso non ho potuto far a meno di ricor-
darlo; onde venni pel primo raggruppando intomo al mio documento un
buon numero di notizie sicurissime, dall*insieme delle quali risulta mani-
festa, se nulla vedo, l'estensione e la sicurezza di quel territorio e di q ;ui
io traeva (p. 12-16) una considerazione nella presente fattispecie affatto
nuova e per me della massima importanza. Dico schiettamente ch^ mi fa
meraviglia il vedere come il eh. pr. R. di tutto questo non dice una sola
parola a' suoi lettori.
Terio punto : il documento recante la sottoscrizione di Ariberto non
si può assegnare all'anno 1037 se non esagerando l'importanza di pochi
e vaghi indizi. Ma non soltanto pochi e vaghi indizi, sibbene i segni
certi ho messo in luce che quel documento è di non poco posteriore
al 1027, come quello che mostra di ignorare affatto altri documenti di
quell'anno risguardanti l'identica materia, ed evidentemente descrive una
478 APPUNTI E NOTIZIE
condizione di cose e di persone da quella dell'anno 1027 non poco mu-
tata. Sono certissimo che, anche prescindendo dalla mia ipotesi, la pura e
rigorosa discussione diplomatica del documento, non potrebbe condurre
ad altra conclusione, che cioè esso attesta un passaggio di Arìberto a
Bobbio parecchi anni dopo il 1027. Ora è pur certo che tanto nella vita di
Ariberto quanto (per usare le parole del eh. pr. Romano) nel quadro ge-
nerale degli avvenimenti dell'epoca non può indicarsi per un tal passag-
gio occasione più favorevole o più probabile di quella della celebre fuga,
massime nel concorso delle circostanze di sopra per sommi capi richia-
mate e nel mio lavoro più largamente esposte.
£ questo mi fa più facile la strada al quarto punto, che cioè non c'è
ragione sufficiente per rifiutare nel caso nostro la testimonianza di Lan-
dolfo seniore. Anche supponendo che non si tratti se non di indizi, questi
non mi sembrano davvero né pochi né leggieri ; ed anche un processo in-
diziario si può prudentemente istituire, com'è notorio, massime contro un
soggetto come Landolfo, che ebbe già che fare coi tribunali della critica
e non ne usci colla fedina criminale interamente netta. I cronisti del tempo
sono d'accordo nella sostanza del fatto della fuga, è vero ; ma non della
sostanza qui si tratta, sibbene del modo tenuto nell'eseguire la fuga
stessa ; e nella determinazione di esso il nostro Landolfo, come ho dime-'
strato, fra i parecchi testimoni contemporanei al fatto, rimane tutto solo.
Ora quando Landolfo rimane teste unico, sì può e si deve dire che egli
non è di regola testimonio idoneo e attendibile : dico per i particolari, non
per le condizioni generali del tempo che fu suo, sebbene anche per queste
si dovrà pur sempre usare la più oculata prudenza, date le idee e le ten-
denze che Landolfo, come è noto, rappresenta.
Che Landolfo (c è lontano di alcuni decenni da' fatti che narra » lo
dà per certo anche il eh. prof. R. ; e concede eziandio che « nel suo rac-
cc conto non manca qualche spunto leggendario ». Sono già queste ben
gravi e compromettenti concessioni nella presente questione ; ma per es-
sere esatte dovevano essere molto più esplicite e più larghe; e sovra-
tutto non dovevano essere, dirò cosi, corrette dalla raccomandazione loro
soggiunta di non dimenticare che Landolfo « attinge d'ordinario alle gt-
« nuine sorgenti delle tradizioni milanesi e che il linguaggio vivo, colorito,
« drammatico della sua narrazione riproduce meravigliosamente l'impres-
u sione profonda che avevan lasciato nei contemporanei gli avvenimenti
« dell'anno 1037 ». Forse senza volerlo, il mio egregio critico ha ingran-
dita enormemente la questione, che, come fu posta da me, rimaneva, di-
rebbe il Giulini, una minutezza ; egli invece l'ha fatta diventare ima que-
stione abbastanza importante di crìtica storica, e questo con tal modo di
esprimersi, che può disorientare più d'uno, massime fra* giovani stu-
diosi, stante l'autorità di chi parla. Confesso che il linguaggio surriferito
mi toma strano, tanto manifesta e gratuita è la sua contraddizione con
tutto quello che i più autorevoli scrittori passati e presenti, nostri e stra-
nieri, i quali più di proposito si occuparono di Landolfo, dissero a suo
carico indicando libri, capitoli e pagine della sua H istoria.
APPUNTI E NOTIZIE 479
Muratori, Giulini, Fumagalli, Bollandisti, Giesebrecht, Pabst, Paech,
Wattenbach, Kurth, Balzani (i) fanno a gara in dime tutto il male possi-
bile. Se uno dice che Landolfo a usa di un modo di esporre negligente, »
Faltro soggiunge che u ama le copiose descrizioni, anzi le declamazioni
« che, come ognun vede, cadono da sé ». Chi, dopo aver notato che <(non,
«come Arnolfo, egli (Landolfo) fu presente alle cose che narra», gli fa
colpa di « aver sempre negletto l'ordine cronologico e d'aver poi, sul
« finire, tutto bruttamente messo sottosopra ; e chi denuncia le « calunnie,
c( l'ignoranza, la loquacità, le contraddizioni (ed anch'io ne ho indicato)
« dello scrittore ». Questi fanno notare che « Landolfo non s'intende af-
fi fatto di critica », che « non discerne le fonti, e lor toglie, aggiunge e
« muta a suo talento » ; altri lo dicono « tanto male informato, che nep-
<( pur conosce Arnolfo » ; e a accecato da studio di parte, autore malfido,
«sebbene sembri talvolta parlare dal tripode, appassionato, parzialissimo » ;
« ed ancora : cronicastro inetto ed assurdo, scrittore inesatto, insulso e fa-
« voloso ; avido cercatore di favole ; caricaturista della storia ».
Il Giulini è il più temperato di tutti ; pur dice anch'egli che « Lan-
« dolfo non è poi quello scrittore a cui si possa con totale sicurezza prestar
« fede » ; e ancora, che di lui « in alcune occasioni, per ciò che riguarda
« le minutezze » (è proprio il caso nostro), non egli sa « quanto possiamo
« di lui fidarci ».
Un solo scrittore, che io sappia, ha tentato a' giorni nostri di riabi-
litare il povero Landolfo, e fu il compianto L. A. Ferraj : tentativo da
lui condotto in modo al certo animoso e, si può anche dire, fino ad un
certo punto, brillante, così come portava l'ingegno suo. Ma oltre che gli
studi del Ferraj riguardano parti e fonti dell'opera landolfiana che non
han che fare colla nostra questione, il suo tentativo si deve purtroppo dire
caduto a vuoto, come si può vedere leggendo gli scritti che egli gli con-
sacrava, e le critiche di cui quegli scritti furono oggetto (2). Così che
Landolfo e l'opera e la sua attendibilità rimangono nello statu quo ante,
anzi in uno stato d'alcun poco peggiore, data la inutilità del tentativo.
(i) Pongo questa nota per chi volesse verificare le espressioni ed i
giudizi, che allegando e traducendo riporto.
Muratori, Ker. Italicar. SS. IV, p. 49 seg., 55, dove anche il severo
giudizio del PURICELLI, di cui sono le note al testo; GIULINI, Memo-
rie, ecc., Milano 1854, I, p. 74; H, 6, 565, 673; Fumagalli, Antichità
Longobardico-milanesi, III, pp. 225, 335; Acta SS., Jul. VI, pp. 509,
516; W. GIESEBRECHT, Geschtchte der aeutschen Kaiserzeit, II, Leipzig,
1885, p. 574, III, 2, ib. 1890, 1066; H. Pabst, De Ariberto secundo ar-
chief. MedioL, Berlin, 1864, p. 8; H. Paech, Die Pataria in Mai-
land, ecc., Sohdershausen, 1872, pp. 8, 21 ; W. Wattenbach, Mon. Germ.
Hist. SS,, VIII, Hannoverae, 1848, pp. 32 segg. iDeutschlands Geschichts-
quellen im Mittelalter, II, 6<» Aufl., Berlin 1894, p. 242; O. Kurth, Lan-
dulf der altere von Mailand, Halle a. S., 1885, 9; U, Balzani, Le cro-
nache italiane nel medio evOj Milano, looi, p. 235.
(2) L. A. Ferrai, / fonit di Landolfo seniore, Roma 1894, Estr. dal
Bull, deiristit. St. IL, n. 14; cfr. anche n. 16, 1895, pp. 5-47, p. 49-54;
Anàlecta Bollandiana, tom. XIV, Bruxelles, 1895; p. 209; XVII, 1898,
p. 228.
4^0 APPUNTI E NOTietE
Or, francamente, con un autore come Landolfo e trattandosi di un
particolare da lui solo attestato, mi pare che indiei anche molto più de-
boli de' miei (se pur per semplici inditi si vogliaa avere) basterebbero a
far nascere i più serii e giustificati dubbi sulla attendibilità di tale atte-
stazione, e con ciò stesso a conferire una qualche probabilità, a dir poco,
ad un'ipotesi qualsiasi, purché non assurda, nonché appoggiata a positivi
argomenti storici, topografici e diplomatici cotte quella da me proposta.
Mi rimane pertanto ben poco da rispondere al 5.® punto, dove
mi si oppone la critica obbiettiva dei fatti e la foria delle testimoniaaze
sincrone debitamente vagliate. Qui mi pare che si doveva invertire l'or-
dine ; perché, trattandosi di fatti da noi lontani, evidentemente la cri-
tica o il vagliamento delle fonti deve precedere quella dei fatti : e forse
dal non aver osservato quest'ordine è derivato tutto il guaio nel caso
nostro. Quanto a me che altro ho fattOj se non appunto vagliare le te-
stimonianze sincrone alla famosa fuga ? E il risultato fu, che del parti-
colare dell'itinerario attraverso il Po e la piatiura solo ed unico teste
rimane Landolfo nostro, il meno attendibile, come accennavo espressa-
mente (pp. 7-9). Ciò fatto, contrapposi a una testimoniatila gih per sé
stessa così sospetta i fatti che dalla natura delle cose e da altri docH-
menti mi risultavano. E' un fatto naturale e costante che gli amnes r«-
pidos si trovano piuttosto in montagna che al piano : é un fatto storico r
topografico largamente documentato il territorio di spettanza dell'arci-
vescovo di Milano disteso da vicino alla Trebbia fino al sommo Apennine
bobbiese : é un fatto la sottoscrizione autografa di Ariberto alla carta bob-
biese ; é una certezza diplomatica la posteriorità di quella carta all'altra
del 1027, posteriorità che non solo senza sforzo alcuno, ma necessaria-
mente la avvicina al 1037, l'anno della fuga. Se in tutto questo c'è esa-
gerazione ed artificio, confesso di non vedere affatto quale sia il metodo
buono.
Il pr. R. sollevava qualche altra difficoltà di minor peso : come mai
Ariberto non fa cenno dell'itinerario mio nella carta pur cosi loquace da
me in parte allegata? come mai nessuno dei cronisti contemporanei lo
indica, se difatto ebbe luogo? come mai l'itinerario landolfiano è stato
comunemente ammesso dagli scrittori venuti poi fino a' giorni nostri?
Alla prima domanda si può forse rispondere che un qualche cenno è
forse già negli amnes rapido s, un altro e forse più eloquente, per quanto
implicito, nelle donazioni poi fatte da Ariberto all'abbazia di S. Salvatore.
Più chiari ed espliciti cenni si può ben pensare che Ariberto non abbia
voluto fare, anche per non compromettere in modo inconfutabile, con un
documento pubblico, i favoreggiatori della sua fuga, i quali nelle altret-
tanto rapide che violente vicende di quei tempi avrebbero potuto uà
giorno o Paltro essere chiamati a risponderne ed a pagarne il fio : il po-
vero abbate Albizzone poteva informare, per quanto liberato dal carcere.
E con questo è già risposto alla seconda difficoltà, del silenzio degli scrit-
tori contemporanei : privi essi, bisogna dire, anche dei documenti a noi
noti sui particolari della fuga, si accontentarono, tranne Landolfo, della
sostanza del fatto.
APPUNTI E NOTIZO: 481
Quanto agli scrittori venuti poi fino a' giorni nostri, bisogna fare una
distinzione, anzi divisione capitale : tra quelli che seppero bene di che
scrivievano e con chi avevano a fare, e gli altri ; i primi, se ripeterono il
racconto di Landolfo, non lo fecero se non con tutto quel po' po' di ri-
serve che ho riferito in parte, e basta : degli altri non valeva la pena di
tener conto.
Ma io sono, lo ripeto, gratissimo all'egregio prof. R. per la sua cri-
tica : egli mi ha posto nella necessità di tornare sull'argomento ; e doveva
ben esservene bisogno, se nel mio povero articolo son riuscito a farmi
da cosi buono intenditore cosi male intendere. Mi è anche porta deside-
rata occasione di avvertire che alla nota (2) p. 5 dell'articolo stesso dove-
vasi aggiungere un cenno della replica del C. Cipolla al signor Pagani in
Archivio Ster. lem., XIX, 1903, pp. 377-385, e che a p. 23, nota (3) invece
di CornmcciUé devesi leggere Cornmcciari.
y i A Sàc. A. RATTI.
/^ IL RISTAURO DELLA CHIESA DI RIVOLTA D'ADDA. — Questo ristauro
ha richiamato su di sé, e con ragione, l'interessamento di tutti coloro che
si occupano d^arte e di storia, perchè farà risorgere un monumento pret-
tamente lombardo e di una ricchezza non comune. Se le absidi di questa
Chiesa e la facciata non avevano subito, nei secoli a noi vicini, che delle
deturpazioni non gravi, l'interno invece era stato completamente masche-
rato, mediante superfetazioni goffe; tanto da far supporre che non re-
stasse nulla più dell'organismo primitivo.
Volendo quel Rev.mo Prevosto, Mons. Agostino Desirelli, ricordare
con un'opera 4 decoro della Chiesa, il centenario di S. Alberto Quadrelli,
che fu prevosto di Rivolta nel XII secolo innanzi essere elevato alla sede
vescovile di Lodi, ne diede incarico alPing. arch. Cesare Nava. Il quale
propose senz'altro di tentare se fosse possibile un ritorno della Chiesa
alle sue antiche forme.
Si fecero degli assaggi, e questi diedero dei risultati superiori al-
l'aspettativa. Si trovò dapprima, scrostando una lesena di una delle
navate minori, un capitello in ceppo di Brembate, rappresentante un
uomo che uccide un cignale. Poi, spogliando un pilone, venne alla luce
uno di quel pili a fascio, che sono caratteristici dell'architettura lom-
barda, con capitelli ornati da aquile.
Visti i risultati degli assaggi, fu deciso senz'altro di procedere al
ristauro.
Le superfetazioni dell'epoca barocca e dei tempi a noi più vicini,
furono tolte, e la Chiesa riapparve in tutta la bellezza della sua originaria
struttura. Naturalmente le ferite fatte in quell'organismo non sono né
lievi, né poche. Ma nessun elemento manca per poter procedere ad un
ristauro sincero.
La Chiesa é a tre navi, terminate da absidi : la nave di mezzo é di-
visa in tre campate : le due anteriori sono coperte con volte a crociera,
sorrette da grossi cordoni in pietra : la terza invece, che corrispondeva
482 APPUNTI E NOTIZIE
all'antico presbiterio^ è a botte. Le navi minori hanno pure volte a cm-
ciera, ma senza cordoni.
Tutti i pili a fascio, come i capitelli, gli arconi, gli squarci delle iifr
stre, ecc., sono in ceppo gentile. Interessantissimi i motivi deuiuliffi
dei capitelli ; a intrecci di nastri e di fogliami, a figure d*wiÌMa1i, £
uomini e di mostri.
Scrostando le pareti ed i piloni, si trovarono poi anche mxàbt pittai^
per lo più, votive : degna di menzione, fra le altre, una cena dqpfatta-ad
coro, e di carattere arcaico.
I lavori di ristauro furono visitati dal Direttore dell'Ufficio Rapi-
nale dei Monumenti di Lombardia, Arch. Marietti, dalPArdi. Brlinwjt
dalPAvv. Romussi, dal nob. Arch. Bagatti-Valsecchi e da molti alto
cultori d'arte e di storia: i quali tutti ebbero a dichiarare che qidli
Chiesa, una volta ricondotta alla forma originaria, rappresenterà 0061
i più interessanti e completi monumenti dell'architettura lombarda» 1
/^ Un agrimensore cremonese del sbc. XV : Lbonaroo Maouhi
LA SUA OPERA. — A cura del professor M. Curtze di Thom è asataor «a
alla luce nelle Abhanilungen tur GeschichU éLer maikemaUscktm Wìt-
senssckaften, Leipzig, 1902, fase XII, p. 339 sgg., la Artìs M^rkt Fm^
tice comfUaiio^ importante trattatello d'Agrimensura, scrìtto odh 1^
conda metà del sec. XV da Leonardo Mainardi, geometra e mrlTaìiti^"
cremonese. Di Leonardo, quantunque abbia goduto bella fama, ad
campo della disciplina che professava, non si ha quasi veruna nolilìi;
che il Vida nelle Orationes ben note in lode di Cremona, ed il CarildE
negli Annales (questi sotto l'anno 1496, e. 222 B), stanno paghi a fané
un elogio inconcludente per i termini vaghi e generali con cui viene
espresso. D'altro canto, né Domenico Bordigallo, che pur durò quaranta
anni quasi a commemorare nella cronaca sua quanti cremonesi di qual-
che conto scendessero nella tomba, né Antonio Campi nella Crewuu
fedelissima hanno per lui una parola. L'Arisi stesso nella Cremona Vài-
rata, dedicando un breve paragrafo al Mainardi (paragrafo dal CuztK
riferito) non fa che rammentare il trattatello da lui dettato, dichiarandosi
debitore di tale notizia alla erudizione dell'amico suo P. L. A. Cotta di
Novara. Nelle Inscriptiones di Cremona, messe fuori dal Vairani, uguale
silenzio, benché d'altri Mainardi vi siano recati i titoli funebri; taldiè,
tutto sommato, può sembrar lecito il sospetto che maestro Leonardo ab-
bia trascorsa l'intera vita lungi dal suolo nativo. Ad ogni modo, conver-
rebbe istituir qualch'altra ricerca negli archivi cremonesi, prima tfafier-
mare che i documenti ne sono del tutto muti intorno a lui.
VArtis metrice f radice comfilatio del Mainardi, scritta latinamente^
si rinverrebbe, a detta del Curtze, solo in due codici del sec. XV, già pro-
prietà di Baldassare Boncompagni, e dopo la deplorata dispersione della
insigne biblioteca del dotto principe romano passati nelle mani d'un li-
braio antiquario di Monaco. A questi due mss. però deve aggiungersene
un terzo, rimasto ignoto al Curtze, il quale si conserva nell'Ambrosiana
di Milano, ed é certamente quello (sebbene Perudito professor di Tboo
i
APPUNTI E NOTIZIE 483
giudichi diversamente, p. 341) di cui il Cotta diede ragguaglio all'Arisi (i).
Questo codice, una raccolta di trattati astronomici e matematici, messa
insieme da Bartolomeo della Valle, architetto della Camera ducale e sti-
matore del comune di Milano (2), secondochè più e più volte si sotto-
scrive, ha per noi un certo interesse in quantochè, essendo stato com-
pilato Tanno 1485 (3), ci dà prova come VArs metrica del Mainardi fosse
da tempo divulgata, e ci autorizza quindi a creder che l'Autor suo la
scrivesse verso il 1475 circa.
Un quarto codice, appartenente alla biblioteca universitaria di Gòt-
tingen (Cod. PhiloL 46) offre poi una traduzione in volgare dell'opera di
Leonardo, notabilmente ampliata; ed è questa redazione appunto che il
Curtze ha preferito mettere in luce in luogo del testo latino, perchè il
suo interesse, sotto il rispetto degli studi matematici, è più ragguarde-
vole. Il Curtze non si pronunzia sulla questione se la versione debba cre-
dersi dovuta al Mainardi o eseguita da un più tardo studioso (sempre vis-
suto però nel quattrocento) : ed essa non è difatti di agevole soluzione.
Lo spiccatissimo color veneto che vi ha la lingua dice assai poco, giac-
ché in Cremona, sullo scorcio del sec. XV, si scriveva appunto, come in
tutta l'Alta Italia, in quell'ibrido linguaggio letterario, di cui tanti mo-
numenti ci attestano l'antichità e la pertinacia.
L'edizione del non agevole testo è stata condotta dal Curtze con
molta diligenza, ed è tale da far onore non che ad un matematico, ad un
filologo. Noi dobbiam dunque professargli gratitudine schietta per aver
tolto dall'obblio un documento cospicuo della scienza lombarda del Ri-
nascimento. F. N.
(i) Siccome l'Arisi scrive che l'opera di Leonardo a ms. Mediolani
<c servatur » e il cod. già Boncompagni 303 reca in fronte VEx libris di
(Giovanni Sitoni di Scazia milanese, così il Curtze ha creduta legittima
tale identificazione. Ma, com'è noto a quanti si sono occupati di studi cre-
monesi, tutte le notizie trasmesse dal Cotta nelle lettere sue all'Arisi so-
pra scrittori nati sulle rive del Po provengono dallo spoglio de' mss. Am-
brosiani che l'erudito novarese andava per suo conto rovistando.
(2) Il cod. segnato I 253 inf., è cartaceo, di fogli recent, numer. 118,
mis. m. 220 per 314. Esso conserva l'antica rilegatura in assicelle, le vec-
chie guardie formate da due frammenti d'un atto notarile del sec. XIV.
Il Della Valle vi ha ricopiato a nitidi caratteri un'Ars quadrantis et eius
of eratio (e. 1 A-ioA), una Tabula ad sciendum mensem diem et horam in-
troitus solis in quolibet signo fatta nel 132 1 e postillata nel 1395 (e. io B) ;
VArs metrica del Mainardi (e. 11 A-30 A) ; la Tabula sinuum (e. 30 B-33 A)
ed i due libri dell'Arythmetica di Boezio (e. 36 A-6q B). Da e. 67 A a 72 A
si han poi alcune Regale sofra lo algibra muchabile, ed il resto è tutto
bianco.
(3) Ved. a e. 35 B sotto certi versicoli l'iscrizione : Liber mei B,.,, ar-
chitecti et extimatoris comunis Mediolani scritum (sic) anno domini 1485.
Così qui come altrove, un più tardo possessore del libro e successore nel-
l'ufficio del Della Valle, Francesco Sitoni, ha cancellato il nome di Bar-
tolomeo per porre in luogo di esso il proprio (ved. e. i A, 35 A, 35 B, 118 B) ;
ma non si è avveduto che il Della Valle s'era pur sottoscritto a e. 16A;
sicché il suo sforzo di nasconderci la persona del copista e possessor primo
del volume è andato a vuoto.
Arch, Star. Lomb., Anno XXTX, Fase. XXXVI. 31
4^ APPUNTI E NOTIZIE
«% LA CONCESSIONE DELLA TORRE DELLl MPERATORE NEL 1489 A PlEIBO
Panigarola. — Sema qui entrare menomamente nel merito della quc-
stione artistica se sia sufficiente Tattestazione espressa del Lomazzo, inci-
dentalmente affatto, per l'assegnazione a Bramante dei dipinti recente-
mente tolti dalla casa Prinetti, e, pur ammesso che possano esser stid
ritenuti eccessivi, in mancanza di una precisa notizia, i dubbi messi in-
nanzi circa all'essere la casa di via Lanzone n. 4, di proprietà dei Pani-
garola anche prima della fine del XV secolo, crediamo opportuno di for-
nire qui appresso, per amor del vero, il testo della concessione stata fatta
nel 1489 dal duca Giovan Galeazzo Maria Sforza a Pietro Panigarola, can-
celliere ducale, della torre dell'Imperatore.
. . Al ^ ^* Quella occupazione a titolo d abitazione del vetusto fortilizio edifi-
t< e "^ \\ ^ ^ato in origine manifestamente a difesa della vicina chiesa del naviglio,
• • ' . benché, per la notorietà della famiglia, abbia fin dato al ponte detto delle
, ' ^>ir^^ ■* Pioppette il nome di ponte dei Panigarola, come evincasi dalle carte del
** '*^ ' ^.. '.*."- civico archivio, non esclude per sé che quella illustre prosapia potesse
,^ V - ''^ , j '^^ avere in Milano, e così nell'attuale via Lanzone, altra casa di sua perù-
' * \ nenza, e in ogni modo il documento stesso non parla che di un Pietro
Panigarola, né fa menzione del più celebre Gottardo, armigero del Duca,
^ ; illustrato da un epigramma di Piattino Piatti e padre della beata Arcan-
gela Panigarola^ cui, dalle indagini del comm. Beltrami, sarebbe da ascrì-
\' ■ .ic- * ^'"-^^'i vere l'ordinazione a Bramante degli affreschi in questione.
^ \ -' * '\ . . I . * • . ^ La torre, detta dell'Imperatore, in ricordanza dei soccorsi elargiti, al
\ . • ,- '-^ • ' , . »
v>
-• dir del Fiamma, dall'Imperatore di Costantinopoli Emanuele Comneno
per la ricostruzione delle mura di Milano dopo la distruzione del Barba-
^ rossa, non sorgeva del resto nemmeno sul ponte delle Pioppette, ma,
\:ome ebbe a rilevarsi dai disegni di Leonardo pubblicati dal Ricbter,
^voì. 2, tav. CIX, trovavasi e si levava in corrispondenzaf allo sbocco di
via Vettabbia colla via Molino delle Armi.
Né va taciuto che il Calco ed il Sigonio ritengono appartenesse quel-
Tedifizio di difesa all'epoca della costruzione della chiusura della Vet-
tabbia, e che il Torre e il Lattuada lo vorrebbero eretto da Lodovico il
Bavaro, imperatore di Germania, nel 1328.
Il Giulini ce ne lasciò un disegno nella sua monumentale opera; e
quell'atto di cessione ad un privato, con poche restrizioni, di una torre
di difesa della città in un punto strategico di somma importanza, dinota
quanto fosse ritenuto lontano, sotto il dominio sforzesco, il pericolo di
un'invasione nemica, tantoché spettava al Lautrech, nel primo quarto del
XVI secolo, il compito d'avvisare ai mezzi di rinforzare per l'appunto le
mura cittadine, come dalla Relazione pubblicata a p. 292 del IV volume
di qxiest^Arckirio.
Da qualche accenno dei motivi dell'istanza può financo arguirsi che
quelle concessioni a privati di torri e fortilizi, venissero fatte, più che
altro, a scopo di non lasciar deperire del tutto le costruzioni che il go-
verno ducale non si curava nemmeno di riattare, benché pel favore con-
APPUNTI E NOTIZIE 4B5
cesso a Pietro Panigarola di poter ridurre a civile abitazione la torre del-
l'Imperatore, si tenesse conto in ispecial modo dei servizi da lui resi cum
fide et integritate nei pubblici uffici.
Ed ecco ora, senza ulteriori osservazioni, il documento in discorso :
« Concessio et seu donatio d. Petri Panigarole ducalis cancellarius
<c de turri Imperatoris nuncupata.
((Johannes Galeaz Maria Sphortia, Vicecomes, dux Mediolani, Pa-
« pie Anglerieque comes ac Genuae et Cremonae dominus
(( Cum nobis exibita fuisset nomine Petri Panigarola, quondam Hen-
«rici, civis mediolanensis, cancellarii nostri dilecti, supplicatio tenoris
« qui subsequitur, videlicet :
(( Ill.mo Princeps. Havendo il vostro fìdelissimo et devotissimo ser-
((vitore Pietro Panigarola veduto per Vostra Eccellenza essersi li anni
« prossimi passati concesse diverse torri situate nel muro della sua inclita
« città de Mediolano a diversi cittadini, li quali li hanno acconze et reedi-
« ficate et fattele bone habitatione, come quelli desidereria anche lui far
« qualche cosa ad ornamento de dieta città, essendo vero et bono cit-
c( tadino ;
c( Havendo avvertito restare una torrazza situata fora della città suso
(( el muro dil fosso de fora de la dieta città, chiamata la torre dell'Impe-
« rotore, tra Porta Ticinese et Porta romana, dove passa sotto l'acqua
« del Nirone o Vedrà, la quale è disabitata et in processo de tempo me-
« nazerà mina se non lo provvede ;
(( Confidandosi nella clementia et benignità de vostra Celsitudine, et
M sua liberalità eo maxime che di tale torre non si cava utile aut emolu-
« mento alcuno né è cosa dannosa a veruno ; et quod nemini nocet et
« alteri prodest de facili concedendum est ; prega humilmente et supplica
« dicto Pietro vostra Eccll. Signoria, che se degnìa venderli per sue let-
« tere patenti dieta torre, che possa habitarla et in quella fare quegli
(( haedifìtii gli pariranno expedienti per uso suo et de suoi discendenti et
« quibus dederit, non obstante alcuni ordini, statuti aut decreti disponenti
« in contrario, come lui si confida in quella alla quale in aetemum se rac-
« comanda.
(( Inf ormationes assumi mandavimus litteris nostris per quaestores
« nostros extraordinari os, an concessio et donatio que pctiebatur fieri
(( posset, sine prejudicio status nostri, intratarum nostrarum aut alicujus
« tertii, a quibus relatio nobis faeta est quae proxime describitur.
(( Ill.mo Princeps ac Eccell. dominus dns noster Colendissime. Ve-
« strae illust.ma dominatio suis litteris diei 2 instantis mensis, signatis
« B. Calchus, nobis injunxit ut, sumptis opportunis informationibus, re-
« que comunicata cum Ambrosio Terrario, laboreriorum Ecc.tia Vestrae
« Commissario, rescribere debeamus vestrae Dominationi si, ex conces-
« sione turris nuncupatae Imperatoris sitae extra moenia hujus inclitae ci-
((vitatis Mediolani, quam a vestra Dominatione dono petiit Petrus Pani-
«garola, Ecce Vestrae Cancellarius, allaturum esset praejudicium statui
«et intratis Vestrae Dominationis et alieni privato, prò eujus quidem
4^6 APPUNTI E NOTIZIE
« commissionis cxccutione, et si nobis omnibus noti ossei res. cum ipsam
«turrim sacpe numero viderimus; tamen ut dilij^^c :.tius consideraretur,
« nonnulli ex nobis super loco se receperunt reque oculis subjecta retu-
« lerunt nobis corum apparcre, comunicatoque etiam negotio cum ipso
« Ambrogio in hanc sententiam devcnimus et ita referimus Vestrae Ec-
cccell.tiae dictam conccssionem posse fieri ubsque prejudicio status ejus-
« dem, stantibus rebus dominii vestri prout de presenti stant : et quod
« non adhibeatur ipsi turri aliquod novum haedifitium ex quo fortilitium
c< censeatur aut fortificaretur, et non possit aliqua porta seu hostium fieri
c( in pariete construendo versus fossam Mediolani seu navigium, intratis
« vero non esse plus praejudicium allaturum, ut ex sostis et turriculis
« multis concessis, alicuique privato dieta concessi© non affert praeju-
<c dicium ut ex informationibus habitis nobis videtur. Disponat nunc Vestra
c( Dominati© prò libito voluntatis suae cui humiliter remìssionem nos
« commissos facimus. Datum Mediolani, die 29 Mai 1489 et inclita Do-
« minationis Vestrae fidelcs servi, magistri intratarum extraordinarìonim,
« V.e Ecc.ae : signatum Bernardinus.
{A tergo) « lll.mo et Ex.mo dno d. dux Mediolani et dno nostro co-
u lendiss.mo. Quare cognitis rei qualitatc et petcntis animo qui civilem
« domum hacdificare intendit ex quo civitas ornatior ac pulchrior
« reddetur, eo libentius ad sibi complacendum raovemur, et in euxn
c( liberalitate utcndum ac munificentia quem cum cxperti in rebus
« status nostri sempcr probe se gessisse novimus, summaque cum fide et
« integritate, induccntibus igitur nos virtutibus ejus, tenere praesentìum
« et certa sciontia ; et de nostra potcstatis plenitudine eidem Petro Pani-
ci garola damus, concedimus et donamus prò se, haeredibu*?, successori-
(( busquc suis et (juibu^ dcdc rit, turrim nuncupatam Imperatoris, jitam
« extra mocnia civitatis nostrae inclitae Mediolani super muro fossae
« civitatis, intra portam ticincnsem et portam romanam, sub qua decurrit
(( a( cjua Nironis seu \'cpra, cum ejus loto situ ; et haedifitio cum aucto-
« ritate, arbitrio, facultate (!t ])otestate turrium ipsam apprehendondi, ac
« ea gaudendi ut supra, in eacjue fatiendi et haeditìcandi cjuidrjuid sibi
« libuerit prout jìresentem donationcm poteramus et potuissemus, ali-
ce quibus ordinibus. statutis, legibus et decretis in contrarium fatientibu-^
<( non attentis, quibus quo ad hoc tontum ex certa scicntia et de nostra
(( potestatis plenitudine derogamus et dcrogatuni esse volumus.
{( Declarantes tamen cjuod in ea turri haedifitia non con<"truat nova,
« que propugnacula vocitantur aut ipsa fortilitium efficiatur. sed civilem
« habitationem, quodquc in muro construendo versus civiiatem in rippi?
« fossae <eu navigii hostium aliquid dimittere non valeat seu aperire,
(( Mandantcs magistris Intratarum nostrarum extraordinariarum et
« Vicario ac duodecim Provvisionum Communis nostri Mediolani. et 5Ìn-
« dicis ut has nostras concessionis et donationis litteras observent et fa-
ce tiant ab aliis obscrvari, nec eontra eas t[uidam attentari presumat, sub
« indignationis nostrae poena, in quarum testimonium praesentcs fieri
ce jussimus et registrari, nostricjue sigilli munimine roborari.
APPUNTI E NOTIZIE 487
«Datum Viglevano die sexto Novembris anno MCCCCLXXX nono,
«signat. nostro B. Calcho et sigillante sigillo seu apprensione soliti sl-
«gilli ducalis in cera alba more consueto ».
Diego Sant'Ambrogio.
/, Divorzio e matrimoni forzati. —- Del divorzio in Piemonte nel
Medio Evo, se riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, ha scritto il Ga-
botto producendo documenti inediti, nella Rassegna Internasionale di
Roma (i® maggio 1902). Per Novara possiamo, a nostra volta, oflFrirne
uno dell'anno 15 18, traendolo dall'Archivio Trivulzio. E' dei 20 die* di
quell'anno la sentenza di Cristoforo de Toriano e Gio. Battista Nibbia,
canonici della cattedrale di Novara, delegati apostolici, a favore di don
Giovanni della Silva fil. del quondam Cristoforo di poter contrarre nuovo
matrimonio con altra donna, annullato il suo precedente con Elisabetta
da Ponte come da sentenza di divorzio pronunciata ai 7 aprile 15 14 da
Ottaviano della Porta, vicario vescovile di Novara e delegato aposto-
lico (i). Famiglie storicamente celebri nell'Ossola quelle dei della Silva e
dei da Ponte I
Nel quattrocento -esempi numerosi di matrimoni forzati dichiarati
tali per deposizioni avanti notajo. Cosi ai 23 gennaio 1438 la nobildonna
Antonia da Marano, figlia del qd.m Giovanni, già cittadina di Parma, e
dimorante a Milano, in P. Nuova nella parrocchia di S. Eusebio, pro-
testava dinnanzi al notaio Giovanni da Roncate, di essere la moglie del
nobile Giovanni Simone, figlio del medico ducale Gio. Marco de' Pal-
menghi, e che se « contraxit matrimonium cum Comite Angelo de Sancto
« Vitali, civi Parmensi, » o con altro, u dictum matrimonium non fuit
« spontaneum, nec voluntarium, sed meticolosum, violentum » 2).
Dei 3 giugno 1465 è la delegazione da parte del nobile Pietro da
Landriano, ducale cameriere, e figlio emancipato di Accursio, in P. Co-
masina, parrocchia di S. Cipriano, nei suoi fratelli fra Giacomo, prevo»
sto della casa umiliata di Viboldone, Francesco, Antonio, Agostino e
Battista da Landriano, a comparire dinnanzi al Vicario Arcivescovile ed
al Primicerio del Duomo per attestare e notificare « se fuisse violenter
« detentum et tamquam in privatis carceribus inclusum » nella casa d'abi-
tazione dei fratelli Giovanni e Francesco Orombelli a ad hoc ut duxerit
(( in uxorem quamdam Antoniam que, ut dicitur, habitabat in domo die-
te tonim de Honimbellis » ; che egli per timore, e per le percosse e ferite
ricevute « ducere promisit, protestans se nolle illam haberc prò uorxe » (3).
E. M.
LIBRI DI ABBREVIATURE. — Nel fasc. I-II 1902 della Bibliothè-
que de VEcole des chartes, il prof. H. Omont ha riprodotto a fac-si-
(i) Araldica; famiglie diverse : Silva, cartella n. 141.
(a) Rogito notaio Giov. da Roncate, in Cod. Triv. n. 1817, fol. 2421.
(3) Rogito notaio Maffeo Suganappi, in Cod. Triv, 1820, fol. 481 IH.
488 APPUNTI E NOTIZIE
mik un piccolo lessico d'abbreviature latine stampato nel 1 554 in Brescia
e ch'egli considera come il più antico lessico che, suH'imitazione dei nu-
merosi e antichi testi d'abbreviature giuridiche (ad es. il divulgads-
simo Modus legendi abrevialuras in uiroque jure, ch'ebbe 68 edizioni dal
XV al XVII secolo), siasi composto a scopo puramente paleografico e per
uso dei lettori novizi.
Trattasi della Kegoletta nella qual troverai ogni sorte de abbrevta-
ture usuale. Et allo incontro de tutte le farole abbreviate haverai esse
farole destinate per ordine de alfhabeto, stampato in 8 carte in 4* pic-
colo a 2 colonne dai fratelli Damiano e Giacomo Filippo Zurlini. Stando
all'illustre bibliografo francese un solo esemplare si conoscerebbe, quello
della Nazionale di Parigi : aggiungiamo qui volontieri che ne possiede
copia anche la Trivulziana (Fondo Belgioioso, n. 4313). Ma l'esemplare
trivulziano della « Regoletta » è rilegato col DlCTlON.\Rio, o meglio aWx-
cedario, Ofera di Giovanbattista Verini Fiorentino in la quale si conitene
tutti li nomi masculini e feminini di tutte quante le cose del . jndo wr
e morte in lingua Toscka, stampato nel 1532 dal noto tipografo Gottardo
da Ponte in Milano, presso cui abitava l'autore, conosciuto per altri con-
simili lavori. La penultima pagina di questo curioso opuscolo offre le
« Abreviature che si trovano nelli libri con la dechiaratione », un gruppo
di 81 da « antiphona » a « Christe » e che voglionsi segnalare comecbè
precedenti di due anni quelle esposte nella « Regoletta » bresciana fat-
taci gustare dal prof. Omont.
/^ K" uscita or ora in luco la jìartc prima del tomo XXXI degli Scnp-
torcs rerum germanicarum, una delle sezioni in cui, come i lettori b«?n'r
sanno, vanno divisi i Monumcftta Gcmianiae historicaj ed essa contim''
tra varie cronache, italiane tutte d'origine, talune opere le quali ot-
frono un interesse peculiarissimo per la Lombardia. Vi troviamo difam
ristampati da O. Holdcr-Egger gli Annales Crewnnenses, la Sicardi e-pi-
scopi ('roìiica, da tanto tempo desiderata, con la continuazione fino
al 121S e raggiunta fino al 1222, gli Atiuales lU^rgoniates, gli Annala
Ber (pomate s brcvcs^ ecc.. Daremo tostochè ci sarà possibile una r\' u-
sione dell'importante pubblicazione : la Cronaca di Sicardo essendo ?t3U
infatti una d«'ll(! fonti a cui più largamente attinsero gli "Storiografi 'cl 1
croni>ti lombardi de' sec. XIII e XIV.
,*^ Per fr staggiare le fauste nozze Galimberti-Schanzer, seguite in
Roma il iS ottobre 1902, il prof. Adolfo Cinquini ha dato in luce in el-
gantis^ima (dizione di soli 100 esemplari alquante lettere fiji qui inedit'
dell'umanista milanese Pier Candido Decembrio, le (juali giovano ad
illustrare sempre meglio la storia delTumanesimo in Lombardia durante
la prima metà del sec. XV. Daremo in un de' prossimi fascicoli più at cu-
rata notizia dell'importante pubblicazione.
APPUNTI E NOTIZIE 489
/^ Il chiaro avv. conte Girolamo Secco-Suardo, che spende i giorni
della sua verde vecchiezza nelPillustrare con affezione di figlio le memorie
della propria città natale, ha testé pubblicato per le stampe (OflScine del-
l'Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, 1902, pp. 24), alcuni <c ap-
punti M sul Lo sgombero iella suffellettile libraria inutile dalle biblio-
teche pubbliche e la Biblioteca civica di Bergamo.
Prendendo le mosse dal progetto di legge presentato dal ministro
Nasi alla Camera dei deputati il 26 aprile 1902, per provvedere a sgra-
vare la Braidense di Milano dall'immane pondo di vecchi libri e recen-
tissimi stampati, inutili agli studiosi, il Secco-Suardo esprime il voto che
anche a Bergamo si provveda a sgombrare dal soverchio ammasso di
volumi che vi si son venuti accatastando, le sale del Palazzo Vecchio,
destinate ad accogliere la civica biblioteca, cosicché si possano nel ve-
tusto edificio eseguire de' restauri non men necessari che decorosi.
Egli coglie in pari tempo l'occasione per ritornare sopra taluni sog-
getti già trattati nel suo libro da noi ultimamente analizzato (cfr. Archi-
vio, XXIX, 419) ed aggiungere nuovi elementi alla storia del palazzo, che
è ornamento precipuo della magnifica piazza bergamasca.
♦*» Segnaliamo la comparsa del I fase, del Diaionario tofografico
storico-bibliografico dei Comuni e delle Fraaioni del Regno d'Italia per
cura di Armando Ferrari (Milano, Libreria editrice nazionale, 34 Via Bu-
rini, in-8® gr., pp. XVl-i6). Il Dizionario, che si comporrà di io volumi di
circa 500 pagine cadauno, stampati a 2 colonne, intende di provvedere di
una guida sicura che faccia conoscere le condizioni geografiche, etno-
grafiche; la viabilità, i mezzi di comunicazione; le dipendenze rispetto
allo Stato, alla Provincia, al Circondario, al Mandamento; la circola-
zione ecclesiastica; i risultati dei censimenti 1871, 1881 e 1901; la storia
e la bibliografia storica statutaria dei Comuni e delle frazioni di Comuni.
Il fascicolo comparso informa intomo a : Abbadia Cerreto, Abbadia so-
fr^Adda, Abbazia (frazione di Sesto Calende), Abbiate grasso, Abbiate-
guazzone.
/^ Indici del casali s. — Non v'ha studioso di cose storiche, spe-
cialmente Piemontesi e Lombarde, a cui non sìa noto il Dizionario sto-
rico-geografico degli Stati Sardi del Casalis, che non se ne sia servito,
e che non riconosca in quale pregio anche al giorno d'oggi si debba te-
nere, per la sua indiscutibile utilità. Ma esso mancò finora di un Indice
generale analitico che rendesse le ricerche per consultazioni di esito im-
mediato. Ora ci piace annunciare che quest'Indice, a cura di L. De Mauri,
vedrà la luce presso la Libreria antiquaria patristica (Via XX Settem-
bre, 87), di Torino. Darà luogo ad un volume in-8®, cui saranno premessi
brevi cenni sulla Vita del Casalis ed il suo ritratto. Prezzo pei sottoscrit-
tori L. 7. Quest'intrapresa non può che trovare benevola accoglienza
presso gli studiosi.
4S^ Appunti E lionzft
^% Congresso internazionale di scienzb storichs im Roka. — Pob-
blichiamo qui il Regolamento del Congresso che^ come è sttto detto al-
trove (v. Atti deUa Società, p. 506 di questo fase) si territ m RonA
il prossimo mese d'apiile:
Art. i. Il Congresso intenuudonale di sdenie storidie stri ttmno la Jtoni
fra i cnltori di esse sdenze ndla prima metà dell'aprile dèlTaimo 1901.
Art. 2. Per essere iscritti membri del Congresso i cultori ddk aci«
storiche devono inviare l'adesione alla sq^reteria dd Comitato nàtaneDat aOa
quota d'iscrizione.
Art. 3. Gli aderenti al Congresso indidieranno la seaioiie o le fedoni oda
quali intendono iscrìversi
Essi possono intervenire in qualunque ddle seriooi dd CongicMo; ma aoa
hanno diritto di voto che in queUe neUe quali si .sono regotanneBie iacriiti, e
ndle riunioni generali. ^
Art. 4. I membri del Congresso, pagata la quota d' iacrizioiiey rioevcnow
la tessera di riconoscimento, il programma dd Congresso, i ^^^atm^m^ ^ |e
ftcflitaiioni di viaggio, ecc.
Essi hanno diritto di presentare prqxMte di tenti e oonumicadooi (da so^
toporsi all'approvazione deUa presidenza), di prendere parte alle ^'•r^wiiTrf e A
ricevere i resoconti ddle sedute dd Congresso che verranno pobblicatL
Art. 5.' Le proposte de' temi e ddle comunicaiioni devono esMre ptcsBattse
almeno entro il 15 febbraio 1903.
Per lo svolgimento ddle comunicazioni è stabilito il limite di venti ndmtf;
e i membri dd Congresso che prenderanno parte alla discussione sopra levnìe
questioni non potranno parlare die una sola volta suU'aigomento stesso, e per
non più di died minuti.
Le comunicaiioni non sono sottoposte a discussione, la quale è rìserratt
soltanto per i temi.
Art. 6. In ogni adunanza si dovranno trattare unicamente gli argomenti
compresi neirordine del giorno, escludendo assolutamente qualsivoglia digressione
dMndoIe personale o politica.
Art. 7. Le adunanze del Congresso sono generali e spedali.
Nelle generali si trattano le questioni attinenti a tutte le sezioni.
Art. 8. Per essere ammesso alle sedute occorre presentare la tessera.
Art. 9. Nella prima adunanza si eleggeranno da mtti i congressisti pit-
senti un presidente, quattro vicepresidenti, due segretari, e quattro vicesegretari
del Congresso.
Ogni sezione nominerà nel proprio seno un presidente, tre vicepresidenti, e
tre segretari.
Qualora la sezione debba dividersi in gruppi, ciascuno di questi sarà diretto
da un proprio vicepresidente e da due segretari.
Art. io. La lingua ufficiale del Congresso è l' italiana ; ma, col consono
della Presidenza, i congressisti potranno usare di altre lingue.
Art. II. Di tutte le comunicazioni, a cura degli autori o proponenti, sarà
immediatamente presentato alla segreterìa delle sezioni un sunto.
APPUNTI E NOTIZIE 49I
Art. 12. Di ogni adunanza del Congresso, a cura dei segretari, sarà tenuto
regolare e ampio processo verbale.
La presidenza provvederà a pubblicare tutti i verbali e resoconti sommari
delle comunicazioni e delle sedute del Congressa
Le sezioni, in cui il Congresso si divide, sono ora ridotte ad otto
e cioè :
L Storia Antica — Epigrafìa t— Filologia classica e comparata.
II. Storia medioevale e moderna — Metodica e scienze ausiliari,
in. Storia delle letterature.
rV. Archeologia e numismatica — Storia delle arti.
V. Storia del diritto.
VI. Storia della geografìa — Geografìa storica.
VII. Storia della filosofìa — Storia delle religioni.
Vili. Storia delle scienze matematiche, fìsiche, naturali e mediche.
NB, In relazione al numero degl'iscritti e dellle comunicazioni, le se-
zioni potranno essere suddivise in gruppi distinti.
L' indirizzo del Comitato direttivo del Congresso è il seguente : Via del
Collegio Romano, 26, Roma. — La quota d'iscrizione rimane pur
sempre fìssala in lire dodici.
,% EIrrata-corrigb. — Nel fase. XXXIV, a p. 362, la 3.* linea va
sostituita con questa:
linea di nomi francesi e provenzali come Amilly, Milltau, ma po-
^ P* 363» Ilota 2, linea x.*: per autografo leggi originale.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Adunanza generale del giorno 21 dicembre 1^02.
Presidenza del Presidente prof. F. Novati
La seduta si apre alle ore 14 colla lettura ed approvazione del pro-
cesso verbale della precedente adunanza. Il Presidente commemora i
soci defunti nell'ultimo semestre, senatori principe Gian Giacomo Tri-
vulzio e duca Guido Visconti di Modrone, conte Francesco Albeitoni-Pi-
cenardi, contessa Carolina Sormani Andreani Verri e senatore Gaetano
Negri.
(( Chi di mezzo al solenne silenzio della campagna romana percorra
la Via Appia, man mano che si dilunga dalle mura della città etema, vede
con meraviglia ai lati del cammino, un di frequente tanto di passeggen.
oggi perennemente deserto, affollarsi sempre più numerose le tombe. Co*i.
ove il paragone mi sia concesso, quanto più noi avanziamo negli anni.
scorgiamo spesseggiarci dintorno da tutto le parti i sepolcri ; sepolcri ia-
grimati, dove scendono gli uni appresso gli altri i parianti, i maf-tri. .
compagni dett'età ])rima, i confidenti della balda giovinezza, gli ami-.
della pensosa maturità. Ed ogni giorno che passa si porta via colla viiu
altrui un brandello pur della nostra ; ond'avviene che ci si vada così avvi-
cinando al pa'iso estremo senza soverchio rimpianto, poiché di noi gii
gran parte è perita, e quel che ci sta dintorno appare agli affaticati nucv .
indififercnte, straniero.
« Perdonatemi, o signori, la mestizia di (juesto esordio. Ma non '■:
dessa un naturale portato delle odierne circostanze ? Anche nell'anno eh
sta ])er ^pegner>;i (juanti commilitoni disertarono le nostre file, iibb
dienti all'apprllo inevitabile! 1 vuoti son molti e tali da non potersi col-
mare. Come disparve dopo lunghe sofferenze I-uigi Allx*rto Ferraj. "^
con indefes'^o zelo aveva atte^^o ad illustrare le fasi più remote della -t<
ria ('( clesia^tica e comunale milanese, ci hanno per sompro abbandona::
due cospicui rapprest^ntanti di quelTeletta aristocrazia cittadina, che vani.-
tradizioni così onorevoli di scienza e d'amor patrio : Gian Giacomo Tr
vulzio, (juido Visconti di Modrone. E dopo di loro è disceso colà une
niuno ritorna, non grave d'anni, il discendente d"un vecchio cr'pp» p
I
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOBIBAROA 493
trizio cremonese, il conte Francesco Albextoni-Picenardi di Macherio;
ultima una dama che alla mente de' concittadini suoi rievocava ancora
con realtà quasi inaspettata un passato oramai molto remoto : la con-
tessa Carolina Sormani-Andreani, figlia di Gabriele Verri, in cui finisce
la casa insigne nella storia nostra per nobilissimi fasti.
« Ma una perdita più che altra dolorosa a rammentare è quella a
cui Voi tutti rivolgete già in quest'istante il pensiero, precorrendo quasi
il mio dire. Al necrologio triste manca, pur troppo, un nome ancora, e
qual nome I — quello di Gaetano Negri. Come potremo scordar noi
mai l'ineffabile ambascia onde fummo sorpresi, quando con brutale con-
cisione tin telegrafico annunzio ci fece noto aver egli rinvenuta la morte
in una piacevole passeggiata, percotendo, a cagione d'improvvisa caduta,
sopra un sasso insidioso il venerato suo capo ? Fu, innanzi tutto, un
istintivo senso d'incredulità che ci invase. Com'era possibile I Morto Gae-
tano Negri ? Ma se l'avevamo veduto pochi giorni innanzi, richiamato in
città dalle elezioni amministrative, sbrigar colla festosa alacrità consueta
cento faccende, presiedere una seduta, dettare un articolo, foggiare una
epigrafe; quasi rifatto più robusto di corpo e di intelletto dalla vita li-
bera e lieta menata durante qualche settimana coi cari suoi, in riva al
mare, in communione con la natura di cui sempre ricercava, insaziabile
nel desideiio, gli spettacoli grandiosi ?
« Così era pur troppo. Ed il dolore che dinanzi al lutto improvviso
strinse tutti quanti in Italia serbano fede ancora alla dignità del carattere,
all'altezza dell'ingegno, ingombrò più forte noi della Società Storica
Lombarda, avvezzi a vederlo comparir sempre con agile andatura, con
benevolo sorriso sul labbro, in cotest'aula, tosto che la Presidenza chia-
masse i soci a raccolta. Da più anni non mancava mai ad alcuna
seduta ; né v'era volta ch'ei non prendesse la parola per propugnare una
idea, buona, generosa, per impedire che un atto inconsulto si compiesse,
che altre iatture s'aggiungessero a quelle dalle memorie cittadine già
patite. Ed egli parlava, in mezzo alla riverente attenzione nostra, con
quel suo fluido linguaggio, bonario si, ma castigato sempre e preciso,
quell'eloquenza spontanea e semplice, di cui possedeva il segreto, rav-
vivandola coll'opportuna facezia, col frizzo arguto e cortese, che stimo-
lava l'interesse e provocava l'assenso. Ei difese qui la Pusterla de' Fab-
bri ; parlò concitato a tutela delle colonne di san Lorenzo ; plaudì soddi-
sfatto — non sono ancora trascorsi da allora dieci mesi ! — ai fortunati
tentativi di serbare incolume san Raffaele.
« Giovenilmente vigorosa, la voce sua calda e sonora ci additava in
ogni circostanza la via più breve, l'espediente più sicuro ; era una gioia
per noi metter mano a quelle imprese che la geniale sua sagacia avesse
giudicate meritevoli d'approvazione.
« Questo sincero interesse onde Gaetano Negri fu mai sempre largo
verso la Società nostra, traeva il primo e precipuo suo fondamento dal-
l'amore intenso ch'ei nudriva per la città natale. Era quello ch'ei provava
per Milano un affetto di figlio insieme e d'amante : un affetto quale può
494 A*^^ DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
accoglier in cuore soltanto chi Tabbia ereditato, quasi domestico patri-
monio, dagli avi che lo coltivarono per secoli con ingenuo orgoglio ed
indelebile fede ; un afpetto, che fin dai primi suoi anni fiammeggiava tanto
in lui, da indurlo a definirsi « un individuo che mai non si potrà awez-
« zare alla lontananza dalla sua diletta guglia del Duomo n. Affezioni di
sifatta natura possono talvolta, se non traviare il giudizio, renderlo un
poco angusto e meschino : ma tale non era davvero né avrebbe potuto mai
essere il caso pel Negri. Già da tempi, che a molti paiono dilungarsi e
svanire quasi nel buio del passato ; poiché, pur troppo, la vita non corra
oggi, bensì precipita ; ed in un lustro s'avvicendano più mutazioni che noa
si verificassero altra volta in un quarto di secolo ; egli aveva intuito con
mirabile lucidità di visione l'avvenire che attendeva Milano : e s'era
sforzato di far sì che la <( gran villa n si preparasse a sostenere degna-
mente quella parte di metropoli della Lombardia redenta, a cui doveva
fatalmente risalire dopo il lungo sonno, nel quale l'avevano sommersa
le tirannie domestiche e le forestiere. Non occorre certo ch'io mi dilun-
ghi qui a rammentare quanto a tutti Voi è ben noto : come Gaetano Nfr-
grì, dedicando la miglior parte della sua vita al bene di Milano, abbia,
con ardimento sapiente raggiunto l'intento, indirizzandolo sulla via di
un infaticabile progresso. Lasciamo che le furibonde passioni si calmino,
che sulle misere gare intestine, a cagion delle quali « non stanno sena
«guerra li cittadini della città partita»,
e riin l'altro ai rode
Di que' che un muro ed una fossa serra ;
trascorra purificatrice Tala del tempo. La storia, imparziale, ridirà un
giorno i meriti insigni del Negri, del « primo cittadino di Milano. })e:
« tale considerato da tutta Italia, come fu giustamente asserito, dopo la
« morte di Alessandro Manzoni » : ella rimetterà in j)iena luce il solido
monumento, su cui l'estinto illustre ha saputo incidere il proprio nuoir.
e contro il quale vanamente l'invidia esercita tuttora le unghiate >uf
mani ed il dente avvelenato.
*
(( Nel cuore di Gaetano Negri, cresciuto in mezzo a quel m^ico ri-
sveglio di tutto un popolo, onde, miracolo nuovo ed insperato, vennero
a rinsaldarsi ed a fondersi in compagine indissolubile le membra spary
d'Italia, la tenerezza per il luogo nativo non seppe però scompagnarsi mai
da un più largo sentimento di carità nazionale. Simile in questo (ne m
questo soltanto) al suo Dante, egli foggiò in un unico amore due amori
ugualmente nobili e grandi. E se alla città più caramente diletta sacrv li
virilità operosa e sapiente, alla patria offrì fin dall'adolescenza tutto ìè
stesso, con quella piena dimenticanza della individualità propria, che è
appunto l'indice infallibile dell'eroismo. Altri ebbe già in una triste oca-
i
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 495
sione a rammentare come il Nostro, non appena terminati gli studi, si
fosse volto alla professione del Panni, e come nell'arringo in cui era corso
affatto impreparato, sapesse toccare nobilissimo segno. Ma di cotesta
eroica sua giovinezza, alba luminosa d'un fulgido giorno, non più che
fugaci accenni si son avuti finora, vuoi perchè dei fatti, di cui il Negri
fu parte, dopo tanto la?so di tempo, erano illanguiditi i ricordi nella me-
moria stessa di quelli che ne furono testimoni, vuoi perchè egli stesso,
modesto quanto valoroso, ripugnò sempre a raccontare, anche nel con-
fidente abbandonò di familiari colloqui, un episodio che pur deve anno-
verarsi tra i più nobili della sua nobile vita. Ma poiché pietà cortese di
superstiti ha voluto affidare alle mie mani un copioso carteggio tenuto da
Gaetano Negri col padre suo durante un intero quadriennio, dal 1859
al 1862, Voi certo non sgradirete ch'io ne deduca adesso i colori a lumeg-
giar meglio il carattere meravigliosamente poliedrico dell'amico per-
duto. Del quale — fa d'uopo forse ch'io il dica ? — non aspiriamo dav-
vero qui ad enumerare le influite benemerenze ch'egli acquistossi come
filosofo e come scrittore. Altri a ciò ebbe già opportunità d'attendere, e
dell'ufficio assunto si sdebitò da maestro. Pago a più modesti confini, io
sarò soddisfatto se mi avverrà di ritrarre con sufficiente evidenza quale
sia stato nel Negri il cittadino ed il soldato.
♦ «
« Ne' primi mesi del 1859, mentre il Piemonte s'apparecchiava ad
accogliere audacemente la sfida dell'Austria, che, ingrossando gli eser-
citi ai confini, ne minacciava l'invasione, quanti eran giovani lombardi
cui scaldasse il petto fiamma di libertà, affrettaronsi a Torino per arro-
larsi sotto la bandiera sabauda. Tra essi il Negri, che, dopo aver vana-
mente sollecitata dal padre licenza di correre a combattere tra le milizie
garibaldine, non vedeva altra via aperta al nobile suo ardore che quella
d'entrare nell'esercito regolare non fosse, risolse di cercar posto in quel
« corso suppletivo della R. militare Accademxia », che, per procacciarsi
con la necessaria prontezza nuovi ufficiali, il governo aveva aperto presso
la scuola militare di fanteria in Ivrea. Vinti alcuni ostacoli, cui dava oc-
casione l'immatura sua età — egli non toccava peranco i vent'anni — il
giovinetto raggiunse l'intento. Così, mentre scoppiava la guerra, e le
forze piemontesi, unite alle francesi, iniziavano la fortunata loro cam-
pagna, il Negri riducevasi con animo lieto a severa disciplina, sma-
nioso di conquistare un grado con tale celerità che gli tornasse le-
cito partecipar tosto alla santa contesa. Pur troppo però per lui
ed i quattrocento suoi compagni, le cose procedevano assai male ad
Ivrea, dove nessuno, a cominciare dal comandante, sapeva con precisione
ciò che si dovesse fare ; « incertezza, scriveva il Negri a suo padre il
3 di Maggio, che si estende anche in tutte le altre cose, di modo che in
quest'Accademia non regna l'ordine più perfetto, e, quel che è peggio,
496 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
ci si sente la moDcanza dì una regola, dì un vero sistema di studi t é
esercizi, che possa condurre presto e bene allo scopo desiderato. Gli ot-
dini e i contr'ordini si avvicendano senza posa.... Del resto, non stue a
credere — soggiungeva — che io abbia per la testa altri progetti che li
polrcbbLTO dispiacere. Io starò aspettando la mia sorte in meno a 400
malcontenti, di cui molti rimpiangono il pensiero che loro è venuto di
recarsi in questo sedicente nido dì ufficiali in erba. » Ma altre settimiK
passavano : si combatteva, come a Montebello, a Palestro, a Magenta, e
l'impazienza generosa dei reclusi non aveva più freno. « Io spero — ktì-
veva il Negri addi 9 giugno — che questi signori recederanno dalla loro
ostinatissima risoluiione di non lasciar escire alcuno come semplice sol-
dato, e che quindi mi sarà concesso di rinunziare ad vm grado che a ne
è affatto indifferente, e la cui aspettazione mi tiene legato in questa na-
laugurata accademia, mi impedisce di fare quanto sarebbe mio debito di
fare e di partecipare alle emoiioni più belle e più nobili che si ponna
avere nella vita i>. Ma ecco quasi subito rischiararsi l'orizzonte. Urgente,
dopo la sanguinosa lotta di Solferino (14 giugno) crasi fatto il bisogna di
rafforzare i quadri della stremata ufgcialità piemontese : i burocratici ten-
i cedevano così dinanzi ai moniti imperiosi della Decessiti. A
a luglio il Negri abbandonava la scuola, vestito della divisa di wc-
: di fanteria, e prendeva servizio nel ó.° Reggimento Brigau
Aosta, in cui aveva chiesto di essere inscritto, sia perchè godeva (ami
di essere un de' migliori dell'esercito piemontese, sia perchè molli amid
suoi erano già entrati a farne parte.
Il Una nuova delusione tuttavia, e amara parecchio, attendeva il gio-
vine milanese all'uscita da Ivrea. La guerra, pur troppo, era per volonti
di Napoleone III finita, ed il 6* Reggimento in luogo di correre a aiìV-
rarsi in campo contro gli Austriaci, veniva mandato a condurre, pricni
a Brescia, quindi a Pavia, ad Alessandria, a Piacenza, la vita monotoni
ed incolore di guarnigione. Fu questo un colpo fiero per il Negri; nu
egli lo sopportò con rassegnazione fiduciosa. Distaccato a Fiumicella.
a Gorgonzola, a Bornago, passa l'inverno del '60 nella solitudine sqwl-
lida della campagna; cosa poco piacevole per un giovinotto, aweoo »
condurre vita di studioso ed insieme d'uomo di mondo, ■ primeggiare pfi
vivacità di spirilo e varietà di cultura in eleganti ritrovi '. Della mala for-
tuna ei si vendica da par suo, vaie a dire burlandosene : « Io sono ora-
mai — leggiamo in una lettera del 17 Agosto 1860 — nei pieno esercii»
delle mìe funzioni, al disimpegno dtlle quali devo confessare nonesiern
d'uopo di grande ingegno, poiché, ad eccezione dì quell'ora e mezn ott
passo alla mattina in piazza d'armi a comandare gli esercizi, del resto kj
non faccio che sorvegliare quello che fanno i miei soggetti- Q»»"'
tunque poi questi miei soggetti spesse volte ne sappiano assai pia di ■<■
pure io faccio pompa d'un cwirtcgno dignitoso ed imponeale, e dW»w
di
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 497
*
M II nuovo re^o era creato ; unita Italia sotto Vittorio Emanuele II ;
ma quanti pericoli ci minacciavano ancora! Nel mezzogiorno, conqui-
stato con epica grandexxa di battaglie sul borbonico dispotismo, la mala
pianta del brigantag^o s'era con spaventosa rapidità dilatata. Da Roma
mandavansi armi, denari, titoli ai più scellerati masnadieri : Cipriano La
Gala, Crocco-Donatelli, Caruso, José Borjes, invadevano, spargendovi
il terrore, gli Abruzzi, la Basilicata, la Calabria. I soldati, cui era vietato
d'affrontare il Quadrilatero, vennero mandati nelle provincie meridio-
nali a combattervi il delitto, che s'ammantava di politica veste. £ tra i
reggimenti che nell'autunno del 1861 dovettero recarsi a Napoli, trovò
luogo pur quello a cui il Negri apparteneva.
M Egli però, vincolato da non sappiamo quali esigenze di servizio,
non potè a tutta prima seguirlo. E ne fu desolato. « Questa sera — ei si
sfogava il 1® novembre col padre — metà della brigata Aosta salpò dal
porto per Napoli ; domattina partirà il resto. Io fui a bordo ad abbracciare
i miei compagni, e qual fosse la mia tristezza nel discendere da quel va-
scello che portava con sé tante speranze e tante affezioni credo che il
sentirai : Foldi, mi lasciò di farti mille saluti ». Ei sperava raggiunger
tosto gli amici \ ma nuovi impacci sorgevano a contrastare l'effettuazione
de' suoi voti. M Ti annunzierò — così in lettera del 12 febbraio — che la
mia ex- compagnia capitanata da Foldi si trovò sola alla Surriola a so-
stenere l'assalto di mille briganti e ne usci vittoriosa facendone prigio-
nieri 153. Foldi si distinse moltissimo, ed ebbe il kepy forato da una palla.
Io ti dò il consiglio di riposare ormai tranquillissimo sulla mia sorte :
credimi, vi è una fatalità che mi impedisce di sentire il fischio delle
palle. Quando si farà la guerra pel Veneto, se si combatterà nella pia-
nura, io sarò nei monti, se si combatterà nei monti io sarò nella pia-
nura : se si assalterà Verona, io sarò a Mantova, se Mantova io sarò a
Verona 1»
*
« Quando Dio volle, potè partir anche lui. Ciò seguì però soltanto
il 30 aprile : u Parto questa sera, ei scriveva, alle 5, sul /buggero. Il
<c tempo è bellissimo, e il mare è uno specchio. Addio ». — Era a Napoli
il 2 Maggio, e, vibrante d'entusiasmo, descriveva con singolare eloquenza
al padre le meraviglie di quel c( paradiso terrestre ». Chiamato in qua-
lità di aiutante presso il generale Ricotti, egli trovossi allora quasi libero
di sé e del suo tempo, che impiegava a contemplare il paesaggio, ad am-
mirare i monumenti, a studiare l'ambiente, in cui era stato così inopina-
tamente trasportato. Questo periodo di svago non ebbe tuttavia lunga
durata. Un mese dopo il Ricotti era improvvisamente chiamato a Torino
presso il ministero della guerra ; ed il suo aiutante, dopo averlo, com'era
debito suo, accompagnato, riconducevasi a Napoli ben fermo nel propo-
498 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
sito di rientrar^ al reggimento; e poiché non v'era proprio più maniera
d'azzuffarsi per llora cogli Austriaci, d'attendere a purificare il mezzo-
giorno dltalia dalla piaga turpe ed orrìbile del brìgantaggio.
« In questo oscuro e penoso ufficio l'esercito iltaliano diede prove su-
blimi di devozione alla patria ». Son queste parole d'uno storìco recentis-
simo (i); e la loro assoluta venta risulta provata luminosamente dalle
lettere di Gaetano Negri, quante egli ne venne scrivendo con premura
affettuosa al padre, dall'autunno del '61 fino all'estate dell'anno seguente.
Da esse difatti, quantunque il giovine prode si dia continua cura di
smorzar le tinte troppo crude della triste realtà per non accrescer senza
frutto le ambasce de' suoi cari, noi possiamo ricavare tutta una storia
commovente di nobili lotte e di ignorati eroismi.
« I reggimenti inviati nel Principato Ulteriore e nella Basilicata a
rintuzzare l'audacia di quelle orde brigantesche, le quali man mano che
gittavan via la maschera politica, rivelavansi più feroci e nefande, si
trovavano a dover combattere contro mille altri nemici che i masnadieri
non fossero. Costretti ad errare senza posa attraverso a regioni quasi sel-
vagge, a cercar asilo in villaggi, dove ninno mai perveniva, perchè, privi
di strade, di comunicazioni, vivevano affatto fuori del mondo; si senti-
vano oggetti di indifferenza, di sospetto, d'avversione. Le popolazioni,
anche se buone, li guardavano con paura: avverse alle novità siccome
erano, e per giunta intimorite dalle nefande rappresaglie con cui infu-
riava la reazione. Avevano di fronte degli avversari Vili, il più delle volte
e male organizzati, ma espertissimi de' luoghi, sorretti da innumerevoli
favoreggiatori, bande di montanari le quali apparivano e scomparivano
con rapidità che tenea del prodigio, e dopo aver seminato sul loro pas-
saggio il terrore, l'incendio, la strage, s'involavano nel folto di foreste
impenetrabili, su pe' gioghi di montagne inaccessibili alle giuste vendette.
Di qui una vita di agitazioni continue, di fatiche ingenti, di pericoli tanto
più gravi, quanto meno si potevano prevedere. Pur in mezzo a tante
angustie il Negri non cessa mai dal far prova d'una meravigliosa tran-
quillità d'animo : egli trova sempre maniera di scherzare, di presentar
sotto un aspetto quasi comico le sue più penose operazioni : « Per noi
poveri soldati, destinati a combattere il brigantaggio (così in una let-
tera del 5 febbraio) è proprio il caso di ripetere il detto che lessi più volte
sulle pareti delle chiese : Estote parati^ quia nescitis horam neque diem ».
Ed altrove : « Io sono come l'ebreo errante, colpito da un destino che mi
impedisce di fermarmi in un paese qualunque.... Io credo d'essere non
solo nel reggimento, ma direi in tutta l'armata l'ufficiale che fu maggior-
mente in moto. In cinque mesi ho cangiato otto volte di residenza, sema
contare quelle moltissime altre volte, che a motivo di qualche perlustra-
zione mi sono recato in un paese o nell'altro.... ». Ma egli sa che più del
freddo che soffre, più dei disagi che incontra son fonti inesauribili d'an-
goscia a chi l'ama i racconti sparsi intomo alla ferocità brutale de' pre-
(i) P. Orsi, V Italia moderna^ Milano, Hoepli, 1901, p. 264.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 499
doni contro i quali combatte. Di qui un assiduo studio da parte sua di
presentare gli accoliti di Chiavone, di La Gala^ di Crocco, quasi fossero
degli innocui briganti d'operetta. <( Questi signori briganti — egli dice —
commettono ogni sorta di nefandità contro gli inermi, ma appena vi è la
minaccia della più piccola resistenza fuggono prudentemente e ti lasciano
libero il campo ». Ed altrove : ce La lettera della zia Nina, che mi dice
che vivete sempre inquieti per me, mi è prova della necessità in cui sono
di tenervi sempre al corrente de' fatti miei.... Fra le altre cose la zia Nina,
parlando de' briganti, li qualifica di » tremendi ». Le dirai a mio nome
che tenga in serbo questo aggettivo per qualche cosa che maggiormente
lo meriti. Volesse il cielo che tutti i nostri nemici fossero tremendi al
pari dei briganti ! A quest'ora saremmo da lungo tempo padroni del Qua-
drilatero. In contraccambio sono però abilissimi a sfuggire tutte le nostre
ricerche, di maniera che le fatiche e le perlustrazioni hanno assai di rado
un buon risultato ». — Ed il io Novembre '61, dopo aver narrato con
gaiezza di stile le peripezie d'un allarme notturno del tutto infondato :
« Il comico della cosa — conclude — sta in ciò che i briganti non vi
sono mai ; e credimi fermamente che la loro esistenza è un mito, e tutti
coloro che li vedono sono in preda di una allucinazione ».
« Ma la verità si fa strada talvolta attraverso le pietose menzogne ; ed
egli stesso, incapace di nasconderla piti a lungo, trovasi costretto a ri-
conoscere che i briganti esistono e che nel dar loro la caccia si va in-
contro a pericoli ben seri. Ma i pericoli non son fatti davvero per sce-
margli ardimento. Nel giovine ufiìciale il sangue ribolle impetuoso; e
quando l'occasione di guardar bene in viso gli inafferrabili avversari si
presenta, oh come è lieto d'agguantarla I
a A Voi non toma certamente ignoto, o Signori, come in due azioni
militari il Negri avesse allora maniera di segnalarsi così da conse-
guire — premio ben meritato — due medaglie d'argento al valore. Gua-
dagnò la prima in una scaramuccia della quale fin qui niuno ha dato rag-
guaglio esatto, a Montesarchio (i) ; la seconda in un fatto d'armi ben più
grave intorno a cui alquanti particolari furono già sommariamente nar-
rati da un suo fido amico e compagno che lo precedette nel sepolcro,
Gerolamo Sala (2). Ricorderò entrambi gli episodi lasciando al prota-
gonista stesso la cura di descriverli.
(i) L'azione del 18 dicembre '61 è stata però riferita con elogi vivis-
simi al Negri da vari giornali del tempo; io ne ho sott'occhio una rela-
zione da Napoli, comparsa nel numero del 26 dicembre del L'Italia^ ed
una più succinta data da Zm Lombardia 27 dicembre. Il nome del Negri
figura poi nel a secondo elenco delle ricompense accordate da S. M. per
« la repressione del brigantaeeio nelle Provincie Meridionali 1861-1862 »,
pubblicato 'dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia nel num. 80,
3 Aprile 1862.
(2) Ved. La Perseveranza del 19 giugno 1899. Del fatto di Calitri leg-
gesi una lunga relazione nel LUnità italiana, giornale politico quoti-
diano, del 22 aprile 1862, tolta dalla Gazzetta di Napoli. La medaglia m
argento al valore per questo combattimento fu conferita al Negri con de-
creto reale in data 15 gennaio 1863.
A'ch. Star. Lomb,, Anno XXIX, Fase. XXXVI. 32
500 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
(( Sulla metà di dicembre 1861, la banda di Cipriano La Gala, forte di
dugent'uomini alTincirca, dopo aver minacciato Sanmartino nella vallf
Caudina, inseguita da due reggimenti di bersaglieri, cercava rifugio su
per i greppi del Tabumo, consueto asilo del brigante che, conoscenda
ogni recesso dell'asprissimo monte, vi si trovava in piena sicurezza. Il
generale Franzini, che gli stava a tergo, aveva mandato il 18 sullo stra-
dale che da Montesarchio conduce a Benevento un pugno d'uomini, m
esplorazione. Alla lor testa era il Negri. E qui lasciamo a lui stesso la
parola :
« Io me ne andava pattugliando — scriveva egli il 19 die. al padre —
lungo la strada di Benevento.... allorquando venni avvertito dalla mia
avanguardia dell'avvicinarsi dei briganti. Accorso avanti onde vcrificarf
l'asserzione, scorsi infatti una comitiva di duecento armati che s'incammi-
nava sull'erta di un colle. Io non aveva con me che trentasei soldati : pure
conoscendo il loro slancio non volli perdere l'occasione, e fattili stenderp
in catena attaccai il nemico. Questi si ritirò sul ciglio della collina td
aperse un vivissimo fuoco ; ma noi guadagnammo Taltura, ed al nostro
avvicinarsi presero la fuga. Li inseguimmo ed essi sempre fuggendo ii
ripararono dietro un boschetto che coronava una seconda altura, quivi
riapersero il fuoco e più vivamente di prima. Io era naturalmente il loro
punto di mira. Le palle mi fischiavano continuamente alle orecchie,
spezzavano al mio fianco i tronchi delle viti, mi cadevano ai piedi, e s'io
rimasi illeso fu un miracolo della provvidenza. Ma anche da quella se-
conda fortissima posizione li respingemmo ; se non che scorgendomi io
oramai lontano da luoghi conosciuti e avendo i miei soldati pressoché
esaurite le niunizioni, stimai mij^dior ronsij^lio far suonare a raccolta,
carichi di oj^g'^tti che i briganti, ondi^ farsi ])iù leggieri alla fuga. aV'ar.-
gettato a terra, mi ricondu<<i -^ulla via po-tale. Ivi trovai che m'a-p-tta-
vano il generale ( o" >uui ufficiali e il nostro maggiore : e tutti mi colm.:-
rono drnconiì r delh' ])iù lu>inghiere espressioni ».
(( l)i>trutta la banda di Cipriano La Gala, un'accozzaglia di malvi-
venti, in ( ui ninna di>ciplina aveva vigore, rimaneva pvio ancora fur-
midabile lOrda i apitanata da Crocco Donatelli, la tjuale, a--ai p<jd?:i%i
di forze militarmente organizzate, come (jiiella in cui avevan (unlluit
certi avanzi d<l (li->ciolto esercito borbonico, s'era annidata negli imp-n.:
bo-chi di Monticehio r di Lagope^ole, vere foreste vergini, u eh'' erac ■
statt^ il lovo di Horje> e di tutti i briganti pa>-ati, come lo -ono d»*' pr -
^enti r lo saranno eh-' futuri ». Ad impedirne le scorrerie che t'-n-vano :'
continuo ^g«>mrnto la Basilicata (^ i tinitimi luoghi del Principato V \v
riorr. . ra -tata -pedita nell'inverno del '()2. la compagnia del 5" K g^•
mento Kant" ria, al (|uale il Negri >i trovava allora aggregato, chf, ò-
visa in (Irapjxlli, tra^c t)rreva inces>^ant«'nì(^nte (|U«-i luoghi recando>i <■'"
Monte-ar( Ilio a Teora, da T( ora a Hi>accia, da Bisaccia a Calitr;. J^.i-
l'uno all'altro di (|ue-ti borghi selvaggi passò dunque durante tutta la :••
gi(li--ima in\ernata il Negri, spiando le mosse de' ])redoni. di cui n'.-
<>■]■' niià (!• 11.- gelici*^ notti -corg<va brillare ^u in alto i fuochi eh-, fai -
i
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 50I
vano nascere in cuore a lui ed ai suoi giovani compagni una smania vera
di venir con loro alle prese. Ed alle prese vennero difatti, ma più tardi,
in aprile. Udiamo dal Negri stesso il sincero racconto :
« Per timore che ti giungano per altra via false notizie, mi affretto
a mandarti queste due righe — scriveva egli al padre l'S aprile. — Ieri
abbiamo avuto un fortissimo e serio attacco. Circondati da tutte le parti
da orde di briganti a cavallo abbiamo sostenuto tre ore di fuoco, e non
fummo salvi che per l'eroismo de' miei soldati. Pur troppo ho lasciato
otto morti. Io sto benissimo, se eccettui una piccola contusione avuta da
una palla. Col primo corriere postale ti scriverò più a lungo ».
« E difatti il 10 aprile, dopo aver di nuovo attenuato l'entità della
ferita ricevuta, ch'era stata tutt'altro che leggera, poiché la palla, ri-
masta nella ferita, si dovette estrarre per man del chirurgo — così co-
loriva il quadro dell'avvenuto combattimento :
« Quello che non ti posso negare è che il pericolo corso fu immenso.
Abbiamo sostenuto in trentaquattro tre ore di disperato combattimento, e
più volte io mi son creduto irremissibilmente perduto. Mi sembra di sen-
tirti ad esclamare : che imprudenza d'cscire in perlustrazione con soli
34 soldati I Ma devi sapere che nel principio ne avea meco cinquanta, se
non che, ingannato dal simulacro di fuga eseguito dai briganti, spedii
una porzione dei soldati ad arrestarne la fuga verso la sinistra, mentre io
mi precipitavo avanti col resto della forza. Ma purtroppo i briganti di
Crocco sono assai diversi da quelli di Cipriani. I secondi erano una mi-
serabile accozzaglia di mascalzoni, i primi sono uomini discretamente
coraggiosi, montati su eccellenti cavalli ed organizzati quasi militar-
mente. Il loro numero ammontava a 150. Ad un tratto io mi vidi da ogni
parte circondato. Il grosso della banda stava accampato dietro una mas-
seria, da dove ci bersagliava e minacciava ad ogni istante di sovrastarci.
Io mi accorsi che solo nella risolutezza stava il nostro scampo, e con un
energico attacco alla baionetta mi scagliai contro il nemico, che intimo-
rito indietreggiò alquanto. Ma sciaguratamente esso aveva il vantaggio
della celerità nei movimenti, per cui in meno che non si dice si riordina-
rono tutti e si precipitarono caricando su di noi. Se restavamo sparpa-
gliati per il campo era inevitabile una tremenda catastrofe ; ma i miei
soldati, sempre obbedienti alla mia voce, ed animati da uno slancio eroico
non si sgomentarono e si strinsero in un gruppo compatto intorno a me,
minacciando colle baionette e mantenendo un fuoco ben nutrito. I bri-
ganti giunsero a pochi passi distanti da noi, ma poi atterriti si arresta-
rono. Io approfittai del momento. Schierai la compagnia, e comandai a
tutti insieme un fuoco di compagnia come se fossimo stati in piazza
d'armi. Questo contegno risoluto, e più ancora l'effetto che fecero le
palle fra i ranghi dei briganti, li indusse a sostare, ed io potei prendere
la via di una masseria che sorgeva isolata sulla vetta di una piccola pro-
minenza. Con incredibili difficoltà e sostando ad ogni istante onde far
fronte ai briganti che incalzavano, raggiungemmo infine la masseria,
dove potemmo prender un istante di riposo. Su tutte le alture circostanti
502 ATTI DELLA SOCItrTÀ STORICA LOMBARDA
si aggruppavano i briganti e ci chiudevano in un cerchio di ferro. Scia-
guratamente le munizioni cominciavano a mancare : dei quindici soldati
spediti sulla sinistra, io non aveva più indizio alcuno : la posizione non
era più sostenibile, ed io risolsi di aprirmi la strada. Ben tentarono i bri-
ganti di arrestarci a mezzo cammino, ma al nostro avvicinarsi, al terribile
lampeggiare della baionetta, ci apersero il varco, e noi guadagnammo
l'altipiano. Ma non cessarono per questo dal perseguitarci, sebben lontani
e timidamente, e fu appunto allora che un colpo ben aggiustato mi colpì
alla spalla : la lontananza del tiratore, Tessere la palla rimbalzata e for-
mata non di piombo ma di stagno, tolse al colpo ogni forza e invece di
una ferita non ebbi che una lieve contusione. In questo istante tredici
soldati che aveva lasciato a Calitri e che, sentito lo schioppettio si erano
precipitati ad accorrere in nostro soccorso, comparvero a breve distanza.
Questa vista triplicò il coraggio e con uno slancio indescrivibile i sol-
dati tutti si precipitarono contro gli audaci che tentavano inseguirci e
tutti si dispersero fuggendo a briglia sciolta. Il ritomo in Calitri fu una
vera ovazione, ma qui mi aspettava una funesta notizia. Dei quindici sol-
dati di cui avea perduto la traccia, sette erano morti, sette sono in salvo,
di uno non so ancora la sorte.
« Eccoti, mio caro papà, la narrazione del combattimento del sette
aprile. Mi dimenticavo dirti che i briganti lasciarono sul campo una ven-
tina di morti. Non ti descriverò le emozioni passate in quel giorno. Sa-
rebbe impossibile. Comprendo che dopo tali fatti tu avrai un grande de-
siderio di vedermi ed io pure ho una vera smania di ritrovarmi in
mezzo a voi ».
(( Ed il 14 aprile aggiungeva :
<c Ti dico il vero che le emozioni provate in quella giornata di di-
sperato combattimento furono tali da lasciarmi nell'animo un'impres-
sione forse incancellabile. Quegli otto soldati che rimasero vittima dei
colpi del nemico li ho sempre davanti agli occhi. Erano giovinetti, pieni
di avvenire e di speranze : io li vedeva sempre intomo a me, pronti a get-
tarsi ad un mio cenno incontro a qualunque pericolo ; e caddero cosi mi-
seramente ! Tre erano napoletani, uno toscano, uno romagnolo, due lom-
bardi, uno piemontese. Io credo che il pensiero di questi infelici non mi
abbandonerà mai. Ma tu non puoi farti un'idea degli atti di eroismo che
si compirono in quel giorno. Ho vedute cose da rendermi indiflFerente a
tutte le più esagerate descrizioni degli eroismi antichi e moderni ».
<( Così pensava, così sperava, così scriveva ventiduenne Gaetano
Negri : « tale era, giovinetto, l'uomo che — ci sia concesso ripetere qui le
parole fiere del Sala — la stampa settaria ha dipinto siccome tremante di
paura, tra i suoi vecchi compagni d'arme » nei giorni funesti d'una in-
sensata rivolta.
♦ ♦
« Ma dal centinaio di lettere che in que' due anni di vagabondar sol-
datesco inviò il Negri al padre ed ai congiunti più stretti, quant'altri ri-
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 503
cordi commoventi o curiosi vien fatto di spigolare ! L'uomo insigne per
acume di mente e profondità di vedute già fa la sua apparizione in cotesto
frettoloso carteggio ; già vi rivela le sue mirabili doti di osservatore, di
filosofo, di poeta. Non mai ad alcuno meglio che a luì s'addisse la lode
petrarchesca : « Pensier canuto in giovenile etate ». Sbarcato da poche
ore, starei per dire, a Napoli, in mezzo al rapimento suscitato in lui dalle
malie dell'incantevole sirena, trova il tempo di scrutar le condizioni so-
ciali, economiche, morali degli abitatori. Napoli è un soggiorno cele-
stiale, ma uomini vi dimorano, e di costoro vale la pena di conoscere i
sentimenti, i vizi, le virtù. Ed il 4 maggio egli scrive a Milano : « La
impressione che produce su di me questo paradiso terrestre è vivissima e
potente. Io non posso mai saziarmi di contemplare il prospetto del golfo,
il movimento di Toledo e Ghiaia, la pittoresca bizzarria della folla che vi
si agita con tanto baccano ». E tosto soggiunge :
«Quanto alla popolazione in due giorni io non ho potuto naturalmente
formarmi un criterio ; non nego però che le apparenze prevengano piut-
tosto in male, e che ciò che maggiormente colpisce al primo sguardo è la
miseria, e più ancora della miseria l'avvilimento in che è caduta. Se poi
domandi informazioni a chi da lungo tempo soggiorna in questa città,
hai le risposte più contraddicenti. Devo però confessare che la maggio-
ranza è assai disgustata. Io credo che questo popolo in mezzo a vizi turpi
ed abitudini depravate abbia un fondo di eccellenti qualità, ma siccome
in generale i primi colpiscono assai più delle seconde, così avviene quasi
sempre che il giudizio che se ne forma eccede in severità ». E da questo
convincimento formatosi subito in lui, che manifesta il colpo d'occhio in-
fallibile del critico avvezzo già a penetrar ben addentro nella psiche
umana, ei non si muove più. Neppur quando, costretto dalla violenza
delle circostanze a muoversi in un' « atmosfera di delitti e di bassezze »,
a combatter tra tradimenti ed intrighi i più pericolosi malfattori, egli
avrebbe potuto sentirsi scosso e turbato, non mutò d'avviso mai. « Ho
alcune osservazioni da farti », egli diceva al padre il 9 dicembre. « In
primo luogo hai torto di chiamare le provincie napoletane un « ricotta-
colo di delitti ». E' un giudizio troppo severo ed anzi ingiusto ». E svi-
luppando il suo pensiero così continuava :
« Le Provincie napoletane sono veramente una terra prediletta dalla
natura che loro largì a piene mani tutti i suoi doni. Le pianure delle tre
Puglie sono un immenso tappeto di granaglie ; nelle altre provincie i
colli e i più dolci declivi sono coperti di vigneti e da ulivi, mentre fore-
ste quasi vergini e verdissimi pascoli ornano gli alti gioghi dell'Appen-
nino. Fra tutte le provincie che ho vedute la più pittoresca e la più sel-
vaggia è la Basilicata, dove la natura è imponcntissima per i boschi in-
terminabili, le lince grandiose delle montagne, su le quali erge il capo
il Vulture, vulcano estinto assai più alto del Vesuvio, che domina tutta
la contrada come un gigante dall'aspetto ancora minaccioso. Ma quanto
è triste il vedere un paese così bello privo di tutti i sussidii della civiltà,
trattenuto fino ad ora forzatamente nella più miserabile barbarie I L'istru-
504 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
zionc è nulla, l'agricoltura affatto elementare, strade sono i letti dei tor-
renti e qualche sentiero mezzo róso dal tempo, dalle acque e dalle franf.
Eppure l'indole di queste popolazioni è fornita di ottime qualità : la mag-
gioranza è spinta da un vivissimo desiderio di miglioramento, il cuore e
quasi in tutti generoso ed ajìerto, e non manca in molte parti Tencrgia
ed il coraggio. Ma sarebbe stoltezza il pretendere che ad un tratto, spo-
gliandosi della loro barbarie, gareggiassero in civiltà colle popolazioni
di altre provincie più felici, sapessero completamente apprezzare i van-
taggi di un governo libero, e si potessero reggere colle norme stesse con
cui si reggono ({uelle dei nostri paesi. Avvezze a giacere da lungo tcm]}0
nelle tenebre più fìtte del despotismo, non ebbero la forza di sopportare
improvvisamente lo splendore della libertà e ne rimasero abbagliate r
confuse ».
« Riavvicinate, o Signori, a questo generoso ed elevato linguaggio
del ventenne luogotenente, quello che il 26 dicembre dello scorso anno
il senatore ormai venerando se non per l'età per la fama raggiunta comt-
statista e scrittore, dettava dopo la discussione alla Camera intomo alK:
condizioni economiche del Mezzogiorno. Voi vi sentirete aleggiare i me-
desimi sentimenti, la stessa equanime critica, la stessa rigorosa impar-
zialità. Respingendo la stolta accusa che l'unità d'Italia abbia danneg-
giato le Provincie meridionali, egli così si esprimeva : « Il danno esiste;
ma viene da causa indiretta. Quel paese si trovò d'un colpo, senza pre-
parazione, travolto nel vortice della vita moderna. Alle esigenze ognora
crescenti rapidamente che c|uesta vita imponeva al Paese, bisognava chr
il Paese stesso rispondesse cercando nuove risorse. Il Nord d' Italia, si
predisposto al movimento, seppe creare queste nuove risorse e ne trassv'
ar^^omento di ])rogressiva prosperità. 11 Sud, impreparato affatto, dowttc
subir(^ una gravezza per la quale gli mancavano le forze e ne uscì fiac-
cato... Chi >(iiv<'.... si ricorda d'aver vissuto. 40 anni or sono, lunf^hi 1^
lunghi mv^'ì mi e uf>re delle regioni apj)enniniche del Mezzogiorni, ai
tempi oramai favolosi del brigantaggio, di averne percorso le campajjn' .
di aver dimorato nei borghi, di esser entr.ito nell'intimità degli iibi-
tanti. Ebbene, egli conserva l'impressione d'aver visto non già l'Eldonid".
ma un ben j)overo parse, dove mancavano gli strumenti più essenziali
del vivere civile, senza strade, <enza ombra di commerci, dove la rei-
-eria di una plebe immensa vt^niva a contatto in ogni borgata, con la
ric( hezza d'un paio di famiglie feudali cozzanti fra di loro. Noi non >.i;*-
])iamo s(> la nuova Italia abbia mitigata la miseria di quella plebe, ma
certo non può averla accresciuta. Avrà forse diminuito la ricchezza e
(jualche famiglia, ma ha dato al paese il benefìcio inestimabile d'un si-
stema di strade, per le (juali, presto o tardi, dovrà penetrare nel cuore J.
(juelle regioni un'onda di civiltà ».
(( Così liiomo carico oramai di es])erienza attingeva alle meditazioni
pre(<)ci, ai nobili <(legni. alla sincera pi(*tà provocata in lui, giovin^itv.
dai \ eduli ineffabili mali, ]ìer far ancora una volta opera di buon cit-
tadino, per combatti re un'altra non meno magnanima battaglia in pr-
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 505
di quella terra infelice per la quale aveva già versato volonteroso il
proprio sangue.
*
<( In quella parte della Svizzera, dove più sublime s'estolle il con-
cilio gigantesco de' monti, nel Grindelwald, poco discosto dalla strada
che guida al ghiacciaio superiore dell'Eiger, sovra un ciglione, onde l'oc-
chio discende a contemplar tra il verde smalto de' prati i negri flutti della
Liitschine gorgoglianti nell'angusto lor letto, sta un gran masso a ri-
cordo d'ignoto giovine tedesco perito vittima del caso o dell'audacia sua.
Su quel masso è inciso un esametro che suona :
Quem genuit tempio ▼atem natura recepit.
Quante volte, l'estate passata, mentre facevo meta di solitarie passeg-
giate quel semplice monumento, mi è accaduto di pensare che niun'iscri-
zione meglio di questa sarebbe a suo luogo sul sepolcro di Gaetano Ne-
gri ! Sì, la natura ha accolto il vate da lei generato nell'augusto suo
tempio. Il sereno e libero intelletto che proseguiva di tanta inesauribile
tenerezza ogni manifestazione della vita e del bello, ha rinvenuto sotto
qualche rispetto un fine non indegno di lui. Non patimenti lunghi, non
prostrazione lenta di forze, non la vista angosciosa de' propri cari spianti
intorno ad un letto di dolore il mancare insensibile ma sicuro della
fiamma vitale, ne funestarono gli istanti supremi. Egli è scomparso d'im-
provviso, come già un dì s'era favoleggiato del siciliano filosofo curvo
sul cratere dell'Etna ad investigarne i segreti ; è scomparso nell'integrità
piena delle membra, nella gagliardia poderosa dell'ingegno : e l'ultima
visione sua è stata una visione di bellezza. Anche una volta egli posò a
lungo l'occhio rapito sopra la conca de' colli festanti, sulle rive popolate
di case, sul mare lucente, digradante nelle lontananze azzurrine dell'oriz-
zonte.... e si spense: il suo nobilissimo spirito erasi confuso nel gran
tutto. Questo tutto a lui — Voi non ve ne siete certo scordati, o Signori —
parlava di Dio ; da questo tutto giunga ancora e sempre a noi la sua cara
parola a confermarci in quella fede cui egli dedicò la vita intemerata e
laboriosa : la fede nella scienza, nel progresso, ma — sopra ogni altra
cosa — nel dovere ».
Quando il presidente pone fine alle sue parole, salutato da unanimi
applausi, il conte E. Barbiano di Belgioioso chiede la parola per espri-
mere in nome suo e d'altri consoci la brama che la commemorazione pro-
nunziata dinanzi all'assemblea trovi luogo nel prossimo fascicolo del pe-
riodico sociale.
Riprendendo il proprio discorso, il Presidente passa alle comunica-
zioni già indicate nell'ordine del giorno. Ed innanzi tutto dà parte ai soci
come il Comitato direttivo del Congresso internazionale di scienze stori-
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOBIBARDA 507
indagini neirArchìvio dell'Ospedale Maggiore, non restano più che po-
chi fondi privati da esplorare : sicché se non si può dire di toccar terra
già si è tuttavia in vicinanza del porto.
Raccolti gli ingentissimi materiali rimasti fin qui sconosciuti, con-
verrà rivolgersi ai fonti stampati, vagliarli, e quindi metter mano alla
compilazione dell'opera ed alla stampa di essa. A tutto ciò si potrà age-
volmente provvedere ora, dacché l'illuminata generosità dell'illustre con-
socio comm. Elia Lattes è venuta anche una volta in soccorso alla no-
bile iniziativa sociale. Il Presidente dà infatti lettura di una lettera del
commendator Lattes di cui qui si riporta il testo integrale :
Signor Presidente,
Mi pregio mettere a disposizione della Società Storica Lombarda
L L. 5000 (cinquemila), colla speranza che si possa cosi compiere sol-
lecitamente e pubblicare il nobilissimo Codice Diplomatico Visconteo. II
relativo chèque sulla Banca Commerciale sarà consegnato dove, quando
e a chi Le piacerà, verso presentazione della corrispondente ricevuta.
Sono col dovuto rispetto
Dev. socio
E. LATTES.
MilanOt 30 dicembre igoa.
Al Signor Presidente
della Società Storica Lombarda.
Questa lettura viene accolta dai più fragorosi applausi dell'Assem-
blea che incarica la Presidenza di significare al generoso oblatore la
sua riconoscenza più cordiale.
Il Segretario presenta dopo il Bilancio preventivo per l'anno 1903
che si chiude con un avanzo presumibile di L. 1075, e che l'Assemblea
approva senza opposizione.
Sono all'ordine del giorno le nomine del Presidente, dei due Vice-
Presidenti e di un Consigliere di Presidenza in surrogazione dei signori
prof. dott. Francesco Novati, marchese Carlo Ermes Visconti, nob. av-
vocato Emanuele Greppi e dott. Solone Ambrosoli — scadenti a termine
dello Statuto sociale. L'Assemblea unanime, dietro proposta del socio conte
Emilio Belgibioso vota per acclamazione la riconferma di tutti.
All'unanimità vengono accettati a nuovi soci i proposti signori Ca-
passo prof. Gaetano, Carozzi ing. Luigi, Castelli dott. Franco, Cicogna
conte Mario, Mangiagalli prof. Deputato Luigi, Racca prof. Matteo e
Vittani dott. Giovanni.
La seduta si leva alle ore 16.
// Presidente:
F. N OVATI.
// Segretario:
E. MÒTTA.
pervenute kIIk BibllotecK Sociale nel IV trimestre del 1902
Acta Ecclesine Mediolanensis. v. Rolli.
Ambrosoli Solone, A propos ifune médaille siamoisf. Estratto dal Bui-
letlin International de Numismalique, Paris, 1903 (d. d. s. A.).
— Aggiunta alle Medaglie, del Volta, Milano, Cogitati, 1903 (d. d. s. A,).
— L'ombra di Carlo Alberto in Campidoglio, dal portoghese di losè Racnos-
Coelho. Milano, Cogliati, 1902 (d. d. s. A,).
Atti del IV Congresso Geografico Italiano. Milano, 1902 (d. d. Comitato
Esecutivo del Congresso).
Baratta M^ Per la edizione nazionaìe dei manoscritti di Leonardo da
Vinci. Lettera aperta a S. E. il Ministro della P. /., Torino, Bocca,
1903.
Barelli Giusippk, Documenti dell'Archivio Comunale di Treviglio, Fi-
renze, Arch. Stor. Italiano, igoa (d. d. A.).
Bergamaschi Domenico, Cremona possiede veramente i corpi dti Santi
Marcellino e Pietro:-' Monza, tip, ed. Artigianelli-Orfani, 1900.
OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE 509
Fenaroli GiuuANO, // primo secolo delfAleneo di Brescia (1802-1902),
Brescia^ tip.-lit. Apollonio, 1902 (d. dell'Ateneo di Brescia).
GnjLiNi Alessandro, Vicende feudali del Borgo di Parabiago,
— // Gran Cancelliere Salazar e la sua Famiglia, (Estratti dal Giornale
Araldico)^ Bari, 1902 (d. d. s. A.).
Covone Uberto, // generale Giuseppe Govone, Torino, Casanova, 1902
(d. d. A.).
Lattes Alessandro, It Liber Poikeris del comune di Brescia^ Studio sto-
rico-giuridico, Firenze, tip. Galileiana, 1902 (d. d. s. A.).
LuMBROso A., Di alcune recenti pubblicazioni sulla Rivoluzione francese
e sul primo impero^ Pinerolo, tip. Sociale, 1899.
— L'Epistolario di Lodovico Muratori, (Estratto dal Fanfulla della Do-
menica^ a. XXIII, n. 41), Roma, 1901.
— La Toscana dal 2S marzo 1799 al 20 maggio 1801^ 1898.
— Di Gabriele Pepe e del suo duello con A, di Lamariine (Estratto dalla
Rivista storica del Risorgimento Italiano , anno III, voi. Ili,, fase. VI),
Torino, 1899.
— Napoleone in Sani' Elena, Il Martirio, Roma, 1902.
— Giuseppe Fouché duca c^ Otranto (1759- 1720), Pinerolo, 1901.
— Attraverso il Mondo antico della contessa Gaetana Locatelli (Estratto
dalla Rivista Storica Italiana^ anno XVIII, fase. V), Pinerolo, 1901.
— Stenddhaliana, da Enrico Beyle a Gioachino Rossini, con una lettera ine-
dita rossiniana. (Estratto dalla Rivista Storica Italiana, anno XIX,
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LuMBROSO A, e Larroumet G., Per il centenario della battaglia di Ma-
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NoLU Gumo, Sacco e vicende di Sesto Cremonese durante la guerra di
successione di Polonia {J[7JJ-j6), Cremona, tip. Fezzi, 1902 (d. d. A.).
Rangoni Domenico, // lavoro collettivo degli italiani al Brasile, Conferenza
popolare, Sào Paulo, 1902 (d. d. A.).
Ratti sac. Acidlle, Ada Ecclesiae Mediolanensis ab eius initiis usque ad
nostram aetatem, voi. II et III, Mediolani, Ferraris ed. MDCCCXCII
(d. d. s. A.).
— Due piante di Milano da codici manoscritti vaticani del secolo XV,
Relazione, Milano, Bellini, 1902 (d. d. s. A.).
— Recensione al libro di Leandro Biadene^ Carmina de mensibus di
Bonvesin da Riva. Estratto dal Giornale Storico della Letteratura
Italiana (d. d. s. A.).
— Due piante iconjgrafiche di Milano da codici manoscritti vaticani del
secolo XV, Milano, tip. Pontificia S. Giuseppe, 1902 (d. d. s. A.).
— A Milano nel 1266 da inedito documento originale dell'Archivio Segreto
Vaticano^ Milano, Ulrico Hoepli, 1902 (d. d. s. A.).
Regolamento Igienico Sanitario dell'Ospedale Maggiore in Milano, Milano^
tip. Cogliati, 1884.
5IO OPERZ PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
RelaeioHf delta Visita Pastorale e delta Incoronazione di M. V. delSangut
in Re, Novara, tip. G, Miglio, s. a., (d, d. s. G. Vergani).
Rotta can. Paolo, Memorie storiche ed inedite sul Capitolo Ambrosiano.
Con 4 Appendici. Milano, tip. Patronato, 1901-1903 (d. d. s. A.).
Sacchetti Sassetti Angelo, Le scuole puòblic/ie in Rieti dal secolo XiV
al XIX secolo, Rieti, Stab. tip. Trinchi, 1902. (d. d. A.).
Salvemini G., La storia considerala come sciettea, Roma. Estratto dalla
Rivista Italiana di Sociologia, igoa (d. d. A.).
Sanvisenti Bernardo, Gli incussi di Dante, del Petrarca e del Boccaccio
sulla Spagna del quattrocento, Milano, Ulrico Hoepli, 1903 (d. d. s. A.).
SiMONETTi N., L'epistola a Cangrande non è di Dante, Spoleto, A. Renali,
ti pogra fondilo re, 1903 (tf d. prof. Novati).
Secco Suaroo Gerolamo, Lo sgombero della suppellettile libraria inalile
dalle Biblioteche pubbliche e la Biblioteca civica di Bergamo. Bergamo,
Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1902 (d. d. s. A.).
VAI.EHTINI Andrea, // palazeo di Broletto in Brescia, Brescia, tip, Apol-
lonio, lyoa (d. deir.\teneo di Brescia).
yercrlli nella storia, nelfarle e nella vita italiana. Vercelli, tipo.Jito
Gallardi e Ugo, 1902 jd. d. s. C. Leone).
WiRZ Caspar, Bullen und Breven aiis Italienisehen Arctiiven. in-8 Base!,
Geering, 1902 (d. dell'Editore).
»j dicembri, rgoi.
Il Bibliotecario
B. Sanvisehtl
IJ^DIO^
MEMORIE.
Giuseppe Calligaris. Per una nuova edizione del « Liber de
gestis in civitate Mediolani » di fra Stefanardo da Vi-
mercate P<ig' 5
Francesco TARDUca. Gianfrancesco Gonzaga signore di Man-
tova (1407-1420). Studi e ricerche (Continuazione e fine) . » 33
Giuseppe Galla vresi e Francesco Lurani. L'invasione fran-
cese in Milano (1796). Da memorie inedite di don Fran-
cesco Nava » 89,318
F. E. CoMANL Sui domini di Regina della Scala e dei suoi
figli. Indagini critiche » 211
Arturo Segre. Lodovico Sforza, detto il Moro, e la Repub-
blica di Venezia dall'autunno 1494 alla primavera 1495 . » 249
VARIETÀ.
Ezio Riboldl La famiglia di Pinamonte da Vimercate secondo
nuovi documenti A»^. 141
Lino Sighxnolfl Di chi fu figlio Giovanni da Oleggio? . . „ 145
Feuce Fossati. Le prime notizie di una scuola pubblica in
Vigevano » 156
Giuseppe Flechia. Foscolo e Borsieri (Nel cinquantenario della
morte di Pietro Borsieri) » 167
Rodolfo Majocchi. Valenza venduta a Pavia nel 1207 (Docu-
mento del Museo Civico di storia patria di Pavia) . . » 361
Otto Schiff. Antonio de' Minuti, il biografo contemporaneo di
Muzio Attendolo Sforza » 368
Arturo Magnoca vallo. Notizie e documenti inediti intomo al-
l'alchimista Giuseppe Borri » 381
512 INDICE
BIBLIOGRAFIA.
Ettore Verga. — //. Simonsfeld. Mailander Briefe zur Baye-
rischen und allgemeinen Geschichte des XVI Jahrhunderts. Pa^. 172
Michele Scherillo. — Guido Muoni. Ludovico di Breme e le
prime polemiche intorno a madama di Staél ed al roman-
ticismo in Italia » 179
X. — G. Mazzoni. Due articoli di Giovanni Berchet . . » 183
F. N. — Giuseppe Bonelli. I nomi degli Uccelli nei dialetti
lombardi • » 184
A, Ratti. — P, Keltr, Ueber den Pian einer kritischen Ausgabe
der Papsturkunden bis Innocenz III. — Papsturkunden in
Venedig v 401
Luigi Rollone. — Ludovico Pepe, Storia della successione degli
Sforzeschi negli Stati di Puglia e di Calabria . . . » 412
Artluo Frova. — Francesco Malaguzzi Valeri. Pittori Lom-
bardi del Quattrocento » 422
Ettore Verga. — Alessandro Giuiiiti. Il gran cancelliere Sa-
lazar e la sua famiglia. — Vicende feudali del borgo di
Parabiago , 434
Ettore Verga. — Francesco Lemmi, La restaurazione austriaca
in Milano nel 1814 con ap{>endice di documenti tratti dagli
Archivi di Vienna. Londra, Milano, ecc. .... » 435
F. N. — F, SavìJ. La legende des SS. Fidèle, Alexandre,
Carpophore et autres mart\*res ^ 441
F. N. — E, Muffii, La più amica descrizione poetica a stampa
del Lagv> di Como • 442
X, — A'f'ssandro Li4::o. Lev>nardo Arrivabene alla corte di
Caterina de* Medici (1549-1559) • 443
APPl'NTI E NOTIZIE.
In menivìnani Fel:vi> Calvi. — La chiesa dì Pescarenico. —
Ine ino e la sua Pieve. — Un viac^iatore sconosciuto drf
>et>^l^> XV? uV. CArPFLi^», — 11 ùùjxno universale profe-
lìrra;^^ jx^r :I 15^ F. N>- — Congresso intemazionale
li; >\':e:i.-e <;.^r.o!;e, — Con.^^rso a proemio . . . P.2£^. iBj
Vi
Anvvra òeì * Prc^Nibìle itinerar:.^ della fuga di Ariberto
ve<cvn-o vi: Milar..^ • (Sae. A.-R-vTn\ — Il ristauro della
INDICE 513
chiesa di Rivolta d'Adda. — Un agrimensore cremonese
del sec. XV: Leonardo Mainardi e la sua opera (F. N.).
— La concessione della torre dell'imperatore nel 1489 a
Pietro Panigarola (Diego Sant'Ambrogio). — Divorzio e
matrimoni forzati (E. M.). — Libri di abbreviature (E. M.).
— Scriptores Rerum Germanicarum. — Lettere di P. C. De-
cembrio. — Biblioteca Civica di Bergamo. Dizionario to-
pografico storico-bibliografico dei Comuni e delle Frazioni
del Regno d'Italia. — Indici del Casalis. — Congresso in-
temazionale di scienze storiche in Roma. — Errata-corrige. Pag. 476
NECROLOGIO.
Luigi Alberto Ferrarj (F. N.). — Il principe Gian Giacomo
Trivulzio (E. M.) — Gaetano Negri (La Presidenza). Pag, 196,492
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA.
Adunanza generale del giorno 21 dicembre 1902: Verbale e
Commemorazioni Pf^g* 492
Opere pervenute in dono alla Biblioteca Sociale nel III e IV
trimestre del 1902 «209,508
Achille Martelli, gerente-responsabile.
Milano - Tip. L, F. Cogliati - Corso P. Romana, 17
ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
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ARCHIVIO STORICO LOMBARDO
\J Archivio Storico Lombardo si pubblica in fascicoli trimestrali di
12 a 15 fogli di stampa, in guisa da formare ogni anno due bei volumi,
talora con tavole illustrative dentro e fuori del testo.
Le associazioni si ricevono presso la Ditta Fratelu B>cca, librai
di S. M., Corso Vittorio Emanuele, 21, che le assume in proprio, ai se-
guenti prezzi :
Per r Italia per un anno L. 20 —
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Prezzo dei fascicoli separati, se disponibili . . . »• 5 —
Annessa ^}V Archivio è poi una serie dì sl'pplementi i quali escono
a liberi intervalli e variano di prezzo a norma del numero dei fogli di
staìiìpa onde constano, l Supf'lentcnii sono mandati in dono ai membri
della Soctt^tà Storiai Lotìibarda^ ma gli abbonati 2àV Archivio debbono
pagarli a parte.
1 SupplcììU'fiti^ usciti sin qui alla luce, sono ì seguenti:
Fas. I. Ottava Rchiziont deli* L'fficio Rcginnalf per la conser-
vazione dei tnotitiììieìitt in Lombardia 41900» a cura
di G. Moretti L. i 50
» II. Sti^^/o bibliog ranco di Cartografia rnilattesc fuio al
ijoò (looij a cura di E. Motta . . . . » i 50
HILHORIE.
aCJ!!! LF RVTri, I' probar te ic-ic'anT ì^La fu^j J: Anbcrt3 ar,::TesccTo dì V a v>.
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vx^.: \\ I e \\ li . . . . .131
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STORIA DI MILANO
dall'origine (600 anni avanti Q. C.) ai giorni nostri (1825)
COX CEXNI STORICaS TA flS TI CI
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8 VOLUMI tN-i6. — Il prezzo di catalogo era di L. 16
Ora si vende Topera completa in 8 volumi nuovi
per sole L. 4
Trattasi degli ultimi esemplari che erano rimasti agli eredi i quali si
decisero a metterli in vendita.
L'importanza e la serietà della STORIA DI MILANO del Cusani sono univer-
salmeate riconosciute. — É un libro redatto con la scorta di documenti autentici, con
atnore di studioso e con intendimenti di storiografo sincero e provetto. — Il Cusani
è forse il solo che abbia narrato minutamente le vicende tutte milanesi dai più remoti
tempi Agli albori del risorgimento nazionale. Nessuno trattò con pari diligenza e pre-
cisione i fatti riferentisi alla dominazione Napoleonica.
Sano pure in vendita pochissiìne copie delT opera di
V. FORCELLA
MILANO NEL SEC. XVII
Un volume in-8 con molte illustrazioni nel testo
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posta della STORIA DEL CUSANI — e Cent. 30 per le spese di posta del volume
di V. FORCELLA.
Dirigere le Commissioni ed il relativo importo alla Libreria FRATELLI BOCCA
aiy Corso Vittorio Emanuele» MILANO.
AVVISI Al SOCI
**4 » ■■
Dovendosi compilare il puovo Elenco generale
dei Soci, che vedrà la luce pel prossimo fascicolo
iìitXX JTrchwio si pregano i signori Soci che avessero
da proporre modificazioni nella loro titolatura e do-
micilio, a darne avviso alla Segreterìa della So-
cietà entro il 15 del prossimo febbraio 1903.
1 signori Soci che teoessero a prestito libri della
Biblioteca della Società sono pregati caldamente a
voler ritornare i volumi Dèi più breve tempo pos-
sibile, avendosene urcfente bisogno pel compimento
del Catalogo ed il riordinamento della Biblioteca.
Ì(>MMMMMàkif.Mf>MÌi>MMMMMà^^.
La Sede della SOCIETÀ' STORICA LOMBARDA
è nel CASTELLO SFORZESCO, dove si prega di
dirigere manoscritti, libri, cambi e corrispondenze.
Le Sale Sociali sono aperte nella Domenica e nel
Giovedì d'ogni settimana dalle 14 alle '16.
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