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Full text of "Archivio storico lombardo"

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ARCHIVIO  STORICO  LOMBARDO 


ARCHIVIO  STORICO 


LOMBARDO 


GIORNALE 


DELLA 


SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


SERIE  TERZA 


VOLUME  XVII  —  ANNO  XXIX 


MILANO 

SEDE  LIBRERIA 

DELLA  SOCIETÀ  '  FRATELLI  BOCCA 

Castello  Sforzesco  !  Corso  Vitt.  Em..  3i 


1902. 


La  proprietà  letteraria  è  riservata  agli  Autori  dei  singoli  scritti 


Milano  -  Tip.  Edit.  L.  F.  Cogliati  -  Corso  P.  Romana,  17. 


IL  PROBABILE  ITINERARIO 
DELLA  FUGA  DI  ARIBERTO  ARCIVESCOVO  DI  MILANO 

DA   UN   SUO    AUTOGRAFO    INEDITO 


|i  aflFretto  ad  avvertire  che  l'autografo  d'Ariberto,  che  il 
titolo  sopra  accenna,  non  è  che  una  semplice  sottoscri- 
zione del  nostro  grande  e  famoso  arcivescovo;  ma  non 
per  questo  esso  è  meno  significativo  e,  come  spero  di  mostrare, 
veramente  suggestivo.  Del  resto  la  nostra  sottoscrizione  si  trova 
in  un  documento  abbastanza  ampio,  anch'esso  inedito,  e,  non  solo 
perchè  inedito,  abbastanza  interessante.  £  del  documento  e  della 
sottoscrizione  dirò  più  largamente  appresso,  dell'uno  e  dell'altra  si 
darà  la  riproduzione  e  diplomatica  e  fototipica  in  fine. 

In  sul  principio  del  1037  Corrado  II,  per  la  via  del  Brennero, 
tornava  in  Italia  e  per  Brescia  e  Cremona  si  affrettava  a  Milano. 
Le  cose  erano  molto  mutate  da  quelle  ch'erano  al  tempo  della 
prima  sua  discesa  nel  marzo  del  1026.  Allora  Ariberto,  nostro  ar- 
civescovo fino  dal  1018,  lo  accoglieva  a  festa  e  lo  incoronava  re  in 
Sant'Ambrogio,  ed  al  dire  di  Wìppone  (i),  gli  forniva  per  ben  due 
mesi  e  più  suntuose  vettovaglie  :  regalem  victutn  sutnptuose,  men- 
tr'^li  nemini  cedens  nisi  soli  Deo  et  caloribus  aestivis  (è  sempre 
lo  storico  di  corte  che  parla),  era  venuto  cercando  refrigerio  e  ri- 
poso nelle  boscose  montagne  di  quella  regione  ultra  Padum  od 
ultra  Atim  /luvium,  la  cui  identificazione  non  meno  che  quella  con- 
nessa del  fiume  ha  tanto  vessato  i  critici  fino   ai   giorni  nostri  (2). 

• 

(i)  WiPONis,  yita  Chuonradi  Imp.  in  Mon»  Germ,,  SS.,  XI,  pag.  265 
(2)  CL  H.  Bresslau,  JahrbUcher  des  Deutschen  Reiches  unter  Kon 
rmd,  II  Bd,  Leipzig,  1879,  pag.  133,  452  e  segg.;  C.  Cipolla,  Di  un  luogo 
eotUrofverso  delio  storico  Wippone,  in  Archivio  Stor.  Lomb,  XVIII,    1898, 


6  IL   PROBABILE   ITINERARIO 

In  quella  vece  nel  1037  T  imperatore  scendeva  corrucciato  e  mi- 
naccioso; si  buccinava  largamente  che  ascosa  nelle  pieghe  del 
manto  imperiale  egli  portasse  la  disgrazia  del  fino  allora  onnipo- 
tente metropolita  milanese  :  i  costui  fedeli  ne  erano  fortemente  im- 
pensieriti, ne  sogghignavano  i  malcontenti  e  gli  emuli. 

Accenno  a  cose  notissime.  Un  tumulto,  del  quale  Corrado  crede 
Ariberto  stesso  occulto  autore,  dà  il  segno  della  lotta  aperta.  L'im- 
peratore furente  indice  una  solenne  dieta  a  Pavia,  dove  s'affretta, 
ingiungendo  ad.  Ariberto  di  colà  seguirlo  :  là  egli  vuole  udire  i 
lamenti  e  le  querele  di  tutti  per  ristabilire  fra  tutti  la  giustizia  e  la 
pace.  La  grande  adunanza  ebbe  luogo  verso  la  fine  di  marzo  (i): 
un  vero  uragano  di  querele  si  leva  contro  il  nostro  arcivescovo, 
le  sue  prepotenze,  i  suoi  abusi  di  potere  e  le  sue  usurpazioni.  Al- 
l'invito  dell'imperatore  di  scolparsi  e  di  restituire  egli  prende 
tempo  a  riflettere  ed  a  consigliarsi  cogli  amici;  pressato  e  pre- 
gato poi  dai  grandi  a  rendersi  all'ordine  imperiale,  risponde  quella 
fiera  parola  ;  «  né  a  preghiera  né  a  comando  di  chicchessìa  ».  D 
guanto  era  lanciato,  1'  imperatore  lo  raccolse:  egli  intima  al  ribelle 
metropolita  gli  arresti,  e  affidatolo  alla  custodia  di  Corrado  duca 
di  Carinzia  ed  a  Poppone  patriarca  d'Aquilea,  se  lo  fa  condurre 
dietro  fino  a  Piacenza,  dove  egli  s'accampa  col  suo  esercito,  proba- 
bilmente tra  il  Po  e  la  Trebbia,  come  più  sotto  è  detto;  sulla  Trebbia 
é  il  luogo  destinato  alla  custodia  del  grande  prigioniero  (2).  Come  la 

pag.  156  e  segg.  11  signor  G.  Pagani,  Che  fiume  sia  TAtis  e  di  che  paese  1 
**  loca  montana  »  ecc.  di  ìVippone,  ibid.  XIX,  1892,  pag.  5  e  segg.; 
quasi  ad  redimendam  vexam,  propone  di  emendare  Atis  in  Utis  e  Mi' 
diolanensis  in  Mutiianae,  trasportando  la  dimora  di  Corrado  nell'Appen- 
nino, oltre  il  fiume  Montone,  e  deferendo  all'arcivescovo  di  Ravenna  il 
dispendioso  onore  di  vettovagliarlo.  La  proposta  mi  pare  altrettanto 
ingegnosa  che  probabile,  tanto  più  che  le  viene  in  appoggio  la  circo- 
stanza al  signor  Pagani  non  isfuggita  che  nel  1026  era  ancora  arcive- 
scovo di  Ravenna  un  Eriberto,  e  si  sa  che  Eriberto  fu  spesso  scritto 
invece  di  Ariberto  per  indicare  il  nostro  celebre  arcivescovo.  Or,  se  è 
difficile  il  supporre  che  questa  celebrità  del  nostro  abbia  indotto  un  copista 
ignaro  del  coevo  Eriberto  di  Ravenna  a  scrivere  nel  citato  passo  di  Wip- 
pone  ab  episcopo  Eriberto  invece  di  ab  ep.  medioianensi,  non  mi  pare  punto 
improbabile  che  essa  abbia  potuto  concorrere  a  far  tramutare  un  primi- 
tivo Mutilane  in  Mediolane,  Mediolanù 

(i)  H.  Bresslau,  Op.  cit»  Il  Bd.,  1884,  pag.  230. 

(2)  Landulfi,  Historia  Mediolanensis  in  Mon.  Germ*,  SS.,  Vili,  pag.  59* 


DELLA   FUGA   DI   ARIBERTO  ARC.   DI   MILANO 

cosa  venisse  sentita  in  tutta  Italia  e  principalmente  a  Milano,  è  ben 
fadle  imaginare  anche  senza  le  drammatiche,  e,  diciamolo  pure,  al- 
quanto enfatiche  descrizioni  del  nostro  Landolfo,  quello  vecchio  (i), 
ripetute  poi  spesso  dagli  storici  nostri  (a).  Anche  più  facilmente  si 
immagina  la  festosa  maraviglia  e  il  tripudio  dei  nostri  lontani  antenati, 
quando  Ariberto,  sfuggito  alla  custodia  dei  tedeschi,  ricomparve  in 
mezzo  a  loro.  Qui  anche  il  sobrio  e  scarno  Arnolfo  quasi  non  la 
cede  a  Landolfo  (3). 

D'accordo  gli  storici  e  cronisti  nostri  e  stranieri  nella  so- 
stanza del  fatto  ed  in  alcime  poche  circostanze,  differiscono  non 
poco  tra  di  loro  in  parecchie  altre.  Già  nel  determinare  i  motivi 
ddla  cattura  di  Ariberto  la  differenza  è  manifesta,  e  non  mancò 
tra  gli  ultramontani  chi  si  spingesse  fino  ad  incolparlo  di  avere 
proditoriamente  attentato  alla  vita  dell'imperatore  (4);  si  capisce 
come  le  fantasie  potessero,  anzi  dovessero,  infervorarsi. 

Possiamo  ritenere  per  certo  che  il  prigioniero  fu  portato  e  cu- 
stodito sulla  Trebbia.  Landolfo  nostro  lo  afferma  esplicitamente  e 
semplicemente  :  iuxia  flumen  quod  Trebia  vocatur  :  e  gli  viene  a 
conferma  il  fatto  probabilissimo  che  lì  stesso  s'accampava  con  le 
sue  truppe  V  imperatore  tedesco.  11  triangolo  formato  dalla  Trebbia 
e  dal  Po  all'ovest  di  Piacenza  offriva  all'uopo  una  posizione  na- 
turalmente custodita  e  difesa.  Infatti  sulla  Trebbia,  in  campis  pia- 
centinis  iuxta  fluvium  Triviantj  troviamo  accampato  l' imperatore 
a*  7  di  maggio  del  1037,  quando  di  ritorno  da  Ravenna,  dove  aveva 
celebrato  la  Pasqua,  si  dirigeva  contro  Milano,  rifacendo  verisimil- 
mente  la  strada  percorsa  un  mese  prima:  è  pure  l'opinione  dello 
storico  di  Corrado  II  (5).  Un'altra  cosa  certa  si  è  che  la  custodia 
del  grande  prigioniero  non  dovett'essere  molto  rigorosa  :  forse  la 

(i)  Ibid.,  pag.  607. 

(a)  Poggiali,  Memorie  storiche  di  Piacenaa,  111,  Piacenza,  pag.  302  e 
se^.  ;  GiuLiNi,  Memorie,  ecc.,  II  voi.,  Milano^  '954»  pag.  222  e  segg.  ;  C.  An- 
50H^  Monumenti  della  prima  metà  del  secolo  XI  spettanti  aWarcivescovo 
di  Milano  Ariberto  da  Entimiano,  Milano,  1872,  pag.  39;  Bresslau,  1.  e,  11» 
pag.  235  e  segg.  ;  W.  v.  Giesebrecht,  Geschichte  der  deutschen  Kaiseraeit, 
ff  Aufl.,  Leipzig,  1885,  II»  pag-  320  e  segg. 

(3)  Arkulfi,  Cesta  Archiepp,  Mediolanem,  in  Mon.  Germ.,  SS»,  Vili, 

pag.  15. 

(4)  Annaits  Altahens.  major,,  ib.  XX^  pag.  729. 

(5)  Bresslau,  Op.  cit.,  II,  pag.  239. 


8  IL  PROBABILE  ITINERARIO 

sua  Stessa  grandezza  lo  imponeva;  e  del  resto  abbiamo  consen- 
zienti l'Annalista  Sassone  (i),  che  lamenta  Ariberto  da  Poppone 
liberius  debito  habitus,  e  Landolfo,  che  ai  tedeschi  non  ne  risparmia 
lina;  eppure  confessa  che  Ariberto  fu  detentus,  non  tamen  constrictus, 
ut  aia  damnati  solent,  sed  curialiter  a  Teutonicis  tnunitus.  Il  che 
bastava  certamente,  perchè  Ariberto  stesso,  in  un  documento  sul 
quale  dovremo  tornare,  potesse  poi  dirsi  miserabiliter  captus  ;  tra- 
ditus  custodiae  ;  telis,  mucronibus  circumseptus. 

Altra  cosa  certa  :  Ariberto  si  è  salvato  con  l'aiuto  e  la  coopera- 
zione dei  suoi  fedeli,  egli  stesso  nel  documento  accennato  li  ricorda 
non  meno  dei  suoi  santi  :  suffragiis  nostrorum  sanctoruntf  antntini- 
culo  et  (forse  per  etiam)  fideliutn  nostrorum;  ma  più  che  ad  altri 
egli  nel  documento  stesso  attribuisce  il  merito  della  sua  fuga  ad 
un  Albizone  monaco,  che  chiama  suo  fedelissimo,  noster  fidelis- 
simus  Albizo  a  cunabulis  monachus  sub  patre  et  regula  ree  te  nutritus, 
come  si  vede,  oblato-  prima  anjcora  che  monaco.  Anche  Landolfo 
introduce  un  fidato  intermediario  tra  il  prigioniero  e  l'abbadessa  di 
S.  Sisto  per  concertare  con  essa  la  nota  maniera  di  approfittare 
della  voracità  e  ghiottoneria  dei  custodi.  Wippone  parla  di  un  fami- 
liare dell'arcivescovo  sostituitosi  a  lui  nel  letto  in  quo  iacere  solebat  e 
tenutovisi  nascosto  sotto  le  coperte  fino  ad  evasione  compiuta. 
L'Annalista  Sassone  poi  dice  espressamente  d  i  un  quodam  suo  mo* 
nacho  ntachinante,  che  solo  gli  era  stato  lasciato  per  compassione^ 
miserationis  causa. 

Non  è  del  pari  certo,  anzi  né  anche  probabile,  l'accennato  in- 
tervento della  famosa  abbadessa.  Ariberto  non  ne  parla,  e  troppo 
difficilmente,  ben  nota  il  Bresslau  (2),  avrebbe  dessa  solo  un  anno 
più  tardi,  nel  marzo  del  1038,  ottenuto  un  privilegio  molto  grazioso 
dallo  stesso  imperatore  Corrado,  al  quale  avrebbe  giocato  un  così 
bel  tiro.  Dove,  se  non  erro,  può  anche  notarsi  che  il  nostro  Lan- 
dolfo, oltre  al  darsi  l'aria  di  riferire  testualmente  le  parole  del- 
Tabbadessa  ai  cooperatori  della  fuga  (particolare  che  non  è  punto 
fatto  per  conciliare  intera  fede  alla  sua  narrazione);  si  contra- 
dice non  poco,  mentre,  dopo  aver  presentato  il  piano  della  fuga 
stessa  come  combinato  fra  l'abbadessa  e  l'arcivescovo,  ci  presenta 
quest'ultimo  come  renuente,  così  da  dover  essere  da'  suoi  svegliata 

(i)  Mon,  Germ.,  SS.,  VI,  pag.  680;  cfr.  Landolfo,  l.  e. 
(2)  L.  e,  II,  pag.  236,  (nota  2). 


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DELLA   FUGA  DI   ARIBERTO   ARC.   DI    MILANO  9 

e  trascinato  via  quasi  per  forza  e  scalzo,  complimenti  invero  su- 
perflui dal  momento  che  la  cosa  era  combinata;  tanto  più  superflui 
in  quanto  che  i  tedeschi  erano  oppressi  dal  vino,  dai  dolciumi,  dalle 
noci,  così  che  nessuno  sentiva  più  nulla,  netnine  illorum  sentente,, 
sempre  secondo  Landolfo. 

Un  altro  punto  che  si  può  mettere  fuor  di  dubbio  è  che  Ariberto 
fuggi  primamente  a  cavallo  :  anche  qui  a  Landolfo  viene  in  appoggio 
Wippone,  e  si  può  ben  prestare  intera  fede  alla  concorde  testimo- 
nianza dei  due.  Landolfo  rimane  in  quella  vece  tutto  solo  a  dirci 
die  Ariberto  raggiunse  coi  compagni,  a  cavallo,  il  porto,  ad  portum 
quam  ciiissime  pervenerunt  ;  ed  era  già  montato  in  una  nave^ 
quando  sopraggiunsero  i  tedeschi  riempiendo  le  spiaggie  di  terribili 
grida,  e  invano  cercandolo  colle  fiaccole  nelle  tenebre  della  notte. 
Qui  le  difficoltà  a  seguire  il  nostro  vecchio  storico  si  fanno  mag- 
giori che  mai.  Innanzi  tutto  di  che  porto  egli  parla?  Tutti  (i) 
hanno  inteso  di  un  porto  o  traghetto,  del  Po.  Giò  verrebbe  a  dire 
che  i  furtivi  si  gettarono  all'aperta  campagna,  sulla  pianura  tra 
Piacenza  e  Pavia.  È  credibile  ?  Non  era  il  più  imprudente  dei  par- 
titi ?  Troppo  facile  doveva  riuscire  ai  tedeschi  l'organizzare  subito 
un  ins^uimento  su  larga  scala.  In  loro  mano  dovevano  essere  i  pas- 
saggi del  fiume,  ch'essi  avevano  pur  dovuto  superare  venendo.  E  se 
Ariberto  venne  ad  un  porto,  come  mai  non  vi  si  trovò  altra  nave 
per  inseguirlo?  E  come  potevano  i  fuggenti,  parecchi,  capire  coi 
cavalli  in  una  sola  nave  ?  Che  lasciare  i  cavalli  era  un  evidente 
esporsi  a  sicuro  raggiungimento;  né  Landolfo,  che  pur  entra  in 
tanti,  in  troppi  particolari,  si  prende  la  cura  di  avvertire  che  ca- 
valli freschi  attendessero  i  fuggiaschi  sulla  riva  sinistra  del  Po. 
Gli  è  che  agli  altri  già  accennati  motivi  di  dubitare  della  piena  e 
perfetta  attendibilità  di  Landolfo,  quando  egli  è  testimonio  unico 
e  solo,  vuoisi  aggiungere  quest'altro,  che  egli  non  fu  nel  vivo  delle 
cose  che  narra  e  non  le  scrisse  se  non  verso  la  fine  del  secolo  XI 
e  fors'anche  nei  primi  anni  del  XII  (2). 

Ancora  in  un  particolare  Landolfo  s'accorda  coll'Annalista  Sas- 
sone, e  non   con   lui   solo  (3),  nel  notare  cioè  che  la  fuga  di  Ari- 

(1)  Cfr.  autori  e  luoghi  citati. 

(2)  Wattenbach,  Moti.  Germ.f  SS.,  VIII,  pag.  32,  33. 

(3)  Landolfo  nostro  dice  che  Ariberto  sulla  Trebbia  per  aliquot  dies 
mora/MS  quievit  ;  l'Annalista  :  post  aliquot  dies  fuga  lapsus  evasit;  gli  An- 
nali Altahen.  cit.  :  aliquamdiu  retentus. 


IO  IL  PROBABILE    ITINERARIO 

berto  avvenne  dopo  pochi  giorni  di  prigionia,  e  non  dopo  due  mesi, 
pei  quali  rimane  solo  Arnolfo  nostro.  £  la  costui  autorità  è  certa- 
mente grandissima,  ma,  come  vedremo,  il  suo  modo  di  esprìmersi 
può  spiegarsi  senza  di  tanto  ritardare  la  fuga.  Al  rìtardo  poi  si 
oppone  il  fatto  che  già  a'  7  di  maggio  del  1037,  dunque  a  poco  più 
di  un  mese  dalla  cattura  di  Ariberto,  l'imperatore  era  già  di  ri- 
tomo a  Piacenza,  per  non  dir  altro.  £  infatti  i  più  autorevoli  fra 
gli  storici  moderni  stanno  pei  pochi  giorni,  non  pei  due  mesi  di 
prigionia,  che  è  quanto  dire  che  stanno  per  la  pronta  fuga.  Crederei 
di  poter  aggiungere  che  Ariberto  stesso  nel  già  indicato  documento 
accenna  bensì  alla  lunghezza  della  prigionia  del  suo  fedelissimo  Albi- 
zone,  ma  non  della  sua  (i).  Ma  d'altra  parte,  ridotta  a  pochi  giorni 
la  prigionia,  l'itinerario  della  fuga  attraverso  il  Po  e  la  pianura 
lombarda  diventa  sempre  meno  ammissibile.  Come  non  pensare  che 
quelle  vie  e  quei  luoghi  potevano,  e  molto  probabilmente  dovevano, 
essere  tuttavia  ingombri  dai  posti  di  retroguardia  dell'esercito  im- 
periale? £ppure  quell'itinerario  è  comunemente  ammesso  dagli  sto- 
rici; ma,  come  spero  d'aver  mostrato,  esso  urta  contro  difficoltà 
gravissime,  per  non  dire  addirittura  insormontabili.  Ma  ce  n'è  un 
altro  da  sostituire?  C'è,  e,  se  nulla  vedo,  molto  ammissibile. 

Ce  ne  mette  sulle  tracce  quello  stesso  documento  di  Ariberto 
al  quale  ho  già  più  volte  accennato  promettendo  di  tornarci  sopra 
più  di  proposito.  £sso  è  tanto  iiliportante  e,  a  parer  mio,  tanto 
drammatico  e  suggestivo,  che  mi  pare  di  doverlo  riportare  nella  parte 
che  riguarda  il  caso  nostro,  benché  già  edito  e  dal  Campi  (2)  e  dal- 
l'Ughelli  (3),  e  poscia  più  volte  citato  ed  allegato  in  parte  (4),  ma 
sempre  riferendosi  all'  Ughelli,  che,  a  diflferenza  del  Campi,  non  lo 
vide  e  lo  ripubblicò  con  non  poche  mende,  esempio  da  altri  pur 
troppo  imitato. 

Si  tratta  dunque  di  una  bolla  arcivescovile  data  in  Cassano 
sulla  fine  di  marzo  del  1040,  quando  £nrico  III  già  era  succeduto 

(1)  E  probabilmente  il  fedele  Albizone  non  venne  liberato  che  alla 
morte  di  Corrado  II  :  cfr.  Bresslau,  1.  e,  II,  pag.  236. 

(2)  P.  M.  Campi,  Dell' Historia  ecclesiastica  di  Piacenza^  Piacenza,  165 1, 
Parte  I,  pag.  324,  507,  dove  anche  accenna  all'esistenza  del  docum.  :  In 
Archivio  jurium  Abbatiae  Tollae, 

(3)  Ughelli,  Italia  Sacra,  IV,  Veneto,  17 19,  coL  103. 

(4)  Mabillon,  AnnaL  Ord.  S.  Bened.^  lib.  LVIII,  n.  XVI,  a.  1040  j 
GiULiNi,  1.  e,  pag*  2162  e  segg. 


V 


V 


DELLA   FUGA   DI  ARIBERTO   ARC   DI   MILANO  H 

a  Corrado  II.  Con  questa  bolla  Ariberto  faceva  larghe  concessioni 
all'antica  abbazia  di  S.  Salvatore  del  monte  ToUa;  ma  non  esse  qui 
importano,  sibbene  la  motivazione  che  l'arcivescovo  stesso  ne  dà 
facendosi  nel  tempo  stesso  lo  storico  della  propria  cattura,  e  fuga. 
Dice  dunque  :  ...  Sicut  per  hoc  decretum  nostrum  quod  stabilitnus, 
fmd  constituimus,  aperimtis  ac  pandimus  ;  ita  et  per  idem  quae  causae 
ut  hoc  constittieremus  extiterint,  claudere  et  occultare  nequimus.  Quis 
ftostrae  captionis,  quis  nostrae  etiam  ereptionis  inscius  est,  et  nesciat 
quod  ab  homine  miserabiliter  captus,  et  a  Deo  sim  mirabiliter  libe- 
ratus?  Quis  ignarus  est  nos  suffragiis  nostrorum  sanctorum,  ammi- 
tticulo  et  (sic,  forse  per  etiàm)  fidelium  nostrorum  una  nocte  hostiles 
cuneos  evasisse?  Amnes  quoque  rapidos  transmeasse?  tandemque  cum 
vinci  et  a  priori  exaltatione  deiici  expectaremus,  in  eadem  tamen  usque 
hodie  permanemus,  Traditus  itaque  custodiae,  telis,  mucronibus  circum- 
septus  (Ughelli  circumspectus)  inter  reliqua  nocte  quadam  (Giulini  ea 
nocte,  Mabillon  interim  aliqua  nocte)  hoc  specialiter  devovimus,  ut,  si 
sancti  ac  Domini  Salvator is  ope  nos  inde  erui  evenirci,  eius  ntonasterium 
in  praedicto  monte  (Tolla  menzionato  sopra  nella  bolla)  situm  dignis 
muneribus  augeremus,  quod  effectum  (Ughelli  effectus)  ut  cunctispalam 
est  obtinuit,,,  seguono  le  concessioni  di  terre  esistenti  in  comitatu  et 
infra  Episcopatum  placentinae  Ecclesiae,  poi  seguita:  Verum  post  no- 
stri Salvatoris  honorem,  vel  magis  ad  hanc  largitionem  non  (Ughelli 
nos)  ammonuit  et  impulit  noster  fidelissimus  A  Ibiza,  a  cunabulis 
monachus  sub  patre  et  regula  recte  nutritus,  a  nobis  nuper  nominati 
coenobii  abbas  effectus,  nostris  in  omnibus  iussibus  obsequens,  qui 
genti  ferocissimae  se  immiscuit  et,  ut  nos,  sicut  Deo  auxiliante  con- 
tigit,  liberaremur,  capi,  vinciri,  fame  silique  confici  et  contumeliis 
affici  per  lui  il  ac  dilexit,,.. 

Basta  leggere,  parmi,  per  vedere  subito  come  questo  docu- 
mento innanzi  tutto  confermi  ad  una  ad  una  tutte  le  osservazioni 
che  dal  medesimo  abbiamo  più  sopra  desunte.  Ma  poi  altre  ne  sug- 
gerisce. Ariberto  non  parla  né  del  Po  né  della  nave,  ma  semplice- 
mente del  passaggio  di  rapide  correnti,  amnes  rapidos  transmeasse, 
parole  che  fanno  piuttosto  pensare  a'  torrenti,  de'  quali  suol  essere 
ricca  la  montagna,  massime  in  primavera. 

Alla  montagna  ci  invita  pure  la  ripetuta  menzione  del  monte 
Tolla  e  dell'abbazia  di  S.  Salvatore  in  esso  sita. 

E  si  noti  che  non  la  sola  e  stessa  notte  dell'evasione,  come  il 


12  IL  PROBABILE    ITINERARIO 

Giulini  ed  altri  (i)  mostrano  di  credere  e  fanno  credere,  a  quel 
monte  ed  a  quell'abbazia  si  volse  il  pensiero  del  prigioniero,  ma 
già  prima,  quadant  nocte^  durante  la  prigionia  stessa. 

Ora  Tabbazia  di  S.  Salvatore  del  Monte  Tolla  si  trovava  vin- 
colata da  rapporti  strettissimi  al  metropolita  milanese.  È  un  pimto 
nella  fattispecie  da  nessuno,  ch'io  mi  sappia,  fin  qui  contemplato, 
e  che  pur  merita,  se  non  erro,  tutta  la  considerazione,  e  ci  avvia 
alla  soluzione  di  tutti  i  dubbi. 

Di  antichissima  fondazione  (2)  e  già  ricca  e  potente  per  ampie 
possessioni,  l'abbazia  di  S.  Salvatore  del  Monte  Tolla  con  l'annessa 
chiesa,  è  oggidì  così  completamente  scomparsa,  che  quasi  nessuna 
traccia  ne  rimane  sul  terreno  rapinato  dalle  acque  torrenziali.  Ai 
giorni  del  Campi  (3)  ancor  si  vedeva  e,  quantunque  ridotta  a  com- 
menda, conservava  i  segni  dell'antica  grandezza.  Sorgeva  nell'alta 
valle  dell'Arda,  nell'Appennino,  a  ovest-sud-ovest  di  Piacenza,  sul 
versante  meridionale  del  monte  Tolla,  quello  stesso  che  le  carte 
ancor  oggi  indicano  col  nome  di  monte  ToUara  (4),  a  circa  un  miglio 
a  nord  di  Vernasca  (Lavernascum)^  sl  quattro  incirca  a  sud  di  Spe- 
rungia  (Spelunca)  (5):  due  località  ancora  esistenti;  così  che  il  luogo 
dell'abbazia  viene  a  coincidere  con  quello  tutto  dì  occupato  dalla 
remota  e  povera  parocchia  di  Monastero  in  diocesi  di  Piacenza.  Si 
disse  e  ripetè  che  S.  Salvatore  di  Tolla  appartenevano  al  giuspa- 
tronato  dell'arcivescovo  di  Milano  (6);  ma  è  molto  inesatto.  Se  nel 
secolo  ottavo  il  vescovo  di  Piacenza  vi  asserisce  la  sua  giurisdi- 

(i)  Cfr.  GiESEBRECHT,  1.  c,  pag.  321,  dove,  erroneamente,  suppone  che 
l'abbazia  di  S.  Salvatore  fosse  in  vista  di  Piacenza,  sulla  via  da  questa 
al  Po. 

(2)  Campi,  1.  e,  I,  pag.  176,  la  assegna  verosimilmente  al  secolo  VII. 

(3)  Gp.  e  I.  cit. 

(4)  Molossi,  Vocabolario  topografico  dei  Ducati  di  Parma^  Piacenza 
e  Guastalla)  vedi  Tolla.  Devo  questa  indicazione,  con  qualche  altra  intomo 
alla  desolata  condizione  dei  luoghi  di  cui  parliamo,  al  R.mo  dott.  G.  To- 
noni, arciprete  di  S.  Antonino  di  Piacenza  ed  illustre  cultore  degli  studi 
storici,  che  per  essere  stato  prevosto  di  Lugagnano,  al  cui  vicariato 
foraneo  appartiene  la  parrocchia  di  Monastero,  ebbe  occasione  di  visi- 
tarli. Egli  mi  assicura  che  in  atti  pontifici  del  secolo  XVIII  Lugagnano 
stesso  è  ancora  detto  essere  nella  valle  di  Tolla  :  a  lui  le  mie  sentite 
grazie. 

(5)  Campi,  1.  e,  I,  pag.  500. 

(6)  Annoni,  1.  e,  pag.  43;  P.  Rotondi,  Ariberto  d'intimiano,  in  Ar- 
chivi Stor.  Ital.,  Nuova  Ser.  XVII  (1863),  pag.  73. 


DELLA   FUGA   DI   ARIBERTO   ARC.    DI    MILANO  I3 

zione  (i);  nel  secolo  nono  già  non  si  fa  più  cenno  di  tale  giuris- 
dizione e  si  indicano  invece  molto  chiaramente  i  confini  tra  i  ter- 
ritori della  Chiesa  piacentina  e  quelli  della  chiesa  di  S.  Salva- 
tore (a).  Non  molto  in  là  dal  principio  del  secolo  decimo,  re  Ugo 
e  Lotario  dicono  apertamente  che  quest'ultima  venne  già  dai  loro 
predecessori  donata  e  soggettata  alla  Chiesa  milanese  (3);  ed  am- 
piamente la  esentano  da  ogni  altra  giurisdizione  ed  ecclesiastica  e, 
si  noti|  civile  che  non  sia  quella  del  metropolita  milanese  :  e  con 
tutto  questo  quasi  altro  non  facevano  che  ripetere  un  diploma  di 
Berengario  del  902  (4).  Il  pontefice  Stefano  IX  nel  940  interdice  ogni 
ingerenza  neUa  chiesa  di  S.  Salvatore  ai  vescovi  di  Pavia,  Piacenza, 
Parma  e  Reggio,  indicando  chiaramente  la  vastità  delle  sue  pos- 
sessioni, ma  poi  sembra  soggettarla  direttamente  alla  Santa  Sede, 
quasi  ignaro  dei  diritti  giurisdizionali  dell'arcivescovo  di  Milano  (5). 
Uà  abbiamo  un  documento  certo  dell'esercizio  che  questo  ne  faceva 
nel  963,  con  sentenza  e  decreto  in  favore  della  chiesa  stessa  ed  a 
sua  richiesta  (6). 

(i)  Campi,  I.  e,  I,  pag.  453  ed  ivi  privil.  di  re  Ilprando  del  744,  rin- 
novato da  Ratchis  nel  746. 

(2)  Cfr.  i  privilegi  del  808  e  del  880,  presso  Campi,  1.  e,  455  e  465. 

(3)  Campi,  I.  e,  pag.  240,  500. 

(4)  Ibid.,  pag.  a6o,  500. 

(5)  Jaffè-Ewald,  Regesta  Pontificum  Roman,^  Lipsiae,  1881,  3616. 

(6)  Campi,  1.  e,  pag.  492.  Lo  sparpagliamento,  diciam  così,  delle  giu- 
risdizioni per  via  di  concessioni,  cosi  frequente  nel  medio  evo,  doveva 
portare  con  sé,  e  portò,  lo  sparpagliamento  dei  documenti  in  luoghi 
affatto  dissiti  dai  centri  delle  giurisdizioni  stesse.  È  per  me  un  vero 
peccato  che  dell'Archivio  di  Tolla,  come  mi  scrive  il  sullodato  dott.  To- 
noni, non  vi  sia  più  traccia  :  chi  sa  non  vi  fossero  documenti  della  giu- 
risdizione arcivescovile  milanese  ben  più  numerosi  che  quelli  pubblicati 
dal  Campi....  Di  quello  sparpagliamento,  e  più  ancora,  devo  confes- 
sarìo,  della  mia  ignoranza,  sono  stato  in  qualche  modo  vittima  nella 
mia  nota:  Bolla  arcivescovile  milanese  a  Moncalieri,  ecc.  {Archiv.  Stor, 
Lomib.  XXVni,  1901,  pag.  5  e  segg.),  che  chiudevo  rinunciando  a 
spiegarmi  come  mai  un  documento  spettante  all'abbazia  di  Canna  mi- 
lanese, venisse  a  trovarsi  a  Moncalieri.  L'abbazia  di  Canna  apparte- 
neva all'abbazia  ben  più  nota  di  Fruttuaria,  ed  era  pertanto  benedet- 
tina anch'essa,  altro  punto  che  mi  rimaneva  dubbio,  nonostante  che 
risultasse  già  con  certezza  da  un  già  vecchio  lavoro  del  punto  vec- 
chio prof.  G.  Calligaris  sull'abbazia  di  Fruttuaria  (Un*  antica  cronaca 
piemontesi  medita  ecc.,  Torino,  1889,  in  Publicaz,  della  Se,  di  Mag.  ecc., 
V,  pag.  103,  106,  112),  che  il  P.  Savio  aveva  la  bontà   di  segnalarmi. 


14  IL  PROBABILE   ITINERARIO 

Nel  1014  Enrico  II  prende  il  monasterio  di  ToUa  sotto  la  sua 
protezione,  lo  riconosce  già  da  suoi  predecessori  interamente  lar- 
gito e  concesso,  penitus  largitum  et  concessum,  alla  Chiesa  milanese, 
esente  pertanto  da  ogni  soggezione  al  clero  ed  alla  Chiesa  piacen- 
tina ;  gli  fa  larghissime  concessioni  di  luoghi  e  terre  da  Lugagnano 
fino  alla  Vemasca  (Sperungia  era  già  nelle  concessioni  di  Beren- 
gario) (i);  e  proibisce  a  qualsiasi  alto  o  basso  funzionario  dello  Stato 
di  entrare  nei  confini  di  quelle  terre  senza  consenso  dell'abbate  (2). 

Nel  1148  papa  Eugenio  III,  senza  nulla  concedere  di  nuovo,  ri- 
conosce e  conferma  la  indipendenza  della  chiesa  di  S.  Salvatore 
di  Tolla  dai  vescovi  di  Piacenza  e  di  Parma,  nonché  la  sua  per- 
tinenza e  soggezione  a  quel  di  Milano,  le  conferma  ancora  e 
prende  in  sua  tutela  tutte  le  possessioni  che  già  si  trova  avere,  e 
nomina  la  chiesa  di  S.  Dalmazio  di  Piacenza,  Regiano,  Castelnuovo, 
Castel  Arquato,  La  Vernasca,  Sperungia,  Molfascio,  Mistriano,  Ru-" 
garli  colle  loro  rispettive  parocchie  e  dipendenze  territoriali  (3):  e 
se  occorre  qualche  nome  nuovo,  non  è,  a  quanto  sembra,  che  per 
meglio  determinare  i  possessi  antichi  già  in  ogni  caso  estesissimi 
dai  primi  colli  piacentini  al  sommo  della  valle  dell'Arda. 

Ed  ora  si  getti  uno  sguardo  sopra  una  carta  geografica  alquanto 
particolareggiata  del  distretto  piacentino.  Non  dalla  parte  del  Po,  ma 
precisamente  dalla  parte  della  Trebbia,  a  breve  distanza  dunque  dal 
luogo  stesso  dove  Ariberto  era  tenuto  prigione,  si  apriva  e  stendevasi 
quasi  senza  soluzione  di  continuità  fino  al  più  alto  Appennino  un  ter- 
ritorio soggetto  alla  sua  giurisdizione  ed  ecclesiastica  e  civile,  chiuso 
ad  ogni  altra,  abitato  da  gente  a  lui  legata  da  fedeltà  di  sudditi,  con 
un'abbazia  ricca  e  potente,  circondata  e  difesa  da  luoghi  forti  (tali  erano 
parecchi  tra  i  nominati),  ognun  dei  quali  un  inseguimento  da  parte 

Venne  poi  la  cortesia  del  chiariss.  signor  avv.  E.  Durando,  che  da  tempo 
si  occupa  del  Cartario  di  S.  Benigno  di  Fruttuaria,  a  dirmi  che  non 
mancano  accenni  alla  dipendenza  da  Fruttuaria  della  chiesa  di  Testona, 
presso  la  quale  sorse  poi  Moncalieri  ;  e  mi  aggiungeva  tutto  un  piccolo 
elenco  di  carte  di  Canna  da  lui  già  trovate.  Ringrazio  tutte  queste  bontà, 
che  mi  permettono  di  chiarire  e  togliere  i  dubbi  miei  e  da  me  forse 
suscitati  in  altri. 

(i)  Vedi  pag.  prec,  nota  4. 

(2)  Campi,  1.  e,  pag.  500;  K.  F.  Stumpf,  Die  Kaiserurkunden,  ecc.,  In- 
sbruck,  18651883,  n.  1612. 

(3)  Jaffè-Ewald,  1.  e,  9278. 


DELLA  FUGA  DI   ARIBERTO  ARC.  DI   MILANO  I5 

degli  imperiali  poteva  di  ingerì  venire  arrestato  o  per  lo  meno  ritar- 
dato dai  capiposto,  non  fosse  che  col  pretesto  di  farsi  esibire  e  di  ri- 
conoscere le  ragioni  eccezionali  che  permettessero  la  violazione  di 
franchigie  dagli  stessi  imperatori  concesse.  È  egli  presumibile  che  le 
speranze  e  i  progetti  di  fuga  non  si  volgessero  a  quella  parte?  Il  voto 
stesso  di  Ariberto  in  favore  della  chiesa  ed  abbazia  di  S.  Salvatore  di 
Idia,  d  assicura  della  direzione  presto  presa  dalle  idee  del  prìgio» 
niero;  né  si  detrae  punto  alla  sincera  pietà  del  suo  voto,  anzi  vi  si  ag- 
giunge,  mi  pare,  pensando  che  la  ricca  e  potente  abbazia  si  affacciò 
subito  alla  sua  mente  come  Tunica  possibile  base  di  operazione  per 
un  piano  di  fuga.  L'abbazia  medesima,  concessa  in  premio  al  princi- 
pale cooperatore  della  fuga,  mi  sembra  confermare  in  singoiar  modo 
una  tale  maniera  di  pensare.  Le  aspre  vie  della  montagna,  massime 
in  quella  stagione,  non  potevano  essere  una  difficoltà  troppo  grande 
per  un  uomo  della  tempra  di  Ariberto,  o  se  erano,  lo  dovevano  es- 
sere ben  più  per  i  suoi  persecutori.  Erano  appena  tre  anni  che  Ari- 
berto, anticipando  gli  ardimenti  del  primo  Napoleone,  senza  antici- 
parne, a  quanto  sappiamo,  i  magniloquenti  e,  diciamolo  pure,  gli 
esagerati  bollettini,  aveva  con  rapida  marcia  valicato  le  Alpi  al  San 
Bernardo,  accorrendo  alla  testa  delle  sue  truppe  in  aiuto  di  Cor- 
rado n,  che  campeggiava  nella  Borgogna  (i). 

Vero  è  (prego  d'un' altra  occhiata  alla  carta)  che,  guada- 
gnata l'altezza  di  S.  Salvatore  e  di  Molfascio,  non  rimaneva  ad 
Ariberto  per  venire  a  Milano  che  piegare  su  Bobbio,  e  di  là  di- 
scendere per  Tortona  o  per  Voghera,  girando  tanto  più  al  sicuro 
quanto  più  al  largo  e  in  territori  amici  e  a  sé  soggetti,  le  vie  percorse 
dalle  truppe  imperiali;  ma  appunto  Bobbio  poteva  e  doveva  avere 
speciali  attrattive  per  il  profugo.  Era  lassù  un'altra  abbazia,  quella 
tanto  illustre  di  San  Colombano,  benedettina  in  fondo  come  quella  di 
S.  Salvatore;  e  mentre  abbiamo  documenti  parecchi  delle  querele 
di  quest'ultima  contro  i  vescovi  di  Piacenza,  di  Parma,  di  Reggio  (2), 
non  uno  solo  che  ci  mostri  turbati  i  rapporti  di  pacifica  vicinanza 
con  l'abbazia  di  S.  Colombano,  o  col  vescovo  di  Bobbio,  fino  al- 
l'epoca alla  quale  risalgono  i  fatti,  de'  quali  ci  occupiamo  (3).  Giacché 

(i)  GiuuNi,  1.  e,  pag.  199  e  segg.  ;  Annoni,  1.  e,  pag.  32. 

(2)  Cfr.  quasi  tutti  i  citati  documenti  e  imperiali  e  pontifici. 

(3)  Ed  anche  tra  l'abbazìa  di  S.  Colombano  e  l'episcopio  di  Bobbio 
non  è  che  dopo  il  secolo  XII  che  le  contestazioni  divennero  altrettanto 


l6  IL   PROBABILE    ITINERARIO 

anche  Bobbio  da  un  quarto  di  secolo  aveva  il  suo  vescovo  :  pro- 
babilissimamente una  ragione  di  più,  perchè  il  nostro  arcivescovo 
là  volgesse  i  suoi  passi.  È  noto  come  i  vescovi  dell'Alta  Italia 
facessero  causa  comune  col  metropolita  milanese.  Quello  di  Pia- 
cenza, di  Cremona  e  di  Vercelli  quasi  concordemente  son  detti  dai 
contemporanei  imprigionati  al  tempo  stesso,  se  non  Tistesso  giorno, 
che  Ariberto;  né  mancò  autore  contemporaneo  che  facesse  salire 
a  dodici  il  numero  dei  vescovi  imprigionati  e  mandati  a  confine  (i). 
Né  deve  creare  alcuna  seria  difficoltà  la  menzione,  che  di  Corrado 
imperatore  si  fa  nel  proemio,  e  l'altra  che  nel  corpo  stesso  del  do- 
cumento che  sto  per  pubblicare,  dove  le  donazioni  di  Sigefredo  si 
dicono  suggerite  e  determinate  anche  da  speciale  devozione  all'im- 
peratore medesimo.  Non  la  prima,  giacché  era  di  prammatica  ed 
apparteneva  al  formulario  di  tutti  gli  atti  consimili  ;  non  la  seconda, 
perchè,  come  vedremo,  si  riferisce  al  tempo,  che  i  rapporti  fra  Cor- 
rado ed  Ariberto,  Corrado  e  Sigefredo,  erano  o  parevano  i  più 
cordiali. 

Nulla  dunque  impediva  che  Ariberto  si  volgesse  a  Bobbio:  tutto 
anzi  ve  lo  invitava.  Ebbene  il  documento,  che  qui  appresso  per 
la  prima  volta  si  pubblica,  ci  assicura  che  Ariberto  é  appunto  pas- 
sato a  Bobbio,  né  in  altro  tempo  fondatamente  assegnabile  fuor 
quello  della  sua  celebre  fuga. 

E,  come  avvertivo  fin  dal  principio,  una  semplice  e  modesta  sot- 
toscrizione, modesta  come  quella  che  conveniva  a  chi,  dopo  tutto, 
non  poteva  ancora  dirsi  pienamente  sicuro  del  fatto  suo:  Ego  Ari- 
bertus  dei  gratta  sanctae  niediolanensis  ecclesiae  humilis  archiepi- 
scopi^ huic  scripto  cofiscensi  (sic)  subterque  firmaui.  La  sottoscrizione 
è  certamente  genuina  e  autografa  ;  basta  a  persuaderne  un  semplice 
confronto  colle  sottoscrizioni  autografe  dello  stesso  Ariberto,  che  si 
conservano  nel  nostro  Archivio  di  Stato  (2),  ed  anche  solo  con  Punica 
che  io  conosca  di  pubblica  ragione  in  fac-simile  (3). 

frequenti  che  disastrose.  Non  a  torto  vi  si  riconobbe  una  delle  cause 
della  decadenza  degli  studii  e  conseguentemente  della  biblioteca  della 
celebre  abbazia.  Cfr.  Rossetti^  Bobbio  illustrato,  ecc.,  II I^  Torino,  1795, 
pag.  26  e  segg.,  54  e  segg.  ;  A.  Peyron,  M.  T.  Ciceronis.,,,  fragtnettta^ 
Stuttgart  e  Tubinga,  1824,  pag.  Vili  e  segg. 

(1)  Annal,  Altahens,  major^  1.  e. 

(2)  Museo  Diplomatico,  tee,  XL 

(3)  L.  BoRRi^  Documenti  varesini,  Varese,  1891,  pag.  440. 


l8  IL   PROBABILE    ITINERARIO 

ganei  (i).  La  risposta  è  facile  e  categorica  :  il  vescovo  di  Bobbio 
non  è  mai  stato  suffraganeo  dell'arcivescovo  di  Milano.  Ma,  dato 
anche  e  non  concesso,  che  giunto,  poniamo,  a  Tortona,  Ariberto 
volesse  spingersi  fin  lassù,  sarebbe  stato  troppo  presto,  secondo 
ogni  probabilità  storica,  per  poter  sottoscrivere  alla  carta  di  Sige- 
fredo,  e  ciò  per  la  semplicissima  ragione,  che  la  carta  non  doveva 
ancora  esistere.  O  m'inganno,  o  ci  dà  ogni  motivo  e  ragione  a 
pensare  così  un  diploma  già  da  tempo  pubblicato  di  Corrado  II  (2). 
E  un  privilegio  da  quest'  imperatore  concesso  alla  chiesa  episco- 
pale di  Bobbio  a'  23  di  ottobre  del  1027.  In  esso  sono  distinta- 
mente e  ripetutamente  ricordate  e  confermate  due  carte  di  dona- 
zioni alla  stessa  chiesa  largite  dai  suoi  vescovi  Attone  e  Sigefredo  : 
gli  stessi  donatori,  come  si  vede,  che  compaiono  nel  nostro  docu- 
meuto.  Né  sono  soltanto  gli  stessi  donatori,  ma  ancora  le  stesse 
donazioni,  gli  stessi  luoghi,  le  stesse  terre  largite. 

È  evidente  che  le  due  carte  distinte  rappresentavano  in  ordine 
di  tempo  il  primo  e  più  antico  stadio  delle  due  donazioni,  diremo 
meglio,  della  loro  documentazione.  È  già  notevole  che  la  mia  carta 
non  fa  più  menzione  delle  due  precedenti,  e  neppure  del  diploma 
imperiale  che  le  confermava:  notevole  sopra  tutto  quest'ultima  cir- 
costanza, come  probabile  indizio  dei  mutati  rapporti  fra  il  vescovo 
di  Bobbio  e  l' imperatore.  Se  voglia  dirsi  che  forse  e  le  due  carte  e 
il  diploma  già  più  non  si  trovavano,  sarebbe  questo  un  altro  indizio 
che  qualche  non  breve  tempo  era  passato  dal  1027.  Ci  sono  altri, 
non  indizi  soltanto,  ma  segni  certi  che  le  cose  stavano  appunto 
così,  e  che  dei  buoni  anni  dovevano  essere  trascorsi,  così  da  poter 
venire  all'anno  1037  o  ben  vicino  ad  esso  con  la  redazione  della 
nuova  carta,  diremo  così,  cumulativa. 

Innanzi  tutto  certi  ronchi  che  dalla  presa  di  possesso  di  Attone 
nel  diploma  del  1027  sono  detti  aver  cominciato  a  dar  frutto  ad 
gingettdi  (sic)  frucium  caeperunt  crescere  (3),  nella  carta  di  Sigefredo  si 

(1)  L'anno  1028  è  quello  adottato  dal  Gìulini  (I.  e,  pag.  162);  ne 
pare  se  ne  possa  fondatamente  assegnare  un  altro  ;  Landolfo  si  esprime 
molto  vagamente.  ^^Cfr.  Wattenbach,  1.  e.,  pag.  65,  nota  89). 

(2)  Ughelli,  1.  e.,  col.  926. 

(3)  Forse  venne  qui  omessa  la  parola  culturam  prima  di  gifigendi, 
errore  questo  del  copista  o  del  compositore  ;  è  poi  chiaro  che  gingendi 
e  gigendi  stanno  per  gignendi. 


DELLA   FUGA   DI   ARIBERTO  ARC.   DI    MILANO  I9 

dicono  oramai  ridotti  a  regolare  coltura;  ad  culturamque  gigendi  (sic) 
fructus  perducti  ;  dove  la  carta  stessa  aggiunge  la  circostanza  nuova 
che  quei  ronchi  erano  stati  incendiati  dopo  V  ingresso  di  Attone, 
posteius  adventum  suo  in  episcopio  combusti  fuerunt  Di  più  nel  di- 
]^oma  imperiale  compare  un  fondo  sito  nel  luogo  di  Cuniolo,  come 
allora  stesso  lavorato  da  un  massaro  Canetto,  qui  laboratur,,»  (i)  per 
Canettum  Atassar ium,  ricompare  nella  carta  vescovile,  ma  con  dici- 
tura che  accenna  al  passato  :  qui  fuit  rectus  et  laboratus  per  bene- 
iictum  carrictum  ;  dove  fors'anche  il  massaro  appare  mutato,  se 
pure  la  differenza  dei  nomi  va  attribuita  a  corruzione  del  testo 
neiruno  o  nell'altro  luogo.  Ancora:  un  prete  Volando  che  reggeva 
e  lavorava  due  casatnentella,  forse  piccole  masserie,  che  è  men- 
zionato nel  diploma  di  Corrado,  non  compare  più  nella  carta  di 
Sigefredo,  né  lui,  né  le  sue  masseriole.  Finalmente  l'ospitale  di 
Bobbio  (2),  che  nel  diploma  imperiale  del  1027,  e  precisamente  nella 
parte  di  esso  che  transunta  la  carta  primitiva  del  vescovo  Sigefredo, 
si  legge  percepire  condizionalmente  una  quarta  porzione  di  decima 
proveniente  dal  dominio  episcopale,  non  compare  più  affatto  neUa 
carta  seriore,  che  qui  si  pubblica,  di  Sigefredo  stesso. 

Come  si  vede,  dopo  la  fin  d'ottobre  del  1027  di  mutazioni  ne 
erano  sopravvenute  parecchie  ;  quante  bastano,  e  più,  per  farci 
pensare  ad  un  buon  numero  di  anni  già  passati  quando  la  seconda 
carta  veniva  redatta.  Con  che  non  è  insignificante  neppure  il  fatto 
che  la  sottoscrizione  di  Ariberto  appaia  anche  a  prima  vista  trac- 
ciata con  inchiostro  tanto  notevolmente  diverso,  da  farla  supporre 
posteriore  al  testo  ed  alla  sottoscrizione  probabilmente  non  auto- 
grafa di  Sigefredo,  che  immediatamente  e  dello  stesso  inchiostro 
tien  dietro  al  testo  medesimo. 

Riassumendo:  l'itinerario  che  conduce  il  nostro  profugo  Ari- 
berte  dalla  Trebbia  immediatamente  al  Po  e  da  questo  a  Milano, 
presenta  difficoltà  ed  inverosimiglianze  quasi  insormontabili  ;  invece 


(i)  I  punti  sono  nella  stampa  dell*  Ughelli  prima  di  per;  forse  ten- 
gono il  posto  di  et  regUur;  ma  non  è  impossibile  che  fosse  scritto  per 
htntdicium  Canettuni,  corruzione  questa  di  Carrictum  o  Can'ctttm,  op- 
pure quest#  di  quello. 

{2)  Si  tratta  certamente  dell'Ospitale  annesso  all'abbazia.  (Cfr.  Ros- 
^^Ti,  L  e,  pag.  123  e  segsj.)  ;  e  forse  la  condizione,  alla  quale  si  accen- 
nava nel  1028,  era  finché  il  vescovo  fosse  anche  abbate. 


20  IL   PROBABILE    ITINERARIO 

r  itinerario  nostro  offriva  al  prigioniero  eccezionali  garanzie  di  si- 
curezza ed  ogni  probabilità  di  buona  riuscita,  si  presenta  per  ciò 
stesso  come  sommamente  probabile,  ed  è  reso  poco  men  che  certo 
dalla  comparsa  di  Ariberto  a  Bobbio  in  un'epoca  che  senza  alcuna 
difficoltà,  anzi  quasi  necessariamente,  viene  a  coincidere  con  quella 
della  sua  evasione  e  fuga.  Le  principali  circostanze  notate  dai  cro- 
nisti ritrovano  nel  nuovo  itinerario  il  loro  posto  e  la  loro  ragione 
di  essere:  il  cavallo,  che  dovette  servire  al  rapido  percorso  della 
prima  e  meno  aspra  porzione  del  cammino;  la  barca  pel  tragitto 
del  Po,  che  in  un  luogo  o  nell'altro  dovette  più  tardi  pur  farsi; 
i  due  mesi  di  Arnolfo,  che  possono  bene  esprimere,  come  suol  dirsi, 
in  cifra  tonda,  il  mese  e  mezzo,  poco  più,  poco  meno,  che  dovette 
durare  l'assenza  di  Ariberto  da  Milano,  dalla  sua  dipartita  subito 
dopo  la  metà  di  marzo,  fino  alla  sua  ricomparsa  alle  porte  della 
città,  tenuto  conto  dei  giorni  passati  alla  dieta  di  Pavia,  dei  pa- 
recchi trascorsi  sotto  custodia  sulla  Trebbia,  dei  non  pochi  che  il  più 
lungo,  per  quanto  più  sicuro,  itinerario  toccante  Bobbio  dovette  di 
necessità  occupare. 

Ho  detto  in  principio,  che,  anche  prescindendo  dalla  sottoscri- 
zione di  Ariberto,  il  nuovo  documento  non  è  senza  qualche  inte- 
resse. Lascio  da  parte  1*  interesse  topografico  e  toponomastico,  che 
forse  qualche  studioso  di  cose  bobbiesi  potrà  rilevare.  Ma  non  può 
sfuggire  a  nessun  attento  lettore  quell'epiteto  di  secondo  una  volta 
apposto  al  nome  del  vescovo  Attone,  e  quello  di  terzo  non  una,  ma 
due  volte  apphcato  al  nome  del  suo  successore  Sigefredo. 

È  noto,  non  dirò  lippis  et  tonsoribns,  ma  insomma  è  noto,  che 
fino,  si  può  dire,  a  ieri  la  serie  dei  vescovi  di  Bobbio  si  incomin- 
ciava comunemente  col  vescovo  Attone  (loi  7-1027),  sebbene  qualche 
discussione  sui  primi  inizi  dell'episcopato  bobbiese  già  da  tempo 
sia  stata  sollevata  (i).  £  uno  dei  tanti  meriti  di  quel  diligentissimo 
cercatore  e  sagace  critico  di  documenti  storici  che  è  il  prof.  Fedele 
Savio  di  aver  troncata  ormai  ogni  questione,  dimostrando  con  un 
documento  alla  mano  che  prima  di  Attone  sedette  a  Bobbio  un 
Pietro  Aldo,  vescovo  insieme  ed  abbate  di  S.  Colombano,  ab- 
bate fin  dal  999,  vescovo  almeno  fino  al  1017  (2).  L'unico  lato  de- 

(i)  P.  F.  Savio,  Gii  antichi  vescovi  del  Piemonte,  Torino,  1899,  pag.  158 
e  segg. 

(2)  L.  e,  pag.  161  e  segg. 


DELLA   FOGA   DI   ARIBERTO  ARC.  DI   MILANO  21 

boie,  dal  eh.  A,  notato,  è  che  i]  documento  è  in  semplice  copia  del 
secolo  XII  o  XIII  ed  in  caratteri  spesso  molto  evanidi  che  ne  ren- 
dono difficile  la  lettura:  ciò  che  non  gli  impedì,  aiutato  eziandio 
dal  eh.  prof.  C.  Cipolla,  di  leggere  e  la  data  e  il  nome.  Il  nostro 
documento  sana  anche  quella  debolezza,  se  ed  in  quanto  era,  con- 
fermando e  il  documento  e  la  lettura  del  eh.  prof.  Savio,  non  dico 
nel  particolare  del  nome  e  delle  date,  ma  certo  nella  massima  : 
Attone  fu  il  secondo  vescovo  di  Bobbio,  Sigefredo  il  terzo.  Mi 
pare  anche  di  poter  aggiungere  che  quell'  inusitato,  certo  non  fre- 
quente, mettersi  in  rilievo  il  numerale  assoluto  di  Attone  e  di  Si- 
gefredo, ripetuto  per  quest'ultimo  con  una  certa  insistenza,  inviti 
a  pensare  che  la  questione  su  chi  si  fosse  assiso  pel  primo  nella 
sede  vescovile  di  Bobbio,  sia  sorta  ben  presto  e  fosse  congenita 
alla  sede  stessa.  La  cosa  è  possibiUssima  dal  momento  che  Pietro 
Aldo  fu,  come  si  disse,  e  vescovo  ed  abbate  nell'istesso  tempo,  e 
potè  ben  sembrare  fin  dal  principio  che  quella  sede  vescovile  non 
conseguisse  la  sua  autonomia  e  piena  personalità  giuridica  di  fronte 
alla  allora  già  antica  e  potente  abbazia  di  S.  Colombano,  se  non 
quando  cominciò  ad  avere  un  vescovo  tutto  proprio,  e  sciolto  da 
ogpi  impegno  con  quella.  C'è  di  più  :  la  prima  volta  che  Sigefredo 
è  detto  terzo  presule,  Tertii  aulem  domni  Sigefredi  presuUs,  quel 
Terlii  appare  nell'  originale  come  scritto  in  rasura,  e  sovr'esso, 
dì  mano  poco  posteriore  alla  prima,  si  legge  Quarti.  Che  si  tratti 
di  una  vera  rasura  e  non  di  una  semplice  imperfezione  della  perga- 
mena, che  cosa  fosse  scritto  prima  di  quel  Tertt'i,  io  non  ho  po- 
tuto in  verun  modo  determinare:  ma  quel  Quarti,  ecc.,  mi  sembra 
rivdare  una  ben  antica  opinione  che  riteneva  ancor  più  antica 
l'erezione  di  Bobbio  in  sede  episcopale,  e  non  primo,  ma  secondo 
vescovo  Pietro  Aldo.  Questa  opinione  verrebbe  a  dare  un  insperato 
appoco  (ed  in  un  senso  alquanto  diverso  da  quello  proposto  dal 
di.  prof.  Savio)  al  noto  e  tanto  discusso  diploma  di  re  Ardoino 
Del  quale  parlerebbesi  di  palazzo  episcopale  in  Bobbio  già  nel  loii, 
tre  anni  prima  di  quello  a  cui  lo  storico  Ditmaro  (autorità  per  altro 
diffìcilmente  ricusabile)  assegna  la  fondazione  dell'episcopato  di 
Bobbio  per  opera  di  Enrico  II.  Ma  è  il  caso  di  ripetere  :  videant 
consules:  ed  i  consoli,  anzi  il  console,  è  nel  caso  nostro  il  più  volte 

,  qualche  interesse    per   la   storia  eccle- 


22  IL   PROBABILE    ITINERARIO 

siastica  di  Bobbio  ci  è  dato  dalla  sottoscrizione,  che  secondando 
la  preghiera  di  Sigefredo  a'  suoi  successori  al  certo  particolarmente 
diretta,  apponeva  molto  più  tardi  alla  sua  carta  Teletto  e  non  an- 
cora consacrato  vescovo  di  Bobbio  Alberto.  Né  contento  della 
semplice  sottoscrizione  egli  aggiungeva  alle  donazioni  di  Sigefredo 
quella  di  dodici  libbre  d'olio  (i)  da  servire  ad  onorare  di  perpetua 
illuminazione  un*  imagine  del  Crocefisso  allora  stessa  o  ben  di 
fresco  esposta  al  pubblico  culto  nella  cattedrale  di  Bobbio.  I  ca- 
ratteri della  scrittura,  la  maniera  di  esprìmersi,  massime  nelle  clau- 
sole comminatorie,  la  menzione  dell'antecessore  Wamerio  mettono 
fuori  di  dubbio  che  si  tratta  di  Alberto  I,  quello  stesso,  di  cui  il 
eh.  prof  Savio  ha  pubblicato  una  carta  di  donazione  all'abbazia  del 
1098  (2)  altra  prova  dei  buoni  rapporti  perseveranti  tra  l'episcopio  e 
l'abbazia  di  Bobbio.  Ho  accennato  a  Warnerio:  il  modo  onde  Alberto 
si  esprime  a  suo  riguardo  porta  a  pensare  che  Warnerio  gli  sia 
stato  antecessore  immediato,  senza  quell'Ugo  che  anche  il  prof.  Savio 
frammette  ed  al  quale  il  Rossetti  assegna  la  data  del  1085,  ma,  come 
ben  nota  il  chiariss.  prof.,  senza  addurne  prove  (3).  Che  il  volto 
santo,  di  cui  parla  Alberto,  fosse  un  vero  e  proprio  Crocefisso 
appare  dal  modo  ond'egli  compie  l'espressione  del  suo  pensiero, 
ed  anche  forse  dal  fatto  che  un  vero  e  proprio  Crocefisso  è  il  ce- 
lebre volto  santo  di  Lucca,  sol  pochi  anni  prima  {1070),  anche 
questo  è  notevole  (4),  messo  in  onore  in  quella  cattedrale,  di  cui 
quella  di  Bobbio  non  fece  probabilmente  che  imitare  l'esempio. 

Sac.  Achille  Ratti. 

(i)  Msgr.  C.  Bobbi  aggiunge  alle  altre  sue  cortesie  quella  di  farmi 
osservare  che  quel  luogo  Rupinif  dal  quale  nella  pergamena  si  dice 
tratto  quest'olio,  è,  secondo  ogni  probabilità,  Rupinaro  frazione  di  Chia- 
vari, dove  il  Vescovo  di  Bobbio  possedeva  una  terra. 

(2)  L.  e,  pag.  164.  Devo  all'  istesso  Msgr.  Bobbi  l'osservazione  che 
nessuno,  né  anche  il  Rossetti  nel  Catalogo  dei  vescovi  di  Bobbio,  av- 
vertì che  di  questo  Alberto  e  della  sua  donazione  era  già  menzione 
esplicita  nel  Catalogo  degli  abbati,  dal  Rossetti  medesimo  pubblicato 
(1.  e.,  pag.  68). 

(3)  L.  e,  pag.  163;  vero  è  che  il  Rossetti  (l.  e.)  rimanda  al  Catalogo  dei 
vescovi  di  Bobbio,  stampato  in  calce  alla  Sinodo  diocesana  tenuta  dal 
vescovo  Carlo  Cornaccilio  milanese  nel  1729,  edita  a  Milano  dal  Frigerio. 

{4)  1  crocefissi  colla  figura  del  Cristo  prima  in  basso,  poi  in  alto  e 
pieno  rilievo  sono  la  novità  dei  secoli  X  e  XI.  Cfr.  Annoni,  I.  e,  pag  9^* 


DELLA   FUGA   DI  ARIBERTO  ARC.   DI   MILANO  23 


DOCUMENTO 


[In  nomine]  (*)  sumwi  et  etemi  regis  choonradus  imsuperabilis  eius 
benignissima  gratta,  romanorww  impero/or  Siugustus  ;  a  quo  sumit 
quod  inferius  scrìbimus  principiuw  et  subsidiuw .  ob  id  a  patre  lu- 
minum  aet^mum  sumat  donu;;i .  habet  quidem  terra  óonum  .  habet 
ósLÌMffi ,  sed  a  c^lo  speratur  optimum  .  de  c^lo  mittitur  p^rfectuw  . 
Terra  u^ro  exhibet  donuw  certaminis .  agonew  laboris .  e  c^lo  autem 
corona/w  et  premium  aeterne  recowpensati[onis] .  Caput  nosirum  quod 
christum  sciniMS  confitemur .  et  uere  credimws .  ad  hoc  nos  sua  membra 
uoluit  esse .  quo  y>er  caritatis  ac  fìdei  coadunationem  .  se  unius  in 
nos  corporis  efficeret  p^rfectionem .  Cui«s  ut  esse  habitaculum  ua- 
leamws  toto  mentis  adnisu  nullius  dilectione  persistere  laboremws. 
ut  <{uia  sine  ipso  nichii  esse  cognoscimus .  per  ipsuw  possim«s  esse 
quodf^cìmur .  Sed  quoniam  ipsius  exhibitione  dilectionis .  perfectionis 
summa  adipìsci  nequimus .  si  curam  aecclesiastic^  dilectionis  deuio 
tramite  neglegim«5 .  Hoc  enim  precepUim  habemws .  ut  qui  diligit 
sponsum  .  sponsaw  diligere  non  obmittat .  ìdest  christum  et  aeccle- 
5iam .  Ideoqi/e  e  c^lo  descendit  ad  terram .  ut  sibi  in  sponsa  copu- 
laret  aeccksiam  .  Vnde  Salomon  ait .  Veni  sponsa  mea  amica  mea  et 

caet .  Tunc  illi«s  sponsam  ìdest  aecclesiam  uere  diligim«s .  cuw  eius 
necessitatibws  tota  mente  et  puro  corde  subuenire  satagimws .  Quod 
mentem  pulsat  uobis  in  uerba  resoluaw .  Mentew  quidem  et  corda 
piissimorMW  presulufw  scilicet  Attonis  bobiensis  secundì.Tertiì  au- 
tem domni  Sigefredi  presulis  spiritus  sancii  gratta  circumfulsit . 
Vnus  autem  preììbatus  presul  ìdest  Ano  prò  animarww  redemptione 
domni  henrici  imperatorts  suaeqwe  coniugis .  necnon  omnium  chri- 
stianor^m  fideliuw .  Sa«c/E  Det  genitrici  dommì  nostri  iesu  christi 
virgini  mari^  .  sanctoque  prìncipi  apostóìorum  petro  .  Cortemque  di- 
citur  de  cademwa  cum  ommhtts  suis  in  integro  apendicié^s  scilicet 
cum  capella .  pasquis .  riuis  .  frascarìis .  aquis  aquarumque  discursib^s . 
necnon  famulis  inibi  residentib«s .  Molendina .  tria  quae  sunt  posita 
in  flumine  quod  dicitur  bobium .  Mansum  unuw  qui  fuit  rectws  et 

(•)  Chiudo  tra  gli  uncini  rettangolari  le  poche  cose  che  ho  dovuto 
supplire. 


24 


IL  PROBABILE   ITINERARIO 


laboraU^  per  benedictuw  carrictuw  ac  est  positus  in  fundo  e 
Vineaw  quae  fuit  curtuli .  Nouos  2iutem  omnes  runcos   qui  p< 
adventuw  suo  in  episcopio  combusti  fuerunt  ad  culturawqwe 
difructus  p^ducti .  qut  sunt  positi  in  fundo  et  loco  qui  dicitut 
cum  decimis  in  integro  largentib^s  hec  oimiia  quae   supra  le 
memoratf^s  pr^ul  Atto  .  Sigefredus  vero  tertius  pr^nominatws 
similiqwe  modo  prò  animarww  remedio  piissimi  chuonradi 
toris  augusti  sua^que  coniugis  Gisl^  serenissima  augusta  sa 
anim^ .  necnon  prò  ommum  fidelium  animarum  minor«w  de 
rumque  salute  .  Eidem  commemorata  sanc/issim^   virgini    N 
sanctoque  principi  apos/olorMW  petro .  Cortes  (*)  quattuor .  qu; 
positae  in  loco  et  fundo  albiniano .  et  quintam  in  loco  et  fundo  e 
Tres  vero  mansos]  in  loco  et  fundo  murle  ubi  alfìano  dici 
unam   in  aquese  .  qu^   de   precario   iure  odelberti    fuerunt 
suram  vine^  in  ìntegro  qu^  iuxta   est  pr^nominatuw    episci 
quartam    portionem   decim^   qu^  infra   nallem   est  iuxta  ra 
canonum  in  ìntegro .  et  decimaw  integi'aw  qu^  de  suo  exiit 
nicato .  Mansos  autew  duos  qui  sunt  in  lo[ci]s  et  fundo  auguendi 
omma  quae  sup^rius  prenotata  et  designata  sunt .  ipsi  pr^su 
licet  domnus  Atto  .  Sigefredus  eiusqw^  successor  sicut  pr^ 
mus  proprietario  iure  eidew  prdibate  virgini  mari^ .  sanctoqu 
apostoìorum  principi .  puro  animo .  sincero  corde  sine   omnì 
dictione  magn^  parve^qw^  p^sonae  .  dederunt    concesserunt 
suis  manibMS  confirmauerunt .  et  roborauerunt .  Et  ut  h^c  pagi 
oflFertio  ab    ommb«s  incorrupta  atque  inconcussa  p^rmaneat 
propriis  manibMS  nec  non  alior^m  manibws  meorum  confratru 
licet  presuluw  inferius  notari  petimus .  Adhuc  autem  ut  haec 
certior  cunctis  appareat .  terribilew  maledictionew  ponere  non 
semMS  .  Si  quis  igitwr  temerario  ausu  huiws  nostr^  donation 
oflFertionis  quam  iam  prò  \xì\xorum  qnam  defunctorww  om«iuj 
Iute  ordinauimus  atqw^  disposuimus  violator .  exterminator  .  em 
extiterit .  manserit .  qualicuwqw^  ingenio  hanc  infringere  u^l  ru 
tractauerit .  sciat  se  esse  mancipatwm  .  nodatuw  .  sub  omnipoìen 
patris  et  filli  et  spiritus  sanctì .  sanctorumque  angelorum  .  are 
ìorum .  patriarchar«w.prophetarw»i .  apos/olorMW  .  martyruw  .  e 
sorum .  ac  sanctarum  omwium  virginuw  maledicione  hic  et  in 
tuum  indissolubili  dampnatione .  Omnes  haec  audientes  clamosa 
amen  confirment .  Ab  omnì  autem  christianorMW  orthodoxorw; 
peritia  .  h^c  defensetur  paginola  .  qui  volunt   cuw    sa«c/is  aei 
frui  I^ticia: 

(•)  La  pergamena  ha  Sortes,  ma  vedi  sopra  Cortemque, 


\ 


DELLA   FUGA   DI   ARIBERTO  ARC.   DI   MILANO  25 

Sigefredus  gratta  dri  bobiensis  episcopus  eius  cartulae  offer- 
sionis  v^I  donattonis  ab  ipso  factam  corroborauit  et  fìrmauit  atque 
subscripsìt . 

4~  E^go  arìbcrtus  d^  gra/tii  sanctae  mediolanensìs  ecclesiae 
humilis  ardii eptsco^HS  huic  scripto  conscensi,  sìibterque  fìrmaui . 

In  christi  nomiw  placuit  adque  convenit  domino  alberto  abo- 
biensts  ecclesie  appos/alice  electo  ut  prò  remedio  sue  anime  suo- 
ninqM^  antecesorum  seu  suce[so]rum  daret  duodecim  Ubras  olei  ad 
luminaria  facienda  ante  uultum  qui  elevatus  et  exaltatus  est  in  ce- 
duta sanctc  Ae\  genetricis  marie  ad  inmaginewi  et  fìguram  dointni 
Dos/rì  Jesu  christi  prò  salute  tocìus  generis  [hujmani  passi .  quod 
oleum  ipse  dominus  albertus  suusqu«  antecesor  uuarnerius  nomine 
redpiebat  in  suo  domtnicato  de  t^rra  [il|Ia  <\ue  sita  esf  in  loco  ru- 
puii,  eo  tenore  quatenus  si  umquam  temerarìo  ausu  aliqua  mortalis 
persona  hoc  donuw  vio[la)re  tentanerìt  sìue  sit  clericus  siue  laicus 
sit  anathetna.  maranatha  idem  perditus  in  secando  auentu  dommi 
at<\ue  socius  semper  sit  iu[d]e  dominici  proditoris  necnon  sit  ma- 
leditus  sicuti  datham  et  abiron  quos  scelere  terra  uiuos  deglutiuit 
quod  ut  fir{ni]ius  teneatur  supradictus  dommus  albertus  propria 
manu  fìrmauit  onwies  rogando  audientes  uti  supradictum  anathema 
lcon]fìrment  dicendo  Amen , 

^  ego  albertus  gratta  dei  bobbiensis  e[lecjtus  subscripsi. 


La  Compagnia  della  Braida  di  Monte  volpe 

NELL'ANTICO  SUBURBIO  MILANESE 
ED  IL  SUO  Statuto  del  1240 


differenza  della  tanto  famosa  Braida  o  Brera  del  Guercio, 
che  diede  il  nome  alla  località  sulla  quale  si  erge  il 
massimo  tempio  lombardo  delle  arti  e  delle  scienze,  di 
quest'altra  Braida  dell'antico  suburbio  di  Milano  non  si  era  conser- 
vata alcuna  notizia  ;  sebbene  il  suo  nome  fosse  apparso  una  prima 
volta  nella  Bolla  29  luglio  1148  (i)  di  Eugenio  HI  che  accolse  sotto 
la  protezione  apostolica  le  possessioni  del  Monastero  Maggiore  cui 
la  Braida  apparteneva,  ed  una  seconda  volta  nella  denuncia  dei 
redditi  del  medesimo  monastero  presentata  nel  marzo  1278  al  Co- 
mune di  Milano  (2).  11  dott.  Cossa,  illustrando  i  nomi  delle  terre 
comprese  in  questo  secondo  documento,  confessava  essergli  ignota 
la  località  della  Braida  dì  Monte  volpe  ;  cosi  a  lui,  come  all'Osio 
—  non  ostante  la  parte  da  essi  avuta  nell'ordinamento  delle  carte 
delle  soppresse  corporazioni  religiose  di  Lombardia  —  èra  sfug- 
gita la  grande  pergamena  contenente  lo  statuto  di  una  Compunta 
dei  possessori  della  Braida,  che  sta  appunto  fra  le  carte  del  Mo- 
nastero Maggiore,  ora  presso  questo  R.  Archivio  di  Stato  (3). 

Come  appare  dallo  statuto  della  Compagnia  che  pubblichiamo 
in  fine,  la  Braida  di  Monte   volpe  era    un   «  clauso  »,  coltivato  a 

(i)  Muratori,  Antìq,  M.  Ae.,  IV,  563;  e  Giulini,  III,  pag.  365. 

(a)  Oslo,  Man.  dipi,  mil.,  I,  n.  18. 

(3)  Carpar.  Retig.,  Pergam.,  Milano,  Monastero  Maggiort  ;  fascio  n.  104,. 
Porgiamo  vìvi  ringraziamenti  agli  egregi  signori  cav.  Giuseppe  Porro, 
archivista,  e  dott.  Adriano  Cappelli,  sotto  archivista,  che  ci  prestarono 
valido  aiuto  nella  ricerca  e  nella  lettura  delle 'pergamene. 


nell'antico  suburbio  milanese  27 

vigna  e  frutteto,  circondato  da  siepe  (cesa),  fuori  dell'antica  porta 
Ticinese.  La  sua  confìnazione  risulta  in  modo  abbastanza  preciso 
anche  da  altri  documenti  che  fanno  parte  dello  stesso  fondo  di  perga- 
mene e  di  registri  del  Monastero  Maggiore. 

Lo  statuto  così  la  identifica  :  clauso  uno  tacente  prope  civitatem 
mediolani  extra  portam  Ticinensem,  ubi  dicitur  in  Monte  vulpis  sive 
in  via  arena.  Il  secondo  nome  dato  alla  Braida,  di  «  via  arena  », 
indica  che  doveva  trovarsi  nelle  vicinanze  dell'attuale  via  Arena, 
volgarmente  chiamata  «  Viarenna  »,  che  si  stacca  dalla  cinta  intema 
del  Naviglio,  a  destra  del  ponte  dell'antica  porta  Ticinese,  e,  pie- 
gando alquanto  a  sera,  fa  capo  ai  bastioni,  poco  lungi  dall'  imbocco 
dd  canale  a  chiusa  detto  «  tombone  di  Viarenna  ».  Più  oltre,  nello 
statuto,  si  accenna  che  a  mezzogiorno  scorreva  un  xeratore;  è  pro- 
babile si  trattasse  di  uno  sfioratore  delle  acque  dell'Olona  —  che 
oggidì  si  confondono  con  quelle  del  Naviglio  grande  nel  laghetto 
di  porta  Ticinese,  a  mezzogiorno  appunto  di  via  Arena  —  forse 
a  valle  di  qualche  molino  o  d'altro  edifizio  idraulico.  Si.  avrebbe  ^ol^^aj^^cl 
cosi  un  secondo  confine  della  Braida,    ;J_.vul/vvwwCvw  V{p4.o-v*-^  t4^  ^.vv<-*u««^^  ^^  cc^t 

Altri  elementi  per  la  sua  confinazione  si  ricavano  da  una  lo-  ^^^^*'^''*^  VI'mS..' •^^<"« 
cazione,  stipulata  nel  1262  (i)  dal  monastero  maggiore,  de  petia  una  ^  '  ^ 
vinee  tacente  extra  portam  Ticinensem  ubi  dicitur  in  Monte  vulpis, 
e  da  una  ricevuta  rilasciata  dallo  stesso  monastero  nel  127 1  ad  un 
consorte  della  Braida  de  omni  fictu  —  unius  petie  vinee  iacentis  extra 
pusterlam  de  fabrica  ubi  dicitur  in  monte  vulpe  (2).  Le  coerenze 
della  petia  vinee  affittata  nel  1262  erano  a  mattina  un  consorte,  a 
mezzogiorno  /lumen  seratoris,  a  sera  hospitale  sancii,,,,  e  a  tramon- 
tana lo  stesso  monastero. 

L'accenno  nella  ricevuta  del  1271  alla  pusterla  de  fabrica  lascia 
comprendere  come  la  Braida  di  Monte  volpe  da  via  Arena  si  spin- 
gesse fino  quasi  all'ora  demolita  pusterla  dei  Fabbri.  L'indicazione, 
nella  investitura  del  1262,  del  confine  a  sera  hospitale  sancii,,,,  fa 
pensare  all'antico  ospitale  di  S.  Vincenzo  in  Prato,  al  quale  si  ac- 
cedeva appunto  dalla  pusterla  dei  Fabbri. 

Alle  stesse  conclusioni  ci  conduce  un'investitura  livellarla  della 

(i)  Corp.  Relig.,  Perg.  ibidem;  in  un  quaderno  d*  imbreviature  del 
notaio  Giovanni  Bello  di  Vaprio. 

(2)  Corp.  Relig.,  Perg,  ibid.  ;  in  altro  quaderno  d' imbreviature  dello 
stesso  notaio. 

*   l- 


-^:>-.>^  ;    l?^   aA^t-u:*"o)c^  t-^^   (^^'^^^  ;    f-v^^.    ju.  ;*-*-'■      '.  ^*^.--     '^>' 


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28  LA   COMPAGNIA   DELLA   BRAIDA   DI   MONTE   VOLPE 

Braida  in  data  del  1212  (i),  ove  essa  è  così  identificata:  Braida 
una  illius  monasierii  tacente  ibi  ubi  dicitur  ad  montem  vulpis  sive 
in  via  ursaria,  seu  in  via  arena,  e  se  ne  determina  un  confine^ 
a  sevo  illius  hospitalis.  Pur  troppo  il  documento,  che  ci  è  giunto  im- 
perfetto, della  confinazione  della  Braida  permette  di  leggere  soltanto 
la  coerenza  di  ponente.  Quanto  alla  via  ursaria,  è  notevole  che  il 
suo  nome  compare  una  seconda  volta  in  una  serie  di  precetti  giu- 
diziali intimati  dal  Monastero  a  parecchi  consorti  di  Monte  volpe 
nel  1252  (2);  dovrebbe  corrispondere  alla  attuale  via  di  S.  Calo- 
cero,  e  con  tutta  probabilità  avrà  segnato  il  confine  della  Braida 
in  direzione  opposta  a  via  Arena. 

L'apertura  del  canale  a  conca  o  tombone  di  via  Arena,  com- 
piutasi tra  la  fine  del  secolo  XIV  e  il  principio  del  XV,  divise  la{l 
(0  Braida  in  due  parti  ;  dopo  d'allora,  della  parte  minore,  compresa 
fra  il  canale  e  la  via  omonima,  non  si  hanno  più  notizie  nelle  carte 
del  Monastero  Maggiore  ;  l'altra,  assai  più  estesa,  oltre  il  canale 
fino  alla  via  di  S.  Calocero,  abbandonato  il  nome  di  Monte  volpe,  si 
chiamò  «  vigna  di  S.  Vincenzo  ». 

I  confini  della  vigna  di  S.  Vincenzo  segnati  in  alcune  investi- 
ture dei  secoli  XV-XVII,  sono  presso  a  poco  quelli  della  parte  cor- 
rispondente dell'antica  Braida  di  Monte  volpe;  tenuto  conto  delle 
trasformazioni  verificatesi  nel  frattempo  in  quella  località,  sia  in  or- 
dine al  regime  delle  acque,  come  anche  per  la  costruzione  dei 
nuovi  bastioni  (3).  Nel  141 7  le  coerenze  sono:  1.^  fossum  cita- 
delle,  ossia  il  fossato  dell'antica  cinta,  ove  scorre  il  Naviglio  in- 
temo lungo  via  Vittoria,  per  il  breve  tratto  dal  ponte  dei  Fabbri 
al  canale  di  Viarenna,  2.°  sfrata,  forse  la  via  alzaia  a  sinistra  del 
canale,  ora  via  Giocati,  3.°  hospitale  sancii  Vincentii,  presso  le  at- 
tuali vie  di  S.  Calocero  e  di  S.  Vincenzo  in  Prato,  4.0  redefossum 
Mediolani,  il  canale  esterno  dei  bastioni  che  ora  si  apre  nel  la- 
ghetto di  porta  Ticinese,  a  poca  distanza  dall'imbocco   del  canale 


(i)  Corp,  Relig.,  Perg.,  fascio  102,  grande  pergamena  in  pulcra  li- 
tera,  4  maggio  1212. 

(2)  Ibid.,  fascio  103,  piccola  pergamena,  in  data  21  ottobre  1252. 

(3)  Fondo  di  Relig,  Mon,  Magg,  —  Inventario  delle  scritture  del- 
l'archivio del  M.  M.  1687,  n.  393,  "  nota  e  misura  di  terra  tolta  alla 
possessione  di  S.  Vincenzo  nelle  nuove  fortificazioni  del  Bastione  e  pa- 
gata al  Mon.  Tanno  1557.  ^ 

...        '  /.    .    .'r<  fH  ^/    ^  *^    •  *  "' 


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nell'antico  suburbio  milanese  29 

intemo  a  chiusa  (i).  Nel  1447  e  nel  1450  (2)  la  vigna  è  coeren- 
zìata  :  a  duabus  partibus  flumen  Navigii  domini,  ossia  il  Naviglio 
grande  del  laghetto  ed  il  canale  a  chiusa,  ab  alia  strafa  et  ab  alia 
kospìtale  sancii  Vincentii,  nel  1480  (3)  :  ab  una  parte  strata,  ab  alia 
fossatum  citadelle^  ab  alia  navigium  versus  concham  et  ab  alia  hospi- 
tale  tnagnum  Mediolani  et  in  parte  Abbatia  sancii  Vincentii,  e  nel 
1488  (4)  :  ab  una  parte  monasterium  sancii  P  incentii,  ab  alia  hospi- 
talis  magnum,  ab  alia  laghetus  et  ab  alia  strata;  infine  nel  1595  e  nel 
161 1  (5):  ab  una  parte  bona  Abbatie  ecclesie  S.  Vincentii,  ab  alia 
bastionum  Mediolani,  ab  alia  Navigium  Mediolani  et  ab  alia  strata. 

La  superficie  compresa  nei  confini  da  noi  assegnati  alla  Braida 
di  Monte  volpe,  corrisponde  in  via  approssimativa  all*estensione  che 
le  era  stata  attribuita  nel  documento  del  1212. 

È  questo  Tatto  di  data  più  remota,  dopo  la  bolla  di  Eugenio  III, 
in  cui  si  fa  menzione  di  Monte  volpe.  Contiene  V  investitura,  a  ti- 
tolo di  livello  perpetuo,  di  tutta  la  possessione,  concessa  dal  mo- 
nastero ad  otto  cittadini,  verso  corresponsione  del  canone  annuo 
di  due  stala  di  frumento  per  ogni  pertica.  La  superficie  della  Braida 
è  ivi  indicata  in  iugera  novem,  e  l'ammontare  complessivo  del  fru- 
mento dovuto  ogni  anno  in  27  moggia,  pari  a  stala  216;  ne  risulta 
che  i  nove  iugeri  equivalgono  a  108  pertiche,  ossia  a  12  pertiche 
per  iugero,  proporzione  questa  che  abbiamo  riscontrato  in  altri 
documenti  milanesi  del  secolo  XIII  (6).  Nelle  investiture  del  se- 
colo XV  la  vigna  di  S.  Vincenzo  ha  l'estensione  di  pertiche  74  a  75, 
in  quelle  del  1595  e  161 1,  di  pertiche  77  e  tavole  12;  la  diminu- 
zione«di  30  a  34  pertiche  è  dovuta  allo  scorporo  della  parte  della 
Braida  tagliata  fuori  dall'apertura  del  canale  di  via  Atena.  < 

(1)  Corp.  Rels'g.,  Perg.,  fascio  105,  grande  pergamena,  4  ottobre  141 7. 

(2)  Ibid./  pergamene,  28  marzo  1447  e  20  ottobre  1450, 

(3)  lòid.,'  pergamena,  6  novembre  1480. 

(4)  Ibid.,-  perg.  30  aprile  1488. 

(5)  Fondo  Relig.f  Mon.  Magg,  —  Indice  delle  possessioni  del  mont.- 
stero  compilato  nel  1603,  con  aggiunte  sino  al  161 1. 

(6)  Corp,  Beltg.,  Perg,;  fascio  103  ;  un  elenco  dei  beni  del  mon.  magg- 
io Dugnano  e  Incorano  del  1254  termina  colla  seguente  nota  :  Somma 
terrarum  de  Inaurano  et  de  Dugnano  est  pertice  MCCCLXill  tab,  1  et 
ftd,  1  ultra  predicta  sedimina  (pert  19,  tav.  18  e  piedi  2)  et  ascendunt 
massa  novem  et  iugera  novem  et  peri  tee  novem  et  t abulie  quinque,  Veg- 
gasi  anche  in  Codex  dipi,  lang,  (M.  H.  P.,  XIII,  nota  a  e.  217),  ove  è  detto 
die  il  manso  era  composto  di  12  iugeri,  cioè  di  pertiche  144. 


30  LA  COMPAGNIA   DELLA  BRAIDA   DI   MONTE  VOLPE 

Si  è  detto  che  la  prìma  memoria  di  questa  possessione  del 
Monastero  Maggiore  è  nella  bolla  papale  del  1148.  La  mancanza 
fino  dal  secolo  XVII,  nell'Archivio  del  monastero,  dei  titoli  originari 
di  acquisto  della  Braida,  mentre  vi  si  trovavano  allora  ed  in  parte 
sono  giunti  sino  a  noi  quelli  di  altre  possessioni  che  entrarono  nel 
patrimonio  di  quella  corporazione  dai  primi  anni  del  secolo  XII  in 
poi,  induce  a  ritenere  che  l'acquisto  della  Braida  risalga  ad  epoca 
anteriore  al  secolo  XII.  Non  sarebbe  forse  troppo  azzardato  sup- 
porre che  Monte  volpe  facesse  parte  in  antico  della  Curtis  de  Praia, 
di  spettanza  dell'arcivescovo  di  Milano,  ove  esisteva  VOratorium 
sancii  Vincentiiy  che,  colla  corte  stessa  e  suoi  massari  ed  aldioni, 
l'arcivescovo  Oldeperto  concesse  l'anno  806  in  usufrutto  ad  Ari- 
gauso,  abbate  di  S.  Ambrogio  (i);  oratorio  che  pochi  anni  dopo  si 
trasformò  nel  monastero  dei  Benedettini  di  S.  Vincenzo  in  Prato, 
suddito  a  quello  di  S.  Ambrogio  (2).  È  probabile  che  più  tardi  i 
monaci  di  S.  Vincenzo  abbiano  ceduto  una  parte  della  Curtis  de 
Praia  alle  consorelle  del  Monastero  Maggiore,  le  quali  coll'andare 
degli  anni  l'avranno  ridotta  a  «  clauso  »  o  Braida. 

Nel  12 12  adunque  questa  fu  data  in  enfiteusi  ad  otto  cittadini 
del  quartiere  di  porta  Ticinese.  L'atto  della  relativa  investitura 
chiarisce  l'origine  della  Compagnia  dei  possessori  della  Braida  e 
dello  Statuto. 

La  badessa  Vittoria  Cotta,  coll'approvazione  del  Capitolo  del 
monastero  e  col  consenso  del  proprio  avvocato,  Alberto  Barazia, 
investiva  ad  massaricium  usque  in  perpctuum  Alberico  de  la  Cesa, 
Alberico  da  Orsenigo,  Amizone  Suganappo,  Lafranco  Suganappo, 
Ottobello  de  Conte,  Ambrogio  da  Sesto,  Alberto  de  la  porta  e 
Jacopo  Marrono,  de  braida  una,  ecc.;  come  si  è  notato,  il  canone 
annuo  era  stabilito  in  staia  due  di  frumento  (Ettolitri '0.366)  la  per- 
tica (are  6.545),  ossia  in  totale  27  moggia  (Ettolitri  39474)  per  nove 
iugeri  di  terreno  (Ettari  7.058). 

Gli  otto  livellari  si  erano  divisa  la  Braida  in  altrettante  parti, 
distribuendosi  il  carico  totale  <iel  canone  in  proporzione  alle  ri- 
spettive quote,  salvo  qualche  differenza  in  più  od  in  meno,  deter- 
minata forse  dalla  diversa  situazione  di   ciascuna   quota   di  fronte 


(i)  M.  H.  P.,  Xlir,  Codex  dipi,  lang,,  Doc.  LXXXIH,  e.  155. 
(2)  Ibid.;  Doc.  CXXll.  Anno  835,  e.  218. 


nell'antico  suburbio  milanese 


31 


sia  all'accesso  della  Braida  che  era  uno  solo,  come  anche  allo  sfio- 
ratore dell'Olona,  le  cui  acque  è  assai  probabile  venissero,  durante 
la  stagione    estiva,    divertite   a   profitto    della   parte  più  bassa  di 
Monte  volpe;    ma  rispetto    al    proprietario  monastero   ognuno   ri- 
spondeva soltanto  per  la  sua  quota  in  ragione  di  due  stala  di  fru- 
mento la  pertica,  senza  vincolo  di    solidarietà   cogli   altri  consorti. 
Chi  voleva   alienare  il   proprio   appezzamento   doveva   prima 
dame  notìzia  alla  badessa  la  quale  aveva  otto  giorni  di  tempo  per 
dichiarare  se  esercitava  il  diritto  di  prelazione  ;  in  questo  caso  le 
si  dovevano  abbuonare  dodici  denari  per  ogni  pertica   sul   prezzo 
in  veritate  stipulato  coi  terzi  ;   non  esercitando  il  diritto    di    prela- 
zione, il  monastero    prendeva  solo  il  laudemio    per   la   investitura 
che  il  cessionario  era  tenuto  a  richiedere  entro  tre  mesi  dalla  data 
dello  acquisto.  Erano  cause  di  caducità  del  livello  e  di  avocazione 
della  terra  in  piena  e  libera  disponibilità  del  monastero  il  ritardo 
di  oltre  un  mese  al  pagamento  del  canone,  la  mancata  notifica  della 
vendita  e  l'ommessa  richiesta,  per  parte  del  cessionario,  della  in- 
vestitura. Ognuno  degli  otto  livellari  vincolava  a  pegno  tutti  i  suoi 
beni  per  l'adempimento  delle  assunte  obbligazioni  e  presentava  un 
fideiussore. 

Non  ostante  la  mancanza  del  vincolo  di  solidarietà  nella  pre- 
stazione del  canone,  quest'atto  presuppone  la  costituzione,  fino  da 
principio,  di  una  specie  di  consorzio  fra   i   nuovi   possessori  della 
Braida,  la  quale,  sebbene   divisa   fra   essi  e  suddivisa  di  poi  fra  i 
loro  eredi  e  successori  anche  a  titolo  particolare,  continuava  a  rap- 
pr^entar^  per  determinati  effetti,  compreso  quello  dell'obbligo  del 
conguaglio  del  canone,  come  un  unico  possesso.  Noi  crediamo  anzi 
che,  contemporaneamente  o  subito  dopo  la  stipulazione  della  inve- 
stitura livellarla  del  1212,  i  consorti  si  siano  dati  uno   statuto   per 
provvedere  agli  interessi  comuni  creati  dai  nuovi   rapporti  di  vici- 
nanza, n  testo  originario  dello  statuto  andò  perduto;   fu  sostituito 
da  quello    del    1240   che   s' intitola   appunto  :    Statutum  correctum, 
emendatum  et  approbaturrty  per  indicare  che  è  stato  modellato  sopra 
un  testo  anteriore. 

La  pergamena  che  contiene  lo  statuto  del  1240,  misura  metri 
0.61  X  0'51  ',  presenta  nella  parte  superiore  alcune  lacerazioni  cu- 
cite alla  meglio  con  grosso  filo.  A  tergo  si  legge  in  caratteri  del 
secolo  XrV  :  Factum  braide  \  Monasterii  maioris,   e    più    sotto,    di 


32  LA  COMPAGNIA  DELLA   BRAIDA  DI   MONTE  VOLPE 

mano  del  secolo  XVII  o  XVIII:  Patti  fatti  da  consorti  a  favore  di 
un  luoco  del  MonJ^  Magr^  detto  la  Brayda,  La  scrittura  è  nella 
così  detta  litera  notaresca  degli  istromenti  milanesi  di  compra-ven- 
dita, enfiteusi,  permuta,  locazione  di  beni  stabili  del  secolo  XIII; 
qualche  parola  è  corrosa  dalle  piegature  irregolari  della  carta;  due 
linee  sono  abrase,  ma  in  parte  si  possono  leggere  ancora.  L'ultimo 
quarto  della  pergamena,  fra  la  chiusa  del  testo  originario  dello  sta- 
tuto e  la  sottoscrizione  del  notaio  rogante,  che  era  stato  lasciato 
in  bianco,  fu  riempito  con  varie  aggiunte  scritte  da  mani  diverse. 
Fra  le  linee  così  del  testo  principale  come  delle  aggiunte  hawi 
qualche  postilla  e  qualche  cancellazione. 

L'approvazione  del  nuovo  testo  dello  statuto  seguì  la  domenica 
del  3  giugno  1240,  nella  piazza  di  S.  Lorenzo,  coli*  intervento  di 
dieci  consorti:  Mirano  de  la  Cesa,  Giovanni  Bello  da  Orsenigo^ 
Pagano  con  Uberto  e  Giovanni  suoi  figli,  Algisio  Maloserio,  Gu- 
glielmo da  Lodi,  Uberto  da  Conte,  ser  Cassino  da  Vogenzate  e 
Uberto,  speziario.  Si  può  credere  però  che  Pagano  rappresentasse 
insieme  ai  suoi  figli,  nella  Compagnia,  un  solo  appezzamento  da 
essi  posseduto  prò  indiviso,  onde  gli  appezzamenti  allora  rappre- 
sentati si  ridurrebbero  a  sette.  Se  non  che  lo  stesso  giorno,  dopo 
chiuso  Tatto,  altri  due  consorti  —  ser  Drudone  dalla  Pusterla  e 
Amedeo  dall'Arco  —  intervennero  essi  pure  ad  approvare  lo  sta- 
tuto e  giurarono  nelle  mani  di  due  fra  i  consorti,  che  fungevano 
da  consoli  della  Braida,  di  osservarlo.  Lo  stesso  anno,  il  22  set- 
tembre, aderirono  altri  quattro  consorti  —  Algisio  Maloserio,  questa 
volta  intervenuto  a  nome  degli  eredi  di  Giacomo  Maloserio  suo 
fratello,  Giacomo  da  Conte  per  sé  e  fratello  Antonio,  Pietro  ed 
Airoldo  de  la  Cesa  ;  e  al  26  settembre  vi  aderì  Mainfredo  de  la 
Cesa  anche  per  il  fratello  Arnaldo. 

La  identità  del  casato  di  alcuni  fra  i  consorti  dell'atto  del  1212 
e  di  altri  più  numerosi  fra  quelli  dello  statuto,  fa  pensare  che  al- 
cuni di  costoro  si  fossero  suddivisa  la  quota  originariamente  asse- 
gnata al  loro  autore.  La  presenza,  fra  i  consorti  dello  statuto,  degli 
eredi  di  tal  Giacomo  Maloserio  che  nell'atto  del  1212  era  interve- 
nuto quale  fideiussore  del  consorte  Lafranco  Suganappo,  indiche- 
rebbe che,  avendo  dovuto  rispondere  per  il  Suganappo,  egli  si 
fosse  reso  cessionario  della   sua  quota. 

Comunque,  pare  certo  che  dal  1212  al  1240  le  quote  fossero 


nell'antico  suburbio  laLANESE  33 

aeadute  di  numero  in  causa  del  frazionamento  di  taluna  di  es9e. 
Né  vi  è  dul>bio  che  la  maggior  parte  avessero  cambiato  di  posseii- 
sore,  all' infuori  dei  discendenti  d^;U  originari  investiti.  Di  questi 
ormai  vi  erano  soltanto  gli  eredi  di  Arnoldo  de  la  Cesa,  di  Albe- 
lieo  da  Orsenigo  e  di  Ottobello  da  Conte  ;  tutti  gli  altri  erano  so- 
pravvenuti di  poi.  Le  quote  sarebbero  in  tal  modo  s^ite  a  non 
meno  di  dieci,  oltre  la  suddivisione  di  taluna  di  esse  fra  gli  eredi 
e  discendenti  dei  De  la  Cesa  e  Da  Conte.  Quanto  a  Guglielmo  da 
Lodi  —  ch'era  un  notaio  al  servizio  del  Monastero  Maggiore  — 
à  ha  notizia  dàfflnwniario  delle  Scritture  dell'Archivio  del  M.  M* 
^6.  1687  (i),  che  mediante  investitura  semplice  del  1231  il  medesimo 
aveva  avuto  in  affitto  dalla  Badessa  Vittoria  Cotta  %m  pezzo  di  terr^ 
vigna  detto  Viarena  presso  S.  Vincenzo  detto  al  Monte  della  volpe. 
U  documento  originale  è  andato  perduto,  ma  la  sufficiente  esattezza 
die  abbiamo  riscontrato  nelle  registrazioni  di  queir  inventario  e 
l'esempio  di  posteriori  investiture,  a  tìtolo  di  semplice  affitto,  di 
singoli  appezzamenti  della  Braida,  stipulati  dal  monastero,  ci  au- 
torizzano a  ritenere  che  sino  dal  1331  il  monastero,  approfittando 
della  clausola  di  caducità  del  livello  pel  caso  di  inadempienza  del- 
l'uttlista  ai  suoi  obblighi,  avesse  cominciato  ad  avocare  a  sé  or 
questa  ed  or  quella  parte  deUa  Braida  e  ad  affittarla  a  termine 
{Mù  o  meno  breve.  Vedremo  più  innanzi  come  coU'andar  d^li  anni 
il  monastero  sia  riuscito  a  ricuperare  se  non  tutta  la  Braida,  la 
parte  maggiore  di  essa,  facendo  cessare  il  consorzio  o  Compagnia 
òsi  suoi  possessori. 

Il  bisogno  di  reagire  efiScacemente  contro  la  tendenza  egoistica 
dell'individuo  portato  a  soverchiare  colla  violenza  o  colla  frode 
il  più  debole  ed  il  meno  avveduto,  si  fa  sentire  prepotente  nelle 
popolazioni  italiane  dal  secolo  XI  in  poi,  movendole  ad  associarsi 
in  difesa  dei  comuni  interessi.  Questo  spirito  di  associazione  si 
esplica  prima  nella  formazione  del  Comune,  indi  nella  costituzione 
delie  corporazioni  delle  arti  e  mestieri  e  delle  vicinie  o  regole  fra 
gli  abitanti  di  ciasctma  villa,  e  perfino  delle  singole  contrade  o 
parrocchie  di  una  stessa  città,  per  la  protezione  e  la  difesa  dei 
beni  dei  vicini.  Egli  è  che  la  difesa  che  il  Comune  poteva  of- 
frire ai  singoli  possessori  delle  terre,  non  era  tale,  nei  primi  tempi, 

(i)  Loc.  cit.,  n.  372. 

Arch.  Slor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXITI.  3 


34  LA  COMPAGNIA   DELLA   BRAIDA   DI    MONTE   VOLPE 

da  raggiungere  sempre  il  suo  scopò.  Troppo  rudimentale  si  man- 
teneva ancora  l'ordinamento  della  polizia  campestre  per  le  ortaglie 
e  i  clat4si  in  città  è  nelle  ville  del  suburbio,  affidata  a  poche  guardie 
giurate  o  campati  che,  scelti  a  sorte  fra  i  vicini,  stavano  in  carica 
solo  quattro  o  sei  mesi;  inceppata  Fazione  loro  da  principi  anti- 
quati, per  i  quali  occorreva  alla  incriminazione  del  reo  la  sua  per- 
sonale invenzione  sul  luògo  del  delitto  per  parte  del  giurato  a 
camparo,  non  ammettendosi  prove  equipollenti.  Le  conseguenze  di 
questo  stato  di  cose  dovevano  farsi  sentire  maggiormente  allorché 
si  trattava  di  un  podere  posseduto  da  parecchi  vicini  prò  diviso  ;  si 
comprende  che  se  uno  solo  ne  era  il  possessore,  oltre  alla  guardia 
che  facevano  dal  di  fuori  i  campari  del  Comune,  egli  lo  poteva  sor- 
vegliare o  personalmente  o  per  mezzo  dei  suoi  famigli,  dall'  in- 
terno. Ma  se  più  ne  erano  i  possessori,  ciascuno  di  essi,  di  neces- 
sità, doveva  avervi  libero  accesso  di  giorno  e  di  notte,  senza,  il  più 
delle  volte,  poter  chiudere  in  modo  efficace  la  propria  quota  in 
causa  delle  servitù  di  passo  spettanti  ai  vicini,  e  senza  poter  con» 
tare  molto  sulla  sorveglianza  dal  di  fuori,  perchè,  a  parte  ogni 
altro  riflesso,  mentre  il  camparo  vigilava  affinchè  estranei  non  pe- 
netrassero nel  fondo,  ciascun  consorte  aveva  agio  di  portarsi  dalla 
propria  quota  su  quella  del  vicino  e  di  rubarvi  frutta,  legna  od 
altro  o  di  commettere  altri  danni,  eludendo  la  sorveglianza  del 
camparo. 

Da  ciò  la  costituzione  dei  consorzi  o  Compagnie  fra  i  posses- 
sori di  parti  o  sorti  di  uno  stesso  fondo,  a  mutua  difesa,  non  tanto 
contro  gli  estranei,  quanto  e  più  da  eventuali  abusi,  usurpazioni, 
furti  o  guasti  maliziosi  di  un  vicino  in  danno  dell'altro. 

Di  un  consorzio  contrattualmente  organizzato  fra  i  possessori 
di  un  fondo  prò  diviso,  si  ha  notizia  indiretta  negli  statuti  di  Ber- 
gamo del  secolo  XIII  (i),  ove  si  accenna  alla  assegnazione  giudi- 
ziale della  quota  che  tal  Graziadio  possedeva  in  un  prato  donico 
prò  diviso  presso  Bergamo,  ai  suoi  creditori,  e  si  prescrive  fra 
l'altro  che  la  divisione  intervenuta  tempo  addietro  fra  Graziadio  e 
gli  altri  consortes  illitis  prati,  dovesse  rimanere  ferma  in  perpetuo, 
anche  in  confronto  agli  assegnatari  e  che  alla  loro  volta  gli  altri 
consorti  non  avessero  a  molestare   gli  assegnatari  per  il  possesso 

(I)  M.  H.  P.,  XVI,  II,  e.  1966. 


nell'antico  suburbio  milanese  35 

ad  essi  attribuito  della  quota  di  Graziadio  ;  le  quali  disposizioni  pro- 
mulgate dal  Podestà  del  Comune  nel  1225  sopra  voto  conforme  della 
Credenza  ed  inserite  negli  statuti,  lasciano  comprendere  come  si 
fosse  voluto  per  atto  d'impero  derogare  agli  effetti  delle  private 
stipulazioni  fra  i  consorti  del  prato  donicOy  in  quanto  attribuivano 
a  ciascun  consorte  il  diritto  di  prelazione  sulle  quote  dei  vicini  ed 
un  diritto  forse  di  riversabilità,  a  profitto  del  consorzio,  sulle  quote 
vendute  ad  estranei,  ed  in  pari  tempo  riconoscerne  l'obbligatorietà 
per  quant'altro  in  confronto  del  nuovo  possessore. 

Importante  sia  per  l'estensione  del  territorio  che  comprendeva, 
come  anche  per  i  diversi  scopi  in  vista  dei  quali  era  stato  costi- 
tuita, ci  si  presenta  la  Compagnia  del  Piano  del  padule  d'Orgia  nel 
Senese,  ch'ebbe  origine  nel  1240  dalla  divisione  fra  alcuni  cittadini 
senesi  della  pianura  appiè  del  poggio  d'Orgia  in  vai  di  Mersa, 
ch'era  tutto  un  padule  e  che,  a  cura  della  Compagnia,  venne  pro- 
sdogato  mediante  un  bene  inteso  sistema  di  canali  e  di  colmate; 
come  risulta  dallo  statuto  della  Compagnia  nel  doppio  testo  latino 
e  volgare  approvato  nel  1303  (i).  Oltre  alle  norme  per  l'escavo 
e  la  conservazione  dei  canali  di  scolo  e  per  le  colmate,  lo  statuto 
contiene  molte  disposizioni  relative  alla  polizia  delle  terre  del  Pa- 
dule, anche  in  confronto  degli  estranei. 

Certamente  le  condizioni  della  Braida  di  Monte  volpe  erano, 
quanto  a  sicurezza,  assai  più  favorevoli  di  quelle  del  padule  d'Orgia. 
Presso  alle  porte  della  città,  ed  entro  la  zona  del  suburbio,  ove  si 
estendeva  la  protezione  dal  Comune  esercitata  direttamente  a  mezzo 
dei  suoi  campari,  i  possessori  di  Monte  volpe  non  avevano  a  preoc- 
cuparsi in  modo  particolare  che  di  sé  stessi  ;  la  difesa  contro  gli 
estranei  era  anzi,  in  qualche  modo,  resa  più  facile  dalla  opportu- 
nità del  concorso,  nella  sorveglianza,  di  un  numero  abbastanza  no- 
tevole di  lavoratori  della  Braida.  Farsi  la  guardia  a  vicenda;  questo 
Io  scopo  principale,  se  non  unico,  dello  statuto  di  Monte  volpe. 
Degli  estranei  non  si  fa  parola,  ed  è  ciò  che  dà  allo  statuto  il  ca- 
rattere di  un  contratto  di  società  civile,  nell'orbita  del  diritto  pri- 
vato, per  la  cui  attivazione  non  era  mestieri  la  licenza  dei  reggi- 
tori del  Comune  ;  a  differenza  di  quanto  avvenne  per  la  Compagnia 
del  padule  d'Orgia,  che  per  costituirsi  e  per  emanare  il  proprio 
statuto  dovette  riportare  l'autorizzazione  del   comune  di  Siena  (2). 

(i)  In  Stat.  Senesi,  editi  da  L,  Banchi,  II,  187 1. 
(2)  Loc.  cit,  p.  XII  e  seg. 


36  LA  COMPAGNIA  DELLA  BRAIDA  DI   KONTE  VOLPE 

Le  multe  comminate  nello  statuto,  pel  caso  di  vìdazione  dei 
suoi  precetti,  non  sono  altro  che  clausole  penali  cui  è  l^^e  la 
volontà  dei  contraenti  ;  il  potere  giurisdizionale  attribuito  in  taluni 
casi  ai  rettori  della  Compagnia  rientra  nelle  facoltà  ordinarie  di 
arbitri  eletti  mediante  clausola  compromissoria,  e  non  è  sostanzial- 
mente diverso  dalle  attribuzioni  che  anche  oggidì  negli  statuti  delle 
società  civili  e  commerciali  si  sogliono  conferire  agli  amministra- 
tori, mandatari  dei  soci,  od  al  così  detto  comitato  dei  probi-viri 
eletti  dall'assemblea  dei  soci.  La  Compagnia  di  Monte  volpe  è  un 
corpo  chiuso  fra  coloro  che  sono  intervenuti  a  costituirla  in  ori- 
gine, e  i  loro  eredi  in  quanto  restino  al  possesso  di  una  parte 
della  Braida;  si  apre  per  ricevere  nel  proprio  seno  i  nuovi  pos- 
sessori che  fanno  adesione  allo  statuto,  giurando  di  osservarne  le 
norme  e  di  obbedire  ai  precetti  dei  rettori.  Il  diritto  di  prelazione 
sulle  quote  dei  consorti  poste  in  vendita,  col  vantaggio  anche  di  un 
piccolo  sconto  sul  prezzo  (Vili)  pone  ciascun  consorte  in  grado  di 
impedire  l'ingresso  nella  Compagnia  di  persona  non  benevisa. 

Nel  complesso  delle  sue  disposizioni  Io  statuto  riflette  la  ten- 
denza generale  nel  secolo  XIII,  di  riprodurre,  anche  nelle  più  pic- 
cole consorterie  o  conventicole,  le  forme  e  gli  organismi  ammini- 
strativi del  comune-città. 

Il  Consolato  dal  Comune-città  passa  nei  borghi  e  da  questi  nelle 
ville  e  nelle  vicinie  o  regole  costituite  da  una  dozzina  o  poco  più 
di  fuochi.  La  Compagnia  di  Monte  volpe  è  pure  retta  da  consoli, 
in  numero  di  due,  eletti  ogni  anno  dai  due  uscenti  fra  i  consorti  (IX). 
Le  disposizioni  circa  il  divieto  di  rifiutare  la  carica  (f6.),  sull'ob- 
bligo  di  rendere  il  conto  della  propria  gestione  (ai  nuovi  eletti?) 
otto  giorni  prima  di  scadere  d'ufficio  (XXV)  e  sulle  funzioni  loro 
attribuite  di  decidere  le  questioni  che  potessero  sorgere  fra  i  con- 
sorti occasione  illius  braide  (XI),  di  esigere  i  banni  e  le  composi- 
zioni poste  contro  i  trasgressori  (XX)  e  di  tener  nota  in  iscritto 
di  tutti  gli  incassi  e  delle  spese  sostenute  (XXV),  sono  comuni  alla 
maggior  parte  degli  statuti  delle  città  italiane.  A  queste  attribu- 
zioni dei  consoli,  d*  indole  generale,  lo  statuto  della  Braida  altre 
ne  aggiunge  di  carattere  più  particolare,  quali  l'obbligo  di  provve- 
dere alla  chiusura  del  soratore  a  mezzogiorno  del  podere,  dal  mese 
di  maggio  a  San  Michele  (29  settembre),  in  guisa  da  impedire  che 
estranei  possano  penetrare  nella  Braida  passando    a   guado    sia  a 


nell'antico  suburbio  milanese  37 

piedi  che  a  Gavallo  (XII),  di  tenere  bene  assicurata  a  spese  comuni 
la  porta  della  Braida  (XIII)  ed  in  genere  di  supplire  essi  a  quanto 
dascun  consorte  avesse  omesso  di  fare,  contravvenendo  ai  precetti 
dello  statuto.  Le  pene  erano  miti;  dal  massimo  di  venti  soldi  {UT' 
smU)  si  scendeva  fino  a  la  denari  (un  soldo). 

D  giuramento  sequendi  o  servandi,  preso  a  prestito  dal  diritto 
feudale  e  destinato  a  vincolare  colle  sanzioni  civili  e  religiose  com- 
ndiiate  contro  gli  spergiuri,  coloro  che  erano  fatti  partecipi  del 
comune  o  venivano  assoggettati  al  suo  distretto,  si  ripete  nei  suc- 
cessivi rapporti  dell'individuo  colle  minori  associazioni  d'arti  e  me- 
stieri nelle  città,  colle  consorterie  vicinali  in  campagna  per  le  terre 
colà  possedute.  Così  per  entrare  nella  Compagnia  e  goderne  i  be- 
nefici, occorre  giurare  il  salvamentum  della  Braida  (1).  In  generale 
sì  vuole  che  ogni  consorte  obbedisca  agli  ordini  dei  consoli  per 
tutto  ciò  che  riflette  V  interesse  della  Braida  e  della  collettività  dei 
suoi  possessori  (III);  in  particolare  è  fatto  divieto  di  entrare  nelle 
parti  dei  consorti,  quando  le  uve  e  gli  altri  frutti  cominciano  a  matu- 
rare (IV),  di  dare  la  chiave  della  Braida  a  persone  estranee  alla  pro- 
pria famiglia  o  ai  propri  lavoranti  (V)  e  di  lasciare  la  porta  aperta  (VI). 

Chi  ha  la  siepe  sull'accesso  comune  la  deve  tagliare  ogni  anno 
in  modo  da  permettere  libero  e  comodo  il  transito  dei  pedoni  e 
dei  carri  (XFV  e  XV);  gli  alberi  che  danno  ombra  sugli  accessi  co- 
muni vanno  tagliati  sino  al  piede,  ad  eccezione  delle  arexie  (i),  dei 
rumpi  (2),  degli  olmi,  dei  salici  e  degli  altri  alberi  destinati  ad  ap- 
poggio delle  viti,  i  quali  di  regola  si  devono  scalvare  ogni  due 
anni  (XVI).  Ognuno  è  tenuto  a  cingere  di  siepe  il  proprio  appez- 
zamento; in  difetto  provvedono,  a  spese  del  singolo  consorte,  i 
consoU  (XVII). 

Con  giuramento  speciale  ciascun  consorte  si  obbligava  a  de- 
nunciare ai  consoli  le  trasgressioni  allo  statuto  commesse  dai  com- 
pagni, che  fossero  venute  a  loro  notizia,  ed  alla  sua  denuncia,  come 
a  quella  del  camparo,  i  consoli  dovevano  prestar  fede,  sempre 
che  non  constasse  ch'erano  state  mosse  ingiustamente  o  per  odio 
(XVIU).  Si  esigeva  puntualità  nel  pagamento  del  contributo  imposto 
dalla  Compagnia  per  lavori  da  eseguirsi  nel  comune  interesse  (XIX). 

(i)  Forse  lanci  (in  dialetto  làres),  nel  senso  generico  di  piante  resinose. 
(2)  Ignoriamo  a  quale  pianta  corrispondano. 


38  LA  COMPAGNIA   DELLA   BRAIDA   DI   MONTE  VOLPE 

Chi  rimaneva  soccombente  in  una  lite  sostenuta  contro  i  consoli 
della  Braida,  doveva  rifondere  loro  tutte  le  spese  incontrate,  più, 
a  titolo  di  penale,  12  denari  a  ciascun  console  per  ogni  giorno  che 
aveva  dovuto  comparire  avanti  i  consoli  di  giustizia  o  dei  nego- 
zianti (XXI).  Al  consorte  debitore  per  multe,  banni  o  composizioni 
e  relative  spese  non  si  concedeva  di  asportare  dalla  Braida  l'uva 
od  il  vino  se  prima  non  aveva  regolato  il   proprio    debito  pCXII). 

Prima  di  toccare  delle  addizioni  allo  statuto  datate  del  1258, 
1262  e  1273,  conviene  accennare  brevemente  ad  alcuni  documenti 
del  Monastero  Maggiore,  da  cui  risulta  il  frequente  verificarsi  di 
casi  di  caducità  del  livello  per  parte  dei  singoli  consorti.  Dopo 
r  investitura  semplice  «  di  un  pezzo  di  terra  di  Monte  volpe  »  a  Gu- 
glielmo da  Lodi  nel  1231,  della  quale  si  è  fatto  menzione  più  sopra, 
lo  stesso  inventario  delle  scritture  del  monastero  ne  segna  una  se- 
conda (investitura  massaritia)  del  1248,  relativa  ad  altro  pezzo  di 
terra  sito  ut  supra,  concessa  a  «  frate  Oliverio  prelato  et  offitiale 
dell' Hospitale  n.  Questo  frate  Oliverio  doveva  appartenere  all'ospi- 
tale di  S.  Vincenzo  in  Prato,  vicino  alla  Braida,  sia  perchè  il  pre- 
posto dell'ospitale  di  S.  Vincenzo  nel  secolo  XIII  prendeva  il  nome 
appunto  di  «  prelato  »  (i),  sia  perchè  in  un  libello  fra  il  1278  e  il 
1279  del  Monastero  Maggiore  contro  i  suoi  debitori  figura,  dopo  sette 
nomi  di  noti  possessori  della  Braida,  quello  di  frate  Lanfranco  de 
Hospitali  sancti  Vincentii,  debitore  di  moggia  due  di  grano  prò 
ficto  huius  presentis  anni. 

Del  1252  abbiamo  le  già  ricordate  intimazioni  fatte  a  nome 
del  Monastero  Maggiore  ad  undici  debitori  di  fitto  arretrato  prò 
braida  que  iacet  ubi  dicitur  ad  Montem  vulpem  sive  in  viam  urseram  ; 
ove  si  scorge  che  più  della  metà  dei  possessori  della  Braida  avreb- 
bero allora  potuto  legalmente  essere  spogliati  del  loro  livello.  Che 
così  si  sia  fatto,  se  non  in  confronto  di  tutti,  certo  di  parecchi,  lo 
si  evince  da  due  investiture  semplici  stipulate  nel  1262  per  due 
appezzamenti,  l'uno  di  pertiche  11,  l'altro  di  pertiche  4,  a  persone 
afifatto  nuove  (2).  Il  fitto  nel  primo  contratto  corrispondeva    all'  an- 

(i)  M.  H.  P.,  XVI,  1.  e.  927,  in  nota:  testimoniali  ed  atti  di  causa 
del  preposiio  di  S.  Ambrogio  cum  magistro  seu  prelato  hospitalis  S.  Vin- 
centii, del    121 1. 

(2)  Corp,  Reg,;  fascio  104,  nelle  citate  imbreviature  del  notaio  Gio- 
vanni Bello  di  Vaprio. 


NTICO  SUBURBIO   MILANESE  39 

i  la  pertica;  nel  secondo  era  aumentato  di 
le  i  contratti  si  era  aggiunta  una  libbra  di 
lio  ancora  risulta  da    un  atto    dello  stesso 

r  immissione  del  monastero  nel  corporale 
Eamenti  di    vigna   tenuti  da   Mirano   de  la 

citati  nel  1252,  e  già  bannito,  sopra  i  cui 
1  da  tempo  ottenuto  il  cosi  detto  possesso 
»  ex  primo  decretu,  che  si  accordava  cqntro 
;I  1278  o  IS79  è  il  libello  contro  altri  otto 

debitori  morosi,  taluno    d'essi  da  tre  anni 

tuto,  vi  troviamo  registrata  sotto  la  data 
la  conferma  per  parte  di  19  consorti;  dei 
masti  appena  tre,  Uberto  spetiaria,  e  Man- 
casti. È  probabile  che  non  tutti  gli  altri 
"unti  e  che  i  più  avessero  dovuto  re/utare 
tati  spigliati  nelle  vie  giudiziali.  Una  sola 
approvata,  col  delegare  Uberto  spettarlo  a 
ieposito  le  carte  della  Compagnia  e  a  rila- 
i  dietro  loro  richiesta.  In  questa  occasione 
)lo  (VII)  del  testo  del  1240  che  pare  di- 
custodia delle  carte  ai  consoli  prò  tempore 

a  e  scritte  da  altra  mano  due  addizioni; 
■bligo  ai  consorti  di  passare  in  natura,  an- 

àl  campato  posto  à  custodia  della  Braida, 
caso  diverso  il  camparo  preferisse  rispar- 
illarsì  colla  frutta  del  fondo  che  avrebbe 
:olla  seconda  si  proibiva  di  lasciar  vagare 
e,  ad  eccezione  dei  cani. 

maggio  1262  è  registrato  il  giuramento  di 
ero  notevole  che  non  figurano  fra  essi  i 
—  Obizzone  da  Colignolla  e  Barazeno  da 
nastero  Maggiore  aveva  nel  marzo  prece- 
I  due  appezzamenti  della  Braida.  Obizzone 


ascio  104;  piccola  pergamena  senza  data. 


40  LA  COMPAGNIA  DELLA  BRAIDA  DI  MONTE   VOLPE 

ititervenne  soltanto  undici  anni  dopo,  nell'ultima  conferma  dello  sta- 
tuto in  data  del  14  maggio  1273,  con  sette  consorti,  ai  quali  se  ne 
aggiunsero  più  tardi  altri  cinque,  i  cui  nomi  sono  scritti  sopra  le 
linee.  Il  nome  di  fiiu*azeno  non  è  fra  essi;  cosi  pure  vi  manca  il 
nome  del  prelato  dell'ospitale  di  9.  Vincenzo. 

I  consorti  del  1273  deliberarono  di  abrogare  la  disposizione 
rdativa  alla  chiusura  del  soratore  (XII),  dichiarando  che  vi  avrebbe 
provveduto  a  suo  piacimento  il  consorte  Giovéne  Bellabocca;  de- 
terminarono inoltre  di  non  essere  più  tenuti  a  prestare  il  giuramento 
di  obbedienza  ai  consoli,  e  si  obbligarono  di  cooperare  col  camparo 
alla  custodia  della  Braida. 

L'abolizione  del  giuramento  salvamenti  è  caratteristica,  in  quanto 
lascia  comprendere  come  la  Compagnia  di  Monte  volpe  avesse  ormai 
fatto  il  suo  tempo  ;  si  avvicinava  il  momento  della  dissoluzione.  La 
circostanza  che  vi  rimanevano  estranei  parecchi  fra  i  possessori 
della  Braida^  doveva  costituire  un  grave  ostacolo  al  raggiungi- 
mento dei  fini  in  vista  dei  quali  era  sorta;  simili  consorterie  non 
potevano  esistere  altrimenti  che  colla  rigida  solidarietà  di  tutti  co- 
loro che  si  trovavano  nella  medesima  condizione  di  potersi  nuocere 
a  vicenda;  se  taluno  di  essi  si  traeva  in  disparte,  si  aveva  in  lui 
eventualmente  un  nemico  contro  il  quale  sarebbe  stata  oltre  modo 
difficile,  per  non  dire  impossibile,  una  efficace  difesa. 

Della  Braida  di  Monte  volpe  e  dei  suoi  possessori  abbiamo  un'ul- 
tima notizia,  durante  il  secolo  XIII,  nel  rendiconto  che  la  badessa 
del  Monastero  Maggiore  diede  al  proprio  Capitolo,  della  sua  ge- 
stione patrimoniale  delKanno  1280  (1),  essendo  indicati  fra  i  debitori 
in  Braida  de  Monte  Vulpe  ser  Obizo  de  Colligniolla,  Petracius  de 
Comi  te  et  Jacobus  de  Mondano,  Per  tutto  il  secolo  XIV  nessuna 
notizia  nelle  carte  e  negli  inventari  del  Monastero  Maggiore. 

È  solo  coi  primi  anni  del  secolo  XV  che  s'incontrano  nuove 
investiture  della  Braida,  chiamata  non  più  di  Monte  volpe  o  di  Via 
Arena,  ma  di  S.  Vincenzo  in  Prato,  ed  affittata  ormai  in  un  unico 
corpo  ad  un  solo  conduttore.  La  Compagnia  dei  livellari  del  se- 
colo XIII  era  definitivamente  scomparsa,  ed  il  monastero,  rientrato 
nella  piena  proprietà  e  disponibilità,  se  non  di  tutta,  della  parte 
maggiore  della  possessione,  aveva  trovato  conveniente  di  non  sud- 

(i)  Corp,  Rei;  Perg,  fascio  104. 


nell'antico  suburbio  milanese  41 

divìderla  più  fra  vari  coloni,  ma  di  darla  in  affitto  ad  un  solo  con- 
duttore; ed  in  questo  sistema  perseverò  sino  aUa  fine  del  secolo 
XVH,  data  de^  inventari  delle  proprie  scritture. 

Per  la  storia  delle  ortaglie  del  suburbio  milanese  non  sarà 
priro  di  interesse  il  raffronto  fra  le  condizioni  del  livello  e  degli 
affitti  di  Monte  volpe  nel  secolo  XIII  e  quelle  della  vigna  di  S.  Vin- 
cono net  secoU  XV,  XVI  e  XVU. 

Dalle  due  staia  di  fhutiento  la   pertica  (Ettolitri  0.366  =  Etto- 
Htrì  0.559  la  pertica  metrica)  si  discende   nel  141 7  ad  uno  staio  e 
aezzo  (Ettolitri   a244  ==  Ettolitri  0.418   la  pertica   metrica);  in  più 
n  sono  lire  6  e  soldi  8  imperiali,  due   capponi,  due   dozzine  (sol- 
itk)  di  ova,  due  libbre  di  pepe,  una  di  cera,  un'anitra  ed  una  lingua 
di  bue  salata;   ma,  a  parte  le  lire  6  e  soldi  8,  ch'è  probabile  rap- 
presentassero l'affitto  della  casa  ad  un  solo  piano  terreno  (cassineta) 
annessa  alla  vigna,  che  nd  secolo  XIII  non  esisteva,    le  onoranze 
non  valevano    certo  le  37  staia   (quasi  5  moggia)  di   frumento  in 
meno.  Affatto  diverse  sono  le  condizioni  dell'affitto  nelle  due  inve- 
stiture del  1447  e  del  1450.  U  frumento  che  nel  141 7  era,  per  tutte 
le  74  pertiche,  moggia  14,  si  riduce  a  12  moggia,  ma  vi  si  aggiun- 
gono 8  moggia  di  cosidetta  mistura  —  metà  segale  e  metà  miglio 
—  8  corra  di  vino  da  6  brente  il  carro  (Ettolitri  36.240),  lire  12  e 
soldi  16  imperiali,  6  once  di  zafferano,  8  capponi,    due  dozzine  di 
uova,  due  libbre   di  cera  e   due  di  pepe.    Calcolando   il    carro  di 
▼ino  (Ettolitri  4.530),  pari  in  valore  a  due  moggia  di  frumento  (Et- 
tolitri 2.924),  e  tre  di  mistura  pari  a  due   di   frumento  (i),  alle  12 
mo^a  di  frumento  se  ne  dovrebbero  aggiungere  altre  29  in  vino 
e  mistura;  e  poiché  nel  contratto,  prevedendosi  il  caso  che  la  vigna 
iK)n  avesse  prodotto  tanto  vino  per  compire  le  8  carra,  si  stabiliva 
che,  in  difetto,  il   conduttore  avrebbe  dovuto  supplire   o  con  altro 
▼ino  0  con  danaro  in  ragione  di  soldi  imperiali  24  la  brenta,  ossia 
lire  7  e  soldi  4  il  carro,  si  può  calcolare    che  questo   fosse  allora 
il  prezzo  medio  del  vino.  Così  le  lire  12  e  soldi  16  corrispondereb- 
bero ad  un  carro  e  quattro  brente  di  vino  o  a  quasi  quattro  moggia 
di  frumento.  In  totale  si  avrebbe  un  affìtto  pari  a  circa  moggia  35 

(i)  Questi  computi  si  fondano  sopra  una  serie  di  dati  intorno  ai 
prezzi  dei  cereali,  del  vino  e  di  altri  generi  che  abbiamo  desunto  da 
n»Uc  carte  milanesi  per  uno  studio  storico  sull'economia  agraria  in 
Lombardia  nel  medio  evo. 


42  LA  COMPAGNIA   DELLA  BRAIDA   DI   MONTE   VOLPE 

di  frumento,  senza  tener  conto  delle  onoranze,  e  cioè  di  quasi  mezzo 
moggio  (Ettolitri  0.731)  la  pertica,  pressoché  il  triplo  di  quanto  si 
pagava  appena  quarantanni  prima  ed  il  doppio  dell'antico  canone 
normale  delle  due  stala  la  pertica.  Calcolate  la  superficie  e  le  mi- 
sure secondo  il  sistema  metrico,  le  variazioni  del  canone  locatisdo 
della  Braida  sarebbero  in  via  approssimativa  determinate  in  etto- 
litri 5  e  mezzo  di  frumento  durante  tutto  il  secolo  XIII,  in  ettolitri 
quattro  nel  14 17  ed  in  ettolitri  io  fra  il  1447  e  il  1450,  per  o^ni 
ettaro  di  superficie. 

Così  sensibile  divario  alla  distanza  di  appena  quarantanni  non 
si  può  spiegare  altrimenti  che  per  le  diverse  condizioni  nelle  quali 
si  sarà  trovata  la  Braida  nelle  due  epoche  rispetto  alle  piantagioni 
delle  viti  e  agli  alberi  da  frutto.  Mentre  nel  141 7  il  nuovo  colono 
l'avrà  ricevuta  in  istato  di  completo  abbandono,  quelli  del  1448  e 
1450  l'avranno  trovata  colle  piantagioni  in  piena  produzione.  L'atto 
del  141 7  parla  soltanto  di  una  petia  campi  cum  certis  vitibus  inius; 
invece  nelle  due  investiture  del  1448  e  1450  si  ebbe  cura  di  indi- 
care il  numero  delle  viti  e  degli  alberi  fruttiferi  esistenti  —  403 
piante  di  viti,  60  fra  ciliegi  propriamente  detti,  amarene  (i)  e  gal- 
Jioni  (2),  oltre  a  22  centinaia  di  pali  da  vite  ;  dati  questi  che  fanno 
pensare  fosse  allora  la  Braida  stata  ridotta  uno  dei  più  feraci  vi- 
gneti e  frutteti  del  suburbio. 

Nelle  investiture  del  1480  e  del  1488  mutano  di  nuovo  le  con- 
dizioni dell'affitto.  Il  frumento  è  ancora  12  moggia,  ma  la  mistura 
di  segala  e  miglio  aumenta  da  8  a  io  moggia;  il  vino  non  è  più 
in  quantità  fissa,  ma  la  metà  di  quello  prodotto  dalla  Braida;  vi  si 
aggiunge  la  metà  dei  frutti  così  detti  di  brocca. 

L'obbligo  fatto  al  colono  nell'investitura  del  1488  di  piantare 
almeno  300  alberi  da  frutto  e  300  pioppi  dimostra  l'interesse  che 
il  Monastero  Maggiore  continuava  ad  avere  per  la  sua  Braida,  il 
cui  valore  doveva  aumentare  quanto  più  andava  crescendo  la  po- 
polazione dei  sobborghi  della  città  fuori  dell'antica  cinta. 

Nell'archivio  del  monastero,  dopo  l'investitura  del  1488  vi  è 
una  nuova  lacuna  nella  serie  degli  atti  relativi  alla  Braida  per  oltre 

(i)  Specie  di  ciliegio  assai  comune  il  cui  frutto  ha  un  sapore  fra  l'agro 
e  Tamaro. 

(2)  Altra  specie  di  ciliegio  pure  assai  comune,  dal  frutto  di  colore 
giallo-rosso  ;  dial.  milan.  :  sgalfion. 


NELL  ANTICO  SUBURBIO   MILANESE  43 

un  secolo.  E>ell'epoca  intermedia  hawi  soltanto  un  cenno  sommano 
ddle  investiture  e  di  altri  atti  nei  due  inventari  del  1667  e  1687; 
ma,  ad  eccezione  di  un'investitura  del  1600  della  quale  è  esposto 
U  canone  dell'affitto  in  u  due  ducatoni  la  pertica  e  meloni  20  d'a- 
penditiOy  9  in  tutti  gli  altri  atti  manca  ogni  indicazione  sull'ammon- 
tare del  canone.  Del  periodo  fra  il  1595  e  il  1611  abbiamo  tre  in- 
vestiture a  condizioni  pressoché  eguali  (i).  Nella  prima  (a.  1595)  il 
canone  era  di  lire  io  imp.  la  pertica,  15  libbre  di  lino,  4  capponi 
e  80  melloni,  coU'obbligo  nel  colono  di  piantare  ogni  anno  50  sa- 
lici; nella  seconda  (a.  1600)  fu  portato  a  **  lire  undese  et  soldi  otto 
^  due  ducatoni  dell'  inventario)  et  li  soliti  apendizii  et  de  più  vinti 
meloni;  n  nella  terza  (a.  lòii)  l'affitto  è  come  nella  seconda,  con 
di  più  l'obbligo  nel  colono  u  di  piantare  piante  n.  50  de  moroni 
(gelsi)  il  primo  et  il  secondo  anno  della  locatione  et  darli  alevati 
alla  fine  della  locatione.  »  L'ultima  investitura  registrata  nell'  inven- 
tario del  1678  è  del  2  maggio  dello  stesso  anno. 

E  qui  dobbiamo  far  punto,  non  avendo  rinvenuto  fra  le  carte 
del  Monastero  Maggiore  altri  documenti  relativi  alla  Braida  o  vigna 
di  S.  ^^cenzo,  che  ci  permettano  di  seguirne  le  vicende  fino  alla 
soppressione  del  monastero  e  alla  confisca  dei  beni  sopravanzati 
al  lento  consiuno  fattone  per  la  cattiva  amministrazione  che  carat- 
terizza la  vita  decadente  delle  antiche  composizioni  religiose  dal 
secolo  XVI  in  poi,  —  ed  essendo  superfluo  accennare  alle  nuove 
e  più  radicali  trasformazioni  che  notoriamente  ha  subito  il  terreno 
della  Braida  nella  seconda  metà  del  secolo  testé  spirato.  Dove  nel 
secolo  Xin  i  vicini  di  Porta  Ticinese  andavano  a  gara  nel  colti- 
vare ciascuno  la  propria  vigna  a  pergolati,  spalliere  e  filari,  il  pro- 
prio frutteto,  con  annessi  verzieri  ed  ortaglie  (2),  ove  la  notte  tra- 
scorreva nel  più  profondo  silenzio,  rotto  tutto  al  più,  durante  la 
stagione  dell'uva,  dalle  voci  sommesse  dei  campari  posti  colà  a 
guardia,  è  sorto  quasi  d'incanto  un  popoloso  e  rumoroso  quar- 
tiere —  Porta  Genova  —  della  nuova  Milano,  dalle  lunghe  e  larghe 
vìe  simmetriche,   dalle  case   alveari,  dagli    stabilimenti   industriali, 

(i)  Fondo  di  Relig.,  Mon.  Magg,  —  Indice  delle  possessioni  del  mo- 
nastero compilato  nel  1603  con  aggiunte  sino  al  1615. 

(2)  Intorno  ai  frutti,  ai  legumi  e  ai  fiorì  degli  orti  e  dei  verzieri 
del  suburbio  mUanese  nel  secolo  XIll,  veggasi  il  De  Magnalibus  Urbis 
Midiolani  di  Bonvesin  della  Riva  (ed.  da  F.  Novati,  1898^  pag.  92  e  segg.). 


44  LA  COBfPAGNIA   DELLA   BRAIDA   DI    MONTE   VOLPE 

espressione  eloquente  della  vita  febbrile  dei  nostri  tempi  tanto  di- 
versa dà  quella  della  società  medievale.  I  consorti  della  Com- 
pagnia di  Monte  volpe,  se  tornassero  a  questo  mondo,  oggi  ch^ 
perfino  V  innocua  pusterla  dei  Fabbri  ha  dovuto  cedere  alla  sempre 
ricorrente  atavica  avversione  al  passato,  se  non  fosse  rimasta  in 
piedi,  e  Dio  sa  come!,  la  carcassa  della  vetusta  basilica  di  S.  Vin- 
cenzo in  Prato,  si  troverebbero  imbarazzati  per  fino  ad  orientarsi 
e  a  riconoscere  un  solo  palmo  di  terra  dell'antica  loro  Braida. 

Gerolamo  Biscaro. 


DOCUMENTI 


L 


Investitura  livellarla  della  Braida 
ad  una  Compagnia  di  otto  cittadini  —  1212  (*). 

nomine  domini .  Anno  dominice  incarnationis,  Milleximo 

ducenteximo  duodecimo,  die  veneris,  quarto  die  madii,  Indictione 
quinta  decima.  Investivit  ad  massaricium  usque  in  perpetuum  | 
fegandum  de  vitibus  et  arboribus  et  non  diffegandum.  Domina  Vic- 
toria Dei  gratia  abbatissà  Monasterii  sancti  Mauritii  quod  dicitur 
maius  civitatis  Mediolani,  nomine  |  voluntate  domine  Sophie,  do- 
mine Martine,  domine  Perpetue,  domine  Pellagie,  domine  Miliane, 
domine  Tarsille,  domine  Viarie,  domine  Agathe,  domine  Jordane, 
domine  Lutie,  domine  Cecilie  |  domine  Helene  monacharum  il- 
lius  monasterii  et  consororum  illius  domine  abbatisse,  et  consentiente 
et  approbante  Alberto  Barazia  advocato  electo  in  hoc  negotio  tantum 
ab    I    Arnoldum  de  la  cesa,   et   Albericum  de  Orsenigo   et  Ami- 

(*)  Alla  grande  pergamena  sono  state  strappate  le  due  parti  estreme; 
quanto  rimane  è  poco  più  della  metà.  —  Segniamo  con  |  i  capo  linea 
colle  relative  lacune. 


FICO  SUBURBIO   MILANESE  45 

.afrancum  Xuganappum,  et  Ottobellum  de 
:  Sesto,  et  Albertum  |  predicte  civitaUs, 
1  illius  tnonasterit  tacente  ibi  ubi  dicitur 

via  ursaria,  sen  in  via  arena,  cui  coberet 

sero  similiter  illius  hospitalis,  et  est  iu- 
1  minus  inveniretur  in  hac  presenti  inve- 
iendum  fìctum  annuatim  de  qualibet  per- 
signati  et  mensurati  ad  prefatum  mona- 
ediolani  iustam  ;  £o  tenore  quod  de  ce- 
n  perpetuum  prefati  conductores   |  tantum 

ipsam  braidam  et  Tacere  ex  inde  de  ea 
ioribus  seu  cum  (inibus  et  accessionibus 
assaricii  |  prefatam  formam.  Solvendo 
ne  festum  sancii  Martini  ipsi  et  eorum 
d  massariciuin  stana  duo  frumenti  boni  et 
:t    I    illius  braide,  cum  omni  dispendio  et 

prò  ilio  ficto  exigendo  elapso  termino, 
cto  in  hoc  contractu  et  ante  ipsum  con- 
seu  in  quibus  predicta   terra  vel   aliqua 

pervenerit  non  solverit  fìctum  partis  sibì 
L  ad  predictum  termmum  vel  infra  menson 
t  in  ipsum  monasteriuffi  omni  exceptione 
;presslm  dicto  inter  eos  in  ipso  contractu 

quod  si  alila  darent  vei  dare  velint  | 
abuertt  ad  massaricium  quod  predictum 
babere  debeat  perticam  quamlibet  illius 
lassarìcium  |  quam  aliqua  alia  persona, 
]ue  prò  tempore  fuerit  ad  illud  mona- 
;nuntiare  eo  tempore  quo  dare  voluerit 
1  si   I   qui  ipsam  terram   vel  dus  partem 

quod  non  denuntiarent  vel  requirent  ut 
IO  cadant  et  ipso  iure  deveniat  in  vir- 
I  diem  predicte  denuntiatìoni  per  se  vel 
jere,  et  utrum  ìllam  rem  vel  non  eligere. 
ectionem  accipere  prò  eo  predo  quod  in 
3  duodecim  detractis  prò  qualibet  pertica 
edicta  abbatissa  noluerìt  accipere  ut  pre- 
it  et  debeant  cui  velint  secundum  |  de- 
)  qualibet  pertica.  Quam  investituram  ille 
ium  teneatur  et  debeat  infra  duos  menses 
ccipere.  Alìoquln  cadat  j  in  ipsum  mona* 


>  SUBURBIO   MILANESE  47 

lelicet  quisque  prò  sua  parte  tantum  et 
u^em  tnonasterìi  predictì.  Et  prò  quo 
pendio  et  dampno  quod  inde  fecerit 
ut  supra,  extiterunt  fìdejussores  I  eidem 

illius  monasterìi,  infradicti,  videllcet 
izone  Xuganappo  tantum.  Et  Jacobus 
iganappo.  Et  Ubertìnus  |  Ambrosio  de 
'o  Alberto  de  la  porta.  Et  Castellus  de 
,  omnes  ctvitatis  Mediolani.  —  Et  in- 
im  obligando  omnia  sua  bona  |  et  pre- 
rolentibus  et  consencientibus  prenomi- 
od  omni  tempore-  predictam  braidam 
mi  dederint  secundum  dictam  formam 
tempore  ipsa  abbatissa  nomine  illius 
erium  per  se  vel  per  submissam  per- 
o  vel  in  parte  non  auferet  aliquo  modo 

dictam  formam  ad  massaricium,  nisi 
nientibus.  Tali  tenore  et  pacto  et  con- 
aliquo  tempore  predictam  terram  sive 
'el  a  parte  datum  vel  relatum  fuisset, 
■stare.  Alìoquìn  non  teneatur  illa  do- 
um  de  predicta  obligatione  |  noverit.  — 
o.  Et  inde  plura  instrumenta  uno  tenore 
i  Cotta,  Airoldus  Prestenarius  et  Ja- 
lotarius  et  missus  imperialis  hanc  cartam 
Rabbo  notarlo  tradidi  et  ad  scribendum 

lis  Zanoni  de  centrata  sancte  Marie  ad 
nissus,  hanc  cartam,  rogatu  infrascrìpti 


48  LA  COMPAGNIA  DELLA  BRAIDA  DI   MOITrE  VOLPE 


IL 


Statuto  della  Braida  —  1240  (i). 


Proemio. 

In  nomine  domini .  Anno  a  natìvitate  eius  milleximo,  ducente- 
ximo,  quadrìgeximo^  die  dominico  tertio  die  mensìs  iunij  .  Indictìone 
tertìa  decima .  Hoc  est  statutum  correctum  emendatum  et  approbatum 
per  Miranum  de  la  Cesa,  et  Johanem  Bellura  de  Orsenigo,  et  Pa- 
ganum,  et  Ubertum  et  Johanem  filios  eius  et  Algisium  Maloserìumf 
et  Guilielmum  de  Laude,  et  Ubertum  de  Comite,  et  ser  Cassinum  de 
Vogenzate,  et  Ubertum  speciarium  omnes  de  civitate  Mediolani  qui 
habent  partem  in  clauso  uno  iacente  prope  civitatem  Mediolani  extra 
portam  Ticinensem,  ubi  dicitur  in  Monte  vulpis  sive  in  via  arena 
quod  tenent  ad  fictum  a  Monastero  Maiori. 


I. 


Obbligo  del  giuramento  dei  consortl 

In  primis  statuunt  et  ordinant  quod  quilìbet  predictonim  et 
aliorum  qui  partem  habent  in  dicto  clauso  qui  non  iuravit  salva- 
mentum  illius  braide  sive  clausi,  illud  statutum  iurare  debeat,  quod 
bona  fide  sine  fraude  per  se  et  per  suos  heredes  et  p>er  eius  fa- 
miliam  et  conductam  custodiet  et  salvabit  omnes  illas  res  et  fructus 
quas  et  quos  dicti  sui  consortes  qui  modo  habent  partem  in  ipsa 
braida  vel  de  cetero  partem  habebunt  in  ipsa  braida,  nec  aliquod 
dampnum  vel  furtum  ei  fatient  per  se  nec  per  alium  nec  fieri  per- 
mittet .  Et  si  quis  contrafecerit  componat  denarios  duodecim  prò  qua- 
libet  vice  consulibus  illius  braide  qui  modo  sunt  vel  per  tempora 
fuerint  et  in  super  dampnum  passo  restituat  in  estimatione  consulum 
illius  braide. 


(I)  Indichiamo  con  [»]  le  parole  scritte  fra  le   linee  per  postilla,  e 
con  [*]  le  parole  interlineate. 


nell'antico  suburbio  milanese  49 


II. 


Et  item  quilibet  masculus  de  familia  predictorum  qui  modo 
sunt  vel  fuerint,  maìor  annis  duodecim  simile  sacramentum  sal- 
vamenti facere  debeat  et  teneatur. 


IH. 


I  CONSORTI    DEVONO    PRESTARSI    PER    l'uTILE    DELLA    BRAIDA. 

Et  item  quod  quilibet  teneatur  ire  et  venire  ad  locum  ordinatum 
prò  utilitate  illius  braide  ubi  consules  illius  braide  preceperint  per 
se  vel  per  suos  missos .Et  qui  contrafecerit  componat  prò  qualibet 
vice  denarios  sex. 


IV. 


Non  VADANO  sulla  quota  del  vicino 

NELLA   stagione   DEI    RACCOLTI. 

Et  item  quod  nullus  predictorum  vadat  [nec  ire  possit  ^]  super 
terris  consortium  tempore  quo  dampnum  dari  potest  in  uvis  vel 
fructibus  [nisi  esset  parabula  *]  (et  tunc  cum  *]  voluntate  consortis 
|vel  propter  curendi  (sic)  ab'  aliquo  rumore  ^] .  Et  qui  contrafecerit 
componat  prò  qualibet  vice  denarios  duodecim. 


V. 


Non  SI  consegni  la  chiave  ad  estranei. 

Et  item  quod  nuIIus  predictorum  dare  debeat  clavem  illius 
braide  alicui  extraneo  extra  familiam  suam  nisi  suo  laboratori  •  Et 
qui  contrafecerit  componat  prò  qualibet  vice  denarios  duodecim. 

Arch.  Star,  Lomb.,  Anno  XXIX.  Fase.  XXXUf.  4 


LA  COMPAGNIA   DRLLA   BRAIDA   DI    MONTE  VOLPE 


Non  si  lasci  la  porta  aperta. 

Et  item  quod  nullus  debeat  dimitere  portai»  ìllius  clausi  apertam. 
qui  contrafecerit  componat  prò  qualibet  vice  denarios  duodedm. 


Custodia  delle  carte  della  braida. 

Et  item....  (linea  abrasa)  dari  debcant  uni  bono  viro....  (abra- 
sione) [qui  inde  confessionem  facìat  et  promissione m  de  eis  sal- 
vandis  et  tempore  congruo  consignandis,  et  de  anno  in  annum  dari 
debeant  consulibus  illius  braide  infra  octo  dies  postquam  intra- 
verint  ')■ 

Vili. 
Alienazione  delle  quote. 

Et  item  quod  nullus  dictorum  debeat  vel  possit  vendere  suam 
contingentem  portionem  ipsius  braide  (parola  abrasa)  denunciaverit 
cuìlibet  suo  consortibili  qui  habet  pattern  in  ipso  clauso.Et  si  con- 
sortibilis  eam  voluerit  emere,  quod  ipsam  habeat  prò  denarìts  duo- 
decim  minus  quam  alia  persona,  nisi  domina  abbatissa  illam  vellct 
prò  simili  pretio  ,  Et  si  quis  contrafecerit  componat  soldos  viginti; 
et  item  quod  ille  cui  denunciatum  fuerit  ut  supra,  teneatur  respon- 
stonem  facere  infra  dies  tres  post  denunciationem  an  velit  ipsam 
emere  nec  ne,  alioquin  non  teneatur  inde  ille  qui  denunciaverit. 


Elezione  dei  consoli  della  braida. 

Et  item  quod  consules  qui  modo  sunt  vel  per  tempora  fuerint- 
teneantur  et  debeant  per  octo  dies  ante  festum  sancti  Martini  eli- 


co  SUBURBIO   MILANESF.  51 

iis  suis  duos  alios  consules  qui  intrare 
et  suum  officium  exercere  per  annum 
rint  consules  illud  onus  et  repmen  re- 
t  Mie  electus  consul  qui  illud  onus  cvì- 
cem,  insuper  illud  onus  rccipere  debeat 


PENDERE   NELl.  INTERESSE   COMUNE. 

isulibus  Ulius  braide  et  possint  expen- 
e  quatibet  die  quo  fuerìnt  in  simul  prò 
e  tractando  vel  faciendo  et  quando  in 
gali  prò  utilitate  illius  braide  vel  maior 
iti  If  abraso]. 


ZIONE   DEI  CONSOLI. 

illius  braide  possint  et  debeant  distrin- 
consortium  qui  sunt  vel  fuerint,  facere 
I  de  omnibus  litibus,  causis  et  discordiis 
er  eos  occasione  illius  braide  .  Et  qui 
lem  facere  recusaverit,  componat  sc- 
io consulum  stare  debeat  et  teneatur . 
s  consortes  habent  regressum  contra 
t  sub  consulibus  iustitie  Mediolani,  et 
m  a  consulibus  illorum  consortium. 


i   DELLO   SFIORATORE. 

?),...  [anno  de  mense  madii  stopare  vel 
tpensis  illius  braide  xeratorem  qui  dc- 
lausi  in  capite  illius  clausi  de  subtus,  Ita 


52  LA  COMPAGNIA    DELLA    BRAIDA   DI    MONTE   VOLPE 

quod  homines  ad  pedes  nec  ad  cavallum  intrare  nec  exire  possint 
et  illum  xeratorem  bene  stopatum  retinere  debeant  usque  ad  sanctum 
Michelem  proximum  'ì. 

XUI. 

Chiusura  della  porta. 

Et  iteni  quod  consules  retinere  debeant  per  totum  tempus 
portam  ipsus  braìde  que  est  (parola  illeggibiU)  parte  illius  braide, 
bene  aptatam  et  stopatam  comunibus  expensis  illius  braide. 


XIV. 


Siepi  entro  la  braida. 

Et  item  quod  quilibet  consortabilis  qui  habet  cesam  super  ac- 
cessio  comuni,  debeat  illani  cesam  quolibet  anno  in  mense  martio 
vel  in  antea  talliare  et  remondare,  ita  quod  non  sit  alta  ultra 
bratia  duo  a  terra  et  quod  per  totum  tempus  sit  ita  remondata  et 
spaciata,  quod  homines  ad  pedes  et  ad  cavallum  et  cum  carris  in- 
cares^tis  et  discarezatis  inde  per  illud  accessium  ire  et  redire  pos- 
sint sine  aliquo  impedimento .  Et  qui  illud  accessium  ita  non  disbri- 
gaverit  ut  dictum  est,  componat  solidos  decem,  et  in  super  illud 
disbregare  teneatur. 

XV. 

Larghezza  dell'accesso  principale. 

Et  item  quod  illud  accessum  sit  amplum  ab  uno  capite  usque 
ad  alium  sicut  antiquitus  plantatum  est. 


XVI. 


Si  taglino  gli  alberi  che  ostruiscono  gli  accessl 

Et  item    quod  quilibet  consortabilis  debeat  et   teneatur  extir- 
pare  et  talliare  intus  pedem  omnes  arbores  fatientes  umbram  que 


NELL  ANTICO   SUBURBIO   MILANESE 


53 


sunt  super  accessio  comuni  vel  super  accessiis  comunibus  que  sunt 
inter  consortem  et  alium,  et  illa  accessia  sint  bene  disbrigata,  nisi 
forent  arexie  vel  rumpi  et  ulmi  et  salices  vel  alie  arbores  super 
quibus  vadunt  vites  que  omni  anno  scalventur  vel  de  duobus  annis 
semel,  nisi  consortes  inde  fuerint  in  concordia. 


XVll. 


Siepe  e  fossato  di  chiusura  della  braida. 

Et  item  quod  quilibet  debcat  et  teneatur  bene  stopare  de  cesa 
bona  et  fossato  ad  voluntatem  consulum  illius  braide  circa  suam 
contingentem  portionem .  Et  qui  contrafecerit  componat  qualibet  vice 
denarios  duodecim,  et  insuper  illam  stopaturam  facere  et  retinere 
debeat  et  teneatur .  Et  si  ad  ultimum  hoc  non  faceret,  quod  eius 
expensis  consules  hoc  fatiant  fieri. 


XVllI. 

Si  denuncino  ai  consoli  i  trasgressori. 

Et  item  quod  quilibet  consortium  sacramento  debeat  et  teneatur 
accusare  quemlibet  predictorum  facientem  contra  predicta  [infra- 
dicta  *]  vel  aliquod  predictorum  [et  infradictorum  *],  et  fides  detur 
accusatori  et  campano  et  non  reo,  nisi  accusatio  videatur  consu- 
libus  iniuste  facta  vel  per  odium  Et  infra  octo  dies  post  accusa- 
tionem  teneantur  consules  penam  exigere. 


XIX. 


Contributi  per  le  spese  comuni  della  braida. 

Et  itera  quod  quilibet  teneatur  [et  debeat  ^]  ad  certum  diem  et 
terminum  solvere  (debeat  et  teneatur  »]  omnes  illos  denarios  de 
qxHbus  consortes  fuerint  in  concordia  prò  alìquo  laborerio  faciendo 
prò  comuni  utilitate  illius  braide  .  Et  qui  hoc  recusaverit  facere 
componat  qualibet  vice  denarios  duodecim. 


54  LA   COMPAGNIA    DELLA   BRAIDA    DI    MONTE   VOLPE 


XX. 


I    CONSOLI    RISCUOTANO    I    BANNI    E    LE   COMPOSIZIONI. 

Et  item  quod  consules  illius  braide,  antequam  exeant  de  suo 
consolatu  sacramento  teneantur  ed  debeant  bona  fide  et  precise 
exigere  omnia  banna  et  penas  et  compositiones  in  quibus  predicti 
consortes  vel  aliquis  eorum  inciderit  et  omnes  illos  denarios  qui 
per  aliquem  consortum  comuni  braide  debentur  .  Et  si  consules  illa 
banna  et  penas  et  compositiones  et  denarios  non  exegerint  nec 
bannum  dederint  et  predicta  omnia  statuta  et  ordinamenta  et  quod- 
libet  eorum  non  observaverint  et  observari  non  fecerint,  quod  [ipsi 
consules  et  quilibet  eorum  *]  solvere  debeant  comuni  illius  braide 
soldos  decem  prò  quolibet  eorum,  quos  denarios  sequentes  consules 
exigere  teneantur,  [si  consules  sequentes  hoc  non  facerent  teneantur 
penis  suprascriptis  *). 


XXI. 


Indennizzi  e  pene  nel  caso  di  liti  infondate. 

Et  item  quod  si  quis  consortum  fuerit  in  causa  cum  consulibus 
illius  braide  occasione  illius  braide  et  in  illa  causa  succubuerit 
quod  [ipse  vel  ipsi  *]  teneantur  et  debeant  restaurare  comuni  illius 
braide  omnes  expensas  que  per  illos  consules  fierent  [facte  forent  *  ] 
in  ipsa  causa  et  omnia  dampna  que  prò  inde  passa  fuerint,  et  in- 
super solvere  teneantur  denarios  duodecim  cuilibet  ipsorum  consulum 
prò  quolibet  die  quo  fuerint  [iverint  *]  ad  ipsam  causam  sub  con- 
sulibus [iusticie  M.  vel  negotiatorum  M.  *]  vel  eorum  vicariis  [vel 
assessoribus  vel  alibi  *],  et  omnes  expensas  et  dampna  quas  ipsi 
consules  fecerint  vel  passi  fuerint  propter  dictis  penis  et  bannis  et 
compositionibus  exigendis  [teneantur  et  debeant  solvere  infra  ter- 
tiam  diem  postquam  ei  requisitum  et  denunciatum  fuerit  per  ipsos 
consules  et  qui  contrafecerit  solvat  soldos  XX  .  tertiolorum  comuni 
illius  braide  prò  qualibet  vice  quod  ei  vel  eis  preceptum  fuerit  per 
ipsos  consules  et  nichilominus  teneantur  solvere  predictas  expensas, 
denarios,  et  banna  et  penas  *). 


> 


NELL  ANTICO   SUBURBIO   MILANESE  55 


XXII. 

I   TRASGRESSORI    NON   PORTINO   LA   PROPRIA    UVA 
FUORI    DELLA    BRAIDA,    SE    PRIMA    NON    HANNO    PAGATO 

I    RANNI    E  LE   COMPOSIZIONI. 

Et  iteni  quod  aliquis  dictorum  consortum  non  debeat  exportare 
nec  exportari  facere  foris  de  ipsa  braida  vinum  nec  uvas  prò  vino 
faciendo  tempore  vendemiarum,  nisi  prius  solverit  omnes  penas  et 
banna  et  compositiones  in  quibus  ceciderint  et  omnes  expensas  que 
prò  sua  contingenti  portione  facte  fuerint .  Et  si  contrafecerit  com- 
ponat  comuni  illius  braide  soldos  decem  [et  nichilominus  teneantur 
et  debeant  solvere  totum  id  quod  debent  et  tenentur  ^] .  Et  consules 
teneantur  et  debeant  illud  bona  fide  vetare  .  Et  si  illud  ipsi  consules 
non  vetaverint,  quod  solvere  debeant  et  teneantur  comuni  illius  braide 
soldos  decem  prò  quolibet  eorum. 


XXlll. 

I   CONSORTI    OBBEDISCANO    Al    PRECETTI    DEI    CONSOLI. 

• 

Et  item  quod  quilibet  [consortium  *]  teneatur  et  debeat  atten- 
dere et  observare  omnia  precepta  que  consules  illius  braide  ei  fe- 
cerint  prò-  utilitate  et  occasione  illius  braide  et  maxime  prò  vinde- 
miis  sub  pena  ad  voluntatem  consulum  que  non  excedat  quanti- 
tatem  solidorura  viginti  prò  qualibet  vice,  que  possit  exigi  cum 
expensis  et  dampnis  factis  prò  ea  exigenda. 


XXIV. 

Il   RICAVO     DELLE   PENE   SIA   IMPIEGATO    A    VANTAGGIO    COMUNE. 

Et  item  quod  omnes  infrascripte  pene  et  banna  et  composi- 
tiones deveniant  in  comuni  utilitate  omnium  consortium  ipsius  braide 
proportionaliter  et  eonim  sint  et  in  comunem  utilitatem  ipsius 
bndde  convertantur. 


56  LA   COMPAGNIA    DELLA   BRAIDA   DI   MONTE   VOLPE 


XXV. 

Obbligo  dei  consoli  di  rendere  il  conto 
della  propria  gestione. 

Et  item  quod  dicti  consules  teneantur  in  scriptis  redigere  et 
ponere  omnes  penas  et  banna  et  compositiones  et  denarios  quos 
et  quas  exegerint  et  in  eos  pervenerint  et  omnes  expensas  quas 
fecerint  prò  utilitate  ipsius  braìde  .  Et  de  ipsis  receptis  et  expensis 
rationem  debeant  facere  per  ceto  dies  antequam  exeant  de  suo 
consulatu. 

XXVI. 

I   CONSORTI    SI    OBBLIGANO  DI  OSSERVARE  IL  PRESENTE  STATUTO. 

Que  omnia  et  quodlibet  predictoruni,  predicta,  omnes  consortes 
superius  nominati  et  quilibet  eorum  promiserunt  attendere  et  ob- 
servare  per  se  et  per  eorum  familiam  et  conductam  in  omnibus  et 
per  omnia  secundum  quod  superius  legitur,  et  non  contravenire . 
Et  inde  obligaverunt  omnia  sua  bona  pignori  ad  invicem  unius 
alteri. 

Chiusa  dello  statuto. 

Acta  fuerunt  hec  in  curia  Beati  Laurentii  majoris  Mediolani . 
Interfuerunt  ibi  testes  Anricus  filius  quondam  Belloni  de  Campillio 
de  loco  Nibuno,  et  Crescentius  filius  quondam  Gairardi  de  Barazia, 
et  Petrus  Henrici  filius  quondam  Lafranci  omnes  de  civitate  Me- 
diolani .  Et  inde  plura  instrumenta  fieri  rogata  sunt. 


Adesione  di  altri  due  consorti. 

Postea  vero,  eodem  die,  in  presentia  Paxii  Vetri  filli  quondam 
Trussonis  et  Beltrami  filli  Martini  de  Varixio,  et  Petri  de  Dexio 
filli  quondam  Pagani,  et  Ottonis  filli  Manfredi  cexeri  civitatis  Me- 
diolani, testium  rogatorum ,  Ser  Drudo   de   Pusterla,  et  Amedeus 


nell'antico  suburbio  milanese  57 

de  Arcu  uterque  consortes  predicte  braide,  visis  et  auditis  et  in- 
tellectis  predictis  statutis  ed  ordinamentis,  ipsa  omnia  approba- 
venint,  et  laudaverunt,  et  sibi  piacere,  et  illa  et  quodlibet  eorum  in 
singulis  capitulis  se  habere  velie  dixerunt .  Et  prò  eis  et  quolibet  eo- 
nuD  attendendis  et  observàndis  promiserunt  et  guadiam  dederunt 
obligantes  omnia  sua  bona  pignori  ipsi  Drudo  et  Amedeus  in  manu 
Uberti  spiciarii  et  Johanis  belli  de  Orsenigo  consulum  illius  braide 
recipientium  eorum  nomine  et  nomine  aliorum  suorum  consortum, 
—  Actum  Mediolani  in  parrochia  sancti  Laurentii  majoris  iuxta 
domum  infrascrìpti  Drudonis. 


Altre  adesioni. 

Et  itera  postea  eodem  anno,  die  dominico  octavo  ante  kal- 
lendas  octobris,  in  predicta  parrochia  sancti  Laurentii  subtus  coho- 
pertum.In  presencia  Beltrami  filli  quondam  Riboldi  de  Merate  et 
Petri  Grimoldi  filii  quondam  Mussonis  Grimoldi,  et  Ambrosii  filii 
quondam  Petri  Panati  civitatis  Mediolani,  testium.  —  Algixius  Ma- 
loserius  prò  heredibus  quondam  Jacobi  fratris  sui  et  Jacobus  de 
Conte  prò  se  et  Antonio  fratre  suo,  Petrus  de  la  Cesa,  Airoldus 
de  la  Cesa,  omnes  consortes  et  partes  habentes  in  predicta  braida 
approbaverunt  et  laudaverunt  prefata  omnia  statuta,  promittentes 
obligando  omnia  sua  bona  pignori  prefati  Petrus  et  Airoldus  prò 
se  et  dictus  Algixius  Maloserius  prò  predictis  heredibus  Jacobi 
fratris  sui  et  prefatus  Jacobus  de  Conte  prò  se  et  dicto  Antonio 
fratre  suo  in  manu  ante  dictorum  Uberti  spiciarii  et  Johanis  belli 
de  Orsenigo  consulum  eorum  nomine  et  aliorum  consortum  suorum, 
ita  quod  predicta  omnia  statuta  prò  se  attendent  et  observabunt  et 
attendere  et  observare  fatient  predictus  Jacobus  de  Conte  infra- 
scriptum  Antonium  fratrem  suum  et  dictus  Algixius  Maloserius  et 
dictos  heredes  Jacobi  fratris  sui. 


Altra  adesione. 

Post  modum,  vero  eodem  anno,  die  iovis,  quarto  die  mensis 
octubris,  et  in  Carrubio  porte  Ticinensis,  presentibus  testibus  Phi- 
iipo  filio  quondam  Petri  Mori  et  Gluxano  de  Gluxano  filio  quon- 
dam et  Cairacino  beccano  filio  quondam  de  civitate  Mediolani 
porte   Ticinensis;   Mainfredus   de    la  Cesa  prò  se  et  domino  Ar- 


58  LA    COMPAGNIA    DELLA    BRAIDA    DI    MONTE   VOLPE 

noldo  fratre  suo  consortes  et  partem  habentes  in  predicta  braida 
approbavit  et  laudavit  iam  dieta  statuta  et  ordinamenta  et  promisit 
dando  guadiam  et  omnia  sua  bona  pignori  obligando  memoratis 
Uberto  spiciaro  et  Johani  bello  de  Orsenigo  consulibus  suo  nomine 
et  consortum  quod  ipse  per  se  attendet  et  observabit  et  observare 
faciet  predictum  Arnoldum. 


Correzione  e  conferma  dello  statuto  —  1258. 

In  nomine  Domini .  Anno  dominice  incarnationis  milleximo  du- 
centeximo  quinquageximo  octavo  die  dominico,  quarta  die  mensis 
augusti.  Indictione  prima .  Hoc  statutum  firmatum  et  coroboratum 
est  preter  illud  in  quo  continetur  quod  instrumenta  et  jura  perti- 
nentia  ipsi  braide  debeant  consignari  et  dari  de  anno  in  annum 
consulibus  ipsius  braide,  quod  dieta  jura  debeant  remanere  et  stare 
penes  dominum  Ubertum  spiciarium  et  ipse  dominus  Ubertus  te- 
neatur  et  debeat  facere  copiam   cuilibet  indigenti  illius  braide  — 

In  primis  [Juvenis  Bellabucha  *]  [Marchixius  de  Bertatio,  An- 
selmus  de  Monte  orphano,  Miranus  Zorlla,  Paganus  Scrosatus,  Ro- 
gerius  de  Canturio  *]  Guido  de  la  Cesa,  Jacobus  spitiarius,  Ubertus 
spitiarius  [Mainfredus  de  la  Cesa  ^],  Miranus  de  la  Cesa  [Amadeus 
de  Arcu,  Jacobus  Corrabelus,  dominus  Ardicius  de  Comite,  Lauteriu- 
Mugiti  *),  Gasparrus  filius  Marchixii  de  Bertatio,  [Merlus  filius  quons 
dam  Marcheti,  Baldessarus  de  Monte  orphano,  Arnoldus  et  Am- 
brosius  fratres  filli  Mainfredi  de  la  Cesa  *[  [Guidotus  de  Orsenigo, 
Petrus  de  Comite,  Jacobus  de  Cartegnanego,  Marchixius  de  Albai- 
rate,  Rugerius  Bruxacapa  *]. 


Addizioni  allo  statuto,  senza  data. 

I.  Item  aditur  in  hoc  statuto  quod  quilibet  consortum  illius 
braide  ea  die  qua  debebit  pascere  camparium,  debeat  ei  mittere 
ad  comedendum  et  bibendum  decenter  in  horis  congruentibus  et 
non  solvere  ei  in  pecunia  numerata  et  qui  contrafecerit  componat 
consulibus  illius  braide  prò  qualibet  vice  denarios  XII. 

II.  Item  si  quis  duxerit  aliquam  bestiam  preter  canem  ad 
dictam  braidam  que  bestia  vadat  in  alieno,  componat  prò  qualibet 
vice  [et  bestia  ^)  soldos  duos. 


nf.u/antico  suburbio  milanese  59 


J^UOVE    ADESIONI    ALLO    STATUTO    —    1202. 

In  nomine  domini  .  M  .  CC  LXII  .,  die  lune,  primo  die  mensis 
madii. Petrus  Ferarius,  Cavalchetus  Mugiti,  Jacobinus  et  Azettus 
filli  Marchixii  de  Albairate,  Ubertinus  filius  Guidoti  de  Orsenigo, 
qui  omnes  iuraverunt  atendere  et  observare  omnia  predicta  .  Salvis 
omnibus  preceptis  et  capitulis  qui  semper  sint  et  esse  debeant  ad 
voluntatem  et  in  arbitrium  consulum  et  conscilio  omnium  consor- 
tìum  vel  majoris  partis. 


Ultime  adesioni  allo  statuto  e  sue  modificazioni  —  1273. 

In  nomine  domini. M  .  CC  LXXUI ,  die  dominico,  XIII  die  madii 
in  dictione  prima  .  Obizo  de  colignolla  et  Cresimbe  de  Vergo  et 
Chunradus  spitiarius  et  Petrus  Matana  et  Guido  de  Castano  et  Gui- 
lelmus  de  Cablate  et  Rugerius  de  Cropello  [et  Crottus  de  Ubrugio, 
a  Americus  de  Barazora,  et  Rainerius  de  Comitte  et  Petrus  Fero 
et  Amizo  de  Maxate  *]  promixerunt  et  guadiam  dederunt  et  omnia 
sua  bona  pignori  obligaverunt,  quod  observabunt  et  atendebunt 
omnia  predicta  statuta  superìus  scripta  in  omnibus  et  per  omnia 
preter  illud  statutum  in  quo  fit  mentìo  de  facto  soratoris  de  quo 
sit  ad  voluntatem  domini  Jovenis  Bellabuche,  et  preter  illud  sta- 
tutum de  quo  fit  mentio  quod  debeamus  jurare  .  Presentes  Landulfus 
de  santo  Protaxio  et  Horssus  de  Liema,  et  Rugerius  de  Lainate.  — 
hem  statuerunt  quod  quilibet  teneatur  ire  cum  camparlo  qui  erunt 
prò  temporibus  et  quicontrafecerit  componat  prò  qualibet  vice  de- 
narios  XII.  —  Ego  predictus  Chunradus  spiciarius  notavi  de  vo- 
luntate  omnium  predictorum  suprascripta  et  predicti  homines  jura- 
verunt  omnia  predicta  observare. 


Sottoscrizione  del  notaio 

CHE   rogò    l'atto    di   APPROVAZIONE    DELLO    STATUTO 

E   LE   ADESIONI   DEL    I24O. 

Ego  Petrus  Zanonus  filius  Johanis  Zanoni  de  contrata  sancte 
Marie  ad  Circulum  civitatis  Mediolani,  porte  Ticinensis,  notarius  ro- 
gata infrascripti  Alberti  (forse  per  errore  in  luogo  di  liberti  spiciarii) 
scripsi. 


FONTI  E  MEMORIE  STORICHE 

S.    ARIALDO 


lAnicolo  qusno  ed  iiltimo:  veJi  Archivia  Storico  f.omliarJo,  XXViir,  5  sgB.J. 

IV. 
Alla  ricerca  dei  corpi  dei  SS.  Arialdo  ed  Erlembaldo. 

Alla  conclusione  di  questo  studio  sul  luogo  ove  riposano  i 
corpi  dei  due  campioni  della  Palarla  milanese  altri  sarebbe  giunto 
molto  prima  di  me;  ìo  vi  arrivai  dopo  molta,  troppa  fatica;  di  ciò 
almeno  mi  consolo  che  quella  conclusione  può  dirsi,  a  mio  cre- 
dere, sicura. 

Il  luogo  della  prima  sepoltura  di  Arialdo  è  così  descritto  da  An- 
drea di  Strumi  (i):  Ad monaslerium  delatus  est  [B.  Arialdus]  S.  Gelsi. 
Ibi  namque  in  lociim  mirabiUter  aptiim  fradUus  esl  sepullurac  ;  si- 
ijiiidem  ex  una  parte  habel  ecckiiam,  in  qua  S.  Celsi  venerabile  mine 
adoratur  corpus,  ex  altera  vero  ecclesiam,  ubi  quondam,  ut  fertur,  din 
sanctus  perlaiuit  Nazarius  [S.  Nazaro  in  campo).  Concordano  le  te- 
stimonianze di  Landolfo  Seniore  (2),  di  Bonizone  (3)  e  dell'Anonimo 
autore  della  seconda  vita  di  Arialdo  (4). 

Nel  1075  moriva  Erlembaldo  sul  campo  di  battaglia,  ed  ÌI  suo 
ri,  di  notte  tempo  fu  da  pie  donne 

is  Arialdo  Alciato  et  lìerlcmbaldo  Cotta, 

55.  Junii.  V,  300. 

Vili,  96. 

ie  lite,  etc,  I,  597. 

56. 


DI   S.   AK1A1.LM)  6l 

Dionigi  extra  portain  ttovain,  chiesa  ora 
'e  sono  i  giardini  pubblici,  all'angolo  tra 
a  ed  il  corso  omonimo.  Nel  1095  o  nel 
;  il  nostro  arcivescovo  Arnolfo  trasporta- 
lorevole  sepolcro,  sul  quale  si  scolpirono 
dall'Annotatore  rubricale  di  Landolfo  Se- 
ima  (3). 

;s  Mii.KS  Cubisti  revkhenous 

QUI    CELI   SEDE    POTITUR. 

r,  SIMONLAS  ET  QUIA   DAMSAT, 

KVI   PERIMUNT    SlHONlSQUE    MALIGNI. 

i   l'RAESUL   DICTUSQUE   SECUNDUS 
PHUS  PASTOR   Plus  ATQUE   BEMGNUS 
t!   TL'MUI.ANT  TBANSLATA   BKATI, 

sul  principio  del  iioo  anche  il  corpo  di 
di  S.  Celso,  dove,  a  detta  di  Landolfo 
poco  onorevole  sepoltura,  fu  trasferito 
per  cura  dell'arcivescovo  Anselmo  da 
incisa  r  iscrizione,  che  altrove  ho  data 


idolfo  Sen.  nel  Cod.  Ambre 
Hisl.,  Script.,  Vili,  97,  nota  b)  ha  la  data 
.  Papa  Urbano  It  venne  a  Milano  nel  1095 
nentì  scrii  per  preferire  l'una  o  l'altra  data. 
Illa  s/oria  di  Milano,  a.  1095,  tom,  II,  pag.  609 
ferisce  il  1095  seguendo   il    Puricelli  e   se- 

c.  cit.,  come  sopra. 

Braidense  A.  E-  X.  io,  fol.  68  r.;  Cronica 
L.  275  inf.,  fol.  194.  r.  —  Vedi  Forcella,  Iscri- 

n.  71,  pag.  168. 

fuissent  humala  dice  delle  ossa  di  S.  Arialdo 
■n  è  contraddetto  da  Andrea  di  Strami  nelle 
[Uali  si  loda  solo  il  luogo  scelto  per  la  se- 

pcrò  anche  là  Arialdo  fosse  venerato  lo 
i  e  Boniione.  Il  primo  infatti  (Puricelli, 
I  popolo  adorava  (cioè  venerava)  S.  Arialdo 
ere  grazie  ;  il  secondo  (M.  G.  H.  Lib'lli  de 
'S  meritum  miiHae  inJirmilaUs  tisi/ue  hodie 


62  FONTI   E    MEMORIE   STORICHE 

per  intiero  (i)  ricavandola  specialmente  dairAnonimo  autore  delia 
seconda  vita  di  S.  Arialdo,  e  dal  sopra  ricordato  Annotatore  nh 
bricale  di  Landolfo  Seniore.  Anche  il  Fiamma  la  riferisce,  ma  con 
molte  alterazioni.  Comincia  con  questo  verso  : 

Martyr  levita  jacet  hac  Arialdus  in  urna,  e  te. 

Che  le  due  tombe,  ove  riposavano  i  martiri,  fossero  unite  pos- 
siamo conoscerlo  oltreché  dai  tre  versi  dell'  iscrizione  che  parlavano 
dei  due  santi,  e  che  dovevano  essere  scritti  in  modo  da  abbracciare 
le  due  tombe,  anche  dalle  stesse  oscurità,  che  si  notano  nell'iscri- 
zizione  di  Arialdo,  le  quali  trovano  la  loro  spiegazione  nelle  pa- 
role dell'altra  iscrizione,  che  doveva  sorgerle  a  fianco  (2):  del 
resto  non  mancano  testimonianze  dirette.  Una  cronaca  veduta  dal 
Fiamma  diceva  di  Arialdo  che  jacet  ad  Sanctum  Dionisittm  apud 
hcatiim  Herlcmbaldtwt  (3)  e  Goffredo  da  Busserò,  confondendo  papa 
Alessandro  II  con  Urbano  II  (nel  che  è  stato  imitato  da  molti 
cronisti),  soggiunge  che  :  Vcnerabilis  levita  et  martyr  Arialdus  jacet 
in  ecclesia  sanctoritm  Dionisii  et  Aurelii,,,.  In  hac  dieta  ecclesia 
condita  sunt  ossa  martyris  Herlembaldi  in  sepulcro  Beati  Arialdi 
nianibus  papae  Alexandri  (4).  Da  questa  testimonianza,  assai  auto- 
revole, perchè  i  da  Busserò,  a  detta  del  Fiamma  (5),  avevano  il  se- 
polcro di  famiglia  in  quella  chiesa,  ricaviamo  che  il  monumento  se- 
polcrale era  detto  anche  più  semplicemente  «  sepolcro  di  S.  Arialda  " 
Anche  Filippo  da  Castel  Seprio  attesta  che  Arialdo  venne  sepolto 
in  questa  chiesa  (6). 

(i)  Fonti  e  memorie  storie/te  di  5.  Arialdo  in  fine  al  §  II,  in  quest*Arck^ 
a.  XXVII,  fase.  XXVIII,  1900,  pag.  25. 

(2)  Vedi  quanto  dissi  loc.  cit.,  ed  anche  Puricelli,  De  SS,  Marty 
ribus  Ariti IdOf  etc,  pag.  384, 

(3)  Galvagniana,  1.  e,  fol.  68  r.,  col.  A. 

(4)  Cod.  del  Capitolo  della  Metropolitana,  di  cui  all'Ambrosiana 
G.  306  inf.  v'è  una  copia,  n.  46;  e  Pellegrini,  /  santi  Arialdo  e  Erkm- 
baldo,  Milano,  1897  (libreria  Palma),  appendice  II,  pag.  496. 

(5)  Cronica  major.  Cod.  dell'Ambrosiana  A  275  inf.,  fol.  190  r.,  col. A, 
ove,  parlandosi  deirarcivescovo  Ariberto,  dicesi  sepolto  j'uxta  sepukru» 
valvassorum  de  Busserò. 

(6)  Cod.  della  Trivulziana  n.  1218,  fol.  74:  Anno  D,ni  1066  ante  K0II' 
julii  passus  est  beatus  Ayroldus  levita,  qui  jacet  ad  san  tu  m  dionisiif^ 
Mediolani, 


64  FONTI    E    MEMORIE    STORICHE 

cronaca  Kallendaria  (i).  In  proposito  il  Gìulini  (a)  avverte  :  a  Se 
M  al  Fiamma  fu  duopo  trarre  la  copia  di  queste  iscrizioni  da 
«  quella  cronaca,  è  segno  manifesto  che  più  non  vi  doveva  essere 
«  l'originale.  »  Ultimo  viene  il  Manipulus  florum,  dove  delle  due 
chiese  ricordate  nella  Gahfagniatta  è  fatta  una  sola  col  titolo  sane- 
io  rum  P  rotasti  et  Aure  Ut  inter  martires,  id  est  sane  ti  Dionisii,  ed 
in  essa  si  dice  sepolto  Erlembaldo  (3).  Che  la  chiesa  di  S.  Dionigi 
si  chiamasse  anche  con  quel  titolo  io  non  credo,  e  suppongo  che 
esso  sia  stato  inventato  li  per  lì  dal  Fiamma  per  mettere  in  ac- 
cordo le  diverse  asserzioni  delle  fonti  già  citate,  a  cui  attìngeva. 

Quale  manomissione  sia  stata  fatta  su  quel  sepolcro  di  preciso 
non  si  sa;  ma  da  altre  memorie,  che  riporteremo,  si  deduce  che 
Arialdo  venne  trasportato  nella  cripta  sotterranea  della  chiesa, 
in  un  tumulo  marmoreo,  dove  sempre  fu  onorato  come  santo.  Che 
poi  quel  corpo  continuasse  ad  essere  a  S.  Dionigi,  sappiamo  da 
molte  testimonianze.  Spetta  ai  tempi  del  Fiamma,  e  il  Puricelli  a 
lui  attribuisce  un  elenco  di  corpi  di  santi  col  titolo  :  Infrattscripta 
corpora  sane  forum  j acent  in  ci  vitate  Afediolani  et  ejus  comi  tatti  ac 
distrectu,  dove  si  legge:  Festum  sane  fi  A  rialdi  levitae  et  tttartyris 
die  XXVIII  Juniiy  jacct  ad  sancfum  Dyonisium  (4). 

Con  questo  elenco  principia  una  serie  di  elenchi  di  corpi  santi 
ed  anche  di  indulgenze  per  le  diverse  chiese  di  Milano  e  del  con- 
tado, interessante  per  chi  voglia  rintracciare  l'origine  di  molte  tra- 
dizioni popolari  (né  solo  popolari)  accettate  e  discusse,  lo  non  vi 
studierò  che  quanto  concerne  i  corpi  di  santi,  che  si  dicevano  con- 
servati a  S.  Dionigi.  E  già  in  quel  primo  elenco  vedo  ricordati  oltre 

(i)  Cod.  Ambros.  A.  275  inf.,  fol.  194  r.  Della  Cronaca  Kaliendaria 
non  ho  notizie  :  la  Cronaca  di  Leone  era  nel  secolo  scorso  neirArchivio 
dei  monaci  di  S.  Ambrogio  :  passò  poi  in  possesso  dei  marchesi  Tri- 
vulzio.  Dove  sia  presentemente  ignorasi;  arride  però  la  speranza  di 
poterla  rintracciare. 

(2)  Memorie,  etc.  cit.,  anno  1099,  tom.  II,  pag.  675,  2.*  edizione. 

(3)  Rer.  Hai,  SS.  XI,  627,  cap.  152. 

(4)  Cod.  Ambros.  T.  175  sup.  È  membranaceo,  di  mano  del  sec.  XIV  ; 
relenco  trovasi  a  fol.  17  v.  Se  ne  hanno  due  copie:  una  all'Ambrosiana 
(D.  321  inf.  :  Adver saria  puricelliana,  quinternetto  3.*)  e  un'altra  alla  Tri- 
vulziana  (Cod.  n.  1275).  Il  Puricelli,  op.  cit,  pag.  19-20  e  NazarianOy 
Milano,  1656,  pag.  576,  assegna  senz'altro  questo  elenco  di  corpi  santi 
al  Fiamma;  però  il  trovarlo  unito  con  altre  scritture  certamente  del 
Fiamma  non  è  argomento  sufficiente  per  attribuirlo  a  lui. 


S.   ARIALDO  65 

Aurelio  ed  Arìaldo,  anche  quelli  dei 
i  Canzio,  Canziano  e  Canzianilla)  (i), 
riembaldo,  o  meglio  costui  dovrebbe 
al  suo  compagno  Arialdo,  tanto  pid 
to  dei  corpi  di  santi,  ma  anche  delle 
n  ebbe  mai  un  suo  proprio  giorno  fe- 
cordato  con  Arialdo  ai  28  di  giugno  (3). 
I  dobbiamo  dire  che  non  consta  si  ce- 
1  solo  se  ne  ricordava  in  qualche  modo 

anti  coll'andare  del  tempo  doveva  cre- 
ioteca  del  marchese  Soragna  il  dottor 
lembranaceo  del  XV  secolo,  contenente 
I  Galvanei  Flammae  cronica  Mediolani. 
e  si   le^e:  Infrascripta  carparo  san- 

Mediolani  et  in  cotnilatu,  videlicel.  Per 
cti  Dionisii  S.  Dionisius  episc,  medio!., 
.  Arembaldus,  S.  Aurelius,  S.  Cantius, 

S.  Cipriantis  et  Corneliiis,  S.  Luci/er 
isti  corpi  santi,  meno  S.  Arnoldo,  com- 
li  trova  nel  Cod.  Ambrosiano  D.  321  inf., 
uaderno  2,°,  dove  al  fol    6  r.  si  legge: 

maniiscripiae  anno  iji6  appensae  in 
imo  sanclae  Mariae  de  passione  sito 
'sili  ac  canonic/ioruin  S.  Ambrosii  Me- 
Uae  usque  ad  praestnlem  diem  primum 

sani  corpora  sanctorum,  reqaiescunl 
atu  —  1^16.  n  Erano  certo  già  molti 

fantasie  avevano  preso  l'aire  e  non 
o.  Nel  Cod.  della  Trivulziana,  n.  514 
rz'ultimo  e  penultimo  quinterno,  sono 
i  conservati  nelle  chiese  di  Milano,  e 

aHorum  die  Xlll!  Junii,  jacenl  ad  sancium 

Trivulziana,  che  sono  un  Martirologio,  at 
baldo  con  evidente  errore  dell'amanuense 
,c  si  trova  nel  codice  Ambros.,  Miscellanea 
L  S.  HI,  4,  tom.  I,  fol.  131  v.  (di  cui  fra 
li  Erlembaldo  t  unita  a  quella  di  Arialdo. 


W)  KONri    E    MEMORIE   STORICHK 

per  S.  Dionigi  sono  assegnati  i  corpi  dei  santi  Canziani  che  da  tre 
divengono  quattro,  perchè  ai  tre  frateUi  nell'  intenzione  del  compi- 
latore dell'elenco  doveva  unirsi  Proto  loro  pedagogo,  che  con  essi 
fu  martirizzato.  Così  ai  sette  corpi  dei  Maccabei  s'aggiunge  anche 
quello  della  loro  madre,  che  è  detta  Felicita,  poi  s'aggiungono  due 
nomi  affatti  nuovi  :  S.  Albertus  e  S.  Euxeria. 

Pare  per  altro  che  anche  allora  non  tutti  accettassero  ad  occhi 
chiusi  simili  elenchi  di  sacre  reliquie.  Il  Puricelli  possedeva  un  libro 
scritto  nell'anno  1481  {t),  che  io  non  ho  potuto  vedere,  dove,  parlandosi 
dei  corpi  santi  dì  S.  Dionigi  sono  ricordati  soltanto  S.  Dionigi  stesso, 
S.  Aurelio  e  S.  Arialdo  Anche  un  altro  libro,  posseduto  da  G.B.  Como, 
ma  copiato  dal  Carisi  (2),  che  lo  diceva  scritto  circa  l'anno  1488,  sotto 
il  titolo:  -  Queste  sono  le  chiese  delle  indulgenze  di  Milano  -,  alla 
chiesa  di  S.  Dionigi  assegnava  soltanto  i  corpi  dei  santi  Dionigi  e 
Aurelio  e  dei  santi  Arialdo  ed  Erlembaldo,  pur  a^ungendo  a  que- 
st'ultimo «  il  suo  maestro  di  scuola  con  duoÌ  compagni  "  (3). 

Tutto  quello  che  di  vero  e  di  favoloso  si  disse  sulle  reliquie 
conservate  a  S.  Dionigi  venne  poi  raccolto  in  un  libretto  stampato 
in  Milano  nel  1498,  che  si  trova  all'Ambrosiana  (4)  e  che  alle  molte 

(1)  Puricelli,  op.  cit,  lib.  I,  cap.  Vili  e  Naaariana,  cap.  «7.  Vedi 
anche  Argellaii,  BibUat.  Script.  Mediai.,  lom.  I.  parte  11,  Anonymus  XIH. 

fa)  Questi  due  di>tti  scrittori  di  cose  ecclesiastiche  milanesi  vissero 
nella  seconda  metà  del  secolo  XVLI  e  lasciarono  alcuni  libri  stampati, 
e  molti  più  manoscritti. 

(3)  Cod.  AmbroB.  A.  S.  Ili,  4,  tom.  I,  fol.  121.  v.  Vedi  anche  nella 
stessa  Miscellanea  del  Carisi  il  tom.  Ili,  foli.  lOi-tta.  Santi  mHantsi. 

{4)  Ha  per  titolo  :  "  Tractato  utilissimo  a  le  anime  divote  ciò  è,  de 

■  le  indulgentie  et  corpi  sancti  che  sono  ne  le  Gie-e  de  la  Ciiade  de 
"  Milano:  etiam  in  alcuni  altri  lochi  che  sono  nel  Comitato  de  la  dieta 

■  Citade:  corno  si  trova  per  antiqui  registri  et  privilegi  autentici.  „  Fi- 
nisce con  queste  pjrole:  Impressili»  est  hoc  ofiuscitium  tartqaam  tabula 
lapidea  opera  et  impensa  presbyleri  Joannis  Peri  Casorati  ttec  non  Ber- 
ti piaoni,  MediolaniHsium  anno  salutis  MCCLCLXXXXt'Ill,  nonis 
'ulti  complelum.  Pariando  dì  S.  Dionigi  vi  si  legge:  "  In  Sancto 
lisìo  gli  sono  de  molte  indulgentie  et  reliquie.  In  prima  de  li  re^ 
ie  che  li  jace.  S.  Dionisio  Archirp.  de  Milano  XI,  stete  anni  Xllll. 
trialdo  levita  et  martire,  S.  Erlembaldo  m.  cum  suo  magistro  de 
>lii  et  dui  compagni  et  si  trova  in  le  croniche  che  questi  dui  mariiri 
ieniino  al  Consilio  del  santissimo  papa  Calisto  (sic)  quando  fu  de- 
raio  che  li  presbiteri  non  avessero  più  mogliere.  S.  Aurelio  epi- 
>o,  il  quale  jace  in  lo  altare  mazore  di  S.  Dionisio,  santo  Cantiauo 
I  dui  compagni  martiri,  li  septi  Maccabei  sono  a  di  primo  di  agosto, 


DI   S.   ARIALDO  67 

reliquie  degli  elenchi  precedenti  aggiunge   «  Tosso  della  barba  di 

•  S.  Giovanni  Battista  regalato  da  S.  Pietro  a  S.  Barnaba  n  ed  altre 
molte,  delle  quali  non  si  dà  più  manco  la  descrizione. 

Non  è  certo  con  simili  fole  che  si  onora  Iddio,  esse  sono  il 
portato  dello  spirito  superstizioso,  che  non  mancò  mai  tra  gli  uo- 
mini, e  di  cui  è  sommo  interesse  della  scienza  e  della  religione  di- 
sperdere ogni  avanzo. 

Questo  libro  dovette  essere  molto  noto,  ebbe  una  seconda  edi- 
zione nel  1515  ed  una  terza  poco  dopo  il  15^8,  delle  quali  il  Puri- 
cdli  possedeva  copia.  Anche  i  frati  di  S.  Dionigi,  rispondendo  ad 
una  domanda  di  S.  Carlo,  attinsero  le  loro  notizie  a  questa  fonte, 
che  servi  anche  al  Morigia  e  ad  altri  scrittori  posteriori  (i). 

Per  ora  faccio  solo  osservare  che  tra  i  corpi  santi  conservati 
a  S.  Dionigi  è  costantemente  indicato  S.  Arialdo,  e  se  qualche  volta 
si  tace  di  S.  Erlembaldo,  è  solo  perchè  si  univa  come  dicemmo  al 
suo  compagno,  ai  28  di  giugno. 

Anche  in  alcuni  martirologi  (2)  ed   in  calendarii  popolari   è  di 

'  S.  Felicita  matre  de  li  Maccabei,  SS.  Cornelio  e  Cipriano  pontefici  et 
'  martìri,  santo  Lucifer,  santo  Alberto,  santa  Euserìa,  santo  Arnoldo. 
'  Anche  in  lo  altare  de  santo  Joanne  Battista  li  è  riposto  lo  osso  de  la 
'  barba  sua,  chi  mandò  santo  Petro  Apostolo  a  S.  Barnaba  cum  grande 

*  indulgentia,  come  si  trova  in  una  cronica.  Ancora  in  lo  altare  de  la 

•  santa  Trinitade  he  innumerabile  reliquie  et  notabile  et  sono   scripte 

*  appresso  a  li  monaci  cum  grande  indulgentia.  Ancora  sono  altri  corpi 
'  santi  et  reliquie  che  non  sono  qua  scripte.  „  Segue  quindi  il  cenno 
di  altre  strane  indulgenze  date  dal  Papa  a  S.  Dionigi  per  la  chiesa  sua. 
£  UQ  libro  curioso  che  può  dar  maniera  di  conoscere  le  cose  del  tempo 
io  fatto  di  credenze  e  di  pratiche  religiose. 

(i)  PuRiCELU,  op.  cit,  lib.  I,  cap.  X.  Del  libro  stampato  nel  1515 
paria  il  Puricelli  anche  nella  sua  Nazariana,  cap.  135.  I  frati  di  S.  Dio- 
nigi si  appoggiavano  al  libro  stampato  dopo  il  1538,  cioè  dopo  che  i  santi 
Dionigi  ed  Aurelio  vennero  collocati  dietro  l'altare  maggiore  del  Duomo. 

(a)  Codd.  506  e  507  della  Trivulziana:  sono  due  martirologi  di  mano 
dd  XV  secolo  ;  danno  :  ////  KaL  Julii.,..  Eodem  die  celebraiio  venerabilis 
Itviiae  et  martiris  Arialdi^  cujus  corpus  Mediolani  ad  sanctum  dionisium 
cum  Arialdo  (leggi  Herlembaldo)  quiescii.  Hic  passus  est  anno  MLX\/I 
«  simoniacis  apud  lacum  majorem,  de  quo  est  liber  mire  bonitatis.  —  Il 
PuRicELu,  op.  cit,  lib.  I,  cap.  V  e  Nazariana^  cap.  119,  ricorda  un  ca- 
lendario, ch'egli  dice  scritto  nel  1381,  posto  in  fine  ad  un  epistolario 
anibrosiano,  dove  ai  28  di  giugno  si  leggeva:  Sancii  Arialdi  levitae  et 
^'^orfyris  jacet  ad  sanclum  Dionisium,  Vedi  anche  Ferrari,   Cathalogus 


68  FONTI   E    MEMORIE    STORICHE 

frequente  ricordato  Arialdo.  Il  Rustico  Indovino  (i),  Tamico  fedele  dei 
milanesi  devoti,  dal  1876  in  poi  ai  28  di  giugno  pone  costantemente 
S.  Arialdo,  ultima  eco  una  tradizione  antica  e  venerata  (2).  Finalmente 
alcuni  elenchi  di  Arcivescovi  di  Milano,  quando  parlano  di  Guido,  ri- 
cordano i  due  campioni  patarini,  e  li  dicono  sepolti  a  S.  Dionigi  (3). 
Alcuni  autori  indicano  anche  meglio  il  luogo  della  sepoltiu'a  di 
Arialdo,  che  era  nel  mezzo  della  chiesa  o  più  propriamente  nella 
cripta  sotterranea  o  «  scurolo,  n  in  un  tumulo  marmoreo,  mentre  Er- 
lembaldo  rimase  nel  suo  primiero  luogo.  Nella  Croftaca  di Lampugnano 

sanctorum  qui  in  martyrologio  romano  non  sunt,  Venetiis^  1625,  ai  27  di 
giugno  :  BosCA,  MartyroL  Medio!.,  Mediolani,  16^,  ai  28  di  giugno,  il  quale 
cita  anche  un  calendario  da  lui  chiamato  *  acefalo.  ^ 

(i)  Il  sac.  D.  Rustico  Frigerio  nel  secondo  decennio,  pare,  del  se- 
colo XVIII  cominciò  a  comporre  un  Diario,  che  da  lui  prese  poi  il  nome, 
stampato  in  una  tipografìa  di  sua  famiglia  in  via  S.  Margherita. 

(2)  Il  più  vecchio  Diario  popolare  milanese  stampato,  eh'  io  conoscBi 
è  quello  del  Carisi,  Diario  sacro  perpetuo  di  tutte  le  feste  (Milano,  nella 
stamperia  Arcivescovile,  1668),  che  ai  28  di  giugno  ha  :  S.  Arialdo  Alciato, 
nobile  milanese,  diacono,  canonico  e  martire.  Fu  sepolto  in  S.  Dionigi  in 
Porta  Nuova,  L'opera  del  Carisi  venne  ristampata  molte  volte.  Quando 
il  sac.  D.  Alarico  Finoli  curò  l'edizione  del  Rustico  Indovino  dell'anno 
1876,  la  corresse  sopra  il  Diario  del  Carisi  e  quindi  vi  introdusse 
S.  Arialdo  in  luogo  di  S.  Leone,  recato  dall'antico  Rustico  giusta  i 
calendari  romani.  Vedi  Pellegrini,  op.  cit.,  pag.  470  e  segg. 

Del  resto  nel  secolo  XVllI  diversi  calendari  sacri  uscirono  alle 
stampe,  non  ostante  il  vantato  *  privilegio  „  che  il  Rustico  Indovino 
aveva  ottenuto  nel  1730  diverse  volte  confermato,  che  nessun  altro 
pubblicasse  diari  in  Milano:  in  essi  il  nome  di  Arialdo  compare  e  scom- 
pare ad  arbitrio  dello  stampatore  o  del  correttore.  Anche  un  almanacco 
di  Novara,  intitolato  Novara  Sacra,  dall'anno  1835  al  1845,  pone  ai  27 
giugno  S.  Arialdo,  e  la  edizione  dell'anno  1835  lo  dice  nativo  di  Cuz- 
zago  nell'alto  Novarese,  errore  attinto,  come  credo,  dal  Massa,  Diario 
dei  santi  e  beati  che  fiorirono  negli  stati  della  real  casa  di  Savoja,  To- 
rino, 1815,  che  parlando  di  Arialdo  confonde  Cuzzago  di  Novara  col 
nostro  Cucciago. 

(3)  Nel  cod.  Ambrosiano  T.  175  sup.  sopra  ricordato  a  fol.  9  v.  : 
Tempore  hn/us  Guidonis  fuerunt  sanctus  Arialdus  levita  et  Martyr  et 
Beatus  Herlembaldus  Cotta  martyr  et  milex,  qui  passus  est  MIXÌ/I  et  sepulti 
sunt  isti  duo  martyres  ad  S,  dyonisium.  —  Cod.  Ambrosiano  E.  S.  ^^  li,  4, 
foli.  210-215,  contiene  una  Cronaca  Archiep.  MedioL  derivata  da  antico 
codice,  a  fol.  213  v.:  Beatus  Arialdus  Martyr,.,  beatus  Herlembaldus  Martyr ^ 
ambo  jacent  ad  sanctum  Dionysium.  Altri  elenchi  di  arcivescovi  milanesi 
parlano  dei  santi  nostri,  fra  essi  il  cod.  Ambrosiano  H.  87  sup.  (con  nìi- 
niature  del  Luino),  ma  non  accennano  alla  loro  sepoltura. 


DI    S.   ARIALDO  69 

di  Legnano,  o  catalogo  degli  Arcivescovi  milanesi,  parlandosi  del- 
rarcivescovo  Guido,  si  discorre  dei  due  nostri  santi,  ed  Erlembaldo 
è  detto  sepolto  in  San  Dionigi  in  navello  in  pariete,  ubi  ejus  passio 
depicta  est,  di  Arialdo  che  jacet  in  torpore  (supple  ecclesiae]  sancti 
Dionisii  (i).  Le  quali  parole  passarono  nel  Flos  florum  di  Andrea 
Bossi  (2),  come  le  notizie  del  Fiamma  passsarono  nel  Valison  del  ve- 
scovo Fabrizio  Marliani  (3).  Anche  il  Cono,  che  non  parla  di  Arialdo, 
ricorda  la  sepoltura  di  Erlembaldo,  «  una  cassa  circondata  di  lame 
di  ferro  »  (4).  Dopo  il  Fiamma  nessuno  ripetè  riscrizione  né  di 
Arialdo  né  di  Erlembaldo,  e  possiamo  ragionevolmente  supporre 
die  siansi  smarrite  tutte  e  due. 

Bla  ora  dobbiamo  esaminare  la  testimonianza  di  Andrea  Alciati, 
che  fa  viaggiare  il  nostro  santo  niente  meno  che  a  Parigi.  Dice  dunque 
romanista:  Jacnit  \B,  Arialdus]  per  quingentos  ferme  annos  in 
divi  Dionysii  episcopi  nostri  subterranea  edicula  tumulo  marmoreo, 
donec  anno  millesimo  quingentesimo  octavo  a  Ludovico  XII  Fran- 
corum  rege  Lutetiam  Parisiorum  traslatum  est,  existimante  non 
Arialdum  sed  Dionysium  auferre.  Adeo  Parisiis  placent  Dionysii,  ut 
undique  gentium  ad  se  etiam  Pseudo-Dionysios  trahant,  Areopagitam 
quoque  sibi  praefuisse  comminiscantur  {^).  DalVAlcìsLtì  questa  notizia 
passò  nel  Fontana  (6).  Il  Papebroch  (7)  avvertì  lo  sbaglio  di  data, 

a)  Cod.  Ambrosiano  H.  56  sup.,  scritto  da  Michele  Piccolpassi  e 
dedicato  allo  zio  Francesco,  arcivescovo,  contiene  anche  excerpta  ex 
vetustissima  cronica  reperta  apud  quemdam  nobilem  de  Lampugnano  de 
Legnano  MedioL  ecclesiae^  etc.  :  a  fol.  65  v.  parla  dei  due  santi.  (Altra 
copia  D.  26  inf.).  Per  la  descrizione  di  questi  codici  vedi  Van  Ortroy, 
Anaiecta  Bollandiana,  XI,pag.  290,  338. 

(2)  Cod,  Braidense  A.  G.  IX,  35,  fol.  131  v. 

(3)  Cod.  del  Capitolo  di  Novara,  fol.  716  seg.  :  di  Erlembaldo  ricorda 
il  sepolcro  marmoreo  ed  il  dipinto  raffigurante  il  martirio.  Di  questo  co- 
dice ho  parlato  in  quest'^rrA.,  XXVII,  fase.  XXVIII,  1900,  pag.  21. 

1^4)  Ed.  di  Venezia  del  1565,  pag.  12. 

(5)  11  Cod.  dell'Ambrosiana  D.  436  inf.  fol.  74,  v.  (Copiato  dal  libro 
delie  iscrizioni  di  Milano ^  che  va  sotto  il  titolo  delVAlciató)  a  fol.  76  e  77.  v,, 
reca  le  parole  citate,  già  edite  dal  Puricelli,  Op.  cit,  lib.  I,  cap.  II,  pag.  16. 

(6)  Cod.  di  Brera,  A.  E.  IX.  2.  fol.  55.  11  Fontana,  che  visse  poco 
dopo  rAlciati,  ne  transunta  V Antiquario  ed  altri  libri  :  di  lui  parla  TAr- 
GELLATi,  Bibliotheca  scriptorum  MedioL^  II,  445-6.  Le  parole  che  si  rife- 
riscono a  S.  Arialdo  vennero  pubblicate  dal  Puricelli,  1.  e,  e  dai  Boi- 
landisti,  Ada  SS.  Juniif  V,  310. 

(7)  Acta  SS.  Junii,  loc.  cit. 


70  FONTI   E    MEMORIE    STORICHE 

poiché  Lodovico  XII  non  venne  a  Milano  nel  1508,  bensì  un  anno 
appresso,  dopo  la  celebre  battaglia  di  Agnadello.  Il  Lattuada  poi  (1) 
riporta  una  iscrizione,  che  esisteva  al  suo  tempo  sull'atrio  della 
chiesa  di  S.  Dionigi,  nella  quale  si  accennava  al  fatto  che  il  re  ivi 
salì  a  cavallo  per  entrare  trionfante  in  Milano. 

Dalle  parole  dell' Alciati  veniamo  a  sapere  con  precisione  il 
luogo,  dove  ultimamente  era  tumulato  il  corpo  di  S.  Arialdo,  nello 
scurolo  della  chiesa,  in  un  sepolcro  marmoreo  :  e  ricaviamo  di  più 
che  quando  egli  scriveva,  n'era  stato  tolto.  Che  sia  stato  trasportato 
a  Parigi  io  non  posso  credere,  e  le  parole  dell'Alciati  mi  sembrano 
una  satira  più  o  meno  spiritosa  ai  parigini.  Nella  celebre  basilica 
di  Saint  Denis  presso  Parigi  si  conservano  i  corpi  di  S.  Dionigi 
primo  vescovo  della  città,  il  creduto  Areopagita,  e  di  S.  Dionigi 
di  Corinto,  ma  non  quello  d'Erlembaldo,  neppure  quello  di  S.  Arialdo, 
né  di  altro  santo  venuto  da  Milano  (2).  Lo  storico  di  quella  basilica 
Félibien  all'anno  1509  narra  con  minute  particolarità  le  feste  reli- 
giose e  civili  celebrate  a  Parigi  per  la  vittoria  di  Agnadello,  e  parla 
di  due  bandiere  tolte  ai  Veneziani  e  portate  in  trionfo  e  depositate 
nel  tesoro  della  basilica  (3)  ;  sullo  zoccolo  del  monumento  a  Luigi  XII 
che  si  ammira  in  quella  basilica  é  rappresentata  in  bassorilievo  la 
battaglia  di  Agnadello  È  possibile  credere  che  un  fatto  così  impor- 
tante come  il  trasporto  del  corpo  d'un  santo  non  sìa  stato  mai 
notato  in  nessuna  memoria  né  a  Milano,  privata  di  quel  deposito, 
né  a  Parigi  arricchita  del  creduto  corpo  di  un  terzo  S.  Dionigi  ?  (4). 


Le  vicende  occorse  ai  corpi  dei  due  santi  Arialdo  ed  Erlem- 
baldo  ora  si  intrecciano  siffattamente  con  quelle  della  chiesa  e 
del  monastero  di  S.  Dionigi,  che  solo  da  queste  possiamo  raccogliere 
qualche  lume. 

(i)  Descrizione  di  Milano,  V,  pag.  330:  l'iscrizione  sfuggì  al  Forcella. 

(2)  Confronta  Félibien,  Le  trésor  des  corps  saints  etc.  dans  l'église  de 
S.  Denis f  Paris,  17 15. 

(3)  Histoire  de  l'abheye  royale  de  S.  Denis^  Paris,  1706,  all'anno  1509. 
Altrettanto  dice  nella  Histoire  de  la  ville  de  Paris,  Parigi,  17^*5,  li,  908- 

(4)  Aggiungo  che  il  Doublet,  Histoire  de  Vabbeye  de  S.  Denis^  Pa- 
rigi, 1625,  riporta  diverse  carte  di  Luigi  XII  a  favore  di  quella  basilica, 
ma  in  nessuna  v'  ha  traccia  del  preteso  trasporto. 


DI   S.   ARIALDO  7I 

Che  il  secolo  XVI  sia  stato  tempo  di  grande  decadenza  di  mo- 
nasteri, tutti  sappiamo  La  celebre  badia  di  S.  Dionigi  sul  princìpio 
di  quel  secolo  era  ridotta  a  tre  monaci  Cristoforo  de  Ponzonis, 
Giovanni  Antonio  de  Zucchis  e  Marco  de  Bacchis,  che  trovo  ri- 
cordati in  un  documento  contemporaneo  (i),  dei  quali  per  altro 
papa  Gemente  VII  dovette  dire  che  tiec  verbo,  nec  exemplo  ejsdem 
ckrisiifideliòiés  proficiebant  (2).  La  chiesa  ed  il  monastero  cadevano 
in  mina,  ed  i  beni  della  badia  trasandati  a  pena  potevano  procurare 
un  onesto  sostentamento  ai  tre  suoi  abitatori.  Ad  accrescere  tanti 
mali  s'aggiunsero  le  guerre,  che  rovinarono  principalmente  i  fab- 
bricati posti  fuori  le  mura  della  città,  come  allora  era  S.  Dionigi. 

U  Burigozzo,  un  popolano  pieno  di  buon  senso,  sotto  Tanno  1527, 
narra:  «  Infra  le  quali  [case   di   Dio    devastate   in   quel  torno)  la 

*  ecclesia  de  S.  Dionixio  fora  de  porta  Renza  fu  destrutta  per  mano 
«  de  Lanzichenecchi;  et  li  monaci  de  ditta  ecclesia,  vedendo  questo, 
«  avvisorno  Monsignor  TA vicario  del  vescovo,  maxime  per  li  corpi 
«  de  Santi,  qual  li  erano,  e  lui  ordenò  la  gierexia  del  Domo,  et  li 
«  andomo  a  torre.  E  questo  fu  el  dì  de  santo  Biasio,  eh'  è  a  dì 
«  3  febraro  1528,  e  a  dì  4  ditto  ritornò  a  pigliare  altre  reliquie  : 

•  et  fra  le  altre  ghe  fu  un  vaxo  de  porfido  bellissimo  n  (3). 

Quali  fossero  queste  reliquie  il  Burigozzo  non  dice;  ma  al  si- 
lenzio suo  supplisce  il  Morigia,  che  potè  vedere  V  istrumento  no- 
tarile di  consegna  delle  reliquie.  Egli  però  ne  parla  confusamente 
tanto  da  aver  dato  origine  ad  opposte  sentenze.  Ecco  le  sue  parole: 
«  E  perchè  nel  santuario,  ovvero  scurolo  di  detta  chiesa  ci  stavano 

•  riposti  diversi  corpi  santi,  che  tutti  rendevano  devozione  a  questa 

*  chiesa.  Onde  si  legge  in  un  libro  di  cronache  antiche  ed  in  un 
^  altro   stampato  (4),    che   in    detta   chiesa    ci   furono   il  corpo  di 

(i)  Archivio  di  Stato.  —  Fondo  Religione.  Conventi  di  Milano,  Santa 
Maria  del  Paradiso,  cartella  616. 

(a)  Bolla  di  Clemente  VII,  che  si  conserva  in  originale  nella  sopra 
ricordata  cartella  deirArchivio  di  Milano.  Anche  il  Bbscapè,  Historia  Ec- 
cksiae  MedìoLf  Novariae,  1615,  pag.  74^  dice  che  cum  ecclesia  (S.  Dio- 
nysii)  ab  abbate  et  monachis  quibusdam,  habitus  fere  clericatis,  qui  eam 
hobtbant,  temporum  calamitate  esset  deserta,  corpora  [sanctorum  Dionysii 
et  Aureli]  translata  sunt  in  Ecclesiam  majorem,  Hippolito  secundo  Estense 
archiepiscopo, 

(3)  Archivio  Storico  Italiano,  serie  1,  tom.  Ili,  1842,  pag.  476. 

(4^  Il  libro  stampato  è  quello  di  cui  ho  parlato  più  sopra,  a  pag.  66-67. 


72  FONTI    E    MEMORIE   STORICHE 

m  S.  Arialdo  levita  e  martire,  di  S.  Erlembaldo  martire,  dei  sette 
ti  maccabei,  S.  Lucifero  martire,  S.  Eulalia  vergine  e  martire, 
«  S.  Arnoldo  confessore   » 

u  Appresso  eravi  il  corpo  di  S.  Dionigi,  quel  di  S.  Aurelio  ve- 
li scovo  radicense,  che  arrecò  il  corpo  di  S.  Dionigi  a  Cassano,  ed 
u  i  corpi  dei  santi  Canzio,  Canziano  e  Canzianilla  fratelli.  Tutti 
éi  questi  corpi  santi  furono  trasportati  nella  chiesa  del  Duomo 
-  l'anno  1528  il  4  febbrajo,  cioè  il  corpo  di  S.  Dionigi  e  quel  di 
«  S.  Aurelio  un  giorno,  e  gli  altri  il  giorno  seguente,  deUa  qual 
«  traslazione  ne  rogò  Tistrumento  il  signor  Giovanni  Pietro  Ber- 
«  nareggio  notaio  dell'Arcivescovo  »  (i).  La  frase  «  tutti  i  corpi  santi  n 
comprende  tutte  le  reliquie  che  si  dicevano  essere  a  S.  Dionigi, 
ovvero  soltanto  quelle  enumerate  poco  prima,  e  cioè  i  santi  Aurelio, 
Dionigi  e  i  martiri  Canziani?  Altri  documenti  ed  altre  storie  dell'e- 
poca, come  vedremo,  ci  assicurano  che  in  Duomo  si  trasportarono 
soltanto  questi  ultimi  santi  (2).  £d  allora  che  ne  fu  dei  corpi  di 
Arialdo  e  d' Erlembaldo,  che  non  appaiono  tra  i  trasportati  in 
Duomo,  mentre  d'altra  parte  è  certo  che  in  S.  Dionigi  dopo  quel- 
l'anno 1528  non  restarono  più  corpi  di  santi  ?  Ma  giova  continuare 
la  storia  della  badia. 

Poco  dopo  questo  fatto  essa  fu  data  in  commenda  al  cardinale 
Salviati,  e  nel  1532,   se  è  esatta   l'indicazione   del   Fumagalli   (3), 

(i)  Santuario  della  città  e  diocesi  di  Milano,  Milano,  i6oa.  Il  libro 
non  ha  numerazione  di  pagine  né  di  capitoli  ;  le  parole  citate  si  trovano 
verso  la  fine,  dove  si  parla  della  chiesa  di  S.  Dionigi.  Il  Giulini«  Me- 
morie, lib.  cit.  all'anno  1099,  tom.  II,  676,  mettendo  a  confronto  il  Morìgia 
col  Castelli,  la  cui  testimonianza  riferiremo  fra  poco,  nota  alcune  dif- 
ferenze,  delle  quali  dà  colpa  al  Morìgia.  Ma  il  Giulini  prese  abbaglio, 
confondendo  la  traslazione  dei  corpi  dei  santi  Dionigi,  Aurelio  e  martiri 
Canziani,  avvenuta  nei  giorni  364  febbraio  del  1528,  con  la  riposizione 
delle  reliquie  dei  due  vescovi  santi  Dionigi  ed  Aurelio  seguita  il  i*" 
marzo  1538.  In  questo  errore  altri  lo  avevano  preceduto,  come  il 
Lattuada,  Descrizione  di  Milano,  ecc.,  V,  326  ;  e  tutti  lo  seguirono.  Ma 
le  precise  parole  del  Burigozzo,  che  sopra  riferimmo,  ed  anche  altre 
che  presto  saranno  citate,  tolgono  ogni  dubbio. 

(2)  Besozzo,  Historia  pontificale^  Milano,  1596,  pag.  22  ;  Bescapè  in 
molti  luoghi,  come  nel  Libro  di  alcune  antiche  chiese  di  Milano,  dove 
parla  delle  reliquie  conservate  in  Duomo;  Bosca,  MartyroL  Mediai,,  ai 
35  maggio,  14  giugno,  9  novembre.  Il  libro  citato  a  pag.  67,  le  cui  pa- 
role puoi  vedere  pre'*so  Puricelli,  op.  cit.  pag.  25  26,  ecc. 

(3)  Fumagalli,  Spiegazione  della  carta  topografica  dell'antico  Milano 
nel  suo  libro:  Le  vicende  di  Milano  durante  la  guerra  con  Federico  Bar- 


r 


DI   S.   ARIALDO  73 

Qanente  VII  soppresse  anche  il  titolo  abbaziale,  convertendo  la 
basilica  in  un  beneficio  semplice  col  titolo  di  prepositura. 

In  quei  tempi  vagavano  per  la  città,  senza  chiesa  ne  tetto,  i 
padri  Serviti  (Servi  di  Maria  dell'Osservanza),  che  erano  stati  chia- 
mati a  Milano  nel  1481  da  Rodolfo  Vismara,  il  quale  aveva  loro 
donate  venti  pertiche  di  terreno  posto  fuori  Porta  Romana  vicino 
al  Redefosso,  dove  s'erano  fabbricati  la  chiesa  col  titolo  di  S.  Maria 
del  Paradiso  e  il  Convento  (i).  Nel  1525,  durante  la  guerra  contro 
Francesco  I  chiesa  e  convento  furono  manomessi  dai  soldati  fran- 
cesi L'anno  dopo  quei  buoni  padri  avrebbero  voluto  restaurare  la 
propria  abitazione;  ma  vi  si  oppose  il  governatore  Antonio  De 
Leva,  temendo  che  quel  fabbricato  potesse  servire  di  rifugio  ai  sol- 
dati di  Francesco  I  :  anzi  comandò  che  chiesa  e  convento  fossero 
rasi  al  suolo.  Quel  luogo  fu  quindi  chiamato  il  Dirupazzo,  e  servì 
poi  al  cimitero  del  Fopponino  ora  chiuso  (2). 

I  Serviti,  rimasti  senza  monastero  e  senza  chiesa,  importunavano 
il  De  Leva,  che  pare  abbia  per  loro  ottenuto  dal  cardinale  Salviati 
il  monastero  di  S.  DionigL  Infatti  il  17  gennaio  1532  a  Bologna  il 
Salviati  faceva  rinuncia  della  sua  commenda  nelle  mani  di  papa 
Gemente  VII,  il  quale  donava  monastero  e  chiesa  ai  Serviti  col- 
l'obbligo  di  restaurarli  in  magnitudine  in  qua  erant  ante  eorum  de- 
structionem,  donando  loro  anche  i  terreni  del  monastero  stesso;  il 
cardinale  Salviati  si  obbligava  di  fare  a  sue  spese  capellam  magnani 
et  faciatam  ipsius  ecclesiae  :  il  convento  doveva  essere  chiamato  : 
domus  S.  Dionysii  ordinis  servorum  B,  M.  Virginis  de  observantia  : 
non  dovevano  abitarlo  meno  di  dodici  monaci  preti,  che  si  obbligavano 
alle  funzioni  diurne  e  notturne  juxta  morem  romanae  ecclesiae^  abolito 
quindi  il  rito  ambrosiano  (3).  Al  mantenimento  dei  tre  benedettini  do- 
veva provvedere  il  cardinale  Salviati,  che  non  se  ne  die  gran  cura, 
poiché  poco^  dopo  assunsero  questo  peso  gli  stessi  Serviti,  i  quali  se 
ne  stancarono  presto  e  tentarono  accollarlo  agli  eredi  del  Salviati  (4). 

àarossa,  al  n.  30,  nota  e,  cita  una  Bolla  pontifìcia  di  Clemente  VII  del- 
Tanno  1532  conservata  nell'Archìvio  del  monastero  di  S.  Dionigi,  lo  non 
l'ho  potuta  consultare,  ma  per  fare  con  tutta  coscienza  la  storia  di  questa 
basilica  si  dovrebbero  vedere  i  molti  documenti  conservati  nell'Archivio 
di  Stato  che  la  riguardano. 

(i)  Bossi,  Cronaca,  ad  annum y  Lattuada,  Descrizione  di  Mi/ano,  III,  6. 

(2)  Archivio  di  Stato,  cartella  citata. 

(3)  Bolla  di  Clemente  VII  nella  cartella  citata. 

(4)  Archivio  di  Stato^  cartella  n.  632. 


74  FONTI   E   MEMORIE   STORICHE 

Intanto  il  15  settembre  1536  moriva  in  Provenza  il  De  Leva, 
che  con  suo  testamento  del  2  settembre  dell'anno  precedente  fatto 
in  Pavia,  aveva  disposto  che  il  suo  corpo  avesse  tomba  a  S.  Dio- 
nigi e  che  il  figlio  suo  ed  erede  pagasse  a  quella  chiesa  un  legato 
di  quattrocento  scudi  annui  per  venticinque  anni,  a  fine  di  concor- 
rere alla  fabbrica  della  chiesa  (i). 

I  Serviti,  appena  venuti  in  possesso  della  chiesa  di  S.  Dionigi 
reclamarono  quel  vaso  prezioso  di  porfido  ed  i  corpi  dei  santi,  che 
erano  stati  qualche  anno  prima  portati  in  Duomo,  ma  i  canonici 
della  Cattedrale  non  vollero  render  nulla,  accampando  a  pretesto  il 
rito  romano,  che  i  Serviti  avevano  l'obbligo  di  osservare.  Anzi  il 
primo  di  marzo  1538  fecero  una  solenne  riposizìone  di  due  di  quei 
corpi  santi  dietro  Taltare  maggiore  del  Duomo. 

Ascoltiamo  in  proposito  il  buon  Burigozzo  :  «  El  primo  venere 
«  de  marzo,  che  fu  a  dì  primo  de  ditto  meze,  fu  messo  el  corpo 
«  de  santo  Dominico  [sic  per  Dionisio]  in  un  sepulcro  novo  pox 
u  l'altare  grande  del  Domo  :  et  supra  ditto  sepulcro  li  miseno  el 
u  vaso  de  porfido  qual  era  sta  in  sagristia  gran  tempo  in  dibattere  : 
u  alfine  fu  ordina  restasse  in  Domo  ditto  corpo  santo,  sì  ancora 
«  ditto  vaxo,  et  questo  fu  per  causa  che  la  ditta  giexia  de  santo 
«  Dominico  (Dionigi],  fu  data  à  frati,  quali  non  volseno  tenere  lo 
«  stile  dell'offiziare  al  modo  antico,  ma  al  modo  suo.  E  lì  non  vo- 
«  lendo  loro  celebrare  al  stile  vero  e  mancare  de  tal  efifetto,  per 
«  questo  li  signori  Ordinari  non  le  volseno  tornare  le  ditte  reliquie. 
u  perchè  mancando  loro  delli  offizi,  hanno  de  mancar  loro  a  darghe 
«  ditte  reliquie.  E  questo  mettere  tali  reliquie  al  ditto  loco,  furono 
«  messe  con  gran  trionfo  e  con  sono  de  campane  e  processione,  e 
«  con  l'animo  de  tutto  Milano,  e  qui  restano  »  (2). 

A  questa  funzione  era  presente  Francesco  Castelli,  ordinario 
della  Metropolitana,  che,  parlandone  nel  suo  Quodlibet  (3),  dice  che 


(i)  Le  iscrizioni  poste  al  De  Leva  nella  chiesa  di  S.  Dionigi  sono 
in  Forcella,  Iscrizioni  di  Milano,  V,  nn.  175,  176,  181. 

(a)  Archivio  Storico  Italiano,  anno  1842,  loc   cit.,  pag.  540-541. 

(3)  Cod.  deirArchivio  del  Capitolo  del  Duomo,  fol.  48  r.  Vedi  anche 
Sassi,  Archiep.  Med,  series,  1^72:  MD XXXV Ul  die  veneris  i.amartii.  Nota 
quod  supradicto  die  reposita  fuerunt  corpora  sanctorum  Dionysii  Archiep. 
fìtediol.  et  Aurelii  episcopi  in  parlibus  Armeniae  post  altare  majus  eccUsiae 
mediolanensis  prope  tumulum  S.  Galdini  episcopi  videlicet  versus  mtridio- 


DI    S.   ARIALDD  75 

allora  vennero  riposti  dietro  l'altare  maggiore  i  corpi  dei  santi 
Dionigi  ed  Aurelio.  Dei  tre  fratelli  Canziani  non  parla  :  essi  dunque 
restarono  al  loro  posto  di  prima^  credo  nella  sagrestia  del  Duomo. 

Nel  1543  i  Serviti  diedero  principio  alla  fabbrica  della  loro 
chiesa,  a  tre  navate,  con  volte  sostenute  da  pilastri,  otto  cappelle 
oltre  Taltar  maggiore,  «  il  tutto  lavorato  con  gentilissima,  vaga  et 
.  rara  architettura  et  dipinto  de  chiaro  et  scuro  con  le  insegne 
•  dell'  111.  Cardinale  Salviati,  «  come  si  espressero  gli  ingegneri 
chiamati  dal  P.  Priore  pel  collaudo  della  chiesa  (i).  Il  disegno  della 
chiesa,  viene  attribuito  al  Pellegrini  (2).  Il  Lattuada  ricorda  alcuni 
pregevoli  dipinti  qua  conservati  (3). 

Tròppo  presto  però  quella  (;hiesa  dovette  subire  gravi  perdite. 
Nel  1549  Ferrante  Gonzaga,  volendo  cingere  la  città  di  nuove  mura, 
abbattè  alcune  parti  della  chiesa,  che  restò  così  guasta  (4).  Fra  le 
parti  abbattute  dobbiamo  segnalare  lo  scurolo,  dove,  secondo  la  te- 
stimonianza dell'Alcìati  e  di  altri,  ultimamente  riposavano  le  ossa 
di  S.  Arialdo,  ed  anche,  a  detta  del  Morigia,  quelle  di  Erlembaldo, 
che  sarebbero  state  poste  un*  altra  volta  vicino  a  quelle  del  suo 
compagno  di  lotta. 

Nel  1576  S.  Carlo  per  sé  o  per  altri  si  accingeva  a  fare  la  vi- 
sita pastorale  a  quella  chiesa,  e  richiese  ai  frati  l'elenco  delle  sacre 

nftkm  sagrestianif  praeseniibus  Rev.^o  D,  Joanne  Maria  Tonso  vicario 
archiepiscopali,  et  foto  capitalo  et  officialibus  tcclesiae^  magnaque  populi 
mediolanensis  tnultitudine,  de  qua  rogalum  fuit  instrumentum  per  spect. 
D,  Joannem  Geordium  Castanum,  Joannem  Petrum  Bernarigium,  Io.  lac, 
MoUtnum  et  Joa»^nem  Seregnum  Mediolani  notarios  pubiicos.  Et  ita  ego 
Franciscus  Castellus  Mediolanensis  Ecclesiae  Ordinarius,  qui  praedictis  om- 
fibus  interfui  et  ad  futura m  rei  memoriam  seripsi. 

(i)  Archìvio  di  Stato,  ivi,  cartella  632.  11  Lattuada,  Descrizione  di 
MUano,  V,  330,  ci  dice  che  dinanzi  alla  chiesa  si  stendeva,  come  era 
uso  per  le  chiese  del  contado,  il  cimitero.  11  Puricelli,  Ambrosiana, 
n»  247,  in  fine,  narra  che  al  suo  tempo  v'era  ancora  un  avanzo  dell'an- 
tico  cimitero  dalla  parte  sinistra  di  chi  entrava  in  chiesa,  che  venne 
distrutto  Tanno  1640. 

(a)  Archivio  di  Stato,  ivi,  cartella  616.  Ultimamente  il  Conte  Fran- 
cesco Malaguzzi  Valeri  parlando  in  questo  Archivio  anno  XX Vili,  fase. 
XXXII  (31  dicembre  190 1)  delle  opere  di  Pellegrino  Pellegrini  a  Mi- 
lano, vi  notava  (a  pag.  343)  anche  la  chiesa  di  S.  Dionigi. 

(3)  Descrizione,  etc,  1.  e,  pag.  329. 

(4^  Lattuada,  1.  e;  Moriggia,  Santuario,  ecc.  1.  e. 


76  FONTI   E   MEMORIE   STORICHE 

reliquie  e  delle  indulgenze.  NeirArchivio  Arcivescovile  si  conserva 
la:  Risposta  delti  frati  di  S.  Dionisio  alla  petitione  di  MonsJ'  illj^ 
Index  reliquiarum  (i),  strano  indice,  giacché  nessuna  reliquia  v*è 
indicata  !  Quei  buoni  frati  non  ponno  che  prendere  in  mano  il  Tra- 
tato  utilissimo  à  le  anime  devote ^  etc.  nella  sua  terza  edizione  stampata 
a  Milano  qualche  anno  dopo  il  1538,  e  sulla  fede  di  quel  libro  nar- 
rano che  nella  loro  chiesa  si  trovavano  allora  i  corpi  dei  santi  più 
volte  ricordati,  ma  che  al  tempo  delle  guerre,  trasportati  in  Duomo, 
furon  posti  dietro  l'altare  maggiore;  soggiungono,  sempre  sulla  fede 
di  quel  libro,  che  nella  loro  chiesa  si  dovrebbero  conservare  altri 
corpi  santi,  e  cioè  S.  Arialdo,  S.  Erlembaldo,  col  suo  maestro  di 
scuola  e  due  suoi  condiscepoli,  S.  Alberto,  S.  Eulalia,  S.  Arnoldo,  un 
osso  di  S.  Giovanni  Battista,  ed  altre  reliquie,  ma  aggiungono  che 
non  si  trovano,  e  ne  danno  la  colpa  alle  calamità,  a  cui  andò  sog- 
getta la  chiesa,  le  quali  dispersero  le  carte  ed  ogni  antico  ricordo. 
Solo  dichiarano  di  possedere  una  cassetta  contenente  reliquie  senza 
nome.  Sono  reliquie  delle  quali  abbiamo  ricordi  prima  del  1528,  e 
di  frequente  se  ne  fa  menzione  anche  appresso  (2). 

Dopo  questa  testimonianza,  noi  non  ci  afifaticheremo  più  col 
Puricelli  (3)  nel  cercare  i  corpi  dei  Santi  Arialdo  ed  Erlembaldo  a 
S.  Dionigi.  Anzi  quei  buoni  padri  erano  tanto  persuasi  di  non  avere 
reliquie  di  valore,  che'  perduta  affatto  la  speranza  di  riavere  le 
antiche  reliquie,  ricorsero  al  Cardinale  loro  protettore  per  ottenerne 
altre  (4),  che  di  fatto  ebbero  nel  1599  da  Roma  (5). 

(i)  Archivio  Arcivescovile,  Visi/e  pastorali ^  sessione  X,  Archivio 
spirituale^  S.  Francesco  da  Paola,  voL  VI,  inserto  n.  36. 

(2)  Archivio  di  Stato,  cartella  632  e  sopra  pag.  67. 

(3)  Op.  cit.  pag.  384  e  altrove.  Le  testimonianze,  a  cui  il  Puricelli 
appoggia  la  sua  tesi,  sono  ben  poche  e  di  nessun  valore  :  p.  e.  il  Mo- 
rigia  aveva  detto  che  "  vi  erano  „  in  S.  Dionigi  quei  corpi  santi,  e  il 
Villa,  citato  dal  Puricelli  a  pag.  57-58,  gli  fa  dire  che  ■  vi  sono,  ma  non 
si  sa  dove  „.  Il  Monti,  citato  a  pag.  33  34  è  oratore,  non  storico,  e  si 
appoggia  al  Corio  che  viveva  prima  del  trasporto  dei  corpi  santi  fatto 
nel  1528.  La  testimonianza  del  libro  citato  a  pag.  25,  dopo  quanto  dicono 
i  frati,   non  può  avere  alcun  valore. 

(4)  MoRiGiA,  Santuario  della  città  e  diocesi  di  Milano,  dove  si  parla 
di  S.  Dionigi.  Il  fatto  è  confermato  da  carte  conservate  nella  cartella 
suindicata  dell'Archivio  di  Stato. 

<5)  Raggrupperò  qui  ancor  pochi  cenni  di  questa  chiesa.  I  padri 
serviti  vi  stettero  fino  al  1783,   nel  quale  anno  passarono  ad  occupare 


DI    S.   ARIALDO  77 

Intanto  i  corpi  dei  nostri  santi,  che  si  conservavano  in  Duomo, 
subivano  nel  1557  una  nuova  rìposizione  narrataci  dal  Castelli, 
testimonio  oculare,  con  queste  parole  (i):  MDLVII  die  martis 
nono  februarii.  Nota  quod  die  suprascripto,  hora  prima  noctis  exhu- 
matafuerunt  corpora  S.  Caldini  Archiepiscopi  Mediolani  ac  S.  Dio- 
nysii  archiepiscopi  mediolani,  et  S,  Aurelii  episcopi  ridiciottcnsis, 
presente  et  astante  magna  populi  multitudine  ac  cleri,  et  fiterunt 
rtposita  in  sagristia  meridionali  sub  trimn  clavorum  sigillo,  donec 
construeretur  novus  scurolus  subtum  chorum  noviter  construendum, 
de  quorum  memoria  rogatum  fuit  instrumentum  per  Dominum  Joan- 
nem  Petrum  Bernadigium  et  Joannem  Antonium  de  Bossiis  Medio- 
Ioni  notitrios. 

Postea  vero,  suprascripto  anno  die  vero  vetieris  quinto  martii 
hora  XX  vel  circa,  suprascripta  sanctorum  corpora,  nec  non  san- 
ctorum  Canta,  Cantiani  et  Cantianillce  ac  S.  Maximi  martyris, 
cineres  5.  Pelagio^  virg,  et  mari,,  caput  S.  Tecla,  caput  S,  Cristinae 
^rg.  et  fnart,,  caput  unius  Thebeorum  et  os  magnum  sancii  Juliani 
episcopi  cenofnanensis  reposi  taf uerunt  in  supradicto  scurolo  novo  et 
uausculo  marmoreo  adstante  maxima  populi  et  cleri  multitudine,  de 

S.  Maria  del  Paradiso  in  P.  Vigentina.  Questa  chiesa,  che  esiste  ancora, 
non  deve  confondersi  con  l'altra  dello  stesso  titolo,  che  sorgeva  fuori 
di  P.  Romana,  e  che  venne  distrutta,  vedi  sopra  pag.  73,  mentre  quella 
fa  edificata  solo  nel  1590  dai  padri  del  Terz'  ordine  di  S.  Francesco. 
Quando  Giuseppe  II  nel  1782  soppresse  i  frati  conventuali  del  terz'or- 
dine,  la  chiesa  del  Paradiso  doveva  scomparire  ;  ma  apparendo,  com'era, 
grandissimo  il  bisogno  d'una  chiesa  pel  servizio  spirituale  in  quel  quar- 
tiere popoiatissimo,  i  Serviti  vennero  invitati  ad  abbandonare  la  loro 
chiesa  di  S.  Dionigi,  che  era  ridotta  a  misero  stato,  per  occupare  quella 
del  Paradiso,  dove  trasportarono  anche  la  tradizionale  festa  del  tredici 
di  marzo,  nonché  l'urna  sepolcrale  del  De-Leva. 

Nel  1783  S.  Dionigi  era  atterrato  per  l'allargamento  dei  giardini 
pubblici.  11  vaso  di  porfido,  che  servì  dì  tomba  al  corpo  di  S.  Dionigi 
e  che  vedemmo  trasportato  in  Duomo  nel  1528,  ora  serve  di  vasca  per 
Tacqua  battesimale.  In  Duomo  si  trasferirono  anche  il  corpo  e  la  tomba 
dell'Arcivescovo  Ariberto  il  giorno  28  Marzo  1783.  Vedi  Annali  della 
Ven,  Fabbrica  del  Duomo,  voi.  VI.,  anno  1783;  e  anche  il  Milano  sacro 
del  1784,  pag.  99. 

(i)  Quod'libet,  cod.  del  capitolo  della  Metropolitana,  fol.  83  r.  Vi  si 
parla  anche  del  trasporto  dei  santi  Carpoforo  e  Felice  del  1576,  di  che 
vedi  anche  [Adalberto  Catena]  La  legione  Tebea^  Milano,  1895,  pag.  88 
e  segg. 


78  FONTI   E    MEMORIE    STORICHE 

quibus  omnibus  rogata  fueruut  instrumenta  per  suprascriptos  nota- 
rios,  quibus  otnnibus  ego  Franciscus  Castellus  ordinarius  interfui. 
Ma  non  dovevano  stare  molto  tempo  in  quel  vasculo  marmo- 
reo, S.  Carlo  trovò  che  era  luogo  a  corpi  di  santi  poco  opportuno, 
comechè  nascosto  e  sottratto  alla  devozione  popolare.  Egli  aveva  co- 
strutto in  quella  stessa  cripta  sotterranea  un  altare,  dove  anche  amava 
celebrare  Messa.  Vi  scavò  dunque  sotto  l'altare  stesso  una  tomba,  e 
nel  gennaio  del  1578,  presente  il  Bescapè,  cui  dobbiamo  la  notizia,  vi 
depose  i  corpi  dei  santi  Dionigi,  Aurelio,  fratelli  Canziani,  tutti  quelli 
insomma  prima  riposti  in  quel  tumulo  marmoreo,  unendovi  anche 
il  corpo  di  S.  Mona  trasportato  in  Duomo  dalla  chiesa  di  S.  Vitale 
nel  1576.  Dopo  di  che  summa  diligentia  decentiaque  in  cellula  sub 
terram  fabricata,  testudine  supra  eam  ducta  insculptisque  literis, 
firmi  ter  clausit  (i).  Aveva  però  prima  levate  alcune  teste  di  corpi 
di  santi,  collocandole  in  appositi  reliquiari  per  essere  esposte  alla 
venerazione  dei  fedeli.  Possiamo  leggere  V  iscrizione,  della  quale 
ci  parlava  il  Bescapè,  nel  Lattuada  (2)  e  nel  Forcella  (3),  e  la  ve- 
diamo tuttora.  Se  confrontiamo  Telenco  delle  reliquie  dato  dal  Ca- 
stelli per  la  riposizione  del  1557  e  quello  del  Bescapè  e  del  Gius- 
sani,  tenendo  conto  anche  delle  reliquie  poste  in  reliquiari  separati, 
troviamo  che  oltre  al  corpo  di  S.  Mona,  che  appare  solo  in  questo 
ultimo  elenco,  la  testa  di  S.  Cristina,  numerata  tra  le  reliquie  ri- 
poste del  1557,  è  dimenticata  nella  riposizione  del  1578;  però  al- 
trove il  Bescapè  la  ricorda  (4)  e  con  lui  il  Morigia,  che  la  dice  con- 
servata nella  sagrestia  degli  Ordinari  insieme  con  altre  14  teste 
di  santi  (5). 


(i)  A  Basilica  Petri,  De  vita  et  rebus  gestis  S.  Caroli,  lib.  V,  cap.  II,  e 
Histor.  Ecc.  Med.  cit.,  pag.  74;  Giussani,  Vtta  di S,  Carlo,  lib.  V,  cap.  II; 
Morigia,  Santuario^  in  principio,  dove  parla  del  Duomo;  Bescapè,  Libro 
delle  antichità  di  alcune  chiese  di  Milano,  Bergamo,  cb  1d  xcvi,  in  prin- 
cipio, dove  parla  delle  reliquie  della  chiesa  maggiore.  Questi  due  libri  del 
Morigia  e  del  Bescapè  non  hanno  numerate  le  pagine.  Confronta  anche 
i  nostri  breviari  ai  25,  31  maggio,  12  ottobre;  Bosca^  Martyrol  MedioL, 
a  quei  giorni  e  al  14  giugno,  Acta  SS,  Mai,  VII,  431,  etc. 

(2)  Descrizione  di  Milano ^  I,  70. 

(3)  Op.  cit,  I,  pag.  28  num.  37. 

(4)  Ltbro  delie  antichità  di  alcune  chiese  di  Milano,  in  principio  dove 
parla  del  Duomo. 

(5)  Santuario,  1.  e. 


DI    S.   ARIALDO  79 

Dall'esposizione  di  questi  fatti,  appare  evidente  che  i  corpi  dei 
iMKtri  due  santi  Arialdo  ed  Erlembaldo,  che  certamente  fino  al  1528 
rimasero  a  S.  Dionigi,  dopo  quell'anno  scompaiono,  e  non  essi  soli, 
ma  con  loro  scompaino  anche  tutti  quei  supposti  corpi  santi,  dei 
quali  la  fantasia  popolare  aveva  arricchito  quella  chiesa,  soli  eccet- 
tuati, come  si  vede,  i  santi  martiri  Canziani. 

Nessun  dubbio  può  sorgere  sull'identità  del  corpo  di  S.  Dio- 
nigi, che  morì  esule  in  Cappadocia.  S.  Basilio,  nella  lettera  a  San- 
t'Ambrogio (i),  accompagnatrice  del  corpo  del  Santo,  diceva:  iV^wo 
éubiUt,  n€P9io  ambigat,  hic  ille  est  invicttis  athleta ...  Una  arca  erat, 
quae  venerandum  illud  corpus  suscepit;  nullus  prope  ipstim  jacuit, 
insigne  fuit  sepitlcrum,  martyris  hotior  ci  delatus,  Christiani,  qui 
ipsum  ospitio  exceperunt,  tunc  et  suis  manibus  deposuerunt,  et  nunc 
extuIeriMt,,,,  Nusquapn  mendacium,  nusquam  dolus,  extra  calutnniam 
sit  aptid  vos  veritas.  Che  quel  corpo  santo  sia  stato  prima  deposi- 
tato a  Cassano,  poi  trasportato  a  Milano  sotto  Ariberto,  o,  come 
vorrebbe  il  P.  Papebroch,  sotto  Angilberto  (2),  sono  fole  che  la 
critica  rifiuta.  S.  Ambrogio  lo  collocò  nella  Basilica,  che  poi  da 
quel  sacro  deposito  prese  il  nome  di  dionisiana  (3),  in  una  preziosa 
arca  di  porfido,  quella  stessa  che  nel  1528  fu  colle  spoglie  del  santo 
portata  in  Duomo. 

Anche  del  corpo  di  S.  Aurelio  possiamo  ben  essere  sicuri. 
Costui  fu  vescovo  di  non  si  sa  quale  città  d'Armenia,  e  morì  a 
Milano  un  secolo  dopo  S.  Dionigi,  nel  475,  nel  giorno  anniversario 
della  morte  di  questo  santo,  accanto  al  cui  sepolcro  fu  tumulato, 
e  sulla  sua  tomba  si  scolpì  una  iscrizione,  che  il  Castelli  lesse  e  tra- 
scrisse fedelmente  nel  Quod  libet  (4).  La  fantasia  medievale  si  sbiz- 

(i)  Epist.  197  dell'edizione  dei  PP.  Maurini.  Di  questo  santo  vescovo 
di  Milano  vedi  quanto  raccolse  il  Biraghi  nella  sua  Historia  Datiana, 
Milano,  1848,  pa^.  94  e  segg. 

(2)  V.  Castiglioni,  Mediolanenses  Antiquitates,  Milano,  1625,  16-18; 
Acta  SS,  Mai,  VI,  42. 

(3)  Rer,  Hai.  SS,y  tom.  I,  parte  II,  pag.  227^  Adveniens  itaque  Medio- 
^ofutm,  eie.  Cfr.  la  cronaca  di  cui  parla  il  Puricelli,  op.  cit,  pag,  480 
e  altrove;  ma  più  che  tutto  vedi  l'iscrizione  apposta  al  tumulo  di 
S.  Aurelio,  che  risale  al  secolo  V,  dalla  quale  si  ricava  che  il  corpo  di 
S.  Dionigi  era  già  in  quella  chiesa,  come  avverte  anche  Giulini,  Me- 
morie, cit.  all'anno  1023,  II,  133-134. 

(4)  Cod.  del  Capitolo  Metropolitano  di  Milano,  fol.  48  v.  :  Carmina 
iescripta  in  tabula  lapidea  sepukri  sanctorum  Dionysii  et  Aurelii,  da  costui 


8o  FONTI    E    MEMORIE    STORICHE 

zarii  anche  su  questa  figura  di  vescovo  armeno,  affermando  eh'  egli 
trasportò  a  Milano  il  corpo  di  S.  Dionigi,  mentre  S.  Basilio  d  parla  di 
un  Terasio,  ch'egli  chiama  «  compresbitero,  carissimo  e  reli^osissimo 
figlio  nostro  ».  Quella  stessa  leggenda  narra  anche  il  trasporto  del 
corpo  di  S.  Aurelio  in  Germania  nel  830  (i).  Alcuni  nostri  autori  vor- 
rebbero che  ciò  potesse  forse  dirsi  di  parte  di  quelle  reliquie  ;  ma 
la  leggenda  non  ha  fondamento  storico;  Ariberto  nel  suo  testamento, 
parlando  della  chiesa  di  S.  Dionigi,  da  lui  arricchita  e  dove  volle 
avere  sepoltura,  dice  che  ivi  beatissintorum  confessorum  Dionisii  et 
Aurelii  sacra  cor  poro  requiescunt  (2);  ed  il  Bescapè  scrive  che  di 
S.  Aurelio  caput  et  quasdam  reliquias  vidimus  (3).  hioltre  la  lapide 
trascritta  dal  Castelli  indicava  con  tutta  precisione  il  corpo  del 
santo,  quando  esso  da  S.  Dionigi  fu  trasportato  in  Duomo. 

Dei  santi  martiri  Canzianì  invece  dobbiamo  dire  tutt*  altro.  La 
leggenda  li  fa  oriundi  della  famiglia  Anicia,  martirizzati  presso 
Aquileja  sotto  Domiziano;  essa,  alla  fine  del  quarto  secolo  o  sul 
principio  del  quinto,  doveva  essere  già  formata,  se,  come  pare 
certo,  a  S.  Massimo  di  Torino  dobbiamo  attribuire  un'omelia  su 
questi  santi,  che  si  legge  tra  le  opere  di  S.  Ambrogio  (4). 

Dove  riposino  i  loro  corpi  è  questione  intricatissima,  che  sei 
città  se  li  contendono  (5).  Ma  io  non  ho  bisogno  di  entrare  in  questo 
ginepraio,  bastandomi  escludere  Milano  dal  loro  numero.  Nessuna 

pare  la  togliesse  il  Valerio,  invece  l'Alciati,  al  suo  solito,  la  corruppe: 
r  iscrizione  come  si  legge  presso  Forcella-Seletti,  Iscrizioni  cristiane 
di  Milano  anteriori  al  secolo  IX,  Codogno,  1899,  P^g-  i^i*  "•  ^^  ^ 
esatta,  rispondendo  alla  lezione  del  Castelli. 

(i)  Vedi  questa  leggenda  in  Analecta  bollandiana,  tomo  XVII,  1898, 
pag.  190  e  segg.  Tanto  T  iscrizione  quanto  la  leggenda  lo  dicono  tpi- 
scopus  reditionis,  città  che  non  si  conosce.  Vedi  però  Ada  SS.  Mai  VI,  41. 

(2)  PuRiCELU,  op.  cit,  pag.  485. 

(3)  Historia  Ecclesiae  Mediol^  in  fine  del  libro  restato  incompleto, 
Novariae,  1615,  pag.  79. 

(4)  MiGNE,  Patrol,  Latina,  XVII.  705,  706  tra  le  opere  di  S.  Ambrogio; 
e  Patr.  LaL  LVII,  Sermone  LXXXIV,  col.  700,  tra  quelli  di  S.  Massimo. 
L'edizione  dei  PP.  Maurini  non  è  che  una  riproduzione  della  edizione 
curata  dal  P.  Bruno  Brum',  Roma  1784;  vedi  però  Savio,  Gli  antichi  ve- 
scovi di  Italia,  Torino  1899,  pag.  292.  S.  Massimo  cominciò,  pare,  il  suo 
episcopato  negli  ulUmi  anni  del  secolo  IV.  Vedi  Savio,  op.  cit  pag.  293. 

(5)  Ada  SS.  Mai,  VII,  428  e  segg.  Bosca,  Mart^^.  MedioL,  ai 
14  giugno. 


DI   S.  ARIALDO  8l 

i^enda  di  quei  santi  parla  del  loro  trasporto  a  Milano,  a  S.  Dio- 
nigi Goffredo  da  Busserò  lo  esclude,  dove  narra  il  trasporto  di 
quelle  reliquie  in  Sassonia,  e  per  Milano  ricorda  solo  un  altare  a 
S.  Maria  Podone,  e,  cosa  importante  per  noi,  la  festa  che  si  faceva 
in  loro  onore  a  S.  Dionigi  et  laudabiliter  aptum  copia  fandi;  ag- 
giunge che  patirono  il  marthio  al  14  di  giugno  (i).  1  nostri  antichi 
calendari  sono  concordi  nell'assegnare  la  festa  dei  santi  Canziani 
al  giorno  14  di  giugno  e  alla  chiesa  di  S.  Dionigi  (2),  ma  in  nes- 
suno di  essi  io  ho  trovato  alcuna  di  quelle  espressioni,  che  sono 
di  solito  adoperate  per  significare  il  possesso  dei  corpi  santi  nelle 
chiese  ricordate. 

Del  resto  anche  altri  leggendari  di  vite  di  santi,  che  servivano 
per  chiese  ambrosiane,  ponevano  il  martirio  dei  fratelli  Canziani 
non  al  31  di  maggio,  come  usavano  fare  i  martirologi  romani,  ma 
al  14  di  giugno  (3).  Quindi  è  che  la  festa  che  si  celebrava  in  quel 

(i)  De  sanctis  cantio,  caniiano,  cantianilla  et  proto  martyribus  est 
fesium  ad  sanctum  Dionisium  et  laudabiliter  aptum  copia  fandi,  Item 
aliare  in  ecclesia  sancte  Marie  pedonis...  Fa  un  sunto  della  loro  passione 
e  conclude:  Et  videte  quam  in  kalendas  aprilis  in  Saxonia  provintia, 
urbe  ildensen  celebratur  adventus  sanctarum  reliquiarum  istorum  marti- 
rum  istorum  cantianorum,  ut  legitur  in  vita  sancii  gotardi  episcopi.  Ri- 
pete le  notìzie  della  loro,  passione  e  conclude  :  passi  sunt  die  quartode- 
cimo  junii.  Dell'opera  di  Gottofredo  da  Busserò,  vedi  quanto  assen- 
natamente scrisse  il  sac.  dott.  A.  Ratti,  in  questo  Archivio,  anno  XXVIII, 
voi.  XV,  1901,  pag.  18-23. 

(2)  Vedi  il  Calendario  Sitoniano  in  Rer.  ItaL  SS,  II,  parte  2,  1035, 
KVlìl  KaL  julii;  così  pure  il  Calendario  di  Beroldo,  ed.  Magistretti,  Mi- 
lano, 1894,  P2ig«  7-  XVlll  KaL  julii»  Degli  altri  calendari  antichi,  che  ho  ve- 
duto all'Ambrosiana,  nell'Archivio  del  Capitolo  Metropolitano  e  altrove, 
concordano  solo  alcuni;  quelli  che  non  pongono  le  notizie  delle  chiese 
dove  si  facevano  le  feste  dei  santi,  conseguentemente  non  hanno  ad 
sanctum  Dionisium.  Fu  solo  al  tempo  di  S.  Carlo  che  la  chiesa  Ambro- 
siana, uniformandosi  al  rito  romano,  trasportò  la  festa  di  questi  santi 
al  31  maggio. 

(3)  Cod.  Ambrosiano  E.  22  inf.,  sec.  XI,  fol.  76  v.  :  Possi  sunt  beatissitHi 
mortyres  Cantius,  Cantianus  et  Cantianilla  in  Acquilegensi  civitate  octavo 
decimo  kalendarum  julii,  imperantibus  Diocletiano  et  Massimiano  impera- 
toribus,  agente  Sisinio  cornile  et  Dulcisio  preside.  Regnante ^  e  te.  Altrettanto 
nel  cod.  D.  22  inf.,  fol.  21  v.  del  sec.  XII.  Questo  secondo  codice  serviva 
per  la  chiesa  di  Olgiate  Olona,  era  quindi  certamente  di  rito  ambrosiano. 
Anche  rispetto  al  primo  il  P.  Van-Ortroy^  Analecta  Bollandiana,  XI, 
2B2  e  302  ritiene  per  sicuro  che  dovette  servire  a  chiesa   ambrosiana. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIII.  6 


82  FONTI    E    MEMORIE    STORICHE 

giorno  pei  santi  Canziani  a  S.  Dionigi  non  era,  come  si  potrebbe 
credere,  per  ricordare  il  trasporto  a  Milano  di  quei  corpi  santi, 
ma  era  in  die  eorum  natalitio  (i).  Anzi  la  festa  lungi  dall'es- 
sere stata  occasionata  da  quel  trasporto  delle  reliquie,  ha  dato 
essa  occasione  a  credere  che  quelle  reliquie  in  S.  Dionigi  si  con- 
servassero. E  davvero  secondo  i  nostri  antichi  calendari  ivi  erano 
celebrati  come  festivi  oltre  i  giorni  di  S.  Dionigi  25  maggio,  e 
S.  Aurelio  9  novembre,  anche  questi  giorni  :  14  giugno  i  santi 
Canziani,  24  giugno  S.  Giovanni  Battista,  i.^  agosto  i  santi  Mac- 
cabei, 14  settembre  i  santi  Cornelio  e  Cipriano  :  ebbene  la  fantasia 
popolare  arricchì  quella  chiesa  di  tutti  questi  corpi  santi  o  delle 
loro  reliquie  (2).  lo  non  ho  trovato  traccie  anteriori  al  secolo  Xl\' 
che  provino  il  possesso  dei  corpi  dei  santi  Canziani  alla  chiesa 
di  S.  Dionigi  in  Milano  :  la  prima  memoria  è  il   cod.  T.  175  sup. 

Anche  Gotofredo  da  Busserò,  milanese,  pone  la  morte  di  questi  santi 
ai  14  di  giugno.  Ad  Aquileja  si  faceva  la  memoria  di  S.  Proto,  il  pe- 
dagogo dei  santi  Canziani,  al  14  giugno.  Vedi  Ferrari,  Catalogus  sane- 
forum  lialiae,  14  giugno. 

(i)  Il  Messale  Ambrosiano  del  1522  (V  Acta  SS.  lAai,  VII,  431)  ai 
14  giugno  ricordava  i  nataliiia  dì  quei  santi,  come  si  vede  nella  seconda 
orazione  de  proprio:  Ipsomm,  quorum  nataliiia  celebramus,  etc. 

(2)  Arrischierò  qualche  supposizione  per  gli  altri  santi,  dei  corpi 
dei  quali  si  volle  arricchita  questa  basilica.  S.  Arnoldo  forse  non  è  ori- 
ginariamente che  una  corruzione  del  nome  di  Arìaldo  ^Arioldo,  Arnoldo). 
S.  Felicita  madre  dei  Maccabei  si  univa  ad  essi.  S.  Lucifero  fu  il  compagno 
di  lotta  e  di  esilio  di  S.  Dionigi;  per  Questo  forse  gli  venne  unito.  S.  Eulalia, 
nel  cod.  Trìvulziano  514  e  nel  libro  stampato  a  Milano  nel  1498  è  chiamata 
Euxeria;  vedi  sopra  pag.  66  e  67  nota.  Ricordo  che  il  Fiamma  disse  di 
Ariberto  che  :  Duxit  in  uxorem  nobilem  mulierem  Useriam,  quae  donavii 
monasterio  sancii  Dionisii  Useriam  :  Cronica  Major  cap.  226.  Il  Puricelli, 
op.  cit.,  pag.  462  e  segg.,  provò  che  questa  vigna  detta  "  Useria  „  non 
venne  donata  al  monastero  di  S.  Dionigi  se  non  assai  tardi^  dopo  i 
tempi  di  Federico  Barbarossa  ed  Alessandro  III;  non  possiamo  quindi 
credere  al  Fiamma  la  cui  asserzione  è  confutata  anche  da  altre  gravi 
ragioni.  Vedi  anche  Giulini,  Mem,  cit.,  II,  pag.  299.  Però  nulla  vieta  di 
credere  che  in  tempi  posteriori  una  nobile  donna  detta  Useria  abbia 
donato  al  monastero  quella  vigna^  che  poi  si  disse  di  Isera,  e  che  di 
fatto  appare  nei  possessi  del  monastero.  Non  si  potrebbe  sospettare 
che  il  nome  della  benefattrice  del  monastero  siasi  poco  per  volta  mu- 
tato nel  nome  di  una  santa?  Per  ciò  che  è  di  S.  Alberto,  del  maestro 
di  scuola  e  dei  due  condiscepoli  di  Erlembaldo  non  so  assegnare  alcuna 
ragione  che  ne  spieghi  la  comparsa. 


1»   S.   ARIALDO  83 

Ma   tutti  sappiamo  oramai  quale  fede 
:orpi  santi. 

I  febbraio  del  1528  certamente  si  con- 
ri  due  santi  Arìaldo  ed  Erlembaldo,  ma 
polcro  da  tempo  non  si  vedevano  più  ; 
:mpre  onorate  come  tombe  di  santi.  Si 
vescovile  e  il  notaio,  che  scrìsse  l'atto, 
iresenza  dei  corpi  dei  santi  Canziani, 
ra  solenne  la  festa  mentre  dei  nostri 
iciatura,  almeno  solenne.  Una  difficoltà 
l  era  che  quei  corpi  erano  due  e  i  Can- 
si  saranno  data  quella  risposta  che  alla 
il  Bescapè  (i);  le  ossa  che  mancavano 
chiese  che  si  gloriano  di  possedere 
i  nostri  santi  passarono  in  Duomo  sotto 

■astica  fece  l'errore,  perdonabile  in  quel 
ne  dei  martiri  Canziani  i  corpi  dei  mar- 
cila per  altro  fu  assai  benemerita  col 
lo,  né  S.  Lucifero,  né  ì  santi  Maccabei, 
alcuno  di  quei  santi,  che  entrarono  negli 
e  dopo  il    1528  scompaiono  affatto  (2). 

IH  ttiodica  pars  ossiitm  desti,  quorumdam 
<se  in  aliis  ecctesiis,  quae  eadem  sé  habere 
esiis  S.  Caroli,  V,  2).  Non  sono  io  il  primo 
corpi  dei  santi  Canziani  a  Milano;  lo  stesso 
di  giugno,  e  l'Oltrocchi  nella  nota  6  alla 
iussani,  pag.  367-8,  il  Ferrari,  i  Bollandisti 
isserò  dubbi;  come  non  sono  il  primo  ad 
posino  in  Duomo.  Fu  questa  l'opinione  del- 
ecc,  ad  a.  1099,  tom.  II,  pag.  676  e  segg.; 
io  della  diocesi  di  Milano,  Milano,  i8a8, 
iasione  di  aver  provato  ciò,  di   cui   prima 

e  quando  nel  1403  un  fulmine  aperse  l'urna 
escovo  Ariberto,  i  monaci  ne  trasportarono 
^ore,  luogo,  come  è  noto,  riserbato  ai  soli 
sscovo  Pietro  Filargo,  che  fu  poscia  papa, 
■>  quel  corpo  nel  suo  antico  sepolcro,  impe- 
ore.  Vedi MoK.  Germ.  Hist.,Vm,  69,  nota  e. 


84  FONTI  E   MEMORIE   STORICHE 

V. 

S.  Arealdo  di  Cremona. 

Devo  parlare  di  questo  santo  perchè  alcuni  lo  confusero  col 
nostro  (i)  ed  io  pure  vagheggiai  per  molto  tempo  questa  opinione. 
Le  più  antiche  memorie  sicure  intorno  ad  Arealdo  cremonese  mi 
vennero  indicate  da  quel  profondo  conoscitore  della  storia  di  quella 
città,  che  è  Tillustre  Presidente  della  nostra  Società  Storica:  consi- 
stono in  tre  lettere  scritte  nell'anno  1469  e  conservate  nel  nostro  Ar- 
chivio di  stato,  Carteggio  sforzesco,  di  quell'anno,  mese  di  marzo.  La 
prima,  la  più  importante  ha  la  data  8  marzo  1469.  E  dei  canonici 
della  Cattedrale  di  Cremona,  che  espongono  al  Duca  come  :  «  Al 
«  tempo  de  la  felice  memoria  de  la  Ill.ma  Madonna  vostra  madre,  d. 
«  l'abbate  de  Ogni  santi  de  Cremona  cominciò  ad  litigare  cum  li  vi- 
u  Cini  de  santo  Nazaro  de  la  dieta  cita  dicendo  li  avevano  rubato  il 
M  corpo  di  santo  Arealdo.  n  La  causa  fu  prima  presentata  «  alla 
banca  »  del  vescovo,  poi  al  luogotenente  ducale,  che  impose  u  chi 
«  faccia  restituire  dicto  corpo  de  santo  cum  cerimonie  et  chiericato 
M  al  dicto  d.  abbate,  n  Ma  a  questa  decisione  s'opponevano  i  ca- 
nonici :  «  Sapendo  noi  et  ctmoscendo  in  quanto  vituperoso  loco 
u  dicto  corpo  santo  era  tenuto,  che  mai  non  li  andava  homo  del 
«  mondo  ad  visitarlo,  et  era  in  più  abiecta  et  infame  via  di  Cre- 
M  mona  et  stava  comò  in  una  stala  sotto  lo  feno  :  vogliamo  sup- 
«  plicare  la  V.  Ecc.za  cristianissima  si  degni  de  essere  contenta  et 
«  mandar  chi  el  dicto  corpo  santo  sia  riposto  in  la  Chiesa  catedrale 
«  de  questa  nostra  cita,  w  Aggiungono  che  se  il  Duca  darà  il  de- 
siderato permesso  un  «  uomo  religioso  »  si  è  impegnato  di  ornare 
a  sue  spese  «  una  capella  et  arca  magnifica  et  per  acomperare  una 
«  dote  ad  dieta  capella,  in  la  quale  continuamente  pregar  Dio  et 
«  celebrare  ad  quelle  sante  reliquie.  »  Finiscono  col  dire  che  tutto 
il  popolo,  o,  come  essi  si  esprimono,  «  de  li  cento  novanta  »  de- 
siderano che  quel  corpo  sia  portato  alla  Cattedrale,  e  col  dare 
buona  testimonianza  del  latore  della  lettera  u  Henrico  de  Carada.  » 
La  lettera  è  sottoscritta  :  Capituìum  Eccìesiae  cathedralis  Cremonae, 

(i)  Anche  il  Puricelli  non  è  lontano  dall'ammettcre  in  parte  questa 
sentenza,  op.  cit.,  pag.  384-385. 


DI   S.  ARIALDO  85 

La  seconda  lettera  è  la  rìsposta  che  il  duca  indirìzza  al  ve- 
scovo di  Cremona,  scritta  in  un  latino  migliore  dell'  italiano  dei 
canonici.  Comincia  :  Ex  literis  ad  nos  nuper  scriptis  per  venerabile 
Capituluni  cathedralis  ecclesiae  istius  ttostrae  urbis  significatum  est 
nobis  sacrum  beati  Arealdi  corpus  in  loco  admodum  indigno  et  inde- 
coro  sine  ulta  veneratione  jacere,  et  ingentem  ex  eo  controversiam 
inter  venerati  lem  dominum  abbaiem  omnium  sanctorum  ac  vicinos 
sancii  Nazari  ejusdem  nostrae  civitatis  viguisse  proptereaquod  utrique 
eorum  corpus  ipsum  ad  ecclesiam  suam  spedare  affirmabant.  Dice 
che  ben  volontieri  annuisce  alle  suppliche  del  capitolo,  che  quelle 
sante  reliquie  non  rimangano  più  oltre  in  quel  luogo,  e  prega  il 
vescovo  che  voglia  farne  il  trasporto  alla  Cattedrale  con  quelle 
cerimonie,  che  in  simili  casi  sono  solite  usarsi  ;  e  tanto  più  volon- 
tieri si  induce  a  dare  questo  permesso,  perchè  gli  era  stato  riferito 
hoc  ex  communi  voto  consensuque  illius  nostrae  civitatis  processisse. 
La  lettera  porta  la  data  del  tredici  di  marzo  1469. 

La  terza,  sottoscritta  da  Joannes  Marcus  Palavicino  Scipione, 
ha  la  data  del  18  maggio  dello  stesso  anno,  è  dettata  in  uno  stile 
trascurato;  lo  scrittore  cerca  giustificarsi  dell'accusa  di  aver  sottratto 
0  fatto  sottrarre  il  corpo  di  S.  Arealdo,  dicendo  che  se  «  quelli 
-  pilipmo  il  dicto  corpo,  non  procedeva  da  mio  proprio  movimento, 
«  ma  era  solum  per  exeguire  quanto  mi  havetì  (sic)  scripto  Sua 
«  Excellentìa  per  due  lettere  duplicate  et  pur  assai  ponzenti  »  pro- 
testando che  «  voglio  che  v.  Magnificenza  intenda  che  questa  non 
.  •  è  mia  farina,  »•  e  che  «  non  ho  tranello.  » 

Di  fatto  le  reliquie  di  S.  Arealdo  vennero  portate  in  Duomo 
nel  1484  :  queir  «  uomo  religioso  »  di  cui  parlavano  i  canonici,  che 
s'era  assunto  la  spesa  dell'arca,  ove  collocare  il  corpo  del  santo,  fu 
Isacco  Restalli,  canonico  della  cattedrale  (i).  Una  scritta  posta 
sopra  una  lamina  di  piombo  depositata  in  quella  cassa  diceva  : 
Divi  Arealdi  martyris  ossa  die  XXVI  septembris  MCCCCLXXXIV 

hoc  in  arca  propria  impensa  Ven,  Canonici  D.ni  Isaac  de  Restallis 
Cremonae  reposita  fucre  (2). 

fi)  V  Obituario  di  Cremona  pubblicato  dal  No  vati,  Archivio  Storico 
Lorna.,  anni  1880^1,  ricorda  un  Nicolaus  de  Restallis  morto  nel  1388. 
Vedi  Arch.  cit.,  anno  1881,  pag.  490. 

(2)  Zaccaria,  Cremonensiuni  episcoporum  series,  Mediolani,  1749, 
pag.  274  in  nota  al  i  di  settembre. 


8ò  FONTI    E    MEMORIE    STORICHE 

11  Gavitelli  dice  che  quelFurna  fu  posta  nella  parete  destra 
della  capella  del  SS.  Sacramento,  che  prima  era  dedicata  a  S.  Ge- 
rolamo, in  alto,  verso  il  coro  della  chiesa  (i).  In  quei  tempi  molti 
artisti  di  primo  ordine,  come  Pietro  da  Rho,  G.  Cristoforo  Romano 
ed  altri  abbellivano  Cremona  di  monumenti,  che  eccitano  ancora 
la  nostra  ammirazione  ;  ed  anche  varie  arche  marmoree  per  sante 
reliquie  furon  allora  eseguite  (2).  Non  è  improbabile  che  una  di 
esse  sia  appunto  quella  «  magnifica  arca  «  di  cui  ci  parlavano  i 
canonici  del  Duomo,  che  il  Restalli  era  disposto  a  preparare  per 
il  corpo  di  S.  Arealdo. 

Checché  sia  di  ciò,  il  santo  non  vi  stette  molto,  poiché  il 
22  dicembre  1538,  fu  riposto  in  un'altra  urna  di  marmo,  collocata 
nella  parte  sotterranea  del  Duomo  con  un  altare  dedicato  al  santo. 
Tanto  attesta  il  Gavitelli  (3)  e  risulta  confermato  da  una  dicitura 
posta  sul  rovescio  della  lamina  di  piombo  trovata  nella  cassa  del 
santo,  e  conservataci  essa  pure,  come  la  prima,  dal  solerte  Zac- 
caria (4)  e  diceva  :  MDXXX  Vili  die  XXII  decembris  contrascripta 
ossa  divi  Arealdi  translata  fideliter  in  praesenti  arca.  Da  quelle 
ossa  però  allora  levarono  il  cranio  e  lo  collocarono  in  una  teca 
di  rame  dorato,  anche  oggidì  esposto  con  altre  reliquie  nelle  so- 
lennità alla  pubblica  venerazione.  S.  Carlo,  quando  con  apostolica 
facoltà  visitò  Cremona  nel  1576,  comandò  fra  Taltre  cose  che  Tal- 
tare  di  S.  Arealdo  venisse  abbattuto  e  costruito  in  luogo  più  co- 
modo (5). 

Io  non  so  di  preciso    se    l'ordinazione    di    S.    Carlo    sia  stata 

(i)  Ludovici  Gavitelli,  pairitii  cremon,,  Annales^  Cremonae,  1588, 
pag.  103,  ad  a.  1305. 

(2)  Wedì  Archivio  StoK  Lomb,,  anno  1887,  pag.  150  e  Rassegna  d'arte^ 
a.  I,  fase.  I,  nell'art,  su  Pietro  da  Rho  e  la  porta  Stanga.  Vedi  anche 
VEmporium  dell'ottobre  1901,  pag.  269  e  segg. 

(3)  Op»  cit.,  loc.  cit. 
{4)  Op.  cit,  loc.  cit. 

(5)  Archivio  Arcivescovile,  Visita  di  S.  Carlo  a  Cremona^  voi.  IV, 
quinterno  17:  •  Si  faccino  le  finestre  disegnate  verso  la  canonica  e  si 
"  riporti  l'altare  di  S.  Arealdo  al  pilastro  o  ad  altro  luogo  più  comodo 
"  e  quello  di  S.  Silvestro  allo  altare  dei  SS.  Pietro  e  Marcellino.  Questa 
**  demolizione  si  faccia  nel  detto  termine  a  spesa  delli  redditi  di  detto 
'*  altare,  quando  ve  ne  sieno,  altrimenti  a  spesa  della  fabbrica,  perchè 
"  questa  demolizione  si  fa  per  decoro  della  Chiesa.  „  Vedi  anche  vo- 
lume IX,  quinterno  9. 


DI    S.   ARIALDO  87 

eseguita,  però  penso  che  sì,  poiché  il  Rossi  nella  sua  tavola  dittica 
dei  vescovi  di  Cremona,  sunteggiando  le  parole  del  Gavitelli,  non 
ha  cenno  dell'altare  di  S.  Arealdo  (i). 

Poco  dopo,  nel  1606  fu  ricostrutta  la  sotto-confessione  del 
Duomo,  e  nel  1614  ai  7  di  giugno  il  vescovo  Giovanni  Battista 
Brivio  prima  di  deporvi  le  reliquie  dei  santi  conservate  in  Duomo 
volle  fame  una  processione,  che  riesci  solennissima,  minutamente 
descritta  dal  Merula  (2),  nella  quale  si  portarono  anche  le  ossa  di 
S.  Arealdo  unite  a  quelle  di  S.  Archelao  diacono  e  martire,  che 
furono  poi  deposte  sotto  la  mensa  deiraltare  maggiore  della  sotto- 
confessione, dove  al  posto  d'onore  riposano  le  ossa  dei  santi  Mar- 
cellino e  Pietro  protettori  della  città. 

In  questo  tempo  molti  identificavano  S.  Arealdo  di  Cremona 
col  nostro  S.  Arialdo  ;  il  Merula,  che  allora  scriveva,  afiferma  ciò 
espressamente  (3)  ed  anche  i  vallombrosani  accettarono  questa 
credenza  (4).  Anche  l'unione  di  S.  Arealdo  con  S.  Archelao,  che 
fu  certamente  diacono  e  martire,  non  si  può  credere  accidentale, 
bensì  determinata  da  questa  opinione,  che  allora  doveva  essere 
comunemente  ricevuta.  A  conferma  di  ciò  si  osservava  che  nella 
chiesa  di  S.  Domenico  di  Cremona  eravi  una  reliquia  con  l' iscri- 
zione Sancii  Arialdi  levitar  (5)  che  sarebbe  di  qualche  valore  sto- 
rico, ove  si  potesse  precisare  ch'essa  rimontava  ad  epoca  remota. 
Il  Merula  ci  parla  di  molte  altre  chiese,  nelle  quali  si  conservavano 
delle  reliquie  di  S.  Arealdo  (6)  e  anche  nella  nostra  diocesi  se  ne 
trova  una  ad  Albizzate  :  ma  in  esse  il  santo  è  indicato  col  solo 
titolo  di  martire  (7).  Anche  i  calendari  cremonesi,  che  commemo- 
rano S.  Arealdo  al  i  di  settembre,  data  (dicono)  del  trasporto  delle 
sue  ossa  a  Cremona,  non  gli  danno  che  il  titolo  di  martire,   e  ciò 

(i)  Tabula  diptycha  episc  cremon.,  Cremonae,  1598,  num.  55. 

(2)  Merula  Pellegrino,  Santuario  di  Cremona,  Cremona,  1627,  pa- 
gine 152,  258  ed  altrove  di  frequente. 

(3)  Santuario  di  Cremona,  cit.,  al  i  di  settembre,  pag.  247   e  scgg. 

(4)  Vedi  sopra  in  queste  Fonti  e  Memorie  storiche,  in  Arch»  Stor, 
Lomb.,  a.  XXVIII,  voi.  XVI,  settembre  1901,  pag.  23. 

(5)  PuRicELLi,  op.  cit.,  lib.  I,  cap.   XXV,  pag.  55;  Merula,  op.  cit, 

pag.  202. 

(6Ì  Op.  cit  pagg.  57,  116,  228,  290^  316. 

(7)  Taccio  della  reliquia  dì  S.  Arialdo  conservata  a  Cucciago,  che 
certamente  appartiene  al  nostro  santo  Arialdo  diacono  e  martire. 


88  FONTI   E   MEMORIE   STORICHE 

fin  da  remotissimi  tempi,  poiché  uno  dei  tre  calendari  del  secolo  XV, 
pubblicati  dallo  Zaccaria,  ora  perduti,  al  primo  di  settembre  ricor- 
dava appunto  S.  Arialdi  Mari,  (i),  dove  dobbiamo  notare  Vi  per  Ve, 

Ed  ora  non  tornerà  sgradita,  io  penso,  una  parola  sulla  chiesa 
di  S.  Arealdo  di  Cremona. 

Fin  dal  secolo  XIII,  e  fors'anco  prima  (2)  esisteva  fuori  porta 
Ognissanti,  oggidì  porta  Venezia,  un'abbazia  di  benedettini,  che  por- 
tava quel  medesimo  titolo,  ed  esercitava  giurisdizione  nella  propria 
u  vicinia  »  tanto  entro  che  fuori  le  mura. 

L'origine  della  chiesa  di  S.  Arealdo  è  comunemente  posta  ai 
primi  anni  del  XIV  secolo,  allo  scopo  di  accogliere  ed  onorare 
le  ossa  di  quel  santo  trasportate  in  quel  tempo  da  Brescia  a  Cre- 
mona (3).  Essa  in  quei  primi  tempi  era  fuori  le  mura,  secondo  la 
testimonianza  del  commendatario  dell'abbazia  d'Ognissanti  in  un 
ricorso  presentato  a  S.  Carlo  e  conservato  nell'Archivio  Arcivesco- 
vile di  Milano  (4).  In  esso  il  commendatario  dice  che  in  quel  luogo 
posto  entro  la  città,  nel  quale  l'anno  1527,  per  le  guerre  che  danneg- 
giavano i  fabbricati  fuori  le  mura,  venne  trasportato  il  titolo  abaziale 
d'Ognissanti,  «  prima,  per  causa  della  medesima  guerra  era  stato 
u  portato  il  titolo  di  S.  Arealdo,  qual  parimente  era  fuori  della 
a  città,  fra  gli  limiti  della  parocchia  dell'abbazia  ».  Non  so  di  pre- 
ciso quando  sia  stata  distrutta  la  chiesa  di  S.  Arealdo  fuori  le 
mura,  e  trasportato  il  titolo  della  chiesa  non  solo,  ma  certamente 
anche  il  corpo  del  santo  entro  la  città,  in  via  Pegolia;  ciò  per  altro 
dovette  avvenire  qualche  anno  prima  del  1469,  poiché  in  quell'anno 
i  canonici  del  Duomo  scrivevano  al  duca  che  quel  santo  corpo  era 
«  in  più  abbiecta  et  infame  via  di  Cremona  ».  Aggiungono  poi 
che  u  stava  comò  in  una  stala  sotto  lo  feno,  »  il  che  s'accorda 
con  quanto  dice  il  commendatario  stesso,  che  cioè  il  luogo  dove 
fu  trasportato  il   titolo    (e    noi    aggiungiamo   anche    il    corpo)    di 

(i)  Zaccaria»  Cremonensium  episcop.  series,  loc  cit. 

(2)  Merula,  op.  cit,  pag.  249. 

(3)  Gavitelli,  op.  cit.,  loc.  cit.;  Manini,  Memorie  storiche  di  Cremona, 
voi.  Il,  pag.  41. 

(4)  Archivio  Arcivescovile,  Visite p<i$torali  a  Cremona,  voi.  X,  fase.  21, 
visita  all'abbazia  d'Ognissanti;  contiene  una  supplica  del  commenda- 
tario all'arcivescovo  in  due  varianti,  una  in  latino,  nella  quale  Arealdo 
è  sempre  scritto  Arìaldo,  ed  una  in  italiano.  In  essa  il  commendatario 
per  far  valere  sue  ragioni  fa  la  storia  della  chiesa  e  dell'abbazia. 


DI   S.  ARIALDO  89 

S.  Arealdo,  «  nel  quale  ora   (nel    1567)  si   esercisce  la  cura,  non 

-  fu  mai  fabbricato  ad  eflFetto  di  chiesa,  non  avendone  forma,  ma 
n  sì  bene  forma  di  portico  della  casa  ivi  vicina   di   ragione   della 

•  commenda,  n 

Già  abbiamo  visto  che  il  corpo  di  S.  Arealdo,  rubato  dai  vi- 
cini di  S.  Nazaro,  fu  portato  in  Duomo.  Il  monastero  d'Ognissanti 
era  ridotto  in  quei  tempi  ad  infelicissime  condizioni,  che  il  suo 
abate  Andrea  Lotico,  che  si  intitolava  abbas  abbatiae  et  monasterii 
Omnium  Sanctorum  extra  muros  Cremonac,  a  nome  suo,  della  sua 
diiesa  e  del  suo  capitolo  dichiarava  propter  bella  in  dies  ingruentia 
non  posse  suum  habitare  monasterium,  imo  cogi  ad  illum  deseren- 
dum,  ne  propter  inopiatn  cogatur  mendicare  (i).  Erano  quelli  i  tempi 
ddla  massima  decadenza  dei  monasteri,  ridotti  a  due  o  tre  preti 
0  monache,  e  molti  di  essi  passarono  in  commenda:  il  che  avvenne 
anche  del  monastero  d'Ognissanti. 

Nel  1526  Cremona  fu  assediata  dal  Pesaro,  e  quella  chiesa  fu 
del  tutto  minata  ;  Tanno  dopo  u  fu  forza  abbandonarla  »  dice  il  com- 
mendatario «  solo  portando  un  pezzo  di  muro,  nel  quale  è  dipinto 

-  r  imagine  della  B.  V.  Maria,  di  gran   devozione,   qual    fu    collo- 

•  cato  dentro  la  città,  nel  loco  dove  ora  si  esercita  la  cura  d'anime 
«  e  dove  prima...  era  stato  portato  il  titolo  di  S.  Arealdo.  n 

Si  confusero  allora  da  alcuni  i  due  titoli  di  S.  Arealdo  e  d'Ogni 
Santi,  ma,  se  vogliamo  parlare  con  precisione,  quello  era  il  titolo 
della  chiesa,  questo  del  monastero.  Nel  1576  S.  Carlo    ordinò  che 

•  la  chiesa  di  S.  Arealdo  si  erigesse  in  nuova  cura  sotto  il  titolo 
■  di  questo  santo    per  servizio   di  quei    parrocchiani  che    stavano 

•  dentro  della  città,  e  la  chiesa  o  cappella  di  S.  Abondio  (era  fuori 
te  mura,  vicino  a  S.  Bernardo,  nei  possessi  della  badia)  si  erìga 
«  in  parocchia  per  servizio  di  quelle  anime,  che  abitavano  fuori 
«  delle  mura  »  (2). 

Nel  1617  ai  22  d'agosto,  essendo  commendatore  della  chiesa 
il  cardinale  Filonardi  e  vicario  perpetuo  D.  Giulio  Vertua,  chiesa 
e  monastero  andarono  ceduti  ai  frati  di  S.  Francesco  di  Paola,  che 
soppressero  definitivamente  il  titolo  di  S.  Arealdo,  imponendo  al 
tempio  quello  del  loro  santo  fondatore.  Ultimo   ricordo  dell'antico 


(i)  Merula,  op.  cit.,  loc.  cit. 

(a)  Archivio  Arcivescovile,  Visita  di  S.  Carlo  a  Cremona,  1.  e. 


90  FONTI    E    MRMORIK    STORICHK 

patrono  restò  una  pia  confraternita  chiamata  c//^r/Vns  S.  Arealdi  {\) 
soppressa  con  tutte  le  altre  da  Giuseppe  II  (2). 

Nel  1789  la  chiesa  ed  il  monastero  già  di  S.  Arealdo,  poi  di  San 
Francesco  di  Paola,  abbandonati  da  quei  monaci,  che  occuparono  la 
non  lontana  chiesa  di  S.  Abondio,  dove  nel  1798  restarono  secolariz- 
zati, furono  adibiti  ad  uso  profano.  A  S.  Arealdo  è  dedicata  ancora 
una  delle  perdute  vie  di  quei  dintorni  ;  circa  cent'anni  fa  il  Manini 
leggeva  sulla  casa  che  allora  portava  il  n.  1850  in  contrada  Pegolia 
(che  credo  corrisponda  ora  al  n.  8  bis\  la  scritta,  che  ora  più  non 
si  vede:  Aldes  omnium  Sanctorum  (3). 

Ma  chi  fu  poi  al  trar  dei  conti  questo  santo  Arealdo  ?  I  più 
antichi  documenti  cremonesi  che  citammo  nulla  ne  sanno,  se  non 
che  era  un  martire.  Il  Gavitelli  in  un  suo  lavoro  di  preparazione 
agli  Annali^  che  sì  conserva  ms.  nella  biblioteca  governativa  di 
Cremona  (4),  dopo  aver  parlato  delle  reliquie  di  S.  Arealdo 
martire  dice:  et  adhuc  reperire  nequivi  an  fuerit  cremonensis  seti 
adifena,  et  quo  loco  et  tempore  fuerit  affectus  martyrio.  Ma  quando 
poi  diede  alla  stampa  i  suoi  Annali  aveva  potuto  ritrovare  un 
documento  antico,  ed  ecco  le  sue  parole  :  Anno  Domini  millf- 
simo  tercentcsimo  quinto  Raynerio  episcopo  Crcmonae  mortuo,  substi- 
tutus  fuit  Gerardus  de  Madiis,  Qui  cum  csset  ex  primoribus  pa- 
triciis  Brixi(r  iìlinc  (ut  comprehendi  ex  fragmentis  auctoris  inco- 
gniti mihi  datis,  et  ut  opinor)  asportari  fecit  Crenwnam  ossa  divi 
Arealdi  martyrio  Brixiae  affecti  anno  circi  ter  centesimo  trigesimo 
quarto  Adriano  imperante,  et  in  tempio  ad  ajus  memoriam  erecto  in 
vico  Omnium  Sanctorum  reposita,,..  Et  ejus  divi  Arealdi  tnemoria 
celebratur  Cremonae  quotannis  die  primo  septembris  qua  ipsa  ossa 
ducta  fuerunt  e   Brixia    Cremonam  (5).   Il  Gavitelli    avrebbe    fatto 

(i)  Era  detta  anche  caritas  S.  Nazarii  dalla  vicina  chiesa  di  questo 
nome  ;  vedi  Arisius,  Cremona  liierata,  li,  pag.  Xll.  Il  Bressianì  inventò 
molte  antiche  iscrizioni  che  si  sarebbero  trovate  nella  chiesa  di  S.  Arealdo 
e  che  parlerebbero  anche  di  questa  confraternita  :  il  Vairani,  Inscrip- 
iiones  Cremonenses,  Cremonae,  1797,  nn.  1243  e  segg.,  le  riferisce  sulla  fede 
del  Bressiani  ;  ma  chi  oggidì  crede  a  costui  ? 

(2)  BoNAFossA,  Monumenta  ecclesiae  cremonensiSf  ms.  conservato  nel- 
Tepiscopio,  tom.  Ili,  in  fascicoletto  a  parte. 

(3)  1.  e. 

(4)  Cod.  A.  A.  3.  5,  fol.  112  (o  forse  212)  v. 

(5)  Annales  cit.,  pag.  103,  all'anno  1305. 


ni    S.    ARIALDO  91 

meglio  se  ci  avesse  dato  copia  fedele  deirantica  scrittura  da  lui 
veduta,  o  almeno  se  a  quello,  che  essa  diceva,  non  avesse  unito  le 
sue  particolari  opinioni.  A  noi  altro  non  resta  che  sottoporre  ad 
esame  le  sue  parole  per  cavarne  la  verità  e  rigettarne  gli  errori. 

Arealdo  o  Arìaldo  o  Areoaldo  è  nome  certamente  germanico 
e  non  romano,  ed  un  martire  tra  i  barbari  nel  secondo  secolo  dif- 
ficilmente si  può  accettare,  tanto  più  che,  come  avverte  il  dotto 
Brunati  (i),  quanto  riferirono  alcuni  autori  sulla  fede  d'una  croni-  • 
dietta  del  XV  secolo  sui  moltissimi  martiri  bresciani  sotto  Adriano, 
è  assolutamente  falso. 

Anche  un  vescovo  di  Cremona  cognominato  Maggi  non  esi- 
stette mai:  negli  anni  di  pontificato  assegnatigli  dal  Gavitelli  (dal 
1305  al  1308)  certamente  continuò  a  sedere  sul  soglio  episcopale 
Rainerio  (2).  Abbiamo  poi  più  sopra  veduto  che  la  chiesa  di  S.  Arealdo 
era  prima  fuori  le  mura.  La  testimonianza  dunque  del  Gavitelli  si 
riduce  a  ciò  che  sul  principio  del  XIV  secolo  furono  trasportate 
da  Brescia  a  Gremona  le  ossa  di  S.  Arealdo,  da  uno  che  poteva 
benissimo  appartenere  alla  nobilissima  ed  allora  potentissima  fa- 
miglia dei  Maggi  di  Brescia,  la  quale  in  quei  tempi  aveva  dato  due 
insigni  vescovi  a    quella  città. 

Però  se  i  Gremonesi  ne  sanno  poco  del  loro  S.  Arealdo,  an- 
cor meno  ne  sanno  i  Bresciani.  Ne  parla  il  Faini  nel  Martyrolo- 
gium  Brixiense  (3)  e  nel  Coelum  sanctac  brixiensis  ecclesiae  (4),  e 
s'appoggia  all'autorità  di  Ottavio  *Rossi  (5)  che  avrebbe  ricavato  le 
notìzie  del  santo  da  antiche  carte  .da  lui  vedute.  Dicono  costoro  che 


(i)  Vita  o  gesta  di  santi  bresciani,  Brescia,  1856,  tom.  Il,  appendice 
artìcolo  1,  pag.  115-171.  Tra  i  nomi  dei  supposti  martiri  bresciani  presso 
Anioldo  non  trovo  Arealdo,  non  farebbe  ciò  meraviglia,  poiché  il  Bru- 
natì  iateade  parlare  dei  martiri  bresciani  conservati  a  S.  Afra. 

(2)  Sakclemente,  Series  critico-cronologica  episcopi  cremon,,  Cremo- 
nae,  1814,  P^S*  ^^'9  Astegiano,  Codex  diplomaticus  cremonensis,  li,  pag. 
174-  U  Bressiani,  Rose  €  viole  della  chiesa  cremonese,  pag.  64-65,  inventò 
un  epitaffio  di  questo  vescovo  Mags^i.  Viene  il  dubbio  d'un  vescovo 
scttmattoo  di  nome  Maggi,  che  spiegherebbe  l'asserzione   del  Gavitelli. 

(3)  Al  I.*  di  settembre.  Il  Brunati,  Vita  e  gesta  di  santi  bresciani, 
dàdelFaiao  questo  giudizio:  *  Uomo  studiosissimo  delle  patrie  memorie, 
ma  dì  nessun  giudizio  in  fatto  di  crìtica  storica.  „ 

(4)  Nel  II  catalogo,  n.  13. 

(5)  AnnaUs  Brixiae,  che  non  ho  potuto  vedere. 


92  FONTI  E   MEMORIE   STORICHE 

Arealdo  era  un  buon  padre  di  famiglia  che  viveva  a  mezzo  il  se- 
colo sesto,  e  fu  martirizzato  con  i  due  suoi  figli  Carillo  e  Oderico 
Tanno  576  dai  Langobardi,  che  in  quell'anno,  sotto  il  duca  Achis 
perseguitarono  i  cittadini  cristiani  e  S.  Onorio,  allora  Vescovo  di 
Brescia,  costringendoli  a  rifugiarsi  nelle  selve.  Di  questo  vescovo 
Onorio  notizie  favolose  ci  conservarono  il  Malvezzi  (i),  il  Caprioli  ed 
altri  (2),  come  riconobbe  lo  stesso  Faini,  che  seguendo,  dice,  gli 
appunti  di  Ottavio  Rossi  si  sforzò  di  tesserne  una  vita,  che  se  riesci 
meno  favolosa,  restò  ancora  affatto  mancante  di  critica,  e  pure 
ebbe  Tonore  d'essere  inserta  nella  raccolta  dei  Bollandisti  (3). 

Fn  essa  il  Faino  non  dice  parola  di  S.  Arealdo  né  de'  suoi  figli 
e  S.  Onorio  nel  576  è  detto  semplice  prete,  che  fu  fatto  vescovo 
solo  l'anno  dopo,  cessata  la  persecuzione.  Del  resto  i  Langobardi 
fecero  sì  dei  martiri  (4),  ma  solo  tra  i  romani  o  latini,  che  essi  al- 
lora non  s'erano  ancora  convertiti  alla  religione  romana,  ed  Arealdo, 
come  dissi,  è  nome  barbaro.  E  poi  la  chiesa  avrebbe  onorato  an- 
che i  figli  di  lui,  come  sempre  usa  fare  in  simili  casi.  Eccoci  dun- 
que ricacciati  nel  buio. 

Ciò  che  merita  speciale  osservazione  è  il  sorgere  improvviso 
nel  secolo  XIV  o  XV  di  memorie  di  questo  santo,  senza  che  si 
possa  seguire  una  benché  minima  tradizione  di  memorie  o  di  culto 
né  a  Cremona  né  a  Brescia,  donde  quel  corpo  si  diceva  tratto.  11 
nome  di  Arialdo,  con  le  sue  varianti,  era  comunissimo  nel  medio 
evo.  Si  potrebbe  osservare  che  il  tempo  dal  Cavitelli  assegnato  pel 
trasporto  di  quel  corpo  a  Cremona  risponde  a  quello  nel  quale 
avvenne  a  Milano  una  manomissione  al  sepolcro  di  S.  Arialdo,  ma 
le  memorie  milanesi  sono  troppo  concordi  nell'  asserire  che  Arialdo 
si  conservava  tuttavia  in  quella  chiesa  di  S.  Dionigi,  benché  in  altro 
luogo  da  quello  di  prima. 

In  queste  circostanze  il  meglio  che  si  possa  dire  sul  santo  cre- 
monese é  un  umile:  «  ignoriamo  •  (5). 

(i)  /?.  /.  SS^  XIV,  806^ 

(a)  Vedi  Brunati.  op.  cit  I,  pag.  79,  nota  90. 

(3)  Actn  SS,  ApriUsy  III,  ia76-a8a 

(4)  Cfn  Gregoru  Magni,  Optrm  in  Mignt,  Patr,  iat.,  LXX  VII,  284-21^ 

3S3*  356. 

(5)  Tanto  meno  confonderemo  il  nastro  S.  Arialdo  con  S.  Ayraldo, 
vescovo  di  Maurìenne»  sul  quale  vedi  BibUoikica  Hagiograpkica  Latina 
dei  PP.  Bollandisti»  SHp^tmmtum,  1901,  pag.  1310,  e  Dcssaix,  Légin- 
tUs  ii  tmdihoms  /opmimrts  et  ia  Sat*oyt,  Annccy,  1875,  pag.  67. 


DI   S.  ARIALDO  93 

VI. 

Monumenti  di  S.  Arialdo. 

« 

Oggi,  che  la  canonica  di  P.  Nuova  non  serba  più  alcun  vestìgio 
della  primitiva  costruzione,  il  più  interessante  monumento  che  ci  parli 
ancora  del  severo  riformatore  del  secolo  undecimo  è  quel  vecchio 
campanile  senza  campane,  che  si  ammira  a  Cucciago,  la  patria  del 
santo  (i)  sollevarsi  snello  dal  tetto  d'una  abitazione  privata,  nel  suo 
bruno  colore  di  pietra  annerita  dal   tempo.  A  prima   vista  si  di- 
rebbe opera  anteriore  al  mille,  tanta  è  la  severa  rozzezza  della  sua 
costruzione.  Pure  la  graziosita  dei   voltini  delle  finestre  in  doppio 
ordine   e  il  cordone  che    gira  attorno  in  pietra   a    vista   mostrano 
una  sveltezza  e  libertà  di  costruzione,  che  ci  richiamano  allo  stile 
lombardo,  che  nel  contado,  colla   deficienza  di   opportuni  materiali 
di  fabbrica,  doveva  essere  assai  più  in  ritardo  che  nei  grossi  centri. 
Quella  casa  privata  era  una  chiesa  dedicata  a  S.  Stefano,  che  pochi 
anni  or  sono,  colla   nuova   destinazione,  subì  anche  il  disonore  di 
vedersi  imbellettata  di  calce.  Sono  quindi  tanto  più  interessanti  le 
note  manoscritte  lasciateci  dal  sac.  Angelo  Ghezzi,  già  coadiutore 
in  luogo,  erudito  ricercatore  di  antichità,  che,  parlando  di  questa 
chiesa,  la  riconosce,  dopo  qualche  contrasto,  per  quella  edificata  da 
S.  Arialdo,  ed  avverte  che  «  lo  sfondo  verso  oriente  nella  parte  este- 
«  riore  mostra  alcuni  avanzi  di  lavori  in  cotto  e  presenta  le  finestre 
«  arcuate  presentemente  e  da  gran  tempo  murate.  In  questo  sfondo 
«  stava  l'altare  di  S.  Stefano  prima  del  1863,  epoca  in  cui  si  cessò 
"  dall'ufSciare  questa  chiesa,  perchè  fu  aperto  al  culto  il  nuovo  san- 
«  tuario  I»  (di  S.  Maria  della  neve).  «  La  sagrestìa  e  la  cappella  altre 

■  volte  dedicata  alla  B.  Vergine  sono  aggiunte  posteriori  e  probabil- 

■  mente  da  assegnarsi  al  secolo  XVI  verso  la  fine  o  al  seguente.  Anzi 
*  io  congetturo  che  anche  questa  chiesa  avesse  V  ingresso  ad  occi- 
«  dente  e  che  lo  sfondo  orientale   sopra  accennato  costituisse  Tu- 

(i)  Alcuni,  come  dissi  più  sopra,  pag.  68^  nota  2,  fanno  Arialdo  na- 
tivo di  Cuzzago  in  Piemonte.  Che  il  nostro  Cucciago  sia  la  patria  del 
santo  è  indubitato  :  Andrea  di  Strumi  così  dice  :  Igitur  in  Cutiago  quO' 
dam  vico  inter  Mediolanum  Comumque  sito,  millenario  vigesimo  distante 
0  majore  (Milano),  quinto  vero  a  minore  (Como);  Puricelli,  1.  e,  pag.  74. 


94  FONTI   E    MEMORIE   STORICHE 

«  nico  altare  ai  tempi  di  S.  Arialdb,  per  la  ragione  che  Tantichis- 
u  Simo  campanile  trovavasi  nella  fronte  anziché  nella  parte  postica 
^  della  chiesa  e  più  perchè  a  quell'epoca  le  chiese  invariabilmente 
^  avevano  Toriente  dietro  l'altare,  e  la  parte  d'uscita  verso  occi- 
"  dente.  All'epoca  di  S.  Carlo  esisteva  già  un  altare  dedicato  alla 
**  Madonna  nella  parte  meridionale,  e  l' ingresso  era  dalla  parte  di 
•<  settentrione,  come  rilevasi  dall'atto  di  visita  di  M.  Ormaneto.  La 
'<  parte  settentrionale  dovette  essere  murata  verso  la  metà  del  de- 
u  corso  secolo  XVIII,  quando  fu  posta  la  prima  pietra  del  nuovo 
u  santuario,  ed  allora  dovette  essere  stata  aperta  la  porta  attuale 
u  orientale.  Infatti  sarebbe  stato  impossibile  entrare  per  la  porta  di 
u  settentrione,  che  dovette  essere  impedita  dal  muro  di  cinta  co- 
^  struttovi  secondo  il  rito  dopo  benedetta  la  pietra  inaugurale  del 
*i  nuovo  santuario.  » 

Dà  poi  alcune  notizie  concernenti  il  santuario  vicino  di  S.  Maria 
della  Neve  (i). 

Che  S.  Arialdo  abbia  costrutta  una  chiesa  a  Cucciago  lo  dice 
apertamente  Andrea  di  Strumi,  dove  racconta  che  alcuni  sacerdoti 
congiurarono  fra  loro  dicendo:  Una  iìluCj  ubi  isdcm  ortiis  est,  per- 
gamus,  ecclesiam,  quam  olmi  impendio  proprio  construxit,  violemus, 
dissipemus:  e  narra  infatti  che  andarono  a  Cucciago:  Noctc  igitur 
conveniunt  condicta,  ecclesiam  extra  vicum  reperiunt  etc,  (2). 

Presenta  qualche  difficoltà  qxiéiVextra  vicum,  perchè  presente- 
mente la  ex-chiesa  di  S.  Stefano  è  nel  paese  stesso. 

L'antico  Cucciago  però  sorgeva  più  a  sud-est,  un  duecento  passi 
almeno  lontano  dall'attuale,  in  quelle  terre  a  coltivo  che  si  deno- 
minano Ronchi  di  S.  Stefano,  dove  si  scoprirono  ruine  di  antichi 
edifici  e  dove  anche  oggidì  si  vede  un  pozzo  profondo.  Ricavo  dal 
citato  ms.  del  sac.  Angelo  Ghezzi  una  nota  con  la  data  del  1879 
che  dice:  «  Nei  ronchi  detti  di  S.  Stefano  in  Cucciago,  presso  la 
u  vecchia  chiesa  eretta  da  Arialdo  Alciati,  essendosi  costrutta  nel 
a  decorso  anno  1878  una  casa,  si  rinvenne  un  sotterraneo  cementato 
«  in  cotto,  e  così  solidamente  costrutto,  che  fu  attivato    come  can- 

(i)  Memorie  riflettenti  S.  Arialdo  dei  sac.  D.  Angelo  Gheazi,  parroco 
de/unto  di  Novedrate,  già  coad.  titolare  di  Cucciago,  fol.  1 1  ;  la  nota  porta 
la  data:  «  Cucciago  30  settembre  1881  „  e  la  firma  del  Ghezzi.  Queste 
Memorie  si  conservono  neirArchivio  parocchiale  di  Cucciago. 

(2)  PuRiCELLi,  op.  cit.,  lib.  Il  cap.  X,  pag.  83. 


DI    S.    ARIALDO  95 

•  tina:  si  rinvenne  anche  un  antico  busto  in  sasso  goffamente  scoi- 

•  pito,  che  attesta  la  verisimilità  che  le  case  di  Arialdo  ivi  sorges- 
«  sere.  Molti  altri  materiali  in  quelle  vicinanze  sepolti  danno  testi- 

•  monianza  di  vaste  costruzioni  per  un  tratto  molto  esteso.  Anche 
-  un  pozzo  rovinato   si   rinvenne    altra   volta,    che    dà    a   credere 

•  che  quei  ronchi  fossero  abitati,  mentre  presentemente  sono  a  col- 

•  tivo.  n  Ci  narra  poi  anche  che  «  molti  avanzi  di  antichità  vennero 
distrutti  dair  incuria  dei  contadini  »»,  dai  quali  veramente  non  pote- 
vamo attendere  nulla  di  meglio:  altri  però  avrebbe  dovuto  impe- 
dire quel  vandalismo  (i). 

11  da  Busserò  dice  di  S.  Arjkldo:  Hic  fundavit  ecclesiam  S.  Pro- 
taxi de  Ctixago  (2).  Io  credo  però  che  egli  confonda  la  chiesa  di 
S.  Stefano  con  l'altra  dedicata  a  S.  Protaso,  che  poi  si  dedicò  a 
tutti  e  due  i  fratelli  ••  Protaso  e  Gervaso,  la  quale  apparteneva  ad 
un  convento  di  Benedett'mi  soppresso  da  S.  Carlo  nel  1582,  quando 
la  eresse  in  parocchiale.  Altrove  il  da  Busserò  dice  :  Loco  Cutiago 
altare  S.  Stephani  in  ecclesia  S.  Vincentii:  (3)  ;  anche  qui  non  è 
esatto.  La  Notitia  cleri  niediolanensis  de  anno  ijp8  pone  soltanto  una 
cappellania  in  Cucciago  (4),  mentre  lo  status  ecclesiae  tnediolanensis 
de  armo  1466  (5)  non  lo  nomina  neppure.  S.  Carlo  trasportò  la  pre- 
positura, cui  apparteneva  Cucciago  da  Galliano  a  Cantiì,  e  il  car- 
dinale Pozzobonelli,  per  troncare  alcune  questioni  di  precedenza, 
eresse  Cucciago  in  prepositura  in  luogo. 

E  pure  degno  di  considerazione  il  palliotto  all'altare  maggiore 
della  parrocchiale,  opera  del  secolo  decimosettimo  in  istucco  a  finto 
intaglio  policromo,  diviso  in  tre  campi:  nel  campo  di  mezzo  si  vede 
la  Madonna  col  bambino  seduta  sulle  nubi,  a  sinistra  di  chi  guarda 
e  rappresentato  santo  Stefano,  a  destra  è  una  figura  di  prete  con 
pianeta  e  stola  rossa,  la  destra  porta  un  libro,  la  sinistra  è  distesa 
5ul  petto,  in  testa  porta  un  berretto  da  prete  della  forma  usata 
alla  fine  del  XVI  secolo,  anche  i  paramenti  sono  di  quell'epoca: 
biotto  questa  figura  è  scritto  in  carattere  corsivo  dell'epoca  e  come 

(1)  Ms.  cit,  fol.  6  V.  Il  Ghezzi  deve  aver  raccolto  alcuni  preziosi 
avanzi  di  quelle  escavazioni,  ì  quali  passarono  ai  suoi  eredi. 

(2)  Bis.  del  Capitolo  Metropolitano  e  della  Ambrosiana,  citato,  al  n.  46. 
Ì3)  Ivi  al  n.  376  cod.  dell'Ambrosiana. 

(4)  Pubblicala  dal  can.  Magistretti»  in  quest'Archivio,  a.  XXVII, 
ftsc  XXVIII,  dicembre  1900,  a  pag.  288,  pieve  di  Galliano. 

(5)  Mazzuchelli,  Osservazioni  sopra  il  rito  ambrosiano,  pag.  357  e  segg. 


96  FONTI   E    MEMORIE   STORICHE 

intarsiato  nello  stucco  Sancités  Arialdus.  Il  palliotto  in  antico,  e 
sino  a  tempi  non  remoti,  serviva  all'altare  della  chiesa  di  S.  Ste- 
fano, da  dove  venne  trasportato  alla  parrocchiale.  Di  S.  Arialdo  si 
venera  in  paese  anche  una  reliquia  (una  vertebra)  collocata  in  reli- 
quiario a  forma  di  urna  in  lamiera  di  rame  inargentato  e  dorato, 
di  stile  barocco  (i).  Tutto  ciò  prova  che  nel  secolo  XVI  si  ebbe  in 
paese  grande  venerazione  a  questo  santo,  e  possiamo  risalire  a  tempi 
più  remoti,  rifacendoci  ad  Andrea  Alciati  che,  oriundo  di  quei  luoghi, 
si  protestava  devoto  del  santo  da  lui  creduto  un  suo  antenato.  Anche 
rovistando  i  registri  parrocchiali  ci  incontriamo  ben  di  frequente 
in  questo  nome  imposto  anche  a  femmine  come  secondo  nome  : 
nel  1879  venne  eretta  una  società  di  mutuo  soccorso  fra  quei  ter- 
rieri, posta  sotto  la  protezione  di  S.  Arialdo,  la  cui  effigie,  copia 
del  rame  che  adorna  l'opera  del  Puricelli,  si  vede  sulla  bandiera 
sociale.  II  cardinale  Pozzobonelli  ricorda  nella  visita  pastorale  da 
lui  fatta  a  Cucciago  (2),  un  quadro  grandtosis  formae  rappresentante 
il  martirio  di  S.  Arialdo,  appeso  nella  chiesa  di  S.  Maria  della 
neve.  Dove  quel  quadro  abbia  finito,  non  so:  pare  che  poco  dopo 
la  metà  del  secolo  scorso  si  trovasse  nella  casa  dei  signori  Meroni 
ad  Erba:  ma  quando  quella  casa  con  le  sue  suppellettili  venne 
venduta,  non  se  ne  seppe  più  nulla. 

Anche  i  luoghi  che  furono  il  teatro  della  dolorosa  morte  di 
Arialdo  ne  serbarono  il  ricordo. 

L'isola  del  Lago  Maggiore,  sulla  quale  fu  consumato  il  delitto, 
non  fu  l'isola  Madre,  come  dopo  il  Bescapè  (3)  comunemente  si 
disse,  ma  quella  che  noi  chiamiamo  isola  Bella,  e  meglio  si  di- 
rebbe Isabella  dal  nome  della  madre    di    Vitaliano    Borromeo,   ad 

(i)  Vedi  la  perizia  degli  ingegneri  Cesa-Bianchi  e  Nava  in  Medio- 
lanens  beatificaiionis  seu  confirmationis  cuUus  S.  Arialdo^  pag.  181  e  segg. 

(2)  Archivio  Arcivescovile,  Visiiatìo  oppidi  cu:  pitbis  Canturii  a  Rev,^^ 
Archiep.  PuteoboneUo  peracta  MDCCLXIV  mense  majo.  In  Pieve  di  Caniit^ 
Voi.  41,  pag.  393.4. 

(3)  Novaria  Sacra  lib.  I  in  tertninatione  Vergantis  e  lib.  II  de  epi- 
scopo Oddone  IL  Trascuro  l'opinione  del  Puricelli,  che  fa  morire  Arialdo 
su  una  penìsola,  e  quella  di  altri,  che  lo  farebbero  morire  sull'isolotto 
vicino  ad  Angera.  Vedi  Pellegriivi,  /  santi  Arealdo  ed  Erlembaldo^  ap- 
pendice VII.  A  sostegno  di  quest'ultima  opinione  male  si  farebbe  ap- 
pello ad  una  recente  ed  incerta  tradizione,  che  vige  ad  Angera,  e  che 
deriva  dal  libro  di  Pesidkstro,  Descrizione  di  Angera,  Bergamo,  1779, 
pag.  56  e  109. 


DI  S,  ARIALDO  97 

ofiore  della  quale  da  arido  scoglio  che  era  venne  mutata  in  un 
delizioso  giardino.  La  descrizione  del  luogo  del  martirio,  lasciataci 
da  Andrea  di  Strumi,  ben  s'attaglia  a  quell'isola,  quale  essa  era 
in  quei  tempi  remoti  (i).  Inoltre  colui  che  scrisse  sul  principio  del 
secolo  XII  la  vita  dei  SS.  Giulio  e  Giuliano,  in  un  codice  conser- 
vato nell'Archivio  Capitolare  di  Novara  (2),  riferendo,  come  pare 
certo,  alla  morte  di  S.  Arialdo  una  profezia,  che  sarebbe  stata 
fatta  da  S.  Giulio,  viene  a  dire  che  quel  delitto  si  consumò  sopra 
una  «  piccola  isola  »  (3),  la  quale  qualifica  male  s'adatta  all'isola  Madre, 
e  bene  risponde  alla  Bella  chiamata  in  quei  tempi  anche  Isella, 

Fu  di  questo  parere  anche  il  dotto  scrittore  Lazaro  Agostino 
Cotta,  che  visse  sulla  fine  del  secolo  XVII  e  studiò  con  amore 
quanto  concerne  il  Lago  Maggiore  e  quello  d'Orta;  egli  l'appoggiava 
alla  tradizione  locale,  narrando  in  un  suo  manoscritto,  ch'io  ebbi  la 
ventura  di  vedere  nella  libreria  dell' ing.  Stefano  Molli  di  Borgoma- 
nero  con  cavalleresca  cortesia  messa  dall'egregio  proprietario  a  mia 
disposizione,  che  in  tempi  antichi  sorgeva  sul  margine  dell'isola 
Beila  prospiciente  Pallanza  una  cappellina  dedicata  a  S.  Arialdo  con 
rimagine  del  santo,  assai  onorata  dagli  isolani,  i  quali  con  grande 
loro  dispiacere  la  viddero  abbattere,  quando  i  Borromeo  mutarono 
quell'arido  scoglio  in  un  giardino  d'Armida  (4). 

(i)  Puri  CELLI,  op.  cit,  pag.  109. 

(2)  Questo  codice  vemie  ultimamente  esaminato  dal  Prassi  in  una 
nota  alla  vita  dei  santi  Giulio  e  Giuliano,  che  si  è  pubblicata  l' anno 
scorso  a  Novara  in  occasione  del  centenario  di  quei  santi. 

(3)  MoiCBRiTius,  yiiae  sanctorum,  II,  46:  Acfa  SS,  Jan.  II,  1104. 

(4)  Nel  tomo  VI  delle  Rerum  Novariensium  del  Cotta  trovasi  un  ms. 
della  Corografica  descriptio  domini  Macchanei  a  Lazaro  Coita  notis  illu- 
^^/a,che  venne  stampata  pseudonima  in  Milano  nel  1690,  alla  quale  l'au- 
tore aggiunse  di  sua  mano  nuove  e  buone  annotazioni,  preparate  per  una 
ristampa  dell'opera,  che  non  si  fece.  A  pag.  447-448  parlando  dell'Isola 
Bella  si  legge  :  Hoc  inquam  in  scopalo  S.  Ariaidum  laniatum  firmamus, 
proiier  omnem  dubitationem,  quam  Puricellus  detinebaiur,  Testes  etiam 
sunt  non  pauci  ex  insulanis,  qui  non  sine  religioso  mcerore  deieri  viderunt 
qwddam  ptrinsigne  et  sane  antiquum  sacellum  ad  marginem,  respicientem 
oppidum  Pallantiam,  divo  Arialdonuncupatum,  cujus  iconem  veneraòan- 
tur,  U  ms.  venne  consultato  anche  dal  De- Witt  che  diverse  volte  lo  cita 
ne*  suoi  libri:  Notiate  di  Stresa,  Casale,  1884,  pag.  153  e  segg,,  e  II  lago 
^^giore,  Milano,  1875,  Voi.  II,  parte  I,  pag.  27,  dove  riporta  la  notizia 
^  questa  cappella  dedicata  al  santo. 

Artfu  Stor.  Lomt.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIH.  7 


98  FONTI   E    MEMORIE   STORICHE   DI   S.   ARIALDO 

In  tempi  assai  più  recenti  Tabate  Rosmini  ebbe  amore  e  de- 
vozione a  S.  Arialdo,  ed  impose  all'erudito  suo  discepolo  Vincenzo 
De-Witt  di  stenderne  una  vita  (i).  Né  pago  di  ciò,  volle  che  la  bella 
chiesa,  che  sorge  nei  recinti  del  suo  convento  sopra  Stresa,  venisse 
adorna  delle  statue  dei  santi  del  lago,  fra  le  quali  dobbiamo  am- 
mirare la  severa  figura  del  diacono  milanese  in  atto  di  predicare, 
opera  dello  scultore  Somaini. 

Vi  fu  un  tempo  che  anche  a  Varese,  dove  S.  Arialdo  diede 
principio  alla  sua  predicazione,  si  volle  erigere  un  monumento  al 
santo.  Nicolò  Sormani  (2)  narra  che  D.  Gerolamo  Martignoni,  con 
alcune  nobili  famiglie  di  Varese,  i  ComoUi,  i  Frasconi,  gli  Origoni, 
i  Porcara,  volle  elevare  al  santo  diacono  un  monumento  sulla  piazza 
della  città,  là  dove  comincia  lo  stradone  che  conduce  alla  Madonna 
del  Monte  ;  il  monumento  doveva  consistere  in  una  colonna,  che 
venne  regalata  dal  conte  Carlo  Borromeo,  in  cima  alla  quale  do- 
veva erigersi  la  statua  del  severo  predicatore.  Ma,  non  so  per  qual 
motivo,  il  monumento  non  venne  compiuto. 

Un  monumento  assai  più  importante  si  sta  ora  erìgendo  ad  onore 
di  questo  santo  :  la  sua  glorificazione  sugli  altari.  Faxit  Deus, 

C.  Pellegrini. 

(i)  De-Witt  Vincenzo,  luoghi  sopracitati.  Altro  personaggio  che  ri- 
cordava con  grande  trasporto  questo  santo  fu  oltre  il  P.  Massara,  il 
P.  A.  Taglioretti,  che  ne  parla  nel  suo  libro  Criterio  dei  Dogmi,  Milano, 
1860,  voi.  I,  pag.  246. 

(2)  N.  Sormani,  Le  glorie  dei  santi  milanesi ^  Milano,  176 1,  pag.  42 
e  segg. 


TORNANDOCI  SOPRA 


lA  proposito  di  alcuni  recenti  studi  sul  matrintomo  di    Valentina 
Visconti  col  duca  di  Touraine), 


EL  1898,  in  un  articolo  intitolato  Valentina  Visconti  e  il 
^j_-..  suo  matrimonio  con  Luigi  di  Touraitte  (vedi  questo 
r<^>l  Archivio^  XXV,  fase.  XIX),  riassunti   i    dati  cronolo- 


gici del  matrimonio  per  verba  contratto  da  Valentina  con  Luigi  di 
Touraine  e  ratificato  da  Giangaleazzo  Visconti  TB  aprile  1397,  io 
scriveva: 

«  Ma  il  matrimonio  per  verba  non  implica  necessariamente 
runione  immediata  degli  sposi.  Su  questo  punto  le  due  parti 
non  hanno  preso  alcun  impegno.  E  si  capisce.  Il  matrimonio  di 
Valentina,  frutto  di  lunghe  e  laboriose  trattative,  era  un  atto 
essenzialmente  politico,  compiuto  da'  contraenti  in  vista  di  certe 
eventualità  presenti  o  future,  da  cui  speravano  trarre  i  maggiori 
possibili  vantaggi.  La  Francia  vi  vide  un  mezzo  per  estendere  la 
sua  influenza  in  Italia  e  risolvere  a  modo  suo  la  questione  dello 
scisma,  Giangaleazzo  si  assicurava  i  frutti  del  colpo  di  stato 
deir  '85,  e  con  l'alleanza  francese  si  premuniva  contro  il  pericolo 
di  un  intervento  imperiale.  » 

E  vero  che  Giangaleazzo  ci  rimise  l'Astigiano;  «  nondimeno 
egli  seppe  rifarsi  ad  est  di  ciò  che  aveva  perduto  ad  ovest:  la 
perdita  dell'Astigiano  fu  largamente  compensata  dagli  acquisti  di 
Verona,  Vicenza  e  Padova,  tolte,  in  poco  più  di  due  anni,  agli 
Scaligeri  ed  ai  Carraresi.  Contemporaneamente  la  Francia  atten- 
deva ad  assicurarsi  il  possesso  dell'Astigiano,  base  di  operazioni 
di  qualsiasi  intrapresa  in  Italia,  e  col  favore  di  Clemente  VII 
estendeva  le  sue  mire  fin  nel  cuore  degli  stati  della  Chiesa.  » 


lOO  TORNANDOCI  SOPRA 

E  soggiungeva: 

«  Di  fronte  ai  vantaggi  politici  derivanti  dalla  situazione  creata 
«  dal  trattato  27  gennaio  1387,  l'andata  di  Valentina  in  Francia 
«  diveniva  un  fatto  d'ordine  secondario,  che  poteva  essere  proro- 
«  gato  senza  danno,  e  compiuto,  di  pieno  accordo  fra  le  parti,  al 
«  momento  più  opportuno.  Noi  non  abbiamo  alcun  indizio  che  in 
u  Francia  si  facessero  premure  per  aflfrettarlo.  E  neppure  a  Mi- 
u  lano.  »  E  qui  metteva  innanzi  l'ipotesi  che  al  ritardo  potesse  aver 
contribuito  la  gran  difficoltà  di  raccogliere  l'enorme  somma  in  con- 
tanti che  Giangaleazzo  era  tenuto  a  pagare  per  la  dote  della  fi- 
gliuola l'indomani  dell'unione  dei  due  sposi  e  provvederla  di  quel 
ricco  corredo  nuziale  che  fu  l'ammirazione  dei  contemporanei.  «  Ad 
«  una  spesa  così  ingente  non  potevasi  provvedere  né  con  le  en- 
u  trate  ordinarie  dello  stato  w  (e  qui  rammentavo  che  negli  anni  1387 
e  1388  ci  furono  le  guerre  con  gli  Scaligeri  e  co'  Carraresi,  in  cui 
si  profusero  grandi  somme  di  denaro)  u  né  con  quella  dei  beni 
u  patrimoniali  del  principe  :  era  necessario  ricorrere  a'  carichi 
u  straordinari  e  si  ricorse.  Ora,  per  quanto  la  volontà  del  principe 
u  fosse  onnipotente,  egli  era  troppo  buon  politico  per  dare  a  quella 
u  imposizione  un  carattere  vessatorio  ed  odioso.  La  spesa  fu  n- 
u  partita  fra  le  comunità,  le  chiese  e  gli  ordini  religiosi;  ma  tutto 
u  fa  supporre  che  nella  riscossione  si  accordasse  un  certo  respiro, 
u  e  che  a  raccogliere  l'intera  somma  s'impiegasse  uno  spazio  non 
«  minore  di  due  anni,  w 

Queste  cose  io  scriveva  quattro  anni  fa.  Un  recente,  diligen- 
tissimo  lavoro  di  F.  Comani  (i),  è  venuto  in  buon  punto  a  dare  la 
dimostrazione  documentata  della  mia  tesi.  Le  carte  dell'archivio 
reggiano,  da  lui  studiate  con  quell'acume  che  porta  in  tutte  le  sue 
ricerche,  provano  luminosamente  che  Giangaleazzo,  obbligato  a 
pagare  l'indomani  della  consegna  della  figliuola,  la  somma  di  300 
mila  fiorini  e  a  fornire  un  ricco  corredo  di  gioie  e  vasellame  d'oro 
e  d'argento,  fu  costretto  a  ricorrere  ad  una  taglia  straordinaria, 
che  colpì,  senza  distinzione,  laici  ed  ecclesiastici,  e  più  di  tutti  gli 
ufficiali  dello  stato,  che  furono  soggetti  alla  ritenuta  di  due  mesi 
di  stipendio;  —  che  nella  riscossione  della  somma  (alla  sola  Reggio 

(i)  /  denari  per  la  dote  di  Valentina  Visconti  in  questo  Archivio^ 
serie  III,  fase.  39,  pag.  37  e  scgg. 


TORNANDOCI   SOPRA  lOI 

u  imposta  una  taglia  di  2000  fiorini),  volle  che  si  procedesse  senza 
misure  vessatorie  ed  odiose,  per  non  aggravare  soverchiamente  i 
suddti,  ed  accordò  un  lungo  respiro,  con  ciò  mostrando  che  egli 
non  pensava  menomamente  ad  una  partenza  immediata  della  fi- 
gliuola; —  che  una  prima  sollecitazione  del  pagamento  non  fu 
fatta  che  al  15  giugno,  o,  meglio  ancora,  nel  settembre  '88,  vale 
a  dire  proprio  quando  Antonio  Porro  era  in  Francia  per  ottenere 
la  ratifica  del  matrimonio  e  togliere  le  ultime  difficoltà  all'unione 
effettiva  degli  sposi. 

Di  grande  importanza  è  per  noi  la  lettera  che  Giangaleazzo 
scriveva  il  6  settembre  1388  al  comune  di  Reggio,  pubblicata  dal 
Comani  (2).  In  questa  lettera  è  detto:  «  Ho  atteso    quanto  più  ho 

-  potuto  il  pagamento  della  quota  imposta  al  vostro  comune,  e  vi 

•  ho  lasciato  anche   il  tempo   di  raccogliere    le  messi.    Non  avrei 

-  difficoltà  di  concedervi  una  nuova  dilazione,  ma  non  posso,  perchè 
<  urge  la  scadenza  de'  termini  {nisi  instantis  temporis  necessitas 
«  urgerei).  Vi  abbiamo  tassato  per  soli  2000  fiorini,  cifra  molto  al 
«  di  sotto  di    quella   che  vi    sarebbe  toccata,   tenuto    conto    della 

*  somma  intera  da  sborsare,  e  senza  la  quale  non  può  aver  luogo 

-  la  consumazione  di  un  matrimonio  così  importante  {stne  qua  tan- 
•*  htm  matrimonium  consumari  non  poterif).  Ad  ogni  modo,  è  stato 
a  ed  è  mio  proposito    che  i  contribuenti    siano  aggravati    il  meno 

-  possibile,  e  perciò  voglio  che  nella  riscossione  dei  2000  fiorini  il 
«  riparto  sia  fatto  con  equità  e  sia  evitato  ogni  procedimento  ar- 
**  bitrarìo.  » 

Se,  per  dimostrare  la  mia  tesi,  avessi  dovuto  creare  un  docu- 
mento, un  documento  più  chiaro,  più  esplicito  di  questa  lettera,  non 
sarei  riuscito  a  fabbricarlo.  E  sia  lecito  a  me  di  affermarlo,  dal 
momento  che  il  Comani  non  si  è  espresso  su  questo  punto  con 
tutta  la  chiarezza  che  sarebbe  stata  necessaria  (2).  La  lettera,  dun- 
que, ci  dimostra  più  cose: 

(i)  Op.  cit,  pag.  76,  doc.  3. 

(a)  Il  Comani,  accogliendo  la  mia  tesi  sulle  cause  del  ritardo  di  Va- 
lentina, dice,  a  pag.  38,  che  la  mia  argomentazione  "  ha  bisogno  di 
essere  suffragata  da  ricerche  d'archivio  „  e  queste  ricerche  ha  fatto 
nell'Archivio  di  Reggio  e  ne  dà  conto  a'  lettori  nella  prima  parte  del 
suo  lavoro.  Ora  io  no^  so  come  possa  dubitare  che  il  suo  studio  abbia 
qualche  relazione  coU'argomento  della  mia  polemica  col  Camus  (pag.  8, 
n.  i),  dal  momento  che  i  risultati  a  cui  giunge  non  sono  in  sostanza  che 


I02  TORNANDOCI   SOPRA 

i.o  Che  il  viaggio  dì  Valentina  per  la  Francia,  essendo  su- 
bordinato al  pagamento  della  prima  rata  della  dote,  dipendeva  dal 
tempo  che  Giangaleazzo  avrebbe  impiegato  nel  raccoglierla. 

2.°  Che  Giangaleazzo,  essendo  stato  costretto  a  imporre  un 
sussidio  ai  suoi  popoli,  non  solo  non  ebbe  fretta  di  riscuoterlo, 
ma  diede  loro  non  meno  di  due  anni  di  respiro  per  pagarlo,  vo- 
lendo che  il  sussidio  non  riuscisse  troppo  gravoso  e  raccoman- 
dando che  neiresigerlo  si  evitasse  ogni  sorta  di  vessazioni  e  di 
molestie. 

3.<>  Che  perciò  appunto  (a  differenza  di  quanto  s'era  fatto 
in  occasione  di  altri  matrimoni  di  principesse  viscontee)  nessun 
termine  fu  stabilito  per  la  consegna  della  sposa  nel  contratto  di 
matrimonio  del  27  gennaio  1387,  il  che  non  toglie  che  un  qualche 
impegno  verbale  possa  essere  intervenuto  fra  le  parti,  e  che  il 
tempo  della  consegna  sia  stato  stabilito  almeno  approssimativamente. 

4.0  Che  di  questo  termine  si  parla  la  prima  volta  nel  set- 
tembre 1388,  quando  Giangaleazzo  sollecitò  il  pagamento  del  tri- 
buto, e  il  modo  come  se  ne  parla,  s'accorda  benissimo  con  la  data 

la  dimostrazione  di  quanto  io  avevo  affermato.  Intanto  questo  desiderio 
di  tenersi  lontano  da  ogni  polemica  Tha  tratto,  forse  inconsciamente,  a 
fraintendere  proprio  quello  che  della  mia  argomentazione  era  la  parte 
sostanziale.  A  pag.  52  egli  scrive:  **  Ma,  si  obbietterà,  gli  storici  sono 
concordi  neirammettere  che  Giangaleazzo  aveva  interesse  ad  affrettare 
la  consegna  della  sposa,  anche  perchè  ritardando  c'era  pericolo  che  il 
matrimonio  non  avesse  compimento;  sia  che  Luigi  di  Turenna  rifiutasse 
la  ratifica  all'operato  de*  suoi  procuratori,  sia  che  la  Francia,  abbando- 
nando la  causa  del  Papa  Àvignonese,  facesse  dichiarar  nullo  un  matri- 
monio conchiuso  sotto  gli  auspici  di  lui.  ^  E  in  nota  soggiunge  :  **  Questa 
concordia  sopra  uno  dei  punti  della  questione  mi  esime  da  molte  cita- 
zioni. Vcdansi  del  resto  il  Romano  e  il  Camus,  j,  Il  lettore  non  ha  che 
da  confrontare  queste  parole  con  quelle  che  io  scrissi  nel  1898  e  che 
ho  riportate  in  testa  a  questo  scritto,  per  accorgersi  della  svista  in  cui 
è  caduto  il  Comani.  Il  quale,  del  resto  (devo  dirlo  a  sua  lode),  rico- 
nobbe subito  Terrore,  e,  non  potendo  nell'^r^^ivio,  cercò  di  rimediarvi 
alla  meglio  negli  estratti  (pag.  56),  sostituendo  a  "  gli  storici  sono  concordi 
nelTammettere  „  l'altra  espressione  •  quasi  tutti  gli  storici  ammettono  » 
e  annotando:  "  Il  Romano  è  di  opposto  parere;  ammette  però  che  il 
ritardo  della  ratifica  era  dannoso.  „  Non  credo  di  aver  detto  precisa- 
mente questo;  ad  ogni  modo,  per  non  fare  una  questione  di  parole, 
rimando  il  lettore  a  quanto  già  scrissi  e  a  quello  che  dirò  in  seguito 
sulla  scorta  dei  nuovi  documenti  pubblicati. 


TORNANDOCI  SOPRA  IO3 

de]  maggio  o  giugno  1389,  in  cui  la  partenza  di  Valentina  effetti- 
vamente avvenne. 

5.0  Che,  per  tutte  queste  ragioni,  è  assurdo  ritenere  che 
Gìangaleazzo  abbia  mai  pensato  a  mandare  la  figliuola  in  Francia 
durante  gli  anni  1387  e  1388;  né  egli  poteva  farlo  per  Ti m possibi- 
lità di  pagare  la  prima  rata  della  dote,  ne  a  farlo  era  tenuto  in 
forza  del  contratto.  Se  pure  un  accordo  verbale  ci  fu  su  questo 
punto,  tutto  fa  supporre  che  il  termine  stabilito  sia  stato  non  mi- 
nore di  due  anni. 

Questo  è  quello  che  risulta  dai  documenti  del  Comani. 

Le  carte  da  lui  studiate  provano  anche  che,  pagato  il  sussidio 
di  2000  fiorini,  il  comune  di  Reggio  fu  costretto  a  pagarne  un  se- 
condo di  1613,  sempre  per  la  dote  di  Valentina,  avendo  Gianga- 
leazzo  dichiarato  che  la  prima  somma  era  stata  in  gran  parte  con- 
sumata nelle  spese  occorse  per  le  guerre  contro  gli  Scaligeri  e  i 
Carraresi.  Il  Comani  si  domanda  se  Giangaleazzo  abbia  agito  simu- 
latamente di  fronte  ai  sudditi,  chiedendo  loro  i  denari  per  la  dote 
di  Valentina,  e  poi  facendoli  servire  ad  altro  uso;  e  conchiude  col- 
Tammettere  che  vi  possa  essere  stata  simulazione,  pur  riconoscendo 
che  a  questa  affermazione  non  bastino  i  soli  documenti  reggiani. 
Ora  a  me  pare  che  qui  il  Comani  sottilizzi  un  po'  troppo.  Egli  dice 
che  Giangaleazzo  «  mostra  una  gran  sollecitudine  di  consegnare  la 
"  sposa  e  la  dote  fin  dall'autunno  1387  »»  e  dubita  che  «  la  pretesa 
•^  urgenza  di  spedire  in  Francia  la  dote  di  Valentina  nel  1387  e 
«  1338  fosse  unicamente  una  simulazione,  w  Le  cose  non  istanno 
proprio  così.  Giangaleazzo  s'era  obbligato  a  pagare  300  mila  fiorini 
r  indomani  della  consegna  di  Valentina,  e  per  quanto  egli  sapesse 
0  fosse  persuaso  che  tale  partenza  non  sarebbe  avvenuta  che  fra 
due  anni,  è  naturale  che  non  poteva  aspettare  proprio  la  fine  dei 
due  anni  per  raccogliere  il  denaro,  e,  pur  concedendo  dilazioni 
quante  potè,  cercò  di  esigerlo  via  via,  aspettando  a  sollecitarne 
la  riscossione  solo  quando  vide  che  i  termini  della  consegna  erano 
molto  vicini.  Se  egli  chiede  i  denari  di  Valentina  alla  comunità  di 
Reggio  nell'autunno  del  1387,  non  è  dunque  perchè  mostri  una 
gran  sollecitudine  di  consegnare  la  sposa  e  la  dote  (di  questa  pre-  ^ 
tesa  sollecitudine  non  v'è  traccia  nel  documento  29  settembre  1387); 
ma  perchè  Giangaleazzo  sapeva  bene  che,  trattandosi  di  un  carico 
straordinario,  le  comunità  dovevano  essere  continuamente  eccitate 


I04  TORNANDOCI  SOPRA 

al  pagamento,  altrimenti  i  denari   o  non  sarebbero  venuti  mai,  o 
sarebbero  venuti  con  molta  lentezza  (i). 

Neanche  nella  lettera  del  9  giugno  1388,  in  cui  Giangaleazzo 
mostra  una  certa  fretta  di  esigere  il  sussidio,  non  è  detto  menoma- 
mente che  questo  serva  a  far  partire  subito  o  poco  dopo  Valentina 
per  la  Francia.  Se  anche  l'avesse  detto,  nessuno  gli  avrebbe  cre- 
duto, perchè  tutti  dovevano  sapere  che  Valentina  non  sarebbe 
partita  cosi  presto,  dal  momento  che  la  ratifica  del  matrimonio  era 
ancora  di  là  da  venire  e  l'attenzione  del  Visconti  era  rivolta  ai  pre- 
parativi di  guerra  contro  il  Carrarese.  Se  dunque  Giangaleazzo,  otte- 
nuto il  pagamento  del  sussidio,  fece  servire  il  denaro  ad  un  uso 
diverso,  non  è  il  caso  di  parlare  di  vera  simulazione,  perchè  il 
fatto  era,  non  solo  giustificato  dalle  circostanze  eccezionali  dello 
stato,  ma  anche  abbastanza  notorio;  tanto  vero  che,  quando  egli 
chiese  nel  marzo  un  supplemento  di  sussidio,  accenna  all'uso  fatto 
del  denaro  come  ad  una  cosa  che  era  oramai  a  cognizione  di 
tutti  (2). 

Piuttosto  possiamo  domandarci  se  il  supplemento  di  taglia  im- 
posto al  comune  di  Reggio  sìa  stata  una  misura  generale  per  tutte  le 
città  del  dominio  visconteo,  e  se  tanto  la  prima  quanto  la  seconda 
volta  le  altre  città  siano  state  tassate  nella  stessa  misura  di  Reggio 
o  diversamente. 

Alla  prima  domanda  possiamo  rispondere,  senz'  altro,  affer- 
mativamente; ma  più  difficile  è  rispondere  alla  seconda.  Qui  si 
cammina  sopra  un  terreno  infido,  e  basarsi  su'  soli  documenti  reg- 
giani   sarebbe    pericoloso.    Nondimeno    sembra    ben    difficile   che 

(i)  Di  questi  eccitamenti  si  trovano  tracce  anche  nei  documenti  pia- 
centini. Avendo  il  clero  di  Piacenza  presentato  delle  lagnanze  perchè 
era  stato  tassato  per  la  somma  di  4500  fiorini,  troppo  superiore  a  quella 
che  gli  sarebbe  toccata  per  giustizia,  un  rescritto  del  Principe  in  data 
9  marzo,  indirizzato  al  Podestà  e  a'  Referendari  di  Piacenza,  diceva  : 
^  Che  in  vista  della  detta  supplica,  comandava  loro  di  compellere  con 
rimedi  opportuni  tutti  e  singoli  quelli  del  clero  al  pagamento  del  ri. 
chiesto  sussidio,  non  ostante  qualunque  privilegio:  avvertendoli  che  non 
avrebbe  permesso  che  siano  pagati  i  loro  salari,  fin'  a  che  sia  fatta 
Tesazione  del  sussidio.  „  Il  Boselli,  Storia  Piacenfina,  II,  63-4,  trasse 
questo  documento  dall'Archivio  capitolare,  senza  dire  a  quale  anno  si 
riferisca. 

(a)  Notorium  vobis  esse  indubitcUum  haòemus,  etc.  Lettera  del  17  marzo 
pubblicata  dal  Comani,  op.  cit.^  pag,  78,  doc.  n.  4. 


TORNANDOCI  SOPRA  IO5 

Gìangaleazzo,  il  quale  nella  distribuzione  de'  carichi  voleva  che 
fosse  sempre  osservata  la  più  scrupolosa  giustizia  distributiva,  de- 
rogasse a  questo  principio  proprio  in  un'  occasione  in  cui  la  sua 
famiglia  era  direttamente  interessata.  Né  mancano  buone  ragioni 
che  d  confortino  a  questa  opinione.  Francamente,  io  non  darei 
ora  una  grande  importanza  alla  notizia  di  Goro  Dati,  che  fa  ascen- 
dere l'entrata  dello  stato  visconteo  alla  cifra  di  fiorini  1,200,000, 
per  quanto  a  Firenze,  da  buoni  calcolatori  della  forza  del  conte  di 
Virtù,  dovessero  essere  su  questo  particolare  sufficientemente  in- 
formati. Da  un  documento  esistente  in  un  codice  della  Braidense 
e  pubblicato  fin  dal  1877  (i)  si  desume  che  l'entrata  ordinaria  dello 
stato  visconteo  era.  come  oggi  direbbesi,  preventivata  il  i.®  gen- 
naio 1388  nella  somma  mensile  di  fiorini  60087,  soldi  23  e  denari  4, 
che  per  un  anno  intero  darebbe  la  cifra  di  fiorini  744,954  all' in- 
circa. Prendendo  come  base  il  comune  di  Reggio  per  calcolare 
l'ammontare  del  primo  tributo  imposto  per  i  denari  di  Valentina, 
si  avrebbe  un  totale  di  fiorini  310435,  e,  aggiungendovi  anche  il 
secondo,  che  proporzionalmente  sarebbe  stato  di  fiorini  250,332,  si 
avrebbe  una  somma  complessiva  di  fiorini  560,767. 

Questa  cifra  è  ben  lontana  da  quella  calcolata  dal  Comani  in 
fiorini  925,000,  ma  mi  pare  molto  più  vicina  al  vero.  Il  Comani 
parte  da  una  base  poco  solida.  Egli  pensa  che,  se  il  matrimonio, 
tra  dote  e  corredo,  costò  525,000  fiorini  circa  (2),  questa  cifra  rap- 
presenti appunto  l'ammontare  della  taglia  imposta  alla  popolazione, 
e  che  con  l'imposizione  del  nuovo  sussidio  venne  presso  a  che  rad- 
doppiata. Invece  io  credo  che  Giangaleazzo  non  pensò  mai  di  far 
pesare  sulla  popolazione  l'intero  ammontare  della  dote.  In  tutti  i  do- 
cumenti non  si  parla  che  di  subsidium  dotis,  e  tutto  fa  supporre 
che  sussidio  dovesse  essere,  non  pagamento  della  somma  intera.  Al 
resto  dei  215,000  fiorini  circa  occorrenti  (s'intende  che  qui  si  tratta 
di  cifre  soltanto  approssimative)  lo  si  sarebbe  provveduto  con 
avanzo  della  entrata  ordinaria  (poco  meno  di  30,000  fiorini  all'anno, 

(i)  Eniruta  ed  uscita  del  ducato  (sic)  di  Milano  di  un  mese  deltanno  13SS 
in  questo  Archivio,  IV,  889. 

(2)  Questa  cifra,  a  rigore,  è  al  disotto  del  vero,  perchè  non  vi  sono 
comprese  le  spese  dei  festeggiamenti  e  quelle  per  V  accompagnamento 
di  Valentina  fino  al  ponte  di  MAcon,  che  secondo  il  contratto  erano  a 
carico  di  Giangaleazzo. 


I06  TORNANDOCI   SOPRA 

non  molto,  ma  pur  qualche  cosa),  con  le  entrate  straordinarie,  che 
non  possiamo  calcolare  con  sicurezza,  ma  che  ascendevano  certo 
da  una  somma  rilevante,  e  col  reddito  dei  beni  patrimoniali  del 
principe,  che  non  era,  a  quel  che  pare,  indififerente. 

Questi  calcoli  furono  intieramente  sconcertati  dal  sopraggiun- 
gere della  guerra  contro  Padova.  Quando  neir87fu  fatto  il  primo 
reparto  del  sussidio,  Giangaleazzo  era  ancor  lontano  dal  pensare 
che,  dopo  quella  collo  Scaligero,  avrebbe  iniziata  a  un  anno  di  di- 
stanza, una  nuova  campagna  col  Carrarese:  guerra  dispendiosis- 
sima a  lui,  non  meno  che  alla  republica  di  Venezia,  sua  alleata, 
che,  pel  solo  mantenimento  delle  truppe  in  campagna,  dovette  pa- 
gare al  Visconti  un  forte  contributo  mensile  (i).  Si  può  quindi  cre- 
dergli sulla  parola,  quando  Giangaleazzo  dice  che  per  le  necessità 
della  guerra  ha  dovuto  metter  mano  sui  denari  di  Valentina,  ed 
ora  è  costretto  ad  imporre  un  supplemento  di  sussidio.  Certamente 
la  richiesta  di  un  nuovo  sussidio  non  dovette  tornare  ai  sudditi 
molto  gradita,  ma  dobbiamo  convenire  che  era  un  signore  ben  sin- 
golare costui,  che  potendo  imporre  la  sua  volontà,  sentiva  il  bi- 
sogno di  giustificarsi  di  fronte  al  popolo,  aflfermando  che  V  ultima 
guerra  era  stata  imposta  dair  interesse  pubftlico  e  che  la  conquista 
di  Padova  era  necessaria  alla  tranquilla  conservazione  dello  stato! 

La  somma  di  fiorini  560.767,  pagata  in  due  volte,  rappresenta, 
secondo  me,  nella  cifra  più  prossima  al  vero,  il  sussidio  versato 
per  la  dote  di  Valentina  Visconti.  Essa  è  fondata  sul  supposto  che 
le  altre  città  dello  stato  Visconti  siano  state  tassate  su  per  giù 
alla  stessa  stregua  della  città  di  Reggio.  Ed  in  fatti  la  cifra  di  fio- 
rini 1613  imposta  come  supplemento  di  sussidio  ha  tutta  l'appa- 
renza d'essere  il  risultato  di  un  calcolo  proporzionale  dipendente 
dalla  potenzialità  contributiva  maggiore  o  minore  delle  varie  città 
espressa  nella  cifra  annuale  del  tributo.  Ora  noi  conosciamo  questo 
tributo  per  Tanno  1388,  ma  non  conosciamo  la  somma  assegnata 
per  il  sussidio  a  ciascuna  città,  sicché  manchiamo  nella  questione 
che  ci  interessa  di  un  elemento  indispensabile  di  giudizio.  Solo 
eccezionalmente  sappiamo  da  Giovanni  Mussi  che  Piacenza  fu  tas- 
sata per  20.000  fiorini  (2).  Ora,  siccome  Piacenza  pagava  un  tributo 

(i)  Vedi  il  mio  lavoro   Niccolò  Spinelli  da  Giovinazzo    diplomatico 
del  secolo  XIV  in  Arch,  stor.  nap,,  an.  XXVJ^  1901,  436. 

(2)  Chron.  Placentinum  presso  Muratori,  R.  I.  S.,  XVI,  col.  548. 


TORNANDOCI   SOPRA  loy 

mensile  di  fiorini  2531,  in  proporzione  di  Reggio,  avrebbe  dovuto 
essere  tassata  la  prima  volta  per  fiorini  12.655,  e  la  seconda  per 
fiorini  9819,  in  tutto  per  fiorini  22.474.  Invece,  stando  al  Mussi 
pagò  2474  fiorini  di  meno.  Di  Pavia  sappiamo  invece  che  fu  tassata 
per  fiorini  25.000  (i)  cifra  alquanto  al  sopra  dei  fiorini  21.274 
che,  in  proporzione  di  Reggio,  corrisponderebbero  al  solo  primo 
tributo.  Di  un  supplemento  di  tributo  non  è  rimasta  notizia.  In 
complesso  quel  poco  che  sappiamo  non  ci  permette  di  afiermare 
che  la  misura  della  distribuzione  del  sussidio  fosse  basata,  con  cri- 
terio rigidamente  proporzionale,  sulla  cifra  del  tributo  annuo  delle 
singole  città  (2),  ma  possiamo  dire  che  questa  cifra,  indice  sicuro 
della  loro  capacità  contributiva,  dovette  senza  dubbio  essere  tenuta 
presente  in  quella  distribuzione. 


*    * 


Quanto  ho  detto  finora  è  la  risposta  anticipata  all'  opuscolo 
del  sig.  E.  Jarry  (3),  il  quale,  illustrando  alcuni  nuovi  documenti  da 
me  segnalatigli,  relativi  al  matrimonio  di  Valentina,  ha  esaminato 
nuovamente  la  questione  del  ritardo  della  sua  andata  in  Francia, 
giungendo  a  conclusioni  abbastanza  diverse  dalle  mie.  E  a  deplo- 
rare che  il  Jarr^'  non  abbia  conosciuto  in  tempo  il  lavoro  del  Co- 
mani;  questo  lo  avrebbe  reso,  probabilmente,  più  guardingo  nelle 
sue  affermazioni.  Egli  non  nega  che  le  difficoltà  finanziarie  pos- 
sano aver  avuto  qualche  parte  nel  ritardo  del  viaggio  di  Valentina, 
ma  una  parte  affatto  secondaria  e  quasi  di  nessun  valore.  Le  ra- 
gioni, secondo  lui,  sarebbero  state  ben  altre. 

(i)  Bossi,  Annaii  di  Pavia,  ms.  della  Bibl.  univ.,  n.  179  ad  an.  1387. 

(2)  Ciò  è  provato  anche  da  quel  passo  della  lettera  6  settembre  '88, 
in  cui  Giangaleazzo  dice  che  i  Reggiani  erano  stati  tassati  per  una  cifra 
inferiore  a  quella  che  sarebbe  loro  toccata  in  ragione  della  somma  in- 
tera. In  questo  passo  mi  pare  che  si  accenni  implicitamente  al  criterio 
generale  di  una  distribuzione  proporzionale  ed  alle  eccezioni  a  cui  poteva 
dar  luogo   nella  pratica  Tapp  icazione  di  tale  criterio.  Ma  il  passo  non 

-  preso  troppo  separate  alla  lettera.    "^ 

(3)  Actes  additionnels  au  contrai  de  mariagi  de  Louis  d*  Orléans  et 
<i*  Valentine  Visconti  ^Extr.  de  la  Bibl,  de  Ncole  des  chartes,  voi.  62,  1891). 


I08  TORNANDOCI   SOPRA 

Esaminiamo,   in  poche  parole,  i    punti  più    salienti    della  sua 
memoria. 

11  Jarry  osserva  che,  se  il  matrimonio  per  verba  non  implica 
necessariamente  l'unione,  on  ne  niera  pas  qu'il  tte  la  rende  vraù 
semblablement  prochaine,  surtout  après  une  conclusion  des  plus  ra- 
pides  (p.  4).  Lasciando  da  parte  se  possa  dirsi  delle  più  rapide 
una  conclusione  che  viene  ad  un  anno  di  distanza  dall'  inizio  delle 
trattative,  rispondo  che  come  tutti  i  salmi  finiscono  in  gloria,  così 
anche  un  matrimonio,  deve,  senza  dubbio,  una  volta  conchiuso, 
condurre  all'unione  effettiva  degli  sposi;  ma,  trattandosi  di  matri- 
moni principeschi  e  del  secolo  XIV,  la  prossimità  dell'unione  degli 
sposi  deve  essere  intesa  in  modo  molto  relativo,  potendo  essere 
maggiore  o  minore  a  seconda  degli  oneri  imposti  ai  contraenti,  a 
seconda  degli  scopi  che  questi  si  propongono.  Matrimonio  essen- 
zialmente politico  questo  di  Valentina,  ciò  che  importava  alle  due 
parti  era  di  assicurarsi  i  vantaggi  politici  che  esso  traeva  seco: 
l'unione  effettiva  degli  sposi  poteva  quindi  essere  prorogata,  qua- 
lora il  prorogarla  avesse  giovato  ad  uno  dei  contraenti  o  a  tutti 
e  due.  Nei  contratti  di  matrimonio  di  Elisabetta  e  Lucia  Visconti 
è  stabilito  un  termine  fisso  per  la  consegna  della  sposa:  nove  o 
dieci  mesi.  Nel  contratto  per  Valentina,  il  termine  è  passato  sotto 
silenzio.  Questo  silenzio  non  deve  proprio  provar  nulla?  Ed  è 
possibile  che  Giangaleazzo,  il  quale,  per  sbarazzarsi  di  una  sua 
cognata,  aveva  bisogno  di  poco  meno  di  un  anno  di  tempo  (Elisa- 
betta non  partì  neppure  al  termine  stabilito,  ma  aspettò  più  di  due 
anni),  abbia  avuto  tanta  fretta  di  allontanare  la  figliuola,  l'unica  sua 
figliuola  (i),  mentre  nulla  l'obbligava  a  farlo,  aveva  anzi  tutto  l' in- 
teresse di  prender  tempo  per  preparare  la  dote  e  il  corredo? 

Ma,  incalza  il  signor  Jarry,  on  trouvera  bien  singulier  que,  dans 
l'impossibilité  de  faire  face  à  ses  engagefnents,  le  comte  de  Verttis  au 
lieu  de  retarder  l'exécution  d'une  des  clauses  les  plus  dures  du  con- 
trai,  paraisse  en  hàter  l'exécution,  Je  vise  ici  la  prise  de  possession 
d'Asti  et  de  ses  dépendances  par  le  due  de  Touraine.  Ma  è  appunto 
questa  fretta  di  dare  esecuzione  ad  una  delle  clausole  più  dure  del 
contratto  che  conferma  pienamente  la  mia  tesi.  Giangaleazzo,  che 

(i)  Trattandosi  di  Giangaleazzo.  Visconti,  certi  storici  si  credono 
autorizzati  a  prescindere  interamente  dai  suoi  sentimenti  famigliari,  lo 
non  sono  di  questo  avviso. 


TORNANDOCI  SOPRA  I09 

sapeva  di  avere  ottenuto  un  grande  risultato  col  matrimonio  della 
figlia,  ma  non  era  in  grado,  pel  momento,  di  far  fronte  ai  suoi  oneri 
fìnanziarii,  e  quindi  di  mandare  subito  la  figlia  in  Francia,  aveva  tutto 
l'interesse  di  sgombrare  ogni  dubbio  sulla  perfetta  lealtà  dei  suoi 
impegni  politici,  e  di  assicurarsi  nel  tempo  stesso  di  quelli  che  la 
Francia  aveva  contratto  con  lui.  La  consegna  immediata  dell'Asti- 
giano, che  egli  fece  passando  sopra  a  tutte  le  difficoltà  ed  alla  stessa 
opposizione  degli  abitanti  e  al  malcontento  dei  sudditi  (i),  era  una 
prova  di  buonvolere  e  un  tratto  di  grande  accorgimento  politico.  La 
ratifica  del  matrimonio  non  poteva  più  impensierirlo,  dal  momento  che 
la  Francia,  prendendo  possesso  dell'Astigiano,  s'era,  a  cosi  dire,  le- 
gate le  mani  da  sé  stessa.  Ed  io  credo  che  se  con  l'ambasciata  del 
Porro  nell'  *SS  Giangaleazzo  ottenne  tutto  quello  che  volle,  più  che  la 
benevolenza  del  re,  vi  contribuì  la  circostanza  che  la  Francia  non 
era  più  in  grado  di  disfare  il  già  fatto,  per  non  esporsi  al  pericolo 
di  compromettere  i  vantaggi  politici  che  il  matrimonio  Visconti  le 
aveva  procurato.  Adunque  è  vero  che  nel  maggio  1397  le  due  parti 
erano  egualmente  premurose  di  dare  esecuzione  al  contratto  di  ma- 
trimonio ma,  quando  il  Jarry  soggiunge  :  etj  par  conséquent,  disposées 
à  réuttir  les  deux  époux  sans  retard,  tira  una  conseguenza  arbitraria, 
una  conseguenza  che  non  scaturisce  rigorosamente  dalle  premesse. 
Eppure,  chi  lo  crederebbe?  queste  due  parti  che  nel  maggio  1387 
hanno  tanta  fretta  di  riunire  i  due  sposi,  tre  mesi  dopo,  nell'agosto, 
non  sanno  ancora  che  pesci  pigliare.  Andrà  o  non  andrà  Valentina 
in  Francia  ?  Mistero  !  En  aoùt  ijSj  on  ne  sait  pas  si  Valentine  re- 
joindra  san  époux  en  France,  ou  si  au  contraire^  le  due  de  Touraine, 
(Kcompagnatit  une  arntée  commandée  par  le  due  de  Bourbon  et  de- 
sUnée  à  conduire  Louis  II  à  Naples,  ou  rejoindra  sa  femme  à  Milan 
«  à  Pavie  pour  d'Asti  surveiller  l' Italie  centrale.  Per  fortuna, 
Luigi  II  non  si  mosse  e  la  spedizione  di  Napoli  non  ebbe  più  ef- 
fetto, altrimenti  il  duca  di  Touraine  avrebbe  corso  rischio  di  tro- 
vare bensì  la  moglie,  ma  senza  corredo  e  senza  un  soldo  di  dote. 
Giangaleazzo  allora  era  occupato  nella  guerra  contro  lo  Scaligero, 
e  nessuno  vorrà  credere  che  quello  fosse  tempo  da  festeggiamenti 
nuziali.  L'amico  Jarry  che  a  quella  ipotesi  si  è  lasciato  trarre  dalla 
sua  fervida  immaginazione,  non  dispera  che  da  un  momento  all'altro 
venga  fuori  un  documento  che  dimostri  come  qualmente  il  viaggio 
<li  Valentina,  circa  l'agosto  1387,  possa  essere  stato  oggetto  di  di- 

(i)  Cfr.  Ann.  Mediol.,  presso  Muratori,  R.  I.  S.,  XVI,  803. 


no  TORNANDOCI   SOPRA 

scussione  nel  consiglio  del  re.  In  attesa  che  arrivino  i  nuovi  docu- 
menti, atteniamoci  intanto,  prudentemente,  a  quelli  che  abbiamo,  e 
che  dimostrano  tutto  il  contrario. 

Senza  dubbio,  dice  il  Jarry,  le  condizioni  politiche  del  Pie- 
monte dopo  l'ottobre  1387,  poi  la  gravidanza  della  contessa  di 
Virtù,  che  diede  appiglio  a  nuovi  negoziati,  furono  le  cause  dirette 
nel  ritardo  nella  riunione  degli  sposi. 

È  proprio  la  tesi  del  sig.  Camus,  il  quale  dev'essere  ben  lieto 
di  aver  trovato,  dall'altro  versante  delle  Alpi,  un  cosi  valoroso 
ausiliario  (i). 

Dissi  già  le  ragioni,  né  occorre  qui  ripeterle,  per  cui  non  credo 
che  le  condizioni  del  Piemonte  abbiano  menomamente  influito  sul 
ritardo  in  questione.  Potrei  anzi,  se  ne  avessi  tempo  e  voglia,  di- 
mostrare al  Jarry,  che  lo  stato  di  guerra  in  Piemonte,  non  essendo 
Giangaleazzo  uno  dei  belligeranti,  non  era  molto  più  sfavorevole 
al  passaggio  di  Valentina  che  non  sarebbe  stato  un  periodo  di 
pace.  Questa  affermazione  può  sembrare  un  paradosso  solo  a  chi 
non  abbia  una  grande  famigliarità  coi  nostri  cronisti,  i  quali  pro- 
vano che,  se  la  guerra  era  un  flagello,  serviva  almeno  a  dare  una 
certa  disciplina,  una  certa  regolarità  a'  movimenti  di  quelle  bande 
mercenarie,  contro  cui  non  era  difficile,  all'occorrenza,  premunirsi,  e 
che  la  pace  era  non  di  rado  un  flagello  anche  maggiore,  perchè  le 
bande  licenziate,  rotto  ogni  freno  di  disciplina,  si  davano  airap)erta 
campagna,  sostituendo  allo  stato  di  guerra  regolare  quello  peggiore 
di  un  brigantaggio  disordinato.  Ma,  senza  troppo  insistere  su  questo 
punto,  io  osserverò:  le  condizioni  del  Piemonte  potrebbero  aver 
avuto  qualche  peso  nel  determinare  il  ritardo  del  viaggio  di  Va- 
lentina nel  solo  caso  che  si  potesse  dimostrare  che  Giangaleazzo 
abbia  mai  pensato  ad  effettuare  quel  viaggio  nel  corso  degli  anni 
1387-^.  Ma  se  i  documenti  provano  che  Giangaleazzo  non  ha  mai 
pensato  ne  potuto  pensare,  in  quel  tempo,  ad  un  simile  viaggio, 
tirare  in  ballo  le  condizioni  del  Piemonte  è  per  lo  meno  uno  spreco 
d' inchiostro. 

(1)  Il  Bollettino  storico  bibU  subalpino  (Anno  VI,  n.  3-4  pag.  298) 
constata  con  compiacenza  "  che  pur  ringraziando  il  Romano  per  la  co- 
municazione di  documenti,  l'illustre  storico  di  Luigi  d*Orléans  dichiara 
esplicitamente  accostarsi  alle  opinioni  del  Camus  e  del  Gabotto  (anche 
del  Gabotto  I),  del  quale  chiama  «  très  conscientieux  »  il  libro  sugli 
•  Ultimi  Principi  d'Acaia.  „  Ed  eccomi  beli'  e  liquidato  ! 


TORNANDCKI   SOPRA  III 

Quanto  alla  gravidanza  di  Caterina   Visconti,    escludo  assolu- 
tamente che  possa  aver  avuto  alcuna  influenza  sul  ritardo.  La  bi- 
blioteca Trivulziana  ci  ha  conservato  Tatto  di  procura  31  maggio 
13IB8  con  cui  Giangaleazzo  e  Valentina  danno  incarico  ad  Antonio 
Porro,  Faustino  dei  Lantani,  Bertramo  Guarco  ed  Andriolo  Arese 
(fi  recarsi  presso  il  duca  di  Touraine  e  richiedere  da  lui  Tatto  di 
ratìfica.  Questo  documento,  che   nel    codice  trivulziano  è  unito  ai- 
Tatto  di  ratifica  del  2  dicembre  *88,  meritava,  da  parte  del  Jarry  una 
più  seria  attenzione  (i).  Esso  prova  che,  se  Valentina  non  s*è  mossa 
da  Pavia,  è  perchè  la  ratifica    ducale  non  è    ancora    venuta  e,  se 
non  è  venuta,  è  perchè  le  due  parti  sono  d'accordo  sul    chiederla 
e  nel  darla  al  momento  opportuno.  Così  si  spiega  la   ragione  del 
ritardo  anteriore  e  quella  del  ritardo  posteriore.  Valentina  non  si 
moverà  che  quando  la  ratifica  sarà  giunta  a    Pavia  ed    essa  avrà 
fatto  i  preparativi  della  partenza.    Però  la   richiesta    della  ratifica 
dimostra  che  entriamo  ormai  nel  periodo  risolutivo,  e  non  a  torto 
il  documento    che  registra  il  pranzo  dato  dal    governatore    d'Asti 
al  Porro  e  ai  suoi  compagni  nel  giugno  dell*  '88  determina  lo  scopo 
del  viaggio  con  le  parole:  prò  complemento  matrimonii  domini  ducis. 
Anche  Giangaleazzo,  che  è  stato  molto  longanime  nelle   questioni 
del  sussidio,  ora  comincia  ad  essere  esigente.  Il  15  giugno  rimpro- 
vera il  podestà  e  il  referendario  di  Reggio  di  procedere  con  troppa 
lentezza  nell'esazione,  e  dice  che  d'ora  innanzi  saranno  sospesi  dallo 
stipendio  fino  a  che  il  sussidio  non  verrà  riscosso.  Il  6  settembre 
le  sollecitazioni  si  fanno  più  vive.  Giangaleazzo  dice   chiaramente 
che  i  termini  si  approssimano,  che  la  consumazione  del  matrimonio 
è  vicina.  Che  vuol  dir  questo?  vuol  dire  che  un  termine,  se  non 
ben  precisato,  almeno  approssimativo,  per  la  consegna  della  sposa, 
esisteva,  che  questo,  per  quanto  prossimo,  era  ancora  di  là  da  venire, 
e  che  se  Valentina  ha  ritardato  e  ritarderà  la  partenza,  la  gravidanza 
della  contessa  di  Virtù  non  ha  nulla  a  vedere  in  questa  faccenda. 
Se  la  gravidanza  di  Caterina   non  ebbe   alcuna   relazione  col 
ritardo  di  Valentina,  la  nascita  di  Giovanmaria  avvenuta  il  7  set- 
tembre '88  non    dovette   influire  che   indirettamente    sulla    risolu- 
zione  di   Giangaleazzo  di   chiedere,   per  mezzo    de'  suoi   amba- 
sciatori, qualche  modificazione  degl'impegni  assunti    nel  contratto 
di  matrimonio.  A  tenore  di    uno  degli  articoli    del    contratto,  egli 

{i)  Procura  e  ratifica  sono  nel  documento  riportato  in  appendice  a 
questo  scritto. 


112  TORNANDOCI  SOPRA 

doveva,  consumato  il  matrimonio  della  figlia,  far  giurare  i  sudditi 
e  gli  ufficiali  della  città  che  avrebbero  riconosciuto  come  eredi 
Valentina  e  i  suoi  figliuoli,  qualora  il  signor  di  Milano  fosse  morto 
senza  eredi  maschi.  Giangaleazzo,  che  all'epoca  del  contratto  do- 
veva aver  subito  di  mala  voglia  un  simile  impegno,  prese  proba- 
bilmente occasione  dalla  nascita  del  figlio  per  domandare  d'essere 
liberato  da  tale  obbligo.  Senza  dubbio  la  nascita  di  Giovanmaria 
non  eliminava  l'eventualità  prevista  dal  contratto,  sebbene  la  ren- 
desse meno  probabile,  ma  è  certo  che  la  prestazione  del  giura- 
mento doveva  riuscire,  per  lo  meno,  inopportuna  ora  che  il  signor 
di  Milano  aveva  un  erede  (i).  Ma  non  credo  che  questa  sia  stata 
né  la  sola  né  la  vera  ragione,  e  se  il  re  di  Francia,  nell'atto  in  cui 
liberava  Giangaleazzo  dall'obbligo  contratto,  disse  che  v'era  stato 
indotto  multis  rationibus  et  causis  per  ipsos  (wtbaxiatores  nobis  ore- 
tentis  explicatis  et  in  scriptis  positis,  dobbiamo,  meglio  che  non 
abbia  fatto  il  Jarry,  cercare  di  sapere  quali  possano  essere  state 
queste  ragioni  per  indurre  il  re  di  Francia  a  cedere  sopra  un  punto 
tanto  importante.  Ora  io  penso  che,  a  meno  di  ammettere  che 
Giangaleazzo,  accettando  quella  clausola,  non  ne  avesse  misurata 
tutta  la  gravità  (ciò  che  mi  pare  poco  probabile),  egli  aveva  già 
in  mente,  fin  dal  tempo  della  redazione  del  contratto,  di  esseme, 
in  qualunque  modo,  esonerato  più  tardi.  Quella  clausola  era  giu- 
ridicamente nulla  e  politicamente  pericolosa.  Signore  di  fatto,  che 
governava  lo  stato  milanese  solo  in  virtù  di  un  diploma  di  vica- 
riato (2),  che  diritto  aveva  egli  di  disporre  della  successione,  e  di 
una  successione  femminile,  ricorrendo  ad  un  atto  arbitrario  qual 
era  il  giuramento  imposto  ai  sudditi  ed  agli  ufficiali  dello  stato? 
e  quali  garanzie  poteva  dare  un  giuramento  prestato  in  condizioni 
sì  singolari?  Giangaleazzo  doveva  ben  prevedere  che,  nelle  condi- 
zioni ancora  incerte  in  cui  versava  lo  stato,  con  tanti  nemici  occulti 
e  palesi  che  lo  circondavano  d'ogni  lato,  l'obbligo  del  giuramento 
sarebbe  stato  causa  di  disordini  e  di  ribellioni,  ed  avrebbe  potuto 

(1)  Si  rammenti  che^  nell'ottobre  dell'  '88,  poco  dopo  la  nascita  di 
Giovanmaria,  Giangaleazzo  fece  prestare  a'  rappresentanti  di  Milano  il 
giuramento  di  fedeltà  a  lui  e  a  suo  figlio  colla  promessa  di  osservare 
il  testamento  da  lui  fatto  in  quella  circostanza  (Corio,  Storia  di  Mi- 
lano,  II,  346),  È  noto  che  questo  documento  non  ci  è  pervenuto. 

(2)  Cfr.  il  mio  Niccolò  Spinelli,  ecc.  in  Arch.  Stor,  Nap.,  an,  XXVI, 
pag..  473. 


TORNANDOCI  SOPRA  II3 

provocare  anche  T  intervento  imperiale  e  la  revoca  del  suo  diploma 
di  vicario. 

Queste  ragioni  erano  troppo  gravi  perchè  Carlo  VI  non  do- 
vesse esseme  scosso.  Se  la  Francia  aveva  delle  mire  sullo  stato 
di  Milano,  doveva  cominciare  dal  non  creare  troppi  imbarazzi  al 
suo  alleato  e  non  metterlo,  ancora  vivente,  alle  prese  coi  sudditi 
t  coir  imperatore.  Così  fu  redatta  la  dichiarazione  del  2  dicembre 
1388(1)  con  la  quale  Carlo  VI,  a  richiesta  degli  ambasciatori  mi- 
lanesi, liberava  Giangaleazzo  dall'obbligo  del  giuramento,  avendo, 
soggiungeva  il  re,  piena  fiducia  che  egli,  Giangaleazzo,  in  caso  di 
morte  senza  eredi  maschi,  farà  in  modo  che  Valentina  o  i  suoi 
figliuoli  siano  messi  in  possesso  dell'eredità,  giusta  quanto  è  sta- 
bilito nel  contratto,  dal  quale  il  re  non  intende  derogare  in  nes- 
suna parte,  tranne  in  quella  che  riguarda  il  giuramento  e  nelle 
altre  modificazioni  apportate  con  le  sue  lettere  patenti  (2).  (Di 
queste  parleremo  or  ora). 

Orbene,  sulla  portata  di  quest'atto  non  può  cadere  il  menomo 
dubbio.  In  virtù  del  contratto,  Giangaleazzo  promette: 

I.*  che,  morendo  senza    figli  maschi,  lascerà  eredi    del  suo 
stato  Valentina  e  i  suoi  figliuoU; 

2.^  che  obbligherà  i  sudditi  a  giurare  di  riconoscere  tale  suc- 
cessione, qualora  il  caso  contemplato  nel  contratto  si  avveri. 

L'atto  nuovo  del  2  dicembre  mantiene  immutata  la  prima  obbli- 
gazione, ma  sopprime  la  seconda,  lasciando  libero  Giangaleazzo  di 
assicurare  i  diritti  di  Valentina  e  dei  suoi  figliuoli  nel  miglior  modo 
che  crederà.  La  cosa  è  evidente.  Ma  così  evidente  non  pare  sia  stata 
pel  signor  Jarry,  il  quale  sentenzia  che  «  malgré  la  clause  de  non  dé- 

*  rogation  qui  termine  cet  acte,  on  peut  le  considérer  comme  une 

•  abrogation  pure  et  simple  de  Tarticle  du  contrat,  puisque  le  sei- 
■  gneur  de  Milan  reste  maitre  de  disposer  de  sa  succession,  »  Il  Jarry 

(i)  Jarry,  pag.  18,  doc  I. 

(2)  u  .^.  habentes  in  ipso  comite  confìdentiam  pleniorem,  quod  circa 
contenta  in  dictis  capitulis,  adveniente  casa  de  quo  in  ipsis  fit  mencio, 
taliter  providebit,  eiusque  libere  dispositioni  reliquentes  ut  providerc 
possit,  iUis  melioribus  modis  qui  sibi  videbuntur,  quod  prefata  Valen- 
tina nata  sua  eiusque  liberi  de  dicto  matrimonio  procreandi  suum  de- 
bitum  consequentur  circa  eius  successionem  prout  inter  ipsas  partes 
expactumitit  et  conventum.  Non  intendentes  per  aliqua  suprascripta  de- 
rogare nec  innovare  circa  alia  in  dicto  tractatu  matrimonii  contenta  etc  „. 

Arch.  Star,  Lomb^  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIII.  8 


114  TORNANDOCI   SOPRA 

non  ha  letto  attentamente  la  dichiarazione  reale  del  2  dicembre 
1388,  altrimenti  non  sarebbe  giunto  a  una  interpretazione  così  fal- 
lace. Giangaleazzo  non  resta  padrone  di  disporre  della  successione, 
resta  soltanto  padrone  del  modo  migliore  di  assicurare,  in  caso  di 
morte  senza  figli  maschi,  la  successione  di  Valentina.  E  l'assicurò 
così  bene  che  quando  per  testamento  volle  stabilire  V  ordine  di 
successione,  vi  inserì  quella  clausola  fidecommissaria  a  favore  degli 
eredi  di  Valentina,  che  turbò  i  sonni  di  Francesco  Sforza  e  di  Lu- 
dovico il  Moro,  e  diede  appiglio  a'  duchi  d'Orléans  di  elevare  delle 
pretese  sul  ducato  di  Milano.  Quella  clausola  non  scaturiva  né  dal 
contratto  del  27  gennaio  1387  e  neppure,  come  pretende  il  Jarry, 
dall'atto  reale  2  dicembre  1388.  L'uno  e  l'altro  ammettevano  la 
successione  di  Valentina  nel  solo  caso  che  Giangaleazzo  fosse  morto 
senza  eredi  maschi,  il  qual  caso  non  si  avverò.  Sicché  l'aggiunta 
della  clausola  fidecommissaria  del  testamento  giangaleazzino  fu  un 
atto  di  mera  liberalità  del  principe,  compiuto  in  piena  libertà  e  di 
sua  spontanea  iniziativa. 

Un  secondo  atto  di  Carlo  VI,  pure  in  data  del  2  dicembre 
1388  (i)  modificava  e  chiariva,  a  richiesta  del  Porro  e  dei  suoi 
compagni  d'ambasciata,  alcuni  articoli  del  contratto  relativi  al  pa- 
gamento della  dote  e  della  diflferenza  in  meno  risultata  dalla  va- 
lutazione effettiva  del  reddito  astigiano.  Tra  le  modificazioni  è 
notevole  specialmente  quella  che  riduceva  da  300  a  200  mila  fio- 
rini la  somma  da  versarsi  l'indomani  della  consumazione  del  ma- 
trimonio, accordando  pel  pagamento  degli  altri  100  mila  la  dila- 
zione di  un  anno  (2).  Ciò  conferma  ancora  una  volta  la  grande  im- 
portanza che  ebbe  per  il  signor  di  Milano  il  lato  finanziario  del  ma-* 
trimonio,  e  dimostra  che,  se  a  lui  non  era  impossibile  prestare 
60,000  fiorini  al  duca  di  Borgogna,  non  era  neppure  così  facile 
affrontare  la  spesa  di  parecchie  centinaia  di  migliaia  di  fiorini  dopo 
due  guerre  dispendiose  che  avevano  esaurito  il  tesoro  dello  stato. 

Potrà  far  meraviglia  che  Carlo  VI  accondiscendesse  così 
presto  alle  domande  del  Visconti  ;  ma,  prescindendo  anche  da  ciò 
che  queste  domande  avevano  di  ragionevole,  e   a  cui  abbiamo  in 

(i)  Jarry,  pag.  19. 

(2)  Io  vado  pensando  che,  per  l'ottenuta  riduzione  della  prima  rata 
di  pagamento,  Giangaleazzo  si  sia  limitato  a  chiedere  nel  marzo  delll'  '89. 
un  sussidio  minore  di  quello  richiesto  la  prima  volta. 


TORNANDOCI   SOPRA  II5 

parte  accennato,  non  dobbiamo  dimenticare  che  la  Francia  s'era 
già  troppo  legata  al  Visconti,  per  voler  compromettere  la  posizione 
acquistata  in  Italia  in  seguito  alla  presa  di  possesso  dell'Astigiano. 
Da  questo  lato  il  Visconti  aveva  dimostrata  tanta  lealtà  e  buon 
volere,  che  mostrarsi  arrendevole  verso  di  lui  era,  più  che  un  do- 
vere di  benevolenza,  un  atto  di  saggia  politica.  Giangaleazzo  seppe 
dal  canto  suo  trarre  il  miglior  partito  da  tali  disposizioni  della 
corte  francese,  sia  coll'ottenere  che  l'asprezza  di  certe  obbligazioni 
impostegli  venissero  mitigate,  sia  con  l'alleggerire  a'  sudditi,  evi- 
tando ogni  metodo  vessatorio,  1*  onere  gravissimo  del  contributo 
dotale. 

Queste  considerazioni  che  scaturiscono  direttamente  dall'esame 
obbiettivo  dei  nuovi  documenti  pubblicati,  mentre  da  un  lato  c'il- 
luminano sempre  meglio  sulla  vera  natura  di  quell'importante  atto 
politico  che  fu  il  matrimonio  di  Valentina  Visconti,  dall'altro  non 
fanno  che  confermare  sostanzialmente  quello  che  io  scriveva  quattro 
anni  addietro,  e  che  ho  voluto  ripetere  in  principio  di  questo 
articolo. 

Siamo  certamente  molto  lontani  dal  sapere  tutto  quello  che  vor- 
remmo; ci  aggiriamo  ancora  in  un  campo  non  scevro  di  dubbi  e  di 
lacune.  Ma  ho  fede  che,  continuando  nelle  ricerche,  anche  queste 
lacune,  anche  questi  dubbi  scompariranno,  purché  nello  studiare  i 
documenti  si  porti  serenità  di  animo  e  giusta  dirittura  di  giudizio, 
si  sappia  far  tacere  l'amor  proprio  innanzi  alle  ragioni  della  ve- 
rità, e  si  abbia  il  coraggio  di  dire,  accorgendoci  di  aver  torto: 
abbiamo  sbagliato  ! 

G.  Romano. 


DOCUMENTO 


Ralificatio  fatta  per  dominum  ducetti   Turoniae  prò  matrimonio  con- 

tracto  per  procuratores  suos. 


In  nomine  domini  Amen.  Anno  a  nativitate  eiusdem  millesimo 
trecentesimo  octuagesimo  octavo  Indiclìone  duodecima  ad  morem 
gallicane  patrie  die  secunda  mensis  decembris  Pontìfìcatus  sanctia- 
simi  in  Xpo  patris  et  domini  domini  Ciementis  divina  providentia 
pape  septimi  anno  undecimo.  Per  hoc  presens  publicum  Instru- 
mentum cunctis  pateat  evidenter  quod  in  domini  nostri  Regis  fran- 
corum  et  dominorum  ducum  Biturie  et  Burgundie  patruorum  suo- 
rum  ac  domini  ducis  Burbonie  avunculi  sui  nec  non  testìum  et 
notarij  ìnfrascriptorum  presentia  personaliter  con&titutus  Illusttis 
princeps  et  domìnus  dominus  Ludovicus  germanus  dicti  domini 
nostri  regis  dux  turonie  comesque  Valesij  et  bellimontis  super 
Ysaram  presente  auctorisante  et  consentiente  prefato  domino  nostro 
rege  ac  plenam  licentiam  dante  et  concedente  eidem  domino  Lu- 
dovico germano  suo  infrascripta  specialiter  peragendi  et  complendi 
asserens  se  habuisse  et  habere  certam  scientiam  et  plenam  notitiam 
de  matrimonio  annuente  deo  solemniter  celebrato  et  contraete  per 
et  ìnter  Reverendum  in  Xpo  patrem  et  dominum  dominum  Petrum 
dei  gratta  parisiensem  episcopum  egregium  militem  dominum  Ray- 
naldum  de  corbeya  primum  in  parlamento  parisiensi  presidentero 
ac  sapientem  et  circumsptectum  virum  magistnim  lohannem  de 
bordis  secretarium  domini  nostri  regis  procuratores  et  nuncios  spe- 
ciales  prefati  Illustris  prìncipis  domini  ducis  turonie  ex  parte  una 
et  Illustrum  dominam  dominam  Valentinam  natam  Illustris  prìncipis 
et  magnifici  domini  Johannis  galeaz  vicecomitis  et  domini  Medio- 
lani  comitis  virtutum  et  imperialis  vicarìj  generalis  ex  parte  altera 
"em  matrimonio  contraete  ut  supra  -constat  plenius  pu- 
lento  rogato  et  tradito  per  Pasquinum  de  capelits  no- 
ecretarium  prefati  domini  comitis  anno  a  nativitate 
nini  millesimo  trecentesimo  octuagesimo  septimo  die 
is  decima  Indictione  nec  non  de  promiss  io  nibus  factis 


I 


TORNANDOCI  SOPRA  II7 

per  dictos  procuratores  suos  videlicet  de  faciendo  et  curando  cum 
effectu  quod  dictus  dominus  dux  turonie  personaliter  et  non  per  pro- 
curatorem  dictum  matrimonium  aprobabit  ratificabit  et  solempniter 
confinnabit  et  ad  cautelara    de   novo   solempne  matrimonium   per 
verba  de  presenti  contrahet  cum  dieta  domina  Valentina  prout  de 
ipsis  promissionibus  et  aliis   constat  plenius  solempni    et    publico 
Instnimento  rogato  tradito  et  subscripto  per  supradictum  Pasquinum 
de  capellis  notariura  et  secretarium  ut  supra  anno    die    mense   et 
indictione  proxime  suprascriptis  Sponte  et  ex  certa  scientia  ac  de- 
liberato proposito  et  cum  beneplacito  et  consensu    prefati   domini 
nostri  Regis  nec  non  prefatorum  dominorum  ducum    Biturie   Bur- 
gundie  et  Burbonie  patruorum  et  avunculi  suorum  ac  in  presentia 
et  ad  instantiam  et  requisitionem  spectabilis  et  egregij  millitis  do- 
mini Anthonij  de  porris  comitis  Polentij  egregij    et   sapientis  viri 
donùni  Faustini  de  Lantanis  legum  doctoris   nobilium    et    circum- 
spectonim  virorum   Bertrami  de  Guaschis   gubernatoris    comitatus 
virtutum  et  Andrioli    de   Arisijs   procuratorum   ambassiatorum    et 
nundonim  specialium  prefatorum  domini  comitis  virtutum  et  domine 
Valentine  et  cuiuslibet  eorum  ad  hec  et  alia  infrascripta  solempniter 
et  legitime  constitutorum  prout  constat  plenius  publico  instrumento 
tradito  et  rogato  per  Johannem  de  sancto  meniate  publicum  imperiali 
auctoritate  notarium  die  ultimo  mensis  maij  anno  millesimo  trecen- 
tesimo octuagesimo  octavo  indictione  undecima  secundum  cursum 
et  stillum  civitatis  Papié  cuius  quidem  procuratorij  tenor  sequitur 
in  hac  forma: 

«  In  nomine  Domini  Anno  a  nativitate  eiusdem  millesimo  tre- 

*  centesimo  octuagesimo  octavo  Indictione  undecima  die  ultimo 
»  mensis  maij  hora  vigesima  prima  secundum  morem  et  stillum 
«  civitatis  Papié.  Pateat  universis  et  singulis  presens  instrumentum 

*  publicum  inspecturis  quod  Ulustris  princeps  et  magnificus  dominus 
•»  dominus  Johannes  galeaz  vicecomes  comes  virtutum  dominus  me- 
«  diolani  Imperialis  vicarius  generalis  et  Ulustris  et  inclita  domina 
*•  Valentina  eius  nata  et  consors  legitima  Ulustris  principis  et  pre- 
«  potentis  domini  Ludovici  ducis  turonie  ac  comitis  valesij  et  bel- 
•*  limontis  super  hisaram  Ducissa  et  comitissa  ut  supra  verbo  con- 
«  sensu  et  auctoritate  prefati  domini  Johannis  galeaz  genitoris  sui 
«  ibi  presentis  auctorisantis  et  consentientis  diete  nate  sue  ad  in- 
•«  frascripta  omnia  et  singula  peragenda  et  complenda  et  quilibet 

*  ipsorum  patris  et  filie  communiter  et  divisim  sponte  et  certa 
■  scientia  oninique  modo  jure  forma  et  causa  quibus  melius  et 
«  validius  potuerunt  et  possunt  fecerunt  constituerunt    et   ordina- 


Il8  TORNANDOCI  SOPRA 

«  verunt  faciunt  constituunt  et  ordinant  Spectabilem  et  egregium 
u  millitem  dominum  Anthonium  de  porris  comitem  polentij  egre- 
«  gium  et  sapientem  virum  dominum  Faustinum  de  Lantanis  legum 
a  doctorem  consiliarios  prefati  domini  ibi  presentes  nec  non  egre- 
u  gios  et  circumspectos  viros  Bertramum  de  guaschis  Gubernatorem 
«  comitatus  virtù tum  et  Andriolum  de  arisijs  secretarium  prefati  do- 
u  mini  absentes  tamquam  presentes  suos  et  cuiuslibet  ipsorum 
u  constituentium  veros  legitimos  et  indubitatos  procuratores  nego- 
«  tiorum  gè  Stores  actores  commissarios  ambassiatores  et  nuncios 
u  speciales  et  quidquid  melius  dici  seu  censeri  possunt  et  quemlibet 
a  ipsorum  in  solidum  ita  quod  occupantis  conditi©  melior  non 
u  existat  sed  quidquid  unus  eorum  inceperit  alter  persequi  possit 
«  mediare  et  finire  nominatim  ac  specialiter  et  expresse  ad  postu- 
u  landum  et  cum  instantia  requirendum  a  prefato  Illustri  principe 
«  et  domino  domino  duce  turonie  quod  intervenientibus  et  adhibitis 
u  solempnitatibus  debitis  et  opportunis  ratificet  approbet  et  con- 
u  firmet  matrimonium  cooperante  altissimo  celebratum  et  perfectura 

u  inter  Reverendum  in  Xpo  patrem  et  dominum  dominum  Petrum 
«  dei  gratia  parisiensem  episcopum  egregium  militem  Raynaldum 
u  de  Corbeya  primum  in  parlamento  parisiensi  presidentem  et  sa- 
«  pientem  et  circumspectum  virum  magistrum  Johannem  de  bordes 
«  secretarium  prefati  Regis  procuratores  commissarios  ambassia- 
u  tores  et  nuncios  speciales  et  procuratorio  nomine  prefati  Ulustris 
«  principis  et  domini  domini  ducis  turonie  ex  parte  una  et  pre- 
«  fatam  Illustrem  dominam  Valentinam  ducissam  et  comitissam 
u  ut  supra  ex  parte  altera  et  omnia  et  singula  acta  gesta  per  dictos 
u  procuratores  in  contractu  dicti  matrimonij  de  quo  extat  instru- 
«  mentum  publicum  et  solempne  rogatum  et  traditum  per  egregium 
«  et  circumspectum  virum  Pasquinum  de  capellis  publicum  impe- 
u  riali  auctoritate  notarium  ac  secretarium  prefati  domini  comitis 
u  virtutum  die  octavo  aprilis  anno  domini  millesimo  trecentesimo 
«  octuagesimo  septimo  decima  indictione  quodque  idem  illustris 
u  princeps  d  ominus  dux  turonie  de  novo  ad  cautelam  solempniter 
«  matrimonium  contrahat  cum  eadem  domina  Valentina  seu  cum 
u  prenominatis  ipsius  domine  Valentine  procuratoribus  et  procu- 
«  ratorio  nomine  per  verba  de  presenti  ad  hec  apta  mutuo  con- 
«  sensu  interveniente  prout  postulat  ordo  juris.  Quos  quidem  pro- 
M  curatores  et  quemlibet  eorum  in  solidum  ipsa  illustris  domina 
«  Valentina  verbo  consensu  et  auctoritate  paternis  constituit  et 
«  ordinavit  ac  constituit  et  ordinat  specialiter  ad  ipsum  matrimo- 
u  nium  de  novo  ad  cautelam  solempniter  et  legitime  per  verba  de 


TORNANDOCI   SOPRA  II9 

«  presenti  contrahendum  et  hec  omnia  iuxta  promissa  per  dictos 
«  procuratores  prefati  domini  ducis  prelibatis  Illustri  principi  et 
«  domino  domino  Johanni  galeaz  et  Illustri  domine  Valentine  nate 
«  sue  de  quibus  promissis  constat  solempni  et  publico  instrumento 
«  rogato  tradito  et  subscripto  per  supradictum  Pasquinum  de  ca- 
»  pellis  notarium  et  secretarium  anno  die  mense  millesimo  et  in- 
«  dictione  suprascriptis  et  ad  recipiendum  et  acceptandum  nomine 

*  et  vice  prefati  domini  Johannis  galeaz  et  prefate  domine  Valen- 
«  tine  et  cuiuslibet  seu  alterius  eorum   secundum    quod   ipsos   et 

*  unumquemque  eorum  seu  alterum  eorum  tangunt  et  concemunt 

*  omnia  et  singula  supradicta  fienda  per  prefatum  dominum  ducem 

*  ut  supra  cum  quibuscumque  promissionibus  obligationibus  solem- 
«  pnitatibus  et  clausulis  opportunis  et  utilibus  ad  predicta  vel 
«  aliquid  predictorum.  Et  ad  faciendum  et  firmandum   vice   versa 

*  nomine  prefatorum  domini  comitis  et  domine  ducisse  et  cuiuslibet 
«•  eorum  omnes  et  singulas  promissiones  obligationes  solempnitates 
«  et  clausulas  utiles  et  necessarias  ad  predicta  et  quodlibet   pre- 

*  dictorum  et  prò  predictis  et  quolibet  eorum  vel  eorum  occasione 
«  et  in  similibus  fieri  consuetas  maxime  secundum  usum  et  stillum 
«  patrie  gallicane.  Et  omnia  et  singula  que  prefati  dominus  comes 
«  et  domina  ducissa  constituentes  et  quilibet  ipsorum  dictis  procu- 
-  ratoribus  suis  et  cuilibet  eorum  in  solidum  plenum  liberum  ge- 
«  nerale  et  speciale  mandatum  cum  piena  libera  generali  et  speciali 
«  administratione  ac  potestate  in  premissis  et  quolibet  premissorum 
«  et  circa  ea  et  in  connexis  et  dipendentibus  ab  eisdem  firmum 
«  ratum  et  gratum  tenere  et  habere  solempniter  promitentes  quid- 
«  quid  per  dictos  procuratores  suos  et  quemlibet  vel   alterum    ex 

*  eis  dictum  gestum  procuratum  vel  ordinatum  fuerit  in  predictis 
«  et  circa  predicta  vel  aliquod  predictorum  sub  omnium  suorum  et 
«  cuiuslibet  eorum  constituentium  ypotheca  et  obligatione  bonorum 
a  presentium  et  futurorum.  Rogantes  quoque  me  notarium  infra- 
«  scriptum  michique  mandantes  quatenus  de  predictis  unum  aut  plura 
«  publica  instrumenta  unius  eiusdemque  tenoris  conficere  debeam. 
«  Actum  Papié  in  camera  cubicularia  prefati  Dlustris  principis  et 
«  magnifici  domini  domini  comitis  virtutum  sito  in  castro  magno 
«  prefati  domini  presentibus  spectabilibus  et  egregijs  millitibus 
«  dominis  Manfredo  marchione  Salutiarum  Spineta  marchione  (?) 
«  omnibus  consiliarijs  prefati  domini  ac  egregio  et  circuijispecto 
«  viro  Pasquino  de  capellis  secretarlo  prefati  domini  et  Gurrono 
«  de  Lampugnano  omnibus  testibus  notis   ydoneis  rogatis   et   ad 

*  predicta  specialiter  adhibitis  et  vocatis. 


I20  TORNANDOa   SOPRA 

approbavit  ratifica vit  et  solempniter   confirma vit   ac   approbat   ra- 
tificat   et   confirmat   per  presens   publicum   instrumentum   dictum 
matrimonium   ut   premittitur   celebratum    per   dictos    procuratores 
suos  eius  nomine  ex  parte  una  et  prefatam  dominam   Valentinam 
ex  parte  altera  et  omnia  acta  gesta  et  promissa  per   ipsos  procu- 
ratores suos  prò  dicto  matrimonio  et   occasione  matrimoni j    ante- 
dicti  et  ad  cautelam  de  novo  contraxit  et   contrahit   matrimonium 
verum  legitimum  et  solempne  per  verba  de  presenti    cum    preno- 
minantis  procuratoribus  prefate  domine  Valentine  ad  hec  specialiter 
et  legitime  constitutis  ibi   presentibus    agentibus    et    recipientibus 
nomine  et  vice  ipsius  domine  Valentine.  Dicens  et  expresse    pro- 
testans  sepefatus  dominus   dux   turonie   quod    ipse   accìpiabat    et 
accipit  prefatam  dominam  Valentinam  in  suam  legitimam    uxorem 
et  consortem  et  in  ipsam  et  dictos  procuratores  suos  eius  nomine 
consentiit  et  consentit  per  verba   ad    hec   apta   tamquam    in    eius 
veram  et  legitimam  uxorem.  Et  viceversa  dicti  procuratores  prefate 
domine  Valentine  de  novo  contraxerunt  et  contrahunt  ad  cautelam 
nomine  diete  domine  Valentine  et  prò  ea  matrimonium  per  verba 
de  presenti  cum  prefato  domino  Ludovico  duce  turonie  ibi  presente 
et  acceptante  dicentes  et  protestantes  dicti  procuratores   dicto  no- 
mine quod  ipsi  dicto  nomine  accipiebant  et  accipiunt  prefatum  do- 
minum   Ludovicum   ducem   turonie   prò    viro    et    marito    legitimo 
prefate  domine  Valentine  et  in  ipsum  dominum   Ludovicum    con- 
sentierunt  et  consentiunt  per  verba  de  presenti  ad  hec  apta  ut  et 
tamquam  in  verum  matrimonium  (sic)  prefate    domine   Valentine. 
Promittentes  sibi  ad  invicem  solempni  stipulatione  hinc  inde  partes 
predicte  modis  et  nominibus  quibus  supra  predicta  omnia  et    sin- 
gula  perpetuo  firma  rata  et  grata  habere  tenere  attendere  et  adim- 
plere  et  inviolabiliter  observare    et   non   contrafacere    nec    venire 
aliqua  ratione  vel  causa  directe  vel  indirecte  nec  aliquo  modo  vel 
ingenio  de  jure  nec  de  facto.  Super  quibus  diete  partes  quo  supra 
nomine  petierunt  per   me   notarium   infrascriptum   fieri   publicum 
instrumentum.  Acta  fuerunt  hec  apud  malum  dumum  prope  Ponti- 
saram  anno  die  mense  indictione  et  pontificatu  predictis  presentibus 
ad  hec  dictis  dominis  ducibus  Biturie  Burgundie  et  Borbonesij  do- 
mino Oliverio  domino  de  eliconio  connestabulario  francie  et  dominis 
de  libereto  et  de   riparia   testibus    ad    hec    vocatis    specialiter    et 
rogatis. 

(Bibl,  Trivuiaiana.  Cod.  n.  1332,  f.  29-35). 


NOTIZIE  SPARSE 

SUL   SANT'OFFICIO   IN  LOMBARDIA 

DURANTE   I   SECOLI   XVI   E   XVH 


ONO  semplici  appunti  tratti  da  volumi  manoscritti,  appar- 
tenuti al  S.  Officio  di  Bologna  ed  ora  posseduti  dalla 
Biblioteca  comunale  di  quella  città.  E,  ciò  che  è  peg- 
gio, sono  appunti  sparsi,  franunentarl,  riferentisi  bensì  ad  un  unico 
s(^etto,  ma  slegati  e,  alcuni,  incompiuti.  In  cosifiFatta  materia  però, 
dove  ancora  tutto  o  quasi  tutto  manca,  anche  queste  briciole  pos- 
sono avere  un  certo  valore,  in  vista  d'una  storia  della  riforma  re- 
ligiosa in  Italia  ancora  di  là  da  venire.  Questa  ragione,  sebbene 
un  pò*  speciosa,  valga  a  me  di  scusa  presso  i  lettori  se  adempio 
tanto  meschinamente  la  promessa  ad  essi  fatta  altra  volta  in  questo 
stesso  periodico  (i). 

Per  quanto  riguarda  le  terre  lombarde  obbedienti  alla  repub- 
blica di  Venezia,  anco  da  questi  appunti  appare  evidente  il  per- 
petuo contrasto,  in  materia  d'Inquisizione,  tra  la  potestà  laica  e 
Tecclesiastica,  l'una  ostinata  nel  voler  rispettati  i  propri  diritti, 
l'altra  tentante  in  tutti  i  modi  di  rompere  i  freni  delle  leggi  e  di 
avere  le  mani  libere  (2). 

(i)  Vedi  Archivio,  XXII,  1895. 

{2)  Biblioteca  comunale  di  Bologna  :  Decreta  S.  Congregationis  S,  Of- 
ficH,  grosso  volume  manoscritto,  compilato  nel  1669,  dove  i  decreti  sono 
disposti  per  ordine  alfabetico.  A  carte  32  il  frate  compilatore  aggiunge 
le  seguenti  note  :  **  I  Venieti  vogliono  che  ai  processi  assistano  i  Ret- 
'  tori  o  un  loro  vicario  o  altra  persona  da  loro  nominata,  in  venin 
'  modo  dipendente  dalla  Curia  Romana.  Gli  assistenti   non   giurano  il 

*  silenzio,  ma  delle  cose  più   gravi   riferiscono    al  Principe.  Assistono 
'  a  tutto  il  processo  e  si  nota  negli  atti  la  loro  presenza  ;  anche  trat- 

*  tandosi  dì  cosa  di  lieve  momento,  devono  sempre  intervenire,  e  senza 


122  NOTIZIE   SPARSE 

È  un  curioso  contrasto,  ora  più  ora  meno  aspro  ed  acuto,  se- 
condo i  momenti  politici  e  secondo  le  persone  che  si  trovano  nella 
lizza;  un  contrasto  seminato  di  compromissioni,  [di  violenze,  di 
astuzie,  di  debolezze,  nel  quale  a  volta  a  volta  ciascuno  dei  conten- 
denti ha  la  sua  sconfitta  e  la  sua  vittoria.  La  Curia  romana,  che 
sa  d'avere  un  avversario  difficile  e  poderoso,  giuoca  d'accorgimenti, 
e  spesso  tenta  di  conseguir  di  traverso  quanto  non  può  avere  per 
la  via  diritta:  il  Senato  veneziano,  sempre  ossequioso  a  parole, 
cerca  di  tener  testa  alle  pretensioni  degl'inquisitori  e  del  nunzio 
apostolico  e  non  cede  che  quando  il  caso  è  disperato,  pronto  a  ri- 
valersi ad  usura  alla  prima  occasione  che  si  presenti  propizia. 

Ma  veniamo  senz'altro  alle  notizie  spigolate  nei  nostri  mano- 
scritti. 

Nel  gennaio  del  1588  era  stato  arrestato  come  relapso  certo 
G.  B.  Betanio,  bergamasco.  Sebbene  la  cattura  fosse  avvenuta  fuori 
del  dominio  veneto,  tuttavia  per  il  conseguente  procedimento  il  reo 
avrebbe  dovuto  essere  condotto  a  Bergamo,  e  del  fatto  sarebbe 
stato  obbligo  d'avvertire  l'autorità  civile. 

Ma  il  vescovo  e  l' inquisitore  della  città,  gelosi  dell'autorità  pro- 
pria e  memori  dei  fastidi  e  degl'inciampi  che  il  S.  Officio  aveva 
avuto  negli  anni  antecedenti  per  parte  dei  rettori  veneti,  seppero 
condurre  le  cose  tanto  destramente  che  l' imputato  potè  di  soppiatto 
essere  trasportato   a  Roma  nelle  carceri   di  quel  S.  Officio  (i),  e 

*^  di  loro  i  processi  sono  nulli.  Curano  che  senza  licenza  del  Principe 
"  non  si  mandino  né  processi  né  carcerati  fuori  del  dominio  :  non  con- 
"  cedono  l'arresto  di  nessuno  se  non  dopo  un  processo  informativo,  al 

*  quale  pure  devono  assistere.  L'ii  ottobre  1597  il  Governo  impone  ai 
**  Rettori   di   non  lasciar  incarcerare   dal   S.    OflScio    se   non  persone 

*  espressamente  eretiche,  e  nel  caso  dubbio,  avvertirne  il  Principe.  In 
**  casi  di  malefici,  bestemmie,   sortilegi,  se  c'entra   eresia,   si   tratta   la 

*  cosa  dal  foro  secolare  e  dal   S.  OflScio,   ciascuno   per   la   parte   sua. 

*  Non  permettono  che  si  proceda  per  proclama  contro  chi  va  oltre 
"  monti  per  mercatura  ;  l' inquisitore  proceda  singolarmente,  secondo 
"  le  notizie  che  avrà.  Non  permettono  di  confiscare  i  beni  degli  ere- 
**  tici  ed  inquisiti,  ma  vogliono  che  in  essi  beni  succedano  gli  eredi  le- 
**  gittimi.  L' inquisitore  non  deve  far  precetti  agli  osti,  alle  comunità,  ai 
"  giusdicenti  su  cose  che  riguardano  il  loro  mestiere  e  ramministra- 
**  zione  della  giustizia.  , 

(i)  I  carcerati  dalle  -varie  sedi  del  S.  Officio  di  Lombardia,  quando 
il  processo  non  si  compiva  sul  luogo,  si  mandavano  a  Roma  per  la  via 


SUL  SANX'UFFiaO   IN   LOMBARDIA  I23 

sottratto  così  ad  ogni  ingerenza  dei  magistrati  laici,  contrariamente 
alle  disposizioni  del  governo.  I  rettori  di  Bergamo  rimasero  male, 
ma  reputarono  miglior  partito,  a  cose  compiute,  trattenersi  dal  fare 
vane  rimostranze  :  in  compenso  però  la  Sacra  Congregazione  ro- 
mana il  16  e  il  18  gennaio  scrisse  al  vescovo  e  all'inquisitore,  pro- 
fondendo ampie  lodi  alla  loro  prudente  diligenza  (i). 

Di  lì  a  quattr'anni,  il  30  novembre  1592,  la  S.  Congregazione 
di  Roma  scrive  di  nuovo  al  vescovo  e  ali*  inquisitore  di  Bergamo 
una  lunga  lettera  nella  quale  ordina  loro  di  pubblicare  un  editto 
contro  quelli  che  tenevano  libri  proibiti,  specialmente  le  opere  del 
Machiavelli;  di  non  concedere  più  ad  alcuno  licenza  di  leggerne, 
e  di  revocarla  se  mai  a  taluno  fino  allora  l'avessero  concessa  (2). 
Neppur  questo  era  consentito  dai  decreti  del  governo,  non  poten- 
dosi senza  il  debito  permesso  e  la  non  meno  debita  revisione, 
pubblicare  editti  di  nessun  genere.  Il  manoscritto  non  dice  altro 
in  proposito;  è  da  credere  quindi  che  questa  volta  le  cose  siano 
andate  regolarmente. 

Codesta  dei  libri  era  del  resto  faccenda  grave  ed  importante, 
e  il  S.  Officio  teneva  gli  occhi  bene  aperti  sul  loro  commercio  e 
sulla  loro  introduzione  nei  vari  luoghi,  riconoscendo  in  essi  uno 
de*  più  validi  strumenti  per  la  divulgazione  dell'eretica  pravità  (3). 

Nel  novembre  del  1616,  all'inquisitore  di  Bergamo,  avvertito 
segretamente  da  Roma  di  perquisire  d'improvviso  la  bottega  d'un 
libraio,  venne  fatto  di  sequestrare  un  grosso  pacco  di  libri  eretici 
provenienti  dalla  Germania.  Le  disposizioni  del    Senato  vietavano 


di  Ferrara  o  di  Genova,  rimettendoli  da  un  S.  Officio  all'altro  :  i  con- 
dannati alle  galere  poi  si  mandavan  tutti  a  Genova  (Decretay  etc,  ci- 
Uto,  e.  148,  615). 

(i)  Decreta  S,  Congr,,  cit  e.  523,  524^  Un'altra  di  cotali  gherminelle 
61  giocata  ai  rettori  veneti  di  Bergamo  nel  novembre  1628,  essendo 
riuscito  l'inquisitore  a  trar  fuori  dalle  carceri  della  città  un  accusato  e 
a  mandarlo  nascostamente  a  Roma  {Decreta  S.  Coftgr,,  cit.  e.  49). 

{2)  Decreta,  etc*,  cit,  e.  537.  Un  nuovo  speciale  decreto  condannante 
fe  opere  del  Machiavelli  fu  fatto  il  5  ottobre  1600  {Decreta,  etc,  citato» 
e  694,1 

(3)  Agli  inquisitori  nelle  città  di  mare  era  imposto  di  visitar  le 
oavi  per  accertarsi  che  non  portavano  libri  proibiti  :  Venezia  però  a 
tale  officio  nominava  una  persona  secolare  (Decret,,  etc,  cit,  e.  695,  de- 
<Teto  dd  giugno  1593). 


124  NOTIZIE   SPARSE 

che  atti  simili  potessero  compiersi  senza  sua  licenza  ;  avuti  perciò 
i  reclami  del  libraio,  i  rettori  della  città  intimarono  all'inquisitore 
di  levare  il  sequestro,  ma  egli,  anziché  obbedire,  aperto  il  pacco, 
confiscò  la  merce,  senza  uno  scrupolo  al  mondo.  I  rettori  allora 
gl'imposero  di  restituirla,  egli  ricusò  dapprima,  poi  domandò  dila- 
zione per  scrivere  a  Roma  e  chiedere  istruzioni.  E  da  Roma  ^i 
risposero  ingiungendogli  di  tener  fermo  e  di  non  restituire  a  nes- 
sun costo  i  libri  sequestrati.  E  per  quella  volta  l'autorità  governa- 
tiva dovette  striderci  (i). 

Ma  non  così  eran  procedute  le  cose  qualche  anno  prima,  quando 
nell'agosto  del  1609  il  podestà  di  Bergamo  avea  vietato  all'inquisi- 
tore di  percepire  i  frutti  dei  beni  del  S.  Officio,  finché  per  essi  non 
avesse  ricevuta  l' investitura  dall'autorità  temporale.  11  frate,  nonché 
riceverla,  non  volea  neppure  saperne  di  domandarla:  ma  il  go- 
verno non  cedette,  sicché  egli  pensò  bene  di  consigliarsi  con  Roma. 
D  IO  settembre  la  S.  Congregazione,  non  sapendo  che  suggerimento 
dargli,  rispose  vedesse  d'aggiustarsi  alla  meglio  e  sentisse  un  po' 
monsignor  vescovo.  E  questo  prudentemente  persuase  il  caparbio 
inquisitore  a  fare  di  necessità  virtù  e  a  chiedere  la  tanto  malevisa 
investitura  (2). 

Anche  nello  stesso  161 6  più  sopra  ricordato  i  rettori  di  Ber- 
gamo eran  riusciti  a  far  prevalere  le  leggi  dello  Stato  sulle  arbi- 
trarie pretensioni  del  tribunale  della  Inquisizione.  U  vicario  del  po- 
destà aveva  nel  novembre  proibito  all'inquisitore  di  compilare  pro- 
cesso contro  due  satelliti  del  S.  Officio,  denunziati  per  bestemmie 
ereticali,  se  i  rei  non  fossero  trattenuti  nelle  carceri  della  curia 
secolare  e  se  la  sentenza  non  fosse  fatta  e  registrata  dal  magistrato 
civile.  L'inquisitore  insisteva  perché  i  due  imputati  fossero  conse- 
gnati alle  carceri  del  S.  Officio  e  perché,  trattandosi  di  familiari 
suoi,  la  causa  si  dovesse  fare  dal  solo  tribunale  inquisitorìale.  Come 
il  solito,  chiese  consiglio  ai  superiori,  e  da  questi  gli  fu  risposto 
che  trovasse  modo  di  farsi  rilasciare  i  prigionieri,  ma  che  poi  con- 

(i)  Decreta,  eie,  cit.,  e.  701.  Più  volte  il  senato  s'era  occupato  della 
questione  dei  libri  e  sempre  avea  concluso  coU'ordinare  agl'inquisitori 
di  non  intromettersi  in  materia  di  revisione  di  libri  per  la  stampa: 
nell'agosto  1625  stabilì  poi  che  i  libri  provenienti  da  regioni  sospette 
d'eresia  fossero  per  l'esame  portati  prima  a  un  segretario  del  Senato 
(Decreta,  etc,  cit.^  e.  690). 

(2)  Decreta,  etc,  cit.,  e.  106). 


SUL   SANX'OFFiaO   IN   LOMBARDIA  I25 

ducesse  il  processo  con  l'assistenza  del  podestà  o  del  capitano,  non 
però  del  loro  vicario,  e  se  sorgessero  nuove  difficoltà,  ne  avver- 
tisse il  nunzio  pontificio  a  Venezia,  il  quale  ne  avrebbe  parlato  in 
Senato  (i).  Difficoltà  per  buona  fortuna  non  ne  sorsero  :  la  curia 
secolare  il  24  novembre  consegnò  i  due  prigionieri,  e  il  processo  fu 
fatto  regolarmente  e  terminò  il  3  gennaio  161 7  con  la  condanna 
dei  due  disgraziati  alla  pena  triremium  in  perpetuunt  (2). 

Era  appena  finita  questa  contesa,  che  ne  nacque  un'altra,  sem- 
pre suscitata  dalla  medesima  causa,  la  smania  degl'inquisitori  d'u- 
surparsi attribuzioni  che  lo  Stato  avea  riservato  a  se  stesso.  E 
questa  volta  l' inquisitore  di  Bergamo  non  voleva  riconoscere  il  de- 
creto che  imponeva  che  i  bestemmiatori  ereticali  dovessero  essere 
processati  e  puniti  dal  foro  secolare,  e  che  al  S,  Officio  non  spet- 
tasse che  d'assoggettarli  all'abiura. 

La  S.  Congregazione  alla  quale  s'era  rivolto  gli  scrisse  nel 
febbraio  161 7  lavandosi  le  mani  e  dicendogli  che  vedesse  un  po' 
lui  di  rimuovere  gli  ostacoli  e  d' infliggere  la  dovuta  pena  agl'impu- 
tati di  bestemmia  (3).  Una  faccenda  da  nulla  I  Naturalmente  le  cose 
restarono  com'eran  prima,  e  in  fatto  di  bestemmie  l'inquisitore  bi- 
sognò si  contentasse  di  lasciare  il  campo  agli  «  Esecutori  contro 
la  bestemmia  »,  ch'erano  stati  appositamente  istituiti  dal  governo 
fino  dal  1537. 

Non  lo  fece  però  volontieri,  e  ne  son  prova  i  tentativi  poste- 
riori da  parte  di  lui  d'invadere  quel  campo.  Ma  fu  tutto  inutile,  a 
quei  tentativi  il  governo  oppose  anzi  nuove  conferme  della  propria 
l^ge.  U  23  gennaio  del  1626  infatti,  il  podestà  di  Bergamo,  d'or- 
dine del  Senato,  pubblicò  un  nuovo  editto  nel  quale  comminava 
il  taglio  della  lingua  ai  soldati  bestemmiatori  e  la  galera  se  reci- 
divi, e  vietava  al  S.  Officio  di  procedere  contro  di  essi.  E  l'inqui- 
sitore questa  volta  non  ricorse  nemmeno  a  Roma  (4):  tanto,  per 
avere  di  quelle  risposte,  non  metteva  il  conto, 

(i)  Anche  i  nunzi  avevano  però  talvolta  a  Venezia  scarsa  fortuna 
e  rischiavano  di  sentirsi  dire  in  faccia  delle  cose  poco  piacevoli*  Il  13 
maggio  1609,  per  esempio,  scrive  il  frate  compilatore  del  nostro  mano- 
scritto a  Ce  536,  Veneti  dicunt  Nuncio  ut  non  ponat  in  animis  civium 
icrupulos,  alias  discedat  a  statu.,,,  e  da  Roma  poi  si  dovette  scrivere  al 
povero  nuncio  che  non  ci  badasse  et  continuet  officium  suum, 

(2)  Decreta,  etc,  cit,  e.  81. 

(3)  Decreta,  etc,  cit.^  e.  81. 

(4)  Decreta,  etCf  cit.,  e.  81. 


ia6  NOTIZIE   SPARSE 

Forse  si  ricordava  ancora  dell' intemerata  che  nel  maggio  1623 
gli  aveva  fatta  il  Senato,  quando  per  abusi  d'ufficio  l'aveva  chia- 
mato a  Venezia  ad  audiendum  verbum  :  e  non  gli  era  accaduto  di 
peggio  grazie  all'intromissione  del  nunzio  che,  sollecitato  da  Roma, 
era  accorso  in  suo  aiuto  (i). 

Certo,  la  mala  abitudine  della  bestemmia,  tra  i  soldati  special- 
mente, doveva  essere  largamente  diflFusa  e  radicata,  se  il  Senato 
s'era  indotto  a  minacciare  i  colpevoli  con  pene  cosi  gravi,  esso 
che,  quando  tratta  vasi  della  milizia,  chiudeva  volentieri  un  occhio 
e,  per  quanto  era  possibile,  non  si  mostrava  né  intollerante  né 
avaro  di  concessioni.  Basterà,  ad  esempio,  ch'io  riferisca  come 
quattr'anni  prima  i  greci  scismatici  che  militavano  al  soldo  della 
Repubblica  avessero  ottenuto  d'aprire  a  Martinengo  una  chiesa  per 
le  pratiche  del  loro  culto,  e  un  mese  più  tardi  perfino  il  permesso 
d'esercitare  le  loro  funzioni  anche  nelle  altre  chiese  di  rito  latino. 
Il  nunzio  nel  giugno  1622  se  n'era  fortemente  lagnato  in  Senato,  ma 
senza  molti  complimenti  gli  si  era  fatto  comprendere  che  la  Re- 
pubblica non  voleva,  per  causa  di  credenze  e  di  riti  religiosi,  dar 
molestie  a  quei  forestieri  ch'essa  avea  condotti  a  stipendio  per  ra- 
gione di  milizia  (2). 

Passiamo  a  Brescia. 

Nel  marzo  del  1592  è  arrestato  dalla  curia  secolare  uno  scel- 
lerato che  aveva  percossa  con  un  pugnale  un'immagine  di  Cristo 
e  della  Vergine.  Non  si  trattava  di  vera  e  propria  eresia,  ma  il  de- 
litto essendo  empio  e  gravissimo,  il  reo  fu  mandato  a  Venezia,  dove 
il  magistrato  laico  gli  fece  il  processo  e  lo  condannò  ad  essere  im- 
piccato ed  arso.  L'inquisitore  di  Brescia  in  questa  causa  era  stato 
lasciato  interamente  in  disparte,  con  quanto  suo  rammarico  ciascuno 
può  indovinare.  Come  se  codesto  cruccio  non  lo  dovesse  tormen- 
tare abbastanza,  di  lì  a  pochi  giorni  gli  e  apitò  da  Roma  un  aspro 
rimprovero  perché   aveva  permesso    che  la  cosa  si  fosse  svolta  a 

(i)  Decreta,  eie,  cit^  e.  541.  Non  c*è  da  maravigliarsi  che  gì*  inqui- 
sitori  fossero  così  ostinatamente  recalcitranti  alla  volontà  del  governo 
e  così  ligi  alla  Curia  romana  da  eccedere  in  zelo,  spesse  volte,  la  stessa 
S,  Congregazione.  Per  averli  tali  questa,  con  decreto  del  13  dicembre 
I5<M»  aveva  stabilito  che  a  Venezia  e  nelle  altre  terre  del  dominio  ve- 
neto si  mandassero  sempre  inquisitori  nativi  d'altri  Stati  ^Decreta,  etc, 
cit.,  e.  53o\ 

2^  Decreta,  etc^  cit„  e,  535, 


\ 


SUL   sant'officio  in   LOMBARDIA  12J 

quel  modo  e  perchè  non  s'era  nemmeno  industriato  ad  esaminare  il 

reo  sulla  intenzione:  al  rimprovero  teneva  dietro  un  ammonimento  di 

voler  in  avvenire,  in  casi  simili,  compiere  scrupolosamente  il  proprio 

dovere  (i).  1  cardinali  della  S.  Congregazione  avevano  un  bel  dire: 

per  quanto  il  governo  veneziano  fosse  ossequente  verso  la  Chiesa 

e  procurasse    sempre  di  eliminare  le  difficoltà  e  i  contrasti  e  di 

procedere  d'amore  e  d'accordo  con  l'autorità  ecclesiastica,  non  era 

sempre  né  disposto   né  costretto   dalle   circostanze  a  tollerare  gli 

arbitri  degl'  inquisitori  e  le  loro  illecite  inframmettenze,  a  disprezzo 

Me  pubbliche  leggi. 

Nel  1623  quello  di  Bergamo,  come  vedemmo,  se  Fera  cavata 
con  un'ammonizione  :  ma  non  andò  cosi  liscia  nel  novembre  del  1625 
al  vicario  del  S.  Officio  di  Brescia,  il  quale,  non  so  per  che  colpa, 
ricevette  improvvisamente  dal  Senato  l'ordine  perentorio  d'uscire 
dallo  Stato  entro  ventiquattr'ore.  E  gli  convenne  obbedire:  tentò,  è 
vero,  il  nunzio  pontificio  a  Venezia  di  far  revocare  l'ordine,  solle- 
vando per  volere  di  Roma  vive  rimostranze  in  Senato,  ma  fu  tutto 
inutile  (2). 

Un  curioso  processo  si  svolse  a  Brescia  nell'agosto  del  1643. 
Il  S.  Officio,  sempre  vigilante,  era  riuscito  a  far  incarcerare  certa 
Caterina  de  Rossi  di  Benedetto,  da  Poschiavo,  una  donna  sui  cin- 

(i)  Decreta^  eie,  cit.,  e.  524.  Questo  processo  ci  dimostra  che  la  tol- 
leranza e  la  mitezza,  dj  cui  comunemente  si  vuol  fare   un   merito   alla 
Repubblica  veneta,  hanno  un  po'  del  leggendario.  Quando  non  ne  sca- 
pitavano i  suoi  diritti,  i  suoi  interessi   e  la  sua  politica,  Venezia,  seb- 
bene più  illuminata  e  prudente,  era   suppergiù   (e   non  poteva   essere 
altrimenti)  uguale  agli  altri  Stati.  Ricorderò  qualche  altro  esempio   di 
condanne  capitali  per  ragione  religiosa  pronunciate  ed   eseguite  col 
^neplacito  e  con  l'opera   del   governo    veneto.    Nel   novembre    1596 
son  paniti  colla  morte,   a   Venezia,   due  eretici  bestemmiatori  {De- 
^^fl>  ite,  cit,,  e.  8i)  ;  il  28  luglio  16^  a  Padova  è  condannato  a  morte 
wi  altro  bestemnùatore  (/A.,  iV/.,  e.  82);  nel  1637  a  Vicenza  la  curia  se- 
colare fa  trarre  a  forza  dalle  carceri  del  S.  Officio  un  bestemmiatore 
ereticale  e  lo  fa  impiccare  (Jb.  id.,  e  82):  nel  1639  a  Treviso,  un  cre- 
sco, fatta  Tabiura  de  vehemenh',  è  dalla  curia  secolare  capite  muktatus  et 
'omlmsius  (Ib.,  id,,  e.  541). 

(2)  Decreta,  eie,  cit,  e.  541.  Non  fu  questa  la  sola  volta  che  il  go- 
J^o  ebbe  ricorso  a  siffatto  rimedio:  nel  maggio  1590  Pinquisitore  dì 
^mco  fu  esiliato  da  tutta  la  Dalmazia  {Decreta,  etc,  cit.,  e.  538);  nel 

vembre  1606  il  vicario  del  S.  Officio  di  Candia  è  obbligato  ad  andar- 
^ne  daU'isola  (lè.,  ,,/.,  e.  540). 


128  NOTIZIE   SPARSE 

quant'anni,  passata  per  una  serie  d'avventure  e  di  traversie  le  quali 
avean  finito  col  disordinarle  il  cervello,  sempre  forse  un  po'  squi- 
librato. Le  colpe  imputatele  eran  parecchie,  e  per  que'  tempi,  non 
leggere  :  prima  di  tutto  la  si  accusava  d'aver  abitato  pef  qualche 
mese  in  casa  d'una  sorella,  Anna,  luterana  impenitente,  presso  la 
quale  convenivano  eretici  e  propagandisti  di  dottrine  condannate 
dalla  Chiesa;  poi,  d'aver  mangiato  vitello  in  quaresima  e  violato 
il  digiuno  imposto  a  coloro  che  s'accostano  al  sacramento  dell'Eu- 
carestia; d'essersi  per  la  sua  condotta  sconveniente  fatta  cacciare 
da  un  monastero  ove  s'era  ricoverata;  d'aver  finto  santità  e  asse- 
rito, con  empia  ed  ostinata  menzogna,  di  non  aver  mai  bisogno  di 
cibo,  bastando  a  sostentarla  l'ostia  della  santa  comunione,  u  cosa 
«  contraria  alla  natura  »,  osserva  l'inquisitore,  e  smentita  dal  fatto 
ch'ella  «  appariva  bene  in  carne,  di  color  vivido,  abbondante  di 
«  sangue  et  gagliarda  di  forze  non  solo  animali  sensitive  et  mo- 
u  trici,  ma  vitali  ancora  ». 

Il  processo  fu  lungo  e  minuzioso  e  terminò  con  la  sentenza 
pronunciata  solennemente  nella  cattedrale  dall'inquisitore  fra  Cle- 
mente da  Iseo,  per  la  quale  era  condannata  all'abiura  de  vehementi 
e  a  dieci  anni  di  reclusione  nella  prigione  segreta  della  torre  de 
la  Pallada,  iniuncta  salutari  penitentia  di  preghiere  e  di  digiuni  (i). 

Uno  degli  ultimi  processi  compilati  dal  S.  Officio  di  Brescia 
fu  quello  contro  il  sacerdote  Giuseppe  Beccarelli  d'Urago  d'OgHo, 
il  quale  il  13  settembre  1710  dovette  pubblicamente  abiurare  le 
proposizioni  ereticali  da  lui  sostenute  contro  il  sacramento  del  ma- 
trimonio, la  penitenza,  il  digiuno,  e  sconfessare  le  dottrine  etero- 
dosse messe  in  voga  da  Michele  Molinos  (2)  riguardo  all'efficacia 
dell'orazione  mentale,  ch'egli  aveva  professate.  Il  doge  Giovanni 
Corner  il  27  settembre  scrisse  al  vescovo  di  Brescia  rallegrandosi 
che  il  processo  fosse  finito  con  la  condanna  del  prete  colpevole,  e 
lodando  lo  zelo  dell'inquisitore  (3). 

(lì  Biblioteca  comun.  di  Bologna  :  Sanctitates  affectaiae  ad  ann.,  vo- 
lume manoscritto  proveniente  dal  S.  Officio. 

(2Ì  Michele  Molinos  di  Patacina  nell'Aragona  (1640-1697)  fu  il  più 
celebre  sostenitore  della  dottrina  del  quietismo;  nel  1687  furono  incri- 
minate 68  delle  sue  proposizioni,  ed  egli  stesso  fu  condannato  a  per- 
petua prigionia. 

(3Ì  Sanctit  affect,^  cit,  ad  ann. 


SUL  sant'officio  in  lobibardia  129 

A  scusare  tali  insolite  congratulazioni  ufficiali  si  potrà  addurre 
la  riprovazione  formale  da  parte  della  Chiesa  delle  opinioni  del 
Holinos:  comunque  sia  però,  non  posso  nascondere  l'impressione 
penosa  ch'esse  producono  nell'animo  mio,  cui  pare  di  scorgere  un 
s^no  evidente  di  quell'infiacchimento  morale  nel  quale  e  per  il 
quale  intristisce  la  vecchia  e  logora  Repubblica.  Siamo  ben  lontani 
dai  tempi  di  Paolo  Sarpi,  quando  il  governo,  pure  intimamente  re- 
ligioso, badava  a  contenere  non  a  incoraggiare  lo  zelo  dei  padri 
inquisitori  e  mostrava  sempre  di  darsi  fin  troppo  pensiero  per  con- 
servare immacolati  il  decoro  e  la  maestà  dello  Stato. 

Prima  d'uscire  dalla   provincia   di  Brescia,   aggiungerò   che  il 
nostro  manoscritto  ricorda  parecchi  altri  eretici   bresciani,  special- 
mente frati,  quali  ad  es.,  fra  Damiano  di  Brescia,  fra  Vincenzo  Squar- 
dafico,  fra  Paolino  da  Calcinate,  fra  Andrea  da  Mademo,  certo  Pierino 
de  Losate,  «  sindaco  della  terra  n^  il  maggior  peccato  dei  quali  è 
queUo  d'aver  tenuto  e  letto  Hbri  luterani,  d'aver  nelle  loro  prediche 
professate  opinioni  poco  ortodosse,  d'aver  negati  i  voti  e  d'aver  di- 
chiarato (e  questo  si  riferisce  a  fra  Damiano)  che  «  se  non  ci  fosse 
«  scandalo  e  trovasse   una   donna   che  lo  volesse   per   marito,  la 
«  prenderebbe   in   secreto,  per  sedare  la  petulanza  della  carne  ». 
Contro  tutti  costoro  il  S.  Officio  procedette  nel  1546  e  1549,  e  i  pro- 
cessi furono  fatti  a  Bologna  e  finirono   con   condanne  a  penitenze 
salutari  e  a  rimozione  dai  gradi  ch'essi  tenevano  nel  loro  Ordine  (i). 
Un'altra  città  lombarda  appartenente  al  dominio  veneziano  era 
Crema.  Quivi  per  parecchio  tempo  non  ci  fu  un  proprio  tribimale 
del  S.  Officio,    dipendendo    essa,   in   materia   d'Inquisizione,   dal 
S.  Officio  di  Piacenza  che  ci  teneva  un  vicario  :  soltanto  nel  lu- 
glio del  1614  vi  fu  insediato  uno  speciale  inquisitore,  il  quale  na- 
turalmente, secondo  le  prescrizioni  del  Senato,  dovette  presentarsi 
a]  doge  prima  d'assumere  il  suo  ufficio  (2). 

Anche  qui,  tanto  prima  che  fosse  piantato  il  tribunale  auto- 
nomo, quanto  dopo  costituito,  abbiamo  i  soliti  dissensi  fra  l'autorità 
laica  e  l'ecclesiastica,  e  sempre  per  le  cause  altrove  menzionate. 
Nel  luglio    1597  i  birri  del   capitano  levano  a  forza  dalle  prigioni 

(i)  Biblioteca  com.  di  Bologna:  Volume  manoscritto,  già  apparte- 
OQto  al  S.  OfRcio,  formato  di  quaderni  e  di  carie  staccate,  senza  nu- 
merazione e  senza  un  titolo  generale. 

(2)  Decreta,  etc.^  cit,  e.  531. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIII.  9 


130  NOTIZIE   SPiUlBE 

ecclesiastiche  un  carcerato  che  il  vicario  del  S.  Officio  avea  rifiu- 
tato di  consegnare,  non  ostante  le  ripetute  richieste  del  governo  (i)  ; 
nel  marzo  1598,  per  cose  attinenti  al  S.  Officio,  trovo  ricordate 
gravi  e  lunghe  dissensioni  fra  il  pretore  di  Crema  e  Tinquisitore 
di  Piacenza  (2);  verso  la  fine  del  1601,  avendo  quel  pretore  fatto 
imprigionare  un  familiare  del  S.  Officio,  è  scomunicato,  e  solamente 
dopo  fastidiose  trattative  corse  tra  il  Senato  e  la  Curia  pontificia^ 
il  IO  gennaio  1602,  gli  vien  levata  la  scomunica  (3). 

Quanto  a  processi  tenuti  a  Crema,  uno  solo  ne  registrano  i 
manoscritti  da  me  esaminati,  quello  d*un  tale  che  aveva  ucciso  un 
testimonio  il  quale,  in  una  causa  d'eresia  contro  suo  padre,  aveva 
deposto  sfavorevolmente.  Il  colpevole  fu  consegnato  al  braccio  se- 
colare e  impiccato  il  2  dicembre  1599  (4). 

Ma,  benché  non  compilato  a  Crema,  più  importante  fu  un  pro- 
cesso d'eresia  fatto  sui  primi  del  1549  a  Bologna,  per  ragioni  di 
giurisdizione  ecclesiastica,  processo  nel  quale  il  principale  accusato 
è  appunto  un  cremasco,  frate  Aurelio  da  Crema.  Era  allora  inqui- 
sitore di  Bologna  il  padre  maestro  fra  Girolamo  Muzzarelli,  e  se- 
devano giudici  con  lui  nel  sacro  tribunale  l'inquisitore  di  Brescia 
fra  Stefano  da  Quinzano,  priore  di  Vicenza,  e  fra  Leonardo  da 
Olio.  Dopo  che  l'imputato  ebbe  subiti  parecchi  interrogatori,  venne 
la  volta  dei  testimoni,  la  cui  audizione  cominciò  il  12  maggio. 

Fra  Angelo  da  Verona,  priore  di  Milano,  depose  che  frate  Au- 
relio era  intimo  amico  del  conte  Fortunato  Benzoni  di  Crema,  il 
quale  era  ritenuto  eretico  luterano,  e  che  ne  frequentava  la  casa,  fa- 
cendosi chiamare  non  già  frate,  ma  sig.  Aurelio;  che  aveva  pure 
strettissima  amicizia  con  parecchi  giovani  frati  eremitani,  tenuti 
anch'essi  in  conto  d'eretici,  coi  quali  disputava  di  cose  di  disci- 
plina ecclesiastica  e  di  fede,  manifestando  opinioni  anticattoliche 
e  intendimenti  di  ribellione. 

Il  domani  un  altro  testimonio,  fra  Angelo  da  Quinzano,  priore 
di  Crema,  asserì  d'aver  sentito  ch'egli  ammetteva  la  predestinazione, 
e  che  l'anno  prima,  in  convento,  aveva  più  volte  pubblicamente  de- 
rise le  cerimonie  del  culto,  ponendo  in  canzonatura  il  canto  sacro, 

(i)  Decreta,  eie,  cit,  e.  539. 

(2)  Decreta,  eic,^  cit,  e.  538. 

(3)  Decreta,  etc^  cit.,  324. 

(4)  Decreta,  etc,  cit,  e.  91. 


SUL  sant'officio  in   LOMBARDIA  J3I 

i  Hiattutini,  il  digiuno  e  così  via.  Confermò  inoltre  la  sua  intrinsi- 
chezza cogli  eremitani,  nota  a  tutto  il  paese  e  cagione  di  scandalo 
e  di  mormorazioni.  Aggiunse  che  sapeva  di  certi  discorsi  poco  edi- 
ficanti da  lui  fatti  a  proposito  deUa  confessione  con  fra  Pietro 
Martire  da  Desenzano,  e  dei  continui  e  amichevoli  colloqui  col 
conte  Benzoni  e  con  certo  Gian  Antonio  Fracavallo,  cremasco,  he- 
reticorum  primario. 

Un  terzo  testimonio,  fra  Silvestro  da  Quinzano,  che  avea  pre- 
(ficato  una  quaresima  a  Crema,  dove  s'era  poi  trattenuto  tutto  Tanno, 
affermò  che  Y  imputato  aveva  «  frequentissima  conversazione  »  con 
tatti  quelli  che  a  Crema  eran  considerati  luterani,  speciadmente  col 
priore  di  allora  dei  carmelitani,  u  luterano  pubblico  »,  il  quale  gli 
prestava  libri  condannati  dalla  Chiesa;  con  frate  Angelo  eremitano, 
eretico  anche  lui,  e  col  sig.  Fracavallo  qui  dicitur  papa  Simon  he- 
reiicorum.  Citò  anche  la  testimonianza  d*un   altro  cremasco,    certo 
G.  A.  Verdeli,  il  quale  assicurava  d'aver  udito  con  i  propri  orec- 
chi l'inquisito  mettere  in  burletta  la  confessione,  la  pluralità  delle 
messe,  le  processioni,  la  tonsura.  Non  si  curava  affatto  di   correg- 
gere quelli  che  sapeva  infetti  d'eresia,  basti  l'esempio  di   una  mo- 
naca, suor  Monica,    sorella   di   certo    Francesco  Gambarocchi   di 
Crema,  la  quale  era  notoriamente  luterana  come  il  fratello,  e  alla 
quale,  in  tutti  i  suoi  colloqui  con  lei,  egli    non  disse  una  sola  pa- 
rola di  biasimo    per  tentare  di  ricondurla   sul  sentiero  della  fede. 
L'ultimo  testimonio  interrogato  dal  sacro  tribunale  fu  fra  Gi- 
rolamo da  Guastalla   che    avea  predicato  a  Crema    la  quaresima 
del  1548  e  che    conosceva   l'imputato  fin  da    quando,  quattr'anni 
prima,  s'eran  trovati  a  Chioggia,  dove  gli  aveva  fatti  certi  discorsi 
che,  Dio  guardi,  sapevano  d'eresia  lontano  un  miglio.  La  sua  de- 
posizione confermò  quella  dei   testimoni    precedenti,  non    aggiun- 
gendo che  qualche  ragguaglio  di  lieve  importanza. 

Esaurite  le  testimonianze,  fu  di  nuovo  esaminato  il  reo  il  quale, 
stretto  dalla  cavillosa  dialettica  dell'inquisitore,  si  rassegnò  a  con- 
fessare di  essere  intervenuto  a  conventicole  di  persone  sospette 
nella  fede,  d'aver  avuto  libri  proibiti  e  d'aver  fatti  dei  discorsi 
poco  ortodossi.  Ce  n'era  abbastanza  per  essere  considerato  colpe- 
vole. Non  ho  trovato  nel  nostro  manoscritto  come  sia  andato  a 
finire  il  processo  :  è  facile  però,  dall'esame  d'altri  processi  simili, 
argomentare   che  il  frate   sarà   stato   condannato    alla   reclusione 


132  NOTIZIE    SPARSE 

temporanea,  alla  perdita  dei  diritti  e  dei  gradi  che  aveva  nel  suo 
Ordine,  all'abiura  e  alle  consuete  penitenze  salutari.  Queste  erano 
le  pene  che  il  tribunale  infliggeva,  trattandosi  di  frati,  e  quando 
il  caso  non  raggiungeva  i  termini  d'un'estrema  gravità  (i),  special- 
mente prima  del  papato  di  Pio  V. 

Il  processo  riassunto,  se  per  se  stesso  poco  o  punto  differisce 
da  tanti  altri  compilati  contro  frati  di  diversi  Ordini,  acquista  una 
tal  quale  importanza  in  quanto  viene  indirettamente  ad  attestarci 
come  l'eresia  serpeggiasse,  in  quel  suo  primo  periodo  di  vita,  nelle 
nostre  città  più  di  quanto  comunemente  non  si  creda.  Sarà  stata 
una  fioritura  effimera,  destinata  a  morire  al  primo  levarsi  delle  raf- 
fiche della  reazione  cattolica;  ma  non  per  ciò  cessa  d'essere  un 
fatto  di  cui  è  necessario  ed  è  giusto  che  la  storia  raccolga  ed  esa- 
mini tutti  i  dispersi  elementi, 

E  ora,  lasciando  la  repubblica  di  Venezia,  passiamo  nel  ducato 
di  Milano,  dove,  in  generale,  non  ostante  la  boria  spagnuola  e  l'ol- 
tracotanza  semi  irresponsabile  dei  governatori,  lo  Stato  nelle  sue 
relazioni  con  l'Inquisizione  era  molto  più  arrendevole  e  più  umile. 
Le  condizioni  politiche  di  que*  tempi  e  la  parte  di  campioni  della 
fede  assunta  dai  re  Cattolici  ci  spiegano  chiaramente  codesta  re- 
missività del  potere  laico  e  codesta  sua  acquiescenza  nei  riguardi 
del  S.  Officio. 

A  Cremona  certo  Bergamino  da  Bergamo,  incarcerato  e  pro- 
cessato per  colpa  d'eresia  dal  S.  Officio,  era  stato  condannato  al- 
l'abiura de  vehementi  e  alla  galera  per  alcuni  anni.  La  curia  seco- 
lare, verso  la  quale  l' imputato  era  pure  responsabile  sotto  un  certo 
aspetto,  desiderando  di  rivedere  per  proprio  conto  la  causa,  richiese 
ch'esso  le  fosse  rimesso.  L'inquisitore  ricusò,  e  a  nuove  istanze 
oppose  un  ordine  venutogli  da  Roma  con  lettera  del  6  febbraio  1588 
nella  quale  gli  s'imponeva  categoricamente  di  non  consegnare  il 
condannato,  ma  di  mandarlo  senz'altro  a  Genova  a  scontarvi  la 
pena.  E  il  governo  non  fiatò  più  (2). 

Qualche  anno  dopo  (il  tempo  non  è  indicato,  ma  dev'essere 
nel  primo  quarto  del  secolo  XVII),  il  S.  Officio  di  Cremona  pro- 
cessò e  condannò  un  tale  Baroncelli  e  i  suoi  complici  che  avevano 

(i)  Volume   manoscritto  cit.,  formato  di  quaderni   staccati,  e  senza 
numerazione  di  carte. 

(a)  Decreta,  eie,  cit.  148. 


SUL   sant'officio   in    LOMBARDIA  I33 

ammazzato  un  familiare  della  S.  Inquisizione,  ma  l'autorità  laica  non 
volle  consentire  che  s'eseguisse  la  sentenza,  non  avendo  avuto  al- 
cuna parte  nel  processo,  benché  si  trattasse  d'omicidio  e  non  d'e- 
resia. L'inquisitore,  messo  alle  strette,  ma  deliberato  a  non  cedere, 
operò  in  modo  che  i  condannati  fossero  nascostamente  condotti 
fuori  dallo  Stato:  sotterfugio  non  nuovo,  come  vedemmo,  nei  me- 
todi dei  padri  maestri  del  S,  Officio  e  che  aveva  il  vantaggio  di 
opporre  alle  recriminazioni  sterili  il  fatto  compiuto  (i). 

Altri  due  processi  sono  ricordati  a  Cremona  nel  1610.  Il  pri- 
mo è  del  gennaio  e  fu  fatto  contro  lo  stesso  vicario  del  S.  Officio 
che  aveva  rivelato  ad  un  inquisito  i  segreti  dell*  istrut  toria  col  mezzo 
d'un  biglietto  su  cui  erano  scritti  i  nomi  dei  testimoni  e  un  som- 
mario degl'indizi  raccolti  dal  tribunale  a  carico  di  lui  :  e  tutto  ciò 
per  due  piastre  e  per  un  paio  di  guanti  (munnscula  chirotheca- 
rum)  (2).  Pervenuta  la  denuncia  all'inquisitore,  era  stato  arrestato 
e  aveva  senza  reticenze  confessata  la  propria  colpa,  per  la  quale 
si  era  tirato  addosso  una  condanna  a  dieci  anni  di  galera,  alla  ina- 
bilitazione perpetua  ad  munera  S,  Officii  e  ad  essere  confinato  al- 
l'ultimo posto  tra  i  religiosi  del  suo  Ordine.  E  qui  il  compilatore 
ia  rilevare  che  benigne  futi  actum,  quia  renunciatores  secretorum 
seu  consiliorum  aut  vivi  comburuntur  aut  furca  suspenduntur  (3). 
D  che,  se  potrà  parere  crudele  ed  eccessivo,  dimostra  chiaramente 
la  rigida  imparzialità  del  sacro  tribunale. 

Il  secondo  dei  due  processi  si  fece  nel  maggio  1610  contro 
certo  Cesare  de  Pisce,  accusato  di  tener  presso  di  sé  i  libri  del 
Machiavelli.  La  confessione  gli  fu  strappata  con  la  tortura  ;  dopo 
di  che  fu  condannato  all'abiura  de  levi  e  al  carcere  temporaneo  (4). 

Di  Lodi,  a  proposito  d'Inquisizione,   nient'altro   trovo  nel  no- 

(i)  Decreta,  ect,,  cit,  e.  598. 

(2)  Decretai,  etc.^  cit.,  e.  963. 

(3)  A  dir  vero  gli  addetti  al  S.  Officio  non  erano  pagati  lautamente; 
e  ciò  spiegherebbe  in  qualche  modo  la  colpa  del  vicario.  A  proposito 
di  compensi,  ricorderò  una  lettera  della  S.  Congregazione  ali*  inquisi- 
tore di  Milano,  sotto  la  data  del  2  ottobre  1603,  nella  quale  gli  si  dice 
che  delle  "  multe  pecuniarie  dia  qualche  ricognizione  al  procuratore 
'  dei  carcerati,  all'aromatario,  al  medico,  al  notaio  e  ad  altri  inser- 
*  vienti  del  S«  Officio,  secondo  l'anzianità  di  servizio  {iuxia  femporis 
'  anttrioriiatem  „)  (Decreta,  etc.^  cit.,  e.  41). 

(4)  Decreta,  etc.y  cit.,  i.  697. 


134  NOTIZIE   SPARSE 

stro  manoscritto  in  fuori  d'una  supplica  fatta  dalla  città  nel  maggio 
del  1628  per  avere  un  inquisitore  proprio  e  non  essere  più  un  vi- 
cariato dipendente  dal  S.  Officio  milanese.  Ma  l'arcivescovo  e  l'in- 
quisitore di  Milano  risposero  nel  luglio  che  la  cosa  non  pareva 
necessaria  e  che  non  era  consuetudine  del  S.  Officio  di  far  tali 
concessioni  senza  una  ragione  grave  e  imperiosa.  E  per  qualche 
tempo  i  lodigiani  s'acquietarono  a  questa  risposta;  ma  nell'agosto 
del  1630  eccoli  da  capo  a  rinnovare  la  loro  supplica  con  maggiore 
istanza.  Per  farla  finita,  il  S.  Officio  di  Milano  rimise  la  domanda 
alla  S.  Congregazione  romana,  e  questa  di  lì  a  non  molto  dichiarò 
recisamente  che  non  intendeva  di  consentire;  e  così  non  se  ne  fece 
nulla  (i). 

Potrà  sembrarci  strano  che  con  Lodi  il  S.  Officio  si  sia  con- 
dotto diversamente  che  con  Crema:  la  nostra  meraviglia  cesserà 
però  quando  si  consideri  che  nel  caso  di  Crema  si  trattava  d'una 
terra  la  quale  politicamente  apparteneva  ad  uno  Stato  è,  rispetto 
all'Inquisizione,  ad  un  altro;  ciò  che  poteva  generare  degl'inconve- 
nienti non  lievi  e  complicare  le  cause  con  beghe  intemazionali,  te- 
nuto conto  anche  della  poco  buona  armonia  che  per  lo  più  esìsteva 
tra  la  repubblica  di  Venezia  e  i  governatori  spàgtiuoli  di    Milano. 

Neppure  a  Mantova  il  manoscritto  ricorda  processi  d'eresia: 
vedo  soltanto  menzionata  una  licenza  concessa  nel  settembre  1609 
al  duca  di  leggere  libri  proibiti  trattanti  de  iocis  et  lasciviis,  eccet- 
tuate però  le  opere  del  Machiavelli  e  del  Rodino  (2).  Povero  Ma- 
chiavelli !  il  bando  contro  i  libri  suoi  non  soffre  attenuazioni  :  la 
S.  Congregazione  reputa  per  la  salute  delle  anime  più  pericolose 
le  dottrine  di  lui  che  le  svergognate  oscenità  di  scrittori  noti  ed 
ignoti  del  cinquecento  e  del  seicento. 

Da  Mantova  veniamo  a  Milano. 

11  20  settembre  1572  l'inquisitore  di  Milano,  padre  Angelo 
da  Forlì,  chiudeva  il  processo  contro  frate  Ambrogio  da  Lodi  e 
pronunciava  la  sentenza.  11  disgraziato  era  stato  accusato  e  con- 
vinto di  eresia  e  di  falsità,  e  a  carico  suo  stavano  specialmente 
certe  poesie  ch'egli  aveva  buttate  giù  ad  ore  perdute,  e  che  eran 

(i)  Decreta y  etc,  cit.,  e.  599. 

(2)  Giovanni  Bodin  d'Angers  (153096)  scrisse  un'opera  sull'arte  di 
Stato:  De  la  république^  che  fu  tenuta  in  molto  conto,  e  un  trattato  di 
Daemonomania  che  ebbe  invece  poca  reputazione. 


SUL   sant'officio  in   LOMBARDIA  I35 

parse  irriverenti  e  non  soverchiamente  ortodosse.  Prima  di  dar 
corso  alla  sentenza,  gli  atti  furono  trasmessi  a  Roma,  donde  fra 
Antonio  Balduzzi,  commissario  generale  deUa  S.  Romana  Inqui- 
sizione, il  IO  dicembre  li  rimandò  approvati,  ma  con  una  mitiga- 
zicHie  della  pena,  osservando  che,  quantunque  iales  deltnquentes 
debita  animadversione  coerceri  debeant  ut  caeteris  in  exemplum 
transeant,  et  ne  tam  grave  delictum  prorsus  inultum  remaneat,  tut- 
tavia credeva  conveniente  di  procedere  con  una  tal  quale  indul- 
genza verso  frate  Ambrogio,  attenta  ejus  gravi  aetate  et  longa 
carcerum  maceratione :  lo  condannava  quindi  alla  perdita  di  ogni 
cfflore,  dignità,  ufficio  ac  voce  adiva  et  passiva,  al  bando  dalla  città 
di  Bifilano  e  al  carcere  in  un  luogo  che  gli  sarebbe  poi  stato  asse- 
gnato (i).  E  probabile  che  il  vecchio  frate  abbia  potuto  profittare 
poco  a  lungo  della  benignità  con  la  quale  era  stato  trattato,  e  che 
i  malaimi  cagionatigli  dal  lungo  carcere  preventivo,  come  aveano 
spalto  il  suo  giocoso  spirito  di  poeta,  abbiano  in  breve  messo 
termine  alla  sua  triste  prigionìa. 

Un  esempio  di  paziente  condiscendenza  verso  la  Chiesa  da 
parte  del  governo  spagnuolo  di  Milano  ce  lo  porge  un  processo 
del  1600.  Il  governatore,  il  conestabile  di  Castiglia,  aveva  nel  feb- 
braio fatto  imprigionare  un  famiglio  del  S.  Officio,  perchè  s'era 
lasciato  trovare  in  possesso  d'un  archibugio  rotato,  contrariamente 
alla  grida  che  proibiva  di  portar  tali  armi.  Per  quest'  arresto  l' in- 
quisitore andò  sulle  furie  ed  inveì  e  strepitò  contro  l'atto  arbitrario 
dell'autorità  civile;  ma  a  nulla  giovando  le  sue  lagnanze  e  le  sue 
sfuriate,  risolvette  di  scriverne  a  Roma.  Il  papa,  interessandosi 
direttamente  della  cosa,  ordinò  se  ne  parlasse  all'oratore  di  Spagna 
in  Roma ,  eccitandolo  a  intromettersi  presso  il  governatore  di 
Milano  perchè  liberasse  l'arrestato.  £  infatti,  la  mediazione  fu  valida 
e  il  famiglio  fu  lasciato  libero  con  un  rescritto  dov'  era  detto  che 
gli  si  concedeva  la  libertà  m  in  via  di  grazia.  »  Questa  vittoria  sa- 
rebbe dovuta  bastare,  ma  il  S.  Officio  che  non  tollerava  la  più 
lieve  ombra  nel  campo  di  quelli  che  reputava  i  propri  diritti  e  i 
propri  privilegi,  non  ne  fu  contento  e  ricorse  di  nuovo  a  Roma 
contro  il  rescritto.  E  anco  questa  volta  trovò  l'appoggio  del  ponte- 
fice, il  quale  il    20  aprile   comandò  che   il   procurator  fiscale  del 

(i)  Volume  manoscritto  cit,  formato  di  quaderni  staccati  e  senza 
numerazione  di  pagine. 


SUL   sant'officio   in   LOMBARDIA  I37 

Anche  a  Milano,  come,  del  resto,  nelle  altre  sedi  del  S.  Officio, 
dopo  il  primo  periodo  del  1600  vere  cause  d'eresia  non  se  ne  trova 
che  molto  raramente.  L*  Inquisizione,  cessato  oramai  il  pericolo 
d'un'  infezione  ereticale,  non  si  occupa,  per  lo  più,  che  di  processi 
di  sortii^,  di  stregonerìa,  di  violazioni  di  leggi  canoniche,  di 
trasgressioni  di  precetti  ecclesiastici:  sotto  l'aspetto  storico  perciò 
l'opera  sua  perde  gran  parte  d'interesse,  e  quel  S.  Officio  che 
avea  vigilato  con  zelante  energia  a  conservare  cattolicamente  in- 
tegro il  pensiero  religioso  d'un  popolo,  è  ridotto  a  poco  più  d'un 
tribunale  correzionale  o  d'un  ufficio  di  polizia,  costretto  ad  occu- 
parsi di  quisquilie  disciplinari  e  di  miserie  mentali  riguardanti 
sciagurati  che  o  il  vizio  o  il  morbo  ha  tratto  fuori  dalla  diritta  via. 

Di  tal  genere  è  appunto  l'ultimo  processo  menzionato  nei  nostri 
manoscritti,  riferentesi  a  Milano,  compilato  dal  S.  Officio  nel  1689 
contro  certa  Lucia  Gambona  da  Lugano.  Questa  povera  donna, 
d*appena  trent'anni,  fu  il  5  settembre  chiusa  nelle  carceri  dell'In- 
quisizione sotto  l'accusa  di  professare  dottrine  quietiate  e  d'essersi 
vantata  di  avere  delle  visioni  celesti  e  delle  conversazioni  coll'an- 
gelo  custode  e  con  l'arcangelo  Gabriele.  11  processo  cominciato 
pochi  giorni  dopo  e  durato  a  lungo  non  ebbe  vera  conclusione, 
giacché  non  s'arrivò  mai  a  convincere  l'infelice  dei  suoi  errori:  e 
si  che  fu  più  volte  esorcizzata  e  assoggettata  a  tutti  gli  scongiuri 
e  le  lustrazioni  che  il  codice  del  S.  Officio  prescriveva  d'  usare 
in  simili  casi.  Un  giorno,  durante  una  delle  sue  estasi,  mentre  in- 
ginocchiata, con  lo  sguardo  perduto  nel  vuoto,  balbettava  parole 
incomprensibili,  le  bruciarono  una  mano  con  una  candela,  quasi 
per  avere  una  prova  materiale  della  sua  sincerità.  Naturalmente  la 
poveretta  se  ne  risentì,  e  codesto  bastò  a  persuadere  i  giudici  che 
si  trattava  di  frode.  Altre  prove  suppergiù  del  medesimo  genere 
si  ripeterono  poi  e  sempre  con  lo  stesso  risultato,  senza  però  che 
dalla  bocca  di  lei  si  riuscisse  mai  a  cavare  una  confessione  o  una 
ritrattazione  purchessia.  Si  concluse  allora  (e  a  quei  tempi  altra 
conclusione  non  era  possibile)  che  le  sue  visioni  eran  tutte  una 
impostura  e  ch'essa  era  una  solenne  ingannatrice  la  quale  forse  se 

zione  all'inquisitore  di  Milano  il  quale  aveva  chiesto  se  i  nobili  si  do- 
vessero condannare  alla  galera:  e  fu  che  non  si  poteva  dare  una  de- 
cisione assoluta  né  escludere  tale  pena,  ma  che  si  sarebbe  deliberato 
volta  per  volta,  secondo   la   qualità  del  caso  (Decreta,  etc.^  cit.,  e.  764). 


I3|B  NOTIZIE   SPARSA 

l'intendeva  col  demonio,  e  3i  sentenziò  dovesse  stare  rinchiusa  in 
p^petuo  in  un  carcere  mite.  E  chiusa  infatti  rimase  per  circa 
trentanni,  finché  nel  1719,  a  troncare  le  pene  di  quel  corpo  trava- 
gliato e  di  quello  spirito  infermo,  sopravvenne  liberatrice  la  morte  (i). 

A  compiere  Pesame  di  quanto  ne'  nostri  manoscritti  concerne 
la  Lombardia,  non  mi  resta  che  riferire  due  accenni  a  processi  te- 
nuti presso  il  S.  Officio  di  Pavia.  U  primo  parla  deUa  condanna  in- 
flitta il  27  giugno  1591  ad  un  tale  che  aveva  percosso  una  persona 
perchè  gh  aveva  denunciata  la  moglie  all'Inquisizione  come  sospetta 
d'eresia:  bastonatura  che  gli  era  costata  cara,  poiché  egli  avea 
dovuto  subire  tre  colpi  di  fune  e  poi  partire  in  esilio  (i).  Il  secondo 
riguarda  alcuni  studenti  dell'Università  i  quali,  per  avere  eoa  la 
forza  strappato  dalle  mani  dei  famigli  del  S.  Officio  im  loro  com- 
pagno mentre  era  tratto  alle  carceri,  il  io  agosto  1621  furono  pu- 
niti con  una  grave  ammonizione  e  col  carcere  temporaneo  (a). 

E  questo  è  tutto.  Certo,  non  è  molto,  raflfrontandolo  col  desi- 
derio legittimo  di  conoscere  con  maggiore  ampiezza  e  precisione 
di  particolari  lo  svolgersi  della  controriforma,  di  quest'azione  me- 
ravigliosa per  coerenza,  per  costanza  e  per  energia,  che,  almeno 
fino  a  mezzo  il  XVII  secolo,  procede  imperterrita  al  suo  scopo, 
valendosi  di  tutti  i  mezzi  che  reputa  adatti  e  convenienti,  animata 
sempre  da  una  convinzione  profonda  e  da  una  buona  fede,  che  a 
torto  e  con  animo  prevenuto  si  suole  negare,  intorbidendo  i  sereni 
criteri  della  storia  coi  nostri  anacronismi,  con  le  nostre  mutabili 
passioni  e  coi  nostri  intolleranti  preconcetti. 

Ma,  si  sa  bene,  generalmente  i  desideri,  anche  i  più  ragione- 
voli, non  hanno  limiti,  tanto  meno  quando  il  loro  soddisfacimento 
è  lontano  e  difficile  :  questa  considerazione  e  la  buona  volontà 
valgano  a  procurarmi  il  compatimento  dei  lettori. 

Antonio  Battistella. 


(i)  Sanciilaies  affectatat^  voi.,  manose,  cit,  ad  ann. 
(a)  Decreta^  etc^  cit.,  e.  93. 
(3)  Decreta,  eie,  cit.,  e.  93. 


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\         t 


VARIETÀ' 


LrO  Staio  di   Monza. 


'  erudita  Nota  Metrologica ,  pubblicata  dal  chiarissimo 
A.  Mazzi  in  quest'ai rc/riV/o,  mi  porge  occasione  a  scrivere 
di  un  cimelio  che  si  conserva  in  Monza,  prima  d'ora  non 
illustrato;  ma  che  certo  non  manca  d'importanza  storica,  e  parmi 
degno  d'essere  conosciuto  più  che  non  è. 

L'importantissimo  documento  del  1369  (i),  con  cui  il  Mazzi  dà 
principio  alla  sua  nota  dice  : 

«  Secundum  mensuram  sextarii  de  bronzo  mensure  mediola- 
«  nensis  qui  appellatur  patronus,  et  quo  utitur  et  usum  est  in  ci- 
«  vitate  Mediolani  iam  sunt  CCCVIII  anni,  qui  factus  fuit  anno  MLX, 
«  Modius  Venetus  comuniter  semper  fuit  star.  LVI  quartar.  Ili,  et 
«  hoc  est.  n 

Sulla  fine  dunque  del  secolo  XIV  si  conservava  in  Milano  un 
campione  in  bronzo  dello  staio,  la  cui  grandezza  o  capacità  era 
stata  stabilita  fino  dal  1060;  e  serviva  come  tipo  per  la  verifica  ed 
il  ragguaglio  colle  altre  misure. 

Ed  un  campione  in  bronzo  od  uno  staio  modello  è  il  Monzese, 
die  si  conserva  presso  la  locale  Congregazione  di  Carità.  Certa- 
mente non  poteva  essere  una  misura  effettiva  dì  uso  comune  un 
recipiente  di  bronzo  fuso,  che  vuoto  pesa  chilogrammi  17,350.  Che 
se  le  misure  campioni  si  conservano  e  si  usano  oggidì,  tanto  più 
lo  si  doveva  fare  in  antico,  quando  più  facilmente  si  potevano 
adulterare  le  effettive  non  soggette  come  ora  a  frequenti  verifiche  (2) 

(i)  Lettera  20  aprile  1369  dei  Deputati  di  Milano  al  Podestà  di 
Bergamo,  che  trovasi  in  un  Registrum  Liiterarum  manoscritto  nella 
Civica  Biblioteca  Bergomense.  (Vedi  Archivio  Stor,,  fase.  XXXI,  pag.  34). 

(3)  Gli  Statuti  delle  varie  città  d' Italia  contengono  dei  titoli  speciali 
contro  i  falsificatori  dei  pesi  e  delle  misure,  ai  quali   sono  comminate 


140  LO   STAIO   DI    MONZA 

Misure  antiche  di  vario  genere,  anche  fisse  e  scolpite  in  pi^ra, 
esistevano  in  diverse  città.  Così  a  Milano  nel  Broletto  Nuovo  nella 
Piazza  dei  Mercanti  in  una  lastra  di  marmo,  ora  smarrita,  era  se- 
gnato il  campione  del  «  cubito,  n  Negli  Statuti  dei  Mercanti  di 
Monza  si  dice,  che  il  passetto  o  braccio  è  falso,  se  non  corrisponda 
alla  misura  incisa  nella  pietra  che  è  sotto  il  Palazzo  del  Comune, 
ora  detto  Arengario:  «  Intelligatur  passus  falsus  sì  non  inveniatur 
u  infra  cloderam  vel  mensuram  lapidis  quae  est  subtus  pallatium.  » 
E  com'io  notava  nella  pubblicazione  di  quegli  Statuti  (i),  sino  al 
principio  dello  scorso  secolo  esisteva  presso  il  Palazzo  un  gran 
masso  di  serizzo  siliceo  del  peso  di  circa  cinque  quintali  (che  ora 
si  conserva  con  alcune  lapidi  di  varia  provenienza  sotto  i  portici 
della  residenza  municipale),  nel  quale  sono  praticati  tre  incavi  della 
capacità  dello  staio,  della  mina  o  mezzo  staio  e  del  quartaro. 

Tornando  al  nostro  staio  comincerò  col  darne  la  descrizione. 
E  un  cilindro  di  bronzo  di  buona  lega  e  sonoro,  fuso  di  getto  in 
un  pezzo  solo,  con  due  maniglie  verticali  alte  15  centimetri  spor- 
genti cent.  5,  ed  un  orlo  all'estremità  superiore  di  2  cent,  di  lar- 
ghezza. Misura  di  diametro  all'esterno  cent.  37,7  e  nel!' intemo  34,3; 
poiché  Torlo  ha  la  superficie  di  17  millimetri.  La  sua  altezza  è  al- 
l'esterno di  cent.  21  e  nell'  interno  di  20,  essendo  di  poco  meno 
d'un  centimetro  lo  spessore  del  fondo  e  di  tutto  il  vaso.  Non  fanno 

pene  gravissime  e  persino  il  patibolo.  Ai  tempi  poi  di  Dante  era  così 
notoria  la  frode  di  Durante  de'  Chiaramontesi,  doganiere  e  camerlingo 
del  comune  di  Firenze,  il  quale  aveva  adulterato  lo  staio,  che  per  in- 
dicare quella  famiglia  il  poeta  dice  soltanto  : 

...  quei  che  arrossai)  per  lo  staio. 

Farad.  XVI,  105. 

E  altrove  accenna  allo  stesso  fatto,  ed  allo  strappo  di  fogli  da  un  re- 
gistro del  comune,  narrando  di  certe 

...  scalee,  che  si  fero  ad  etade 
Ch*era  sicuro  il  quaderno  e  la  doga. 

Purgai.  XII.  105. 

Sulla  qual  frode  recano  molti  ragguagli  i  commentatori  del  poema,  a 
cominciar  dai  più  antichi,  come  l'Ottimo,  l'Anonimo  Fiorentino,  ecc, 
(Cfr.  P.  Toynbee,  A  Diciionary  of  proper  names,  ecc.,  in  the  Works  of 
Dante^  Oxford,  1898,  s.  v.  Chiaramoniesi,  pag.  151).  Ed  il  Landino  assi- 
cura che  *  acciocché  non  si  potesse  più  defraudare,  fu  dippoi  rifatto 
u  lo  staio  di  ferro  ,.  {Dante  con  le  spositioni  di  C.  Landino,  ecc.  Venezia, 
1578,  Sessa,  fol.  339  b). 

(i)  Statuti  detta  Società  dei  Mercanti  di  Monza  ora  per  la  prima  volta 
messi  a  stampa,  ecc.  Monza,  1891,  Corbetta.  Pag.  140,  nota  43. 


M^ 


LO   STAIO   DI   MONZA  I4I 

parte  della  fusione  due  grosse  punte  pure  di  bronzo,  sporgenti  in- 
ternamente di  circa  im  centimetro,  e  saldamente  ribadite  all'esterno, 
collocate  in  posizione  diametralmente  opposta  a  cent.  13,4  dal  fondo. 

Per  determinare  esattamente  il  volume  o  la  capacità  di  questo 
vaso  approfittai  del  principio,  che  //  litro  è  il  volume  d'  un  chilo- 
grammo d'acqua  distillata  al  suo  massimo  di  densità,  cioè  a  4^ 
sopra  zero.  Così  dal  peso  esatto  dell'acqua  ho  dedotto,  che  la  no- 
stra misura  fino  alle  due  punte  inteme  contiene  litri  11,850  e  ri- 
piena litri  17,775.  Ora  essendo  il  Moggio  milanese,  che  si  usava 
anche  a  Monza,  di  litri  146,24,  il  suo  staio  è  di  litri  18,280.  Il  no- 
stro vaso  sarebbe  dunque  mancante  di  oltre  un  mezzo  litro,  il  che 
non  parmi  comportabile  in  una  misura  campione.  —  Le  due  quantità  : 
litri  17,775  ^^^  vaso  pieno  e  litri  11,850  fino  alle  punte  in  teme, 
non  corrispondono  neppure  al  valore  del  patrono  calcolato  dal 
chiaris.  Mazzi,  il  quale  colla  competenza  rara  che  ha  della  materia 
da  ben  tredici  ragguagli  ne  dedusse  la  media  di  litri  13,3. 

Noto  che  la  differenza  tra  i  due  numeri  da  me  trovati  è  di 
litri  5,925  e  che  i  due  volumi  suddetti  sono  precisamente  il  doppio 
(litri  11,850)  ed  il  triplo  (litri  17,775)  di  questa  differenza;  per  cui 
le  due  punte  segnano  esattamente  i  due  terzi  della  capacità  del 
vaso.  Preso  quindi  per  unità  litri  5,925  ;  fino  alle  punte  si  avreb- 
bero due  misure  e  ripieno  sarebbero  tre  misure.  Calcolato  col 
Mazzi  il  Moggio  veneto  dei  grani  di  litri  334,61  ;  il  patrono^  che 
secondo  la  carta  surriferita   del    1369   doveva    entrarvi   per  volte 

56  -^ ,  risultava  di  litri  5,896.  Pare  però  allo  stesso  Mazzi  (pag.  38 

in  nota)  di  poter  stabilire  la  capacità  del  Moggio  veneto  in  litri 
337,92  ;  con  che  il  patrono  diventerebbe  di  litri  5,955.  Questi  due 
valori  sono  vicinissimi  alla  mia  unità  di  misura,  la  quale  non  ne 
differisce  che  di  tre  centilitri  in  più  e  in  meno.  Non  potrebbe 
dunque  il  vaso  di  Monza  essere  il  campione  dei  tre  patroni  e  dei 
due  patroni  fino  ai  segni  interni  ?  L' ipotesi  a  me  stesso  sembra 
troppo  avventata;  ma  quell'indicazione  dei  due  terzi  del  volume 
totale  qual  relazione  può  avere  con  im  vero  staio?  In  tutte  le  carte 
antiche,  come  anche  nella  riportata  in  capo  a  questa  nota,  lo  staio 
è  sempre  diviso  in  quattro  quartari. 

Grandi  lumi  sul  suo  valore  metrologico,  e  fors'anche  sull'epoca 
di  questa  misura,  probabilmente  ce  li  avrebbe  fomiti  una  lunga 
epigrafe  di  cui  era  fregiata,  ma  che  pur  troppo,  non  saprei  indo- 
vinare per  qual  ragione,  andò  quasi  totalmente  perduta,  spietata- 
mente abrasa  con  improba  fatica  a  furia  di  scalpelli  e  di  lime. 
Pare  che  quest'  iscrizione,  fusa  di  getto  circolarmente  in  rilievo  sulla 


142  LO   STAIO   DI   MONZA 

superficie  esterna,  occupasse  tutti  i  19  centimetri  che  stanno  al  disotto 
dell'orlo  superiore,  e  fosse  divisa  in  sei  righe,  di  tre  delle  quali  (1, 
IV  e  VI)  si  hanno  traccie  evidenti.  Ora  dell'epigrafe,  che  è  in  lettere 
maiuscole  di  tre  centimetri  d'altezza,  è  conservato  solo  questo  : 


.»     COIS     MODE    .>J 


che  precisa  il  primitivo  possessore  della  misura  :  Comunis  Modoetiae. 
Dalla  parte  opposta,  inseriti  nell'iscrizione  e  della  sua  medesima 
grandezza,  erano  quattro  stemmi  soprapposti  due  nella  prima  riga 
e  due  nella  seconda.  Dei  due  superiori,  che  sono  ben  conservati, 
quello  a  destra  contiene  il  biscione  visconteo  e  l'altro  l'aquila  im- 
periale. Degli  inferiori  quello  a  sinistra  sembra  fosse  quadripartito; 
ma  è  totalmente  abraso  sicché  non  se  ne  può  cavar  nulla.  L'altro 
contiene  un  disco  di  molto  rilievo,  sformato  pare  dalla  percussione, 
forse  rappresentante  originariamente  la  luna  piena  qual  era  nel- 
l'antico stemma  di  Monza;  giacché  l'odierno  colla  corona  ferrea 
e  la  così  detta  croce  del  regno  non  fu  adottato  dal  Comune  che 
presso  lo  scorcio  del  secolo  XVI.  Di  questi  stemmi  quello  in  cui 
è  rappresentata  l'aquila  imperiale  ne  accerta,  che  la  nostra  misura 
non  può  risalire  ad  epoca  anteriore  al  1294;  poiché  solo  da  que- 
st'anno in  cui  Matteo  Magno  accettò  il  vicariato  imperiale,  i  Vi- 
sconti acquistarono  il  diritto  d'inserire  l'aquila  nel  loro  blasone. 
Forse  potrebbero  meglio  precisar  l'epoca  di  questo  cimelio  le  traccie 

di  alcune  lettere  male  abrase  in  seguito  alle  due  parole:  Cois  Mode, 

che  sono  :  •••  FP  :  CS,  le  quali  se,  come  sembra  probabile,  fossero 

^ 

FRNCS,  e  si  riferissero  a  Francesco  Sforza,  segnerebbero  la  data 
del  1450  o  poco  dopo,  epoca  che  meglio  si  adatterebbe  alla  forma 
delle  poche  lettere  conservate,  le  quali  segnano  il  periodo  di  tran- 
sizione tra  la  scrittura  gotica  e  lo  stampatello  romano.  Ma  anche 
questa  è  un'ipotesi  e  nulla  più. 

Noto  anche  che  nelle  molte  carte  Monzesi,  che  da  anni  vado 
esaminando  nei  varii  archivii,  non  mi  fu  mai  dato  di  trovare  pa- 
rola o  frase,  che  almeno  lontanamente  accennasse  a  questa  misura; 
ragione  precipua  per  cui  in  questa  nota  non  ho  potuto  che  proce- 
dere per  induzione,  raccogliendo  vaghe  ipotesi  più  o  meno  pro- 
babili. Mi  sono  però  deciso  a  pubblicarla  per  far  conoscere  ima 
misura  in  bronzo  finora  nota  a  pochissimi,  e  per  eccitare  altri  più 
esperti  o  più  fortunati  di  me  a  nuovi    studii,    che    conducano  alla 

completa  illustrazione  di  questo  cimelio. 

A.  V. 


UNA  MONETA    MILANESE   ANONIMA 


Una  moneta  milanese  ancmima 
del   successori   di   Oiovannl   Visconti. 

^OM'è  risaputo,  l'Arcivescovo  Giovanni  Visconti  mori  ìm- 
I  prowisamente  il  5  ottobre  1354,  "  senza  disposizione 
•  alcuna  per  lo  stato  »  (i),  e  le  cittì  e  i  territori  onde 
questo  si  componeva  furono  divisi  tra  i  figli  di  Stefano,  già  ri- 
duamati  d'esilio  dall'Arcivescovo  medesimo,  cioè  Matteo  II,  Ber- 
nabò e  Gaiezze  IL  Milano  tuttavia  e  Genova  restarono  sotto  la 
comune  dominazione  dei  tre  fratelli  (a). 

Nel  breve  giro  di  meno  d'un  anno,  tale  condizione  di  cose 
ebbe  termine,  poiché  con  la  morte  dì  Matteo,  avvenuta  il  26  set- 
tembre 1355,  Bernabò  e  Galeazzo  rimasero  soli  signori. 

Di  Giovanni,  con  Luchino  dapprima,  e  poi  solo,  si  hanno  mo- 
nete, benché  quasi  tutte  più  o  meno  rare  ;  di  Bernabò  e  Galeazzo, 
associati  separatamente,  ci  rimane  una  serie  monetale  abbastanza 
copiosa  ;  il  breve  periodo  sovr-ascennato,  della  dominazione  pro- 
miscua dei  tre  fratelli,  non  ci  avrebbe  lasciato  invece  nessun  mo- 
numento numismatico,  almeno  secondo  l'opinione  prevalente. 

Un  nostro  scrittore  del  secolo  XVIII  tuttavia,  il  Sellati,  si 
esprime  a  tal  proposito  come  segue:  »  Monete  che  portino  il  nome 

•  di  tutti  e  tre  fin'ora  non  se  ne  sono  vedute....  A  me  però  fu 
o  dato  di  rinvenirne   una   d'argento   nel  ricco   Museo  del   Padre 

•  Bdaestro  Porta,  la  quale  è  certamente  assai  rara.  Essa  porta  una 
a  croce  circondata  dalle  parole  -f-  ■  M .  B .  G  .  VICECOMTES .,  cioè 
d  Mathaeus,  Bemabos,  Galeaz  Vicecomites.  Dalla  Parte  opposta  ha 
■  una  grande  M  nel  mezzo,  e  intomo  ~{-  MEDIOLANV  (3)  ■. 

E  di  questa  moneta  ci  dà  un  rozzo  disegno,  che  qui  si  ri- 
produce. 


FtcìimiU  del  diaegno  del  Bc1l>1>. 

(i)  LiiTA.  Famiglie  ctUbri  d'Ifalia:  Visconti  di  Milano,  tav.  HI. 

(2)  Verrl  Storia  di  Milano.  Tomo  I.  Milano,  1783  —  (a  pag.  2fi9^°> 

(3)  Sellati  (F.)-  Dissertazione  soffra  varie  monete  intdtt*  spellanti  al- 
l'Austriaca  Lombardia.  In  Milano,  1775  —  (a  pag.  3)- 


144  ^^^    MONETA    MILANESE   ANONIMA 

Vincenzo  Promis,  nelle  sue  classiche  Tavole  sinottiche,  e  dopo 
di  lui  i  benemeriti  fratelli  Gnecchi  nella  notissima  loro  opera  sulle 
monete  di  Milano,  non  prestarono  fede  al  Bellatì,  e  ritennero  questo 
pezzo  come  un  sesino  di  Bernabò  e  Galezzo,  male  attribuito. 

il  chiaro  nummografo  piemontese  lo  registra  infatti  tra  le  mo- 
nete di  questi  due  signori  (i),  e  a  lui  l'abbagho  del  Sellati  doveva 
sembrar  cosa  troppo  evidente,  se  non  credette  necessario  di  ag- 
giunger sillaba  nella  colonna  delle  annotazioni. 

Quanto  ai  Sigg.  Gnecchi,  essi  citano  la  moneta  del  Sellati,  e 
osservano  :  «  .  .  .  non  avendo  mai  potuto  trovare  in  nessuna  col- 
«  lezione  tale  moneta,  riteniamo  si  tratti  del  Sesino  di  Bamabò  e 
«  Galeazzo  da  noi  descritto,  male  interpretato  (2).  » 

Ma  il  sesino  di  Bernabò  e  Galeazzo  ha  il  biscione  nel  campo, 
non  la  grande  M  gotica  che  è  propria  del  sesino  di  Giovanni 
(fig.  1);  mi  par  quindi  inverisimile  che  il  Sellati  possa  aver  preso 


abbaglio  in  questo  senso.  Piuttosto  si  potrebbe  supporre  ch'e|;li 
avesse  erroneamente  interpretato  appunto  un  sesino  malconservato 
di  Giovanni,  leggendovi  fantasticamente:  M .  B  .  G  .  Vicecomiles 
invece  di  Johs.  Vicecomes.  E  la  supposizione  sarebbe  avvalorata 
dal  fatto  che  nel  suo  disegno  il  Vicecomiles  è  scritto  VICECOMTES 
con  un  nesso  che  potrebb 'essere  anche  una  falsa  lettura  per  una 
semplice  E, 

Senonchè,  bisogna  notare  che  le  monete  di  Giovanni  hanno 
sempre  la  graffa  VICECOES,  non  mai  VICECOMES  (3).  È  quindi, 
per  questo  riguardo,  aggiunto  al  resto,  meno  verisimile  che  il  Bel- 

(i)  Promis  (V.).  Tavole  sinoltiche  delle  monete  battute  in  Italia  e  da 
Italiani  alfeslero  dal  stcolo  VII  a  tutto  l'anno  MDCCCLXVIII.  illustrate 
con  note.  Torino,  1869  —  (a  pag.  irg). 

(3)  Gnecchi  (F.  ed  E.>.  Le  monete  di  Milano  da  Carlo  Magno  a  Vit- 
torio Emanuele  II,  descritte  ed  illustrate.  Milano,  1884  —  (a  pag,  38). 

(3)  1  nn.  3,  5  e  7  dell'opera  dei  Gnecchi  sembrano  contraddire  que- 
st'affermazione ;  ma  mi  affretto  a  osservare  che,  in  primo  luogo  i 
nn.  2  e  7  sono  monete  riportate  da  vecchie  pubblicazioni  e  suUe  quali 


UNA    MONETA   MILANESE  ANONIMA  14^ 

lati  abbia  preso  abbaglio  neppure  con  un  sesino  di  Giovanni,  e  la 
sua  moneta  si  presenta  tanto  più  accettabile  come  vera  moneta 
dei  tre  fratelli,     v-^^^^^*- 

La  forma  VICECOMTES  (con  quel  nesso)  s'incontra  del  resto 
precisamente  su  di  una  moneta  di  Bernabò  e  Galeazzo  (i). 

Quanto  alla  estrema  rarità,  o  meglio  alla  odierna  irreperibilità 
della  moneta  riportata  dal  Bellati,  essa  potrebbe  spiegarsi  naturai- 
molte  con  la  brevità  del  perìodo  storico  al  quale  appartiene. 

Le  considerazioni  che  ho  svolte  mi'  sembrano  già  sufficienti, 
w  non  m' inganno,  per  far  ammettere  la  possibilità  d'esistenza  di 
una  simile  moneta. 

Ma  a  queste  considerazioni  astratte  mi  è  dato  dì  aggiungere 
un  argomento  concreto,  nel  seguente  curioso  sesino  (fig.  2)  che 
pochi  anni  fa  ebbi  la  fortuna  di  acquistare  per  il  R.  Gabinetto 
Numismatico  di  Brera: 


+  MEDIOLANVM  Croce. 
+  MEDIOLANVM  Biscione. 

Questa  moneta  costituisce,  come  i  lettori  possono  vedere  a 
colpo  d'occhio,  un  vero  anello  di  congiunzione  tra  quella  di  Gio- 
vanni Visconti  riportata  alla  fig,  i,  e  il  notissimo  e  comunissimo 
sesbo  di  Bernabò  e  Galeazzo  (fig.  3),  che  non  ne  differisce  fuorché 
per  la  legenda  -j-  8  .  G  .  VICECOMITES  attorno  al  biscione. 


fig.  3- 

gli  stesBÌ  Sigg.  Gnecchi  esprìmono  i  loro  dubbi  ;  in  secondo  luogo  che 
il  tu  5,  anch'esso  riportato  soltanto  dalla  Postrema  Disseriatio  del  Bel- 
lini (del  1774),  non  merita,  a  mio  avviso,  maggior  fiducia. 

(i)  Checchi,  Sufipiemenfo.  Milano,  1894  —  (a  pag.  33,  n.  3). 

*ra.  Stor.  Lami.,  Anno  ZZIZ,  fuc.  XZXIII.  [o 


UNA   LETTERA   INEDITA   DI   S.   CARLO 


147 


desunta  dal  privato  archivio   del  sig.  conte  Giorgio    Dal  Verme, 
che  ne  ha  all'uopo  dato  pieno  e  cortese  assenso. 

Tale  lettera  ha  la  data  del  4  aprile  1576  ed  è  diretta  dal  car- 
dinale di  Santa  Prassede  al  sig.  conte  Giano  Dal  Verme,  del  ramo 
dei  Conti  di  Bobbio,  estintosi  nel  1769,  nell'intento  di  persuaderlo 
a  lasciar  trasportare  l'altare  della  Madonna  dal  luogo  ove  era,  e  cioè 
a  sinistra  della  porta  maggiore  del  tempio,  nella  cappella  di  San  Bo- 
naventura, di  suo  juspatronato,  nella  chiesa  di  San  Francesco 
Grande. 

Questo  conte  Dal  Verme,  chiamato  Giano  dal  Litta,  appar  fir- 
mato nel  documento  che  offriamo  come  Jannes.  Fu  egli  costante- 
mente al  servizio  di  Carlo  V  e  assistette  anzi  all'incoronazione 
dell'imperatore  in  Bologna  nel  1530.  Più  tardi,  venne  eletto  sena- 
tore in  Milano,  ma  non  vi  risiedette  perchè  colto  dalla  morte  in 
Bobbio  nel  1582.  D  padre  suo.  Federico,  ebbe  vita  avventurosa  ed 
era  stato  fatto  conte  di  Bobbio  nel  1532  da  Francesco  II  Sforza. 
Di  questo  Giano  Dal  Verme  il  cardinale  Borromeo  si  firma 
in  quella  lettera  come  parente  e  fratello  amorevole  pel  motivo  che  <^vX<>f  /^ 
aveva  il  detto  conte  preso  in  moglie  nel  1538  una  Eleonora  Bor-  ^  j^  r 
romeo,  zia   di   San   Carlo,  e  perchè   una   di   lui   sorella   Taddea,  J^  *  • 

vedova  di  un  conte  Gambara,  sposò  in  seconde  nozze  il  conte  Gì-  ^ 

berto  Borromeo,  vedovo  di  una  Medici  e  padre   dell'  illustre  Arci-  Ì   • 
vescovo. 

Benché  poi  l'ufficio  per  cui  si  adoperava,  con  questo  suo  per- 
sonale scritto,  il  cardinale  Borromeo,  non  offrisse  per  sé  grandi 
difficoltà,  al  punto  che  si  limita  egli  a  presentare  al  conte  Dal 
Verme,  colla  commendatizia  sua,  per  la  stipulazione  del  caldeg- 
giato istromento,  il  notajo  stesso  (era  un  Pomponio  Bossi)  che  gli 
Scolari  della  Concezione  inviavano  già  quasi  sicuri  in  prevenzione 
di  un  favorevole  accoglimento,  pure  è  questo  atto  una  novella 
prova  dello  zelo  con  cui  il  cardinale/Arcivescovo  di  Milano,  che 
tanta  fama  lasciò  di  sé  in  tutta  la  Cristianità,  disimpegnava  nella 
sua  vasta  ed  importante  Diocesi  i  doveri  dell'alta  sua  carica. 

Sul  trasferimento  dell'altare  della  Concezione  che  forma  og- 
getto di  quello  scritto,  molto  vi  sarebbe  a  dire  anche  per  le  con- 
seguenze che  ponno  trarsene  sotto  il  rispetto  artistico,  ma  per  non 
uscir  ora  dal  campo  prettamente  istorico,  diamo  qui  appresso,  senza 
ulteriori  commenti,  la  lettera  in  questione. 


\\-t  f  < 


I 


Litterae  Sancti  Caroli  Borromaei  perillustrem  Comitem  Joan- 
ncm  de  Verme  suadentis  ad  concedendum  sodalibus  Deiparae  sine 
labe  conceptae  sui  juris  sacellum  in  Templum  Sancti  Francisci  Me- 


148  UNA   LETTERA   INEDITA   DI   S.   CARLO 

diolani  Sancto  Bonaventuraae  tunc  dicatum,  ut  illuc  ipsius  Imma- 
colatae  Virginis  Ara  transferatur,  jure  tamen  sepulcri  ibi  positi 
praefato  Corniti  Vermensi  Familiae  permanente  .  4  Aprilis  1576. 

Molto  IlLre  S.rt 

Havendo  Mons.  Reveren.mo  Visitatore  Apostolico  ordinato  in  S.t  Fran- 
cesco di  Milano  che  l'altare  della  Concettione  della  Madonna  per  diversi 
rispetti  concementi  il  decoro  di  quella  Chiesa  si  trasferisca  dal  loco,  dove 
era,  ad  altra  Capella  in  essa  Chiesa,  nissuna  ci  è  parsa  più  a  proposito, 
che  quella  di  S.t  Bonaventura,  che  s'intende  essere  juspatronato  di  V. 
S.,  la  quale  per  la  pietà  sua  confìdamo  che  non  sarà  difììcultà  a  conce- 
derla alla  Scuola  della  Concettione,  si  per  l'opera  in  sé,  che  ad  honore 
della  Madonna,  et  sì  perchè  verranno  a  partecipare  spiritualmente  li 
defunti  suoi  et  lei  medesima  delli  Sacrifìcii  et  orationi  che  si  faranno  in 
essa  Capella,  nella  quale  ha  da  restare  la  Sepultura  della  Casa  sua,  come 
perchè  per  questa  via  verrà  ad  essere  sollevata  dall'obligo  di  ripararla 
et  ornarla,  che  sarebbe  con  non  poca  sua  spesa  conforme  al'ordinazione 
della  visita  Apostolica,  essendo  detta  Capella  molto  male  in  ordine  in 
più  cose,  per  non  dire  della  satisiattione,  che  ne  sentiremo  Mons.  R.°^ 
Visitatore,  et  io,  et  questi  miei  Deputati  della  Scuola;  i  quali  essendo 
come  sicuri  della  buona  volontà  di  V.  S.  mandano  il  presente  notaro 
apposta  per  stipulare  l'Instromento  opportuno  sopra  ciò;  ed  io  ho  voluto 
accompagnarlo  con  questa  mia,  pregandola  che  per  honor  di  Dio,  et 
della  Beat.m*  Vergine,  et  per  decoro  di  quella  Chiesa,  et  satisfattione 
di  noi  altri  non  voglia  mancare  di  fare  quanto  si  desidera  in  fare  ispe- 
dire  il  suddetto  Instrumento  secondo  le  forrae^  che  si  le  manda  di  qua; 
che  io  in  particolare  lo  riceverò  a  molto  piacere  e  di  tutto  cuore  me 
Le  oflfro  et  racc.<i«  Di  Milano  li  mj  di  Aprile  1576. 

Di  V.  S.  Molto  IU.re 

Parente  et  Fratello  Amorevole 

Il  Card,  di  S.ta  Prassede 

A  tergo  —  Al  ìdolto  Illre  Ss  Conte  Jannes  del  Verme 

a  Bobbio, 

U  visitatore  apostolico  di  cui  si  parla  in  questa  lettera  è  monsignor 
Gerolamo  Regazzoni,  vescovo  di  Famagosta  all'uopo  delegato  dal  pon- 
tefice Gregorio  XIll. 

Diego  Sant'Ambrogio. 


CARNEVALE    IN    MILANO 


149 


Carnevale  In  Milano  nel  1590. 


»L  carnevalone  ambrosiano  che  da  anni  parecchi  andava 
sempre  più  snaturandosi  e  illanguidendo,  è  oramai  un 
ricordo  storico:  nullo  oramai  per  tutti,  è  ridotto  a  ve- 
roni che  fanno  dormire  ed  a  fiere  di  poca  allegria  a  porta  Ge- 
nova. Ma  manca  ancora  la  sua  storia  esauriente  a  ricordame  le  curiose 
e  aneddotiche  vicende  attraverso  i  secoli.  Molti  scrittori  vi  toccarono 
inddentahnente,  senza  stenderne  un  lavoro  speciale,  eccezione  fatta 
per  quello  del  Pagani  che  sebben  dettato  con  lodevole  intento, 
nella  parte  documentaria  è  tutt'altro  che  definitivo  (i). 

Né  ci  sentiamo  noi  di  tesserla  questa  storia,  che  in  tanta  parte 
si  confonde  con  quella  del  teatro  milanese,  data  la  natura  degli 
spettacoli  carnascialeschi  d'allora  a  base  di  rappresentazioni  mito- 
logiche e  di  tornei  cavallereschi  (2).  Ma  poiché  siamo  usciti  dalla 
stagione  dei  balli  e  delle  maschere,  non  tornerà  sgradito  di  ricor- 
dare oggi  —  a  titolo  di  pura  curiosità  storica,  —  come  trascor- 
ressero gli  ultimi  tre  giovedì  del  carnevalone  dell'anno    di  grazia 


(i)  PAGAin  (Gentile).  Saggio  di  carnevalografìa  ambrosiana.  !&*  Milano 
Sonzogno,  1884.  Aggiungi  :  Ambrogio  da  Milano  (C.  Cantù).  I  carnevali 
milanesi,  in  Mondo  Illustrato^  di  Torino,  1847,  p.  119  segg.;  Carnesec- 
CHI  (C).  Carnevali  milanesi,  in  Fanfulla  della  domenica  a.  Ili,  188 1  n.  9; 
BiAKcui  (A.  G.).  I  professori  ^  di  ballare  „,  in  Conversazioni  della  do- 
fnentca^  n.  7,  1888;  Arullani  (V.  A.).  Due  spettacoli  carnevaleschi  mi- 
lanesi del  secolo  XVI,  in  Fila  Nuova  n.  13,  a.  II,  1890;  Solerti  (A.). 
Rappresentazioni  di  poeti  nel  secolo  XVI,  in  Intermezzo  a.  I.,  n.  17-18, 
1890  (questi  tre  articoli,  a  proposito  delle  Pompe  del  Rainerio,  stam- 
pato nel  1553)  ;  Giarelli  (F).  Il  carnevale  di  Milano  in  Natura  ed  arte^ 
15  febbraio  1899. 

(2)  Perle  feste  di  carnevale  dell'anno  1559,  coll'assistenza  di  Leone 
Leoni  aretino  cfr.  il  libretto  di  Ascanio  Centorio  d' Hortensii,  I  grandi  ap- 
parati, e  feste  fatte  in  Milano  dalli  Illust.  et  Ecc.  S.  il  Duca  di  Sessa  e  S. 
Marchese  di  Pescara,  ecc.  ecc ,  Milano,  Antonii  1559.  Più  ricordata  da  nostri 
scrittori  la  mascherata  fuori  carnevale  del  giugno  1574  in  onore  di  Gio- 
vanni d'Austria.  E  tacciamo  dei  carnevali  della  fine  del  quattrocento  per 
i  quali  giovano  gli  studi  dell'amico  prof  Renier  intorno  ai  poeti  sfor- 
zeschi Niccolò  da  Correggio  e  Gaspare  Visconti,  a  proposito  del  suo 
tt  Transito  di  Carnevale  „.  Il  cronista  Ambrogio  da  Paullo  ricorda  con 
dettagli  le  feste  carnevalesche  del  1502.  E  tra  le  poesie  raccolte  in  Am- 
brosiana (S.  B.  U.  IV,  68  n.  32)  v*è  il  Testamento  del  Carnevale  di  Mi- 
lano (Milano,  Tip.  Carlo  Bolzani,  1752). 


CARNEVALE   IN   MILANO  I51 

nova,  governatore  di  Milano,  e  don  Francesco  Ali  cremonese  t  ve- 
stito l'uno  «  di    taffetà   verde  et    tocca   d'oro,  »  l'altro  «  di  taffetà 
verde  e  bianco  »  e  ambedue  «  in  habito  donnesco,  con  cavalli  bar- 
dati sino  a  terra  riccamente,  et  gentilmente.  »  Tra  i  capi   giostra- 
tori nota  vasi  per  primo  «   il  marchesino   abbiatico   del   sig.  Duca 
con  sette  venturieri    a  cavallo  vestiti  di    taffetà  bianco,   argentino 
et  incarnato  con  o  ro  garbatamente  con  i  cavalli  anchora,  quali  have- 
vano  un  corno  per  uno  in  fronte  »  seguiti  da  trombetti  e  paggetti 
a  cavallo,    dai    medesimi   colori  e    «  con  i   stivaletti    dorati.  »  Se- 
guiva Carlo  Brivio  «  con  sei   ventiu-ieri  a  cavallo,  vestiti  di  vesti 
lunghe  di  velo  bianco  figurato  di  turchino    riccamente.  Tutti  i  ca- 
valli bardati  senza    croppiere,  né    staffili,  ma   con  le   bastine  sole 
et  un  corno  per  uno  in  fronte  ».  Poscia  il  conte  Paolo  Belgiojoso 
a  con  sette  venturieri  »  pure  a  cavallo  e  vestiti  «  di  taffetà  verde 
rosso  e  bianco  in  foggia  di  mostri  marini  che  coprivano  le  gambe, 
vista  bellissima,   con   una   canna   di  melica,   col  mazzo   di  melica 
attaccato,  ma  finta  in  mano.  »   Chiudeva  il  corteggio  il  carro  «  con 
due  cavalli    finti  de  medemi  colori  portato,  sedente  di   sopra  un 
huomo  vivo  in  forma  di  Nettuno  col  tridente,  garbatamente.  »  Pa- 
drini della  giostra  don  Pietro  Pontio,  il  Capitano  della  guardia,  il 
conte   Mattia  Taverna,  Hermes  Visconti,  il    conte    Lodovico    So- 
maglia,  Francesco  Tolentino  ed  altri. 

Dei  29  gennaio  1586  è  la  supplica  di  fra  Lucrezio  Quinziani 
diretta  al  marchese  d'Este,  per  ottenere  la  sua  liberazione  dalle 
carceri  di  S.  Ambrogio  Maggiore  in  Milano  dov'era  incarcerato, 
essendo  stato  «  preso  in  abito  da  mascara  »  il  giorno  di  S.  Paolo 
25  gennaio  «  sforzato  a  mascherarsi  a  cavallo  per  piacere  ad  un 
gentilluomo.  »  (i) 

Ai  16  di  febbraio   1587   notizia  di  altra  atmellata  «  qua  fatta 


(i)  Già  dei  24  gennaio  1562  è  la  grida  del  marchese  di  Pescara, 
vietante  di  mascherarsi  u  in  habito  da  prete  né  da  frate  né  da  mo- 
naca, pena  la  confisca  dei  beni  o  la  galera  ,  (Arch,  di  Stato.  Culto, 
Diversi  n.  13). 

Per  insoliti  rigori  governativi,  più  che  altro,  veniva  di  frequente 
tolto  il  permesso  dei  travestimenti  e  delle  maschere  per  carnevale,  già 
nel  quattrocento.  I  Registri  dell'Archivio  di  stato  milanese  ce.  ne  of- 
frono copiosi  esempi  per  gU  anni  1422,  1462,  1465,  1468,  1471,  1473,  1476 
(Reg.  Panigarola  CC.  285;  DD.  559  t.%  706  t.°,  F.  108  t.^,  162,  217  t»; 
p  106  t-U  14B1,  1483  (Gridario  i2/x  e  30/1  ad  annum),  1487,  1494  {Reg. 
^amg.  EE.  80;  DD.  443  t.').  Il  Pagani  segnala  U  divieto  deUa  Repub- 

bhca  Ambrosiana  nel  X448. 


CARNEVALE   IN   MILANO  153 


Correrie  a  tre  lancie. 
Il  signor  Conte  Teodoro  Trivultio 


<  venti  scudi. 


II  signor  Marchese  Marino 

//  premio  al  signor  Conte  Teodoro. 

0  signor  Conte  Litta  )    ,.    .         ,. 

n  signor  Conte  Antonio  Somaglia    )  *^'^"^  "'="*^'- 

//  premio  al  signor  Conte  Litta. 

n  signor  Francesco  Brivio  1    *.    .         ^. 

„.         r^'      r-'  Ti^x  )   dieci  scudi, 

u  signor  Gio.  Giacomo  Lattuà  ( 

//  premio  al  signor  Brivio. 

D  signor  Alfonso  Cotta  J     ,.     . 

TI    .  ^  r>    ux  )    dieci  scudi. 

D  signor  Cesare  Barbò  f 

//  premio  al  signor  Alfonso  Cotta. 

D  signor  Conte  Teodoro  Trivultio 
n  signor  Baldassarro  da  Rhò 

//  premio  al  signor  Baldassarro, 

n  signor  Conte  Litta  f  . 

Il  signor  Conte  Mercurino  Valenza   J 

//  premio  al  signor  Conte  Litta  che  portò  l'anello, 

11  signor  Alessandro  Vistarino 
n  signor  Alfonso  Cotta 

//  premio  al  signor  Alessandro  che  portò  l'anello, 

A   PRIMA    LANCIA, 


\  trenta  scudi. 


\   venti  scudi. 


D  signor  Conte  Teodoro  Trivultio     i  . 

D  signor  Marchese  Marino  (     ^^^^  ^^^  ** 

//  premio  al  signor  Marchese  Marino. 

Ruppero  poi  questi  signori  Cavalieri  nel  Facchino  molte  lancie, 
nel  qual  fatto  egregiamente  si  portò  il  signor  Conte  Teodoro  Tri- 
vultio. 

Comparsa  fatta  adi  primo  di  Marzo  ij^o  sul  Corso  di  porta  Ro- 
mana in  Milano  da  Cavaglieri  mascarati  per  correr*  à  l'anello 
in  vista  del  Cartello  che  siegue: 

Due  Cavalieri  dell'  Isola  di  fortuna  mossi  solo  dalla  generosità 
degli  animi  loro,  son  venuti  in  questa  nobilissima  Città,  per  certi- 


154  CARNEVALE   IN   MILANO 

ficarsi  à  pieno  con  tre  colpi  di  lancia  à  l'anello,  se  il  valore  nel- 
Tarmi  di  questi  nostri  Cavaglieri  inamorati,  è  tale,  qual  va'  riso- 
nando la  fama  per  tutto  il  mondo.  Et  per  ciò  fare  i  sudetti  due 
Cavaglieri  si  troveranno  giovedì  primo  di  Marzo,  sul  corso  di  porta 
Romana,  dove  cortesemente  sfidano  tutti  con  gli  infrascritti  capitoli  : 

Chi  comparirà  in  campo  prima  de'  Mantenitori,  non  sarà  am- 
messo al  correre. 

Chi  non  comparirà  con  habiti  nuovi  di  cendalè,  non  sarà  am- 
messo al  correre. 

Chi  perderà  la  staffa,  e  non  arresterà,  o  scuoterà  la  landa,  o 
gli  cascherà  il  capello,  perda  la  carriera. 

Chi  farà  ponteria,  guadagnerà  due  colpi,  e  chi  porterà  via 
l'anello,  ne  guadagnerà  tre  dell'altre,  anchora  che  fussero  tinte,  e 
non  si  guadagnerà  colpo  alcuno. 

Nei  colpi  pari,  chi  avrà  portato  meglio  la  lancia,  vincerà. 

Chi  darà  di  sopra  della  corda,  non  potrà  più  correre,  inten- 
dendosi senz'altro  aver  perso. 

Che  non  si  possi  correre  meno  di  dieci,  né  più  di  venti  scudi. 

Che  nissuno  possa  per  difensione  della  causa  sua  contendere 
con  gli  signori  Giudici,  sotto  pena  della  perdita  del  prezzo,  che  pre- 
tenda di  guadagnarli. 

Gli  signori  Giudici  sotto  : 

D  signor  Conte  Jeronimo  Morone. 
U  signor  Castellano  Maggio. 

Mantenitori  : 
U  signor  Conte  Don  Andrea  Manrique,  il  signor  Alessandro 
Vistarino,  vestiti  di  taffetà  bianco,  rosso,  et  tanè  figurati  a  qua- 
dretti molto  gentilmente,  che  cuoprivano  i  Cavalli  con  morioni 
sfoggiati,  et  simitarre,  et  tenevano  per  uno  in  mano  una  lancia 
corta  dipinta,  con  una  bandirola  in  cima,  le  quali  doppo  la  com- 
parsa correndo  insieme,  ruppero 

Precedevano  a  questi  signori: 

4  Trombetti. 

4  Paggi  che  a  mano  tenevano  7  bellissimi  cavalli,  et  2  altri 
Paggi  à  cavallo,  tutti  vestiti  de  medemi  colori. 

n  signor  Conte  Antonio  Somaglia  padrino,  vestito  tutto  di  tel- 
letta  d'ora  ricchissimamente,  et  sfoggiatamente. 

Vennero  poi: 

D  signor  Baldassarro  da  Rhò,  il  signor  Marchese  Marino,  il  signor 


CARNEVALE   IN   MILANO  I55 

Gio.  Giacomo  Lattuà,  il  signor  Don  Francesco  Filidoni,  et  uno  Ca- 
valiere incognito  lodeggiano,  vestiti  di  taffetà  giallo,  verde,  et  tur- 
dùno  in  habito  di  pellegrini,  tanto  copiosamente,  et  gentilmente, 
che  si  faceano  conoscere  per  veri  pellegrini. 

Precedevano  a  questi  signori: 

Trombetti  4  vestiti  de  medesimi  colori, 
n  signor  Giovanni  Barbò  padrino. 

Seguirono  : 

Il  signor  0>nte  Teodoro  Trivultio,  il  signor  Litta,  vestiti  d'A- 
mazzone di  taffetà  bianco,  morello,  rancio,  et  tanè. 

Precedevano  a  questi  signori: 

Trombetti  4. 

Paggi  quattro  a  cavallo,  gli  secondi  con  lancie  in  mano  vestiti 
de  medemi  colori. 

H  signor  Cesare  Marino  padrino. 


\     corrono  dieci  scudi. 


Il  signor  Alessandro  \istarino  1      ,.     . 

dieci  scudi. 


Correrie. 

Il  signor  Conte  Don  Andrea  Manrique 
U  signor  Baldassarro  da  Rhò. 

//  premio  al  signor  Don  Andrea. 

U  signor  Marchese  Marino  ( 

//  premio  al  signor  Marino, 

Il  signor  Conte  Don  Andrea  Manrique  J  . 

n  signor  Gio.  Giacomo  Lattuà.  ( 

//  premio  al  signor  Don  Andrea, 

U  signor  Vistarino  \     a-    ^ 

D  signor  Don  Francesco  Filidoni  k 

Il  premio  al  signor  Vistarino. 

D  signor  Don  Andrea  i    a-    - 

D  signor  Cavagliere  Incognito  ( 

//  premio  signor  Don  Andrea. 

Il  signor  Vistarino  \    a-    * 

Il  signor  Ottaviano  Visconti  ( 

//  premio  al  signor  Vistarino. 


156  CARNEVALE   IN   MILANO 

siRiìor  Don  Andrea  J  ,. 

•  A^     i.    T^     j  s    venti  scudi, 

signor  Conte  Teodoro  ( 

//  premio  al  signor  Don  Andrea, 

signor  Vistarino  ) 

.  ^     ^    T  .^  <    venti  scudi, 

signor  Conte  Litta  { 

Il  premio  al  signor  Conte  Litta, 

signor  Conte  Teodoro  (  .         ,. 

^^^    •         Tr-        ^-  i    venti  scudi, 

signor  Ottaviano  Visconti  ( 

//  premio  al  signor  Conte  Teodoro. 

signor  Conte  Teodoro  l    a  prima  lancia  dieci 

signor  Marchese  Marino  |        scudi. 

//  premio  al  signor  Conte   Teodoro. 

sijrnor  Alessandro  Vistarino  \  .. 

.  ^  T-ij     .  J     quattro  scudi, 

signor  Francesco  Filidom  f     ^ 

//  premio  al  signor  Filidoni. 

Il  Bissa,  ai  io  di  marzo  spediva  al  d*  Este  «  la  terza  et  ultima 
comparsa  hier  l'altro  fatta  da  questi  Signori  che  credo  li  debba 
piacere  più  dell'altra.  »  Disgraziatamente  non  vi  si  trovano  più  al- 
legate il  testo  del  cartello,  la  sua  risposta  e  la  vignetta  del  carro 
allegorico  alla  favola  d'Arione  come  è  indicato  nella  lettera. 

Comparsa  fatta  a<ii  S  di  Marzo  ij^o  sul  corso  di  porta  Romana  in 
Milano  da  Cai'aglieri  tnascarati  per  correre  a  Vcmello  in  virtù 
del  Cartel  seguente  (i)  : 

Mantenitori  : 

D  signor  Conte  Don  Andrea  Manrique,  il  signor  Conte  Antonio 
Somaglia,  vestiti  dì  taffetà  verde,  et  tanè  listati  d'argento  riccamoite, 
et  sfoggiataraente  con  raorioni  et  cimieri  sup)erbi  et  copiosi  di  piume, 
con  tarche,  et  sìmitare,  et  erano  cop>erti  i  cavalli  leggiadramente, 
et  tenevano  in  mano  un*astella  per  uno  dipinta,  la  qual  correndo 
ugualmente  doppo  la  comparsa»  ugualmente,  et  in  un  medemo 
punto  gentilmente  ruppero. 

Prinedeixuto  a  qtiesti  Signori: 

Trombetti  quattn>  j     vestiti  de  mede- 

Paggi  sei  con  6  cavalli  bellissimi  a  mano    /         mi  colori. 

vii  Mancante» 


CARNEVALE   IN   MILANO  I57 

Paggi  quattro  vestiti  di  nuovo  dd  Padrino  con  4  cavalli  leg- 
giadri a  mano. 

D  signor  Alessandro  Vistarino  Padrino  vestito  et  risplendente 
tutto,  riccamente,  a  ricamo  d'oro. 

Seguì  il  carro  d'Armida,  pieno  di  belle  figure,  et  di  valenti 
musici,  il  qual  comparì  superbissimo  et  altissimo  di  braccia  sedici, 
la  cui  descritione,  et  dichiaratione  dell*  intentione  dei  Cavaglieri 
che  lo  conducevano  è  narrata  ne  la  risposta  del  detto  Cartello  che 
si^ue  (i): 

Et  erano  gli  assistenti  sul  carro  vestiti  garbatissimamente  et 
rìcchissimamente  conform'  à  le  lor  proprietà  et  significato.  Segui- 
vano il  carro  trombetti  4  vestiti  di  tafietà  verde,  e  morello  li- 
stato d'oro. 

n  signor  Marchese  Marino  —  nominato  Adrasto  il  fiero,  in- 
ventore, et  signore  del  Carro. 

11  signor  Ottaviano  Visconti  —  nominato  Tisiferro,  folgore  di 
Marte. 

Il  signor  Baldassarro  Rhò  —  nominato  il  Principe  Altamero. 

n  signor  Conte  Litta  —  nominato  Ormondo  il  forte. 

D  signor  Cesare  Barbuolo  —  nominato  Asimiro  l'Audace. 

D  signor  Conte  di  Valenza  —  nominato  Aridamante  il  crudo, 
vestiti  di  taffetà  verde,  e  morello  listato  minutissimamente,  sfog, 
giatamente,  et  rìcamente  d'oro  con  cimieri  vaghi,  et  altieri  d'oro- 
imbrunito,  et  copiosi  di  piume  di  varij  colori,  con  simitarre,  et 
scudi  vaghissimi,  sui  quali  erano  dipinte  la  salamandra,  et  la  morte, 
con  un  motto  così  dicente  Capitur  arte.  Gli  cavalli  riccamente  d'oro 
imbrunito  di  spesa  di  cinquanta  scudi  per  uno. 

Ruppero  quei  signori  doppo  la  comparsa  le  astelle  che  dipinte 
tenevano  in  mano  correndo  à  due,  à  due: 

Paggi  6  con  lancie,  a  cavallo,  vestiti  de  medemi  colorì  ordi- 
natamente andando  due  inanzi  a  due  cavaglieri. 

U  signor  Gio.  Battista  Fiorenza  padrino,  vestito  di  seta  verde, 
et  era  tanto  minutamente,  et  riccamente,  che  rubbava  gli  occhi. 

Seguiva  poi  una  Barca  in  conformità  del  dissegno  che  si  vede  (2) 
ricca  di  marinai,  et  d'ogni  minima  cosa  necessaria  a  così  raro 
artificio  vestita  tutta  di  turchino,  et  argento  signorilmente,  che  a 
guardarla  rendeva  godimento  a  l'anima,  et  a  gli  occhi,  che  parto- 
riva dolcezza,  et  insieme  ammiratione  di  così  bella  macchina,  piena 

(i)  Mancante. 

(a)  Disgraziatamente  non  si  trova  più  allegato  alla  lettera. 


158  CARNEVALE   IN   MILANO 

di  eccellenti  musici,  cantanti  et  sonanti  div^^e  sorti  d' istromenti, 
da  quali  dolcissima  et  rara  armonia  si  sentiva,  et  inanzi  a  questa 
barca,  a  cavallo  a  un  delfino  sedeva  Arione  il  quale,  perchè  la 
barca  non  puotè  entrare  ne  la  lissa  per  esser  caduta  (come  si  so- 
spetta per  fatto  iniquo  di  mano  empia,  che  nascostamente  sforzò 
dal  suo  luoco  il  pontello  maggiore  de  la  culatta  della  poppa,  che 
sosteneva  il  tutto)  non  puotè  nel  luoco,  che  dovea  essergli  disse- 
gnato nella  lissa  cantare  i  versi  che  seguono: 

O  sventurato,  o  misero  Arione 

Qual  Fato,  o  qual  Pianeta,  o  qual  Destino 

Fidar  ti  fé  la  vita  a  l'empio  Pino 

Privo  d'amor,  di  fide,  e  di  ragione? 
O  Trombetta  del  Mare,  o  Dio  Tritone 

Chiama  ti  priego  al  tintinnir  divino, 

Al  porto  di  Corinto  il  mìo  Delfino 

Allettato  da  me  col  suon  d'Anfione. 
E,  tu  Nereo,  che  al  perfido  Pastore 

Con  Helena  fuggendo,  horrendi,  e  fieri 

Fati  predir  osasti,  e  dishonori; 
Poi  che  cosi  ha  ordinato  il  Re  supremo, 

Annoncia  a  questi  perfidi  nocchieri 

E  carcere^  e  tormenti,  e  morte,  e  inferno. 
Et  io  con  canto  etemo 

Dirò  le  lodi  del  signor  di  Delo 

Che  fa  venire  al  mondo,  e  caldo,  e  gelo. 

PiTHiA  D' Arione. 

O  Febo  arcipotente. 

La  cui  vaga  sorella, 

Quando  le  sei  presente 

Par  divenir  men  bella; 

Ma  se  la  notte  adduce 

Rassembra  un  altro  sol  con  la  tua  luce. 
Dal  tuo  potente  Nume 

La  bella  Dea  d'Amore 

Riceve  ogni  suo  lume 

Sì  ben,  per  farti  honore, 

Al  morir  tuo,  la  Dea 

Cuoprì  ogni  luce,  e  ogni  beltà  c'havea. 
Venendo  apporti  il  giorno, 

Et  al  partir  la  notte, 

Tornando  al  tuo  ritorno 

Ale  cimerie  grotte  : 

Così  fai  tutfil  Mondo, 

Hor  con  l'un,  hor  con  l'altra  almo,  e  giocondo. 


CARNEVALE  IN  MILANO 


159 


Così  r  immobil  Terra 

Dìvien  per  te  feconda 

Cosi  il  Nocchier  non  erra, 

Col  Pin  solcando  l'onda. 

Ma  dal  tuo  lume  scorto 

Arriva  sempr*  a  salvamento  in  porto. 
Però  non  mi  negare 

Il  tuo  favor  divino 

Perchè  solcando  il  Mare 

Con  esso  il  mio  Delfino 

Farò  col  dolce  canto, 

Cangiar  miei  nemici  il  rìso  in  pianto. 


Doppo  la  Barca  seguivano  sei  Cavaglierì,  qual  caduta,  en- 
trarono. 

D  signor  Conte  Theodoro  Triulzio  inventore  et  signore  della 
barca,  il  signor  Gio.  Giacomo  Lattuà,  il  signor  Baldassarro  Arri- 
goni,  il  signor  Francesco  Brivio,  il  signor  Antonio  Canfora,  il  si- 
gnor Alfonso  Cotta,  vestiti  di  taffetà  bianco,  et  turchino  inargentati 
ricchissimamente  adomati  d*  intomo  de  [specchij  con  fiocchi  pen- 
denti, et  mostaccioni  rilevati  con  mirabil  arte,  le  simitarre,  et  i 
scu(tì  risplendevano  tutti  d'argento,  et  i  morioni  erano  vaghissimi, 
et  i  cimieri  superbissimi,  pieni  d' infinità  di  bellissime  piume. 

Gli  cavalli  parevano  tutto  argento. 

Ruppero  doppo  la  comparsa  questi  Signori  l'astelle  dipinte  che 
n  mano  teneano  correndo  insieme  a'  due,  a'  due. 

Precedevano  a  questi  Signori: 

Trombetti  sei  de'  medemi  colori  vestiti. 

Paggi  sei  a  cavallo  con  lancie,  vestiti  di   longo  |superbissima- 
mente  de'  medemi  colori. 

Il  Signor  Alfonso  Castellione,  Padrino  garbatamente  vestito. 

Vennero  poi  : 

D  Signor  Conte  Lodovico  Somaglia,  il  signor  Forino,  vestiti 
^  taffetà  morello  con  stille  spesse  inargentate  in  habito  d'Orto- 
^«ù,  con  i  gerletti  argentati  alle  spalle. 

A  questi  signori  precedeva  : 

Cupido  su  un  [Asino  vestito  di  rosso  tenente  in  mano  l'arco 
^n  frezza  intomo  al  qual  arco  erajscritto  ;  In  cuor  villano  non  ha 
forza  Amore;  et  TAsino  era  tirato  da  due  a  piedi  di  rosso  vestiti; 


l6o  CARNEVALE   IN   MILANO 

et  di  dietro  v'era  il  Boia  similmente  vestito,  che  frustava  Cupido. 
Invenzione  bellissima  che  mosse  a  gran  rìsa. 

Trombetti  4  vestiti  di  giallo  e  morello. 

Seguivano  poi  due  Paggi  a  cavallo  con  lande  in  mano  dei  ine- 
demi colorì. 

D  signor  Besozzo  padrìno  rìccamente  vestito. 

Cokerie. 

Il  signor  Andrea  Mantenitore  i 

TI    •  r-     i.    T  --.i.  i     venti  scudi. 

Il  signor  Conte  Litta  / 

//  premio  al  signor  Conte  Litta. 

Il  signor  Conte  Antonio  Mantenitore     J 

Uo-  \H      \^        \H    '  ì    venti  scudi. 

Signor  Marchese  Marmo  f 

//  premio  al  signor  Conte  Antonio. 

Il  signor  Don  Andrea  ( 

Il  signor  Baldassarro  Rhò  \    ^^^  ^^^^^^ 

//  premio  al  signor  Baldassarro. 

Il  signor  Conte  Antonio  J 

D  signor  Cesare  Barbò  I     ^^'^  ""**'• 

//  premio  al  signor  Conte  Antonio. 

D  signor  Don  Andrea  l 

Il  signor  Conte  Teodoro  Trìvultio        /     ^^"^  ^^^*- 

//  premio  al  signor  Conte  Teodoro. 

Il  signor  Conte  Antonio  i 

n  signor  Gio,  Giacomo  Lattuà  |     ^^^  ®^^^- 

//  premio  al  signor  Conte  Antonio. 

D  signor  Don  Andrea  i 

n  signor  Baldassarro  Arrìgoni  i     ^^^  ^"^• 

//  premio  al  signor  Don  Andrea. 

D  signor  Conte  Antonio  i 

n  signor  Francesco  Brivio  I     ""^^  ^"^• 

//  premio  al  signor  Conte  Antonio. 

D  signor  Don  Andrea  j 

11  signor  Conte  Teodoro  ì    """^  ^"^ 

Il  premio  al  signor  Don  Andrea. 


CARNEVALE   IN   MILANO  l6l 

Il  signor  Conte  Antonio  C  * 

Il  signor  Gio.  Giacomo  Lattuà  \    ^^"^^  ^^"^^ 

//  premio  al  signor  Lattuà. 

• 
Ben  triste  invece,  il  ricordo  dell'inizio  carnevalesco  del  1606 

*  Hieri  (cosi  scriveva  l'agente  Pietro  Maria  Mariano   al   marchese 

*  Francesco  d' Este,  in  data  io  gennaio)  si  cominciò  a  far  mascare. 
«  Per  Milano  non  si  può  andare  la  mattina,  né  la  sera  per  i  ladri 
«  che  svaliggiano  et  feriscono  chi  si  diffende.  È  stato  detto  al 
-  Conte  di  Fonte  [fuentes]  che  in  questo  e' hanno  mano  le  sue 
«  genti,  qual'ha  risposto  che  dicano  chi  sono  che  li  castigarà.  Il 
«  giorno  di  Natale  a  vespro  fu  amazzato  un  gentiluomo  sulla  porta 
«  del  Domo  con  una  pistola,  sono  prigione  molti  gentilhomini  per 
«   tal  fatto.  Il  giorno  di  S.  Giovanni  nella  Chiesa  di  S.  Giovanni 

*  in  Conca  furono  date  delle  ferite  ad  alcuni,  di  modo  che  il  pò- 
«  vero  Arcivescovo  ha  da  fare  a  tenere  racconciliate  le  chiese  » 

Ma  come  manca  la  storia  del  carnevale,  così  manca  quella  im-* 

portantissima  e  altamente  reclamata  del  dominio  spagnuolo  nella 

Lombardia,  che  studiato  a  rigore  di  documenti  e  senza  preconcetti 

troppo  nazionalistici,  può  e  deve  dare  risultati   ben  differenti  da 

quelli  fin  qui  ottenuti. 

E.  M. 


Un  tragico  eminente 
discusso  e  giudicato  nella  corrispondenza  privata 

di  due  illustri  lombardi. 


giudizi  che  dai  contemporanei  senza  preoccupazione  ve- 
runa di  quanto  la  posterità  crederà  dover  pensare  e  de- 
cretare sono  recati  intorno  agli  uomini  grandi  hanno 
un  particolare  interesse  per  gli  studiosi;  e  quest'interesse  diventa 
poi  infinitamente  maggiore  quando  d'un  insigne  parli  un  altro  non 
meno  insigne  di  lui.  Per  siffatta  cagione  noi  stimiamo  che  ai  let- 
tori dtlV Archivio  non  riuscirà  disaccetto  il  rinvenir  qui  riferiti  al- 
quanti frammenti  d'una  corrispondenza  privata  che  mentre  ricordano 
amicizie  contratte  in  altri  tempi  in  Roma  fra  uomini  illustri,  ritrag- 
gono insieme  le  opinioni  nudrite  da  un  milanese  di  merito  grande 
intomo  ad  un  altro  italiano  di  fama  ben  maggiore  della  sua. 
L'ammirazione  sincera  e  disinteressata  del  primo  dovrà  ritenersi  più 

Areh.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXTII  11 


l62  UN   TRAGICO  EMINENTE 

merìtorìa  ove  si  consideri  come  egli  stesso  avea  tentato  quella 
forma  letteraria  nella  quale  il  secondo  trovò  la  sua  gloria,  e  con 
quanto  ardore  ei  sapea  difendere  la  sua  reverenza  contro  le  ob- 
biezioni e  le  crìtiche  di  un  altro  interlocutore,  che  apparirà  in 
questo  breve  scrìtto,  il  quale  aveva  molti  titoli  alla  deferenza  sua. 

Fra  l'ammiratore  milanese  ed  il  suo  grande  concittadino  di 
altra  parte  d'Italia  corre  una  certa  analogia  di  destini.  Entrambi 
trovavansi  a  Roma  per  ragioni  che  in  fondo  nulla  avevano  a  che 
fare  coUa  maestà  del  luogo  in  cui  risiedevano,  ma  l'affetto  prìvato 
che  li  teneva  ristretti  tra  le  mura  della  città  eterna,  in  opposizione 
fors'anco  ai  loro  interessi  ed  ai  loro  doverì,  non  predominava  sulla 
loro  intelligenza  a  tal  punto  da  renderli  insensibili  alla  grandezza 
dell'ambiente.  Reagivano  anzi  nobilmente  contro  ciò  che  vi  poteva 
essere  di  molle  e  di  riprensibile  nella  loro  vita,  facendo  proprie,  più 
che  altri  non  avesse  fatto  da  un  pezzo,  le  memorie  della  gloriosa 
città,  facendone  rinascere  nei  loro  scritti  l'anima  classica. 

Le  Notti  Romane  dall'un  canto,  tragedie  famose  dall'altro  fu- 
rono il  tributo  pagato  da  questi  spiriti  eletti  per  redimersi  dal- 
l'accusa di  aver  in  ozio  amoroso  perdute  o  alm^io  fiaccate  le  loro 
virili  energie.  Ho  cosi  dicendo  nominato  i  protagonisti  di  questo 
scritto.  Esso  dunque  contiene  notizie  e  giudizii  d'Alessandro  Verri 
intorno  a  Vittorio  Alfieri,  tratti  da  lettere  del  primo  al  fratello 
Pietro,  ed  in  parte  anche  ad  un  mio  antenato.  Vi  si  trovano  anche 
talune  delle  risposte  di  Pietro  ad  Alessandro  sullo  stesso  argo- 
mento. 

La  corrispondenza  fra  i  due  fratelli  Verri  è  una  delle  più  no- 
tevoli ch'io  conosca  per  la  varietà  e  l'importanza  dei  soggetti  che 
vi  sono  trattati,  ma  pur  troppo  io  non  posso  recarne  qui  che 
estratti  da  estratti,  ricavati,  anni  sono,  da  una  copia  delle  lettere 
originali  favoritemi  dai  discendenti  della  illustre  famiglia  a  cui  i 
due  insigni  uomini  appartennero. 

Varie  ragioni  impedirono  sinora  la  pubblicazione  di  quella 
parte  del  carteggio  Verriano  che  il  Casati  non  potè  aver  fra  le 
mani;  esse  però  spero  cesseranno  un  giorno  d'esistere. 

Non  sia  frattanto  discaro  conoscere  quanto  in  quelle  lettere  ho 
trovato  risguardante  il  sommo  tragico  nostro,  Vittorio  Alfieri. 

La  prima  lettera  in  cui  Alessandro  Verri  parla  al  fratello 
Pietro  dell'Astigiano  spetta  al  a6  settembre  1781.  Scrivea  in  essa 
il  nostro:  «i  È  qui  il  Conte  Alfieri  torinese,  di  cui  avevo  sentito 
«  molto  a  parlare.  Egli  ha  composto  varie  tragedie  che,  lette  in 
•<  Torino,  riscossero  applausi  molto  significanti  ed  universali  e 
«  perciò  ero  in  grandissima  curiosità  di  sentirle. 


UN   TRAGICO  EMINENTE  163 

«  L'autore  è  un  uomo  veramente  straordinario  perchè  ha  ri- 
«  nundato  ad  una  sua  sorella  in  Torino  il  pingue  suo  patrimonio 

■  per  esser  libero  riservandosi  un  congruo  assegnamento  da  con- 
«  sumare  ove  gli  piaccia. 

a  Egli  è  anche  più   celebre  per   gli  amori   in  Inghilterra  con 

•  Lady  Ligonier  e  per  un  duello  fatto  col  di  lei  marito. 

«  Ha  viaggiato  tutta  l'Europa  e  da  qualche  anno  si  è  dedicato 
«  alla  letteratura  e  specialmente  alla  poesia  drammatica.  Ha  un 
a  ingegno  elevato  e  sentimenti  meravigliosi  uniti  ad  una  molto  ele- 
«  gante  e  concisa  maniera  di  verseggiare  acquistata  con  molto 
<  studio  della  nostra  lingua    e  dei  nostri    poeti  che   ha  tutti  letti, 

-  riletti  ed  esaminati  incominciando  dagli  antichi  fino  a  noi.  Finora 
«  ho  sentito  due  tragedie.  Il  suo  talento  principale  è  il  sublime  e 
a  Torrido;  la  natura  non  gli  ha  dato  l'afiFettuoso;  fra  tutti  gli  autori 
«  somiglia  a  CrébiUon  (i). 

«  Ne  ha  lette  delle  altre  in  qualche  circolo  ove   era  anche  il 

•  nostro   Taruffi    e   generalmente   si   conchiude  che   è  un   uomo 

-  grande,  benché  si  vadano  trovando  alcuni  difetti.  La  sua  persona 
«  poi  (sic)  è  un  uomo  della  mia  età  (2),  taciturno  al  sommo,  inal- 
«  terabile,  sofferentissimo  nello  studio  e  che  non  cerca  di  piacere, 
«  di  modo  che  se  piacciono  le  sue  opere  è  mero  effetto  di  valore 

•  intrinseco.  » 

Nell'anno  successivo  la  rappresentazione  deìV  Antigone  dà  oc- 
casione al  biografo  di  Saffo  di  parlar  nuovamente  dell'Alfieri. 
t  Questi  giorni  »  egli  scriveva  al  fratello  il  30  novembre  1782 

■  sono  nel  maggior  entusiasmo  tragico.  Il  Conte  Alfieri,  di  cui  si 

-  parlava  molto  da  vari  anni,  ora  finalmente  ha  rappresentato  una 

•  sua  tragedia  a  questo  Palazzo  di  Spagna,  la  quale  fa  strepito  ed 

-  è  generalmente  ammirata.  Il  soggetto  è  l'Antigone  (3).  Gli  attori 

•  non  sono  che  quattro;  due  uomini  e  due  donne;  ma  l'interesse  è 
«  sostenuto  e  l'effetto  sommo.  L'elocuzione  è  bellissima,  i  concetti 

•  sono  sublimi:  farà  epoca  veramente  e  credo  che  questo  autore 
«  fonderà  la  tragedia  italiana.  Ne  ha  composto    quattordici,  vi  ha 

•  continuamente    lavorato  otto   anni.   Scrive   con  somma    purità  e 

(i)  Prospero  Crébillon  (1674-1762^  è  riputato  uno  dei  migliori  tra- 
gici francesi  ;  appena  inferiore  a  Racine  e  a  Corneille.  Eccelleva  sopra- 
tutto nella  rappresentazione  del  terribile,  z^ino,  Elettra,  Radamisto  e 
Catilina,  sono  le  sue  tragedie  migliori. 

(2)  Veramente  A.  Verri  era  maggiore  otto  anni  di  Alfieri,  essendo 
nato  nel  1741. 

(3)  La  prima  rappresentazione  ebbe  luogo  il  20  novembre. 


164  UN   TRAGICO   EMINENTE 

«  forza;  il  pensiero  è  sublime  e  Tespressione  facile  e  senza  difetti 
w  che  pregiudichino  al  pensiero. 

u  Me  ne  ha  lette  cinque  e  già  ne  ero  ammiratore  alla  lettura, 
a  ma  in  teatro  poi  fanno  un  sorprendente  effetto.  Si  spera  di 
«udirne  qualche  altra.  L'autore  è  anche  attore  e  declama  nello 
u  stile  del  celebre  Kean.  n 

Senonchè  la  dimora  in  Roma  deirAlfìeri,  se  era  determinata 
dalle  stesse  cagioni,  ond'aveva  origine  quella  del  patrizio  milanese, 
non  doveva  essere  altrettanto  lunga  e  pacifica  ed  il  Verri  in  una 
lettera  al  conte  Antonio  Greppi  in  data  26  luglio  1783,  racconta  un 
poco  in  ritardo  le  ragioni  per  le  quali  dopo  non  breve  dimora  il 
tragico  da  lui  tanto  ammirato  si  trovò  costretto  a  lasciar  le  rive  del 
Tevere  : 

u  Non  so  »  egli  scrive  «  se  sia  giunto  a  vostra  notizia  che  la 
a  Contessa  d'Albania  ossia  la  pretendente  d'Inghilterra  fino  da  due 
«  anni  sono  si  trafugò  dal  marito  pei  suoi  mali  trattamenti  e  si 
«  ricoverò  in  Roma  presso  il  cognato  Cardinale  d'Jorck. 

u  In  seguito  venne  anche  in  Roma  il  Conte  Alfieri,  Cavalier 
«  piemontese,  particolare  servitore  della  Dama  e  che  le  dedicava 
«  in  Firenze  già  da  qualche  ann©  tutte  le  attenzioni.  Il  Conte  si 
u  condusse  così  saviamente  che  incontrò  il  genio  del  Cardinale,  per 
u  modo  che  era  contentissimo  che  sua  cognata  avesse  per  amico 
ti  un  uomo  tanto  di  garbo.  Avvenne  alcuni  mesi  fa  che  si  anuna- 
«  lasse  gravemente  il  Conte  d'Albania  stabilito  in  Firenze,  e,  dispe- 
«  randosi  della  sua  guarigione,  il  Cardinale  d'Jorck  facesse  una 
«  corsa  a  Firenze.  In  tale  occasione  il  Conte  d'Albania  pose  in  tal 
«  sospetto  il  Cardinale  d'Jorck  sull'amicizia  del  Conte  Alfieri,  che, 
«  appena  ritornato  da  Firenze,  fece  tal  fuoco,  che  fu  consigliato 
«  Alfieri  allontanarsi  da  Roma,  e  va  girando  per  l'Italia  ed  era 
44  ultimamente  a  Milano. 

u  11  Cardinale  andava  dicendo  che  era  tradito  l'onore  di  Casa 
M  Stuard,  e,  se  Alfieri  non  si  lascia  persuadere  di  partire,  il  Car- 
u  dinaie  era  capace  di  qualunque  estrema  risoluzione.  Ora  è  venuta 
u  la  Contessa  di  Stolberg,  madre  della  Contessa  d'Albania,  ma  non 
«  ha  voluto  abitare  con  la  figlia,  perchè  è  casa  del  Cardinale  d'Jorck, 
u  il  quale  si  è  molto  piccato  di  tale  risoluzione,  n 

Nei  mesi  precedenti  a  questa  lettera,  la  partenza  dell'Alfieri  da 
Roma  e  il  probabile  suo  passaggio  per  Milano  avevano  dato  occa- 
sione ad  Alessandro  di  scrivere  nuovamente  di  lui  al  fratello;  ma, 
come  vedremo,  questi,  ben  lungi  dal  condividere  la  calda  ammira- 
zione che  Alessandro  professava  pel  grande  tragico,  gliene  fece 
quasi  rimprovero. 


UN   TRAGICO  EMINENTE  I65 

«  Vedrai  »  scriveva  Alessandro  da  Roma  il  19  aprile  1783 
un  autore  che  non  somiglia  ad  alcuno  ed  una  persona  originale 
scarsa  di  parole,  molto  sensibile,  con  apparenza  di  gelo;  di  me- 
rito intrinseco  con  poca  vernice.  » 

«  Delle  sue  tragedie  »  aggiunge  in  una  lettera  del  3  maggio 
chi  ne  dice  bene  e  chi  ne  dice  male,  secondo  la  sorte  comune  di 
tutti  gli  uomini.  La  critica  più  universale  è  sul  suo  stile,  ma 
nessuno  gli  nega  forza  e  sublimità.  Per  me  sono  nel  numero  di 
quelli  che,  non  ostante  i  suoi  difetti,  ha  gran  stima  di  quelle 
opere  totalmente  singolari;  vedrai  un  uomo  che  non  sa  né  il 
francese,  né  l'inglese,  né  il  tedesco,  ma  che  ha  i  suoi  modi  e 
costumi  proprii  senza  affettazione.  Merita  veramente  di  essere 
conosciuto  da  chi  studia  l'uomo  e  soltanto  ti  prevengo  di  alcune 
sue  opinioni  singolari:  per  esempio  di  stimar  discretamente  il 
teatro  francese;  di  preferire  gli  antichi  libri  italiani  ai  moderni 
del  cinquecento  e  inoltre  talvolta  è  taciturno  più  del  consueto, 
lo  son  certo  che  troverai  un  uomo  che  ha  vere  elevatezze  e 
forza  e  affatto  lontano  dalla  servitù  e  nell'animo  e  nel  corpo. 
Onesto,  umano,  sincero  nel  medesimo  tempo  che  non  soffrirebbe 
una  ingiuria.  Si  è  battuto  in  Londra  con  Lord  D...,  ed  è  famoso 
«  per  le  avventure  colla  di  lui  moglie.  » 

E  in  altra   successiva  del    14  maggio,   aggiungeva  queste   cu- 
riose osservazioni  : 

•  La  sorte  di  questo  autore  é  un  vero  capriccio  di  letteraria 
fortuna,  perchè  mentre  lesse  le  sue  tragedie  fu  generalmente 
applaudito,  e  le  ha  lette  per  anni  in  varie  società,  e  tutte  le  opi- 
nioni hanno  sempre  combinato  e  in  Firenze  e  in  Roma  col  con- 
chiudere  ch'egli  era  uomo  grande  affatto  superiore  a  tutti  i  nostri 
tragici  di  modo  che  doveva  sicuramente  fare  epoca.  Fu  recitata 
Y Antigone  lo  scorso  autunno  in  questo  Palazzo  di  Spagna  e  ci 
fece  girare  la  testa  a  tutti.  Lesse  egli  non  è  molto  in  Arcadia 
una  tragedia  intitolata  il  Saulle^  nella  quale  fra  le  altre  scene  vi 
è  Saulle  che  delira  per  tristezza  e  Davide  che  suona  l'arpa  pro- 
vando vari  metri  di  canto;  finalmente  calma  Saulle.  Vi  è  anche 
il  gran  Sacerdote  che  parla  a  Saulle  con  divina  ispirazione  ed 
ho  veduto  moltissime  persone  uscire  d'Arcadia  con  entusiasmo 
benché  fossero  entrate  con  animo  disposto  alla  critica.  L'autore 
stampa  e  le  sue  opere  sono  esposte  a  tante  procelle  che  minac- 
ciano naufragare.  La  mia  opinione  però  é  che  queste  opere  du- 
reranno benché  ammetta  che  abbiano  difetti  rilevanti,  w 
Senonché  Pietro,  che  fin'allora  era  rimasto  senza  esprimere  il 
proprio  avviso,  prendeva  decisamente  posto  fra  i  detrattori  d'Al- 
fieri e  il  7  maggio  scriveva: 


UN  TRAGICO  EMINENTE  167 

6  cinquecentisti  che  l'hanno  coltivata  e  perfezionata  erano  letterati 
«  gred  e  latini,  come  Bembo,  Casa,  ecc.  L'indole  della  scuola  an- 
«  tica  è  la  semphcità  e  l'armonia  del  periodo;  l'indole  della  scuola 
«  francese  è  la  brevità  nella  elocuzione  e  l'impeto  nei  pensieri. 
«  Seneca,  Luciano,  Plinio  il  giovane  ed  Ovidio  si  accostano  molto 
«  alla  loro  maniera.  Gli  altri  vanno  per  tutt'altra  strada.  Vorrei  poi 
«  che  quando  sì  imitassero  i  francesi,  si  imitassero  almeno  non 
«  nelle  frasi,  ma  nell'ordine  e  nella  purità  di  lingua,  mentre  i  libri 

•  loro  sono  generalmente  scritti  con  ordine  e  con  eleganza  scru- 
«  pelosa  e  se  essi  non  fanno  mai  un  italianismo,  né  un  anglicismo 
«  dobbiamo  seguitare  anche  noi  lo  stesso  rigore  »  (9  giugno  1783). 

La  replica  di  Alessandro  deve  aver  ferito  la  suscettibilità  molto 
ombrosa  di  Pietro,  giacché  non  solo  apertamente  tendeva  a  con- 
dannare il  suo  stile  e  posporlo  a  quello  di  Alfieri,  ma  faceva  anche 
capire  che  tanto  fiera  insofferenza  pel  giogo  della  Crusca  nasceva 
in  fin  de'  conti  da  minore  attitudine  a  studiarne  le  leggi. 

Benché  punto  sul  vivo  Pietro  si  contenne  con  abbastanza  mo- 
derazione e  pur  riconoscendosi  direttamente  in  causa,  così  rispose 
<2i  giugno)  : 

«  1  libri  sono  importanti  per  le  idee  che  contengono.  La  bella 
«  veste  è  un  ornamento^  ma  non  necessario. 

«  Preferisco  pertanto  il  Novum  Organum  di  Bacone  agli  Aso- 
«  Ioni  del  Bembo. 

«  La  mia  storia  »  (e  qui  fa  capolino  la  persona  stessa  dello 
scrittore)  «  potrà  fare  epoca  e  riuscirà  a  togliere  molti  errori,  am- 
«  mazzare  il  fanatismo,  educare  alla  coltura,  affezionare  alla  patria 
«  e  al  governo  nonostante  che  vi  fosse  adoperata  qualche  decli- 
«  nazione    o    coniugazione   usata   dall'Italia   soltanto  e   non  dalla 

•  Crusca.  Tu  sai  che  era  terminata  vivendo  Maria  Teresa.  Si  dice 
«  che  io  l'abbia  scritta  per  far  la  corte  a  Cesare  e  invece  io  l'onoro 
«  perchè  egli  pensa  a  modo  mio.  » 

Un'  ultima  lettera  di  Alessandro,  della  quale  non  posseggo  che 
un  breve  sunto,  chiuse  per  allora  la  disputa.  In  essa  il  convertito 
alla  fede  di  Toscana  ammette  bensì  una  diflferenza  fra  gli  autori 
pei  quali  la  forma  é  necessaria  e  quelli  in  cui  può  parere  superflua; 
ma  ritiene  che  tutte  le  opere  letterarie,  storiche  e  poetiche,  per 
conseguire  vera  e  durabile  efficacia,  abbiano  bisogno  d'una  forma 
pura  ed  elegante. 

La  natura  di  questo  breve  saggio  ed  altre  private  cagioni  non 
ci  consentono  di  intrattenerci  adesso  intorno  alla  controversia  sorta 
tra  i  Verri,  cosi  da  potere  giudicare  e  discutere  intorno  al  modo 
diverso  col  quale  i  due  fratelli  partendo,  si  può  dire,  da  sentimenti 


l6fl  UH  TRAGICO  ElUIfENTE 

iilrtitld,  hì  allunUnarono  poi  a  poco  a  poco,  fino  a  divenir  quasi 
rnpprcNrntHnti  d'opposti  principii,  tanto  in  letteratura,  quanto  in 
imlitica;  tuttavia,  da  quanto  io  conosco  delle  loro  corrispondenze 
pi'IvAtr,  pdSHo  assicurare  che  l'osservazione  di  queste  graduali 
illvrr|{rnze  del  loro  pensiero  formerà  una  delle  maggiori  attrattive 
drlln  corriftpondcnza  stessa,  quando  possa  venir  pubblicata,  com'è 
(I(-Hl<)rriii  vivo  di  tutti  coloro  che  in  Pietro  ed  Alessandro  Verri 
rictmiiNcono  due  vere  e  pure  glorie  di  Milano  e  d'Italia. 

Emanuele  Greppi. 


BIBLIOGRAFIA 


FnjCE  Tocco.  —  GugUelmina   boema   e  i  Guglielmiii,   Memorie  della 
R.  Accademia  dei  Lincei,  Roma,  1901. 

—  n  Processo  dei  Gugiieimiti^  Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei, 

Serie  III,  voi.  Vili,  fascicoli  7,  8,  9  e  io. 

—  Nuovi  documenti  intomo  all'eresia,  in  Milano^   Archivio   storico   ita- 
liano, dispensa  3.*  del  1901. 

Se  la  GugUelmina  boema  ha  avuto  l'onore  di  una  letteratura  più 
copiosa  forse  che  l'importanza  sua  non  richiedesse,  desiderava  ancora, 
prima  che  il  prof.  Tocco,  colla  sua  singolare  competenza,  ristudiasse  il 
famoso  processo,  un  esame  diligente  e  spassionato  di  quelle  strane 
dottrine  che  da  lei  presero  il  nome. 

Gli  storici,  non  escluso  il  Corio,  l'avevano  infamata  colla  leggenda 
(fi  twtte  le  oscenità  attribuite  nel  XIII  e  XIV  secolo  agli  eretici,  spe- 
dalmente  a  quelli  della  Provenza.  Il  Puricelli  fu  il  primo  a  sfatare  la 
Weca  leggenda  e  a  riconoscere  che  si  trattava  d'un  peccato  intellettuale 
e  non  carnale,  e  sulle  orme  di  lui  camminarono  il  Muratori,  il  Giu- 
lim  (i),  il  Tiraboschi,  il  Tamburini,  il  Cafl&  e  gli  altri  tutti,  eccettuato 
rOgniben,  il  quale  attinge  direttamente  al  processo,  abbonda  di  note 
erudite,  ma  non  ha  coltura  suflSciente  per  assegnare  alle  dottrine  gu- 
glidmite  il  posto  che  loro  spetta  nel  gran  quadro  delle  eresie  medio- 
evali,  e  sbaglia  nel  ritenere  quello  del  1300  un  processo  più  politico  che 
religioso.  Della  coltura  necessaria  a  tali  studi  sovrabbonda  il  Tocco,  e 
non  è  meraviglia  che  oggi  ci  offra  del  movimento  guglielmita  una  sin- 
tesi mirabile  per  chiarezza  e  dottrina. 

(i)  A  proposito,  del  Giulini,  mi  permetta  il  chiaro  professore  di  cor- 
^ggcrgli  per  amor  di  verità  una  piccola  svista,  insignificante,  del  resto  : 
*  Tanta  è  la  forza  delle  consuetudini,  egli  dice,  che  lo  stesso  storico 
il  quale  nei  testo   scrive  della   Guglielma  e  dei  Guglielmiti    traducendo 

2 nasi  a  parole  dal  Puricelli,  in  nota  poi  torna  all'assurda  leggenda  del 
^orio  e  dei  suoi  seguaci  „,  La  nota  nell'edizione  principe  del  1760  non 
c'è,  e  Quella  da  lui  veduta  a  pag.  662  dell'edizione  1855,  non  è  del  Giulini, 
ma  dell  editore  Fabi,  il  quale  non  fa  che  ripetere  quanto  aveva  stampato 
nella  Corografia  d* Italia^  all'articolo  Chiaravalle\  ed  anch'  egli  non  accetta 
senz'altro  la  leggenda,  ma  si  limita  a  riferirla,  e  chiude  anzi  la  nota,  in- 
vocando quello  studio  imparziale  e  definitivo,  che  il  Tocco  oggi  final- 
mente ci  ha  dato. 


170  BIBLIOGRAFIA 

Che  cos'era  questo  movimento?  La  leggenda  di  oscenità  carnali  é 
completamente  smentita  dal  processo;  nessuna  delle  numerose  e  am- 
plissime deposizioni  ne  fa  il  minimo  cenno,  e,  se  il  più  lieve  indizio  di 
quelle  turpitudini  fosse  apparso,  ben  si  sarebbero  affrettati  gli  inquisi- 
tori a  raccoglierlo.  Dunque  la  leggenda  s'è  formata  dopo  ;  il  Tocco  non 
dice  quando  e  forse  un  tale  studio  ha  egli  ritenuto  estraneo  al  suo 
assunto;  io  osserverò  che,  almeno  in  mezzo  al  popolo  di  Milano,  essa 
dovette  farsi  strada  assai  lentamente,  se  le  sozze  leggende,  che  già  nel 
secolo  precedente  si  rimproveravano  agli  eretici  e  si  ripeteron  nel  se- 
guente per  le  streghe,  non  compaion  da  noi  neppure  nei  due  processi 
di  magìa  muliebre  (del  1385)  contro  le  seguaci  di  Diana  ed  Erodiade, 
da  me  illustrati  (i):  e  siamo  agli  inizi  di  quella  stregheria  propria- 
mente detta  che  poco  più  tardi  tutte  le  riassunse. 


Figlia  o  no  di  Princislao,  re  di  Boemia,  è  certo  che  Guglielma  era 
una  straniera  venuta  in  Milano,  verso  il  127 1,  quando  le  profezie  di 
Gioachino,  sebbene  il  1260  fosse  passato  liscio,  eccitavano  ancora  gU 
spiriti.  Se  fosse  mescolata  alle  agitazioni  del  suo  tempo,  il  processo,  su 
questo  punto  ambiguo,  non  permette  di  affermare;  non  v'ha  dubbio 
però  che  il  movimento  prenda  origine  da  lei  stessa:  occorreva  una  forte 
personalità  e  doti  che  le  deposizioni  ci  dimostrano  abbondanti  in  lei,  ma 
deficienti  affatto  nella  vicaria  Maifreda  e  in  quel  semplicione  di  Andrea 
Saramita.  Per  spiegare  il  moto  non  occorre  risalire,  come  fa  il  Puri- 
celli,  alle  eresie  del  secondo  secolo;  basta  ricordarsi  che  l'Abate 
Gioachino  aveva  annunziato  doversi  aprire  nel  1260  una  nuova  èra  nella 
quale  il  Vangelo  della  lettera  succederebbe  al  Vangelo  dello  spirito,  il 
clero  si  spoglierebbe  delle  male  acquistate  ricchezze  e  la  legge  d'amore 
governerebbe  davvero  la  società  umana.  Da  queste  speranze  e  timori 
rampollarono  varie  sètte:  beghini,  fraticelli,  apostolici  e  così  via:  i 
Guglielmiti  sono  una  di  queste.  Per  quanto  diverse  fra  loro,  un  nesso 
comune  le  congiungeva:  la  visione  di  un  rinnovamento  morale  e  reli- 
gioso nell'età  futura,  questo  rinnovamento  chi  lo  concepiva  in  un  modo 
chi  in  un  altro,  e  la  dottrina  di  Guglielma  lo  concepiva  così:  poiché 
l'incarnazione  della  seconda  persona  della  Trinità  non  ha  servito  a 
nulla,  tanto  è  vero  che  il  mondo  va  innanzi  tale  e  quale  come  in  pas- 
sato, si  incarnerà  la  terza;  e  poiché  il  Verbo  si  incarnò  allora  in  un 
uomo,  questa  volta,  per  cambiare,  lo  Spirito  Santo  si  incarnerà  in  una 
donna.  —  Su  questo  punto  l'  eresia  di  Guglielma  era  non  solo  affatto 
nuova,  ma  anche  singolarmente  audace:  nessuno  aveva  prima  osato 
affermare  che  la  mutazione  di  dominio  presupponesse  una  nuova  incar- 
nazione della  Trinità;  e,  quasi  ciò   non  bastasse,  a    questo  nuovo  mi- 

(i)  Rend.  del  R.  Isiit  lomb.  di  scienze  e  lettere,  1899. 


BIBLIOGRAFIA  I7I 

Stero  se  ne  aggiungeva  un  altro:  il  cambiamento  di  sesso,  e  un  terzo 
ancora,  la  identità  del  corpo  della  seconda  incarnazione  con  quello  di 
Gesù:  il  mio  corpo,  diceva  Guglielma,  non  è  diverso  da  quello  di 
Cristo,  e  chiamava  le  stimmate  a  testimonio.  Senonchè  tanta  audacia  di 
concezione  nasconde  una  grande  povertà  di  idee;  all' infuori  delle  ac- 
cennate novità,  più  strambe  che  geniali,  tutto  il  resto  non  è  che  la  ripe- 
tizione  della  storia  del  Cristianesimo  :  Guglielma  risorgerà,  sarà  assunta 
al  cielo  lasciando  in  terra  una  sua  vicaria,  Maifreda,  che  andrà  al  posto 
abusivamente  occupato  da  Bonifazio  Vili.  Allora  il  genere  umano  for- 
merà una  sola  famiglia,  governata  dall'amore  e  ubbidiente  all'essere  in 
cui  r  amore  s' impersona,  alla  donna.  Dunque,  mentre  le  altre  eresie 
mirano  ad  un  rinnovamento  radicale  del  cattolicismo,  purgandolo  di 
questo  o  quell'istituto  corrotto,  l'eresia  Guglielmita  non  innova  nulla, 
non  tocca  alcuna  istituzione  della  Chiesa,  è  in  ultima  analisi  una  cari- 
catura dell'eresia. 


*      • 


Dottrine  siffatte,  quantunque  contassero  fra  gli  aderenti  personalità 
politiche  come  Francesco  da  Garbagnate;  e  uomini  di  valore  come  il 
Dottor  Femo,  dottrine  affatto  prive  di  programma  pratico,  non  potevano 
prestarsi  a  fini  politici.  Non  si  può  invero  negare  che  Matteo  Visconti 
intervenisse  in  qualche  modo  nel  processo,  ostacolasse  più  o  meno 
apertamente  i  lavori  dell'Inquisitore  e  tentasse  ogni  via  per  salvar 
Maifreda.  Ma  di  questo  nessuna  meraviglia:  Maifreda  era  cugina  di  lui 
e  poiché  gli  altri  accusati  avevano  gli  Inquisitori  trattato  con  somma 
indulgenza,  forse  perchè  anch'essi  nelle  stranezze  guglielmite  non  ve- 
devan  pericoli  gravi,  aveva  ben  diritto  Matteo  di  pretendere  ugual 
trattamento  per  Maifreda.  E  ad  insistere  ne'  suoi  tentativi  poteva  anche 
incoraggiarlo,  aggiungerò,  1'  esempio  di  indulgenza,  singolare  davvero, 
dato  dall'Inquisitore  pochi  anni  innanzi,  nel  1295,  i^  seguito  a  pressione 
à*auiorevoli  personaggi,  verso  quello  Stefano  Gonfalonieri,  quattro  e  più 
volte  recidivo  nell'  eresia  catara  e  complice  nientemeno  che  dell'  ucci- 
sione di  S.  Pietro  Martire!  Questa  volta  il  Vicario  imperiale  fu  men 
fortunato  e  non  potè  impedire  che  almen  tre  vittime  fossero  immolate 
neUe  persone  di  Maifreda,  del  Saramita  e  di  Suor  Giacoma:  tuttavia 
Pintrusione  dell'autorità  politica  non  può  affatto  dimostrare  alcun  carat- 
tere politico  nel  processo  della  Boema,  ma  tutt'al  più  l'opposizione  che 
il  Governo,  in  massima  faceva  al  Tribunale  ecclesiastico.  Per  questa 
opposizione  e  più,  io  credo  per  istintiva  e  invincibile  ripugnanza  del 
popolo,  l'Inquisizione  fu  sempre  da  noi  molto  discreta  ;  e  non  solo,  come 
ritiene  il  Tocco,  fino  al  1295,  ma  per  molto  e  molto  tempo  ancora, 
com'io  ebbi  altre  volte  a  dimostrare  (i),  si  tenne  lontana  da  quelle  esa- 
gerazioni onde  ebbe  in  altri  luoghi  potenza  e  fama. 

Ettore  Verga. 
(i)  Arch.  Stor.  Lomò.   XXIV,  1897. 


172  BIBLIOGRAFIA 


A.  Colombo.  —  L'alloggio  del  Podestà  di  Vigevano  e  il  palazzo  del  Co- 
mune nel  secolo  XV,  Nozze  Colombo-Cariola,  Mortara -Vigevano, 
Stab.  Tip.  Cortellezzi,  1901,  in-8,  pag.  31. 

A  festeggiar  gli  sponsali  del   prof.  Nicolò  Colombo,   autore  di  pre- 
gevoli studi  sopra  l'origine   ed  il  nome   di  Vigevano,  il   di  lui   fratello 
Alessandro,  cultore  delle  stesse  discipline,  ha  voluto  dar  in  luce  questo 
suo  saggio  assai  interessante  per  la  storia  del  costume  in  Italia:  storia 
che  fino   a  tempi   recenti   si  è   troppo  trascurata   e  che  ora   accenna  a 
fiorire,  grazie  alle  indagini  pazienti  e  fruttuose  di  valorosi  eruditi,  quali 
il  Mazzi,  il  Caudini,  il  Galli,  a  cui  ben  è  doveroso   aggiimgere  il   com- 
pianto prof.    Merkel.  Dopo  aver   descritti  gli  utensili   tutt*  altro  che  lus- 
suosi, de*  quali  nel  1445  era  fatta  consegna  dai   consoli  del  Comune  al 
podestà  che  entrava  in  carica,  il  Colombo  viene  ad  illustrare  rallegro 
assegnato  al  primo  magistrato  cittadino,  di  cui  enumera  tutti  i  membri, 
a  cominciar  dalla   «  caneva  »  per  finir  al  «  solaro.  »    Questa  disamina 
offre  modo  all'egregio  Autore  di  sparger  luce  sopra  la  vita  vigevanasca 
del  secolo  XV  e  di  chiarire  parecchi  piccoli  problemi  non  sfomiti  d'in- 
teresse per  la  storia  municipale,  come  a  dire  la  suddivisione  della  città 
in  quartieri,  le  porte  di   essa,  le  loro    insegne,  ecc.  Il    lavoro  erudito  e 
coscienzioso  si  chiude  con  un  elenco  dei    Podestà  o  Vicari  che  ressero 
Vigevano  dal  1227  al  1466.  Notiamo  tra  i  nomi  di  costoro  quello  di  un 
Conradolo  de  Stanghi,  podestà  nel  1416,  del  quale  è  taciuta  la  patria,  ma 
che  sarà  certamente  il  pers^maggio  cremonese  noto  ^j^  d'altra  i>arte  (i); 
come  cremonese  è  quel   Bassiano  de'  Moscardi,  che  tenne    lo  stesso  uf- 
ficio nel  1434,  e  forse  anche  il    Giovanni  Pietro  de'  Glussiano  del  1460. 
PcH'hi  s<mo  i  milanesi  che  app;iiono  in  questa  lista:  Stefano  de'  Forma- 
giari,   1377;  Jaco|xi  de*  Barba\-ara,    1410;  Ambrogino    de' Crivelli,  1413; 
Filipp».>   deiiU    Aliprandi,    1404.    Non    manca  qualche    pavese  e    qualche 
lodigiano. 


B.  FKUC1.VXGEU  —  >  fì,'\tcquìsio   di  Pesiìro  fatto  da   Cesare  Borgia,  Ca- 

mermo,  Savinì,  loco,  in  8,  fv\i:,  loi. 
—   //  miifnmoH:^   dt  LH^^r^sia    B^r^ut  rem  GtoiuHnt   Sforza    Signore  di 

Prs.irxy,  T^Kta  \  Roux  e  Vurx^^^p^,  iQoi,  in  8*  pa^.  85. 

i>ue<a  due  lavori  s^mtt^^ano  a  vavivU  e^i  è  bene  o.imprendeiii   in 
un  s«.^Io  e>a:'ie    L<>ì    mi-^ano  <^p*-a:u:t^  a    no  istruire,  col  paziente   con- 

,j.  j\.^  o -:u:.  h^:l^  vii  Ma^l-o  e  trarei:.^  ò:  .VlanoI»>.  v.  L    Stanga, 
I.t   \t  ■  V  '^*  -N\«*t^.i  .ì;  i'-  ,    ■„*,  Cc-ni  <t     VI.  M::anv\  iSq^.  tav.  XXV. 

t- •  *- -*  ^  ^^  ::au -uo  ù;  ;u;:.^  :    Sta:  ^  d:  NLIan  >  da  Filippo  Maria 

\i>*.^  :-.;  raA-t  iiw  '^xi  era  aivNru  C  l-.i-'-ale  .lucale  m  Pa\Ta  Tanno 
1441  cv;  '1  :a.o  s:„a,.:a  co^vc' a  lavare  vi  .i:^  :1  1-  r:  ^re  s.^p>ra  una  con- 
it-ia  va  •  V.::,..  *>.  ;vi\v<i  e  ì::.  aoi.ai;:  viol  o.-u^ù  C:r,  .\r:>i,  Crtmoma 
•;.  *,  l.   iJCt 


BIBLIOGRAFIA 


173 


fronte  di  fonti  note  e  col  sussidio  di  nuovi  documenti,  in  gran  parte 
dell'Archivio  di  Stato  milanese,  la  figura  di  Giovanni  Sforza,  Interes- 
santi entrambi  perchè,  mentre  ci  descrivono  le  incertezze,  le  doppiezze, 
le  pusillanimità  di  uno  dei  tanti  signorotti  della  Romagna,  sul  pimto  di 
essere  travolto  dalla  tempesta  scatenata  da  Alessandro  VI,  ci  permet- 
tono di  vedere  in  un  caso  particolare  alcune  caratteristiche  generali 
della  politica  di  quei  tempi. 

La  signoria  di  Giovanni  in  Pesaro,  che  già  aveva  fiorito  sotto 
Alessandro  e  Costanzo,  cominciò  con  buoni  auspici.  Ma  il  matrimonio 
con  Lucrezia  Bolgia  apri  la  serie  dei  guai.  Finché  piacque  al  Papa 
l'alleanza  col  Moro  e  Venezia,  della  quale  quel  matrimonio  era  pegno, 
tutto  andò  per  il  meglio,  ma  quando,  maturato  il  disegno  di  costituire 
uno  Stato  al  Valentino,  Alessandro  VI  orientò  la  sua  politica  verso  il 
Regno  di  Napoli,  la  posizione  di  Giovanni  divenne  imbarazzante:  ge- 
nero del  Pontefice  e  stipendiato  dalla  Chiesa,  parente  del  Moro,  la  cui 
protezione,  come  dimostra  il  carteggio  milanese,  ambiva  e  ricompen- 
sava con  segreti  servigi,  doveva  egli  trovarsi  molto  a  disagio:  quando 
poi,  espressa  apertamente  dal  suocero  la  volontà  di  sciogliere  il  matri- 
monio, ei  vide  l'impossibilità  di  ottenere  da  Lodovico  quell'appoggio  che 
si  aspettava,  dacché  non  volesse  quegli  alienarsi  il  Borgia,  fu  preso  da 
un  vero  sgomento.  Il  Feliciangeli  ci  descrive  passo  passo  tutte  le  mene, 
i  sotterfugi,  gli  espedienti  di  Alessandro  e  dei  cardinali  a  lui  più  fidi, 
per  dare  apparenza  di  legalità  a  quella  violenza,  e  gli  atteggiamenti  di 
Giovanni,  ora  alteri  ora  supplici,  e  le  esitanze  a  confessare  la  propria 
impotenza  virile;  in  questo  quadro  é  tutta  la  impudente  corruzione  del 
Cinquecento.  La  commedia  fini  colla  confessione  che  il  povero  marito 
dovette  pur  fare  in  piena  regola,  coi  ringraziamenti  del  Papa  al  Moro 
per  la  sua  abilità  nel  piegar  l'animo  del  nipote,  e  con  un  di^corsetto 
latino  pronunciato  per  l'occasione  da  Lucrezia  Borgia,  di  sapore  tutto 
ciceroniano,  al  dir  di  Tommaso  Tomiello  procuratore  del  disgraziato 
marito. 

Questo  episodio  del  nepotismo  borgiano  induce  il  Feliciangeli  a  fare 
osservazioni  notevoli  e  a  concludere  che,  se  l'inettitudine  e  l'animo 
pusillo  del  genero  possono  in  certo  modo  aver  contribuito  ad  alienar 
da  lui  l'animo  del  Papa,  le  nozze  Sforza-Borgia  furono  esclusivamente 
un  fatto  politico:  contratte  nel  '93  a  raffermare  l'alleanza  tra  la  Chiesa 
e  gli  Sforza,  annullate  nel  '97  perchè  Lucrezia  potesse  render  più  saldi 
i  rincoli  tra  il  Pontefice  e  il  Re  Federico  di  Napoli.  Gli  scopi  politici 
risultan  chiarissimi  da  una  lettera  dell'ambasciatore  sforzesco  a  Roma, 
Stefano  Taverna, 

La  comparsa  sulla  scena  politica  di  Cesare  Borgia  inizia  per  Gio- 
vanni una  nuova  odissea  di  mali.  Egli  aveva  chiesto  aiuto  a  tutti  i  Prin- 
cipi, senza  ottenerne  più  che  parole:  la  cattura  del  Moro  a  Novara 
troncò  la  via  ad  ogni  speranza.  Dei  suoi  preparativi  di  resistenza  contro 
il  Valentino,  poco  si  sa,  ma  sembra  qualche  cosa  abbia  fatto,  spinto 
fors'anche  dal  desiderio  di  rialzarsi   nella  estimazione   dei  sudditi.  Del 


BIBLIOGRAFIA  I75. 


A.  Mazzi.  —  Sulla  biografia  di  G^   Michele  Alberto   Carrara,   Appunti 
cronologici,  Bergamo,   Tip>o-Litografìa  Mariani,    1901,  in-8,  pag.  221. 

Pochi  pareggiar  possono  nella  profonda  cognizione  della  storia  ber- 
gamasca il  chiaro  autore  di  questo  libro,  il  modesto  e  valente  direttore 
della  civica  biblioteca  della  sua  patria;  ninno  i>er  fermo  lo  supera.  Da 
Im^i  anni  egli  va  dedicando  la  miglior  parte  della  sua  operosità  all'in- 
dagine delle  vicende  politiche,  letterarie,  civili  della  simpatica  terra  che 
contò  tanti  ingegni  gagliardi,  e  le  sue  pubblicazioni  mostrano  sempre 
toeglio  in  lui  il  degno  continuatore  di  quella  tradizione  che  fecero  glo- 
riosa il  Lupi,  il  Serassi,  il  Finazzi,  il  Tiraboschi.  Ed  il  libro  di  cui  ora 
imendiamo  far  cenno  sommario,  è  tale  di  sua  natura  da  confermare  anche 
più  la  bella  fama  di  squisito  conoscitore  delle  cose  orobiche,  già  con- 
quistatasi dal  Mazzi  ;  tanto  grande  vi  si  manifesta  e  dichiara  l'erudizione 
in  fatto  di  documenti  patri. 

Michele  Alberto  Carrara  è  personaggio  che  non  può  certo  aspirare 
ad  un  posto  precipuo  nella  schiera  degli  umanisti  alla  quale  appartiene,  né 
per  altezza  d'ingegno  né  per  abbondanza  od  eccellenza  di  produzione; 
mttavia  egli,  viioi  per  la  sua  singolare  alacrità,  vuoi  per  le  vicende  a  cui 
si  trovò  mescolato,  é  certo  meritevole  di  venir  studiato  con  maggior 
attenzione  di  quanto  siasi  fatto  sin  quL 

Al  Mazzi  non  é  parso  per  ora  opportuno  aUargare  le  ricerche  a 
tutt*intera  la  figura  del  suo  concittadino;  egli  ha  giudicato  che  adesso 
bastasse  afìrontare  risolutamente  i  problemi  più  oscuri  della  sua  biografia, 
forzandosi  di  i>ortare  la  luce  dove  finora  non  si  avevano  che  tenebre 
rotte  a  mala  pena  da  qualche  incerto  bagliore.  Dopo  aver  difatti  accen- 
nato ai  biografi  anteriori  del  Carrara,  che  poco  o  nulla  seppero  conchiu- 
dere di  buono,  •  ei  viene  a  trattare  dell'origine  della  famiglia,  illustrando 
i  casi  di  Guido,  padre  di  Michele  e  medico  riputatissimo  ai  tempi  suoi. 
Passa  quindi  a  tratteggiar  i  casi  della  infanzia  travagliata  da  continue 
malattie  del  futuro  umanista,  la  sua  studiosa  puerizia,  la  Sua  andata  a 
Padova  nel  1454  per  attendervi  alle  arti  liberali.  A  questo  pimto  co- 
rnincia  il  periodo  più  agitato  della  vita  del  giovine  bergamasco,  che  di- 
\Tde  il  suo  tempo  tra  lo  studio,  le  baruffe  e  gli  amori:  giacché  mentre 
lavora  con  somma  costanza,  si  accapiglia  col  Porcellio  e  col  Panormita 
e  stringe  amorose  relazioni  con  un'  Orsola,  la  quale  ben  presto  però  gli 
è  rapita  da  morte  immatura  (1457).  Dopo  questa  calamità  il  Carrara  fa 
ritorno  a  Bergamo  per  fuggir  la  peste;  ma  ripresa  poi  dopo  un  mese 
la  ria  di  Padova,  ivi  giunto  inferma  a  sua  volta  e  giunge  quasi  all'orlo 
del  sepolcro. 

Risanato,  prende  la  laurea  in  arti  (1458);  né  pago  di  questo  grado 
vorrebbe  continuare  gli  studi  per  conventarsi  altresì  in  medicina,  quando 
la  morte  del  padre  (1459)  lo  richiama  nuovamente  in  patria.  Le  tristi 
condizioni  della  famiglia,  rimasta  senza  capo,  lo  obbligano  allora  a 
stanziarsi  in  Bergamo,  dove  però  la   sorte  non   cessa  dal   tormentarlo, 


BIBLIOGRAFIA  1  ^^ 

ócì  Convitto,  da  lui  solo  testé  abbandonata  per  assumere  invece   altro 
onorifico  e  delicato  ufficio  in  questa  nostra  Milano. 

Il  Capasso,  innamoratosi  dell'interessante  suo  argomento,  non  ha 
lìsparmiato  fatiche  per  rintracciare  negli  archivi  cittadini  e  negli  altri 
depositi  scientifici  di  Parma  tutto  quanto  poteva  giovargli  a  ricostruire 
resistenza  trisecolare  del  Collegio  Famesiano,  uno  dei  più  importanti 
istituti  d'educazione  ch'abbian  fiorito  in  Europa  nel  seicento  e  nel  set- 
tecento, e  tale  quindi  che  aveva  difiuso  in  tutto  quanto  il  mondo  civile 
il  nome  e  la  riputazione  della  modesta  città  emiliana,  dove  aveva  sede. 
Sulla  scorta  del  valente  scrittore  noi  assistiamo  quindi  ai  primi  tentativi 
fatti  da  Ranuccio  I  Farnese,  principe  non  privo  di  difetti,  ma  dotato  in 
pari  tempo  di  qualità  tutt' altro  che  comimi,  per  risollevare  gli  studi  in 
Parma  e  sopra  tutto  crearvi  una  scuola  dove  i  giovani  di  nobil  sangue 
potessero  conseguire  quell'educazione  che  loro  si  conveniva.  Egli  s'era 
volto  a  quest'  effetto  ai  Gesuiti,  i  quali  fin  dal  1564  avevano,  come  da- 
pertutto  altrove,  preso  stanza  anche  in  Parma;  ma  le  sue  preghiere  non 
ebbero  dapprima  favorevole  accoglienza.  Non  sgomento  per  questo,  su- 
perando difficoltà  parecchie,  riusciva  nell'autunno  del  1601  a  dar  vita 
al  CoDegio  da  lui  vagheggiato,  di  cui  primo  allievo  fu  un  Alessandro 
Lazaro  padovano.  Era  l'istituto  collocato  nel  palazzo  Bemieri,  e  la  di- 
rezione come  l'istruzione  venne  affidata  a  preti  regolari. 

Malgrado  la  buona  volontà  da  tutti  spiegata,  sulle  prime  le  cose 
non  camminarono.  11  Collegio  era  mal  governato,  né  il  numero  degli 
alunni  s'  aumentava  così  da  porger  sicura  speranza  di  lieto  avvenire. 
Impensierito  di  ciò,  il  Farnese  tornò  alla  carica  coi  Gesuiti,  e  tanto  seppe 
promettere  eh'  essi  finirono  per  accettare  l' incarico  che  dapprima  ave- 
vano declinato.  Cosi  il  27  gennaio  1604  furono  in  Parma  sottoscritti  i 
Capitoli,  in  virtù  de'  quali  il  Duca  rimetteva  interamente  nelle  mani  della 
Reverenda  Compagnia  la  direzione  e  l'amministrazione  dell'istituto  da 
lui  fondato. 

Fu  questo  l'inizio  della  grandezza  del  Collegio  Famesiano.  Esperti 
com'  erano  di  ogni  più  squisito  avvedimento  pedagogico,  i  Gesuiti  seppero 
tradurre  completamente  in  realtà  l' ideale  vagheggiato  da  Ranuccio,  tras- 
formando i  giovinetti  affidati  alle  loro  cure  in  cavalieri  adomi  di  tutti 
que'  pregi  e  quelle  virtù  che  si  consideravano  allora  necessarie  in  coloro 
i  quali  erano  chiamati  ad  occupare  i  più  elevati  posti  nella  scala  sociale. 
Perdo  accanto  agli  studi  letterari  ebbero  una  parte  singolarmente  im- 
portante gli  esercizi  cavallereschi:  e  nei  divertimenti,  nelle  feste  pom- 
pose, nelle  accademiche  prove  si  volle  che  i  giovani  facessero  mostra 
non  solo  di  dottrina  e  d' ingegno,  ma  di  destrezza  e  di  gagliardia. 

Privilegi,  regali,  diligenze  d'ogni  sorta  profusero  al  Collegio,  dive- 
nuto fonte  j>eculiare  d'orgoglio  e  di  fama  ai  loro  Stati,  tanto  Odoardo 
(1622-1646)  che  Ranuccio  li  Farnese  (1646-1694).  E  soprattutto  durante  il 
principato  di  costui,  il  quale  rese  più  rigorose  le  norme  che  regolavano 
l'ammissione  all'  istituto,  questo  raggiimse  imo  splendore  considerevole 
non  solo  sotto  il  rispetto  morale,  ma  altresì  sotto  il  lato  materiale.  Gli 

Arck.  Star.  Lomb.^  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIII.  13 


BIBLIOGRAFIA 


179 


In  questo  periodo  appunto  cade  la  dimora  nel  Collegio  Parmense 
di  due  giovani  milanesi  destinati  a  lasciare  larga  traccia  di  sé  nel  campo 
della  vita  intellettuale  e  politica  italiana  del  secolo  XVIII,  voglio  dire 
Pietro  Verri  e  Cesare  Beccaria.  Il  Verri,  dopo  esser  passato  da  Monza 
a  Roma,  per  le  mani  de'  Gesuiti,  Barnabiti,  Scolopi,  sempre  scontento, 
sempre  irrequieto,  trovò  a  Parma,  dove  aveva  già  ricevuta  l'educazione 
il  cugino  D.  Francesco  Trotti,  un  soggiorno  che  gli  piacque,  maestri  che 
^imò,  condiscepoli  di  cui  divenne  amico.  La  sua  bramosia  d' imparare  e 
di  eccellere  gli  fé*  raggiungere  tutti  gli  onori  più  ambiti  dai  collegiali  : 
fa  *  principe  9  dell'Accademia  degli  Scelti  e  sostenne  più  e  più  esperi- 
menti pubblici  di  matematica  e  di  filosofìa.  Entrato  nel  Collegio  l' anno 
1747,  ne  usciva  due  anni  dopo  per  intraprendere  a  Milano  quella  car- 
riera forense  di  cui  ben  presto  doveva  disgustarsi.  Quando  Pietro  Verri 
cnu^ò  nel  Collegio,  da  un  biennio  già  vi  si  trovava  Cesare  Beccaria,  che 
fu  alunno  dell*  istituto  stesso  per  ben  otto  anni.  Ma  del  Collegio  il  futuro 
autore  del  Trattato  dei  delitti  e  delle  pene  non  serbò  grata  memoria.  Può 
darsi  che  gli  insegnanti  non  leggessero  bene  in  lui,  carattere  chiuso  ed 
alquanto  fantastico;  ad  ogni  modo  egli  pure  ottenne  onori  accademici  e 
singolari  distinzioni. 

D  Verri  ed  il  Beccaria  non  furono  i  soli  giovani  lombardi,  destinati 
a  levar  fama  di  sé  che  trovassero  luogo  nel  Collegio  Famesiano.  Da 
esso  usciron  difatti  anche  il  Conte  Castone  della  Torre  Rezzonico,  i 
conti  Alessandro  e  Carlo  Verri,  Giuseppe  Borri,  G.  B.  Giovio,  e  più 
tardi  Gaetano  Melzi  e  Camillo  Ugoni  (i). 

n  dominio  borbonico,  che  si  iniziò  col  principato  di  Don-  Filippo, 
pur  non  restituendo  il  collegio  ali*  antica  grandezza,  seppie  però  rialzarne 
le  sorti.  L'opera  sagace  e  vivificatrice  di  quel  grande  ministro  che  fu  il 
Du  Tillot,  ebbe  anche  qui  camjK)  di  estrinsecarsi.  Nel  settembre  1702  i 
vecchi  privilegi  furono  riconfermati  al  Collegio,  che  vantò  altresì  ottimi 
elementi  nel  direttore,  il  P.  Giusepf)e  Bajardi,  ed  in  professori  quali  il 
Roberti,  il  Gianelli,  il  Bettinelli.  L* influsso  di  quest'ultimo  ebbe  a  farsi 
sentir  soprattutto  nel  campo  teatrale;  giacché,  creato  Accademico,  die 


(i)  Tra  i  molti  documenti,  di  cui  il   C.  ha  arricchito  la   sua  narra- 
zione, non  hanno  trovato  luogo  gli  elenchi  dei  collegiali,   che    in   parte 
ancor  ci  rimangono:  e  ben  si  comprende  come  l'esclusione  di  essi   sia 
Slata  imposta  da  motivi  giustissimi  :  il  che  non  toglie  però  che,   ove   li 
avessimo  dinanzi,  se  ne  potrebbe  cavar  materia  ad   interessanti   spigo- 
lature. Ma  per  accontentarci  di  quel  tanto  i^he   ci   è   offerto,   noteremo 
come  dall*  «  Elenco  dei  Ritratti  ad  olio  de'  Principi  dell'Accademia  degli 
Scdti  »,  ancor  conservati  nel  Convitto  nazionale,  si  p>ossa  arguire  come 
I?  T^y^^*^..i^obili  famiglie  d'ogni  parte  della  penisola,  ma  più  specialmente 
deu  Italia  settentrionale,  fosse  divenuta  una  vera  tradizionale  consue- 
tudine Quella  d' inviare  i  loro  fi^li  a  Parma  :  tanf  è  vero   che  vediamo 
««gmr  gli  uni  agli  altri  numerosi  membri  di  una  stessa  casata.  Così,  ad 
«empio,  tra  il  1744  ed  il  1754  vediamo  succedersi  quattro  marchesi  Gam- 
o  ^^  V    ^*^^^'  ^^e  Trotti,  pur  di  Milano,  e  tra  U   1747  ed  il  1764 
quattro  Vern.  Più  tardi  vediamo    tenersi  dietro  gli  Aresi  Lucini,  i  Ca- 
vnam  di  Mantova,  i  Premoli  di  Crema,  ecc.,  ecc. 


ÓIBLIOGRAFIA  l8l 

fario  capire  anche  a  coloro  che  si  sforzavano  di  nulla  sentire.  Addi  20 
ottobre  183 1  una  «  disposizione  sovrana  »,  suggerita  alla  regnante  du- 
chessa dalle  sue  «  materne  sollecitudini  »  in  prò  degli  studi,  fondeva 
Tantico  Collegio  dei  Nobili  ed  il  Collegio  Lalatta  in  un  istituto  nuovo, 
più  conforme  alle  esigenze  della  società  contemporanea,  il  Collegio  du- 
cale Maria  Luigia, 

Tale  la  storia,  narrata  con  erudizione  solida  ma  non  mai  fastidiosa, 
e  con  garbata  spigliatezza  di  stile  nel  libro  di  G.  Capasso  :  storia  no- 
levole  per  più  e  più  rispetti,  giacché  dalle  vicende  di  quel  celebre  isti- 
tuto d'educazione  che  fu  il  Collegio  di  Parma  esce  fuori  copiosa  luce  a 
rischiarare  la  vita,  i  costumi,  i  sentimenti  di  tutto  un  mondo  scom- 
parso (i). 

F.  N. 


E.  Motta.  —  Alcune  lettere  d'illustri  Italiane  tratte  dagli  autografi  in 
Trivulziana,  Nozze  Castelli- MùUer,  Bellinzona,  Tip.  Lit.  Colombi,  1902, 
in^,  pag.  30- 

In  questo  grazioso  opuscoletto  nuziale,  impresso  con  amorevole  cura 
dalla  Tipografia  Colombi,  il  nostro  solerte  Segretario  ha  con  gentile 
pensiero  voluto  riunire  insieme  scritti  di  varie  donne  italiane  insigni  per 
\'aIore  d'intelletto.  Apre  la  schiera  Veronica  Gambara  di  Brescia  con  un 
viglietto  da  Correggio  in  data  27  maggio  1547  a  Sigismondo  II  d'Este; 
le  tien  dietro  Margherita  Trivukio  Borromeo  con  una  letterina  a  Giu- 
stina Trivulzio  d'Este,  di  cui  il  contenuto  è  assai  lieve;  ma  l'epistola 
garbatamente  distesa  prova  com'abbia  ragione  l'Editore  d'asserire  che 
il  carteggio  di  codesta  dama,  ch'ebbe  la  ventura  di  dar  la  vita  a  colui 
che  fu  il  cardinal  Federigo  Borromeo,  sia  degna  di  vedere  la  stampa. 
Dalle  grandi  donne  del  Cinquecento  passiamo  poi  ad  una  leggiadra  e 
colta  attrice  del  Settecento  con  Elena  Virginia  Riccoboni  Balletti,  a  cui 
segue  quella  gloria  degli  studi  matematici  che  fu  Gaetana  Agnesi  con 
poche  linee  dirette  ad  un  padre  Crivelli,  ov'è  questione  di  studi.  Sus- 
seguono Elisabetta  Caminer  Turra,  patrizia  veneziana,  che  die  saggi 
non  infelici  del  suo  genio  per  la  drammatica;  Teresa  Bandettini  Lan- 
ducci,  che  lasciò  la  danza  per  la  poesia  improvvisa;  Marianna  Dionigi, 
che  attese  in  Roma  alle  discipline  archeologiche  ed  allo  studio  della 
pittura;  Ginevra  Fachini  Canonici,  la  dama  bresciana,  cui  si  deve  un 
Prospetto  biografico  delle  donne  italiane  rinomate  nella  letteratura,  che  è 


(i)  Un  rapido  sguardo  alle  vicende  dell'  istituzione  cosi  accurata- 
mente studiata  nel  suo  libro,  ha  dato  poi  il  Capasso  nel  suo  vivace  di- 
sborso, letto  per  il  III  Centenario  della  fondazione  del  Collegio,  l' 11  no- 
vembre 1901  -  Ved.  //  Collegio  dei  Nobili  di  Parma,  Parma,  Battei,  8,  pp.  24. 
E  nella  stessa  occasione  fu  pure  pubblicato  un  numero  unico. 


l82  BIBLIOGRAFIA 

uno  dei  primi  del  genere,  ma  vale  assai  p>oco;  Teresa  Gonfalonieri  Ca- 
sati, che  da  Vienna  il  14  dicembre  1823  narra  alla  diletta  amica,  la. 
marchesa  Beatrice  Trivulzio  Serbelloni,  il  colloquio  avuto  coli*  Impera- 
tore che,  contro  le  attestazioni  di  certi  storici,  dice  esserle  stato  largo 
di  compassione.  La  Costanza  Perticari,  che  parla  col  solito  ardore  di 
u  quell'angelo  »  di  suo  marito,  passato  ad  altra  vita;.  Clarina  Mosconi, 
celebre  amica  del  Pindemonte,  Isabella  Albrizzi  Teotochi  chiudono  quindi 
la  bella  schiera. 

L'egregio  Editore  ha  saputo  con  sobrie  ma  opportune  annotazioni, 
appianando  varie  difficoltà,  rendere  veramente  piacevole  la  lettura  della 
sua  indovinatissima  raccoltina,  che  sarà  la  benvenuta  per  tutti  e  singo- 
larmente poi  per  i  cultori  degli  studi  italiani  ne'  secoli  XVIII  e  XIX. 

F.  N. 


G.  Sforza.  —  //  Manzoni  giornalista,  Nozze  Greppi-Belgioioso,  Modena, 
Soc.  Tipogr.  Modenese,  1902,  in-8  gr.,  pag.  11. 

In  quest'elegante  plaquette,  destinata  a  festeggiare  le  fauste  nozze 
del  nostro  egregio  amico  e  collega  Emanuele  de'  conti  Greppi  colla 
contessa  Bice  di  Belgioioso,  Giovanni  Sforza,  il  valente  e  chiaro  diret- 
tore dell'Archivio  di  Stato  di  Massa,  che,  come  tutti  sanno,  ha  dedicata 
tanta  parte  della  sua  attività  alla  pubblicazione  degli  scritti  di  A.  Man- 
zoni, ci  fa  parte  d'una  sua  curiosa  ed  inattesa  scoperta:  quella  cioè  che 
anche  l'Autore  dei  Promessi  Sposi  ebbe  a  pagare  il  suo  tributo  al  gior- 
nalismo. Veramente  D.  Alessandro  non  strinse  mai  molta  lega  coi  giorna- 
listi, pe'  quali  nudriva  stima  men  che  mediocre  ;  ma  in  certe  occasioni, 
trascinato  dalla  forza  delle  cose,  non  sdegnò  di  far  udire  la  sua  voce,  gio- 
vandosi di  quella  stampa  periodica  che  in  apparenza  tanti  fingono 
sprezzare  ed  in  sostanza  temono  o  blandiscono.  Il  Manzoni  scrisse  un 
primo  articolo  nel  novembre  del  1848  per  la  Concordia^  il  più  avanzato 
tra  i  fogli  piemontesi  d'allora,  che  dopo  l'armistizio  Salasco,  fonte  di 
tante  agitazioni,  «  divenne  l'organo  degli  emigrati  lombardi,  e  prese 
«  una  tinta  di  radicalismo,  con  qualche  spruzzaglia  repubblicana.  »  Di 
ciò  siamo  fatti  certi  da  una  lettera  del  Manzoni  stesso  al  Casati,  ine- 
dita finora,  e  che  lo  Sforza  mette  alla  luce.  Dell'articolo  però,  di  cui 
l'autore  voleva  si  ignorasse  la  fonte,  non  sappiamo  con  certezza  se  sia 
o  no  stato  pubblicato. 

Anche  un'  altra  volta  il  Manzoni  si  fece  giornalista:  e  ciò  fu  dojK) 
il  1870,  quando  in  certa  sua  lettera  al  Poujade,  rimasta  famosa,  Adolfo 
Thiers  ebbe  a  paragonare  l'unità  d'Italia  alla  quadratura  del  circolo. 
Ferito  nei  suoi  sentimenti  più  sacri,  D.  Alessandro  stese  allora  una 
risposta  allo  statista  francese,  che  sa  di  forte  agrume,  e  che  venne  im- 
pressa nel  Corriere  di  Milano,  a  cui  era  stata  diretta.  Anche  di   questa 


BIBUOGRAFIA  183 

ri\'ace  pagina  lo  Sforza  dà  la  riproduzione  a  complemento  opportimo  del 
suo  brioso  bozzetto  sull* ingresso  del  poeta  di  Ermengarda  nel  regno 
della  stampa  periodica. 

F.  N. 


Ndio  Smiragua  Scognamiguo.  —  Ricerche  e  documenti  sulla  giovinezza  di 
Leonardo  da  Vinci  (1452-1482),  Napoli,  Marghieri,  1900,  in-8  gr.,  pag.  159. 

G.  B.  De  Toni.  —  Framntetìti    Vinciani,   Padova,  Tipografia   del  Semi- 
nario, 1900,  in-8  gr.  pag  61. 

Dagli  esploratori  nel  campo  delle  ricerche  vinciane  abbiamo,  con 
frequenza  corrispondente  all'interesse  che  il  tema  suscita  nello  studioso 
moderno,  comimicazione  di  nuove  indagini  o  ricognizioni.  Delle  due  pub- 
blicazioni che  ci  stanno  sott'  occhio  non  s*  è  tardato  che  troppo  a  dar 
conto  ai  lettori  delV  Archivio.  Speriamo  che  ciò  non  renda  inutili  le  brevi 
note  che  seguono,  mentre  dà  occasione  a  congratularsi  cogli  autori  per 
il  riconoscimento  che,  de'  loro  studi  complessi,  ebbero  dal  R.  Istituto 
Lombardo  di  scienze  e  lettere  nel  recente  giudizio  sull'ultimo  concorso 
Tomasoni. 

n  periodo  della  vita  di  Leonardo,  che  va  dalla  nascita  al  trasferi- 
mento a  Milano  dell*  artista,  oltre  che  nei  lavori  recanti  copiosi  contri- 
buii a  tutta  la  storia  del  Vinci,  è  stato  più  d'una  volta  oggetto  delle  pub- 
blicazioni preliminari  dei  leonardisti.  Così  il  MùUer-Walde,  ne'  fasci- 
coli (i),  dei  quali  il  lettore  attende  la  continuazione,  tentò  ricostruire  la 
personalità  artistica  del  gran  pittore  nel  tempo  giovanile,  dar  le  ragioni 
dello  s\'iluppo  di  questa,  spiegarne  le  tendenze.  Lo  Smiraglia  si  applica 
alla  stessa  epKJca  con  intenti  vari,  ma  dando  qualche  prevalenza  allo 
studio  dei  rapporti  esteriori  e  sociali  dell'artista.  Come  l'Uzielli,  egli 
prende  le  mosse  dal  borgo  natale  di  Leonardo,  e,  riferiti  alcuni  dati 
storici,  che  ne  riguardano  il  castello  e  il  comune,  volge  le  sue  ricerche 
alla  famiglia  da  Vinci.  Crediamo  ch'egli  tenda  a  deprimerne  la  condi- 
zione quando  nell 'accennare  ad  Antonio,  ridottosi  alla  vita  campestre, 
riguarda  come  trascurabile  l'ipotesi  che  la  famiglia  di  Leonardo  potesse 
essere  considerata  tra  le  nobili.  Certamente  era  tra  le  notabili,  se  pen- 
siamo che  l'ufficio  che  parecchie  generazioni  di  essa  hanno  coperto,  co- 
stituisce, per  le  tradizioni  democratiche  di  Firenze,  un  titolo  di  dignità 
famigliare.  Le  accurate  registrazioni  nei  PriorisH  ce  ne  informano  e 
l'arme  portata  dalla  famiglia  n'è  un  segno.  Se  il  padre  di  Ser  Piero  si 
dedicò  ai  lavori    de'  campi,   bisogna  ricordare  che  questi,   erano,   come 


(1)  Leonardo   da    Vinci.   Lebensskizze   und   Forschimgen   ùber  se  in 
Verhaltniss  zur   Florentiner    Kimst  und   zu    Rafael,   Mùnchen,    Hirth, 


184  BIBLIOGRAFIA 

sono,  associati  in  Toscana  a  maggior  gentilezza  di  vita  che  nelle  altre 
parti  d'Italia.  Parrebbe  del  resto  essere  stata  questa  l'occupazione  degli 
ultimi  anni  di  Antonio,  che  aveva  forse  prima  esercitato  anch'egli  l'arte 
di  noteria,  e  del  quale  sappiamo  che  condusse  per  moglie  la  figlia  d*un 
notajo.  Le  molteplici  relazioni  poi,  che  Ser  Piero  aveva  a  Firenze,  in 
parte  documentate  dallo  Srairaglia,  che  ha  fatto  à  questo  riguardo  note- 
voli e  pazienti  ricerche,  dimostrano  una  considerazione,  che  non  dovette 
essere  acquistata  d'un  colpo,  né  per  la  sola  attività  individuale. 

Troviamo  invece  ben  giustificata  la  riserva  che  l' Autore  fa  circa 
r  asserzione  delPanonimo,  che  Leonardo  fosse  per  madre  nato  di  ìm 
sangue.  Il  modo  con  cui  questa  è  ricordata  nella  portata  del  1457  sembra 
indicare  notorietà  ristretta  al  cerchio  della  famiglia  o  del  villaggio. 

I  due  paragrafi,  che  l'autore  dedica  alla  denominazione  «  da  Vinci», 
la  quale  è  ovvio  riteniamo  per  vero  e  proprio  cognome,  come  quelli 
di  molte  altre  famiglie  che  li  trassero  dai  luoghi  d'origine,  ci  sembrano 
dati  piuttosto  ad  ahundantiam,  che  per  sé  concludenti.  La  citazione  di  fra 
Luca,  appoggiandosi  in  qualche  modo  ad  un  bisticcio,  cui  il  cognome  di 
Leonardo  ha  dato  occasione  più  d'una  volta,  potrebb'  essere  forzata.  Un 
poco  artificiosa  ci  pare  anche  la  discussione  che  segue,  se  Pisa  e  Fi- 
renze possano  contrastare  a  Vinci  l'onore  di  essere  il  luogo  natale  dd 
maestro;  e  qui  pure  in  parte  superfluo  e  in  parte  fiacco  è  l'argomento, 
ch'egli  ci  dà  per  decisivo,  e  cioè  le  parole  del  Giovio  :  Leonardus  a 
Vincio  ignobili  Etrurice  l'ico,  etc.  :  ma  assai  interessante  e  prezioso  riesce 
l'elenco  che  troviamo  di  atti  rogati  da  Ser  Piero. 

Di  Anchiano  lo  Smiraglia  riferisce  qualche  ricordo  storico  e  la  tra- 
dizione che  Leonardo  vi  nascesse,  escludendo,  come  i  documenti  auto- 
rizzano a  fare,  che  i  da  Vinci  vi  ave-^sero  possessioni  al  tempo  della  na- 
scita di  lui;  non  parla  del  casolare  accennato  dall'Uzielli,  dove  si  vede  oggi 
uno  scudo,  la  cui  partizione  ci  sembra  corrispondere  all'  arme  di  quel 
casato,  ma  che,  probabilmente  per  il  carattere  delle  parti  accessorie  0 
per  qualclie  riserva  sul  tempo  cui  la  pietra  effigiata  può  ascriversi,  non 
fu  ritenuta  dal  dottissimo  promotore  degli  studi  leonardeschi  appartenere 
alla  famiglia  da  Vinci  (i). 

La  data  della  nascita  di  Leonardo  dà  luogo  ad  un  raff'ronto  tra  le 
portate  del  1457  e  del  1470,  che  riesce  all'intento  di  far  rilevare  le  scon- 
cordanze ch'esse  presentano  in  ordine  ad  alcune  cifre,  ma,  sia  per  ne- 
gligenze ed  errori  avvenute  nella  stampa,  sia  per  altra  causa,  il  tratto 
che  precede  la  conclusione  (la  quale  dà  plausibile  motiv^o  delle  \'ana- 
zioni  e  non  altera  l'anno  comunemente  ricevuto),  presenta  qualche  con- 
fusione. 

Notevoli,  pel  complemento  che  recano  alle  ricerche  anteriori  sul- 
l'abitazione e  sugli  uffici  di  Ser  Piero  in  Firenze  sono  alcune  pagine 
del  secondo  capitolo. 


(i)  Ricerche,  2.*  ed.,  pag.  38. 


i 


BIBLIOGRAFIA  185 

Dal  1467  in  avanti  è  probabile  che  la  famiglia  da  Vinci  abitasse  in 
città,  data  la  molteplicità  degl'impegni  che  il  notaio  vi  aveva.  Per  quanto 
riguarda  Leonardo,  il  suo  tirocinio  nello  studio  del  Verrocchio  portò 
molto  probabilmente  seco  la  coabitazione  delPallievo  col  maestro,  come 
anche  TA.  fa  rilevare  a  proposito  dei  documenti  riguardanti  un*  accusa 
anonima  al  giovane  pittore  (già  dairUzielli  in  parte  (i),  e  dallo  stesso 
Smiraglia  per  intero  pubblicati  (2).  L*A.  accenna  ad  un  passo  (3)  in- 
teressante del  Codice  Atlantico  che  potrebbe  effettivamente  trovarsi  in 
rapporto  con  questo  episodio  della  vita  di  Leonardo. 

Lo  sviluppo  dell'artista  nella  bottega  del  Verrocchio,  l'attribuzione 
e  Tesarne  delle  opere  di  Leonardo  danno  luogo  in  queste  Ricerche  ad 
una  trattazione  alquanto  ineguale,  dove  non  ci  consentono  di  seguir  lo 
Smiraglia  né  lo  spazio  né  la  p)ortata  d'una  discussione  nella  quale 
Fautore  ci  sembra  aver  proceduto  lestamente  e  con  poca  misura,  di 
fronte  ad  una  critica  d'arte  che  non  si  può  combattere  senza  grande 
ponderazione  (4). 

Il  dire,  per  esempio,  che  l'Annunziazione  dipinta  sulla  tavola  del- 
l'aitar maggiore  della  chiesetta,  che  venendo  da  Empmli  troviamo  ap- 
pena entrati  nel  borgo  di  Vinci,  «  ha  molto  dello  stile  del  discepolo  di 
Andrea  del  Verrocchio  (5)  »,  equivale,  a  nostro  modesto  avviso,  a  frain- 
tendere i  caratteri  che  appunto  la  scuola  del  Verrocchio  imprimeva  ai 
suoi  alunni. 

Non  omettiamo  un'  osservazione  che  ci  occorre  alla  lettura .  della 
pag.  79,  dove  TA.,  parlando  della  Madonna  della  Caraffa  e  dell'  asser- 
zione dell'Amoretti,  che  questo  quadro  fosse  nella  Galleria  Borghese  a 
Roma,  aggiunge  :  «  Comunque  sia  oggi  non  abbiamo  più  notizie  neanche 
del  quadro  di  Villa  Borghese.  »  Ricordiamo  d'aver  visto  precisamente 
in  questa  Galleria  un  dipinto,  che  può  rispondere  alla  descrizione  del 
Vasari  —  fatta  riserva  per  l'attribuzione,  —  ed  è  probabilmente  quello 
cui  l'Amoretti  s'è  riferito:  «  ...  non  é  da  meravigliarsi  »,  dice  il  Morelli, 
assegnando  il  dipinto  a  Lorenzo  di  Credi,  ed  esprimendosi  con  la  con- 

(i)  UziELu,  Ricerche,  serie  II,  Roma,  Salviucci,  1884,  pag.  201. 
^2)  ^^VC Archivio  storico  dell'arie,  1896,  luglio-agosto. 
{3)  L'esame,  che  ho  potuto  fare,  all'Ambrosiana,  del  foglio  originale 
(252  redo  a,  secondo  la  numerazione  sancita  dalla  pubblicazione  in  corso), 
Ae  porta  il  frammento  citato  dall'A..  ci  fa  ritenere  fedele  la  lettura  del 
^vi  (a  p.  8  del  Saggio  delle  opere  ai  L.  da  V,)  e  l'attuale  del  Piumati 
■     9^-  Ail.^  fase,  xxu,  190 1),  fatta  eccezione  per  la  parola  ma  che  questi 
sostituisce  all'altra  ora,  la  quale  ci  pare  risulti  dal  manoscritto  :  ed  esclu- 
dere tanto  la  lezione  data   dallo   Smiraglia,   quanto    la    precedente   del 
Richter  {The  literary  works  by  L.  da  V.,  II,  §  1364).  È  d'uopo  aggiungere 
che  u  passo  si  trova  cancellato  (verisimilmente  di  prima  mano)  da  una 
unea  trasversale. 

(4)  Invece  qualche  accenno  a  osservazioni  geologiche,  che  le  colline 
n^e  oflfrivano  modo  di  fare  all'adolescente,    può  far  presagire  la  cura, 
cne  l  ^utore  ha  messo,  secondo  il  giudizio  della  Commissione,  nella  parte 
(  l  p  dtl  lavoro  presentato  al  concorso  Tomasoni. 


l86  BIBLIOGRAFIA 

sueta  vivacità,  «  che  il  dotto  bibliotecario  Amoretti,  lo  abbia  citato  con 
questa  paternità  [vinciana]  nella  sua  monografia  su  Leonardo,  né  che 
gli  editori  fiorentini  del  Vasari  (Vili,  17)  abbiano  anche  in  questo  caso 
seguito  volentieri   le  pedate  altrui  (i)  ». 

All'esame  della  produzione  artistica  di  Leonardo,  l'A.  frappone 
alcune  considerazioni  sulle  note  letterarie  di  Leonardo  (poesie,  favole, 
profezie  o  enimmi),  che  probabilmente  a\'Tebbero  trovato  miglior  posto 
altrove.  Il  sonetto  poi,  riprodotto  dal  Codice  Atlantico,  che  lo  Smiraglia 
propende  a  credere  originale  (2),  può  leggersi  salva  qualche  variante, 
con  poche  altre  rime  antiche,  nell'opuscolo  :  La  pestilenza  del  IJ48  (Fi- 
renze, Camesecchi,  1884),  che  il  De  Toni  ci  indica  nel  lavoro  che  esa- 
miniamo in  seguito  (3). 

Ai  capitoli  che  trattano  della  vita  e  dell'opera  giovanile  del  Vinci, 
lo  Smiraglia  ne  fa  seguire  uno  inteso  a  discutere  l' ipotesi,  ora  è  già 
molto  tempo  emessa  dal  Richter,  circa  un  viaggio  di  Leonardo-  in 
Oriente.  L' A.  riassume,  con  abbondanti  citazioni  dalle  pagine  vincia- 
ne  (4),  che  diedero  occasione  a  quell'ipotesi,  lo  stato  della  questione,  li- 
mitata, come  si  trova  ora,  da  considerazioni  cronologiche,  e  la  studia 
particolarmente  in  rapporto  ad  una  nota  di  viaggio  per  Roma  e  per 
Napoli,  alla  quale  l'inciso  :  vendi  quel  che  non  si  può  portare,  sembra  con- 
nettere l'intenzione  di  un'  assenza  prolungata  e  di  un  soggiorno  lontano. 
Lo  Smiraglia,  riferiti  in  seguito  i  frammenti  leonardeschi  che  sulle  cosi 
di  Levante  si  esprimono  nella  forma  più  imaginativa,  tende  ad  av\'ici- 
narsi  ali*  ipotesi  del  Govi  che  «  Leonardo  abbia  pensato  piuttosto  di 
scrivere  qualche  romanzo  in  forma  epistolare,  ove  si  descrivessero  paesi, 
viaggi,  avventure,  in  parte  tolti  da  libri  contemporanei,  in  parie  da 
narrazioni  orali  udite  da  viaggiatori  reduci  dall'Oriente,  in  jjarte  ideati 
da  Leonardo  stesso  (5)  »  ;  e  conclude  col  ritenere,  come  i  più,  insufficien- 
temente fondati  gli  argomenti  del  Richter,  aggiungendo  che  il  prt>babile 
meditato  viaggio  per  Roma  e  Napoli  potrebbe  con  maggiore  verosimi- 
glianza collegarsi  alla  carica  d'ingegnere  militare  che  Leonardo  occupò 
presso  Cesare  Borgia. 

Con  questo  capitolo  termina  il  lavoro,  seguito  dalle  pagine  giustifì- 

(i)  Della  pittura  italiana.  Le  Gallerie  Borghese  e  Doria  Pamphili  in 
Roma,  Milano,  Treves,  1897,  pag.  83,  nota. 

(2)  Pag.  66. 

(3)  Frainnienti  vinciani,  pag.  38,  n.  III.  E  utile  a  me  ed  al  lettore 
ciò  che  il  chiariss.  prof.  Novati,  cui  debbo  la  gentile  conmnicazione  di 
quell'opuscolo,  mi  accenna  :  trovarsi  il  sonetto  «  Se  vuoi  star  sano  »  in 
gran  numero  di  mss.  a  Firenze,  appartenendo  a  quella  ricca  schiera  di 
poesie  didattiche  del  scc.  XIV,  che  divennero  popolari  e  furono  tra- 
.scritte  con  frequenza  da'  Fiorentini  nei  loro  zibaldoni  e  negli  stessi  libri 
professionali,  al  medesimo  modo  che  le  ritrovàamo  tra  le  note  di  Leo- 
nardo. 

(4)  Per  l'accenno  a  Bartolomeo  Turco,  cfr.  la  nota  in  q\XQS\! Archivio 
XX Vili,  1901,  I,  pag.  246.  (Appunti  e  notizie). 

(5)  Fag.  126. 


i 


BIBLIOGRAFIA.  187 

catìve,  dove  lo  Smiraglia  presenta  il  risultato  delle  sue  ricerche  intorno 
alla  casa  abitata  da  Ser  Piero  in  Firenze  (i)  e  ad  alcune  relazioni  di 
questo  notajo  ;  pubblica  alcuni  dati,  relativi  ai  Vinci,  desunti  dal  Priorista 
Fiorentino  della  Biblioteca  di  Napoli,  seg.  X,  A.  22,  e  riproduce  altri 
documenti  già  posti  in  luce  dall'  Uzielli,  dal  Gaye,  dal  Durazzini,  dal 
Milanesi,  ecc. 


* 
*  * 


La  pubblicazione  del  De  Toni  non  presenta,  come  la  precedente,  una 
serie  di  ricerche  collegate  ad  un  determinato  periodo  della  vita  di 
Leonardo,  ma  illustra  con  molta  cura  ed  efficacia  alcimi  particolari  isolati. 
Il  primo  degli  studi  che  la  compongono  versa  intomo  a  Marco  Antonio 
della  Torre  ed  all'eiK>ca  del  suo  incontro  con  Leonardo  da  Vinci  a  Pavia. 
Con  un  gruppo  di  documenti  bene  coordinati  allo  scopo  della  dimostra- 
zione, TA.  dissipa  l'incertezza  e  le  confusioni  nelle  quali  incorsero  pa- 
recchi degli  autori  che  trattarono  delle  relazioni  del  Vinci  colF  anato- 
mico veronese. 

Egli  determina  le  varie  fasi  della  rapida  carriera  del  Della  Torre 
nello  Studio  padovano  (1502-1509),  ne  accerta  il  soggiorno  in  Pavia  sullo 
scorcio  del  1510  e  nel  151 1  ;  conferma  la  data  della  sua  morte  in  questo 
medesimo  anno. 

«  L'incontro  del  giovane  professore  veronese  con  Leonardo  »,  dice 
adunque  il  De  Toni,  «  puossi  ammettere  abbia  avuto  luogo  nell'in- 
verno 1510-1511;  in  marzo  del  1510  il  Vinci  si  trovava  a  Milano  a  lavo- 
rare intomo  ad  uno  scaricatojo  per  il  Naviglio  grande  di  S.  Cristoforo 
e  nel  giorno  4  maggio  151 1  era  a  Fiesole;  per  parte  mia  sono  proclive 
a  ritenere  che  il  celebre  artista  siasi  recato  a  Pavia  in  sullo  scorcio 
del  1510  e  vi  abbia  passato  l'inverno  e  parte  della  primavera  del  151 1, 
lavorando  insieme  col  Della  Torre  e  preparando  quei  disegni  anatomici 
mirabili,  in  gran  parte  conservati  in  Inghilterra  e  che  sarebbe  vivo  de- 
siderio degli  studiosi  venissero  presto  dati  in  luce  (2)  ».  Questo  desiderio 
è  già  in  parte  esaudito:  i  due  magnifici  volumi  usciti  per  iniziativa  del 
Sabachnikoff,  a  cura  del  Piumati,  meravigliando  il  mondo  con  una  delle 
più  ricche  manifestazioni  dell'opera  di  Leonardo,  rendono  onore  anche  a 
colui  che,  nell'aiuto  scambievole,  di  cui  parla  il  Vasari,  v'associò  sia  pure 
per  poco  tempo  lo  studio  e  il  nome.  Certamente  le  ricerche  anatomiche  di 
Leonardo  datano  da  tempo  assai  anteriore  a  quelle  del  Della  Torre,  si 
svolgono  in  centri  diversi  (3).    Attente  e  sottili  considerazioni  potranno 

(1)  Campo,  nel  quale  i  primi  risultati  sono,  come  è  ben  noto,  dovuti 
all'Uzielli  (Ricerche,  1.  ed.,  Firenze,  Pellas,  1872,  p.  65  e  154-156). 

tz)  Pag.  15.  Tali  codici  vengono  anche  a  confermare  il  periodo  ac- 
cennato di  lavoro  anatomico  del  Vinci  (cfr.  Dell'Anatomia  fogli  A,  17 
recto). 

(3)  Leonardo  era  occupato  come  anatomico  nell'Ospedale  di  Santa 
Maria  Nuova  durante  il  secondo  soggiorno  fiorentino,  e  precedentemente 
»  Milano  dovette  attendere  con  assiduità  ai  medesimi  studi. 


l88  BIBLIOGRAFIA 

forse  individuare  ciò  che  dalla  collaborazione  accennata  derivi,  come 
s'avrebbe  probabilmente  un'  idea  assai  chiara  del  contributo  scientifico 
che  ciascuno  ebbe  a  portarvi,  il  giorno  in  cui  potesse  rintracciarsi  quel 
codice  della  collezione  Saibante  (n.  834),  contenente  le  lezioni  anatomiche 
del  Della  Torre,  invano  cercato  dal  De  Toni. 

Seguono  a  questa  illustrazione,  alcuni  appunti  concementi  una  frase 
allusiva  a  Stefano  Ghisi  contenuta  in  un  manoscritto  vinciano  (ms.  Anm- 
del,  263  (British  Museum),  e.  274  r.  ;  Richter,  The  literary  works  by  Leo- 
nardo da  Vinci,  II,  pag.  465).  I  dati  raccolti  dall'autore  possono,  com*  egli 
accenna,  tornare  utili  per  ciò  che  concerne  la  dimora  di  Leonardo  in 
Venezia  durante  il  1500. 

Ci  auguriamo  di  aver  presto  comunicazione  anche  delle  ricerche  del 
De  Toni  su  Giuliano  da  Marliano,  Nicolò  della  Croce,  e  altri  dei  per- 
sonaggi che  sono  nominati  nei  manoscritti  del  Vinci  o  ebbero  qualche 
rapporto  con  lui. 

Il  terzo  studio  che  entra  a  comporre  questi  «  Frammenti  Vinciani  » 
presenta  un  notevolissimo  contributo  alla  conoscenza  di  im  fonte  del 
manoscritto  B  di  Leonardo.  Istituendo  un  diligente  riscontro  fra  il  testo 
vinciano  e  quello  dell'opera  di  Roberto  Valturio,  l'A.  ha  dimostrato  la 
derivazione  da  essa  di  molte  notizie  di  strumenti  bellici  e  d'arte  militare 
contenute  nel  codice  B.  È  anche  confermata  per  tale  raffronto  1*  in- 
tuizione del  D'Adda  (i)  che,  nel  prezioso  studio  su  Leonardo  da  Vinci  e 
la  sua  libreria,  s'appose  con  tutta  esattezza,  nel  riferire  l'indicazione  «  de 
re  militari  »,  che  si  trova  nel  noto  elenco  leonardesco  del  Codice  Atlan- 
tico, all'opera  del  Valturio. 

Il  lavoro  dell' A.  prova  anche,  se  ciò  occorresse,  una  volta  di  più, 
che  i  fogli  formanti  il  codicetto  Ashbumham  II  (N.  2037  della  Bibl.  Na- 
zionale di  Parigi)  appartennero  al  ms.  B. 

Lo  studio  sui  fonti  di  Leonardo  (2)  va  così  allargandosi,  e    tanto  il 

(i)  «  Il  Vegezio?...  il  Frontino?...  il  Comazzano?...  Noi  crediamo 
piuttosto  il  Valturio  »  (D'Adda,  Leonardo  da  Vinci  e  la  sua  libreria^ 
pag.  16).  Questo  paragrafo  è  uno  dei  più  estesi,  nella  dotta  ricerca  del 
rimpianto  bibliografo  milanese. 

(2)  A  proposito  della  nota  a  p.  38,  debbo  accennare  che  l'asserzione, 
di  cui  parla  il  De  Toni,  in  ordine  a  un  mio  lavoro  sul  ms.  H  di  Leo- 
nardo (ved.  c{MQ:si^ Archivio ^  XXV,  1898,  pag.  73-116)  corrispondeva  sem- 
plicemente e  sinceramente  allo  stato  soggettivo  in  cui  io  mi  trovava. 
All'aver  condotto  a  termine  quella  ricerca,  senza  aver  conosciute  le  in- 
dicazioni, che  il  De  Toni  cita,  e,  quel  che  più  mi  spiace,  la  nota  che 
rUzielli  pose  a  pag.  LII-LIII  e  la  seguente  della  Prefazione  alla  seconda 
edizione  delle  sue  Ricerche,  diede  certamente  cagione  la  mia  inesperienza, 
che  ben  volentieri  avrei  lasciato,  in  c^uel  punto,  di  dimostrare.  Lo  stesso 
De  Toni  volle  riguardo  a  quel  mio  primo  lavoro  usare  una  considerazione 
ed  una  benevolenza,  delle  quali  gli  sono  assai  grato.  Estendendosi  dot- 
tamente nella  recensione,  dov'egli  se  ne  occujX)  (Archivio  Storico  Italiano, 
quinta  serie,  voi.  XXIII,  1899,  P^g.  207-211)  ad  alcune  osservazioni  sui 
Èestiarii,  egli  suggeriva  allora  l'idea  che  Leonardo  da  Vinci  avesse  tratto 
il  passo,  che  riguarda  la  tigre  (ms.  //,  f.  23  v.  -  23  r.),  invece  che  dal- 


BIBLIOGRAFIA  189 

De  Toni  che  il  Solmi,  il  quale  si  è  presentato  con  lui  al  concorso  già 
accennato,  si  sono  mostrati  particolarmente  attivi  a  questo  riguardo, 
acche  la  Commissione  giudicante  ne  ha  fatto  a  loro  merito  particolare. 
Chiude  la  gradita  pubblicazione  vinciana  una  nota  sulle  osserva- 
zioni di  Leonardo  intomo  ai  fenomeni  di  capillarità.  E  il  trovarsi  questa 
ricerca  associata  alle  altre  prettamente  storiche  dimostra  quanto  si  può 
attendere  dal  prof  De   Toni  per  il  progresso   degli  studi  leonardeschi. 

G.  Calvi. 


\ Acerba  e  da  Plinio  cumulativamente,  da  altro  autore,  che  riunisse  nella 
descrizione  i  due  metodi  di  caccia  citati  da  Leonardo;  e  mette  innanzi 
Alberto  Magno,  del  quale  dà  il  testo  a  riscontro  del  passo  del  ms.  H. 
Riprendendo  in  mano  il  raffronto  con  Plinio  ho  dovuto  tuttavia  rile- 
vare di  nuovo  coincidenze,  che  danno  traccia  più  sensibile  di  deri- 
vazione da  questo  autore  (combinato  dal  Vinci  coWAcerba),  che  da  Al- 
berto Magno.  Le  espressioni  animai  velocitatis  tremendae  {animale  di 
sfauentevoU  velocità),  equo  quam  maxime  pernici  (sopra  veloce  cauallo), 
odore  vestigans  (mediante  l'odore  de*  figli),  abiicit  unum  e  catulis  (vno  de* 
figlioli),  donec  in  navim  regresso  (insino  aitanto  ch'esso  monta  in  barca) 
sono  in  Plinio  assai  più  vicine  al  testo  di  Leonardo  (che  ho  posto  tra 
parentesi),  che  non  avvenga  delle  parole  di  Alberto  Magno,  prodotte 
dal  De  Toni. 


BOLLETTINO  DI  BIBLIOGRAFIA  STORICA  LOMBARDA 

(dicembre  i^oi  —  marzo  1^02) 


I  libri  segnati  con  atteritco  penrennero  alla  Biblioteca  Sodale. 

ALBERTI  (A).  L' influenza  dell'  invasione  longobarda  sul  tipo  nazionale 
italiano.  —  Rivista  italiana  di  sociologia^  luglio-agosto  1901. 

ALINARI  (ViTTGRio).  Catalogo  delle  fotoincisioni  dello  Stabilimento  foto- 
grafico fratelli  Alinari.  Firenze^  tip.  Landi,  1901. 

Utilissimo  per  gli  studiosi  dell'arte.  Vi  sono  indicati  statue,  quadri, 
affreschi,  bassorilievi,  ecc.,  di  Varallo,  Milano,  Pavia,  Como,  Cremona,  Ber- 
gamo, Brescia.  Per  cura  dello  stesso  A.  è  pure  usato  il  Catalogo  generale 
delle  riproduzioni  di  disegni  (Firenze,  Laudi,  190 1)  tratte  dai  dis^ni  di  artisti 
italiani,  conservati  nelle  gallerie  di  Firenze,  Roma,  Parma  e  Venezia. 

*  AMBROSOLI  (Solone).  Di  una  nuova  zecca  Lombardo-Piemontese.  — 
Rivista  italiana  di  numismatica,  fase.  IV,  1901. 

Un  decennio  fa  scoprì  vasi  a  Casargo  in  Valsassina  e  passò  in  mano  del 
cav.  Gavazzi  di  Valmadrera  un  gruppo  di  piccole  monete  del  secolo  XV. 
(Queste  monetine  le  quali  contraffanno  le  monete  milanesi  di  quei  tempi, 
recano  iscrìzioni  enigmatiche  ed  in  apparenza  destituite  di  senso.  L^Ambrosoli 
riesce  a  decifrarle  per  concludere  che  quelle  monete  furono  coniate  a  Va- 
lenza dove  non  si  sapeva  che  fossevi  mai  stata  zecca. 

ANDERSON  (W.).  The  architecture  of  the  renaissance  in  Italy.  London, 
Batsford,  1901,  in-8,  pag.  204. 

ANDRICH  (G.  L.).  La  leggenda  longobarda  di  Autari  a  Reggio.  —  Rivista 
Storica  Calabrese,  serie  III,  a.  IX,  fase.  8-1 1.  [Recens.  in  Boll,  Stor. 
Pavese,  IV,  1901,  485]. 

'  ANNONI  (Ambrogio).  La  villa  Litta-Modignani  ad  Aflfori,  con  4  ili.  — 
Pro  Familia  di  Bergamo,  a.  II,  n.  60,  24  novembre  1901. 

Fatta  costrurre  circa  il  1687  da  Pietro  Paolo  Corbella,  segretario  della 
Cancelleria  Segreta,  nominato  in  quell^anno  appunto  marchese  per  il  feudo 
di  Affori,  da  lui  comperato  Tanno  innanzi.  L'A.  ci  offre  le  notizie  dMndole 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  I9I 

Storica  intorao  a  questa  villa,  dai  Corbella  passata  nei  d'Addai  nei  Tac- 
doli,  indi  nei  Litta-Modignani»  Il  tesoro  più  prezioso  della  villa  è  ima  Ver- 
gine col  BamlMno  del  Luino. 

*  Archivio  storico  per  la  città  e  comuni  del  circondario  di  Lodi.  A.  XX,  1901 , 

fase  IV.  In-8  gr.  Lodi,  Quirico  &  Camagni. 

Agnelu(G.).  Ospedali  Lodigiani:  Ospedale  degli  incurabili;  Ospe- 
dale dei  convalescenti;  Ospedale  degli  Spagnuoli. —  Lo  stesso.  An- 
cora «  Roncaglia  »  [in  risposta  all'opuscolo  del  Tononi  «  La  Ron- 
caglia delle  Diete  Imperiali  w].  —  Biagini  (p.  Enrico  N.).  Uno  sguardo 
retrospettivo  ali*  Elsposizione  d*arte  sacra  tenutasi  in  Lodi  dal  2  set- 
tembre al  6  ottobre  1901.  —  Lo  stesso.  Il  velo  di  S.  Bassano  —  Ono- 
ranze  ad  Agostino  Bassi  —  Pubblicazioni  in  cambio. 

ARMÒ  (Roberto).  Per  la  difesa  della  inondazione  e  pel  risanamento 
della  città  di  Mantova  ;  pubblicazioni  diverse.  Padova,  tip.  P.  Pro- 
sperini,  1901,  in-4,  pag.  303  e  tav. 

AitUllANI  (VmroRio  Amedeo).  Un'altra  fonte  dei  «  Promessi  Sposi  ».  — 
Fanfulla  della  Domenica,  n.  51,  1901. 

BARBERA  (Piero).  La  stampa  e  il  risolvimento  italiano.  —  Rassegna  Na- 
zionale, I.*  luglio  1901. 

Cenni  superficiali  per  la  tipografìa  di  Capolago,  per  le  battaglie  soste- 
note  dal  Conciliatore  e  pel  Crepuscolo  del  Tenca. 

BARINI  (Giorgio).  Noterelle  Belliniane.  —  Rivista  Musicale  Italiana,  fa- 
scicolo I,  1902. 

Relazioni  del  Bellini  col  Ricordi  (1832)  a  proposito  della  Sonnambula. 

BARTOLOMEI  (dott.  Alfredo).  Del  significato  e  del  valore  delle  dottrine 
di  Romagnosi  per  il  criticismo  contemporaneo.  Roma,  Bocca,  1901, 
iii-8,  pag.  98. 

BEIXOOI  (Rosolino).  La  Basilica  di  S.  Andrea  in  Mantova,  con  ili.  — 
EmporiuìH,  novembre  1901. 

*  BELTRAMI  (arch.  Luca).  Relazione  sullo  stato  delle  Rocche  di  Romagna 

stesa  nel  1526  per  ordine  di  Clemente  VII  da  Antonio  Sangallo  il 
Giovane  e  Michele  Sanmicheli  [di  Osteno].  Manoscritto  e  disegni 
inediti  (Raccolta  Beltrami).  Milano,  tip.  Umberto  Allegretti,  1902, 
in-8,  ili.,  pag.  38  (Nozze  Greppi-Belgiojoso). 

—  Per  la  storia  delle  origini  dell'Architettura  Lombarda.  —  Perseveranza, 
29  e  31  dicembre,  1901. 

A  proposito  dell^opera  del  Rivoira,  con  speciale  riguardo  alla  questione^ 
ancora  discussa,  dell^età  della  Basilica  Ambrosiana. 


192  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

BELTRAMI  (arch.  Luca).  —  Castiglione   Olona,   con  11  ine.  —  Rassegna 
d'Arte,  dicembre  1901. 

Dalla  Guida  di  Varese  nel  1901,  di  A.  Codara.  (Varese,  tip.  Cronaca 
Prealpina). 

—  Disegni  d'architettura,  con  ili.  —  Edilizia  Moderna,  agosto  1902. 

Disino  architettonico  del  secolo  XVII  dell' arch.  Francesco  Maria 
Richino  (raccolta  Beltrami). 

*  —  Commemorazione  di  Felice  Calvi.  —  Rendiconti  Istituto  Lombardo, 

serie  II,  voi.  XXXV,  fase.  I,  1902. 

—  Memorie  di  architettura  del  risorgimento  a  Milano,  con  9  ili.  —  La 

Lettura,  marzo  1902. 

—  Il  museo  d'arte  recentemente  ordinato  alla  Madonna  del  Monte,  sopra 

Varese,  con  6  ine.  —  Rassegna  d'arte,  gennaio  1902. 

—  L'Arco  di  Tito  nei  recenti  lavori  al  Foro  Romano,  con  3  ine.  —  Ras- 

segna d'arte,  gennaio  1902. 

Riproduce  nella  prima  incisione  TArco  di  Tito,  avanti  il  rìstauro  del 
Valadier,  da  un  disegno  eseguito  nel  1774  dal  celebre  architetto  berga- 
masco Giacomo  Quarenghi. 

—  La  Corona  ferrea  secondo  nuove  induzioni;  Ancora  Legnano.  —  Cor- 

riere della  sera,  n.*  20  e  41,  1902. 

A  proposito  delle  pubblicazioni  in  argomento  del  Venturi  e  del  GiUerbock, 

*  —  Leonardo  da  Vinci  negli  studi  per  rendere  navigabile  l'Adda.  Nota. 

—  Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXV,  1902. 

—  V.  Fabriczy  e  Gey mailer. 

Bergamo.  —  V.  Atinari,  Beltrami,  Bratti,  Jacobsen,  Locatelli,  Muzio,  Pe- 
regalli,  Solmi,  Tasso. 

BERGHINI  (Vincenzo).  Lettera  inedita  di  Giuseppe  Mazzini.  —  Rivista  Sto- 
rica del  Risorgimento  Italiano,  voi.  HI,  fase.  IX-X. 

Lettera  diretta  a  Camillo  Ugoni,  del  15  novembre  18)8,  riguardante 
i  suoi  propositi  e  le  sue  ricerche  per  la  vita  di  Ugo  Foscolo  che  aveva  in 
animo  di  scrìvere. 

BERTANI  (sac.  prof.  Feuce).  Sull'antico  diritto  degli  arcivescovi  di  Milano 
di  conferire  laure  teologiche.  Appunti  storici,  critici,  giuridici.  — 
Scuola  Cattolica,  gennaio  1902. 


BOLLETTOIO  BIBUOGRAFICO  I93 

BERTAM  (sac  prof.  Feuce).  Le  esenzioni  parrocchiali  dei  Seminari  e 
GìUegi  arcivescovili  della  Diocesi  di  Milano.  Studj  storico-canonici. 
—  Scuola  Cattolica,  luglio-dicembre  1901. 

BERTAREtLI  (A.).  Nella  vecchia  Milano.  —  La  Lettura,  gennaio  1902. 

BERTARELU  (Achille)  e  PRIOfi  (David).  Gli  ex-libris  italiani.  Milano,  Ul- 
rico Hoepli,  1902,  in-4  gr.,  pag.  376,  9  tav.  e  233  riproduzioni. 

BIANCALE  (dott  Michele).  La  tragedia  italiana  nel  Cinquecento.  Studj 
letterari,  con  tma  lettera  all'autore  del  prof.  Angelo  De  Gubematis. 
ln-8.  Roma,  tip.  Capitolina  D.  Battarelli,  1901. 

15.  n  Galealto  e  il  re  Torrismoodo,  di  Torquato  Tasso. 

BIANCHI  (Giovanni).  Giulio  Alberoni  e  il  suo  secolo.  Piacenza,  stab.  tip. 
Piacentina,  in- 16  1901,  pag.  258. 

BOCCARDI  (Alb.).  Il  decalogo  del  Manzoni.  Milano,  Ulrico  Hoepli,  1901. 
mAy  pag.  XII-4ia. 

*  BoUettiBO  della  Società  Pavese  di  storia  patria.  Anno  I,  fase.  IV.  In-8  gr, 
Paviay  Fusi,  1901. 

Quinta  VALLE  (F.).  La  sommossa  e  T  incendio  di  Pavia  nell'anno 
1004.  [Del  tempo  in  cui  avvenne  l'incendio;  Delle  cause  della  som- 
mossa; La  sommossa  e  l'incendio;  Le  conseguenze  immediate  del- 
Teccidio  di  Pavia].  —    Comani  (E.).  Giustizia   amministrativa  sotto 
Giangal cazzo  Visconti  [servizio  di  Stato  per  i  reclami  indirizzati  al 
principe;  parere  legale  del  Consiglio  segreto  per  determinati  affari 
e  specialmente  in  casi  di  giustizia  amministrativa;  sindacatura  dei 
pubblici  officiali].  —  Dell'Acqua  (C).  I  sepolcri  dei  re  Longobardi 
in  Pavia.  [I.  Dei  sepolcri  di  Alboino,  Rachis  e  Desiderio;  II.  Clefi 
(573"574)-  Autari  (574-591);  HI.  Le  sepjolture  dei  duchi  Longobardi  in 
Pavia;  IV.  Agilulfo  (591-615);  AdaloalHo  (615-625)  Continua^,  —  Pa- 
xisk  (P.)  n  Broletto.  Conferenza  tenuta  alla  Camera   del  Lavoro  la 
sera  del  30  giugno  1901.  —  Sant'Ambrogio  (D.).  Sull'ordinazione  dei 
Confratelli  della  Concezione  di  San  Francesco  di  Milano  e  sull'ori- 
ginale leonardesco  della  «  Vergine  delle  Rocce.  »  —  Bollettino  biblio- 
fico:  Dell'Acqua  (G.).  Bibliografia  storica  Pavese.  [I.  Pubblicazioni 
dal  1901  in  avanti;  II.  Dal  1895  a  tutto   il   1900].  —  Notizie  ed  ap- 
punti: Pasquale  II  a  Pavia;   Roberto  d'Angiò  e  Filipp>one  conte  di 
Langosco;  I  figli   di  Bernabò   Visconti.  [Curioso  elenco  della   metà 
del  secolo  XV,    esistente  negli   Archivj  milanesi,   e  qui   pubblicato 
dal  prof.   Romano];  A  proposito  dello  Spallanzani;  Epigrafia  Pavese; 
A  proposito  di  dipinti  pavesi;   Manoscritti  donati  al  Museo  Civico 
[comunicazioni  del  prof.  R.  Majocchi];   Onoranze   a   Paolo  Diacono 
ed  alla  regina  S.  Adelaide;   Partecipazione  di  Bramante  d'Urbino 
nel  disegno  della  Cattedrale  [M.  Mariani].  —  Necrologia:  Domenico 
Stefanini  —  Atti  della  Società. 
Arck,  Stor-  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXTIL  13 


194  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*  Bollettino  storico  delia  Svizzera  Italiana.  Anno  XXIII,  igoi„n.^  10-12.  Bii- 

limona.  Colombi. 

Garofalo  (prof.  Francesco  P.).  Note  di  storia  elvetica  (TV.  Sulla 
via  che  tennero  i  Cimbri  per  venire  in  Italia).  —  Salviomi  (C).  Di  un 
recente  lavoro  sui  dialetti  di  Lugano  e  di  Mendrìsio  —  Lettere  da 
Roma  ai  Nunzi  pK>n tifici  in  Svizzera  negli  anni  1609- 1615  (Da  registri 
nella  Biblioteca  Angelica).  —  Torriani  (sac.  Edoardo).  Catalogo  dei 
documenti  per  l'istoria  della  Prefettura  di  Mendrisio  e  pieve  di  Bi- 
lema  dall'anno  1500  circa  all'anno  18^0,  tratti  dall'Archivio  Torriani 
in  Mendrisio  [Continua^  anni  1581-1606].  —  Antichità  di  casa  nostra  nei 
Musei  di  Milano,  con  ili.  —  Diario  Locamese  1 798-1800  —  Le  spese 
d'albergo  di  Ugo  Foscolo  in  Roveredo  (Mesolcina).  —  Varietà:  Per 
Domenico  Fontana;  Sonetti  per  il  Venerdì  Santo  a  Mendrisio;  Per 
la  storia  del  commercio  dei  formaggi  [formaggio  di  Orsera  venduto 
già  nel  1593  a  mercanti  in  Milano].  —  Bollettino  bibliografico. 

BONVESIN  DA  RIVA.  Il  libro  delle  tre  scritture  e  il  volgare  delle  vanità, 
edite  a  cura  di  Vincenzo  De  Bartholo:naeis.  Fase.  III.  Roma,  Società 
filologica  romana,  1901.  (Perugia,  Unione  tipografica  cooperativa). 

*  BOSSOLA  (A.).  Il  rapporto  del  generale  austriaco  Melas  dopo  la  battaglia 

di  Marengo.  —  Rivista  di  Storia  ed  Arte  di  Alessandria,  ottobre-di- 
cembre 1901. 

Tradotto  dalla  rivista  La  piume  et  Vepée  di  Parigi  (fascicolo  del  no- 
vembre 1901). 

'  BRATTI  (dott.  D.  R.).  Miniatori  Veneziani.  —  Nuovo  Archivio  Vendo, 
n.  43,  1901. 

Con  notizie   per  i   miniatori  Serafino   da   Bergamo  (pag.  76)  e  prete 
Giovanni  de  Vitali  da  Brescia  (pag.  83). 

Brescia.  —  Il  P.  Paolo  Segneri  e  le  sue  Missioni  nel  Seminario  di 
Brescia  e  la  Repubblica  di  Venezia.  Da  documenti  inediti  (1676).  - 
Civiltà  Cattolica j  quaderno  1238,  1902. 

—  V.  Alinari,  Bcrg'iini,  Bratti,  Commentarj,  Da  Como,  Foà,  Griiiotfu 
Jacobsen,  Jocelyn,  Molmenti,  Motta,  Sgulmero,   Torri. 

BRESSLAU  (H.).  Eriauterungen  zu  den  Diplomen  Henrichs  II.  III.  Gè 
schichte  der  Kanzlei;  Datierung;  Itinerar,  1014-1024.  —  Neues  Arcìd'^f 
XXVI,  2,  1901. 

BRUNELLI  (V.).  Mons.  Stefano  Paulovich-Lucich.  —  Rivista  Dalmatica 
Zara,  ottobre  1901. 

Contributo   alla   storia  degli  Italiani  condannati   allo  Spielberg  ed  s 
Lubiana. 


BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO 


195 


'  BRUZZONE  (Pier  Luig^.  Le  mogli  dei  Ghislieri  e  le  nipoti  di  S.  Pio  V. 
—  Rwisia  di  Storia  ed  Arte,  di  Àlessandrìa  a.  X,  fase.  Ili,  1901. 

•  • 

*  BUCHI  (Albert).   Aktenstftcke  zur  Greschichte   des   Schwabenkrieges, 

nebst  einer  Freibur^er  Chronik  Qber  die  Ereignisse  von  1499.  In^  gr. 
Basti,  Verlag  der  Basler  ©uch-und  Antiquariatshandlung ,  1901. 
[«  Quellen  zur  Schweizer  Geschichte  »  XX  Bd.] 

n  Buchi,  noto  per  Tedinone  in  questa  medesima  collezione  delle 
Fonti  a  storia  Svi^^era  (voi.  XIII)  del  carteggio  dell'umanista  Alberto  di 
Bcnstetten,  ricco  di  relazioni  con  la  corte  sforzesca  e  lo  studio  pavese,  — 
d  presenu  in  questo  nuovo  volume,  si  può  dire  il  completo  codice  diplo- 
matico della  guerra  di  Svevia  sostenuta  vittoriosamente  dagli  Svizzeri  contro 
l'imperatore  Massimiliano  nel  1499.  ^  P^^  ^^  ^  ^^^  venne  combinata 
da  Lodovico  il  Moro,  che  aveva  del^ato  a  suo  padere  in  Svizzera  Galeazzo 
Tisoontì,  e  per  le  quali  trattative  il  B.  offre  nuovi  documenti  (c&.  ad  es.  i 
amn.  416,  444,  459).  In  questo  volume  sono  riportati,  ben  inteso  con  altri 
nuovi  documenti,  quasi  tutti  quelli  importantissimi  degli  ambasciatori  mila- 
nesi, pubblicati  già  nel  1899  da  Motta  e  Tagliabue  (La  Battaglia  di  Cohen. 
Roveredo);  sono  riferiti  con  largo  regesto  in  lingua  tedesca  a  miglior  con-^ 
sultazione  degli  studiosi  tedeschi.  Tra  i  documenti  inediti  (in  numero  di 
2)4  sopra  710)  sono  notevoli  le  lettere  d^H  oratori  friborghesi  Rodolfo  di 
Praroman  e  Nicola  Lombard  (Basilea,  9  e  14  novembre  1499)  ^^  informano 
dd  conquisto  francese  del  Milanese,  della  fuga  del  Moro  e  dell'avversione 
dd  Milanesi  al  dominio  di  Luigi  XII  di  Francia.  Uopera  documentaria  si 
completa  coli' edizione  di  una  cronaca  friborghese  della  guerra  sveva,  fin 
qui  rimasta  inedita. 

*  —  Ludwig  von  Affry*s  Beschreibung  des  Winterfeldzuges  von  1511.  — 

Auseiger  fùr  schweizer,  Geschichte  n}  3-4,  1901. 

La  descrizione  della  spedizione  dell'inverno  1511  degli  Svizzeri  in  Lom- 
bardia, a  cura  di  Lodovico  d'Affry,  friborghese. 

BUDE  (Emoio).  I  pirati  del  Verbano.  Dramma  storico  in  5  atti.  In-24.  Roma, 
Libreria  Salesiana  editrice^  1902. 

BUSCWBCLL  (d.r  G.).  Ein  Schreiben  des  Bischofs  von  Chur,  Johannes  Pflug 
von  Aspermont,  an  den  Kardinal  Bellarmin  Qber  die  Wirren  in  seiner 
Diòzese,  aus  dem  Jahre  1621.  Nebst  Bellarmins  Antwort.  —  Rómische 
Quarialschrift,  XV,  3,  1901. 

Una  lettera  del  vescovo  di  Coirà,  Giovanni  Pflug  di  Aspermont  al 
cardinale  Bellarmino  intomo  ai  torbidi  nella  sua  diocesi,  dell'a.  162 1.  Con 
disposta  dd  Bellarmino.  Sono  a  proposito  anche  della  Valtellina,  allora  sotto 
i  Grigioni. 

*  CMJIETTE  0).  Documents  relatifs  à  Don  Carlos  de  Viane  (1460-461)  aux 
Archives  de  Milan.  —  Mélanges  d'archeologie  et  d'histoire,  XXI»  année, 
fase.  V,  agostoKlicembre  1901. 


196  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*  Campagne  (La)  marìtime  de  1805.  —  Hìstorique  de  la  campagne  de  1809 

(Armée  d' Italie).  —  Revue  (thistoire  rédigée  à  ìéiat-major  de  farmie, 
dicembre  1901. 

CANTÒ  (Cesare).  Le  origini,  con  prefazione  del  sac.  Cario  Molteni.  Mi- 
lano,  casa  edit.  Benedetto  Bacchini,  1901,  in-i6,  pag.  79  («  Biblioteca 
del  Novecento  »,  n.  105). 

CARDUCCI  (Giosuè).  Poesie,  1850-1900.  Bologna,  ditta  Nicola  Zanichelli, 
1901,  in-i6,  con  ritr. 

Il  volume  comprende  pure  il  primo  canto  della  Canxpne  tU  LegtumOj 
che  non  si  poteva  finora  leggere  se  non  in  uno  dei  vcdimii  ddla  defimti 
Rassegna  settimanale. 

CAhLETTA.  La  prima  della   «  Francesca  »   di  Silvio.  —   FanfuUa  della 
Domenica,  n.  47,  1901. 

A  Milano  nel  18 17. 

CAROTTI  (Giulio).  Notizie  di  Lombardia.  —  Arte,  a.  IV,  1 901,  fase.  IX-X. 

La  data  della  morte  di  Bernardino  Luini.  —  Un  tondo  del  Sodoma- 
La  tavola  della  Madonna  della  grotta  nella  parrocchiale  di  Affori  —  La  poeti- 
cella  di  Lodovico  il  Moro  nel  Castello  Sforzesco  di  Milano  —  L*£spo8ÌzioDe 
di  arte  sacra  a  Lodi  —  La  facciata  del  Duomo  di  Monza. 

CARPINO  (Vincenzo).  I  Capilupi  poeti  mantovani  nel  secolo  XVI.  Catam, 
tip.  Galeati,  1901. 

Cfr.  gli  appunti  nel  Giornale  storico,  fase.  115,  pag.  160  segg. 

*  CARRERi  (dott.  F.  C).  Il  faldello  di  Aylixia  da  Dovara.  Man(m>a,  tipo- 

grafìa Apollonio,  1901,  fol.  pag.  4  (Nozze  Mazzoni-Tacconi), 

Aylixia  figlia  del  gran  capoparte  Bosio  da  Dovara  andò  sposa  al  conte 
Inoco  di  Belforte  (1259). 

*  Cartas  de  Antonio  de  Leyva  à  Carlos  V.  —  Rcinsta  de  archivos,  a.  V.  n.  6, 1901 

Da  Milano,  in  data  11  luglio  e  20  settembre  1529. 

CAVAGNA-SANGiULIANI  (conte  Antonio).  II  tempietto  di  San  Fedelino  sul 
Lago  di  Mczzula.  Studio  critico.  Pavia,  fratelli  Fusi,  1902,  in-8  gr- 
pag.  103-36  con  8  tav. 

CECCHINI  (Laui>omia).  La  ballata  romantica  in  Italia.  F/rrw-ff/r,  Pararia,  1901 

Della  ballata  tracciato  lo  svolgimento  storico  dal  Berchet  al  Prati;  cs» 
più  specialmente  fiori  nel  Lombardo  Veneto,  il  paese  dove  nacque  ed  ebbe 
pieno  svolgimento  il  romanticismo  italiano. 


] 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  197 

GHEOCM  (Eugenio).  Antonio  Salvotti  e  i  processi  del  Ventuno.  —  Fath 
fidk  dtila  Domenica,  n.  37,  1901. 

Agg.  nel  num.   38  la  dichiarazione   «  I   processi   del   ventuno  »,   di 
AlissaHÌr0  d'Ancona. 

CHUESirm  (O.).  Note  circa  alcuni  liutisti  italiani  della  prima  metà  del 
Gnquecento.  —  Rivista  Musicale  Italiana,  a.  IX,  1902,  fase.  I. 

Francesco  da  Milano,  liutista  insigne,  1546-47. 

*  CMUTTONE  (D.).  I  due  Cod.  mss.  della  u  Francesca  da  Rimini  n  di 
S.  Pellico,  esistenti  in  Casa  Gavazza  a  Saluzzo  e  i  loro  Annotatori, 
con  una  tav.  —  Piccolo  Archivio  Storico  deWaniico  marchesato  di  Sa- 
},  a.  I,  n.*  i-ii,  1901. 


Dalla  considerazione  dei  due  manoscritti  il  C.  ne  cava  la  prova  che  il 
primo  annotatore  della  tragedia  fu  il  Foscolo  ed  il  secondo  l'abate  di  Breme. 
Nd  medesimo  fascicolo  agg.  :  Vicario  (mons.  Mattia),  Due  lettere  di  S.  Pel- 
lico (18  J9  e  1848);  Chiattone  (D.).  Una  lettera  di  S.  Pellico  a  Stanislao 
Mardiisio.  (Milano,  15  marzo  181 5,  a  proposito  del  fratello  Luigi  che  sul 
principio  del  18 14  fu  costretto  a  lasciare  Milano,  per   questione   di  debiti). 

*  CIPOLLA  (Francesco).  Le   Stresiane  di   R.  Bonghi.  Considerazioni.  — 
Atti  R,  Istituto  VePieto,  tomo  LXI,  disp.  I,  1902. 

Dialo^  filosofici  che  il  B.  stesso  intitolò  «  Stresiane  ]>  a  indicare 
Torigine  e  il  luogo  dove  furono  scrìtti  (1850-55).  Interlocutori  il  Rosmini, 
fl  Manzoni,  il  march,  di  Cavour  e  Bonghi  medesimo. 

CIPOLLA  (Carlo).  Note  bibliografiche  circa  Todiema  condizione  degli  studi 
critici  sul  testo  delle  opere  di  Paolo  Diacono,  relazione  presentata 
alla  presidenza  della  R.  Deputazione  Veneta  di  storia  patria.  Ve- 
nezia, 1901. 

CMLUNI  (Antonio).  Il  Conferenziere.  Milano,  libreria  editrice  Domenico 
Briola,  1901. 

Milano  nel  1600.  —  Profezia  di  Gerolamo  Cardano.  —  L'opera  di  Carlo 
Maria  Maggi  —  Carlo  Tenca  inedito.  —  Festa  giubilare  dell'Ascoli. 

Cidlcit  e  Vaticaiit  telecti.  Phototypice  expressi  jussu  Leonis  PP.  XIII, 

Consilio  et  opera  curatorum  Bibliothecae  Vaticanae,   Voi.  II:   Pic- 

turae,  ornamenta,  complura  scripturae   specimina  Codicis  Vaticani 

3^67  qui  Cedex  Vergilii  Romanus  audit.  Roma,  Danesi,   1901,  fol., 

I>ag.  21  e  35  tav. 

Anteriormente  è  stato  pubblicato  il  voi.  I:  Frammenta  et  picturae  Ver- 
rk'«w  Cw/tcfj  VaHam  ^22$. 


ipS  BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO 

COUNI-BALDESCHI  (prof.  Luigi).  Alcuni  documenti  dell'Archivio  comunale 
di  Jesi  (secoli  XIII  e  XIV).  —  Rivista  delle  Biblioteche  e  degli  Archivi, 
a.  XII,  voi,  XIl,  n.*  11-12,  1901. 

Tra  le  nuove  carte  qui  riportate  è  a  notarsi  la  IV.  a.  12^4,  )  aprile. 
Circolare  di  M.  de  Pirovano,  arciprete  della  Chiesa  Milanese,  e  general  vi- 
cario dell'arcivescovo  di  Milano,  in  cui  sì  ricorda  agli  arcivescovi,  vescovi, 
prelati,  ecc.,  una  boUa  di  Alessandro  IV,  che  con  somme  lodi  innalzava  il 
fervore  religioso  ed  i  meriti,  che  illustrarono  Tordin^  dei  Frati  Predicatori 
e  dei  Frati  Minori,  perchè  li  ricevessero  nelle  loro  diocesi  e  li  favorissero. 

Cf  llezione  Gneccki.  Italienisc/te  Mùnzen.  I.  Abtheilung.  Auction  in  Frankfurt 
a/M.  am  7  Jan.  1902  u.  folg.  Tage.  (L.L.  Hamburger,  Experte).  Frank- 
furt, a.  M.,  1901. 

*  CMnmentarl  deirAteneo  di  Brescia,  per  Tanno  1901.  In-8.  Brescia,  tip.  Apol- 

lonio, 1901  [1902]. 

Maggioni  (ing.  Ejouco).  Commemorazione  di  Giuseppe  Verdi.  — 
Tonni-Bazza  (Vincenzo).  Benedetto  Castelli  e  la  Scuola  di  Galileo. 
—  Pennarou  (prof.  G).  Commemorazione  del  conte  Lodovico  Bettoni- 
Cazzago.  —  Bettoni  (prof.  Pio).  Gasparo  da  Salò  e  V  invenzione  del 
violino. 

Como  e  Valtellina.  —  V.  AUnari,  Beltrami,  Bude,  Buschell,  Cantii,  Ca- 
vagna, Fidèle,  Cachet,  Giornale,  Hanotaux,  Kébr,  Krieg,  Mefiti,  Ricci, 
Rotta,  Sant'Ambrogio,  Schellhass,  Schnudt,  Storia,  Z. 

Cremona.  —   V.   AUnari,   Carreri,  Jacobsen,  Kebr,  Lucchini,   Malaguzzi, 

Sc/whf. 

CRUGNOLA.  La  Certosa  di  Pavia.  —  //  Politecnico,  novembre  1901. 

DA  COMO  (aw.  Ugo).  Di  Gabriele  Rosa  (cont  e  fine.)  —  L'Università 
Popolare  di  Mantova,  15  Marzo  1902. 

*  DALIARI  (U).  Carteggio  tra  i   Bentivoglio  e   gli  Estensi  esistente   nel- 

rArchivio  di  Stato  in  Modena,  —  Atti  e  Memorie  della  R,  Deputa- 
zione dì  Storia  Patria,  luglioKlicembre  1901. 

Continuazione  e  fine  di  questo  imperlante  cart^[gio,  che  in  questo  fa- 
scicolo abbraccia  il  perìodo  1 491-1542,  con  spedale  interesse  per  le  rda- 
noni  tra  i  Bentivc^lio,  gli  Estensi  e  Lodovico  il  Moro.  Agg.  le  lettere  di 
Ippolita  Sfona,  figlia  di  Carlo  Sforza,  e  moglie  di  Alessandro  Bentivoglio, 
datate  da  Milano  negli  anni  1515-1517  (dir.  i  n.'  647  e  segg.y 

*  O'APmCORTA.    La    Casa   Missaglia,   con   iU.    —   Pro   Familia,   a.    DI, 

n.  69,  1902. 

*  MVIDSONN   (RobfrD.  Forschungen  zur  Geschichte  von  Florenz.  Dritter 

Thcil  (13  und  14,  Jahrhundert).  Berlin^  Miltler  und  Sohn,  1901. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  199 

DELL'ACQUA  ^arlo).  Parole  pronunciate  nella  grande  [Gallerìa  del  pa- 
lazzo Bellisomi  in  Pavia  addi  21  marzo  1901,  per  la  solenne  inau- 
gurazione dell*  insigne  monumentale  Basilica  suburbana  del  Salva- 
tore. In-8.  fig.  Milano,  Cogliati,  1901. 

OELORIE  (Amédée).  Sous  la  chéchia.  Carnet  d'un  zouave;  De  la  Kabylie 
à  Palestro.  Paris,  Berger-Levrault,  1901,  in-12,  pag.  VI-340. 

DE  SANCTIS  (Guglielmo,  pittore).  Memorie.  Studi  dal  vero.  In-8  gr.  Ron:a, 
Forzani,  1901. 

Alessandro  Manzoni  —  Esposizione  di  Milano  (1872). 

DUCLAUX  (Mary).  Ausone  ou  Téducation  des  rhéteurs.  —  Revue  de  Paris, 
15  novembre  1901. 

'  DIMOULIN  (Maurice).  Le  gouvemement  de  Théodoric  et  la  domination 
des  Ostrogots  en  Italie,  d'après  les  oeuvres  d*Ennodius  (I."  article). 
—  Revue  Historique,  gennaio-febbraio  1902. 

Importance  de  Toeuvre  d^nnodius.  Sa  Vie.  Date  de  ses  prìndpaux 
ouvrages.  Leur  critique.  Sources  autres  qu^nnodius  concemant  les  Ostro- 
goths  en  Italie. 

ERRERÀ  (Paul).  Art  et  science  chez  Léonard  de  Vinci.  Bruxelles,  1901. 

*  Etudes  sur  la  Campagne  de  1799.  —  Revue  cfhistoire  rédigée  à  VEiat- 

Major,  gennaio  1902  e  seg. 

FABRICZY  (C.  de).  Un'opera  di  Alessandro  Abondio.  —  Rassegna  d'Arie, 
gennaio  1902. 

—  Eine   Buste    Vincenzo  Gonzaga's  —  Das  Epitaph  Giacomo   Medie is 

(1503).   —  Reperiorium  fùr  Kunsiwissenchafi,  XXIV,  5,  1901. 

Riassume  gli  articoli  del  Sant^ Ambrogio  nella  Lega  Lombarda  7  luglio      o 
1901  e  Monitore  Tecnico  30  maggio  190 1  a  proposito  del  busto  di  Vincenzo 
Gonzaga,  entrato  nel  museo  di  Milano,  proveniente  da  Varese,  e  della  tomba 
di  Giacomo  Medici,  in  S.  Tomaso,  attribuita  al  Fusina. 

—  Der  Palast  Francesco  Sforza's  in  Venedig.  —  Reperiorium  fùr  Kun- 

siwissenchaft,  XXIV,  4,  1901. 

Riassunto  del  lavoro  del  BeltramL 

FELICIANGEU  (B.).  Il  matrimonio  di  Lucrezia  Borgia  cori  Giovanni  Sforza, 
signore  di  Pesaro.  Torino,  Roux  e  Viarengo,  1901,  in-8,  pag.  85. 

Vedi  i  cenni  bibliografici  in  questo  fascicolo  àtWArchivio. 

*  FESTI  (Cesare De).  Briciole  Lodronianee  Castrobarciensi.  7V^«/o^  Tren- 

tina, 1901. 


aaO  BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO 

FEYLER  (F.J.  Le  passag^  àa  Grand  S.'  Bernard  en  1800.  —  Revut  AtUi- 
taire  Suisse,  45-™*  anné«,  1900. 

FIDÈLE  (le  R.  P.).  Avocai,  religieux,  martyr,  ou  Saint  Fidèle  de  Sigma- 
ringen,  martyrisé  par  les  protestants.  Paris,  Poussielgue,  1901,  in-16, 
pag.  VII- 169. 

5.  Fedele  di  Signiarìngea  ucdso  ìa  Valtellina  dai  Grigioncsi. 

FILIPPINI  (F.).  Una  narrazione  contemporanea  della  battaglia  di  Pavia.  — 
Studi  Storici,  voi.  X,  fase.  III. 

Narrazione  di  uno  spagnuolo,  Jacobo  de  Neila,  che  nel    151;  reggeva 
il  Colico  Albomoiiino  dì  Bolc^na, 

FIORINI  (Vittorio).  Periodo  napoleonico  dal  1799  al  1814.  (<■  Storia  poli- 
tica d' Italia  scritta  da  una  Società  di  professsori,  1  fase.  72-73).  M- 
lano,  dott.  Francesco  Vatlardi  1901. 

FLORES  (FsRDiNANDol.  Del  Torquato  Tasso  di  W.  Gcethe.  —  Atti  R.  Ac- 
cademia d'Archeologia  di  Napoli,  voi.  XXI,  1901, 

'  FOA  (Palmira).  1  concorsi  Bettoni  per  novelle  morali  e  i  novellieri  che 
vi  parteciparono.  —  Ateneo  l^eneto,  novembre-dicembre  1901. 

FONTANA.  Curiosità  Verdiane.  —  Gaietta  Musicale,  n.  49,  1901    e  segg. 

Cfr.  nella  Rivista  musicale,  I,   1901,  una    copiosa  biblii^rafia  Verdiani 
che  vi  si  continua  da  parecchi  numeri  ed  alla  quale  oramai  rimandiamo. 

FOSCOLO  (Ugo).  Lettere  a  Isabella  Teotochi  Albrizzi  nella  maggior  parte 
inedite.  In-8.  Roma,  Società  editrice  Dante  Alighieri,  1903. 

-~  V.  Berghini,  Bolle/lino  storico,  C/iialione,  Levi,  Sesler,  Tobler. 

FRANCESCHINI  (G).  11  teatro  dei  .  Promessi  Sposi  -..  —  Rassegna  Na- 
sionale,  i.°  ottobre  1901. 

A  proposto  delle  pubblicazioni  del  Bindoni. 

FRIZZONI  (Gustav).  Einige  auserwahlte  Werke  der  Malerei  in  Pavia.  — 
Zeilschrift  f6r  bildende  Kunst,  n.  F.  XII,  fase.  X. 

iltura  in  Pavia. 

a  Basilica  di  S.  Ambrogio,  —  Persevi- 

delle  lapidi  nell'turio 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  20I 

*  GABOTTO  (F.).  La  questione  dei  fuorusciti  di  Chierì  :  1337-1354.  —  Aiti 
R,  Accademia  delie  scienze  di  Torino,  voi.  XXXVI,  1901. 

Nel  1347  avviene  la  dediiione  di  Chierì  ai  Sabaudi,  onde  guerra  aperta 
con  Monferrato  e  Milano,  cui  mette  fine,  dopo  due  anni,  l'arbitrato  di  Gio- 
vanni Visconti,  che  decreta  rimanga  Chierì  col  terrìtorìo  ad  Amedeo,  ma 
siano  i  fuorusciti  riammessi  in  Città. 

MGNOT  (E.).  La  bataille  de  Lecco.  —  Nouvelle  Revue,  i."  gennaio  1902. 

QARZIA  (R.).  Una  traduzione  latina  del  u  Cinque  Maggio  »,  —  Bollettino 
bibliografico  sardo,  I,  io. 

Wf  tJ.).  L'Etat  Pontificai,  les  Byzantins  et  les  Lombards  sur  le  littoral 
campanien  (d'Hadrien  I."  à  Jean  Vili).  —  Mélanges  d'archeologie  et 
(thisioire  di  Roma,  agosto-dicembre  1901. 

QERINI  (G.  B.).  Gli  scrittori  pedagogici  italiani  del  secolo  decimottavo 
Torino,  Paravia,  1901. 

GENÉE  (Rudolph).  MittheUungen  fttr  die  Mozart-Gemeinde  in  Berlin.  XII 
Heft  Berlin,  Mittler,  1901. 

Il  fascicolo  contiene  il  ritratto  di  Teresa  Saporiti  (milanese)  la  prima 
che  cantò  la  parte  di  Donna  Anna  nel  Don  Giovanni  a  Praga  nel  17S7. 

QEYHOLLER  (Enrico  di)  &  BELTRANI  (Luca).  —  Alcune  osservazioni  sopra 
recenti  studi  intomo  a  Bramante  e  Michelangelo  Buonarroti.  — 
Rassegna  d'Arte,  dicembre  1901. 

MAOOmilO.  La  lingua  dell' Alione.  —  Archivio  glottologico  italiano,  voi.  XV, 
n.  4,  Torino,  1901. 

OIAMPICCOLO  (dott  EIrminio).  La  filosofìa  della  politica  di  Antonio  Rosmini. 
Catania,  tip.  del  Commercio,  1901,  in-8,  pag.  144. 


(Giovanni).  Canti  popolari  toscani.  Firenze,  Barbèra,  1902. 

Tra  quei  canti  v'ha  pure  la  celebre'  donna  lombarda ^  in  cui  parecchi 
credettero  di  ravvisare  un  riflesso  della  l^;genda  langobarda  di  Rosmunda. 

GIOBERTI.  Il  i>ensiero  civile  di  Vincenzo   Gioberti  :  pagine  estratte  dalle 
sue  oi>ere.  Torino- Cirié,  Renzo  Streglio,  tip.  edit.,  1901,  in-8. 

3.  Alessandro  Manzoni.  4.  Silvio  Pellico. 

Gtenale  di  eradizioDe.  Voi.  VII,  n.*  11-12.  Firenze,  dicembre  1901. 

Moreto  di  Virgilio,  tradotto  dal  Caro  —  Scandali  ne'  conventi  di  Milano 
[notizia  tolta  dàiV Ettamerone  di  Margherìu  di  Valois]  -  Gabinat  [grido  val- 
tellinese  nel  giorno  dell'Epifania]  -  Una  querela  del  Montazio  contro  Ausonio 
Franchi  ed  Emilio  Treves  •  Cartelloni  teatrali  antichi  [del  teatro  ducale  e 
della  Scala  in  Milano,  1778,  1780,  1794,  1796,  1800]. 


202  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

€REYERZ  (L.  von).  Die  sch6ne  Mailànderin  (Sage  aus  dem  Wallis).  — 
Neues  Bemer  Taschenbuch,  pel  1902. 

La  bella  Milanese,  leggenda  del  Cantone  Vallese. 

CiRIZiOTTI  (dott.  Archimede).  Alcuni  documenti  relativi  alla  difesa  di  Bre- 
scia nel  1866.  Pavia,  libr.  Ottani,  1901. 

HOTERBOCK  (F.).  Ueber  Kaiserurkunden  des  Jahres  1176.  —  Neues  Archiv, 
Bd.  27,  fase.  I,  1901. 

Diplodii  dell' imperatore  Federico  I  ddl'a.  1176. 

NAASE  (K.).  Die  Kònigskrònungen  in  Oberitalien  und  die  eiseme  Krone. 
Strassburg,  Schlesier  und  Schweikhardt,  1901,  in-8,  pag.  144.  (Diss. 
inaug.) 

Le  incoronazioni  imperiali  nell^Alta  Italia  e  la  corona  ferrea,  disserta- 
zione inangurale. 

NANOTAUX  (G.).  La  crise  européenne  de  1621.  Le  problème  protestant  en 
Europe.  Les  aftaires  de  la  Vaiteli  ine.  —  Revue  de  deux  Mondes, 
I.*  gennaio  1902. 

*  HARRiSSE  (Henry).  AF>ocrypha  Americana.  Examen  critique  de  deux  dé- 
cisions  des  tribunaux  américains  en  faveur  d*une  falsifìcation  éhontée 
de  la  lettre  imprimée  de  Christophe  Colomb  en  espagnol  annon9ant 
la  découverte  du  nouveau  monde,  et  vendue  comme  authentique  un 
prix  enorme.  —  Centralblatt  fùr  Bibliothekswesen,  fase.  I-II,  1902. 

Processo  in  America  per  la  falsificazione  della  celebre  pìaquette  colom- 
biana dell'Ambrosiana,  edita  dal  d'Adda  nel  1866. 

Itaiiaa  Wall  Decoratlons  of  the  15.111  and  i6.tl>  Centuries.  London^  Chap- 
mann  and  Hall,  1901. 

Il  volumetto  elegante  illustra  i  modelli,  fatti  es^;uire,  dal  1883  in  poi 
per  il  South  Kensigton  Museum^  e  tra  essi  l'appartamento  oc  Paradiso  »  d'Isa- 
bella d'Este  a  Mantova,  la  Cappella  dei  Portìnari  a  S.  Eustorgio  e  la  Cap- 
pella di  S.  Caterina  a  S.  Maurizio,  in  Milano.  Il  testo  è  del  Yriarte  e  del 
Beltrami. 

JACOBSEN  (Emil).  Italiànische  Gemàlde  in  der  Nationalgalerìe  zu  London. 
Kritische  Studien  zum  Katalog  von  1898.  —  Reperiorium  fùr  Kun- 
shvissenschaft,  XXIV,  5,  190 1. 

Boccacdno,  Moretto,  Borgognone,  Gaudenzio  Ferrari,  Vincenzo  Poppa, 
Bemar.  Luini,  Scuola  Milanese  1502^  G.  B.  Moroni,  Palma,  Ambrogio  de 
Prcdis,  Romanino,  Francesco  .Tacconi,  L.  da  Vinci  [Vergine  delle  Rocde]. 

—  La  gallerìa  del  Castello  Sforzesco  di  Milano,  con  ili.  —  Arte,  a.  IV. 
1901,  fase.  IX-X. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  203 

JAG06SEN  (Emil).  Demières  acquisitions  de  la  Galene  des  Offices,  à  Flo- 
rence. —  Casette  des  Beaux  Aris,  novembre  1901. 

IV.  G.  A.  Boltraffio  :  v  leune  homme  vu  de  profil.  d 

KXSELYN  FOULKES  (Constance).  —  Notizie  intomo  ai  pittori  di  «  Barde  ». 

—  Rassegna  d'Arte,  novembre  1901.  • 

Documenti  milanese  del  perìodo  sforzesco,  con  nomi  di  pittorì  del 
quattrocento  di  armature  del  cavallo  o  barde^ 

—  Vincenzo  Foppa  e  la  famiglia  Gay  lina  di  Brescia  (con  una  ine).  — 
Rassegna  d'Arte,  gennaio  1902. 

KENR  (P.).  Papsturkunden  in  Mailand  —  Lombardei  —  Ligurien.  Be- 
richt  ùber  die  Forschungen  von  L.  Schiaparelli.  (Aus  den  Nachrichten 
der  K.  Gesellschaft  der  Wissenschàften  zu  Gòttingen  1902,  Heft  I 
&  II).  —  Gòttingen,  1902,  in-8.  gr.  pag.  192. 

Ricerche  dello  Schiaparelli  intomo  alle  bolle  papali  conservate  negli  ar- 
chivi di  Milano,  Gomo,  Monza,  Pavia,  Lodi,  Gremona,  Mortara,  Vigevano, 
Treviglio,  Varese,  Intra.  Gopiosi  materiali,  con  pubblicazione  in  txtaso  di 
numerose  bolle  inedite.  Per  i  feudi  di  Bergamo,  Brescia  e  Mantova  vedi  le 
precedenti  comunicazioni  del  Kebr  (1897  e  1899). 

IRAUS  (Fr.  X.)  Cavour.  Die  Erhebung  Italiens  ira  XIX  Jahrhundert  (Welt- 
geschichte  in  Karakterbildem).  Mainz,  Kirchheim,  1901,  in-4,  pag.  104, 
illustrato. 

RMEG  (E.).  Origine  des  églises  évangéliques  du  Bergell,  de  la  Haute-En- 
gadine  et  de  la  vallèe  de  Poschiavo.  —  Liberté  Chrétienne,  novem- 
bre 1901. 

KRISTELLER  (Paul).  Fra  Antonio  da   Monza,   incisore  (con  2  incisioni). 

—  Rassegna  d'arte ^  novembre  1901. 

LAENEN  (dott.  J.).  Le  ministère  de  Botta-Adorno  dans  les  Pays-Bas  au- 
trichiens  pendant  le  r^ne  de  Marie-Therèse  (1749-1753).  Dissert, 
inaugurale.  Anvers,  librairie  néerlandese,  1901,  in-8,  pag.  297. 

Secondo  i  carteggi  Botta-Adorao  in  Ambrosiana.  Dissert.  inaugurale. 

LESE  (Vincenzo).  S.  Alberta  abate  fondatore  del  monastero  di  Butrio  e  il 
suo  culto.  Tortona,  tip.  Rossi,  1901. 

Legkako.  —  V.  Archivio,  Beltrami,  Carducci,  Ciiterbock,  RiboldL 

LEONARDO  DA  VINCI.  —  Bildnis  einer  Prinzessin  Este  (frQher  gen.  Bianca 
Maria  Sforza).  Originai  in  der  Gemalde-Galerie  der  Ambrosiana  zu 
Mailand.  Farbenholzschnitt  von  prof.  Albert  KrClger  In  fol.  Berlin, 
G.  Grotesche  Verlagsbuchhandlung  1901 


204  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

Leonardo  da  Vma.  —  V.  Biltrami,  Bollettino  storico  pavese,  Carotti,  Er- 
rerà, Jacobsen,  Malnati,  Malaguzai,  Marescotti,  Mazzticchetti,  Merej- 
kowski,  Sant'Ambrogio, 

*  LEONE  (Andrea).  Renato  di  Savoia.  —  Bollettino  Storico- Biblio^afico 

Subalpini,  a.  V,  n.  VI,  e  a.  VI,  n.»   V-VI. 

D^animo  irrequieto  e  ardente  al  par  di  suo  padre,  Filippo  Senza  Terra, 
Renato  trascorse  la  sua  vi^  alle  corti  migliori  di  Europa  :  i  primi  suoi  anni 
(n.  1473)  U  P^^^  A  Milano,  essendovi  reggente  Bona  di  Savoja.  Brigò  per 
Francia  nella  Svizzera  durante  il  periodo  del  conquisto  di  Lombardia  e  venne 
ferito  a  Pavia  nel  1525.  [L'articolo  continuerà]. 

LEPRERI  (A.)  Dottrine  religiose  e  filosofiche  di  Ario  e  loro  origine.  One- 
glia,  Ghilini,  1901,  in-8,  pag.  iii. 

LEVI  (Eugenia).  Alcune  lettere  inedite  di  Ugo  Foscolo.  —  Nuova  An- 
tologia, 16  febbraio  1902. 

*  LIEBENAU  (Th.  von).  Ueber   Kriegssitten.   —   Anzeiger  fùr  Schweizer^ 

Alterthumskunde,  fase.  II-III,  1901. 

Dopo  la  disfatta  dei  Vallesani  al  ponte  di  Crevola  presso  Domodossola 
(27  aprile  1487)  i  Lucemesi  mossero  lamenti  presso  il  duca  di  \filano, 
per  i  mali  trattamenti  usati  ai  feriti  e  morti  confederatL  II  duca  Sforza 
rispose  per  le  rime,  provando  quanto  di  delittuoso  e  di  atroce  avessero 
commesso  prima  gli  Svizzeri  coi  morti  lombardi. 

*  LOCATELU  (Giuseppe).  Marco  Alessandri,  Direttore   Cisalpino.  Con  ap- 

I>endice  di  lettere  inedite  di  Lorenzo  Mascheroni.  Lettura  fatta  al- 
l'Ateneo di  Bergamo,  il  14  luglio  1901.  Bergamo,  Istituto  Italiano 
d'arti  grafiche,  1902,  in-8  gr.,  pag.  80. 

LOCATI  (arch.  Sebastiano  Giuseppe).  L'antica  sede  del  Comune  millanese 
nella  piazza  dei  Mercanti.  —  Monitore  Tecnico,  n.  34,  1901. 

Lodi.  —  Il  tempio  dell'Incoronata  di  Lodi:  cenni  storici  e  descrittivi. 
Lotti,  tip.  E.  Wilraant,  edit,  1901,  in-8,  pag.  29  con  16  tav. 

—  V.  Archii*io,  Carotti,  Kehr,  Rotta,  Silva. 

LOMBROSO  (Cesare).  Nuo^i  studi  sul  genio.  I.  Da  Colombo  a  Manzoni. 
In-8.  Palermo-Milano,  Remo  Sandron,  1900. 

I  due  studi  sul  Colombo  e  sul  Manzoni  che  occupano  ima  buona  metà 
del  volume,  sono  accompagnati  da  brevi  notizie  biografiche  ed  appunti  su 
molti  altri  uomini  di  genio  ;  ve  n^  ha  per  Cardano,  Petrarca  e  Gaetana  AgnesL 


Longobardi.  —  V.  Albini,  Bollettino  Pavese,  GpoUa,  Gay,  Giatnmùy  Ro- 
i*iglio,  Tamassia, 


BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO 


205 


LUCCHINI  (cav.  Luigi).  Accertamento  dell'autore  della  porta  monumentale 
dei  marchesi  Stanga  in  Cremona.  —  Arte  e  Storta,  n-  24, 1901,  e 
n.  a,  1902. 

MLAMfZS-VALERl  (Francesco).  L'architettura  a  Cremona  nel  Rinasci- 
mento, con  ili.  —  E-mporium,  ottobre,  1901. 

—  Leonardo  da  Vinci  (appunti  su  nuovi  documenti).  —  La  Lombardia, 
21  febbraio  1901. 

Riprodotto  in  Rassegna  bibliografica  deWarU  italiana^  a.  IV,  1901, 
n.»  9-12,  pag.  236.59. 

■ALNATI  (Linda).  Davanti  al  u  Cenacolo  n  di  Leonardo  da  Vinci.  Confe- 
renza Carrotti.  Impressioni  personali.  —  Università  Popolare  Mila- 
nese, a.  I,  1901,  n.  8. 

■ANDROT  (B.  de).  Mémoires  de  Philippe  de  Commynes.  T.  I  [1464-1477]. 
Paris,  A.  Picard,  1901.  («  CoUection  de  textes  pour  servir  à  l'étude 
et  à  Tenseignement  de  l'histoire  »). 

■ANFREDINI  (A.).  La  ricostruzione  della  Torre  del  Filarete  nel  Castello 
Sforzesco.  —  Monitore  Tecnico,  a.  Vili,  1902,  n.  4,  con  ili. 

Mantegna.  —  Andrea  Mantegna.  —  Quarterly  Review,  gennaio  1902. 
Mantova.  —  V.  Ardigò,  Bellodi,  Carpino,  Fabriczy,  Italian,  Mantegna, 
Saintbury,  Virgilio. 

■MCrOVAMI.  Mozart  a  Milano.  —  Gazzetta  Musicale,  n.  42,  1901  e  segg. 

Manzoni.  —   V.   Arullani,  Boccardi,   Cipolla,  De    Sanctis,  Franceschini, 

Garsia,  Gioberti,  Lombroso,  Ortiz,  Primeglio,  Rondani,  Sforza. 

■ARAGUANO  (Aless.).  1  Teatri  di  Voghera.  Cronistoria.  Costeggio,  tijx)- 
grafia  Cerri,  1901,  in^,  pag.  VlI-aSs. 

IIARE$COm  (L.  A.).  Leonardo  da  Vinci.  Poema  di  Gino  Oggioni.  — 
Novocomum,  a.  I,  1901,  n.  20. 

Maroucelu.  —  Pietro  Maroncelli  non  fu  delatore  ?  (1821).  —  Civiltà  Cat- 
tolica, fase.  1237,  I90I» 

Lo  asserì  Paride  Zajotti  e  lo  confermarono  Cusani,  Cantù,  Rinieri  e  Del 
Cerro.  Secondo  Tautore  dì  quest^articolo,  nulla  tolgono  e  nulla  aggiungono 
all'accusa  e  alle  prove  di  delatore  i  lavori  del  Luzio  sul  Salvotti. 

■AZZUCCHETTI  (A.).  Dell'auto  ritratto  di  Leonardo.  —  Natura  ed  arte, 
15  giugno  1901. 

HEOA  (Filippo).  I  paratici  milanesi.  Milano,  Giuseppe  Palma,  edit,  1901, 
in-i6,  pag.  50.  [«  Piccola  biblioteca  scientifica-letteraria  »,  serie  VI, 

n.  5]- 


906  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

MEREJKOWSKI  (Dmitri).  La  résurrection  des  dieux  (Léonard  de  Vìnci) 
Roman.  Traduction  et  préface  de  S.  M.  Persky.  In-i6,  ili.  Paris, 
Perrin  et  C.*',  1902. 

MEYER  von  KNONAU  (G.).  Mittelalterlicher  Verkehr  und  Handel  flber  un 
sere  Alpenpàsse.  — Ja/trbnc't  des  Schweiser.Alpenkbib,2^]2Ììt%.igan, 

Traffico  e  commercio  nel  medio  evo  attraverso  i  passi  al|nm. 

MEZZETTI  (AuG.)  I  miei  ricordi  sulle  campagne  186667.  Temi,  tip.  Coo- 
perativa, 1901,  in-i6,  pag.  192  con  ritr.  e  tav. 

MICHELI  (Augusto  A).  La  Bibbia  di  Silvio  Pellico  [in  Casa  Gavazza  a 
Saluzzo].  —  Fanfulla  della  Dontenica,  n.  2,  1902. 

Milano.  —  Mobile  a  cantoniera,  in  parte  del  secolo  XVI,  nella  raccolta 
Mora  a  Milano  —  Leggio  gotico  di  lavoro  Valdostano,  ivi.  —  ArU 
Italiana  Decorativa^  a.  X,  1901,  n.  7. 

—  Del  Monastero  delle  Angeliche  di  San  Paolo  in  Milano.  Cenni  storia 

Milano,  Arte  Sacra,  (tip.  Capriolo  &  Massimino),  1901,  in-fi,  pag.  30. 

—  V.  Alinari,  Ambrosoli,  Barini,  Beltrami,   Bertani,  BertareUi,  Bùclù, 

Cahnetie,  Carletla,  Caroti,  Cartas,  ChilesotH,  Cipollini,  Colini,  Collh 
sionc,  LyApricoria,  De  Sanciis,  Duclatix,  Fahriczy,  Frova,  Genie,  Gior- 
nale, Greyerz,  Harrisse,  Italian,  Jacobsen,  Kehr,  Laenen,  Leghamo, 
Locati,  Manf redini.  Mantovani,  Manzoni,  Meda,  Momigliano,  Mùtta, 
Mulilemann,  Navenne,  Parini,  Perelli,  Sant'Ambrogio,  Poggi,  Romussì, 
Sacco,  Scati,  Sellane,  Storia,  Teatro,  Tria,  Verga. 

MOLMENTi  (P.).  La  a  Vittoria  «^  di  Brescia.  —  Nuirva  Antologia,  16  feb- 
braio 1902. 

Agg.  SUidnic:(ka   (Frani).    Die  Siegesgòttin*  Entwurf    der  Gcsdiiditc 
einer  antikeu  Idealgestalt.  (Leipzig,  Teubner  1901,  gr,**  8  con  tav.). 

MOLTKE  (M.al  de)  Corrcspondance  militaire.  V.  (Guerre  de  1866).  Lì- 
mogcs  ér  Paris,  Charles- La vauzelle,  1901,  in-8,  pag.  XX  VlII-529  et  pi 

MOMIGLIANO  (Felice).  La  mente  di  Giuseppe  Mazzini  e  di  Carlo  Cat- 
taneo. —  Rivista  Ligure  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti,  a.  XXIII,  145  *^ 
segg. 

MONTI  (dott.  Santo).  Storia  ed  arte  nella  provincia  ed  antica  diocesi  di 
Como.  Dispense  11- 14.  In  fol.  ili.  Como,  Ostinelli,  1902,  da  pag.  241 
a  pag.  336. 

—  Como  Medioevale.  —  Novocomuìu,  a.  I,  n.*  20-27,  38-45,  1901. 
Monza.  —  V.  Beltrami,  Carotti,  Haase,  Kehr,  Kristeller,  Venturi. 


BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO  aoy 

■ORELU  (Mario).  Qi  arazzi  illustranti  la  battaglia  di  Pavia.  —  Atti 
R,  Accademia  di  Archeologia  di  Napoli,  voi.  XXI,  1901. 

'  MITTA  (Emoio).  Alcune  lettere  di  illustri  italiane  tratte  dagli  autografi 
in  Trivulziana.  Bellinzona,  tip.  Colombi,  1902  (Nozze  Castelli-Mùller), 

inA  pag-  30. 

■QHLEIIANN  (Hans,  Pfarrer).  Ursprung  und  Geschichte  der  protestanti- 
schen  Gemeinde  in  Mailand  bei  Anlass  der  (iemeinde  als  Jubilfiums- 
schrift  verfasst  Milano,  U.  Hoepli,  1901,  in-8,  fig.,  pag.  87. 

Origine  e  storja  della  comunità  protestante  in  Milano;  pubblicazione 
in  occasione  del  50  anniversario  di  sua  fondazione. 

■OLLNER  (R.).  Drei  Briefe  Antons  von  Rho.  —  Wiener  Siudien,  voi.  XXIIl, 
fase.  I. 

Tre  lettere  dell'umanista  Antonio  da  Rho. 

■miATORI  (L.  a.).  Epistolario  edito  e  curato  da  Matteo  Càmporì.  Voi.  II, 
(1699-1705).  Modena,  tip.  della  Società  tipografica  modenese,  in-8^ 
pag.  XVI-50O. 

MUZIO  (V.).  Chiostro  del  rinascimento  in  Torre  Boldone  [Bergamasca! . 
Con  ilL  e  tav.  —  Arte  Italiana  Decorativa,  a.  X,  1901,  n.  7. 

'  NAVENNE  (F.  de).  Pier  Luigi  Farnese  (suite  et  fin).  —  Revue  Historique, 
gennaio  1902. 

Interessante  per  V  intervento  personale  del  governatore  dì  Milano,  Fer- 
rante Gonzaga,  nella  congiura  a  danno  del  Farnese  (i).  —  Agg.  Brosch  (Mori:0. 
Zìi  den  Conflicten  Karls  V  mit  Paul  III,  in  Mittheiìungen  des  Insiituts  fùr 
oesUr.  Geschichtsforschungy  XXIII  Bd.,  I  Heft  (1902). 

NAVONE  (Giulio).  Bonvesin  de  Riva.  —  Fanfulla  della  Domenica,  n.  3, 1902. 

*  l£UIIEYER  (d.r  Karl).  Die  gemeinrechtliche  Entwickelung  des  intema- 
nalen  Privat-und  Strafrechts  bis  Bartolus.  Erstes  Stùck:  Die  Geltung 
der  Stammesrechte  in  Italien.  Mùnchen,  1901, 1.  Schweitzer  Verlag, 
"»^  gr.,  pag.  Xn-313. 

In  due  capitoli  vi  si  tratta  del  diritto  territoriale  e  di  quello  personale 
loiigobardo  nell'Alta  e  nella  Media  Italia;  nel  terzo  dello  stato  del  diritto 
longobardo  e  normanno  nell'Italia  Meridionale. 

(i)  Nel  Cod.  Trivulziano  1587  è  contenuta  una  relazione  inedita  del- 
l'uccisione del  Farnese;  trattasi  del  racconto  fattone  in  lettera,  Modena  i\ 
settembre  1547,  da  Francesco  Villa  al  marchese  Sigismondo  d'Este. 


ao8  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*  Norme  generali  per  la  fmbblìcazione  dei  Testi  Storici  i>er  servire  alle 

edizioni  della  Regia  Deputazione  di  Storia  Patria  p)er  le  antiche 
Provincie  e  la  Lombardia.  Torino,  Stami>eria  Reale  della  Ditta  G. 
B.  Paravia,  1902,  in-8  gj.,  pag.  22. 

Studiate  e  proposte  dai  soci  conte  C  Cipolla,   prof.  £.   Merhel  e   pro- 
fessor F.  Nevati, 

Novara  ed  Ossola.  —  V.  Alinari,  Bude,  Kehr,  Cipolla,  Jacohsen,  Kerh, 
Rossi,  Tenhulle,  Torelli, 

*  OBERZINER  (G.).  I  Liguri  antichi  e  i  loro  commercL  Introduzione.  Capo  I. 

La  Liguria  antica.  —  Giornale  Storico  Letterario  della  Liguria,  a.  Ili, 
1902,  fase.  I-II. 

Agg.  Poggi  (Vittorio),  I  Liguri  nella  preistoria.  Savona,  Bertolotto^  1901. 
(Estr.  dal  Bollettino  Storico  Savonese,) 

ORTIZ  (M.).  Ancora  su  don  Abbondio.  —  Rivista  Abruzzese,  XVI,  II. 

PARINI  (Giuseppe).  Il  Giorno,  col  dialogo  Della  nobiltà  e  odi  scelte,  adot- 
tati ed  annotati  ad  uso  delle  Scuole  per  cura  del  prof.  Giacomo 
Dominici.  Nona  edizione.  Torino,  tip.  Salesiana,  1902,  in-i6,  plagine 
XXXV.339. 

*  PASCOLATO  (A.).  I  profughi  veneti  e  lombardi  a  Venezia  nel  i84a  Do- 

cumenti conservati  da  Antonio  Berti  e  comunicati  all'Istituto  Ve- 
neto di  scienze,  lettere  ed  arti.  —  Atti  Istituto  Veneto,  tom.  LX,  di- 
S|>ensa  X,  1901. 

Pavia.  —  Alberto  Maffiolo  da  Carrara  è  veramente  l'autore  del  La- 
vabo nella  Certosa  di  Pavia?  (con  una  ine.)  —  Rassegna  ttArte, 
gennaio  1902. 

—  V.  Alinari,  Bollettino,  Bruzzone,  Crugnola,  DelP Acqua,  Duntoulin, 
Filippini,  Frizzoni,  Kehr,  Laener,  Legé,  Maragliano,  MorelH,  Po- 
stinger.  Scafi,  Vigevano, 

PÉUSSIER  (L.  G.)  Pièces  justificatives  du  texte  de  Gohory.  Relations  de 
Maximilien  et  de  Ludovic  Sforza.  —  Revue  des  langues  romanes, 
gennaio  1902. 

*  PEREGALLO  (Prospero).  Viaggio  di  Matteo  da  Bergamo  in  India  sulla 

flotta  di  Vasco  da  Gama  (1502-1503).  Due  documenti  inediti.  — 
Bollettino  Società  Geografica  Italiana,  febbraio  1902. 

In  appendice,  dtnsi  lettere  da  Lisbona  del  cremonese  conte  Giovanni 
Francesco  Afifaitati  (1505)  all'oratore  veneto  in  Castiglia  Pietro  Pasqualigo. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  209 

PERELLI  (aw.  Natale).  Referto  di  uno  studio  sugli  usi  e  diritti  mer- 
cantili in  Lombardia  (11001400).  —  Scuola  Cattolica,  settembre-ot- 
tobre 1901. 

*  PIVA  (dott  Edoardo).  Origine  e  conclusione  della  pace  e  dell'alleanza 

fra  i  Veneziani  e  Sisto  IV.  (1479-1480).  (Nuovi  contributi  dell'Ar- 
chivio di  Stato  di  Venezia).  —  Nuovo  Archivio  Veneto,  n.  43,  1901. 

POGGI  (ing.).  Le  strade  di  Milano.  Studi  e  proposte  dell'ufficio  tecnico 
municipale.  Milano^  Vallardì,  1901. 

U  capitolo  che  si  indtola  Noti;Je  storiche  è  molto  deficiente,  non  acr 
cennando  ai  modi  con  cui  si  provvedeva  anticamente  alle  strade  della  nostra 
dttà.  Si  riportano  soltanto  in  un^appendice  brani  di  un  opuscolo  del  1788 
dallo  strano  dtolo  :  Vista  patriottica  di  Agostino  Zerli^  sopra  le  strade  della 
città  di  Milano^  ed  in  una  nota  seguente  le  ordinanze  del  primo  Regno 
d'Italia. 

*  P0STIN6ER  (C.  T.).  Documenti  in  volgare  Trentino  della  fine  del  Tre- 

cento relativi  alla  cronaca  delle  Giudicarle.  Lotte  fra  gli  Arco,  i 
Lodron,  i  Campo  ed  il  vescovo  di  Trento.  Notizie  e  ricerche  sto- 
riche. —  Atti  1  R,  Accademia  degli  Agiati,  di  Rovereto,  serie  III,  vo- 
lume VII,  fase.  I-II,  1901. 

Relazioni  di  Gian  Galeazzo  Visconti  col  conte  Antonio  d^Arco,  cui 
mandava  legato  nel  1387  il  suo  oratore,  Antonio  de*  Milii,  ben  noto  giu- 
reconsulto cremonese,  più  volte  impiegato  nelle  podesterìe  del  Veronese 
(c£r.  pag.  117).  L^alleanza  col  conte  di  Virtù  e  la  conquista  facilitatagli  della 
Riviera  Trentina,  truttò  ad  Antonio  d^Arco  non  già  i  perduti  domini  a  lui 
promessi  nei  patti,  ma  una  morte  atroce  a  tradimento  (cfr.  pag.  12  esegg.). 
Con  nuovi  documenti  se  ne  precisa,  rettificando  i  precedenti  autorì,  la  data 
al  26  dicembre  1587.  Un  contrìbuto  assolutamente  nuovo  alla  stona  degli 
Arco  ed  alle  relazioni  con  la  corte  viscontea,  e  con  uno  dei  condottieri  più 
rinomati  del  primo  duca  di  Milano,  con  Ottone  di  Mandello,  è  offerto  dal 
Postinger  colla  stona  degli  sponsali  di  Vinciguerra  d'Arco,  figlio  del^assas- 
sinato  Antonio,  con  Bianca,  figlia  di  Ottone  da  Mandello;  matrimonio  ce- 
lebrato nel  1389  in  Pavia  (cfr.  pag.  162  e  segg.).  Il  P.,  fornendo  notìzie 
sul  soggiorno  pavese  dell'Arco,  e  biografiche  intomo  al  Mandello,  riporta 
6:a  i  documenti  in  appendice  (cfr.  pag.  213  e  segg.),  i  pattì  nuziali  e  cor- 
redo di  Bianca  da  Mandello.  Altro  appunto  di  storia  viscontea  per  Antonio 
d'^Arco:  dei  9  luglio  1365  è  una  procura  di  Antonio  d'Arco  nella  persoxia 
dì  Aldrìghetto  di  Castelbarco  a  ad  matrimonium  contrahendum  cum  D.na 
Malgarìta  de  Vercellis  uxore  q.™  Nob.  domini  Joannis  de  Vicecomitihus  de  Me- 
diolano  ;  n  progetto  di  matrimonio  che  ritiensi  non  siasi  fatto  (cfr.  pag.  107), 
essendosi  dopo  sposato  con  Orsola  da  Correggio. 

PRIIIEGLIO  (Umberto  Di).  La  «  Signora  n  dei  Promessi  Sposi  e  la  sua 
storia.  —  Gazzetta  del  Popolo  della  Domenica,  di  Torino,  n.  4  e  5  1902. 

Arch.  Stor.  Lomb.^  Anno  XXIX,  fase.  XXXIII.  14 


lilO  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

PHOTO  (E.)  Quistioni  Tassesche  IL  G.  M.  Verdizzotti  e  il  Rinaldo.  — 
Rassegna  Critica  della  letteratura  italiana,  di  Napoli,  a.  VI,  1901, 
pag.  97  e  segg. 

PULLÉ  (Leopoldo).  Patria ,  esercito ,  re  :  memorie  e  note.  Milano,  U. 
Hoepll,  1902,  in-8  fig.  pag.  VIII-38o. 

*  RATTI  (dott.  Achille).  Commemorazione  di  Serafino   Biffi.   —  Rendi- 

conti Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi,  XXXV,  fase.  1,  1902. 

REISET  (de).  Mes  souvenirs.  Les  débuts  dell*  indépendance  italieraie. 
Paris,  Plon,  Nourrit,  1901,  in-8,  pag.  VI-480. 

Dal  libro  del  Reiset  il  Bossola  tradusse  e  pùbblico  nella  Rivista  di  Ales- 
sandria (fase  III,  1901).  e  I  moti  del  182 1.  Il  sogpomo  di  Carlo  Alberto 
in  Ale9sandria  nel  1848  ». 

REVEL  (G.  di).  Carlo  Alberto  principe  di  Savoja  Carignano.  —  Rassegna 
Nazionale,  i.**  ottobre  1901  e  prec. 

*  RIBOLDI  (Ezio).  Pinamonte  da  Vimercate.  (Nel  venticinquesimo    della 

fondazione  della  Società  di  mutuo  soccorso  fra  gli  operai  ed  agri- 
coltori di  Vimercate).  Vimercate,  tip.  Giuseppe  Stucchi,  1901,  in-i6, 
pag.  25  ed  una  ili. 

*  hlCCI  (dott.   Serafino).    Ancora   a   proposito   della   denominazione  di 

«  Isola  Virginia  »  del  lago  di  Varese.  Risposta.  —  Rendiconti  Isti- 
tuto Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXIV,  fase.  XIX,  1901. 

RtCCi  (Corrado).  Le  origini  dell'architettura  lombarda,  con  5  ine.  —  Ras- 
segna d'arte,  gennaio  1902. 

A  proposito  dell^opera  del  Rivoira. 

*  ROBERT  (U.).  Philibert  de  Chalons  prince  d*Orange  (1502-1530).  Let- 

tres  et  documents.  —  Boletin  de  la  Reale  Academia  de  Historia,  no- 
vembre 1901  e  segg. 

*  ROMANO  (G.).  Niccolò   Spinelli  da   Giovinazzo   diplomatico   del  secolo 

XIV  (fine).  —  Archivio  Storico  Napoletano,  fase.  IV,  1901. 

RÒNDANI  (Alberto).  Il  culto  manzoniano.  A  proposito  degli  »  Scritti  Po- 
stumi a  del  Manzoni.  —  Natura  ed  Arte,  i.®  giugno  1901. 

ROMUSSI  (aw.  Carlo).  Biografia  di  Carlo  Cattaneo,  con  ritr.  —  L'Uni- 
versità Popolare,  a.  I,  n.  11,  1901. 

RONDOUNO  (F.).  Dei  Visconti  di  Torino.  —  Bollettino  Storico- Bibliografico 
Subalpino,  a.  VI,  1901,  pag.  258  e  segg. 


BOLlETtlNO  BIBLIOGRAFICO 


211 


Rosmini.  —  D  prete  Antonio  Camielo  e  l'abate  Antonio  Rosmini.  —  VU- 
torino  da  Peiire,  5  settembre  1901. 

—  V.  Cipolla^  Giampiccolo. 

ROSSI  (Quintino).  Memorie  ai  Simesi.  Intra,  tip.  Intrese,  1902,  in-8,  pa- 
gine 24, 

■  ROTTA  (can.  Paolo).  Aggiunta  alle  Gite  archeologiche.  Verona,  Vene- 
zia, Vicenza,  Padova,  Lodi  e  Lambrugo  (Brianza).  Milano,  tip.  Rifor- 
matorio Patronato,  1901,  in-8,  da  pag.  161  a  pag.  193. 

La  presente  Aggiunta  è  H  contiiltiazione  delle  Gite  e  rilievi  stetici  ar- 
cheologici nei  dintorni  di  Milano  e  paesi  e  città  limitrofe  pubblicate  dal  can. 
Rotta  nel  1895  [Milano,  ditta  editrice  Agnelli].  Si  tratta  qui  dell'esposizione 
d*aTte  sacra  di  Lodi  [settembre  190 1],  della  quale  il  R.,  era  membro  della 
Giuria  e  di  una  cappella  artistica  del  XIV-  XV  secolo,  già  appartenente  alle 
Benedettine,  in  Lànibrugo  nel  Pian  d'Erba. 

ROVI€LIO.  La  morte  di  Alboino.  —  Rivista  Ligure  di  Scienze  e  Lettere, 
a.  XXIII,  n.  5,  1901. 

SACCO  (prof.  Antonio).  Il  Duomo  di  Milano  e  la  sua  facciata.  Seconda 
edizione.  Bergamo,  stab.  tip.  S.  Alessandro,  1902,  in-8,  pag.  21.  — 
(D2ML*Eco  di  Bergamo). 

SAIffTSBURY.  The  earlier  Renaissance.  —  The  Athenàeum,  30  novem- 
bre 1901. 

Per  il  Folengo. 

S/UIS-SOQUO  (Pietro  von).  Lombardische  Heraldik.  —  Archives  Héraldi 
qtéss  Suisses,  n.  3,  1901. 

Araldica  lombarda. 

•  SANTAMBROGIG  p.)-  Una  lapide  a  Perino  di  Volpedo  del  1426.  (Dalla 
Lega  Lombarda).  —  Rivista  di  Storia  ed  Arte  di  Alessandria,  a.  X, 
fase.  II,  1901. 

—  Del  dipinto  Leonardesco  di  Affori.  —  Rassegna  Bibliografica  delTArte 

Italiana,  di  Ascoli  Piceno,  a,  IV.  1901,  n.  9-10. 

—  A  proposito  di  un  prototipo  di  Leonardo  da  Vinci  (in  risposta  ad  un 

articolo  di  G.  Frizzoni  del  27  gennaio).  —  La  Perseveranza,  31  gen- 
naio 1902. 

'  —  n  paesaggio  lariano  nel  quadro  di  Affori  ;  La  tomba  di  un  Missaglia 
del  1518;  Una   lapide   e   una  preghiera    alla   Vergine   nell'atrio  di 


212  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

S.  Ambrogio;  Un  dipinto  Ininesco  a  Poasco  presso  la  Badia  di 
Chiaravalle.  —  Lega  Lombarda  ^  29  dicembre  1901  ;  30  gennaio, 
I.**  e  6  febbraio  1902. 

SANT'AMBROGIO  (D.).  —  V.  Bollettino  Storico  Pavese  e  Geymaller. 

*  SCATI  (Vittorio).  Cronaca  Chiabrera.  Parte  seconda  dal  maggio  1796 

al  dicembre  1778.  (Studi  di  Storia  Acquese).  —  Rivista  di  Storia  ed 
Arte  di  Alessandria,  novembre-dicembre  1901. 

11  Chiabrera  narra  dellMnsurrezione  di  Pavia,  incendio  di  Binasco,  dei 
moti  di  Milano,  ecc.,  e  dà  le  liste  degli  ostaggi  presi  fra  le  persone  nota- 
bili di  quelle  città,  i  quali  vennero  mandati  in  Francia  passando  per  Acqui. 

*  SCHELLHASS  (K.)  Akten  aber  die  Reformthàtigheit  Felician  Ninguarda's 

in  Baiem  und  Oesterreich  (1572-1577  —  (Cont)  —  Quelien  und  Por- 
schungettf  dell*  Istituto  storico  prussiano,  voi.  IV,  fase.  II,  1901. 

Atti  per  l'attività  rìformatoria  di  Felidano  Ninguarda  (poi  vescovo  di 
Como)  in  Baviera  ed  in  Austria,  15  72-1 577. 

*  SCHIFA  (M.).  Il  Muratori   e   la   coltura  napoletana   del  suo  tempo.  — 

Archivio  Storico  Napoletano,  fase.  IV,  1901. 

SCHNODT  Games)  &  VAHL  (Tom  de).  Il  testamento  di  Andrea  Br^no 
[d'Osteno  1503].  —  L'Arte,  a.  IV,  1901,  fase.  XI-XII. 

SCHONE  (d.r  H.).  Eine  Streitschrift  Galensgegen  die  empirischen  Aerzte.— 
Sitzungsberichte  della  R.  Accademia  delle  scienze  di  Prussia,  1901,  LI. 

Contenuta  nel  Codice  greco  Trivulziano  num.  685,  e  fin  qui  conosciuta 
soltanto  in  traduzione  latina,  sotto  il  titolo  Sermo  adversus  empiricos  me- 
dicos.  Lo  S.  si  riserva  di  ritornare  su  questo  prezioso  codice  miscellaneo, 
specialmente  per  trattare  del  frammento  di  Democrito. 

SCOLARI  (F.)  Medaglioni  comaschi:  Candida  Lena  Perpenti;  Teresa  Ci- 
ceri-Castiglioni  —  Plinio  il  giovane  e  Tultimo  suo  biografo.  —  Novo- 
comunt,  n.*  12,  15,  23,  a.  I,  1901. 

SCHULZE  (Carl).  Stradivaris  Geheimniss.  Ein  ausfùhrliches  Lehrbuch  des 
Geigenbaues.  Mit  6  Tafeln.  Berlin,  Fussinger's  Buchhandlung,  1901. 

n  segreto  di  Stradivari.  Il  metodo  della  fabbricazione  del  violino. 

SESLER  (F.).  Raffronti  leopardiani  :  Foscolo  e  Leopardi.  —  //  Saggiatore, 
I,  9-10. 

SFORZA  (Giovanni).  11  Manzoni  giornalista.  Modena,  Società  tipografica 
modenese,  1902,  in-i6,  pag.  ii.  (Nozze  Greppi-Belgiojoso). 

Vedi  i  Cenni  bibliografici  in  questo  fascicolo  éitM^ Archìvio. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  21 3 

Sforza  e  Visconti.  —  V.  Atnbrosoli,  Bollettino,  BUchi,  Calmeiie,  Cartcts, 
Da/lari,  Faòriczy,  Feliciangeìi,  Gabotto,  Leone,  Leonardo^  Lieòenau,  Man- 
drot,  Manfredini,  Pélissier,  Piva,  Postinger,  Romano,  Rondolino, 
Robert,  Sorbel/i,  Vigo. 

SGllUiERO  (P.)-  Bardolino  fino  al  1460.  Verona,  G.  Franchini;  1901,  in-8, 
pag-  43- 

SH.VA  (prof.  Bernardo).  Agostino  Bassi,  fondatore  della   teorìa  parassi- 
^  tana  e  parassiticida  od  antisettica,  1773-1856.  Commemorazione  letta 
a  Lodi  il  26  settembre  1901.  Lodi,  tip.  dell'Avo,  1901,  in-8,  pag.  56, 
con  rìtr. 

SOUH  (A.).  Alberto  da  Gandino  e  il  diritto  statutario  nella  ginrìspru- 
d^iza  del  secolo  XIII.  —  Rivista  Italiana  di  Scienze  Giuridiche,  vo- 
lume XXXII,  fase.  MI,  1901-1902. 

•  SORBELU  (A.)  La  data  precisa  della  [morte  di  Giovanni  Visconti.  — 
Aplologia  Veneta,  a.  II,  n.  6,  novembre-dicembre  1901. 

5  ottobre  1354. 

Storia  raedioevale  del  Cadore.  Il  dominio  dei  patriarchi  d*Aquileja  :  il 
patriarca  Lodovico  della  JTorre.  —  Archivio  Storico  Cadorino,  no- 
vembre-dicembre 1901  (Lodi). 

'  TAMASSIA  (Nino).  Una  professione  di  legge  gotica  in  un  documento 
mantovano  del  1045.  —  Atti  del  R.  Istituto  Veneto,  tom.  LXI,  di- 
spensa II,  1902. 

TASSO  (Torquato).  La  Gerusalemme  Liberata,  illustrata  da  Edoardo 
Matania,  con  note  di  Eugenio  Camerini  ;e  prefazione  di  Carlo  Ro- 
mussi.  Milano,  stab.  tip.  .edit.  Sonzogno,  1902,  in-4,    fig.,  pag.  X-319. 

—  V.  Biancale,  Flores,  Proto,  Vivaldi. 

TtBtro  (U)  della  Scala.  Natale  e  Capo  d'anno  dell*  Illustrazione  Italiana. 
Testo  di  Achille  Tedeschi.  Illustrazioni  di  A.  Ferraguti,  E.  e  F.  Ma- 
tania. Milano,  Treves,  edit.,  1901,  fol.  ili.,  pag.  32,  con  tav.  color. 

I.  L'inaugurazione  e  i  primi  tempi  ;  II.  Il  periodo  Francese  ;  III.  I 
tempi  di  Salvator  Vigano;  IV.  Frivolezze,  gioco  politico  ed  arte; 
V.  L'èra  gloriosa  della  musica  italiana  ;  VI.  I  primordi  di  Giuseppe 
Verdi  [e  la  follia  per  le  ballerine  ;  VII.  Dopo  il  cinquantanove  ; 
VIII.  Gli  ultimi  trenfanni. 

—  V.  Giornale  d'erudizione. 

TENHULLE  (corate  de).  Deux  études  militaires  historiques  :  Novare,  Sa" 
dowa.  Bruxelles,  Weissenbruch,  1901,  in-8,  pag.  340. 


214  BOLI-FTTINO   BJBLIOG^IAFICX) 

*  TDBLER  (Rudolf).  Lettres  inédites  de  Ugo  Foscolo  à  Hudson  Gumey. 

Giornale  Storico  della  Letteratura  Italiana,  fase.  115,  1902. 

*  TOCCO  (Feuce).  Nuovi  documenti  sui  moti  ereticali  tra  la  fine  del  se- 

colo XIII  e  il  principio  del  XIV.  —  Archivio  Storico  Italiano,  fasci- 
li!, 1901. 

Cfr.  la  recensione  in  questo  fascìcolo  déiV Archivio. 

TOBELU  (arciprete).  S.  Silvano,  patrono  di  Romagnano  Sesia.  Novara, 
tip.  Vescovile,  1901. 

*  TORRI  (Luigi).  Un  grande  dimenticato  (Luca  Marenzio).  —  //  Saggia- 

tore di  Pisa,  a.  I,  n.  2,  1901. 

Luca  Marenzio,  n.  a  Coccaglio  in  quel  di  Brescia,  cui  nel  secolo  XVI 
l'Europa  intera  proclamava  «  Principe  dei  madrigaìisU  ». 

TRIA  (Umberto).  Vincenzo  Cuoco  a  proposito  di  due  sue  lettere  inedite. 
—  Rassegna  Critica  della  letteratura  italiana  di  Napoli,  a.  VI,  1901, 
n.  9-12. 

Subito  dopo  la  vittoria  di  Marengo,  il  Cuoco  si  ridusse  a  Milano,  ove 
dimorò  fin  quasi  tutto  il  1806,  assai  stimato  e  ben  voluto  da'  letterati  e  dai 
governanti  e  per  il  suo  ingegno  versatile,  e  per  i  suoi  precedenti  {>olitìci, 
e  per  il  Saggio  storico,  che  pubblicò  nel  settembre  del  1805.  Dal  Melzi  nel 
1802,  gli  fu  affidata  la  direzione  del  Giornale  italiano  la  quale  egli  conservò 
fino  all'agosto  del  1806,  pur  occupandosi  della  compilazione  e  della  pubbli- 
cazione del  Platone  in  Italia,  pur  attendendo  a  raccogliere  i  dati  per  <r  una 
statìstica  generale  della  Cisalpina  ».  Durante  la  non  breve  dimora  a  Milano, 
spesso  il  C,  scriveva  al  fratello  Michele  Antonio.  Di  queste  lettere,  che 
potrebbero  dirci  la  vita  vissuta  dall'esule  a  Milano,  due  sole  fin'ora  sono 
venute  alla  luce,  ed  il  T.,  le  pubblica  qui  con  un  buon  commento.  Sono 
del  marzo  del  1802  e  dei  primi  mesi  del  1805. 

VALLETTE  (C).  Poème  sur  la  mort  du  general  Desaix  tue  à  la  bataille 
de  Marengo.  —  Revue  du  Bas  Poitou,  I,  1901. 

VEKTURI  (Adolfo).  La  Corona  Ferrea,  con  io  ili.  —  Nuova  Antologia, 
I.**  gennaio  1902.  [V.  Beltrami\ 

*  VERGA  (Ettore).  La  giurisdizione  del  podestà  di  Milano  e  i  Capitani  dei 

contadi  rurali,  1381-1429.  —   Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II, 
voi.  XXXIV,  fase.  XX,  1901. 

Con  postilla  :  «  Alcuni  dubbi  sul  valore  delle  espressioni  :  Comitatus  e 
Ducatus  Mediolani, 

—  L*  Esposizione  cartografica  retrospettiva  di  Milano  e  suo  territorio, 
con  7  ili.  (Dair  Emporium).  —  Le  Comunicazioni  di  un  Collega,  di 
Bergamo,  a.  Vili,  n.'  7-8  ottobre-dicembre  1901. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  215 

VEmE  (LuccHiNO  dal).  Il  generale  Covone  a  Custoza,  con  ritr.  —  Nuova 
Antologia^  16  gennaio  1902. 

Vigevano.  —  Veduta  di  un  cortile  del  secolo  XVI  in  una  casa  in  Via 
Cairoli  a  Vigevano.  Tavola  e  figura  (senza  testo).  —  Arie  Italiana 
Decorativa,  a.  X,  1901,  n.  8. 

'  Vl€0  (Pietro).  Due  documenti  relativi  a  Gianfrancesco  da  Tolentino.  — 
Archivio  Storico  Italiano,  fase.  Ili,  1901. 

Un  mandato  di  papa  Sisto  IV  [1484,  19  luglio]  al  conte  Gio  Francesco 
M^uruzi  a  trattar  e  ccmduder  pace  coi  duchi  di  Calabria,  di  Milano  e  altri 
potentati. 

Virgilio.  —  Pellegrini  (A.).  L*  «  Eneide  »  di  Virgilio  volgarizzata  se- 
condo un  nuovo  codice  del  secolo  XIV.  —  Rivista  [Abruzzese, 
XVI,  9.10 

Agg.  La  Roche  (].).  Dcr  Hexameter  bei  Virgil  in  Wiener  Studien  vo- 
lume X^CUI,  I;  Rasi  (Pietro).  Postille  virgiliane  in  Studi  italiani  di  filologia 
classica^  voi.  IX  (1901). 

—  V.  Codices. 

VIVALO!  (prof.  Vinc).  La  Gerusalemme  Liberata  studiata  nelle  sue  fonti  : 
azione  principale  del  poema.  Trani,  V.  Vecchi,  edit.,  1901,  in-8 
pag.  VIII-351. 

Vojrage  (mon)  en  Italie.  In-4,  ili.  Neuchàtel,  Comptoir  de  pothotypie  édi- 
teur,  1901,  livr.  XX,  (Lombardie  et  Parme). 

WEIL  (M.  H.).  Le  prince  Eugène  et  Murat  (1813-1814).  Opérations  mili- 
taires;  Negociations  diplomatique.  Voi.  MI.  Paris,  impr.  Fonte- 
moing,  1902,  in-8,  pag.492  et  fìg. 

G>1  secondo  volume  il  racconto  arriva  sino  all'S  novembre  181 3. 
2.  La  mort  de  Pline  T Ancien.  —  Journal  des  Débats,2^  dicembre  1901. 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


/^  Nuove  pubblicazioni  dialettali  lombarde.  —  A  quanti  s'inte- 
ressano all'antica  poesia  dialettale  lombarda  riuscirà  accetto  il  sapere 
che  or  ora  il  prof.  Biadene,  ben  noto  per  le  sue  belle  ed  erudite  pub- 
blicazioni bonvesiniane,  delle  quali  Y Archivio  nostro  ebbe  già  a  tenere 
parola  (cfr.  XXVIII,  i88  segg.),  ha  dato  alla  stampa  in  un  elegante  vo 
lume,  impresso  dalla  ditta  E.  Spoerri  di  Pisa,  //  libro  delle  tre  Scritture 
e  I  Volgari  delle  false  accuse  e  delle  vanità  di  Bonvesin  della  Riva.  Questi 
testi,  che  avevano  or  sono  pochi  mesi  già  veduto  la  luce  per  cura  del 
prof.  De  Bartholomaeis,  appaiono  qui  nuovamente,  adorni  di  una  erudita 
Introduzione,  di  un  diligentissimo  apparato  critico  e  d'un  copioso  Les- 
sico, che  reca  utili  aggiunte  e  chiarimenti  a  quello  assai  noto  del  Seifert. 
Della  bella  pubblicazione,  che  ha  così  vivo  interesse  per  Milano,  forse 
parleremo  più  a  lungo  tra  non  molto. 

Il  prof.  De  Bartholomaeis  ha  pur  esso  fatto  prova  del  suo  critico 
acume  nello  studio  d'un  altro  testo  lombardo,  divenuto  pur  esso  molto 
noto;  il  favolello  bergamasco  del  marito  confessore,  che,  dato  fuori  per  la 
prima  volta  dallo  Zerbini  nel  1886,  fu  di  bel  nuovo  ristampato  dal  Lorck 
nel  1893  (^)*  Il  .De  B.  si  sforza  di  restituire  all'antico  testo  le  sue 
originali  sembianze  metriche,  deformate  dai  copisti;  e  poscia  stu- 
dia con  molto  amore  i  rapporti  che  intercedono  tra  il  rozzo  compo- 
nimento lombardo  e  la  novella  quinta  della  VII  giornata  del  Decameron, 
la  quale  svolge,  secondochè  è  noto,  con  geniale  ampiezza,  il  medesimo 
tema,  graditissimo  a  tutta  la  novellistica  medievale,  del  marito  che,  ca- 
muffandosi da  frate  o  da  sacerdote,  tenta  sorprendere  i  segreti  della 
moglie;  ma  dalla  temeraria  impresa  riporta  i  danni  e  le  beffe. 

/.  È  recentemente  uscita  in  luce  a  Lipsia  coi  tipi  di  J.  J.  Weber  la 
traduzione  tedesca  del  Lexicon  Aòòreviaturarum,  dell'esimio  paleografo 
Dott  Adriano  Cappelli,  pubblicato  la  prima  volta  nel  1899,  ^^^  ^  ™^' 
nuali  Hoepli.  Accenniamo  con  compiacenza  alla  fortuna  all'estero  di 
questo  libro  assai  utile  per  chi  ha  a  che  fare  coi  documenti  scritti  del 
medio  evo.  L'edizione  tedesca,  anch'essa  accuratissima  nella  stampa, 
riproduce  in  massima  parte  l'esemplare  milanese:  non  mancano  qualche 
aggiunta  e  qualche  miglioramento,  com'è  naturale  in  un  libro  riveduto 

(i)  Un  frammento  bergamasco  e  una  novella  del  Decamerone  nella 
Miscellanea  testé  pubblicata  a  Roma  in  onore  di  E.  Monaci* 


APPUNTI   E   NOTIZIE 


217 


la  seconda  volta  da  un  autore  coscienzioso  e  sagace.  Precedono  alcune 
oozioni  sobrie  e  chiare  sulla  brachigrafìa  medievale,  cioè  intorno  ai 
vari  generi  di  abbreviature  raggruppate  in  sei  categorie,  ciascuna  trat- 
tata a  parte  e  illustrata  con  numerosi  facsimili.  Il  dizionario  contiene 
sedicimila  segni  incisi,  tremila  dì  più  che  nella  prima  edizione:  oppor- 
tnnamente  accanto  al  segno  si  riporta  la  trascrizione  diplomatica  del  me- 
desimo, la  traduzione  in  parola,  e  si  indica  il  secolo  e  la  parte  di  secolo 
(principio  e  fine)  a  cui  appartiene  il  documento  d'onde  quello  fu  tratto. 
Segue  una  appendice  di  abbreviature  nuova,  ma  priva  di  facsimili. 
Quindi  un  repertorio  alfabetico  dei  segni  convenzionali,  un  altro  di  ab- 
breviature di  medicina  del  secolo  XVII,  un  terzo  per  le  varie  forme  di 
numerazione  romana  e  per  quelle  della  arabica.  Poi  un  dizionarietto 
di  sigle  e  abbreviature  epigrafiche,  distinte  (opportuna  novità)  con  segni 
speciali  quelle  dell'epoca  cristiana  e  quelle  di  monete  e  medaglie. 
Qiiude  il  volume  una  ricca  bibliografìa,  pur  nuova,  di  circa  centotrenta 
opere  trattanti  di  abbreviature  italiane  e  latine.  Mancano  invece  i  due 
facsimili  di  documenti  colla  relativa  trascrizione  e  le  sei  tavole  di  mo- 
nogrammi imperiali  che  fìgurano  nell'edizione  Hoepliana.  La  quale,  no- 
nostante ie  aggiunte  introdotte  in  questa  più  recente,  resta  pur  sempre 
un'edizione  pregevolissima  sotto  ogni  rispetto. 


/.  Ancora  l'iscrizione  d'Alba.  —  Nel  riferire  il  testo  della  lapide 
che  può  supporsi  apposta  già  per  insegna  ad  una  porta  della  città  di 
Alba  chiamata  Mediolanensis  (cfr.  ^rcAfwo,  XXVIII,  451)  siamo  incorsi  in 
un'omissione  che  or  dobbiamo  correggere.  Nel  testo  dell' iscrizione  dopo 
la  data  dell'anno  segue  il  ricordo  dell*  indizione,  così  :  indicione  sep- 
ToiA.  Il  testo  dunque,  fedelmente  esemplato  di  sulla  lapide  originale, 
die  misura  m,  0,97  per  m.  6.46,  suonerebbe  così  : 


+  MCC. 

LXXXIIII 
INDICIONE 
SEPTIMA 
PORTA  ME 
DIOLANESIS 


Scudo 

che  rect  It  croce 

del  Cornane 


FACTA 

TEMPORE 

CPITANIE 

Mi  BONACVR 

SII  DE  ALIATE 

CIVlS  MEDIOLANI 


/.  Altre  relazioni  tra  Alba  e  Milano  nel  secolo  XIII.  —  Sovra 
un  alto  colle  a  due  miglia  d'Alba  siede  la  terra  di  Diano,  sede  del 
CoHùtaius  Dianensis  assai  famoso  nell'età  di  mezzo,  che  si  sostituì  anzi 


2l8  APPUNTI   E    NOTIZIE 

un  tempo,  ne' secoli  X-XI,  ad  Alba  stessa.  Ora  alle  vicende  di  codesto 
castello  si  riferisce  la  seguente  iscrizione,  cui  TUghei^u,  Italia  sacra,  ed. 
Coleti,  Venetis,  171 7,  to.  IV,  e.  a88,  pubblicò  assai  scorrettamente,  e  che 
noi  oggi  possiamo  riprodurre  qui  riscontrata  sul  marmo  originale  an- 
cora esistente,  grazie  alla  cortesia  del  dotto  collega  prof.  Federico  £lu- 
sebio  : 

^MCCLXXXXII     DIE     VII 
I  .  DECEMBr'  MVR'  hP   CASTRI 

CVM  DOMIB'  CONNEXIS  DCO   C. 
AST.**  DIRUPT*  FUIT  TPR   DNI   b**  D* 

SCA  IVLIA  EPI   ALBEN.   P.   HOIES  ALBE 

ET  DIANI   AD  TRACTATV  QVORVDA 

DE  DIANO   TC  REB*UUM     DCI   EPI   EP  {S$cJ 

I   CVI*  REFECTO   ICEPTA   FUIT   AVXILI 

O  ROMANE  ECC.   MEDIA  P.  EOS 

DEM   REb'lOS  TPR   DCI   EPI.   MC..,.  (l) 

LXXXXVIII  DIE  P.  IVN. 

Nella  terzultima  linea  il  media  sta  a  significare  mediolanensis,  ab- 
breviatura, a  dir  vero,  fuori  di  ogni  consuetudine,  pure  di  non  dubbia 
lettura,  sapendosi  che  la  diocesi  d'Alba  ai  tempi  di  Bonifacio  III  de) 
Carretto^  vescovo  di  cui  ragiona  Tepigrafe,  era  dipendente  dall'Archi- 
diocesi  di  Milano. 

/^  Un  fonditor  di  campane  milanese  del  secolo  XIV.  —  Testé  a 
Foligno  si  rinvenne  presso  un  fonditore  di  campane,  ,che  se  n'è  servito 
come  di  materiale  fuor  d'uso  per  i  lavori  suoi  (2),  una  vecchia  cam- 
pana del  peso  di  tre  quintali,  proveniente  da  Visso,  paese  dell'Appen- 
nìno  centrale,  la  quale  recava  in  giro,  scritta  sovra  due  righe  in  gotici 
caratteri,  la  seguente  iscrizione: 

o 

^  in  nomine  domini  amen. anno  domini  millesimo  III  LXXXIin. 

>J<   MENTE  SCAM  .  SPONTANEAM  .  HONOREM   DEO.   PATRIE  LIBERATXONEM 
lACOBVS   DE  MEDIOLANO   FEaT. 

Il  nome  di  Jacopo  da  Milano  torna  nuovo  tra  quelli  degli  artefici 
rpìlanesi  del  secolo  XIV. 

In  quanto  air  iscrizione  che  precede' la  sottoscrizione  sua,  essa  è 
ben  conosciuta  siccome  quella  che  riapparisce  con  particolare  compia- 
cimento riprodotta  sulle  campane  del  medio  evo  ed  anche  di  tempi  più 

(i)  Rottura  nel  marmo  che  ha  fatto  sparire  il  secondo  e. 

(a)  S'erano,  a  dir  vero,  intavolate  pratiche  da  taluni  amorevoli  cul- 
tori delle  memorie  cittadine  per  salvare  codesto  raro  oggetto  dalla  di- 
struzione; ma  esse  a  nulla  disgraziatamente  approdarono. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  219 

recenti.  Per  limitarci  ad  un  esempio  che  primo  ci  soccorre  alla  me- 
moria, rammenteremo  cosi  com'essa  si  legga  pure  in  una  bella  cam- 
pana fusa  nel  maggio  del  12971  che  la  Confraternita  del  Corpus  Domini 
dì  Sanseverino  Marche  volle  affidata  in  deposito  alla  Pinacoteca  di 
quella  città  (i). 

Perchè  poi  si  sia  presa  l'abitudine  di  decorare  con  un'iscrizione 
cosifiatta  le  campane  ci  rimane  oscuro.  Le  parole  che  la  costituiscono 
sono  quelle  stesse  le  quali  ricorrono  sopra  la  famosa  tavola  di  marmo, 
sottoposta  per  ministero  degli  angeli  al  capo  di  S.  Agata  martirizzata, 
secondochè  attesta  già  il  Durando  nel  lib.  VII,  cap.  VII  del  Rationale 
div.  officiorum,  Codesta  tavola,  trasportata,  non  si  sa  bene  né  da  chi  né 
in  che  tempo,  a  Cremona,  9i  custodisce  e  si  venera  tuttavia  nella  chiesa 
di  questa  città  dedicata  da  secoli  moltissimi  alla  martire  siciliana  (2); 
ma.  non  è  a  tacere  però  che  Catania,  la  patria  di  S.  Agata,  vantasi 
ancor  essa  di  possedere  sì  prezioso  monumento;  tantoché  —  caso  ab- 
bastanza frequente,  ove  di  reliquie  si  tratti  —  le  tavole  prodigiose  sa- 
rebbero due.  Non  è  ufficio  nostro  portar  giudizio  sull'autenticità  del- 
l'una o  dell'altra  ;  ma  ben  ci  toma  lecito  esprimere  il  desiderio  che  del 
ragguardevole  cimelio  cremonese,  ii^teressante  per  più  ragioni  anche 
alla  storia  dell'arte,  venga  una  buona  volta  recata  innanzi  una  diligente 
illustrazione.  F.  N. 

.\  Per  una  data  a  nativitate.  —  Nella  mia  memoria  Le  Sentenze 
criminali  dei  Podestà  milanesi,  pubblicata  nel  fascicolo  di  Settembre  del- 
V Archivio,  osservando  che  la  lettera  di  nomina  del  Podestà  Artale  de 
Allagonia  era  datata  ji  Dicembre  1402  deoma  indictione,  e  quella  di 
conferma,  per  altri  sei  mesi,  7  Novembre  1402  undecima  indictione,  cre- 
detti vedere  in  ciò  un'  incongrue«za  cronologica  che  attribuii  ad  un 
errore  dell'amanuense.  Il  chiaro  prof.  F.  £•  Comani  mi  fa  considerare 
che  le  due  date  sono  conciliabili,  quando  si  conti  il  principio  dell'  anno 
a  Nairviiate,  cioè  a  dire  dal  25  Dicembre,  invece  che  a  drcumcisione 
(1*  Gennaio),  com'è  lo  stile  comune.  Ammesso  che  la  indizione  si  com- 
putasse in  Milano  dal  Settembre,  l'indizione  decima  andrebbe  dal  Set- 
tembre del  1401  a  quella  del  1402,  e  la  undecima  da  quello  del  1402  al 
Settembre  del  1403;  ora,  siccome  il  31  Dicembre  1402,  stile  a  nativitate, 
corrisponde  in  realtà  al  31  Dicembre  1401,  stile  comune,  è  naturale  che 

(1)  Vedi  V.  Aleandri,  Un^aniica  campana  in  Arte  e  Storia,  a. XIX 
(III  della  III  serie),  n.  5,  Firenze,  5  marzo  1900,  p.  32.  Detta  campana  fino 
ai  primi  anni  del  secolo  XVUI,  appartenne  alla  chiesa  di  S.  Benedetto, 
membro  d'antico  convento  di  Benedettini  sito  in  valle  S.  Clemente.  — 
Anche  altre  campane  di  Foligno  e  di  Cremona  recano  la  stessa  leggenda. 

(2)  Sulla  tavola  cremonese  vedi  oltreché  l'Arisi,  Crem,  iiter,,iy  297, 
F.  Aporti,  Memorie  di  Storia  Ecclesiastica  Cremonese,  Cremona,  1837, 
Parte  II,  p.  201  segg.Troviam  qui  riportati  i  brani  più  salienti  d'un  Ordo 
Uiamarum  che  prescrive  il  rito  da  compiersi  nell'occasione  della  festa 
della  Santa  e  d  una  Messa  quasi  speciale  alla  basilica  cremonese,  che 
solea  celebrarsi  nella  stessa  solennità. 


220  APPUNTI   E    NOTIZIE 

questa  data  cada  nell'indizione  decima,  e  il  7  Novembre   1402,  uguale 
per  entrambi  gli  stili,  nella  undecima. 

Che  la  cancellerìa  viscontea  contasse  a  nativitate  hanno  assai  ben 
dimostrato  gli  arguti  studi  del  prof.  Comani  medesimo,  Usi  cancelie' 
reschi  Viscontei,  pubblicati,  non  è  molto,  néìVArchtvio  nostro:  quegli 
studi,  quantunque  condotti  su  pochi  documenti  reggiani,  vengono  a  con- 
clusioni le  quali  sono  pienamente  confermate^  mi  piace  notarlo,  dai  nu- 
merosissimi nostrì  registri  ducali  e  dai  registri  di  Provvisioni  dell'  Ar- 
chivio civico,  ove  ad  ogni  passo  troviamo  la  formola  :  Anno  domini,  etc... 
a  nativitate  eiusdem  ;  e  dagli  Statuti  medesimi  della  città,  approvati 
nel  1396  da  G.  Galeazzo  Visconti,  ove  a  pagina  500  (ediz.  Suardi,  1480), 
si  legge:  More  mediolanensi  annus  incipere  consuevit  et  de  cetero  incipÙMt 
IN  FESTo  NATivTTATis  Domini  nostri  Jesu  Christi  et  Indictio  Kalendis 
mensis  septembris. 

Le  parole  degli  Statuti  mi  inducono  a  fare  qualche  altra  osserva- 
zione sulle  indizioni.  Dal  confronto  di  parecchie  lettere  ducali  m' era 
parso  d'aver  ricavato,  per  Milano,  la  conferma  a  quanto  dice  l'Alvino 
(/  Calendari,  Firenze,  1891)  quando  M* Indizione  imperiate  o  Costanti- 
niana assegna  in  genere  il  24  Settembre  :  ma  quel  confronto  avevo  con- 
dotto su  lettere  di  varia  data,  tra  la  seconda  metà  d'Agosto  e  la  prima 
d'Ottobre,  che  non  era  facile  trovarne  di  quelle  cadenti  proprio  nel 
primo  o  almeno  nei  primi  di  Settembre.  Ora,  armatomi  di  pazienza,  ho 
ripreso  da  capo  l'esame,  con  questo  secondo  criterio,  ed  ho  potuto  as- 
sodare che  l'indizione  qui  da  noi  si  computava,  di  regola,  come  dicono 
gli  Statuti,  dal  primo  Settembre. 

Infatti,  proprio  con  questa  data,  ho  potuto  trovare  tre  lettere:  1407, 
141 1,  1435  (i),  le  quali  portano  rispettivamente  la  nuova  indizione 
prima,  quinta  e  decimaquarta.  In  parecchie  altre  dei  primi  del  mese,  tra 
il  3  e  il  IO,  ho  pur  veduto  cambiata  l'indizione,  cioè: 

3  Settembre  —  Anno  1410  Indizione  quarta. 


4 

n 

— 

» 

1408 

n 

seconda. 

5 

n 

— 

» 

1392 

» 

prima. 

5 

n 

— 

»» 

1394 

»» 

terza. 

5 

n 

— 

» 

X4OI 

w 

decima. 

6 

» 

— 

n 

1409 

» 

terza. 

6 

tt 

— 

v 

I4I3 

V 

settima. 

7 

n 

— 

w 

1396 

V 

quinta. 

:o 

» 

— 

n 

1397 

» 

sesta. 

E  questo   ci  dà  presumibilmente   la   conferma    della   regola.    Tuttavia 
qualche  volta   la  regola   par   contraddetta.  In  una   lettera  del    1412,  al 

(i)  Nei  Registri  di  Lettere  Ducali  e  in  quelli  di  Provvisioni  dell'Ar- 
chivio Storico  civico.  Non  cito  i  volumi  perchè  i  documenti  sono  faci- 
lissimamente reperìbili  per  mezzo  dei  registrì  disposti  in  ordine  cro- 
nologico. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  331 

nata  l'indizione  quinta  (Rg.  Lttt.  Due.  1410- 
ra  del  1419,  pure  al  s  Settembre,  ancora  la 
S,  fol.  1770);  in  una  terza  infine,  del  1403,  al 
incora  la  indizione  decinia(  Ibid.,  i4oi-i403, 
)ni,  come  si  vede,  rarissime,  non  mi  sembra 
stanza  potendo  esse  benissimo  attribuirsi  ad 
chi  trascriveva  i  decreti  ;  e  credo  potersi  rite- 
lO  l'indizione  partiva  dal  primo  di  Settembre. 
Ettore  Verga. 

iull'arte  DEI  FusTAGNARt  A  MiLAHO.  —  Il  slgnor 
qui  le  dovute  grazie,  mi  regalava  tempo  fa  a 
o  di  documenti  e  pergamene  di  sua  spettanza, 
itità  molto  maggiore  andata    miseramente  di- 

:riori  all'anno  1500,  e,  sebbene  non  abbiano 
non  SODO  prive  di  un  certo  interesse  per  la 
e  per  quella  delle  chiese,  monasteri  ed  ospe- 
nisio,  delle  famìglie  Reschisi  o  Raschisi,  On> 
a  Porta  ed  altre. 

nare  sull'argomento  per  dare  almeno,  a  van- 
ICO  o  regesto  del  materiale  anzidetto  che  tengo 
Jegli  studiosi,  intendo  qui  segnalare  uno  dei 
ia  un'  importanza  maggiore  degli  altri,  e  cioè 
\  Bapiìste  dt  Tradalt  in  arie  fuslantorum  if]4: 
Iella  piccola   pergamena  che    contiene  l'istru- 

lai  rogiti  dal  notajo  Ottorino  de  Montebreto, 
che  fin  dal  1890  scriveva  in  quest'i^rcAino 
proposito  dell'arte  dei  fustagnari  che  fu  tra  le 
Milanesi  nei  secoli  scorsi.  Ancorchi  non  re- 
re:  *  Malgrado  lavori  parziali,  non  inutili  né 
ra  storia  delle  manifatture  di  Milano  non  è 
ESta  che  rende  utile  l'edizione  di  ogni  nuovo 
n  contributo.  „ 

inno  a  nativitate  eiusdem  millesimo  quadrin- 
■  quarto,  indictione  septima  die  martis  octavo 
dotninus  Bartholameus  de  Soris  abbas  artis 
:  ducatus  Mediolani  suo  nomine  ut  Abbas  ut 
!t  vice  domini  Mafioli  de  Vignalis  sìmiliter  ab- 
is  modo  iure  via  et  forma  quibus  melius  suo 
et  potest,  assumpsit  et  recepìt  et  assumit  et 
ninum  Baptistam  de  Tra  date  filium  quondam 
Cumane  parochie  sancii  Vincencii  Mediolani 
èm,  ita  et  taliter  quod  ipse  dominus  Baptista 


APPUNTI   E   NOTIZIE 


223 


émi  donne  incoronate  "  tenentium  in  manibus  dextris  spatam  unam  et 
bflancìam  unam  in  sinistrìs  ^  nel  1471;  di  un  frate  **  cum  capa  tenentis 
b«ealum  unum  in  manu  dextra,  equitantis  unum  leonem  „  nel  1471; 
di  una  staffa  e  di  due  staffe  "  cum  staferiis  irt  medio  duorum  candela- 
brorum  „  nel  1472;  di  una  stella  nel  1473;  di  due  uomini  lottanti  nel  1474 
e  ^éVt  Angelo  Gabriele  col  giglio  in  mano  nel  I49Ò  (x). 

Vha  di  più.  V'erano  segni  ^  signandi  agugìas  »  e  fin  dal  1458  ri- 
coire  un  *  Agnus  dey  cum  banderola  una  cum  cruce  in  spatulis  ipsius 
Agtlus  Dei  et  cum  «diademate  in  capite  ^,  Nel  1488  V aquila  bicipite  già 
serviva  a  bollare  i  saponi  milanesi  (2).  Da  ultimo  notisi  che  in  un  rogito 
dd  già  citato  nòtajo  Ottorino  da  Montebreto  dei  30  giugno  1467,  figurano 
i  nomi  di  tutti  ò  quasi  i  componenti  il  paratico  dei  fustagnari  di  Mi- 
lano (3). 

,%  Un  orologio  a  sveglia  nel  secolo  XV.  —  Un  astrologo,  certo 
Giacomo  da  Piacenza,  monaco  nel  monastero  dì  S.  Bernardino  di  detta 
città,  scrive,  il  30  maggio  1463,  a  Francesco  Sforza  raccontandogli  certo 
prodigio  celeste,  forse  la  caduta  di  un  bolide,  osservato  di  notte  da  lui 
e  da  altri  suoi  compagni  e  ne  presagisce  sventura.  Pubblichiamo  questa 
ettera  recentemente  rinvenuta  in  Carteggio  Sforzesco,  detto  anno,  perchè 
in  essa  si  fa  menzione,  abbastanza  chiara,  di  un  orologio  a  sveglia  che 
il  buon  frate  teneva  presso  il  letto. 

Jesus. 

■  Dlustrissimo  Principo  Ducha,  Aricordeve  che  di  e  nocte  mi  m'ari- 

*  cordo  de  li  facti  vostri:  za  più  volte  ò  facto  oratione  a  Dio  prigan- 

*  dolo  stretamente  per  la  sua  sacrissima  passione  che  si  volià  dignare 
per  sua  misericordia  da  volerme  concedere  questa  gratia  chi  potesse 
vedere  alcuno  signo,  si  puro  la  sua  misericordia  voliva  lasare  correre 
quelb  judicio  sopra  de  nuy,  el  quale  ve  manifestai  a  boccha  e  ve  ho 
mandato  in  scrito  per  ordine.  Si  passando  alquanti  dì,  siando  mi  a 
dormire  e'  fui  risvegiato  e  non  so  da  chi,  donde  che  credandome  my 
che  lo  risvegiarolo  m'avesse  disedato  e'  me  levay  e  trova'  che  risve- 
giarolo  non  era  scargato  anzi  gi  mancava  meglio  de  una  bora,  donda 


« 

e 
a 
a 
« 
a 


(i\  Rog.  not,  Giorgio  da  Molteno,  1394,  27  marzo  e  1411,  12  marzo  — 
Dot  Giovanni  da  Cermenate,  1408,  ijt  gennaio  —  not.  Onrigolo  di  Sarti- 
rana,  1408, 28  giugno,  1418,  30  maggio  —  not.  Francesco  Spanzotta,  1447 
27  novembre  —  not.  Ottorino  da  Montebreto,  1453,27  aprile,  14^1,  io  gen- 
naio, 1464,  9  oprile,  147 1,  22  aprile  e  15  ottobre,  1472,  16  maggio,  1 473 
4  febbraio,  1474»  7  lugho  —  not.  Maffeo  Suganappi,  1490,23  gennaio.  [Re- 
gesti nei  Codici  Trivuleiani,  n.*  1815,  fol.  24  III,  70  111;  n.°  1816,  fol.  164, 
167  t.*»  151  III;  n.*  1820,  fol.  455  IH,  513,  514,  514  IV,  517,  517  t.*,  517 
III,  517  IV,  488  IV]. 

(2)  Not.  Giovanni  Scazosi,  1458,  io  ottobre  —  not.  Filippo  Brenna» 
1488,  12  dicembre.  [Regesti  nei  Codici  Trivuleiani,  n."  1820,  fol.  522  IV 
é  D.*  /817,  fol.  254  IV], 

(3)  Lod.  Triv.,  n.^  1820,  fol.  516. 


224  APPUNTI   E    NOTIZIE 


che  mi  volìando  ìnsire  fora  di  cassa  per  alcuno  mio  bisogno  e  visto 
in  celo  una  stella,  la  quale  dimostrava  da  essere  grande  corno  sareve 
la  bocha  de  una  zania  et  insiva  fora  una  fìama  cossi  grande  quanto 
fareve  due  grande  fornase  che  fossero  acesse  di  grande  fogo,  e  donda 
a  mi  parìva  che  la  fosse  sopra  di  Milano  e  la  prima  volta  che  la 
viste  fò  a  XXVI  dì  de  marzo,  vegniando  la  domenega  di  nocte  e 
quando  l'ave  vista,  quelo  che  a  my  parse  anday  e  si  domanday  iney 
compagny.  Anchora  puy  gi  haviva  duj  altri  frati  foresteri,  l'uno  di 
queli  sta  a  Sancta  Maria  di  Rivanta  e  l'altro  a  Sancta  Maria  di  Vi- 
golzono  si  che  tuti  per  ordine  gè  fece  videro  questo  miracholo  si  che 
a  my  me  pare  che  may  non  fosse  el  mazore  signale  di  questo,  ex- 
cepto  el  profondo  di  Godoma  (sic)  e  de  Sodoma  e  del  signo  che  fece 
Helia.  Sicché  a  my  me  pare  che  Dio  habia  terminato  da  lasare  cor- 
rere questa  disgratia  sopra  de  nuy,  si  pratige  mò  quelo  provedimento 
che  piase  a  la  Sig.^t  V.r»  Ultra  de  questo  e'  ve  haviso  che  questi 
nostri  frati  di  Lombardia  si  ano  facto  capitolo  de  volere  impetrare 
uno  provilegio  del  Sancto  Padre  e  si  m'ànno  lecto  my  a  chi  che  sia 
indigno  procuradore  del  ordine  per  dovere  fare  cavare  queste  bolle 
sì  che  el  bisogna  che  la  Sig.^t  V.r«.  gi  meta  mano  con  lo  Sancto  Padre 
de  recomodarnege  che  ne  li  volia  concedere  per  che  questo  che  fa- 
cemo  el  facemo  per  prò  vedere  a  molti  tristi  che  vano  fazando  de 
"  molti  scandoly,  ben  che  mi  ho  volia  che  passando  pascua  da  vegnire 
"  da  la  Sig.ri*  V.r»  e  dirove  a  bocha  più  suctillemente  che  non  ve  scrivo, 
"  avisandove  che  dì  e  nocte  non  me  vedo  stancho  da  fare  orazione  a 
"  Dio  per  vuy,  e  per  la  cassa  vostra,  perchè  me  vedo  essere  strcto 
"  e  obligato  a  doverlo  fare.  Pregove  caritativamente  che  ve  aricordate 
"  de  li  facti  nostri  de  l'ordine  che  desseve  Antonio  da  Piasenza  che 
non  he  andato  niente  a  siguicione,  ben  che  ne  scrìsse  una  lettera 
l'altro  dì  a  la  Sig."*  V.r»  e  non  habiemo  sentito  niente.  Facta  a  di 
XXX  de  Mazo,  MCCCCLXUI. 

Fra  Jacopo 
Ministro  in  sancto  Bernardino  in  Piasenza. 

A  tergo:  Sia  data  in  proprìa  mane  de  lo  Ulustrìssimo  prìncipo 
ducha  di  Milano.  , 

Importanti  documenti  sull'astrologia  pei  secoli  XV  e  XVI  conscr- 
vansi  in  buon  numero  nel  nostro  Archivio  di  Stato,  ed  una  parte  di  essi 
fu  in  diverse  riprese  studiata  dal  prof.  F.  Gabotto  il  quale  ne  compilò 
alcune  notevoli  memorie,  edite  nella  Rivista  di  filosofia  scientifica  (1889) 
e  nella  Letteratura  (1891). 

A.  Cappelll 

»  •  ^  La  fondazione  nel  1494  dell'  Oratorio  del  Luogo  Pio  dei 
VECCHI  E  dei  ricchi  PRESSO  LA  Cascima  PORTELLO.  —  Pubblicandosi  in 
quest'  Archivio  XXV.  1898,  p.  378,  una  lapide  inedita  del  1631  ed  un 
Codicetto   del  Pio  Luogo   dei  vecchi   e  dei  ricchi  di  San   Giovanni  sul 


« 


u 


APPUNTI    E    NOTIZIE  225 

Muro,  vicino  alla  Cascina  Portello,  io  esternava  l'avviso  che  la  fonda- 
zione di  quella  chiesuola  suburbana  fosse  dovuta  al  favore  sempre  go- 
duto dai  Deputati  di  quella  Congregazione  da  parte  dei  duchi  Visconti 
e  della  Casa  Sforzesca,  e  che  la  sua  edificazione  fosse  da  ascrivere 
piuttosto  al  XIV  che  non  al  XV  secolo. 

Nulla  poteva  arguirsi  al  riguardo  dai  pochi  resti  sopravanzati;  dopo 
il  restauro  del  163 1,  della  pristina  Cappella,  mancandovi  la  serraglia  della 
vòlta  absidale  né  residuandovi  capitelli  o  pietre  scritte  e  scolpite  che 
avrebbero  potuto  fornir  luce  in  argomento  ;  ma  ultimamente  lo  spoglio 
delle  Lettere  ducali  che  conservansi  nel  Civico  Archivio  ha  tolto  di 
mezzo  ogni  dubbio. 

Data  infatti  dal  1484,  e  così  dal  governo  del  giovane  duca  Gian 
Galeazzo  Maria  Sforza,  sotto  la  tutela  dello  zio  Lodovico  il  Moro,  la 
concessione  agli  Scolari  di  San  Giovanni  sul  Muro  di  costruire  una 
chiesa  o  cappella  alla  B.  V.  ed  ai  Santi  Rocco,  Sebastiano  e  Cristoforo  nel 
pasquaro  in  capo  al  borgo  di  San  Giovanni,  presso  la  "  sostra  ducale  „ 
in  un  remoto  luogo  disabitato,  né  il  duca  vi  ebbe  parte  che  per  la  re- 
lativa e  chiestagli  autorizzazione. 

Offriamo  pertanto,  qui  appresso,  a  rettifica  di  quanto  fu  riferito 
nel  1898,  il  testo  medesimo  della  lettera  ducale  in  questione,  colla  data 
del  6  luglio  1494. 

*  Concessio  scolarìum  Sancti   Johannis  supra    murum  construendi 

*  ecclesiam  sanctorum  Rochi,  Sebastiani  et  Christophori  in  capite  burgi 

*  sancti  Johannis.  „ 

•  Johannes  Galeaz  Maria  Sfortia,  Vicecomes,  Dux  Mediolani,  etc, 

*  Papié  Anglerieque  Comes  ac  Genue  et  Cremone  dominus.  Apud  nos 

*  nuper  per  nonnullos  Nobiles   istius  inclite  Urbis   qui  cedulam  nobis 

*  porrcctam  eorum  manibus  subscripserunt,  supplicatum  extitit,  ut  cum 

*  in  capite  burgi  divi  Johannis  supra  murum  Urbis  ipsius  existat  locus 

*  quidam  turpis  et  inhabitatus,  eis  concedere  velimus  quo  ibi  capellam 

*  ad  honorem  Virginis  Mariae  ac  Sanctorum  Rochi,  Sebastiani  et  Chri- 

*  stophori  edifìcari   facere   possint,   quemadmodum    clarius   ex    infra- 

■  scriptis  verbis  perspicere  poterit.  **  Ill.mo  et  E.mo  Signore,  hanno  de- 

■  liberato  parendo  a  V.  S.  li  gentilhomini  infrascritti  et  vicini  della  pa- 

*  rodila  de  Sancto  Johanne  sopra  el  muro  de  Mediolano  ad  reverentia 

■  et  devotione   de  la   Intemerata  et   gloriosa  Vergene   Maria   et  delli 

*  Sancti  Rocho^  Sebastiano  et  Cristophoro  di  fare  construere  una  Cap- 

*  pela  seu   devotione  nel   pasquaro  posto   et  sito  in   capo   del  burgo 

*  del  p.»  Sancto  Johanne  et  appresso  la  sostra  de  V.  S.  aciò  se  degnano 
"  pregare  Iddio  deffendi  quella  et  el  suo  popolo  de  Mediolano  da 
'  peste  et  altre  tribulationi,  supplicandogli  se  degna  la  prefata  V.  S. 
"  per  sue  lettere  patenti  dispensare  et  mandare  che  essa  opera  se  possa 

*  fare;  perché  sarà  summo  bene  d'uno  loco  abominoso  farlo  devoto  et 

*  sacro,  locché  credono  sia  mente  della  precitata  V.  S.,  la  quale,  obstan- 
'  dogli  cosa  alcuna,  se  gli  degna  derogare.  „  Nos  autem  perspicientes 

*  hoc  nonnisi   ad    decus  Urbis  pretacte  nostre  cedere    commodumquc 

Arch.  Stor.  Lomb.^  Anno  XXIX,  Fase.  XXXHI.  15 


226  APPUNTI   E    NOTIZIE 

"  ibi  commorantium  concernere;  et  quod  potissimum  est  ut  intercessione 
"  Virginis  Marie,  sanctorumque  ipsorum  Rochi,  Sebastiani  et  Christo- 
*^  phori,  apud  omnipotentem  deum  nostrum  epidimìe  hujus  contagium  ad 

•  nihilum  se  reducat,  decrevimus  supplicantibus  ipsis  annuere.  tenore 
**  ergo  presentium  eis  licentiam  concedimus  praedictam  capellam  in 
**  memorato  loco  edifìcari  faciendi  cum  juribus,  fundamentis  et  edifitiis 

•  opportunis,  aliquibus  in  contrarium  facientibus  non  obstantibus.  Man- 
"  dantes  Vicario  provisionum  Comunis  nostri  Mediolani,  ncc  non  duo- 
"  decim  ibidem  ac   reliquis  quibus  spectet:    quatenus  has  nostras  cofn- 

*  cessionis  litteras  firmiter  observent   et  observari  faciant.  in  quorum 

*  fìdem  presentes  fieri  jussimus  et  registrar!,    nostrique  sigilli  imprcs- 


*  sione  muniri. 


"  Datum  Mediolani  die  6  Julii  1484.  „ 

**  Signat.  Jo.  Galeaz,  Maria  dux  Mediolani.  , 

"  Subscripsit  :  B.  Chalcus.  „ 

Il  documento  non  ha  per  sé  bisogno  di  commenti,   ma  notisi  fra  i 

motivi  addotti  dai  richiedenti  quello  che  reputavano  essi  *  summo  bene  ^ 

d'uno  "  loco  abominoso  farlo  devoto  e  sacro,  ,  locchè  tornava  a  quei 

tempi  di  maggior  decoro  ed   abbellimento  della  città  nei  luoghi  meno 

curati  e  disadorni  della  sua  vasta  area. 

Diego  Sant'Ambrogio. 

/^  L'Alciato  a  Ferrara.  —  Nel  fascicolo  di  febbraio  del  Journal 
des  Savants  testé  pubblicato,  il  professor  Emilio  Picot,  avvalendosi  dei 
copiosi  materiali  inediti  recentemente  messi  alla  luce  da  Giovanni  Mar- 
tinelli e  da  Giuseppe  Pardi  intorno  alla  storia  dell'Università  di  Fer- 
rara, nonché  delle  anteriori  ricerche  del  Borsetti,  de]  Baruffaldi,  del 
Gennari,  del  Barbi-Cinti,  del  Bottoni,  del  Solerti,  del  Venturini,  dell'e- 
gregio consocio  nostro  conte  Gir.  Secco-Suardo,  torna  a  studiare  le  vi- 
cende di  quello  Studio  celebrato,  mettendo  in  luce  come  nei  sec.  XV  e 
XVI  vi  concorressero  dalla  Germania,  dalla  Francia,  dalle  Fiandre  mol- 
tissimi discepoli.  E  giovandosi  poi  delle  liste  di  studenti  pubblicate  dal 
Pardi,  richiama  particolarmente  l'attenzione  dei  connazionali  suoi  sui 
nomi  dei  Borgognoni,  dei  Savojardi,  dei  Delfinatesi  che  convennero  nu- 
merosi, nel  Cinquecento  soprattutto,  sulle  rive  del  Po,  porgendo  in- 
tomo a  loro  notizie  assai  ricche  ed  interessanti  con  quella  sicura  co- 
noscenza del  Rinascimento  francese  che  tutti  gli  riconoscono. 

Ma  le  erudite  indagini  del  .Picot  non  avrebbero  diritto  d'essere  qui 
menzionate,  se  nel  rendere  conto  dei  motivi  che  attirarono  in  precipuo 
modo  gli  studenti  stranieri  a  Ferrara  a  mezzo  il  sec.  XVI,  ei  non  ram- 
mentasse r  insegnamento  di  diritto  che  v'impartì  dal  1543  al  1546  il  ce- 
lebre giurista  milanese  Andrea  Alciato,  ed,  indottovi  dal  soggetto,  non 
pubblicasse,  desumendole  da  una  preziosa  raccolta  ms.  di  lettere  scritte 
a  Gian  Giorgio  Trissino  due  volgari  epistole  dell'Alciato,  evidente- 
mente giudicandole  inedite.  Nella  quale  persuasione  il  dotto  francese 
s'inganna,  giacché  entrambi  quei  documenti  —  le  uniche  lettere  in  voi- 


APPUNTI    E    NOTIZIE  237 

0  dell'Aiciato  —  furono  già  stampate  fin  dal 
Bossi,  in  appendice  alla  sua  versione  della  ce- 
,  Vita  t  pontificalo  di  Leone  X  (i.  X,  pp.  165-7), 
rio  poi  coli' e  rudi  zio  ne  che  gli  è  consueta,  il 
est'Archivio  medesimo,  illustrando  un  manipolo 
To,  indirizzate  dal  milanese  giureconsulto  a 
1,  1890,  pag.  812  e  827). 

del  Picot  viene  a  perdere  per  questo  rispetto 
sa  riesce  tuttavia  interessante,  giacché  ci  per- 

1  andata  a  finire  l'importante  silloge  di  lettere 
poranei  al  Trissino,  di  cui  il  Bossi  s'era  sugli 
iT^ito.  Essa  fa  oggi  parte  dei  tesori  bibliografici 
lati  dal  barone  Enrico  di  Rotschild  a  Parigi, 
all'occasione  che  ci  si  porge  di  parlar  dell'AI- 
lese,  per  annunziare  che  il  doti.  Ottavio  Ciar- 
la R.  Accademia  scientifico-letteraria ,  sta  da 
i  all'uopo  di  ricostruire  sopra  nuovi  fondamenti 
Del  quale  assai  probabilmente  ei  darà  alcres) 
irteggio  inedito  col  dotto  svizzero  Bonifazio 
'va  autografo  nel  codice  G.  H.  14  della  biblio- 
lilea. 

5)  fu  l'inventore,  come  si  sa,  del  magnetismo 
tiano  Giraud,  nato  in  Pinerolo  nel  1730  e  morto 
r,  cercò  d'imrodorlo  nel  Piemonte. 
andò  con  '  nuovi  documenti  ,  sul  Giraud,  nel 
IO  (a.  VI,  n.'  3-6,  pag.  356],  produce  un  catalogo 
<  state  istruite  nella  dottrina  mesmeriana  dal 
in  *  Gabelli,  medico  delta  città  di  Cremona.  , 


iglia  milanese,  nota  con  sicurezza  dal  XII  se- 
e  coBte  Egidio  0«io,  del  quale  rimpiangiamo  ora 

>  giugno  1840,  ebbe  la  sua  educazione  nel  Col- 
ito  dai  Padri  barnabiti.  Il  padre  Piantone,  suo 
li  frequente  in  casa  del  conte  Dandolo,  dove 
ilio  Dandolo,  superstite  di  una  prima  genera- 
eva  combattute  le  battaglie  delle  guerre  del- 
1849.  Studente  all' uniTcrsità  di  Pavia  nell'in- 
ccenno  ad  una  guerra  contro  l'Austria,  intcr- 
I  Ticino  e  va  ad  arruolarsi  volontario  nella  bri- 
f>Uce  soldato  combatti  alla  battaglia  di  Palestro, 
a  entrò  nella  R.  Accademia  militare  donde  rì- 
eato  col  grado  di  sottotenente.  Prese  parte  alla 


,(•■ 


228  APPUNTI    E    NOTIZIE 

campagna  nell'Italia  meridionale  e  fu  all'assedio  di  Capua,  dove  ebbe 
la  menzione  onorevole  al  valor  militare.  Nel  1863  fu  trasferito  col  grado 
di  luogotenente  nel  Corpo  di  Stato  Maggiore,  e,  promosso  capitano, 
nel  1867-68  fu  mandato  al  quartier  generale  di  Sir  Robert  Napier  per 
partecipare,  quale  rappresentante  militare  del  nostro  paese,  alla  spedi- 
zione in  Abissinia  contro  il  Re  Teodoro.  Di  tale  sua  missione  egli  ci 
diede  un  racconto  che  comparve  nel  Bollettino  della  Società  Geografica 
del  1869  e  fu  ripubblicato  dalla  Rivista  Militare  Italiana  nell'aprile  del 
1887,  allorquando  i  fatti  di  queir  anno  erano  venuti  a  ridargli  un  altro 
interesse  di  attualità.  Col  generale  Ezio  de  Vecchi  ebbe  parte  ai  lavori 
geodetici  in  Sicilia,  coi  quali  venne  iniziata  la  carta  d'Italia. 

Fu  al  ministero  della  guerra  col  gen.  Ricotti  e,  più  tardi,  al  Comando 
del  Corpo  d' armata  di  Verona  col  generale  Pianell.  Nel  1879  venne 
mandato  a  Berlino  quale  addetto  militare  presso  la  R.  Ambasciata, 
posto  che  abbandonò  dopo  due  anni  per  assumere  l' incarico  dell'  istru- 
zione ed  educazione  di  S.  A.  R.  il  Principe  di  Napoli.  Attese  al  deli- 
cato ed  importante  compito  per  9  anni,  e  cioè  fino  al  1890,  epoca  nella 
quale  ebbe  il  comando  del  18.'  reggimento  fanteria.  Fu  promosso  mag- 
giore generale  nel  gz,  comandando  la  brigata  Bergamo,  a  Genova  e 
ad  Udine.  Nel  1898  tenente  generale,  resse  per  qualche  tempo  la  di- 
visione militare  di  Brescia»  indi  quella  della  sua  Milano  che  tenne  sino 
alla  morte. 

Tali  sono  in  riassunto  le  linee  principali  della  vita  militare  di  que- 
sto illustre  soldato  intorno  alla  quale  diffusamente  si  scrìsse  in  questi 
giorni.  A  noi  il  ricordare  in  ispecial  modo  l'operosità  sua  nel  campo 
storico,  che  lo  fece  accogliere  da  lungo  tempo  fra  i  membri  della  So- 
cietà Storica  Lombarda.  Col  nostro  compianto  presidente  Felice  Calvi 
ebbe  dimestichezza  e  comunanza  di  lavoro.  Frutto  delle  sue  lunghe  e 
faticose  ricerche  negli  Archivi  cittadini  fu  la  Storia  della  famiglia  Osio, 
pubblicata  nel  giugno  1896.  Essa  porta  nuova  luce  intorno  alle  vicende 
della  monaca  di  Monza  e  costituisce  un  prezioso  contributo  alla  nostra 
stona  comunale.  Questo  lavoro  deirOsio  dimostra  una  grande  sicurezza 
di  metodo  critico  ed  una  vera  attitudine  a  questo  genere  di  studi  nei 
quali  avrebbe  raggiunto  un  posto  eminente  se  le  gravi  occupazioni  del 
suo  servizio  non  avessero  assorbito  troppa  parte  della  sua  grande  atti- 
vità. Da  questa  sua  attitudine  gli  fu  per  altro  reso  possibile  di  impar- 
tire  una  larga  e  solida  cultura  storica  air  Augusto  discepolo,  nel  quale 
trasfuse  la  passione  per  la  numismatica,  come  mezzo  geniale  per  se- 
guire le  intricate  vicende  del  medio  evo  italiano.  Nei  brevi  ozi  conces- 
sigli, si  dedicava  l'Osio  con  amore  allo  studio  della  storia,  ed  in  tale 
intento,  aveva  raccolto  nella  sua  casa  di  Monza  un  gran  numero  delle 
migliori  opere  storiche.  Quest'uomo,  dotato  di  una  mente  essenzial- 
mente moderna,  aveva  il  culto  delle  sane  tradizioni  ed  alternava  abi- 
tualmente alla  lettura  dei  sacri  testi  quella  dei  classici,  sovrattutto  latini. 


O  P  £&  IS 

pervenute  alla  Biblioteca  Sociale  nel  I  trimestre  del  1903 


Annual  Report  of  the  American  Historical  Association  1889.  Voi.  2.  — 
Washington,  1900  (d.  d.  Società). 

Beltraio  Luca.  Relazione  sullo  stato  delle  Rocche  di  Romagna,  stesa 
per  ordine  di  Clemente  VII,  etc.  (Nozze  Greppi-Belgioioso).  —  Mi- 
lano, 1902  (d.  d.  A.). 

Bernhardy  a.  a  Venezia  e  il  Turco  nella  seconda  metà  del  sec.  XVII. 

—  Firenze,  1902  (d.  d.  A.). 

Bianchi  Giovanni.  Giulio  Alberoni  e  il  suo  secolo.  —  Piacenza,  1901 
(d.  d.  Stab.  Tipogr.  Piacentino). 

Calleri  Dino.  Statuti  del  Comune  di  Treville  nel  Monferrato.  —  Ales- 
sandria, 1901  (d.  d.  A.). 

Carreri  F.  C.  Il  faldello  di  Ayliscia  da  Dovara.  —  Mantova  (d.  d.  A.)- 

Catalogo  Me.odico  degli  scritti  contenuti  nelle  pubblicazioni  periodiche 
italiane  e  straniere.  P.  I.  (Biografia  e  Critica).  IV  Supplemento.  — 
Roma,  1902  (d.  d.  Biblioteca  della  Camera  dei  Deputati.). 

Colombo  Alessandro.  Bianca  Visconti  di  Savoia  e  la  sua  signoria  di 
Vigevano.  —  Pavia,  1901  (d.  d.  A.). 

Constitutiones  Dominii  Mediolanensis,  con  appendice  di  documenti  di 
mano  dei  secoli  XVI-XVII.  —  Mediolani  MDLXXIII  (d.  d.  s.  Novati). 

Festi  (de)  Cesare.  Di  un  Lodrone,  etc.  (E^tr.  dal  Tridenium).  —  1901 
(d.  d.  A.). 

HallerJ.  Die  Belehnung  Renés  von  Anjou  mit  dem  KOnigreich  Neapel 
(143J6).  —  Rom,  1901  (d.  d.  Editore  Loscher). 

Lasson  Adolf.  Giordano  Bruno.  Von  der  Ursache  dem  Princip  und  dem 
Einen.  —  Leipzig,  1902  (d.  d.  Editore). 

LocATEui  Giuseppe.  Marco  Alessandri,  direttore  cisalpino  (con  lettere 
inedite  del  Mascheroni).  —  Bergamo,  1902  (d.  d.  A.). 

Maotu  (la)  Vito.  Testo  antico  delle  Consuetudini  di  Messina,  etc.  — 
Palermo,  1902  (d.  d.  A.). 

Milano  Sanitaria.  —  Anno  VII,  1902  (d.  d.  A). 

Mojana  (de)  Alberto.  La  base  de  Tuto.  —  Monza,  1901  (d.  d.  s.  A.). 

Motta  Emiuo.  Alcune  lettere  di  Illustri  Italiane  etc.  (Nozze  Castelli 
Mailer).  —  Bellinzona,  1901  (d.  d.  s.  A.). 

Norme  generali  per  la  pubblicazione  dei  testi  Storici  per  servire  alle 
edizioni  della  R.  Deputazione  di  Storia  Patria  i>er  le  antiche  Pro- 
vincie e  la  Lombardia.  —  Torino,  1902  (d.  d.  s.  Novati). 

Poggi  G.  Le  due  riviere  ossia  la  Liguria  Marittima  nell'epoca  Romana. 

—  Genova,  1901  (d.  d.  A). 

Poca  VrrroRio.  Series  Rectorum  Reipublicae  Genuensis,  etc.  etc.  —  To- 
rino, 1900  (d.  d.  A.). 

Primo  Centenario  di  Vincenzo  Gioberti.  Discorsi  commemorativi.  Ren- 
diconto ai  sottoscrittori.  —  Torino,  1901  (d.  d.  s.  Novati). 

RiBOLDi  Ezio.  Pinamonte  da  Vimercate.  —  Vimercate,  1901  (d.  d.  s.  A.). 


230  OPERE   PERVENUTE   ALLA  BIBLIOTECA   SOCIALE 

R6HRICHT  R.  Geschichte  des  ersten  Kreuzzuges  —  Innsbruck,  Wa- 
gner, 190 1. 

—  Marino  Sanudo  sen.  als  Kartograph  Palàstinas. 

~  Deutsche  Pilgerreisen  nach  dem  Heiligen  Lande.  Neue  Ausgabe. 
Innsbruck,  1900  (d.  d.  s.  Motta). 

v^/v  Rotta  Paolo.  Aggiunte  alle  gite  archeologiche.  —  Milano,  1901  (d.  d.  s.  A.). 

Sant'Ambrogio  D.  Sull'ordinazione  dei  confratelli  della  concezione  etc. 
(Estratto).  —  Pavia,  1901  (d.  d.  s.  A.). 

Savio  Fedele.  Il  culto  di  S.  Vittore  a  Ravenna.  —  Roma,  1901  (d.  d.  s.  A.). 

Starrabba  R.  Consuetudini  e  Privilegi  della  città  di  Messina,  da  un 
codice  del  secolo  XV  della  Comunale  di  Palermo.  —  Palermo  1901 
(d.  d.  A.). 

Dal  Vice-presidente  March.  C.  E.  Visconti: 

Arrigoni  Luigi.  Collezione  di  autografi.  —  Milano,  1885. 

Bembo  Pietro.  Della  Istoria  Viniziana.  Voi.  a.  —  Milano,  1809. 

Bentivoguo  (card.  Guido).  Oi>ere  Storiche.  Voi.  5.  —  Milano,  1807. 

Cambiaghi  Locatelo  C.  Dalle  origini  alla  proclamazione  del  Maji.  — 
Conferenza. 

Cantù  Cesare.  Gli  Annali  della  Fabbrica  del  Duomo.  Memoria. 

Concini  Concino,  maresciallo  d'Ancre.  Memoria  inedita.  —  Milano,  1847. 

Davanzati  Bernardo.  Scisma  d'Inghilterra  ed  altre  oi>erette.  —  Mi- 
lano, 1807. 

Gay  Roboldo.  La  terza  Italia.  Saronno,  1888. 

Machiavelli  Niccolò.  Tutte  le  opere.  Voi.  10.  —  Milano,  1809. 

Martinez  de  la  Rosa.  La  congiura  di  Bajamonte  Tiepolo  in  Venezia. 
Versione  di  F.  Sanseverino.  —  Milano,  1844. 

MiGNET  M.  Antonio  Perez  et  Philippe  II.  —  Bruxelles,  1845. 

Porro  Giulio.  Il  Conte  Faustino  Sanseverino.  —  1878. 

Salveraguo  Fnjppo.  Il  Duomo  di  Milano.  —  Milano,  1886. 

Sanseverino  Faustino.  Notizie  sulla  vita  e  le  ojjere  di  Placido  Zurla.  — 
Milano,  1857. 

—  Francesco  Lucchi.  Cenni  Biografici.  —  Crema,  1848, 

Segni  Bernardo.  Storie  Fiorentine,  colla  vita  di  Niccolò  Capponi,  3  voi. 
—  Milano,  1805. 

Segur.  Histoire  de  Napoleon  et  de  la  grande  arnfiée,  2  voi.  —  Paris,  18^15. 

Sommi  Picenarni  Guido.  Cremona  durante  il  dominio  de'  Veneziani.  — 
Milano,  1866. 

Siciliani  Cesira.  Una  visita  agli  Ossari  di  S.  Martino  e  Solferino.  — 
Bologna,  1881. 

Varchi  Benedetto.  Storia  Fiorentina,  voi.  5.  —  Milano,  1804. 

Dal  Socio  Cav.  E.  Ghisi  : 

Annoni  P.  C.  Un  plagio  dello  storico  Bernardino  Corio.  —  Milaho,  1875. 
Beltrami- Moretti.  Visita  alla  Certosa  di  Pavia.  —  Milano,  ig^. 
Casati  C.  I  capi  d'arte  di  Bramante  da  Urbino.  —  Milano,  1870. 
Longoni  Glvcinto.  Cenni  sui  dipinti  di  Marco  d'Oggiono.  —  Lecco,  1858. 
Massarotti-Neri.  Gaudenzio  Ferrari.  —  Varallo,  1874. 


OPERE   PERVENUTE   ALLA  BIBLIOTECA   SOCIALE  23I 

Dal  Socio  Gian  Franco  Cagnoni  : 

Annuario  Statistico  della  Provincia  di  Milano.  —  1860. 

_  Archi  (Gli)  di  Porta  Nuova.  —  Memoria  della  Consulta  del  Museo  Patrio 
di  Archeologia. 

—  Discorso  di  D.  Muoni  alPAccad.  Fisio-Medico-Statistica. 

—  Rapporto  della  Com.  del  R.  Istit.  Lomb.  di  Scienze  e  Lettere. 
BiojfDELLL  Importanza  degli  Studi  Archeologici  in  Lombardia. 

—  Di  una  Tomba  Gallo  Italica  a  Sesto  Calende. 

Bdlettino  di  notizie  statistiche    ed   economiche.    —    17  Fase,  del  1833, 
e  1834. 

Bossi  Giuseppe.  Descrizione  del  Monumento  di  Grastone  di  Foix. 

Conto  dell*Amministr.  delle  Finanze  del  Regno  d'Italia  nel  181 1. 

Galleria  Uboldo.  —  Descrizione  di  alcune  opere  di  Belle  Arti. 

Guerrazzi.  Al  Principe  ed  al  Po|>olo.  —  Intorno  allo  stato  delle  cose 
in  Toscana.  —  1847. 

Maittovanl  Notizie  storiche  sulla  Chiesa  di  S.  Salvatore  in  Barzanò. 

Marocco.  Cenni  storici  sulla  Porta  Milanesia  di  Moncalieri. 

Pro  Caussa  Italica  —  ad  Episcopos  Catholicos.  —  1861. 

Regolamento  f>ei  conti  dei  Comuni  approvato  da  S.  A.  I.  il  serenissimo 
Arciduca  Viceré  con  Decreto  28  Giugno  1821. 

Spettatore  (Lo).  —  Varietà  Storiche  e  Letterarie  del  Sig.  Malte-Brun. 
37  Fase,  del  1804  e  1806. 

Dal  Socio  Conte  Giovanni  Giovio: 

Magenta  Carlo.  I  Visconti  e  gli  Sforza  nel  Castello  di  Pavia.  2  voi  in 
fol.  mass.  .ili.  —  Milano,  Hoepli,  1883  (In  legatura  splendida). 

Dal  Socio  Dott.  Giovanni  Vergani  : 

Vagliano  (G.).  Sommario  delle  Vite  degli  Arcivescovi  di  Milano.  —  Mi- 
lano, 1715. 
Muom  (D.).  Melzo  e  Gorgonzola.  —  Milano,  1866. 

Grandi  (E.).  L'Osjjedale  maggiore,  il  P.  Istituto  Ciceri.  —  Milano,  1898. 
Maritccw  (O.).  Scavi  nelle  catacombe  romane.  —  Roma,  1890. 
AjKaouNi  (C).  La  Galleria  De  Cristoforis.  —  Milano,  s.  a. 
Castelu  (aw.  G.).  La  beneficenza.  Inno  Ambrosiano.  —  Milano,  1901. 

J5  mar^o,  rgo2. 

li  Bibliotecario 

B.  Sanvisenti. 


Achille  Martelli,  gerente-responsabile. 


UNA  LISTA  DI  VESCOVI  ITALIANI 

PRESSO  S.  ATANASIO 


ssENDo  COSÌ  rari  i  documenti  riguardanti  i  vescovi  dei 
primi  secoli  cristiani,  può  far  meraviglia  che  niuno  fi- 
nora (per  quanto  a  me  consta)  abbia  fatto  oggetto  dei 
suoi  studi  e  delle  sue  ricerche  una  lista  di  ben  15  vescovi  italiani, 
che  si  trova  presso  S.  Atanasio. 

Quest'  illustre  campione  della  dottrina  cattolica,  scrivendo  nel 
349  la  sua  Apologia  contro  gli  Ariani  (i),  riporta  i  nomi  di  un  con- 
siderevole numero  di  vescovi,  i  quali  avevano  qualche  anno  prima 
difesa  la  sua  fama  dalle  calunnie  dei  suoi  nemici.  Chi  anche  per  la 
prima  volta  prenda  in  mano  quella  serie,  vede  tosto  come  in  essa  vi 
siano  due  liste  o  cataloghi.  Nel  primo  stanno  mescolati  insieme  alla 
rinfusa  vescovi  di  tutte  le  parti  del  mondo  ;  nel  secondo  al  con- 
trario i  vescovi  sono  raggruppati  distintamente  sotto  l'indicazione 
delle  Provincie  a  cui  appartenevano. 

Gli  eruditi  fratelli  Ballerini  nei  documenti  ed  illustrazioni  che 
aggiunsero  alle  opere  di  S.  Leone  Magno,  già  osservarono  che 
i  78  vescovi  del  primo  catalogo  furono  (o  tutti  o  per  la  massima 
parte)  quelli  che  personalmente  assistettero  al  concilio  di  Sardica, 
siccome  si  riscontra  dalle  loro  sottoscrizioni  a  questo  concilio.  Al 
contrario  la  seconda  serie  contiene  i  nomi  di  quei  vescovi,  che 
sebbene  non  intervenissero  al  concilio,  pure  vi  aderirono,  proba- 
bilmente per  mezzo  di  lettere  o  atti  compilati  in  comune    nei  con- 

(i)  È  quella  che  nelle  antiche  edizioni  dicesi  seconda  apologia.  Essa 
fu  scrìtta  in  tempo  anteriore  all'altra^  che  le  antiche  edizioni  dicevano 
prima  apologia,  e  che  ora  dicesi  apologia  de  fuga  sua. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXTX,  Fase.  XXXIV.  16 


234  U^A    LISTA   DI    VESCOVI 

cilii  particolari  delle  loro  province  (i).  Tal  distinzione  è  conforme 
alle  parole  di  S.  Atanasio,  il  quale  dopo  aver  riportato  un  decreto 
del  concilio  di  Sardica,  sottoscritto  da  Osio  e  da  tutti  gli  altri  ve- 
scovi presenti,  e  detto  che  il  concilio  mandò  quel  decreto  a  coloro, 
che  non  avevano  potuto  intervenire  e  che  questi  l'approvarono, 
soggiunge  :  «  1  nomi  dei  vescovi  che  sottoscrissero  nel  sinodo  e  degli 
altri  vescovi  (cioè  dei  vescovi  assenti  che  approvarono),  sono  i  se- 
guenti »  (2).  Seguono  quindi  i  due  cataloghi. 

Quanto  air  Italia  è  certo  che  nel  primo  catalogo  si  leggono  i 
nomi  di  tutti  i  vescovi  italiani  che  apposero  la  loro  sottoscrizione 
al  concilio  di  Sardica.  Cinque  di  essi  appartengono  all'  Italia  su- 
periore, cioè  Protasio  di  Milano,  Severo  di  Ravenna,  Fortunaziano 
d'Aquilea,  Lucilio  di  Verona  e  Ursicino  di  Brescia.  Gli  altri  ve- 
scovi d' Italia,  scritti  nel  secondo  catalogo,  furono  collocati  da 
S.  Atanasio  sotto  l' indicazione  :  Iti  canali  Italiae,  'Ev  ?w  xava'X{6> 
T^;  iTaXta;.  Che  questo  sia  un  nome  topografico  per  indicare  una 
parte  d'Italia  è  evidente,  poiché,  se  i  vescovi  ivi  posti  avessero 
appartenuto  indifferentemente  a  tutte  le  varie  parti  d'Italia,  bastava 
che  S.  Atanasio  dicesse  Ex  Italia  o  In  Italia.  Quest'indicazione, 
che  si  trova  pure  nel  canone  XX  del  concilio  di  Sardica  (XI  se- 
condo la  collezione  di  Dionigi  il  piccolo)  formò  già  il  tormento  di  un 
collettore  di  canoni  del  medio  evo,  il  quale  così  espresse  la  sua  in- 
certezza :  Illud  etiam  omnino  dtnoscere  desidero^  qualiter  illud  intel- 
ligendum  sii  quod  in  Sardicensi  concilio  cap,  XI  legitur:  «  ut  qui 
in  canali  sunt  episcopi  ». 

La  spiegazione,  vanamente  desiderata  dallo  scrittore  anonimo 
medioevale,  fu  data  finalmente  nel  1622  al  mondo  erudito  dal  Bergier 
nella  sua  grand'  opera  sulle  strade  dei  Romani,  pur  professando- 
sene modestamente  debitore  ad  un  altro  erudito,  il  Salmasio.  Se- 
condo il  Bergier,  la  parola  cattale  nel  canone  XX    del    concilio  di 


(i)  MiGNE,  P.  L.,  LVI,  56.  I  medesimi  Ballerini  da  questa  lista  di 
S.  Atanasio  e  da  altri  documenti  trassero  i  nomi  dei  vescovi  presenti 
a  Sardica.  In  tutto  sarebbero  stati  97  ;  vedi  iòid.  e  Mansi,  Concilia,  III,  43. 

(2)  Hoc  suum  rescriptum  Sardicensis  synodus  ad  illos  misif,  quibus 
accedendi  facultas  non  esaet  (p.*^  SovY^^tvta':  àitavrijoat),  qui  et  ipsis  suf- 
fragiis  suis  decreta  synodi  approbarunt,  Eorum  autem  qui  in  synodo 
scripseruntf    aliorumqne  episcoporum   nomina  haec  sunt/    Migne,  P.  G. 

XXV,  335. 


\ 


\ 


PRESSO   S.    ATANASIO  235 

Sardica  significa  una  grande  via  pubblica,  anzi  come  meglio  spiega 
il  Ducange,  quella  strada  principale  che  metteva  alla  corte,  le 
chemin  de  la  Cour,  su  cui,  come  osserva  lo  Hennin,  nelle  note  al 
Bergier,  era  stabilito  il  cursus  publicus  (i). 

Siffatta  spiegazione  per  quel  che  riguarda  il  suddetto  canone  XX 
apparisce  indubbia  a  chi  ne  consideri  attentamente  tutto  il  contesto. 

Erano  intenti  i  PP.  del  concìlio  Sardicese  a  stabilire  delle  norme 
per  impedire  che  i  vescovi  troppo  frequentemente  abbandonassero 
le  loro  diocesi,  affin  di  recarsi  altrove,  e  specialmente  alla  corte, 
come  allora  appunto  avevano  fatto  e  facevano  i  vescovi  ariani,  con 
tanto  danno  della  religione  e  della  pace  pubblica. 

Gaudenzio,  vescovo  di  Naisso,  ora  Nisch  nel  regno  di  Serbia, 
fece  la  seguente  proposta,  che  fu  accettata  dal  concilio  e  rimase 
nel  canone  XX:  «  Se  noi  vescovi,  che  residiamo  presso  le  vie  pub- 
bliche oppure  presso  il  canale,  sapremo  che  passa  per  la  nostra 
città  un  vescovo,  ci  informeremo  da  lui  della  cagione  per  cui  viaggia 
e  del  luogo  al  quale  vuol  giungere.  Se  egli  vuol  andare  alla  corte 
si  ricerchino  i  motivi  che  ve  lo  spingono,  in  conformità  di  quanto 
si  è  stabilito  sopra  (nel  canone  VII).  Se  egli  va  per  invito  dell* im- 
peratore, non  lo  si  impedisca.  Ma  se  vi  andasse  per  pompa,  o  per 
altri  motivi  puramente  umani  (come  già  fu  dichiarato  sopra  da  noi) 
oppure  per  intercedere  in  favore  di  qualcuno,  il  vescovo,  che  sta 
presso  le  strade  o  il  canale,  non  sottoscriva  le  sue  lettere  commu- 
nicatorie,  né  abbia  relazione  con  lui  »  (2). 

Si  osservi  che  Gaudenzio  si  mise  nel  numero  di  quei  vescovi 
che  stavano  presso  il  canale.  In  effetto,  a  Naisso  facevano  capo 
parecchie  strade  principali  dell*  impero,  e  tra  esse  anche  quella 
che  metteva  in  diretta  communicazione  tra  loro  le  città,  dove  in 
quel  secolo  IV  furono  più  soliti  a  risiedere  gli  imperatori,  ossia  Co- 
stantinopoli, Sirmio,  Aquileia,  Milano,  Lione,  Treveri,  Arles  e  Roma. 
Tenendo  conto  di  questa  circostanza  e  riflettendo  alla  differenza, 
che  nel  suo  discorso  fece  Gaudenzio  tra  il  canale,  e  le  altre  grandi 


(i)  Bergier,  De  public is  et  militaribus  Romanorum  viis,  in  Antiqui- 
tatts  Romanae  I.  G.  Graevu,  lib.  IV,  18^  9.  Trajéct.  ad  Rhen.,  1699, 
to.  X,  p.  I,  p.  454  e  760  ;  Ducange,  Glossariunt,  ed.  I^nschel-Favre, 
Niort,  1883,  voi.  IF.  p.  7r. 

(2)  Mansi,  Co ft citta,  III,  22. 


I 


236  UNA   LISTA   DI   VESCOVI 

strade  pubbliche,  ch'egli  chiama  semplicemente  T^opó&oi  (i),  non  ri- 
mane più  dubbio  sull'interpretazione  data  dal  Bergier  e  dal  Du- 
cange  alla  parola  canale,  per  ciò  che  spetta  al  canone  XX  del 
concilio  di  Sardica.  Ond'esso  dovrebbe  tradursi  così:  Noi  ve- 
scovi che  dimoriamo  in  città  poste  sulle  grandi  strade  o  su  quella 
principalissima  (detta  il  canale)  che  mette  in  communicazione  tra 
loro  le  città  più  importanti  dell'  impero,  ecc. 

Un  significato  simile  ha  pure  la  parola  canale  nel  testo  di  S.  Ata- 
nasio. Però  varie  considerazioni  m' inducono  a  pensare  che  il  S.  Dot- 
tore con  le  parole  nel  canale  d' Italia  non  volesse  solo  indicare 
la  suddetta  strada  principalissima,  ma  sì  piuttosto  che  intendesse 
tutta  una  parte  d'Italia,  ossia  quella  che  in  modo  particolare  era 
solcata  dalla  strada  medesima.  In  tale  ipotesi  canale  d' Italia  sa- 
rebbe r  Italia  superiore,  dove  si  stendeva  la  via  principalissima  tra 
tutte,  che  dall'Oriente  per  Aquileia  metteva  a  Milano,  e  da  Mi- 
lano in  Germania,  in  Gallia,  nella  Spagna  e  per  tutte  le  varie  dire- 
zioni della  penisola  italiana  (2).  Onde  nel  pensiero  di  S.  Atanasio 
l'indicazione:  In  catiali  Italiae  sarebbe  equivalente  a  quella  parte, 
d' Italia,  che  nel  linguaggio  ufficiale  dicevasi  diocesi  d' Italia,  e  com- 
prendeva tutta  la  gran  valle  del  Po  sino  a  Sinigalia  inclusive  e 
la  Liguria,  per  opposizione  alla  diocesi  di  Roma,  a  cui  apparte- 
nevano la  Toscana,  il  resto  del  continente  e  le  grandi  isole.  Questa 
conclusione  non  potrebbe  darsi  come  certa  se  non  provando  prima, 
che  i  vescovi,  nominati  da  S.  Atanasio  sotto  la  designazione  nel 
canale  d*  Italia^  stavano  veramente  nella  diocesi  d' Italia.  Or  chi 
conosca  quanto    siano   lacunose    le    liste  episcopali   dei  secoli  più 

Questa  difierenza  non  apparisce  nella  versione  del  concilio  di  Sardica, 
fatta  da  Dionigi  il  piccolo,  la  quale  porta  semplicemente  :  Unusquisque 
nostrum  qui  in  canali  constUutus  est.  Onde  forse  per  essersi  servito  di 
questa  traduzione,  il  Goiofredo  interpretò  •  canale  »  per  via  trasversale. 
Così  pure  errarono  i  Maurini,  nella  nota  a  questo  luogo  di  S.  Atanasio, 
intendendo  ■  canale  »  per  via  trasversale  in  opposizione  a  via  regia, 
mentre  il  vero  senso  è  precisamente  il  contrario.  È  rincrescevole  che 
l'Hefele,  nc.'la  sua  pregiata  Storia  <iVi  Concihi,  Friburgo,  Herder,  1873, 
voi.  1,  p.  Ó04,  abbia  seguilo  Dionigi  il  piccolo,  meno  esatto. 

\z)  Si  vegga  in  particolare  V  itintrario  if  Antonino,  che  nel  segnare 
le  distanze  tra  ì  punti  principali  delle  granviì  strade  spesso  comincia 
le  sue  indicazioni  da  Milano. 


PRESSO   S.   ATANASIO  237 

antichi,  ben  capirà  che   una  prova  intera  e  compiuta  per  tutti  quei 
vescovi  è    impossibile.  Con  tutto    ciò  le  notizie,  che  ho  qui   radu- 
nate sopra   le    parte   maggiore   dei  vescovi    nominati  da   S.  Ata- 
nasio, sono  tali  da  renderla  probabile,  ed  io  m'induco  a  pubblicarle 
neir  intento,  ch'esse  servano  ad  altri,    e  specialmente  a  chi  si  oc- 
cupa di  storie  municipali,  come  addentellato  per  nuove  proposte  e 
nuovi  risultati,  che  diano  modo  di  giungere  alla  desiderata  conclu- 
sione, illustrando  nello  stesso  tempo  la  storia  dei  vescovi  antichi. 
Ecco  dapprima   i  nomi  secondo  il  testo   greco.  'Oi   ev  rcij  x«- 

n)itù  Tf,;  'iTaXCo;,  npo^àTto;,  BtaTOp,  4>axouv8{vo;,  'Iftxjli?,  NoupiTi- 
Jio;,  Sttsoìvtio;,  2ep91po;,  'HpaxXstxvò; ,  <l>a'j<7fCvo;,  'AvTWvtvo;,  *Hpà- 
ùjm;,  OiKTàXto;,  4>ifiXt$,  KpYi<77;Tvo;,  Tlx\jhx^6;.  In  latino  sarebbero: 
Probatius,  Viator,  Facundinus,  loseph  (o  loses),  Numedius,  Spe- 
rantius,  Severus,  Heraclianus,  Faustinus,  Antoninus,  Heraclius, 
Vitalius,  Felix,  Crispinus,  Paulianus  (i). 

Eccetto  Felice,  niun  altro  dei  suddetti  nomi  si  trova  nelle  liste 
dei  vescovi  dell'  Italia  centrale  o  meridionale  sì  presso  il  Gams 
die  presso  altri  scrittori.  Al  contrario  la  più  parte  dei  nomi  stessi 
si  riscontrano  tra  i  vescovi  dell'Italia  settentrionale  e  della  dio- 
cesi d' Italia,  come  ora  appunto  dirò. 

Uno  di  essi  si  può  identificare  con  certezza  ed  è  Crispino, 
di  cui  sappiamo  da  S.  Atanasio  ch'era  già  vescovo  di  Padova  poco 
prima  del  concilio  di  Sardica,  ossia  poco  prima  della  fine  del  343, 
e  governava  ancora  quella  chiesa  nel  356  (2). 

Eracliano  dagli  storici  pesaresi  è  considerato  come  il  terzo  ve- 
scovo della  loro  città.  Nella  sua  leggenda  si  dice  ch'egli  era  stato 


(1)  MiGNE,  P.  G.,  XXV,  340.  Questi  nomi  non  si  trovano  esatta- 
mente riportati  né  esattamente  tradotti  in  tutte  le  edizioni.  Nel  Migne 
per  es.in  luogo  di  Sirr|pàvxtoc  fu  stampato  'EtcY)pàvtioc,  sebbene  nella  tra- 
duzione si  legga  Sperantius,  Più  grave  è  l'errore  di  tradurre  Oaooxtvog 
per  Gastinus,  nome  che  non  esiste.  Altri  tradussero  Antonio  in  luogo  di 
Antonino  Iwa^c  da  tutti  è  tradotto  per  Joseph,  Sebbene  il  De  Vit  dica 
che  è  lo  stesso  nome,  tuttavia  mi  parrebbe  più  esatto  tradurre  losea. 

(a)  ^t\V  Apologia  a  Costanzo,  scritta  nel  356,  S.  Atanasio  afferma 
ài  non  essersi  mai  presentato  da  solo  all'  imperatore  Costante,  ma 
sempre  accompagnato  dal  vescovo  della  città  dove  Costante  risiedeva, 
e  se  ne  appella  alla  testimonianza  dei  vescovi  allora  viventi,  tra  cui 
Crispino  di  Padova. 


238  UNA   LISTA    DI   VESCOVI 

discepolo  di  S.  Severo,  vescovo  di  Ravenna,  come  già  prima  aveva 
affermato  Agnello,  il  biografo  dei  vescovi  ravennati  (i). 

Faustino  si  può  credere  sia  quello  che,  tutti  gli  storici  bolo- 
gnesi, cominciando  dal  Sigonio,  dicono  essere  stato  il  secondo  ve- 
scovo della  loro  città,  successore  immediato  di  S.  Zama.  In  un 
antico  catalogo  dei  vescovi  bolognesi,  edito  dal  Trombelli  sopra 
una  copia  del  1310(2),  ma  che  ha  tutto  l'aspetto  d'essere  derivato 
dagli  antichi  dittici,  egli  è  chiamato  Faustiniano,  che  è,  come 
ognuno  vede,  leggera  mutazione.  La  distanza  di  tempo,  che  sa- 
rebbe stata  tra  Faustino  o  Faustiniano,  vivente  com'  io  suppongo 
nel  344,  e  S.  Eusebio,  terzo  suo  successore  che  certamente  vi- 
veva nel  381  (dopo  Domiziano  e  Gioviano),  conferma  sempre  più 
r  identificazione  suddetta  ed  anche  l'autorità  del  catalogo. 

Antonino  credo  sia  stato  quell'immediato  antecessore  di  San 
Geminiano  nel  vescovato  di  Modena,  che  è  così  chiamato  nella  leg- 
genda di  questo  Santo.  S.  Geminiano  intervenne  al  concilio  di  Mi- 
lano del  390,  quando,  come  pare,  già  era  assai  vecchio  e  si  trovava 
debole  di  forze,  poiché  non  potè  sottoscrivere  di  sua  mano  le  de- 
cisioni del  concilio,  ma  le  fece  sottoscrivere  in  suo  nome  dal  prete 
Apro  (3).  Onde  accordando  a  S.  Geminiano  un  episcopato  alquanto 
più  lungo  deirordinario,  p.  es.,  di  un  30  anni  circa,  ed  uno  di  venti 
incirca  al  suo  predecessore  Antonino,  questi  per  la  ragion  dei  tempi 
avrebbe  dovuto  vivere  nel  343-344. 

La  stessa  ragione  dei  tempi  esiste  eziandio  per  Viatore,  se- 
condo vescovo  di  Bergamo,  dell'  identificazione  del  quale  già  trattò 
con  la  sua  solita  diligenza  ed  erudizione  il  Lupi,  che  appunto  as- 
segnò a  Viatore  il  periodo  340-370.  A  proposito  di  questa  data 
osservo  che  la  distanza  tra  Viatore  ed  il  vescovo,  di  cui  Ramperto 
(vescovo  di  Brescia  nel  820  incirca)    dice  che  dalla  sua    lapide  ri- 

(i)  Riguardo  a  S.  Eracliano  si  veda  un  diligente  lavoro  di  Callisto 
Marini  nel  voi.  VI  della  Nuova  raccolta  degli  Opuscoli  del  Calogero 
col  titolo  :  Immediata  dipendenza  della  chiesa  di    Pesaro  dalla    S.  Sede, 

(2)  Vtterum  PP,  Latinorum  Opuscula,  to.  II,  parte  2.*,  Bologna, 
^755»  P^g»  287.  Si  veda  anche  la  Serie  cronologica  dei  vescovi  ed  arci- 
vescovi di  Bologna,  purgala  da  molti  errori^  compilata  da  un  sacerdote 
della  stessa  città  [Vincenzo  Filippini],  Bologna,  1787,  p.  5  e  sg. 

(3)  Ex  iussu  domini  episcopi  Geminiani^  ipso  praesente,  Aper  pre- 
sbiter  subscripsù  Migne,  P,  Z,.,  XVI,  1177. 


PRKSSO   S.    ATANASIO  239 

saltava  essere  stato  consecrato  da  S.  Ambrogio  (374-397)  può  es- 
sere accorciata  ove  si  ammetta  che  questo  anonimo  fosse  non  il  terzo 
ma  il  quarto  vescovo  di  Bergamo.  La  scelta  ci  è  lasciata  libera  dallo 
stesso  Ramperto,  poiché  nel  suo  discorso  afferma  bensì  il  fatto 
della  lapide  e  della  consacrazione  data  da  S.  Ambrogio,  ma,  forse 
perchè  non  si  ricordava  esattamente,  lasciò  dubbio  se  si  trattasse 
del  terzo  o  del  quarto  (i). 

Quanto  a  Probatius,  lo  crederei  identico  al  primo  vescovo  di 
Reggio  di  Emilia.  Una  serie  di  vescovi  reggiani,  scritta  nel  se- 
colo XIII  e  pubblicata  dal  Muratori  (2)  ed  un'altra  pubblicata  dal- 
TAffarosi  (3)  lo  chiamano  Protasiiis,  Ma  la  somiglianza  dei  due 
nomi  è  tanto  grande,  che  si  può  benissimo  ammettere  un  qualche 
errore  di  trascrizione  e  leggere  Probasius  in  luogo  di  Protasius, 
Parmi  inoltre  assai  verosimile  che  il  nome  Chromatius^  il  quale  vien 
subito  dopo  nella  lista,  sia  esso  pure  una  trasformazione  e  corru- 
zione del  genuino  Probatius,  Né  quest'ipotesi  si  può  dire  infon- 
data, essendo  certo,  come  già  osservò  il  can.  Saccani  (4),  che 
prima  del  secolo  IX  la  lista  episcopale  di  Reggio  contiene  più 
d'una  confusione. 

Vitali  US  non  si  trova  registrato  verso  il  332  in  nessuna  lista 
episcopale.  Ma  tra  i  vescovi  di  Cesena  è  notato  un  Naialis,  che 
per  ragione  del  tempo  che  gli  si  assegna  e  per  la  somiglianza  del 
nome,  potrebbe  essere  identico  a  Vitalius,  La  somiglianza  del  nome 
sarebbe  ancor  più  grande,  se  il  greco  'OutxàXto;  si  traducesse  per 
VitaliSy  come  fece  Pietro  Nanni,  traduttore  delle  opere  di  S.  Ata- 
nasio. 

L'Ughelli  dice  di  Natalis  che  la  sua  esistenza  fu  affermata 
dal  Manzoni,  Caesenae  Chronologiay  1643,  il  quale  lo  chiama  legatus 
Marci  papae   e    quindi    vivente   nel    336,  nel  qual  anno   Marco  fu 


(i)  Quantique  ineriti  vicini  episcopi  eundem  [Fiiastrium]  esse  existi- 
mabant,  si  quartus  Pergamensis  episcopus  in  epitaphio  tertii  episcopi, 
hoc  est  praedecessoris  sui,  ni  /attor,  meminisse  studuit,  quod  Ambrosius 
ipswH  episcopum,  Phitastrius  consecravit  diaconum;  Brunati,  Vita  o  Ceste 
di  Santi  bresciani,  Brescia,  1854,  voi.  I,  p.  275,  nota  29. 

(2)  R.  l.  S.,  Vili,  col.  1179. 

(3)  Presso  il  Saccani,  Cronologia  dei  vescovi  di  Reggio- Emilia,  Reg- 
gio, Artigianelli,  189S,  p.  2. 

(4)  Op.  cit.,  pag.  23. 


240  UNA    LISTA    DI    VESCOVI 

creato  papa  e  morì.  Ma  a  parlare  più  esattamente,  non  è  tanto  del 
Manzoni  tale  affermazione,  poiché  egli  nel  testo  della  sua  storia  tace 
interamente  di  Natale,  e  ne  mette  solo  il  nome  alla  fine  nel  cata- 
logo dei  vescovi,  quanto  di  Cesare  Brissio  (i).  Questi  poi  cita  la  te- 
stimonianza del  Rossi  nella  Storia  di  Ravenna,  il  quale  però  non  ne 
parla.  Il  P.  Zaccaria,  nella  sua  Series  Caesenatium  Episcoporuìu, 
1789,  mette  anch*  egli  Natale  al  tempo  del  papa  S.  Marco,  senza 
nulla  correggere  né  aggiungere. 

Ma  qualunque  sia  la  fonte,  onde  è  pervenuta  Siffatta  notizia, 
non  pare  trattarsi  d*un  racconto  puramente  leggendario,  poiché  in 
tal  caso  r  inventore  della  notizia  non  si  sarebbe  limitato  a  questa 
sola  particolarità.  È  probabile  perciò  che  la  notizia,  sebbene  in 
seguito  sia  stata  trasformata,  sia  vera  almeno  in  questo  che  il  ve- 
scovo Natale  o  Vitale  di  Cesena  vivesse  al  tempo  del  papa 
S.  Marco  (2). 

11  nome  Felice  verso  il  tempo,  di  cui  discorriamo,  fu  portato 
da  parecchi  vescovi.  Neil'  Italia  superiore  se  ne  incontra  uno  a 
Genova  ed  un  altro  a  Belluno.  Quanto  al  primo  la  sua  esistenza 
nel  secolo  IV  fu  ammessa  dai  Bollandisti  (3),  e  sebbene  non  man- 
chino argomenti  od  indizii  in  loro  favore,  tuttavia  non  oso  di- 
scostarmi dai  più  recenti  scrittori  genovesi  Grassi  e  Belgrano,  che 
lo  ritardarono  sino  al  termine  del  secolo  V^  (4). 

L'esistenza  del  vescovo  Felice  di  Belluno,  secondo  il  Cappel- 
letti, fu  attestata  dal  Piloni,  che  scrisse  nel  1607  la  storia  di  quella 
città,  ed  affermò  il  vescovo  di  Belluno  essere  stato  presente  al 
concilio  romano  del  347  :  u  come  si  cava  da  una  lettera  scritta 
da  papa  Giulio  ai  popoli  di  Antiochia.  »♦  Il  Piloni  afferma  bensì 
la  presenza  del  vescovo    bellunese  al   concilio  di  Roma,    e  cita  la 


(i)  Descript  lo  Caesenae  in  Thesaurus  antiquae  lialiae  Graevii  et 
BuRMANNi,  voi.  IX,  par.  8,  p.  io. 

(2)  Forse  la  primitiva  notizia  sarà  stata  espressa  così  :  Natalis  eUctus 
o  cnatus  sub  Marco  papa.  Poi  da  creatus^  eleclits  si  fece  Ugatus  a  Marco 
papa. 

(3)  Ada  SS.,  to.  II  di  luglio,  p.  709. 

(4)  Grassi.  De  prioribus  sanctisque  genuensium  episcopis,  Genova, 
1864,  citato  dal  Belgrano  nel  Cartario  genovese  ad  ittustrasione  del  Re- 
gistro Arcivescovile  in  Atti  della  Società  Ligure  di  Storia  Pàtria,  1870, 
voi.  II,  parte  1,  p.  289. 


PRESSO   S.   ATANASIO  24 1 

lettera  del  papa  Giulio,  ma  non  dice  il  nome  del  vescovo  (i). 
Quanto  alla  lettera  del  papa  Giulio  essa  non  esiste,  né  autentica, 
né  spuria. 

Laonde  qui  pure  si  rinnoverebbe  il  caso,  che  abbiam  già  visto 
sopra  per  Cesena,  d'una  notizia,  la  quale,  così  come  si  trova  espressa, 
è  falsa,  ma  che  probabilmente  è  vera  nel  fondo  ;  e  questo  sarebbe 
resistenza  di  un  vescovo  di  Belluno  contemporaneo  del  papa 
Giulio  I,  e  quindi  contemporaneo  del  concilio  di  Sardica. 

Pauliano  è  nome  tanto  simile  a  quello  di  Paolino,  secondo 
vescovo  di  Treviso,  che  non  si  deve  aver  difficoltà  a  identificarli 
msieme.  L'Ughelli  ammise  Paolino  (ignoto  al  Burchelati,  che  nel 
1616  aveva  data  la  lista  dei  vescovi  trevigiani)  suU'  autorità  di 
Luigi  Contarini,  il  quale,  dice  egli,  collocò  Paolino  il  secondo  della 
lista  ed  all'anno  350,  ma  senza  dire  la  fonte  donde  l'avesse  tratto  (2). 
U  Contarini,  qui  citato  dall'  Ughelli,  credo  sia  un  P.  Luigi  Conta- 
rini crocifero,  che  visse  a  Veneiia  nella  seconda  metà  del  secolo 
XVI.  Alcune  sue  opere  sono  divenute  assai  rare,  e  rarissima  pare 
che  sia  quella  intitolata:  DeW origine  della  patria  del  Friuli,  (3)  la 
sola  dove  a  me  sembra  che  si  potesse  parlare  di  un  vescovo  di 
Treviso,  poiché  il  Cicogna  non  ne  ebbe  notizia  che  per  quanto 
ne  aveva  scritto  il  Sansovino  [Venetia  città  nobilissima,  libro  XIII, 
pag.  276).  Siccome  il  Sansovino  stampò  la  sua  opera  nel  1581,  ed 
ivi  del  Contarini  afferma,  che  tuttavia  scrive  diverse  materie  e  trat- 
tati (4)  ;  quindi  ciò  che  posso  dire  dell'opera  predetta  è  questo,  che 
fu  stampata  prima  del  1581. 

Severo  potrebbe  essere  il  vescovo  di  Ravenna,  che  consta 
essere  stato  presente  al  concilio  di  Sardica  e  che  S.  Atanasio  stesso 
nomina  tra  i  vescovi  del  primo  gruppo.  Ma  appunto  perché  fu  già 
nominato  una  volta  nel  primo  gruppo,  preferisco  credere  che  si 
tratti  di  un  altro.  Un  vescovo  di  questo  nome  si  legge  tra  i  primi 
vescovi  d'Acqui.  Questa  città,  che  stava  sulla  via  da  Tortona  a 
Savona,  era  ben  nota  ai  Romani  per  le  sue  acque  termali,  ed  an- 

(i)  Piloni,  Istoria  dì  Belluno,  Belluno,  1607,  p.  38  verso. 

(2)  Ughelli,  Italia  sacra,  V,  489. 

(3)  Non  posseduta  neppure  dalla  biblioteca  Marciana  di  Venezia, 
dove  ne  feci  ricerca. 

(4)  Cicogna,  Delle  Iscrizioni  Venesiane,  voi.  Ili,  p.  315-316.  Del  San- 
sovino parla  il  Cicogna  nel  voi.  IV,  p.  72. 


L 


242  UNA    LISTA    DI   VESCOVI 

Cora  vi  si  scorgono  i  resti  di  edifizi  romani;  ma  non  oso  afifer- 
mare  che  già  nel  344  avesse  la  sede  vescovile.  Tuttavia,  non  tro- 
vando altri  vescovi  di  tal  nome  in  altre  sedi,  credo  si  debba  tener 
conto  di  questo  antico  vescovo  acquese. 

Quanto  a  Facondino,  sono  assai  inclinato  ad  identificarlo  con 
un  S.  Facondino,  il  quale  ab  antico  è  venerato  a  Rimini  come 
martire.  Di  esso  nuiraltro  seppero  dire  il  Ferrano  e  sulla  scorta 
di  lui  i  Bollandisti,  se  non  che  il  suo  corpo  riposava  nella  cattedrale 
di  Rimini  insieme  con  i  SS.  Gioventino  e  Pellegrino  creduti  suoi 
fratelli  e  Felicita  sua  sorella,  e  che  insieme  erano  venerati  il  giorno 
2  settembre.  Prima  il  GarufB,  assai  malamente,  e  poi  il  Tonini  con 
esattezza  riportarono  1*  iscrizione,  scolpita  sull'are^  sepolcrale  dei 
quattro  Santi,  la  quale,  a  detta  del  Tonini  che  ne  diede  anche  il 
disegno,  sta  tuttora  nella  cattedrale  di  Rimini,  nella  cappella  delle 
Reliquie.  L'arca  e  V  iscrizione  vennero  fatte  per  cura  di  un  Na- 
tale vescovo  di  Ancona,  forse  riminese  di  patria.  L' iscrizione, 
posta  nel  mezzo  in  uno  spazio,  che  occupa  quasi  un  terzo  di  tutto 
il  davanti  dell'urna,  dice  : 

HEC   SVNT    NOMI 

NASCORV  :   FELICITAS 
PEREGRINVS 
FACCONDINVS 
IVV  ENTINUS 

In  una  riga  in  basso  lungo  tutta  la  facciata  anteriore  si  legge  : 

IIEGO   NATALIS   PECCATOR    EPS   ANO  CORPORA     SCORUM 

e  di  seguito  girando  nel  lato  destro  dell'arca  :  condidit  (i). 

D  tempo,  in  cui  visse  questo  vescovo  Natale  (che  manca  nelle 
liste  dei  vescovi  anconitani),  ci  è  ignoto.  Da  alcuni  egli  fu  mala- 
mente creduto  vescovo  di  Rimini,  ed  assegnato  all'anno  930.  Il 
Tonini  dalla  grafia  dell'iscrizione  crede  che  possa  essere  ante- 
riore di  qualche  secolo  al  930,  e  quel  valentissimo  paleografo  che 
è  il  conte  Cipolla  mi  dice  che  la  vista  dell'  iscrizione  lo  fa  pensare 
al  secolo  VII  od  Vili. 


(i)  Tonini,  Rimini  dal  principio  deli* tra  volgare  a W anno  1200,  Ri- 
mini,  1856,  p.  61. 


PRESSO   S.   ATANASIO  243 

Ma  qualunque  ne  sia  il  tempo  (che  è  sempre  però  molto  an- 
tico), è  qui  sopratutto  da  notar  il  fatto  che  i  suddetti  quattro  per- 
sonaggi per  ben  due  volte  sono  chiamati  santi  solamente  e  non 
martiri,  né  molto  meno  fratelli.  Il  Tonini  osserva  che  tale  omis- 
sione potè  provenire  dalla  ristrettezza  dello  spazio  libero  nel 
marmo  (i).  Ma  se  tal  ristrettezza  è  vera  per  lo  spazio  quadrato  che 
sta  in  mezzo  alla  parte  anteriore  dell'arca,  dove  vennero  incisi 
i  nomi  dei  Santi,  non  si  può  concedere  per  la  linea  che  sta  in  fondo 
presso  alla  base  (dove  si  scrisse  il  nome  del  vescovo  Natale),  che 
è  lunga  quanto  la  parte  stessa  anteriore.  Tanto  più  che  il  copista 
non  ebbe  nessuno  scrupolo  di  valersi  anche  del  fianco  destro 
dell'arca  e  continuar  quivi  V  iscrizione  della  linea  suddetta  infe- 
riore. 

Dato  quindi  che  nel  secolo  VII  od  Vili  la  tradizione  riminese 
considerava  quei  personaggi  solo  come  santi  e  non  come  martiri, 
può  esser  lecita  la  congettura  ch'essi  fossero  vescovi  di  Rimini,  e 
vescovi  del  secolo  IV,  come  indicherebbero  varie  circostanze,  quali 
la  mancanza  di  memorie  intorno  ad  essi,  i  loro  nomi,  che  sono 
proprii  del  tempo  romano,  e  la  stessa  diceria  popolare  che  fossero 
fratelli.  Questa  sarebbe  vera  in  ciò,  che,  se  non  furono  fratelli  per 
sangue,  furono  per  la  somiglianza  deila  dignità  episcopale  e  per 
il  comune  sepolcro,  che  li  accolse  dopo  morte. 

Che  se  si  pigliano  questi  tre  santi.  Peregrino,  Facondino  e 
Gioventino,  a  colmare  la  lacuna  che  vi  sarebbe  nella  lista  episco- 
pale di  Rimini  tra  Stenio,  vivente  nel  314,  e  Giovanni  che  si  vuole 
vivente  nel  360,  e  si  suppone  che  essi  siano  stati  nominati  nel- 
l'iscrizione  secondo  l'ordine  cronologico  della  loro  vita,  e  che 
ciascuno  abbia  avuto  una  media  di  15  anni  incirca,  il  tempo,  in  cui 
sarebbe  vissuto  il  secondo  di  essi,  cioè  Facondino,  corrisponderebbe 
esattamente  al  tempo  del  concilio  di  Sardica,  ossia  al  tempo  in  cui 
visse  il  Facondino  nominato  da  S.  Atanasio. 

Aggiungerò  qui  ancora  una  congettura  intorno  a  S.  Gaudenzio, 
che  qualcnno  potrebbe  credere  fosse  già  vescovo  di  Rimini  nel  344, 

(i)  Tonini,  op.  cit..  Il,  233.  Quest'osservazione  avrebbe  maggior  va- 
lore, se  si  verificasse  l'ipotesi  del  prof.  Cipolla,  che  L'urna  fosse  una  di 
quelle  che  i  marmisti  antichi  tenevano  in  deposito,  già  fatte,  pronte  per 
la  vendita,  e  a  cui  perciò  lasciavano  degli  spazi  bianchi  per  le  iscri- 
zioni. Resta  tuttavia  valida  la  risposta  che  dò  nel  testo. 


244  ^^^    LISTA    DI   VESCOVI 

poiché  si  vuole  fosse  vescovo  di  questa  città  e  martire  nel  tempo 
in  cui  si  tenne  a  Rimini  il  celebre  concilio  del  359,  nel  quale  i  ve- 
scovi occidentali,  sotto  la  pressione  dell'imperatore  Costanzo  e  degli 
ariani,  sottoscrissero  una  formula  ambigua  di  fede. 

Tutte  le  notizie  che  abbiamo  intomo  a  S.  Gaudenzio  le  ab- 
biamo dalla  sua  leggenda  (identica  a  quella  di  S.  Mercuriale  ve- 
scovo di  Forlì,  creduto  suo  contemporaneo)  che  fu  scritta  relativa- 
mente tardi,  e  che  a  buon  diritto  dallo  storico  di  Rimini,  il  Tonini, 
fu  detta  favolosa  e  fonte  torbida  storica  (i).  Onde  se  già  riuscirebbe 
difficile  l'ammettere,  che  per  occasione  del  concilio  di  Rimini,  gli 
ufficiali  dell'  imperatore  Costanzo  uccidessero  il  vescovo  di  quella 
città,  e  che  gli  scrittori  cattolici  contemporanei,  i  quali  tanto  dete- 
starono r  influenza  funesta  di  Costanzo  sui  vescovi,  tacessero  di  un 
tal  misfatto,  molto  più  si  rende  difficile  l'ammetterlo  sull'autorità 
d'una  leggenda  così  mal  sicura.  Si  può  anzi  assegnare,  se  non  con 
certezza,  almeno  con  grande  probabilità  ciò  che  diede  luogo  a  tale 
leggenda  e  fu  uno  scambio  di  S.  Gaudenzio  di  Rimini  col  ve- 
scovo Gaudenzio  di  Naisso,  il  quale  viveva  veramente  al  tempo 
del  concilio  ed  ebbe  non  poco  da  soffrire  per  parte  degli  ariani. 
Mentre  i  vescovi  cattolici  si  adunarono  a  Sardica,  i  vescovi  ariani 
si  adunarono  a  Filippopoli  e  quivi  condannarono  tra  gli  altri  an- 
che Gaudenzio  vescovo  di  Naisso  (2Ì,  perchè  non  aveva  imitato 
Ciriaco  suo  antecessore,  il  quale  aveva  sottoscritto  alla  condanna 
di  S.  Atanasio  (3).  Lo  scambio  era  facile  trattandosi  di  due  vescovi 
cattolici  dello  stesso  nome,  e  di  più  essendovi  di  mezzo  in  quelle 
controversie  il  concilio  di  Rimini  e  quindi  anche  (come  facilmente 
si  suppose)  il  vescovo  di  questa  città.  Né  solo  Gaudenzio  ma  anche 
Ciriaco  fu  messo  nella  lista  dei  vescovi  di  Rimini  a  questi  tempi. 

Al  contrario  le  memorie  che  ci  furono  tramandate  sul  culto 
di  S.  Gaudenzio,  considerato  sempre  a  Rimini  come  il  patrono 
principale  della  città,  sono  tali  da  farci  ravvisare  in  lui  non  già 
solo  un  martire  impropriamente  detto  (poiché  tale  sarebbe  se  fosse 
vissuto  nel  359),  ma  un  vero  e  proprio  martire  del  tempo  delle 
persecuzioni. 

(i)  Tonini,  op.  cit„  II,  51. 

(2)  È  il  medesimo  di  cui  ho  parlato  sopra,  che  propose   il   canone 
XX  di  Sardica. 

(3)  Tonini,  op.  cit..  II,  73;  S.  Ilario,  in  Migne,  P,  Z..,  X,  674. 


PRESSO   S.   ATANASIO  245 

In  eflfetto,  della  chiesa,  dove  fu  sepolto  S.  Gaudenzio,  ci  di- 
cono gli  storici  riminesi,  che  essa,  se  non  la  più  antica,  fu  certo 
una  delle  prime  della  città  (i).  Essa  aveva  delle  cripte,  e  nella 
cripta  principale  stava  riposto  il  corpo  del  martire.  Il  suo  sarcofago 
poi,  quale  ci  viene  descritto  da  uno  scrittore  del  1442,  era  magni- 
fico, di  marmo,  fabbricato  al  modo  antico  romano,  con  pietre  bel- 
lissime di  diversi  colori  (2).  Inoltre,  la  stessa  chiesa,  detta  prima 
Confessione  dei  martiri,  e  poi  S.  Gaudenzio,  stava  fuori  delle  mura 
della  città,  fuori  della  porta  Romana,  la  qual  circostanza  ci  fa  pen- 
sare ai  tempi  più  antichi  del  cristianesimo  in  Rimini,  quando  non 
sarebbesi  tollerato  che  un  defunto  si  seppellisse  dentro  la  città, 
neppure  se  martire  o  santo,  e  quando  i  cristiani  si  radunavano  per 
lo  più  in  qualche  recinto  suburbano  per  compiere  le  loro  religiose 
funzioni  e  per  seppellirvi  i  loro  morti. 

Dei  quattro  vescovi  che  rimangono,  Eraclio,  Numedio,  Spe- 
ranzio  e  Joses  o  Giuseppe,  non  ho  potuto  neppure  approssimati- 
vamente riscontrare  la  sede. 

Osserverò  tuttavia  che  il  nome  Sperahtius,  non  esiste  nei  vari 
volumi  del  Corpus  Inscripi.  Latin,,  il  che  dà  quasi  diritto  a  cre- 
dere che  non  esistesse  tra  i  Romani  (3).  Onde  si  può  lecitamente 
supporre  che  qui  il  testo  atanasiano  contenga  una  scorrezione  e 
che  in  luogo  di  ^TcepivTio;  si  debba  forse  leggere  'E^uTsepàvTto;  os- 
sia ExsuperantiuSj  che  è  nome  usato  più  d'una  volta  e  special- 
mente nei  secoli  cristiani  e  da  cristiani,  come  si  può  vedere 
nel  Corpus  Inscript,  Posta  la  possibilità  di  tale  scambio,  non  sarà 
inutile  ricercare  se  circa  i  tempi  del  concilio  sardicese  vi  fosse  un 
vescovo  Esuperanzio  e  qual  ne  fosse  la  sede. 

Parecchi  ve  ne  furono  ed  uno  appunto  nell'Italia  superiore, 
cioè  a  Tortona.  Il  fatto   che  egli  viveva   ancora   nel   381,  quando 

(i)  Tonini,  op.  cit.,  II,  36,  72. 

(2)  Quaedam  sepuUura  solemnissima  marmorea ^  fabricata  more  ro- 
mano antiquo lapidibus  pulcherrimis   diversorum   coiorum,   Tonini, 

op.  cit,  II,  pag.  128  e  61;  Ughelli,  op.  cit.^  II,  e.  414. 

(3)  Si  trova  appena  a  Roma  una  lapide  di  tarda  età  e  di  persona 
volgare,  che  con  lettere  greche  porta  scritta  la  parola  latina  Isperantìa  ; 
Corpus  Insc.  Graecarum  Itaiiae,  etc,  n.  2016.  Ma  dubito  se  T  iscrizione 
icDEPANTIA  debba  proprio  leggersi  come  contenente  un  nome  solo, 
ed  il  nome  hperantia. 


246  UNA    LISTA    DI   VESCOVI 

assistette  al  concilio  di  Aquileia,  ossia  37  anni  dopo  il  concilio  di 
Sardica,  non  si  opporrebbe  a  ritenerlo  per  il  vescovo  della  lista 
atanasiana,  poiché  un  episcopato  anche  di  40  e  più  anni  non  è 
punto  impossibile,  sebbene  sia  raro.  Ma  la  più  grande  difficoltà  ci 
viene  dal  fatto  che  anche  dopo  Sardica,  ossia  nel  356,  Tortona 
ancora  non  formava  una  diocesi  autonoma,  ma  apparteneva  alla 
diocesi  di  Vercelli,  come  evidentemente  si  rileva  dalla  lettera,  che 
nel  suddetto  anno  S.  Eusebio  scrisse  da  Scitopoli,  dov'era  in  esigilo, 
ai  suoi  diocesani.  Neil*  intitolazione  della  lettera  egli  nomina  espres- 
samente i  Tortonesi,  e  siccome  né  neir  intitolazione  stessa  né  nel 
corpo  della  lettera  fa  menzione  di  un  vescovo  proprio  che  i  Tor- 
tonesi allora  avessero,  ne  viene  per  ineluttabile  conseguenza  che 
i  Tortonesi  non  avevano  vescovo  proprio,  ma  erano  diocesani  di 
S.  Eusebio,  al  pari  dei  Vercellesi  ch'egli  nomina  per  i  primi,  dei 
Novaresi,  e  degli  Eporediesi  (i).  i^^^xrt 

Un  Esuperanzio  s' incontra  pure  a  Città  di  Castello  (l'antico  Ti- 
fentum  Tiberinmn),  Ivi  egli  è  venerato  insieme  con  S.  Crescenziano 
ed  altri  sette  santi,  che  dalla  tradizione  sono  ritenuti  come  martiri. 
Il  Papebrochio,  che  studiò  con  la  sua  solita  diligenza  ed  acribia 
le  loro  memorie,  ammise  bensì  il  martirio  per  S.  Crescenziano 
(ucciso  sotto  Diocleziano,  come  dice  la  sua  leggenda),  ma  non  per 
gli  altri,  che  egli  disse  compagni  bensì  di  S.  Crescenziano  nel 
culto,  ma  non  nel  martirio:  Nolitn  ergo  socios  martyrii  dicerc  sed 
cultiis.  In  suo  favore  citò  un'antica  orazione  o  colletta  stampata 
nel  1627  da  fra  Angelo  dei  Conti  nei  suoi  Fiorì  della  Chiesa  di 
Tifemo,  che  la  trasse  da  un  antico  calendario,  dove  ai  santi  sud- 
detti non  si  dà  il  nome  di  martiri  (2).  11  Magherini-Graziani,  il  più 

(i)  Chi  non  capisce  la  sconvenienza  che  un  vescovo  residenziale 
scrìva  ai  suoi  diocesani  ed  insieme  ai  fedeli  di  un'altra  diocesi,  senza 
far  menzione  del  vescovo  di  questa  stessa  diocesi  né  conosce  la  storia 
dei  tempi  passati,  né  il  mondo  in  cui  vive  ;  non  menta  quindi  che  si 
discuta  con  lui. 

(2)  Acta  SS.»  to.  I,  di  giugno,  p.  58.  La  colletta  dice  così  :  Da^  quae- 
sumus,  omnipotiHS  Deus»  ut  qui  Sanctorum  tuorum  Crescentiani,  Justini, 
Grìcinirtnit  l'irìam.  Or^ti»  Exuperaft/ti,  Benedicti,  Euiropit\  atque  For- 
tunati soltmnia  co/imus,  etiam  virtutes  imitemur.  Il  Magherìni  Graziam 
tra  Grìcinìano  e  Vìrìano  aggiunge  un  Faustino  che  non  veggo  per 
niente  nominato  nella  trattazione  dei  Bollandisti,  ai  quali  qui  mi  attengo 
come  ad  autorità  più  sicura. 


PRESSO   S.   ATANASIO  247 

recente  e  più  diligente  storico  di  Città  di  Castello,  sebbene  non 
faccia  sua  l'opinione  del  Papebrochio,  la  chiama  però  più  d'  ogni 
altra  verosimile  (i). 

Air  opinione  del  Papebrochio  aggiungerò  un'ipotesi  che  la 
compirebbe,  spiegando  come  si  trovino  insieme  raggruppati  tutti 
quei  nomi,  ed  è  che  essi  siano  un  resto  degli  antichissimi  dit- 
tici della  chiesa  Tifemate.  Nella  qual  ipotesi,  e  posto  eh'  essi 
siano  scritti  secondo  l'ordine  cronologico,  noi  potremmo  vedervi  la 
lista  (ora  mancante)  dei  vescovi  di  Città  di  Castello,  risalendo  in- 
dietro da  Eubodio  nel  465  sino  al  primo  vescovo.  In  tal  caso,  dando 
a  ciascuno  una  media  di  15  anni  incirca,  l'età  di  Esuperanzio,  quinto 
nella  lista,  verrebbe  a  coincidere  coll'età  dell'  Esuperanzio  del  con- 
cilio di  Sardica,  nominato  nella  lista  atanasiana. 

Tuttavia  per  la  troppa  incertezza  di  quest'  ipotesi  e  per  il  fatto 
che  Città  di  Castello,  città  dell'Umbria,  non  apparteneva  alla  diocesi 
d'Italia,  non  oso  insistere  su  questa  identificazione. 

Pure  per  le  medesime  ragioni  non  mi  fermo  a  parlare  di  un 
S.  Esuperanzio  di  Todi,  del  quale  è  incerta  la  stessa  dignità  ve- 
scovile. 

Quanto  a  Numedio  osservo  che  un  tal  nome  non  si  trova  nel- 
V Onomasticoft  del  De  Vit,  ed  appena  se  ne  ha  un  esempio  nel 
Corpus  InscripL  Latin.,  quantunque  il  Mommsen  propenda  a  leg- 
gerlo Numiedio  anziché  Numedio  (2).  Al  contrario  vi  sono  parecchi 
esempi  nel  De  Vit  del  nome  Numidius  e  più  ancora  nel  Corpus 
del  nome  Numisius,  Dato  poi  che  questa  fosse  la  vera  denomina- 
zione del  vescovo  atanasiano,  osserverò  che  tutti  gli  esempi  del 
nome  Numisius  nell'Italia  superiore,  registrati  nel  Corpus,  sono 
della  parte  orientale  di  essa,  ossia  del  Veneto,  cioè  di  Aquileia, 
Concordia,  e  Trento  ;  ve  n'è  solo  un  esempio  a  Cremona  (3).  Non 
sarebbe  quindi  impossibile  che  il  vescovo  Numedio  o  Numisìo  si 
dovesse  cercare  nel  Veneto. 

Che  se  molto  incerti  sono  questi  indizi  per  Numedio    e  Spe- 

(i)  Magherini-Graziani,  Storia  di  Città  di  Castello,  Città  di  Castello, 
Lapi,  1890,  voi.  I,  p.  133. 

(2)  Corp.  Insc.  Lat„  voi.  IX,  n.  3870. 

(3)  Ib.  voi.  V,  p.  i.\  a  Concordia,  1893;  ad  Aquileia,  1085;  a  Bre- 
scia, 4203;  ad  Arco  presso  Trento,  4985;  a  Portogruaro^  1935;  a  Cre- 
mona, 4091. 


248 


1  VESCOVI   PRESSO  S.   ATANASIO 


ranzio  o  Eauperanzio,  per  gli  altri  due  Eraclio  e  Joses  o  Giuseppe 
mancano  affatto  anche  gl'indizi  più  tenui. 

Conchiudendo  dirò  :  da  quanto  venni  esponendo,  pare  potersi 
ritenere  con  molta  probabilità  che  col  nome  di  ••  canale  d'Italia  ■, 
Atanasio  intese  indicare  la  •*  diocesi  d' Italia  »  e  che  a  questa  ap- 
partenevano i  quindici  vescovi  da  lui  nominati.  Qui  li  espongo  per 
ordine  alfabetico,  con  accanto  il  nome  della  loro  sede  o  certa  o 
presunta. 


Antonino,  Modena 
Crispino,  Padova 
Eradìano,  Pesaro 
Eraclio,  ? 
Facondino,  Rimini 
Faustino,  Bologna 
Felice,  Belluno 
Giuseppe,  ? 


Nu  medio,  ? 
Pauliano,  Treviso 
Probazio,  Reggio 
Speranzio.  ? 
Severo^  Acqui 
Viatorc,  Bergamo 
Vita  I  io.  Cesena. 


FEnELE  Savio. 


Milanesi  prigionieri  di  guerra  in  Pavia  nel  1247 


RA  certi  documenti  deir Archivio  Vecchio  comunale,  ora 
conservati  nel  civico  Museo  di  Storia  Patria  di  Pavia, 
in  una  cartella  racchiudente  molti  frammentari  atti  am- 
ministrativi del  secolo  Xlll,  ho  ritrovato  un  fascicoletto  di  32  fac- 
ciate non  numerate,  in  pergamena,  di  cm.  23  X  i5>  »"  fitto  carat- 
tere notarile  corsivo,  ancora  ben  conservato,  tranne  che  nella  prima 
e  neirultima  facciata,  perchè  hanno  servito  di  copertina. 

Gli  atti  raccolti  nel  fascicolo  appartengono  all'anno  1247  e  fu- 
rono redatti  dai  14  ottobre  al  23  dicembre  ;  riguardano  tutti  garan- 
zie e  sicurtà  prestate  da  carcerati  e  da  carcerieri  ai  due  officiali 
del  comune  di  Pavia  preposti  alla  direzione  e  sorveglianza  delle 
carceri  comunali.  L*  importanza  del  fascicolo,  utile  sempre  per  la 
conoscenza  di  usi  e  costumi  di  un'età  che  pochissimi  ricordi  ha  di 
se  lasciato  in  Pavia,  si  accresce  notevolmente  dal  fatto  che  i  car- 
cerati, di  cui  si  tratta,  sono  quasi  tutti  di  Milano,  catturati  in  una 
fazione  militare  seguita  nella  Lomellina  ai  7  di  ottobre  di  que- 
st'anno 1247. 

Né  il  Giulini  per  Milano,  né  il  Robolini  per  Pavia,  hanno  un 
accenno  a  questa  fazione  fra  Milanesi  e  Pavesi,  ed  è  tanto  più 
strano  perchè  il  fascicoletto  fu  nelle  mani  del  Robolini,  che  certa- 
mente lo  esaminò  se  in  fine  di  esso  scrisse  :  «  Veduto  ».  E  della 
fazione  tacquero  anche  gli  antichi  cronisti,  sicché  pare  convenga 
studiare  questi  documenti  che  ci  rivelano  una  fase  ancora  ignorata 
della  lotta  diuturna  fra  i  due  più  potenti  comuni  della  Lombardia. 

Io  credo  che  le  fazioni  guerresche  del  1247  in  Lomellina,  con- 
tinuatesi anche  negli  anni  seguenti  come  vedremo,  avessero  per 
loro  causa  occasionale  il  possesso  di  Vigevano.  Esso  era  stato, 
anche  prima,  motivo  di  una  lotta  accanita  fra    e  due  città. 

Arch.  Slor.  Lomb.,  Anno  XXIX«  fase.  XXXIV.  17 


250  MILANESI    PRIGIONIERI    DI    GUERRA 

Vigevano  faceva  parte  del  territorio  pavese.  Già  in  un'altra 
mia  pubblicazione  (i),  ho  fatto  conoscere  documenti  provanti  che 
i  Pavesi  tenevano  proprietà  prediali  in  Vigevano  fin  dal  1 143;  che 
il  Barbarossa  con  suo  diploma  8  agosto  1164  attribuiva  a  Pavia  il 
possesso  di  Vigevano  e  il  diritto  di  reggerla  per  mezzo  di  consoli, 
e  che  il  diploma  fu  confermato  da  Enrico  VI  ai  7  dicembre  1191. 
Ho  indicato  anche  T  importante  documento  24  agosto  1198  con  cui 
il  comune  di  Pavia,  in  ricompensa  dei  servigi  e  della  fedeltà  dei 
Vigevanesi,  innalzava  quel  luogo  alla  dignità  di  borgo  e  conce- 
deva facilitazioni  per  la  esazione  del  fodro  e  delle  tasse;  ho  ri- 
portato anche  Tatto  20  dicembre  1217,  redatto  in  Piacenza  e  ri- 
guardante la  pace  fra  Milanesi  e  Pavesi,  lottanti  da  lungo  tempo, 
i  primi  sostenuti  anche  dai  Piacentini,  per  il  possesso  di  Vigevano 
e  per  un  ponte  sul  Ticino  in  vicinanza  di  quella  borgata.  Le  osti- 
lità erano  cominciate,  giusta  questo  documento,  cinque  anni  in- 
nanzi, quando  i  Milanesi  erano  entrati  in  Vigevano  a  danno  dei 
Pavesi  e  avevano  costrutto  un  ponte  sul  Ticino  che  univa  quel 
borgo  al  loro  territorio.  Nel  Giulini  (2)  di  tutto  questo  non  è  me- 
moria; si  ricorda  soltanto  la  battaglia  fra  Milanesi  e  Pavesi  a  Mon- 
temarro,  in  cui  quest'ultimi  perdettero  140  dei  loro  migliori  cava- 
lieri; è  molto  probabile  che  in  seguito  a  quella  vittoria  Milano 
pensasse  a  togliere  ai  vinti  Vigevano.  Negli  anni  successivi  Milano 
ebbe  altri  vantaggi  contro  Pavia,  nella  Lomellina;  cosi  nel  1214 
occupò  Valeggio  o  Vellezzo,  Cozzo,  Candia  e  Breme  (3);  Garlasco 
nel  1215(4);  Robbio  ai  23  d'agosto  del  1216(5);  nel  1217  si  ebbe 
la  sospirata  pace.  Per  arbitrato  del  podestà  di  Piacenza  fu  deciso 
non  già  che  i  Milanesi  rilasciassero  ai  Pavesi  per  dieci  anni  il 
castello  di  Vigevano,  come  scrissero  il  Giulini  (6)  e  gli  altri  che  lo 
precedettero  e  lo  seguirono,  ma  come  appare  dal  documento  sopra 
ricordato,  Milano  si  obbligò  alla  restituzione  di  Vigevano  ed  a  di- 
struggere entro  dieci  anni  il  ponte  sul  Ticino,  con  rinuncia  alle 
conquiste  di  Lomellina. 

(i)  R.  Maiocchi,  Pergamene  pavesi  dei  sec.  XII  e  XIII  riguard.  Vi- 
gevano,  Mortara- Vigevano,  tip.  Cortelìezzi,  i9oa 

(a)  G.  GiuuNi,  Memorie  di  Miiamo,  Milano,  Colombo,  IV,  p.  213. 

(3)  Idem,  iòid.,  IV,  aaa. 

(4)  Idem,  iòid,,  IV,  2^5. 

(5)  Idem,  iòid^  IV,  a3a 

(6)  Idem,  iòid.,  IV,  248, 


IN    PAVIA    NEL    1247  251 

Ma  la  pace  non  fu  durevole.  Milano  agognava  a  Vigevano,  e 
quantunque  i  Pavesi  ad  assicurarsene  il  possesso  ottenessero  da  Fe- 
derico li  il  diploma  29  agosto  1219,  riconfermato  per  maggior  cau- 
tda  con  l'altro  dei  29  novembre  1220,  Vigevano  fu  presto  perduta 
dai  Pavesi.  Un  documento   degli  11  gennaio    1221  ci  mostra  i  Vi- 
gevanesi,  retti  da  un  Marcellino   Perego  podestà    mandato  da  Mi- 
lano, rifiutare  un  abboccamento  agli  ambasciatori  di    Pavia  recanti 
una  lettera  imperiale  di  intimazione  ai  Vigevanesi  di  ritornare  sotto 
il  dominio  pavese.  Ai  24  febbraio  dello  stesso  anno,  indarno  Cor- 
rado da  Spira,  cancelliere  imperiale,  minaccia  di  porre  Vigevano  al 
bando  dell'  impero,  se  entro  sei  settimane  non  ritorna  all'obbedienza 
di  Pavia;  al  i  marzo  i  Vigevanesi  respingono  la  lettera  di  Corrado 
e  chiudono  le  porte  della  loro  terra  in  faccia  agli  ambasciatori  del 
Cancelliere  e  di  Pavia.   Altro  rifiuto  a  nuovi    precetti    imperiali  si 
dà  ai  2  ottobre  1222.  In  una  pergamena  del  28  novembre  1230  ab- 
biamo il  verbale  di    tre  sedute   plenarie   del   consiglio   di  Milano, 
per  rispondere  ai  messi  di  Pavia  che  domandavano  la  restituzione 
di  Vigevano  e  del  ponte  sul  Ticino  non  ancora  distrutto:  i  Mila- 
nesi rifiutano  ogni  concessione  se  i  Pavesi  non  giurano  alleanza  e 
fraternità  con  Milano  a  danno  dell'imperatore.  Non  acconsentì  Pavia 
e  le  trattative   furono  rotte.    Con  quel    verbale  si    chiude  la  serie 
dei  documenti  pavesi  di  cui  ho  dato  cenno  nella  ricordata  mia  pub- 
blicazione; però   sappiamo  che  nel  1231  nella   controversia    fra  le 
due  città  si  interpose  papa  Gregorio  IX,  ma  senza  risultato  (i);  che 
^  3  ^i  giugno   1237   i  Milanesi  entrarono  col  carroccio  nella  Lo- 
mellina  e  posero  a  sacco  ed  in  rovina  tutto  il  paese  (2)  e  che  ai  Pa- 
vesi non  rimase  se  non  una  lettera  consolatoria  di  Federico  II  (3), 
e  la  triste  rappresaglia  del  saccheggio  di  Morimondo,  dopo  riusciti 
^^ani  gli  attacchi  contro  il  vicino  ponte  di  Vigevano  (4). 

Tralasciando  gli  altri  fatti  d'arme  non  seguiti  in  territorio  lo- 
mellino,  troviamo  nel  1242  ai  13  luglio  i  Milanesi,  ancora  in  armi 
contro  i  Pavesi,  saccheggiare  e  distruggere  Robbio  (5);  le  scara- 
muccie  si  fanno  continue,  fino  a  che  nel  1245  i  Milanesi  dovettero 

(i)  G.  RoBOLWi,  NoHgie  Star,  di  Pavia,  voi.  IV,  parte  I,  p.  117. 

(2)  GiuLiNi,  op.  cit,  IV,  382. 

(3)  E.  Martenb,  yet.  Script.  CoUecL,  II,  1154. 

(4)  GiuuNi,  IV,  387  seg. 

(5)  Idcm^  ibid.y  p.  420. 


252  MILANESI   PRIGIONIERI    DI   GUERRA 

provvedere  a  sé  stessi  dinanzi  agli  eserciti  di  Federico  e  del  di 
costui  figlio  Enzo,  che  agli  11  d'ottobre  fu  subito  coi  Pavesi  al 
ponte  di  Vigevano  e  alla  distruzione  di  Morimondo  (i).  Nel  1246, 
dice  il  Giulini  (2),  i  Milanesi  non  fecero  alcuna  impresa  guerresca; 
però  l'intenzione  di  tentare  qualche  cosa  a  danno  dei  Pavesi  in 
Lomellina  loro  non  mancò.  Insieme  ai  documenti  che  qui  pubblico 
ho  trovato  un  altro  fascicolo  in  pergamena  di  fogli  12,  in  cui  sono 
elencati  i  Pavesi  che  furono  condannati  dal  Podestà  per  mancata 
partecipazione  ad  un*  impresa  contro  i  Milanesi  in  difesa  della  Lo- 
mellina nel  1246.  Comincia  così  :  Condempnaciones  facte  per  D.  Bo- 
nacursum  de  palude  imperiali  gratia  papié  potestatetn,  illorum  mi- 
litum  papié  qui  non  fuerunt  in  cavalcata  facta  per  Comune  papic 
in  lomellina  apud  Tromellum  occasione  qua  Mediolanenses  debebant 
ibi  lenire  MCCXL  Ì^I,  indicione  IIII,  Quorum  quilibet  cofidempnatus 
est  in  sold.  sexaginta  papienscs  (3).  Risulta  evidente  che  i  Milanesi 
dovevano  compiere  una  scorreria  a  danno  della  Lomellina:  il  punto 
preso  di  mira  era  Tromello.  Ma  i  Pavesi  armarono  la  loro  milizia 
ed  uscirono  in  campo;  questo  trattenne  per  quell'anno  i  Milanesi. 
Non  così  nell'autunno  dell'anno  seguente.  Credendo  i  Milanesi  che 
il  loro  disegno  si  potesse  condurre  con  tutta  segretezza,  irruppero 
nuovamente  nella  Lomellina,  guidati  da  Beltramo  Scanzio,  che  i 
nostri  documenti  dicono  potestas  istorum  cavalcatorum,  e  da  un 
Ardrico  Marro,  che  era  forse  un  comandante  in  secondo  ordine. 
Vedendo  nella  lista  dei  prigionieri  molti  cittadini  di  Piacenza  e 
qualche  Vercellese,  si  può  credere  che,  in  seguito  alle  note  al- 
leanze, i  militi  di  Piacenza  prendessero  parte  alla  fazione  coi  Mi- 
lanesi. Non  ardirei  dire  altrettanto  per  Vercelli,  potendo  i  pochi 
Vercellesi  nominati  nei  nostri  documenti  essere  arruolati  fra  le  mi- 
lizie di  Milano,  di  propria  e  personale  iniziativa.  L'urto  di  queste 
miliide  fu  sostenuto  valorosamente  da  quelle  pavesi;  si  venne  alle 
mani  e  sembra  colla  peggio   degli  in\-asori.  Giacche   è  bensì  vero 

(1'  GiuLiM.  op,  cit^  p.  4x4. 

(a)  Idem.  ibìd.  p.  435. 

I3Ì  II  numero  dei  condannati  ascende  a  circa  170  e  non  sono  tutti 
perchè  il  documento  è  frammentario.  Da  questo  così  largo  numero  di 
renitenti  è  facile  indurre  dì  qual  larghissimo  numero  di  militi  Pavia  po- 
tesse disporre.  L* Anonimo  Ticinese  nel  1330  scriveva  che  i  Pavesi 
potevano  raccogliere  on  ••  ano  tv/  trim  mù'ìa  eifuìttam^  ptdiimm  vero  circa 


IN   PAVIA    NEL    1247  253 

che  nei  documenti  nostri  si  allude  a  soldati  pavesi  tratti  prigio- 
nieri a  Milano  e  là  sostenuti  in  carcere;  ma  apparendo  che  i  due 
condottieri  delle  forze  milanesi  restano  nelle  mani  dei  nemici  e 
che  il  numero  dei  Milanesi  catturati  ascende  a  74,  dobbiamo  rite- 
nere che  la  vittoria  fu  dei  Pavesi.  L'episodio  adunque  rilevato  dai 
nostri  documenti  è  un  altro  anello  della  funesta  lotta  fra  Milano  e 
Pavia,  che,  pur  datando  da  antico,  fu  inasprita  pei  Milanesi  dal 
parteggiare  dei  Pavesi  per  V  impero,  e  pei  Pavesi  dalle  usurpazioni 
e  dai  danneggiamenti  avuti,  per  rappresaglia,  nel  loro  territorio  e 
specialmente  in  Lomellina. 

I  documenti  sono  anche  importanti  perchè  rivelano,  almeno  in 
parte,  il  trattamento  che  si  faceva  ai  prigionieri  di  guerra.  La  loro 
custodia  era  affidata  a  soprastanti  generali  (i),  i  quali,  essendo  in- 
sufficienti le  carceri  comuni,  distribuivano  i  catturati,  per  gruppi, 
in  case  particolari,  affidandoli  alla  sorveglianza  di  uno  o  pili  car- 
cerieri, che,  sotto  la  garanzia  di  lire  duemila  pavesi,  giuravano  di 
sorvegliarli  e  impedirne  la  fuga.  I  carcerieri,  il  più  delle  volte, 
erano  i  padroni  della  casa  scelta  dai  soprastanti  generali  come 
prigione;  e  si  può  comprendere  facilmente  che  non  era  tanto  fa- 
cile trovare  fra  i  cittadini  chi  si  sobbarcasse  alle  fatiche  ed  alla 
responsabilità  dell'odioso  incarico. 

Al  pari  dei  carcerieri,  anche  i  prigionieri  dovevano  dare  ga- 
ranzia e  giuramento  di  non  fuggire,  di  rispettare  la  incolumità  dei 
custodi,  di  non  congiurare  a  danno  dell'imperatore  e  del  comune 
di  Pavia,  di  non  limare  e  frangere  i  loro  ceppi,  di  ritornare,  entro 
il  tempo  stabilito,  in  carcere,  quando  dato  ostaggio,  ne  fossero  stati 
temporaneamente  dimessi.  Da  ciò  risulta  che  i  prigionieri  erano 
incatenati,  anzi  il  documento  dice  che  i  loro  ferri  erano  ribattuti, 
sicché  non' ne  potevano  mai  essere  liberati  :  tuttavia  per  cause  im- 
portanti, i  prigionieri,  dando   ostaggi,  potevano   allontanarsi  dalla 

(i)  Da  un  fascicolo  in  pergamena  dello  stesso  pacco  dei  nostri  do- 
cumenti, contenente  le  garanzie  date  da  alcuni  Piacentini  prigionieri 
a»  guerra,  risulta  che  i  soprastanti  generali  delle  carceri  erano  eletti 
ual  Consiglio  e  duravano  in  carcere  per  sei  mesi.  Queste  sicurtà  dei 
Piacentini,  date  neiragosto  1247,  sono  accettate  da  Castello  Cane  et  Bur- 
rono  mediabarba  superstiiibiis  carcerum  comunis  papié  consdtutis  a  co- 
fnune  Papié  secundi  medii  anni  in   millesimo    ducentesimo   XL  VII   in- 

dtcttone  quinta  tempore  potestarie  domini   U,  Buterii  potestatis  comunis 
pafne. 


254  MILANESI   PRIGIONIERI    DI    GUERRA 

carcere  e  portarsi  anche  a  Milano.  La  circostanza  dell'  incatena- 
mento  fa  pensare  che  ai  carcerati  non  fosse  permesso  di  mendi- 
care il  vitto  per  la  città,  come  altri  documenti  pavesi  del  Museo 
civico  del  tempo  di  Gian  Galeazzo  e  di  Filippo  Maria  mostrano 
facessero  i  prigionieri  di  guerra;  essi  dovevano  con  mezzi  propri 
provvedere  al  vitto,  o  forse  accontentarsi  delle  limosine  recate  dai 
pietosi  alla  porta  delle  carceri.  Il  Comune  non  provvedeva  se  non 
nel  caso  di  estrema  necessità. 

Uno  speciale  incaricato  provvedeva  a  portare  le  ambasciate 
dei  prigionieri.  Eletto  dai  soprastanti  delle  carceri,  costui,  che  chia- 
ma vasi  audator,  doveva  servire  quale  intermediario  fra  i  prigioni 
e  le  loro  famiglie;  si  recava  frequentemente  a  Milano  per  essi,  e 
con  ogni  probabilità  era  per  mezzo  suo  che  i  carcerati  potevano 
procurarsi  i  mezzi  di  mantenersi  fra  gli  stenti  della  custodia.  Egli 
doveva  anche  occuparsi  delle  richieste  e  dei  bisogni  dei  Pavesi 
che  erano  in  carcere  a  Milano;  in  questo  modo  si  stabiliva  quasi 
una  reciprocanza,  Tunico  mezzo  per  salvare  i  prigionieri  da  mal- 
trattamenti. 

Come  i  custodì  delle  carceri  davano  una  garanzia  di  due  mila 
lire  pavesi  e  costituivano  fideiussori,  così  i  carcerati,  a  maggior 
conferma  della  promessa  e  del  giuramento  prestati,  dovevano  pre- 
sentare fideiussori  obbligati  in  solidnm  pel  prigioniero  e  per  la 
somma  ordinariamente  di  due  mila  lire  pavesi.  Fanno  eccezione 
Beltramo  Scanzio  e  Ardrico  Marro  tenuti  a  prestare,  oltre  V  ordi- 
naria di  due  mila  lire,  un'altra  cauzione  di  diecimila;  ma  ciò  si 
spiega  facilmente,  essendo  essi  i  prigionieri  più  importanti  come 
capi  e  condottieri  della  spedizione  armata.  1  fideiussori  dei  carce- 
rati sono  tutti  cittadini  di  Pavia:  fra  essi  troviamo  un  solo  mila- 
nese: segno  questo  che  la  pietà  era  sentita  profondamente  nella 
nostra  città,  anche  verso  i  nemici. 

Dei  prigionieri  uno  solo  morì  in  carcere,  forse  di  ferite  o  di 
stenti.  Prima  dì  dare  il  suo  corpo  alla  sepoltura,  il  Giudice  del  Po- 
destà e  ì  due  consoli  di  giustizia  stabiliscono,  facendo  giurare  due 
carcerati  conoscenti  del  morto,  la  identità  personale  dì  questo  per 
impedire  una  sostituzione  di  persona.  Accertato  che  il  defunto  è 
veramente  quel  prigione  che  si  dice,  lo  fanno  seppellire  presso  una 
chiesa  della  città. 

1  documenti  dì    questo  fascìcolo  non  ci  forniscono  alcun  dato 


IN    PAVIA    NKL    1247  255 

suJla  sorte  toccata  a  questi  prigionieri  di  guerra.  Però  un  altro  fa- 
scicolo pergamenaceo  della  stessa  cartella  supplisce  alla  mancanza 
e  ci  insegna  che  la  prigionia  durò  per  alcuni  di  essi  fino  al  1249, 
per  altri  più  a  lungo.  1  Milanesi  mal  tolleravano  che  un  loro  con- 
dottiero rimanesse  prigione:  si  adoperarono  quindi  principalmente 
per  la  fuga  di  lui  e  dei  suoi  compagni  di  carcere.  Assoldato  un 
Giacomino  da  Villanova  d'Ardenghi,  costui  venne  a  stabilirsi  in 
Pavia  e  prese  abitazione  nella  casa  attigua  alla  carcere  del  capi- 
tano milanese.  Senza  dar  sospetto  entrò  in  rapporto  coi  custodi  di 
lui,  fors'anche  li  corruppe  con  denaro;  sta  di  fatto,  che  sulla  fine 
del  1248  si  trovò  rotto  il  muro  fra  la  casa  di  Giacomino  e  la  pri- 
gione di  Beltramo  Scanzio  e  questi  fuggito  con  Tebaldo  suo  scu- 
diero e  cogli  altri  compagni.  La  peggio  toccò  ai  custodi,  de'  quali 
il  fascicolo  ci  accenna  le  condanne:  Salioto  Raso  e  Ottone  Pata- 
rino  furono  destituiti,  incarcerati  e  condannati  ad  una  multa  di  200 
lire  pavesi;  si  fé  loro  carico  di  negligenza  e  persino  di  connivenza 
essendosi  accertato  che  cotidie  stabant  cum  dicto  Bertramo,,,  come- 
drudo  et  bibendo  assidtie^  e  perchè  era  impossibile  che  il  career  pò- 
tuisset  fractum  esse  qtiin  ipsi  Saliotus  et  Otto  seitsissent.  Otto  altri 
custodi  furono  destituiti  e  condannati  in  lire  cento  per  negligenza 
e  la  pena  fu  mitigata  quia  non  inveniuntur  de  tanta  culpa  quanta 
predicti  Saliotus  et  Otto.  Anche  i  due  soprastanti  delle  carceri  della 
seconda  metà  dell'anno  1248,  Lanfranco  Botto  e  Giovanni  da  Gam- 
bolò,  furono  condannati  in  lire  200  ed  alla  esclusione  dall'ufficio  di 
soprastanti  per  totum  tempus  presentis  guerre,  Pietro  e  Carbone  Rasi, 
due  altri  favoreggiatori,  furono  condannati  in  lire  cento.  In  contu- 
macia poi  fu  condannato  alla  pena  capitale  (ad  mortemy  si  capi 
posset)  lo  scaltro  Giacomino  da  Villanova  d'Ardenghi.  Tre  altri 
emissari  <\cì  Milanesi,  Bozolino  de  Puteo,  Manfredeto  de  Mediolano, 
Guglielmo  Cristiani  qui  dicitur  Carnelevarius,  furono  banditi  fino 
a  che  pagassero  lire  700,  data  facoltà  a  tutti  di  catturarli  e  di  se- 
questrarne i  beni,  promesse  lire  100  di  premio  a  chi  consegnasse 
al  Comune  di  Pavia  uno  di  quei  banditi.  Un  Guglielmo  Medici,  fi- 
nalmente, perchè  si  vantò  di  aver  sospettato  della  fuga  che  si  tra- 
mava, e    perchè  tacque  la   verità,  fu   condannato  ad  una  multa  di 

venticinque  lire. 

Rodolfo  Maiocchi. 


256  MILANESI   PRIGIONIERI    DI    GUERRA 


DOCUMENTf 


1.  —  124'],  giovedì  ij  ottobre. 

Garanzia  e  sicurtà  fatta  ai  soprastanti  delle  carceri 
DI  Pavia,  da  undici  prigionieri  milanesi,    di   rimanere 

A    LORO    DISPOSIZIONE    NELLE    CARCERI. 

In  Nomine  domini  nostri  Jhesu  Christi  Amen.  Securitates  Car- 
ceratorum  Comunis  Papié  facte  sub  dominis  Rainerio  de  Caneva- 
novo  et  Rolando  de  Morzano  superstitibus  ipsorum  carceratorum 
qui  capti  fuerunt  in  lomellina  per  Comune  Papié  die  septimo  mensis 
octubris  quando  Bertramus  Scanzius  et  Ardricus  Marrus  et  alii  eo- 
rum  sequaces  ibidem  capti  fuerunt  Mccxlvii  indictione  V. 

Die  lovis  XVI  kalendas  novembris.  Testes  Guido  de  Monte- 
bello,  Frater  Martinus,  henricus  isembardus  et  Bertramus  taberna- 
rius,  peliparius  peliparius.  In  Papia  in  domo  Jacobi  Raxi. 

Bertramus  Scattztns  civis  mediolani 
ArnixÌHs  de  Merlo  de  burgo  porte  coìiiacine 
Panigata  filùis  pelegri  villani  de  porta  roiitana 
Zaiietus  de  Cergttago  civis  mediolani  de  porta  nova 
Tebatdtis  francisais  de  mediolano 
Girardns  Surdns  civis  mediolani  de  porta  romana 
Lantelmettis  de  piato  civis  mediolani  de  porta  arcnza 
Tinctns  de  linate  civis  ntediolani  de  porta  romana 
Arnoldus  de  bnstigaria  civis  mediolani  de  ipsa  porta 
Conradintis  de  pinarolo  tambornator, 

Zambelletus  capud  mazie   qui  dicitur  panicus  civis  mediolani 
de  porta  tonsa 

onmes  suprascripti  de  Mediolano  sponte  propria  et  non  cohacti  et 
onines  carcerati  predicti  ut  dixerunt  protestati  fuerunt  et  confessi, 
promittunt  et  conveniunt  quilibet  eorum  in  solidum,  dictis  super- 
stitibus recipientìbus  eorum  nomine  et  nomine  Comunis  Papié  stare 
de  cetero  personalìter  in  eorum  fortia  et  virtute  dicti  Comunis  Papié 
in  carcere  in  domo  et  turri  Jacobi  Raxi  et  alibi  ubi  positi  fuerint 
per  Comune  Papié,  uno  tempore  et  dìversis,  et  una  vice  et  pluribus, 
per  totum  tempus  presentis  guerre,  ferriati  et  dìsferriati,  cum  ho- 
stagìo,  et  sine  hostagio,  ad  voluntatem  mandatum  et  dispositionem 
Comunis  l\ipie»  suprascriptorum  superstitum  et  eorum  successorum 


IN    PAVIA    NEL    1347  257 

qui  prò  tempore  fuerint  et  cuiuslibet  ipsorum.  Et  quod  de  ipso 
carcere  ipsi  carcerati  vel  aliquis  ipsorum  nec  recedent  nec  exibunt 
nec  se  unquam  movebunt  nec  consentient  se  moveri  nec  exportari 
nec  eripi  nec  liberari  in  aliquo  casu  et  eventu  qui  dici  possent  no- 
minari  vel  excogitari  aliquo  modo  sìve  casu,  absque  licentia  para- 
bola et  mandato  Comunis  Papié  et  dictorum  superstitum  et  eorum 
successorum  vel  alicuius  ipsorum  qui  [prò]  tempore  fuerint.  Et 
si  centra  predicta  et  singula  ipsi  vel  aliquis  ipsorum  fuerint  et 
venerint,  reddibunt  ad  carcerem  personaliter  in  fortia  et  virtute 
suprascripti  comunis  et  ipsorum  superstitum  et  eorum  successorum 
et  cuiuslibet  ipsorum  ad  secundam  dìem  proximam  post  quam  hec 
vel  aliquod  predictorum  commissa  fuerint  per  ipsos  carceratos  vel 
aliquem  ipsorum  ut  dictum  est.  Et  in  carcere  stabunt  iuxta  pre- 
dictam  condictionem  et  formam  quandocumque  eis  vel  alicui  ipsorum 
vel  infrascriptis  eius (?)  fideiussorìbus  seu  alicui  ipsorum....  domos  seu 
domum  alicuius  ipsorum  fuerit  requisitum  per  litteras  vel  nuncios 
vel  sine  requisitione.  Item  quod  predicti  carcerati  vel  aliquis  ip- 
sorum non  frangent  nec  frangi  facient  carcerem  in  quo  positi  sunt 
et  fuerint  per  ipsos  superstites  vel  eorum  successores  qui  prò  tem- 
pore fuerint  per  comune  Papié.  Item  quod  non  limabunt  nec  limari 
facient  sibi  ferrias  nec  dabunt  nec  dari  facient  aliquam  potionem 
vel  confecturam  suprascriptis  custodibus  uni  vel  pluribus  per  quam 
possent  eripi  de  carcere  vel  liberari  et  per  quam  ipsi  custodes  vel 
aliquis  ipsorum  amitterent  vitam  vel  membrum  vel  sanguinem.  Item 
quod  non  erunt  consentientes  ubi  ipsi  carcerati  vel  aliquis  ipsorum 
faciant  aliquid  ex  predictis  et  singulis,  nec  exinde  erunt  in  aliquo 
tractatu.  Item  quod  ipsi  vel  aliquis  ipsorum  non  ibunt  in  aliquam 
partem  ubi  credant  cadere  in  periculum  persone  et  quod  ibunt  per 
rectam  stratam  ordinatam  per  Comune  Papié  et  quod  non  tractabunt 
alicubi  malum  vel  detrimentum  domini  Imperatoris  nec  Comunis 
Papié.  Item  si  dicti  carcerati  vel  aliquis  ipsorum  cum  hostagio  vel 
?>ine  hostagio  irent  mediolanum  quod  reddibunt  ad  carcerem  in 
fortia  et  virtute  suprascriptorum  superstitum  vel  eorum  successorum 
vel  alicuius  ipsorum  ad  terminum  vel  terminos  sibi  datos  vel  infra 
terminum  uno  tempore  et  diversis  et  una  vice  et  pluribus  et  di- 
versis  hostagiariis,  quandocumque  eis  vel  eius  fideiussorìbus  seu 
alicui  ipsorum  vel  apud  eorum  domos  vel  domum  alicuius  ipsorum 
fuerit  aliquatenus  requisitum  per  litteras  vel  nuncios  et  quod  se 
l>ersonaliter  presentabunt  et  consignabunt  predictis  superstitibus 
vel  eorum  successoribus  vel  alicui  ipsorum  in  eorum  fortia  et  vir- 
tute in  carcere  et  se  facient  inlegare  et  clavum  firmiter  rebatti  et 
exinde  non  recedent  absque  licentia    parabola    et  mandato    supra- 


258  MILANESI    PRIGIONIERI    DI   GUERRA 

scriptorum  superstitum  vel  eorum  successorum  per  totum  tempus 
presentis  guerre  iuxta  predictam  condictionem  et  formam  interpro- 
missam  et  conventam  dictis  superstitibus  :  Quod  si  ipsi  carcerati  de- 
derint  unum  hostagium  vel  plures  uno  tempore  et  diversis  et  una 
vice  vel  pluribus  et  diversis  hostagiarìis,  quod  ipse  hostagius  vel 
hostagii  et  quilibet  ipsorum,  prò  se  et  eorum  sacramento  et  facto 
ipsorum  carceratorum  et  eorum  hostagiarie,  attendent  et  observa- 
bunt,  in  omnibus  et  per  omnia,  ea  omnia  et  singula  que  suprascripti 
carcerati  vel  aliquis  ipsorum  promiserunt  superius  occasione  car- 
ceris  donec  ipsi  carcerati  vel  aliquis  ipsorum  reddibunt  ad  carcerem 
in  fortia  et  virtute  suprascriptorum  superstitum  vel  eorum  succes- 
sorum vel  alicuius  ipsorum  cum  requisicione  vel  sine  requisicione 
iuxta  predictam  condictionem  et  formam.  Et  hec  omnia  et  singula 
dictis  superstitibus  eorum  et  predicto  nomine  promittunt  attendere 
ut  supra  continetur  :  Et  si  ita  non  attendent  promittunt  dare  dictis 
superstitibus  recipientibus  eorum  et  predicto  nomine  penam  librarum 
duo  milia  papiensium  prò  quolibet  ipsorum  casu  quo  (?)  ipsi  vel  ali- 
quis ipsorum  contra  predicta  et  singula  fecerint  et  venerint,  rato  etc. 
qua  pena  comissa  vel  non  comissa,  soluta  vel  non  soluta,  exacta  vel 
non  exacta,  nichillominus  predicta  et  singula  sint  et  permaneant  in 
sua  firmitate  et  omni  suo  robore  et  vigore.  Et  predicta  omnia  et 
singula  ipsi  carcerati  debeant  et  teneantur  attendere  et  attendi  fa- 
cere  iuxta  predictam  condictionem  et  formam  simul  cum  expen- 
sis  etc.  eundo  stando  et  reddeundo  tempore  feriarum  et  non  fe- 
riarum,  in  causa  et  extra  causam  et  in  omni  eventu  et  casu  in 
denariis  numeratis  tantum.  Renuntiando  omni  decreto  statuto  et 
ordini  alicuius  Civitatis  et  loci  facto  et  faciundo  contra  predicta  et 
singula  et  renuntiando  fori  prescriptionibus,  etc,  et  renuntiando 
omnibus  litteris  impetratis  et  impetrandis  a  romana  curia  et  impe- 
riali et  omni  beneficio  earundem  et  renuntiando  omni  iuri  tam 
canonico  quam  civili  quibus  se  possent  tueri  contra  predicta  et  sin- 
gula, desistentes  ex  nunc  sponte  propria  ab  omni  lite  questione  et 
exceptione  quas  ipsi  vel  aliquis  ipsorum  movere  possent  contra 
predieta  et  infrascripta  omnia  et  singula.  Credendo  de  pena  et 
ex|>€nsis  et  obligando  etc.  oblìgatìone  in  solidum  etc.  Renuntiando 
epistole  divi  Adriani  et  hiis  duabus  novis  consti tìonibus,  una  quarum 
dicit  quod  prìncìpales  debitores  etc,  altera  denotat  quod  ne  quis  ex 
rtis  etc  Et  renuntiando  il  li  iuri  quo  dicitur  quod  si  principales 
non  re  [spondent  ?j  etc  Et  renuntiando  illi  iuri  quo  se  potuerint 
dìct  re  so  in  tempore  promissionis  carceratos,  scientibus  tamen  fir- 
milor  so  in  tempore  promìssìonìs  carceratos  :  et  renuntiando  spatio 
termini  quadrimestri  tomporis.    Insuper   dìcti    carcerati    iuraverunt 


IN    PAVIA    NEL    1247 


259 


personaliter  ad  sancta  dei  evangelia  predicta  omnia  vera   esse  et 
ea  attendere  et  observare  ut  supra  continetur  et  non  contravenire 
modo  aliquo.  Qua  securitas  et  omnia  predicta  et  singula  teneant  et 
valeant  per  totum   tempus   presentis  guerre    et  perpetuo    et  omni 
tempore  donec  omnes  et  singuli  carcerati  predicti   et  eius  fideius- 
sores  absoluti  fuerint  et  liberati  a  carceribus  et  a  predictis  et  sin- 
gulis  per  Comune  Papié  et  instrumenta  publica  fiant  exinde  manu 
publica  notarii  papiensis.  Dicti    carcerati  sponte  propria    renuntia- 
runt  omnibus    probationibus   testium   exceptionibus  et  defensioni- 
bus  etc.  Et  hoc  stetit  in  ter  eos  quod  aliquid  contra  predicta  et  sin- 
gula probari  non  possit  ostendere  nec  opponi  nec  per  cartam  factam 
exinde  manu  publica  notarii  papié.  Dicti    carcerati   et   quilibet  ip- 
sorum  hanc  cartam  fieri  iusserunt. 


11.  —  124-]^  ij  ottobre. 

Garanzia  e  promessa  dei  carcerieri  fatta  ai  detti  so- 
prastanti PER  LA  CUSTODIA  DEI  PRIGIONIERI  DATI  LORO 
IN  CONSEGNA. 

Eadem  die  et  testibus.  In  Papia  in  suprascripto  carcere.  Olive- 
rius  de  albaris,  Zumignanus  de  puteo,  Jacobus  raxus,  Oto  patarinus 
et  Johannes  decimanus  custodes  suprascriptorum  carceratorum  fue- 
nint  confessi  versus  dictos  superstites  recipientes  eorum  et  predicto 
nomine  se  accepisse  et  habuisse   ab   eis  personaliter  in  custodia 
et  carcere  suprascriptos  omnes  et  singulos  carceratos.  Renuntiando 
etc.  quos  omnes  et  singulos  promisserunt  representare  et  consignare 
suprascriptis    superstitibus    personaliter    vel    eorum    successoribus 
quandocumque   eis,  vel    eorum    fideiussoribus,  vel    alicui  ipsorum 
fuerit  aliquatenus    requisitum   per    nuncium,  vel  litteras,    vel   alio 
modo,  sub  pena   librarum    duarum   milium  prò   quolibet   ipsorum. 
Rato  etc.  simul  cum  expensis  etc.   in   denariis    numeratis  tantum. 
Renuntiando  omnibus  et  singulis  quibus  suprascripti  carcerati  re- 
nuntiarunt  superius.  Credendo  de  pena   et  expensis   et   obligando 
in  solidum  etc.  Renuntiando  in  omnibus  ut  dicti    carcerati   renun- 
tianint  superius.  Qui  superstites  nomine  et  a  parte  comunis  papié 
preceperunt  dictis  custodibus  in  debito  iure  et   banno  et  pena   li- 
brarum centum  papiensium  prò  quolibet  ipsorum  quatenus  attendant 
et  observent  et  attendere  faciant  et  observare  dictis  carceratis  et 
cuilibet  ipsorum  omnia  que  continentur  in  decreto  comunis  Papié 
facto  prò  ipsis  carceratis  et  aliis  carceratis  Comunis  Papié  et  ea  oc- 
casione, et  quod  ipsos    non    dimitant  exire    carcerem  vel   aliquem 


26o  MILANESI    PRIGIONIERI   DI   GUERRA 

ipsoruni  occasione  mendicandi  ut  eis  prohibìtum  per  ipsum  decretum, 
et  quod  non  recipiant  aliquod  servicìum  in  aliquo  casu  ab  ipsis 
carceratis,  nec  de  rebus  ipsorum  vel  alicuius  ipsorum  utantur  dìcti 
custodes.  Renuntiando  omnibus  probacionibus  testium,  exceptio- 
nibus  et  defensionibus  etc.  Et  hoc  stetit  inter  eos  quod  aliquid 
non  possit  probari  ostendi  nec  opponi  contra  predicta  et  singula 
nec  per  cartam  factam  exinde  manu  publica  notarii  papié.  Dicti 
custodes  hanc  cartam  etc. 

III.  —  124"]^  14  ottobre. 
Garanzia  e  promessa  prestata  da  altri  prigionieri  agli 

ANZIDETTI    SOPRASTANTI    DELLE    CARCERI    DI    PaVIA. 

Die  Lune  xiiij<*  mensis  octubris.  Testes  :  Guido  de  Montebello, 
Palmerius  Cogabella  et  Bartholomeus  Trovamala  cives  papienses.  In 
Papia  in  domo  Ricardi  de  sancto  Gabriele 

Ardrictis  Marrus  civis  mediolaui 

Albertus  de  aimericis  de  Broiiate  qui  habitat  mediolani  in  porta 

nova 
Ambrositis  bastardus  de  aritis  civis  mediolani 
Guillelmus  henglesius  de  compito  de  porta  arenza  de  tnediolano 

nomen  cuius  iuvenitur  inscriptus  comuniter  hengilerius 
Matus  de  sancto  angelo  civis  mediolani  de  porta  rotnana 
Jacometus  de  canturio  de  porta  zobia  civis  mediolani 
Millanus  Reminzonus  civis  mediolani  de  porta  zobia 
Albertus  filius  petracii  de  lastricta  de  Roxate 
Reforzatus  guantarius  de  mediolano  de  porta  arenza 
Martinus   Tilerius  de  cermagnano 

omnes  suprascripti  carcerati  comunis  papié  sponte  propria  et  non 
cohacti  ut  dixerunt  protestati  fuerunt  et  confessi,  modo  consimilii 
in  omnibus  et  per  omnia  fecerunt  securitatem  dictis  superstitibus  ut 
alii  carcerati  fecerunt  superius  standi  in  dieta  domo  in  carcere  sub 
pena  librarum  M.M.  papiensium  prò  quolibet,  rato  etc.  simul  cum  ex- 
pensis  etc.  in  denariis  numeratis  tantum.  Credendo  etc.  et  obligando 
in  solidum  et  renuntiando  ut  predicti,  et  renuntiando  omnibus  te- 
stìbus  etc.  Et  hoc  stetit  inter  eos  quod  aliquid  contra  predicta  pro- 
bari  non  possit  etc.  Et  iuraverunt  personaliter  etc. 


IN    PAVIA    NEL    1247  261 

IV.  —  /2^7,  /^  ottobre. 

Promesse  e  garanzie  date  ai  soprastanti   delle  carceri 

DA   altri    prigionieri. 

Die  mercurii  xvj  mensis  octubris.  Testes:  Guido  de  Montebello, 
Petrus  nibeus  de  la  turri  et  Johannes  henlenus  cives  papienses. 
In  Papia  in  domo  Gisolfi  de  verzario  et  filiorum  eius, 

Manfredus  polenzouus  qui  dicittir  pizattoxicnm  civis  Medioìani 

de  porta  romana 
Ubertus  Medalia  de  septazauo 
Henriciis  de  pelato  de  Roxate 
Daniel  de  mediolano  de  porta  comacina 
Dianus  filitis  Alberti  de  porta  romana 
Morontis  de  liscate  de  districtu  medioìani 
Lancia  Burrus  de  mediolano 
Guillelmus  Seregnus  de  mediolano 
Ugetus  de  pignano  de  porta  romana 
Zaninus  de  Gavio 

omnes  suprascripti  carcerati,  sponte  propria  et  non  cohacti  ut  di- 
xenint,  protestati  fuerunt  et  confessi,  modo  consimilli  fecerunt  se- 
curitatem  dictis  superstitibus  standi  in  carceribus  in  dieta  domo  et 
alibi  ut  alii  carcerati  fecerunt  superius  sub  pena  etc.  Come  sopra 
al  n.  III. 

V.  —  1247,  ^1  ottobre. 

Garanzie  e  promesse  di  carcerati  verso  i  soprastanti 
generall 

Die  Jovis  xvj<>  kalendas  novembris.  Testes  :  Rainerius  de  sancta 
mustiola,  Jacopus  de  sancta  mustiola  qui  dicitur  Alzatus  et  Guerzius 
de  rubis  cives  papienses.  In  Papia  in  domo  Guillelmi  et  Carboni 
de  Solario  fratrum  civium  papiensium. 

Oldrattis  brochinus  de  nezio  qui  dicitur  stangar ius 

Petrus  rubens  civis  Medioìani  de  porta  arenza 

Armanus  de  mozia  ferrar  ius 

Zaninus  prestenarius  de  burgo  Roxati 

Moretus  fragerius  de  Roxate 

Golia  de  Mediliis  de  mediolano 

Albertinus  de  agugnano  civis  medioìani  de  porta  romana 


202  MINANESI    PRIGIONIERI    DI    GUERRA 

Uberttis   Tavanus  de  Cassano  de  districtu  mediolani 
Morus  Martinus  civis  mediolani  de  porta  nova 
Galferrus  civis  mediolani  de  porta  comaxina 
Gasparus  de  Canova  de  tnediolano 

omnes  suprascripti  de  Mediolano,  sponte  propria  et  non  cohacti  ut 
dixerunt,  protestati  fuerunt  et  confessi  modo,  consimilli  fecerunt  se- 
curitatem  dictis  superstitibus  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

VI.  —  72^7,  i8  ottobre. 

Promesse   e   garanzie  di    altri   carcerati   verso   i  detti 
soprastanti. 

Die  Veneris  xv  kalendas  novembris.  Testes:  Guillelmus  de 
sanato  Alexio,  henricus  agiratus  et  Anselminus  servitores  Comunis 
Papié.  In  papia  in  domo  pagani  gabi  que  fuit  de  carpanis. 

Gandolfiis  sartor  de  placentia 

Henricus  franzeritis  civis  placentie 

Guillelmus  de  stra  levata  civis  placentie 

Petrus  domenzus  de  placentia 

Azinus  Scarrezius  de  placentia 

Guilielmetus  de  Sexto  de  districtu  tnediolani 

Amizetus  de  Carpiano  de  mediolano 

A  ventura  de  pontremulo  civis  placentie 

Majfeus  Malerba  de  placentia 

Jacominus  bigorra  de  ym^rio  de  districtu  mediolani 

Olricus  opicerius  de  digitate  vercellarum 

omnes  suprascripti  carcerati  sponte  propria  et  non  cohacti  ut  di- 
xerunt protestati  fuerunt  et  confessi,  fecerunt  dictis  superstitibus 
modo  consimilli  securitatem  in  omnibus  standi  in  carceribus  etc. 
Come  sopra  al  n.  III. 

VII.  —  ^24j,  iS  ottobre. 
Garanzìe  e  promesse  di  altri  carcerati. 

Die  Veneris  xv  kalendas  novembris.  Testes:  Guido  de  Mon- 
tebello,  henricus  agiratus  et  Simon  de  marchixiis  cives  papìenses. 
In  Papia  in  domo  Otonis  de  marchixiis  et  Rolandi  Nigri  civium 
papiensium. 


IN    PAVIA    NEL    1247 


263 


Ventura  de  brivio  de  porta  coniaxhta 
Afftbroxius  de  orsenigo  de  suprascripta  porta 
Andriolus  de  Cantono  de  suprascripta  porta 
Guidotus  de  cornali  inferiori 
Mazia  de  solerio  de  porta  suprascripta 
Zambelktus  de  gatego  de  novaria 
Christianus  Canevarius  de  porta  arenza 
Petrus  de  dergano  de  porta  comaxina 
Ambroxius  de  dergano  eius  frater 
Ambroxius  de  barlexina  de  ipsa  porta 
Zorgnus  luxiardus  de  porta  romana 
Losyrus  de  dergano  de  mediolano 

omnes  suprascripti  carcerati  sponte  propria  et  non  cohacti  ut  di- 
xerunt  protestati  sunt  et  confessi,  modo  consimilli,  fecerunt  securi- 
tatem  dictis  superstitibus  stando  in  dicto  carcere  etc.  Come  sopra 
al  n.  111. 

Vili.  —  ^24y,  24  ottobre. 
Altre  promesse  e  garanzie  di  carcerati. 


Die  sabbati  xv  kalendas  novembris.  Testes  :  Guido  de  Monte- 
bello  et  henricus  agiratus  servitor  comunis  papié.  In  papia  in  domo 
Michaelis  de  travalio  civis  papié. 

Ventura  de  brivio  de  porta  comaxina 
Andriolus  de  cantono  de  suprascripta  porta 
Guidotus  de  cornali  inferiori 
Zambelletus  de  gatego  de  novaria 
Petrus  de  dergano  de  porta  comaxina 
Ambroxius  de  dergano  eius  frater 
Zorgnus  luxiardus  de  suprascripta  porta 
Losyrus  de  dergano  de  mediolano 
Jacomus  de  albano  de  districtu  verceltarum 
Ambroxius  de  orsenigo  de  suprascripta  porta 
Mazia  de  solerio  de  suprascripta  porta 
Christianus  canevarius  de  porta  arenza 
Ambroxius  de  barlessina  da  suprascripta  porta  (i). 

omnes  suprascripti  carcerati  sponte  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

(i)  Sono  gli  stessi,  quasi  tutti,  del  documento   precedente,  che  rin- 
novano la  garanzia,  forse  perchè  hanno  cambiato  di  carcere  e  di  custodi. 


264  MILANESI    PRIGIONIERI    DI    GUERRA 

IX.  —  124-],  1^  ottobre. 

Promesse  e  garanzie  di   carcerati  fatte  ai  soprastanti 
generali  delle  carceri. 

Die  sabbati  xiiij  kalendas  novembris.  Testes:  Guido  de  Mon- 
tebello,  Guillelmus  de  santo  Alexio  et  henricus  agiratus  cives  pa- 
pienses.  In  papia  in  domo  pagani  gabi  que  fuit  de  carpanis. 

Manfredus  de  Vertnezo  de  mazenta  de  districtu  Mediolatìi 
Otolinus  sillonus  de  mazenta  de  districtu  Mediolani 

predicti  carcerati  et  omnes  carcerati  predicti  carceris  inter  se  vi- 
cissim  fecerunt  securitatem  dictis  superstitibus  standi  in  carcere  sub 
pena  librarum  M.  papiensium  prò  quolibet  etc  Come  sopra  al  n.  III. 
Eadeni  die.  Testes  :  Guido  de  Montebello  et  henricus  agiratus. 
In  Papia  in  domo  Guillelmi  et  Carboni  de  solario  fratrem  civium 
papiensium. 

Cremaschifuis  de  Crema  de  burgo  Roxati 
Airoldinus  de  beloxio  de  suprascripto  burgo 

predicti  carcerati  et  omnes  alli  qui  sunt  in  suprascripta  domo  inter 
se  securitatem  fecerunt  dictis  supertitibus  standi  in  carcere  sub  pena 
libr.  M.  papiensium  prò  quolibet  etc.  Come  al  n.  III. 

Eadem  die  et  testibus.  In  Papia  in  domo  Ricardi  de  sanato 
Gabriele  civis  papiensis 

Giliolus  henglexius  qui  dicitur  Valarius  de  placentia, 
Perrinus  de  Augusta  de  pede  montis 

predicti  carcerati  et  omnes  alii  de  suprascripto  carcere  modo  con- 
similli  etc.  Come  sopra  al  n.  IH. 

Eodem  die  et  testibus  in  Papia,  in  domo  Gisolfi  de  Verzario 
et  filiorum  civium  papié 

Phiìipinus  de  ìrnrgo  Rosate  de  districtu  fuediolani 

prcdictus  carceratus  et  omnes  alii  qui  sunt  in  dicto  carcere  modo 
oonsimìlli  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

F-adcm  die.  Testes:  Rolandus  de  Verzario.  Guillelmus  de  sancto 
alexio  et  henricus  agiratus  cives  papienses.  In  Papia  in  domo  Ja- 
iX^bì  raxì 

MiVìitiius  dt  Rwate  de  districtu  Mediolani 

prediciuii  caivcratus  et  oìnius  carcerati  de  suprascripta  domo  con- 
sìmìUi  nunlo  teccrunt  securitatem  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 


IN    PAVIA    NEL    1247  265 

Die  suprascripto.  Testes  :  Guido  de  Montebello  et  henricus 
agiratus  cives  papienses.  In  papia  in  domo  Ottonis  de  marchixiis 
et  Rolandi  nigri  civium  papié. 

Jacominus  de  albana  de  districtu  vercellarum 

predictus  carceratus  et  omnes  alii  de  suprascripto  carcere  modo 
consimilli  fecerunt  securitatem  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

Suprascriptus  carceratus  est  positus  in  carcere  in  domo  mi- 
chaelis  de  travalio  cum  aliis  carceratis  post  predicta  acta  superius. 

X.  —  1247,  79  ottobre, 
Bertramo  Scanzio  capo  dei  prigionieri  dà  garanzia  di  se 

PER   diecimila   lire   E   COSTITUISCE    I    SUOI    FIDEIUSSORI. 

Die  sabbati  xiiij  kalendas  novembris.  Testes:  Jacobus  raxus: 
Oto  patarinus  et  Oliverius  de  albaris  cives  papienses.  In  Papia  in 
domo  Jacobi  raxi  civis  papié 

Bertratnus  Scanztus  civis  Mediolani  sponte  propria  et  non  co- 
li actus  ut  dixit,  prot estatus  fuit  et  confessus,  fecit  consimillem  se- 
curitatem dictis  supertitibus  occasione  carceris  prout  predicti  car- 
cerati fecerunt  superius  in  omnibus  et  per  omnia  sub  pena  librarum- 
decem  millium  papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

Pro  ipso  Beltramo  : 

Niger  de  Zaciis  filius  GuiUelmi 

Rolandus  botus 

Bergundinus  Zazius  fq.  Guidonis 

Lanfrancus  medicus 

Jacomus  Cargnotus 

Rufinus  Capitaneus  de  porta  laudensi 

Rainerius  botus 

Gualterinus  medicus 

Siclerius  medicus 

Quintavalle  de  malfaxato 

Petrus  de  Becariis 

Petrus  Cataxius 

Lanfrancus  Botus 

Jacobus  Salenbenus  filius  oliverii 

omnes  predicti  Cives  papienses  fideiussores  in  solidum  ut  mos  est 
promitterunt  obligando  in  solidum  ut  dicti  carcerati  fecerunt  supe- 
rius sub  pena  librarum  decem  milium  papiensium,  rato    etc.    cum 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX.  Fase.  XXX ÌV.  18 


206  MILANESI   PRIGIONIERI   DI    GUERRA 

expensis  etc.  in  denarìis  numeratis  tantum  etc.  Credendo  et  obli- 
gando  in  solidum  et  renuntiando  omnibus  quibus  suprascripti  car- 
cerati renuntiaverunt  superius  salvis  tamen  et  firmis  manentibus  se- 
curitatibus  promissionibus  obligationibus  penis  dispendiis  et  ceteris 
actis  per  suprascriptum  carceratum  occasione  carceris  ita  quod 
sint  et  permaneat  in  omni  suo  robore  et  vigore  cum  integritate 
omnimoda.  Dicti  carceratus  et  fideiussores  renuntiarunt  omnibus 
probacionibus  testium  exceptionibus  et  defensionibus  etc.  Et  hoc 
stetit  inter  eos  quod  aliquìd  contra  predicta  et  singula  non  possit 
opponi  ostendi  nec  probari  etc.  Et  michi  hanc  cartam  etc 

XI.  —  124^,  20  ottobre. 
Garanzia  e  fideiussori  del  prigionierio  Enrico  de  Pelato. 

Die  dominico  xiij  kalendas  novembris.  Testes:  henricus  de 
Verzario  notarius  et  Gisolfus  de  Verzario  et  Guido  de  Montebello 
cives  papienses.  In  Papia  in  domo  Gisolfi  de  Verzario  et  filionim 
civium  papiensium. 

Henricus  de  pelato  de  burgo  Roxati  sponte  propria  etc.  fecit 
consimillem  securitatem  dictis  superstitibus  prout  alii  carcerati  fe- 
cerunt  superius  sub  pena  librarum  duarum  milium  papiensium 
rato  etc.  Come  sopra  al  n.  Ili, 

Pro  suprascripto  henrico  carcerato  : 

Baldus  de  curte  Cremona 

Gaiferus  de  morzano 

Petrus  razius  filius  Sillani  profitens  se  esse  emancipatum 

Rufinus  de  palacio  qui  dicitur  gallus 

Oto  patarinus  notarius 

Et  Simon  de  abìate  filius  Johannis  profitens  se  esse  emancipatum 
omnes  predicti  cives  papienses  fideiussores  in  solidum  ut  mos  est 
promittunt  obligando  in  solidum  etc.  sub  dieta  pena  librarum  dua- 
mm  milium  papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  X. 

XII.  —  124^,  2}  ottobre. 

Garanzia  di  dieci  mila  lire  prestata  da  Ardrico  Marro 
altro  capo  dei  prigionieri,  e  suoi  fideiussori. 

Die  mercurii  x  kalendas  novembris.  Testes  :  Guido  de  Monte- 
bello  Castellanus  Grassellus,  Johannes  tinctor  et    plures  alii  cives 


IN   PAVIA    NEL    1247 


267 


papienses.  In  Papia,  in  domo  Ricardi  de  sancto  Gabriele  civis  pa- 
piensis. 

Ardricus  Marrus  civis  ntediolani  et  carceratus  comunis  papié 
sponte  propria  etc.  fecit  dictis  superstitibus  consimillem  securitatem 
in  omnibus  et  per  omnia  occasione  carceris  prout  dicti  carcerati 
fecenint  superius  sub  pena  librarum  decem  miliura  papiensium  etc. 
Come  sopra  al  n.  IH. 


Pro  suprascripto  carcerato; 

Petrus  de  strata  maior 
Guilielmatius  de  strata 
Jacobus  canis  notarius 
Enricus  medicus 
Rolandus  de  Olevano 


Guizardus  porcus 
Ricardus  de  marconibus. 
Rainerius  belixomus 
Baldus  de  curte  Cremona 
Mussus  scanatus 


Ranisus  de  Uvergnaga 

omnes  predicti  cives  papienses  fideiussores  in  solidum  ut  mos  est 
promittunt  obligando  in  solidum  etc.  sub  dieta  pena  librarum  decem 
milìum  papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  X. 

XIII.  —  124^,  2  novembre. 
Garanzia  e  fideiussori  del  prigioniero  Panico  de  Maxate. 

Die  sabbati  secundo  mensis  novembris.  Testes  Jacobus  raxus 
et  Zumignanus  de  puteo  cives  papienses.  In  papia  in  domo  Jacobi 
raxi  civis  papiensis. 

Panicus  de  Maxate  civis  ntediolani  de  porta  arenza  sponte  pro- 
pria etc.  fecit  dictis  superstitibus  consimillem  securitate  etc.  sub 
pena  librarum  duarum  milium  papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  111. 

Pro  eo  : 


Jacobus  de  Cadrona 
Faxadinus  de  malfaxato 


Guido  isembardus 
Nicola  de  galobia 

Omnes  predicti  cives  papienses  fideiussores   ut  mos   est   pro- 
mittent  obligando  in  solidum  etc.  Come  sopra  al  n.  X. 


XIV.  —  124^,  4  novembre. 

Due  prigionieri  attestano  con  giuramento  la  identità 
personale  di  un  loro  compagno  morto  in  carcere, 
prima  che  sia  portato  a  seppellire. 

Die   iiij*   mensis   novembris,    Testes:   Magister   Rolandus  de 
Sancto  primo,  Girardus  ferrarius,  henricus  agiratus,  Gaidus  tusca- 


268  MILANESI   PRIGIONIERI   DI   GUERRA 

nus  et  plures  alii  cives  papienses.  In  Papia  in  domo  Michaelis  de 
travalio  civis  papié  in  presencia  Jacopacii  de  Cargnano  ìudicis  do- 
mini Ugolini  boreti  potestatis  papié  et  in  presencia  petri  canis  et 
Rainerii  de  piperata  consulum  iusticie  papié,  Macia  de  Solerio  et 
Andriolus  de  cantano  cives  ntediolani  de  porta  comactna  iuraverunt 
personali  ter  ad  sancta  dei  evangelia  et  dixerunt  protestati  fuerunt 
et  confessi  in  presencia  suprascriptorum  iudicis  et  consulum  quod 
sunt  carcerati  comunis  papié  et  quod  bene  cognoscunt  et  cognoscebant 
Ambroxium  de  dergano  civem  ntediolani  carceratum  comunis  papié 
in  domo  suprascrìpti  michaelis  et  quod  dictus  Ambroxius  est  modo 
mortuus  morte  fatali  et  ostendendo  cadaver  suprascrìpti  Ambroxii 
dixerunt  et  protestati  fuerunt  in  debito  prestiti  iuramenti  quod  est 
cadaver  et  corpus  mortuum  dicti  Ambroxii  omni  exceptione  remota. 
Qui  iudex  inspiciendo  predicta  et  singula  vera  esse  jussit  dictum 
cad  aver  esportari  extra  carcerem  et  sepelliri  apud  unam  ecclesiam 
papié.  Dicti  carcerati  et  iudex  hanc  cartam  fieri  jusserunt. 

XV.  —  124^,  4  novembre. 

Garanzia  e  fideiussori  di  Lantelmeto  de  Plato  e  di  Al- 
berto  DE  LA  StRICTA. 

Die  lune  inj<*  mensis  novembris.  Testes  :  henrìcus  isenbardus, 
Oto  patarinus  et  Oliverius  de  Albaris  cives  papienses.  In  papia  in 
domo  Jacobi  raxi  civis  papié. 

Lantelmetus  de  piato  civis  ntediolani  de  porta  arensa  sponte  pro- 
pria etc.  fecit  dictis  superstìtibus  consimiUem  securitatem  etc.  sub 
pena  librarum  duanim  millium  papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  DI. 

Pro  eo  fideiussores  ut  mos  est 

Petracius  agiratus  fìlius  quondam  Rolandi 
Bertolotus  iilius  quondam  petri  agudi  agìrati 

predìcti  omnes  cives  papié  fideiussores  ut  mos  est  promittunt  etc. 
come  sopra  al  n.  X. 

Eadeni  die.  Testes:  Simon  Frenaretus  et  henricus  agiratus.  In 
Papia  in  domo  Ricardi  de  sancto  Gabriele  ci\'is  papié. 

,  ttih'rtts  <iV  iiìsfricta  n*ttis  pf'tracii  de  barge  Rosati  sponte  pro- 
pria etc.  fecit  con  sì  mi]  lem  securitatem  etc.  sub  pena  librarum  M.M. 
papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  111. 

1V>  eo  tìdeìussoi^s  ut  mos  est 

Albertus  de  la  turrì  filius  quondam  Alberti 


IN    PAVIA    NEL    1247  269 

Johannes  tarantola  de  sancto  Martino  in  terra  arsa  posito  juxta 
papiam 

Petracius  de  sicleriis 

Omnes  predicti  cives  papié  fideiussores  ut  mos  est  prorait- 
tunt  etc.  Come  sopra  al  n.  X. 

XVI.  —  1^41,  S  novembre. 

Garanzia  di  lire  due  mila  prestate  da  altri  prigionieri. 

Die  Martis  V  raensis  novembris.  Testes  Rufinus  Curtexius, 
Oto  patarinus,  Rolandus  de  verzario  et  plures  alii  cives  papienses 
in  papia  in  domo  Jacobi  raxi  civis  papié 

Beriramus  scancius  Girardus  surdus 

Lanklmetus  de  piato  Pantcus  de  maxate 

Ardrkus  marrus 

Henricus  de  pelato  de  burgo  Roxati 
Manfredus  polenzonus  qui  dicitur  pizattoxicum 
Matus  de  Sancto  Angelo 

omnes  predicti  de  mediolano  et  carcerati  comunis  papié  sponte 
propria  etc.  fecerunt  consimillem  securitatem  etc.  sub  pena  libra- 
rum  duarum  milium  papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

XVII.  —  124^,  /  novembre. 
Garanzia  e  fideiussori  di  Ubaldo  Francesco. 

Eadem  die.  Testes  Jacobus  raxus,    Zumignanus   de    puteo    et 
plures  alii  cives  papié.  In  papia  in  domo  Jacobi  raxi  civis   papié. 
Tebaldus  franciscus  de  mediolano  sponte  propria  etc.  fecit  in  om- 
nibus consimillem  securitatem  etc.  sub  pena  librarum  duarum    mi- 
lium papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

Pro  eo  fideiussores  ut  mos  est 

Jacobus  cargnotus  Guillelmus  de  lavolta 

Michael  gardilionus  Rufinus  de  guitaco 

omnes  predicti  cives  papié  fideiussores  ut  suos  est  promittunt  etc. 
Come  sopra  al  n.  X. 


MILANESI    PRIGIONIERI   t 


XVIII.  —  124Ì,  IO  novembre. 
Garanzia  e  fideiussori  di  matus  de  Sancto  Angelo. 

Die  Dominico  X  mensis  novembria.  Testes:  Rolandus  de  ver- 
zario  et  lafranchinus  serviens  Rubaidì  canìs  maiorìs  civis  papié. 
In  Papia,  Malus  de  Saticlo  Angelo  civis  mediolani  et  carceratus 
comunis  papié  etc.  fecit  etc.  consimillem  securìtatem  etc.  Come  so- 
pra al  n.  III. 

Pro  eo  fideiussores  ut  mos  est: 

Rubaldus  Canis  Major  Alcherìus  pasturìnus 

perdicti  cives  papienses  6deiu3sores  in  solidum   etc.  Come   sopra 
al  n.  X. 

XIX,  —  r24j,  22  ttovembre. 
Garanzia  e  fideiussori  di  Panigata  de  Sexto. 

Die  venerìs  x  kalendas  decembris.  Testes:  Guido  de  Monte- 
bello,  Mariscotus  scanatus  qui  dicitur  Comes  et  Zumignanus  de 
puteo.  In  Papia  in  domo  Jacobi  raxi. 

Panigata  de  stxlo  de  medioiano  sponte  propria  etc.  fecit  etc 
consimillem  securìtatem  etc.  sub  pena  librar.  M.M.  papiensium  etc 
Come  sopra  al  n.  III. 

Pro  eo  fìdeiussores  ut  mos  est 

Cursus  de  Campexc  filius  quondam  Alberti 

Fulco  de  Campexe  eius  frater 
predicti   cives   papienses   fìdeiussores   ut   mos   est  promittunt  etc 
Come  sopra  al  n.  X. 

XX.  —  f34j,  2f  novembre. 
Garanzia  e  fideiussori  di  Tinctus  de  Lonate. 

Die  lune  vii  kalendas  decembris.  Testes:  Guido  de  Montebelio 
et  Cataxius  de  Cataxìis  cives  papenses.  In  Papia  in  domo  Jacobi 
raxi  civis  papié.   Tiricliis  de   liliale   de   medioiano  sponte   etc.  fecit 
consimillem  securìtatem  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 
l'ni  eo  lìdeiiissores  in  solidum  ut  suos  est 
(ìu.iitcrius  vaoarubea  Andreas  vacanibea 

pretlitli  cives  papienses  lìdeiussores  in   solidum  ut   mos   est   prò- 
luitiunt  etc.  Come  sopra  al  n.  X. 


IN    PAVIA   NEL    1247  271 


XXI.  —  124^],  }  dicembre. 
Garanzia  e  fideiussori  di  Enrico  Franzeto   di  Piacenza. 

Die  martis  tercio  mensis  decembris.  Testes  Guido  de  Monte- 
bello  et  delacius  marracius  de  sancto  inventio  cives  papié.  In  Papia 
in  domo  pagani  gabi  que  est  in  contrata  de  rubis 

henricus  franzetus  civis  placentie  carceratus  comunis  papié  sponte 
propria  etc.  fecit  consimillem  securitatem  etc.  sub  pena  librar.  M.M. 
papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

Pro  eo  fìdeiussores  ut  mos  est  in  solidum  facius  gabus  et  carbo 
gabus  etc.  Come  sopra  al  n.  X. 


XXII.  —  124^  ig  dicembre. 

Garanzia  e  fideiussori  di  Ottolino  da  Magenta  e  di  Gu- 
glielmo Englesio. 

Die  Jovis  xiiijo  kalendas  januarias,  Testes  :  Tebaldus  henlenus 
et  delacius  marracius  de  sancto  inventio  cives  papié.  In  papia  in 
suprascripta  domo. 

Otolinus  de  Mazenia  de  districtu  mediolani  carceratus  comunis 
papié  etc.  fecit  consimillem  securitatem  etc.  sub  pena  librar.  M.M. 
papiensium  etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

Pro  eo  fìdeiussores  ut  mos  in  solidum 

Jacomus  de  Croto  de  porta  pertuxi  et  Johannes  et  Lafrancus 
eius  filli  patre  filiis  consentientibus  etc.  Come  sopra  al  n.  X. 

Eadem  die.  Testes:  Rolandus  de  verzario,  Ricardus  de  sancto 
Gabriele  et  Nicola  Capellus  cives  papié.  In  Papia  in  domo  supra- 
scrìpti  Ricardi. 

Guillelmus  henglexius  de  mediolano  etc.  fecit  consimillem  se- 
curitatem etc.  Come  sopra  al  n.  III. 

Pro  eo  fìdeiussores  ut  mos  est  in  solidum 

Bergundius  de  portalbera  iudex,  henricus  de  melate.  Ricardus 
de  belbello  et  Albertus  de  la  ripa  cives  papié  etc.  Come  sopra 
al  n.  X. 


27S  MILANESI    PRtCIONtERI    DI    GUERRA 

XXIII,  —  124J,  24  novembre. 

I  SOPRASTANTI  GENERALI  DELLE  CARCERI  COSTITUISCONO  Mu- 
TALBERGO  MARTANO  NUNZIO  E  AMBASCIATORE  DEI  PRIGIO- 
NIERI DI  Milano  e  di  Pavia  pel   disbrigo   delle  loro 

FACCENDE. 

Die  dominico  vii  kalendas  decembris.  Testes  :  henricus  isem- 
bardus  et  Guido  de  Montebello.  In  Papia.  Dicti  superstites  nomine 
et  a  parte  comunis  papié  et  prò  ipso  Comuni  fecerunt  et  constì- 
tuerunt  mutalbergum  martanum  qui  habitat  in  porta  palacensi  in 
burgo  novo  eorum  andatorem  et  nuncium  spedalem  ad  faciendum 
ambaxatas  et  negocia  hominum  civitatis  medìolani  et  districtus  car- 
ceratorum  comunis  papié  juxta  offìcium  eidem  commissum  et  ad 
eundum  standum  et  redeundum  dieta  occasione  per  civitatem  Me- 
dìolani et  dìstrìctum  uxque  ad  annum  novum  proximum  et  ad  vì- 
sitandum  agendum  et  procurandum  ambaxatas  et  negocia  hominum 
papié  qui  sunt  in  carceribus  in  civitate  medìolani  et  ad  ea  omnia 
et  sìnguìa  procurando  que  suo  officio  pertinent  sìve  spectant.  Ju- 
rante  suprascrìpto  andatore  ad  sancta  dei  evangelia  dictum  ofRcium 
bona  fide  sine  fraude  exercere  sine  malo  et  detrimento  Imperìi  et 
comunis  papié  uxque  ad  dictum  terminum.  Et  michi  hanc  cartam  etc. 

XXIV. 

Elenco  dei  prigionieri  milanesi  sostenuti  nelle  carceri 
del  comune  di  pavia. 

Infrascripti  sunt  carcerati  comunis  papié  capti  et  detenti  per 
ipsum  comune  in  cavalcata  quam  fecerunt  bertramus  scancius  et 
Ardrìcus  mairus  et  eorum  sodi  cavalcatores  mediolani  in  lomellina 
mccxlvu  die  lune  vii  mensis  octubrìs. 

Albertus  de  aimericis  de  bronate  cìvis  roediolani  stans  in  porta 

nova 
Ambroxius  bastardus  de  henricis  qui  dicitur  de  arientis 
hengUerius  henglexìus  de  compito  de  porta   arenza  qui  dixit 
Quod  vocatur  Guillelmus. 


IN    PAVIA   NEL    1247  273 

Albertus  filius  petracii  de  la  stricta  de  Roxate 

Reforzatus  guantarìus  de  mediolano  de  porta  arenza 

Jacominus  de  albano  de  districtu  vercellarum 

Gandulfus  sartor  de  placentia  de  porta  sancti  laurendi 

Matus  de  sancto  angelo  ci  vis  mediolani  de  porta  romana 

Jacominus  bigorra  de  ynvorio  de  districtu  mediolani 

Amixius  de  merlo  de  burgo  porte  comaxine 

Jacometus  de  Canturio  civis  mediolani  de  porta  zobia 

henricus  franzerius  civis  placentie  de  porta  sancti  Brecii 

Panigata  filius  pelegri  villani  de  porta  romana 

Zanetus  de  ortegiario  civis  mediolani  de  porta  nova 

Guillielmetus  de  sexto  de  districtu  mediolani 

Tebaldus  franciscus  de  porta  arenza  civis  mediolani 

Petrus  Rubeus  civis  mediolani  de  suprascripta  porta 

Perrinus  de  augusta  de  pede  montis 

Ubertus  medalia  de  septazano  de  districtu  mediolani 

henricus  de  pelato  de  loco  Roxati 

Petrus  de  dergano  civis  mediolani  de  porta  comaxina 

Guillelmus  de  stra  levata  de  placentia  de  porta  sancte  brigide 

Girardus  surdus  civis  mediolani  de  porta  romana 

Lantelmetus  de  piato  civis  mediolani  de  porta  arenza 

Philipinus  Martinus  de  burgo  Roxati  de  districtu  mediolani 

Tinctus  de  linate  civis  mediolani  de  porta  romana 

Amoldus  de  bustigaria  civis  mediolani  de  suprascripta  porta 

Lancia  Bumis  civis  mediolani  de  porta  nova 

Gasparrus  de  Canova  civis  mediolani  de  suprascripta  porta 

Guillelmus  de  seregno  civis  mediolani  de  porta  comaxina 

Zambelletus   capud  macie  qui  dicitur  panicus  civis  mediolani 

de  porta  tunsa 
Martinus  Tilerius  de  zermagnano  de  districtu  mediolani 
Zaninus  qui  dicitur  esse  de  Gavio  de  districtu  Janue 
Zorgnus  luxiardus  civis  mediolani  de  porta  romana 
Manucius  de  burgo  Roxati 
Armanus  de  Mozia  ferrarius 

Golia  de  raediliis  civis  mediolani  de  porta  romana 
Albertinus  de  agugnano  civis  mediolani  de  suprascripta  porta 
Giliolus  henglexius  de  placentia  qui  dixit  quod   cognominatur 

Valarius 
Zambelletus  de  gatego  de  novaria 
Conradinus  de  loco  pinaroli  tambornator 
Glericus  opizerius  de  civitate  vercellarum 
l^acinus  scarrezius  civis  placentie 


274  MILANESI    PRIGIONIERI   DI    GUERRA 

Ventura  de  Pontremolo  civis  placentie 

Ubertus  tavanus  de  Cassano  de  districtu  mediolani 

Morus  Martinus  civis  mediolani  de  porta  nova 

Daniel  civis  Mediolani  de  porta  comaxina 

Ventura  de  brivio  de  districtu  mediolani 

Ugetus  de  fignano  civis  mediolani  de  porta  romana 

Dianus  filius  Alberti  de  suprascripta  porta 

Moretus  fragerius  de  burgo  Roxati 

Lo  syrus  de    Solario    civis  mediolani   qui   dixit    quod   est  de 

dergano 
Galferrus  civis  mediolani  de  porta  comaxina 
Petrus  de  menziis  de  placentia 

Andriolus  de  cantono  civis  mediolani  de  porta  comaxina 
Guidotus  de  cornali  inferiori  de  districtu  mediolani 
Ardricus  marrus  civis  mediolani 
Airoldus  de  beloxiìs  de  Roxate 
Otolinus  sillonus  de  mazenta 

Christianus  canevarius  civis  mediolani  de  porta  arenza 
Moronus  de  liscate  de  districtu  mediolani 
Ambroxius  de  dergano  civis  mediolani  de  porta  comaxina 
Ambroxius  de  orsenigo  de  districtu  mediolani 
Matheus  malerba  de  placentia 
Manfredus  de  Vermezo  qui  habitat  ad  mazentam   de  districtu 

mediolani 
Manfredus  polenzonus  qui  dicitur  pixattoxicum  civis  mediolani 

de  porta  romana 
Ambroxetus  de  barlessina  civis  mediolani  de  porta  comaxina 
Cremaschinus  de  Crema  qui  stabat  in  burgo  Roxati 
Mazia  de  solario  civis  mediolani  de  porta  comaxina 
Zaninus  prestenarius  de  burgo  Roxati 
Amizetus  filius  Lanzani  de  carpiano  civis  mediolani  de  porta 

romana. 

XXV.  —  /^^7,  20  e  2j  dicembre. 

Garanzie  e  fideiussori   di  Ambrogio  Areta  e  di  Tebaldo 
Francesco  di  Milano  prigionieri. 

Die  veneris  xiij  kalendas  januarii.  Testes:  Rolandus  de  ver- 
zario,  Ricardus  de  sancto  Gabriele  et  Nicola  de  verzario  cives 
papié.  In  Papia  in  domo  suprascripti  Ricardi.  Ambroxius  areta  de 
medioìano  sponte  propria  etc.  fecit  Rainerio  de  Canevanova  super- 


IN    PAVIA    NEL    1247  275 

stiti  carcerum  comunis  papié  recipienti  suo  nomine  et  nomine  Ro- 
landi  de  morzano  superstitis  dictorum  carcerum  et  nomine  comunis 
papié  consimillem  securitatem  in  omnibus  prout  alii  carcerati  etc. 
sub  pena  librarum  M.M.  papiensiem  etc.  come  sopra.  Pro  eo  fide- 
iussores  in  solidum  ut  mos  est  henricus  isembardus  et  henricus 
canis  fìlius  quondam  Johannis  cives  papié  etc.  Come  sopra. 

Die  lime  x  kalendas  januarìi.  Testes:  Guido  de  Montebello  et 
Guifredus  de  sancto  benedicto  dves  papié.  In  Papia  in  domo  Ja- 
cobi  Raxi,  Tebaldus  franciscus  carceratus  comunis  papié  sponte 
propria  fecit  consimillem  securitatem  etc.  come  sopra.  Pro  eo  la- 
francus  medicus  et  Guido  Vivendonus  quilibet  ipsorum  fideiusso- 
res  etc.  Come  sopra. 

XXVI.  —  I24g. 

Condanna  a  morte  in  contumacia  contro  Giacomino   da 

VlLLANOVA   d'ArDENGHI. 

Jacomus  de  Villanova  de  ardenghis,  quoniam  ipse  calumpniatus 
fuit  fraudem  comisisse  et  culpam  habuisse  in  fuga  Bertrami  scanzii 
et  sociorum  et  ipsa  occasione  requisitus  fuerit  ut  coram  potestate 
papié  et  eius  iudicibus  veniret  et  ea  occasione  positus  fuit  in  banno 
comunis  papié  de  libris  ducentis  papié  quod  bannum  incurrit,  et 
quia  manifestum  est  ipsum  habere  culpam  in  ipsa  fuga  et  etiam 
quia  recessit  cum  dicto  Bertramo  et  quia  stabat  in  domo  deversus 
quam  fractum  fuit  career  predictum,  Jdeo  ipse  Potestas  condempnat 

• 

ipsum  ad  mortem  si  capi  poterit  :  Et  si  quis  ipsum  Jacominum  su- 
prascripto  Potestati  et  comuni  Papié  dare  potuerit,  centum  libras 
papié  a  comuni  Papié  habeat  ille  qui  eum  potestati  et  comuni  papié 
daret  et  consignaret  personaliter. 

XXVII.  -  1249. 

CONDANI^A    DI    ALTRI     FAVOREGGIATORI   DELLA     FUGA     DEI    PRI- 
GIONIERL 

Bozolinus  de  puteo,  manfredetus  de  Mediolano,  Guillelmus 
Chnstianus  qui  dicitur  carnelevarius  ;  quoniam  suprascripti  calump- 
niati  fuerunt  habuisse  culpam  in  fuga  suprascriptorum  Bertrami  et 
soaorum  et  ea  occasione  requisiti  fuerunt  ut  venirent  coram  po- 
testate papié  et  eius  judicibus  et  venire  contempserunt  et  ea  oc- 
casione banniti  fuerunt  in  libris  ducentis  prò  quolibet,  in  quo  banno 


276  MILANESI    PRIGIONIERI   DI   GUERRA    IN    PAVIA    NEL    I247 

incurrerunt:  Ideo  quilibet  ipsorum  condempnatur  per  ipsum  Pote- 
statem  in  librìs  quingentis  prò  quilibet  de  quo  banno  et  condemp. 
nacione  non  possint  nec  debeant  exire  nisi  prius  solverint  ipsam 
condempnacionem.  Et  quilibet  eos  et  eorum  bona  possit  cai>ere  et 
tenere  et  oflfendere  sine  pena.  Et  si  quis  predictos  vel  aliquem 
ipsorum  personaliter  traderit  in  manibus  potestatis  et  comunis  papié 
habeat  de  avere  comunis  papié  libras  centum  papié  prò  quolibet 
ipsorum  bannitorum. 

XXIII.  -  1249- 

Condanna  di  chi  non  svelò  la  trama  pur  avendola  cono- 
sciuta. 

Guillelmus  medicus,  quoniam  ipse  debuit  dicere  se  scire  que- 
dam  de  facto  bertrami  scandi  et  hoc  relatum  fuit  potestati  et  eius 
judicibus  et  ea  occasione  preceptum  fuit  ei  ut  diceret  veritatem 
per  sacramentum  in  penam  et  bannum  librarum  vigintiquinque  de 
eo  quod  sciret  de  fuga  et  facto  bertrami  [Scandi  et]  dicere  veri- 
tatem negaverit   quia  postea  incontinenti    interrogatus   dixit   quod 

aliter  erat  veritas  quam  ipse  primo  dixisset  et  hoc  ad confes- 

sionem  et  dieta  eius  et  ipsa  occasione. ....  contra  sacramentum  et 
incurrit  ipsam  penam  librarum  xxv  papié  :  Ideo  dictus  Potestas 
condempnat  eum  in  libris  x  papié. 


Un  codice  sconosciuto  di  privilegi  bergamaschi 


E  il  medico  chirurgo  Giambattista  Grassi  nel  raccogliere 
in  sugli  ultimi  anni  della  sua  vita,  le  memorie  sto- 
riche pertinenti  alla  valle  nativa  di  Scalve  (i),  ebbe  di 
mira,  più  che  un  intendimento  critico,  lo  scopo  d'annuire,  com'egli 
stesso  avverte,  ad  un  desiderio  degli  amici,  e  la  naturale  sua  com- 
piacenza di  buon  patriota,  né  si  peritò,  pertanto,  di  salvare  dal 
naufragio  della  dimenticanza,  insieme  con  documenti  di  notevole 
interesse,  le  vestigia  incerte  o  fallaci  di  leggende  e  tradizioni  an- 
che orali,  non  comprenderemmo  veramente  per  quale  opportunità 
ora  Eugenio  Pedrini  de'  Batilli  abbia  curato  la  stampa  e  la  divul- 
gazione del  manoscritto  così  come  venne  confidato  dall'autore  al 
conte  Francesco  Lorenzo  Albertoni  da  Cremona,  senza  nulla  to- 
gliere, né  sollevar  dubbi,  né  proporre  almeno,  se  non  risolvere, 
questioni  là  dove  la  disamina  obbiettiva  é  difettosa  i>er  mancanza 
di  fonti  e  la  congettura  poggia  su  interpretazioni  errate.  Ciò  che 
nel  corso  del  volumetto  ricorre  ad  ogni  pie  sospinto. 

Il  Pedrini,  secondo  argomentiamo  dall'affettuosa  dedica  ch'egli 
fa  della  stampa  ai  discendenti  del  defunto  medico,  rev.  don  Betto 
e  dott  Silvestro,  rimase  pago  a  rievocare  una  memoria  di  qualche 
orgoglio  per  quella  famiglia;  poiché  il  Grassi  avrebbe  dato  «  un 
•  primo  esempio  di  schietta  storia  Scalvina  n  ;  e,  in  quanto  al  rile- 
vare le  mende  nelle  quali  gli  storici  bergamaschi,  e  prima  e  dopo 
del  Grassi,  erano  incorsi,  s'accontentò  di  promettere  una  memoria 
che  se  ne  occupi  di  proposito  (pag.  Vili).  Ma,  poiché  a  differenza 

(i)  Dott.  G.  B.  Grassi,  A/cune  notizie  sulla  Valle  di  Scalve  scritte 
mi  1S4J,  con  aggiunte  trascritte  nel  iSj4,BergamOj  stab.  tipo-litografìco 
Fratelli  Bolis,  1899,  in-i6,  pp.  XII^. 


278  UN   CODICE    SCONOSCIUTO 

di  quanti,  come  il  padre  Celestino  da  Martinengo,  il  padre  Calvi 
e  Gregorio  da  Valcamonica,  per  dire  dei  principali  soltanto,  l'ave- 
vano preceduto  nell' illustrare  le  vicende  della  Valle  di  Scalve,  il 
Grassi,  per  primo,  non  s'era  accontentato  d'accennarle  in  succinto 
o  toccarle  per  incidenza,  intendendo,  invece,  di  farne  una  narra- 
zione cronologicamente  compiuta,  il  Pedrini,  a  nostro  avviso,  avrebbe 
seguito  consiglio  di  gran  lunga  migliore  accompagnando  la  pubbli- 
cazione di  note  illustrative  e  dichiarative. 

Con  la  scorta  dei  nuovi  documenti  e  delle  notizie,  che  la  pro- 
gettata memoria  sua  fa  supporre,  e  con  le  argomentazioni  eh'  egli 
dichiara  di  poter  opporre  alle  errate  affermazioni  altrui,  non  gli 
sarebbe  riescito  difficile  compiere  la  storia  della  antichissima  Valle, 
poiché  la  trama  gli  stava  già  dinanzi,  e  per  verità  molto  bene  or- 
dita. Non  migliore  omaggio  poteva  rendersi  alla  memoria  del  Grassi, 
né  vantaggio  più  rilevante  procurarsi  agli  studiosi,  che  é  facile 
comprendere  con  quanta  maggior  sicurezza  si  sarebbero  valsi  del- 
l' importante  monografia. 


Abbiamo  detto  importante,  né  ci  fanno  ricredere  le  deficienze 
riscontrate  qua  e  colà  nell'  opuscolo,  che,  come  avvertimmo,  è  il 
primo  esempio  di  storia  compiuta  della  Valle  di  Scalve.  Nelle  brevi 
pagine,  infatti,  é  condensata  una  grande  quantità  di  notizie  in  mag- 
gior parte  inedite  e  attinte  a  documenti,  per  somma  sventura  an- 
dati dispersi,  che  furono  un  tempo  di  pertinenza  dell'Archivio  di 
Vilminore.  Sfortunatamente  il  Grassi  si  è  accontentato  di  sommarie 
citazioni  rade  volte  sostituite  da  più  larghi  regesti;  ma  è  il  caso, 
invero,  di  far  buon  viso  a  triste  sorte  e  d'accettare  senza  più  il 
compenso,  sia  pur  tenue,  alla  perdita  dei  documenti.  L'interesse 
dei  quali,  non  occorrerà  forse  che  noi  ricordiamo,  risiede  tutto  nel- 
r  importanza  avuta  dalla  Valle  di  Scalve  in  grazia  della  sua  posi- 
tura e  dei  contatti  ch'essa  manteneva  con  territori  di  comunità  e 
stati  potenti:  al  nord  la  Valtellina,  all'est  la  Valcamonica,  al  sud 
e  all'ovest  la  Val  Seriana  Superiore.  La  Valle  Scalvina  veniva 
così  ad  essere  la  naturai  via  di  transito  e  la  chiave  dei  passaggi 
dal  territorio  di  Bergamo,  e  poscia  della  Serenissima,  a  quello  dei 
Grigioni  e  dei  Tedeschi,  cosi  che  i  numerosi  privilegi  ond'essa  fu 
insignita;  per  non  ricordare   gli   imperatori    Enrico   Ili  (1047),  En- 


DI   PRIVILEGI  BERGAMASCHI 


279 


rico  VII  (131 1)  e  Giovanni  di  Boemia  (1331);  da  Azzone  Visconti 
e  da'  suoi  successori  e  quindi  dalla  Repubblica  di  Venezia,  non 
attestano  soltanto,  come  il  Grassi  vorrebbe  (pp.  i5-sgg.),  la  povertà 
e  la  sterilità  di  quella  regione,  bisognosa  di  esenzioni,  ma  anche 
quanto  stesse  a  cuore  la  fedeltà  di  quei  valligiani  (i). 

Il  comune  di  Scalve,  infatti,  poteva  nel  1542  dimandare  a  Ve- 
nezia la  riconferma  dei  privilegi  suoi  e  dei  comuni  limitrofi  di  Ta- 
leggio e  d'Averara,  «  per  esser  dicti  tre  Comuni  la  muraglia  de 
•  Bergamasca  che  loro  confinano  con  il  Duchado  di  Milano,  et  co' 
«  Grixoni,  et  co'  thodeschi  et  comò  nasce  qualche  guerra  co'  la 
«  Illustrìssima   Signoria  [Veneta]    et  alcuni   de   ditti   signori  conti- 

-  nuamente  questi  tre  Comuni  sono  li  primi  sacheczatti  et  robbati 
«  et  ruinatti  n  (2). 

A  questi  privilegi  il  Grassi  dedica  appunto  uno  speciale  capi- 
tolo, r  ottavo  (pp.  15-sgg.),  e,  nella  serie  cronologica  che  ebbe 
cura  di  tracciarne,  subito  dopo  quello  conferito,  nel  1419,  dal  conte 
Francesco  Carmagnola  a  nome  del  duca  Filippo  Maria,  ricorda  per 
ultimo  l'altro  del  1454  concesso  dal  duca  Francesco  Sforza  a  mezzo 
di  Bartolomeo  Colleoni  (3);  ma  un  codice,  fin  qui  sconosciuto,  di 
privilegi  bergamaschi  rende  possibili  alcune  aggiunte  non  prive 
d'interesse,  nel  rispetto  specialmente  della  separazione  giudiziale 
ed  amministrativa  che  la  Valle  di  Scalve,  insieme  con  Taleggio  ed 
Averara,  si  era  conservata   dal  territorio    della  città   di  Bergamo, 

-  sino  da  i  Duchi  di  Milano  »,  come  attesta  chiaramente  il  padre 
Celestino  da  Martinengo  in  quella  sua  voluminosa  e  farraginosa 
Historia    Quadripartita  di  Bergamo   e  suo  territorio  (4),  e  come, 


(i)  La  fedeltà  degli  Scalvini  alla  Signorìa  Veneta  veniva  attestata 
più  volte  anche  dai  Rettori,  di  Bergamo  (cfr.  Grassi,  op^  cit.,  pp.  19-sgg.) 
ed  il  IO  ottobre  1525  il  Senato  veneziano  li  commendava  "  sviscerati 
"  fidelìssimi  di  questo  Stato  »,  in  quanto  *  nelle  passate  guerre  e  /ielle 
■  presenti  occorrenze  mantengono  a  loro  spese  uomini  nelle  Terre  dei 
'  Grigioni  per  darne  avvisi  delle  loro  motse  ;  e  ne  hanno  dato  avvisi 
"  a  noi  gratissimi,  né  di  ciò  hanno  auto  premio  alcuno.  »  Cfr.  Grassi, 
op.  dt.,  p.  ai. 

(2)  Dal  codice  inedito  di  Privilegi,  del  quale  parliamo  in  seguito, 
f.  26  a. 

(3)  Il  datum  di  questo  doc^  reca  nel  Grassi  l' indicazione  in  domi- 
màtis  Domni,  Donati  de  Bonicellis,  ma  convien  leggere  :  in  domibus 
domni  Donati  de  Bonicellis, 

(4)  In  Bergomo,  per  Valerio  Ventura,  M.DC.XVII,  p.  550. 


28o  UN   CODICE    SCONOSCIUTO 

d*altro  canto,  ci  vien  confermato  dal  documento  inedito  sopra  ac- 
cennato, che  mira  sovra  tutto  a  mettere  in  luce  e  ribadire  i  diritti 
di  questa  singoiar  concessione. 

Il  codice,  del  quale  intendiamo  valerci  per  compiere,  almeno 
in  parte,  la  rassegna  cronologica  dei  privilegi  Scalvini  data  dal 
Grassi,  ci  venne  cortesemente  comunicato  dall'amico  prof.  cav.  Bar- 
tolomeo Villa,  che  già  ebbe  a  trarne  qualche  profìtto  per  una  sua 
operetta  illustrativa  delle  Valli  Brembana  ed  Jmagna  con  le  loro 
adiacenze  (i). 

È  di  piccolo  formato  (23  X  i^)  ^  ^^  bella  pergamena  rigata, 
con  fogli  numerati  98,  rimasti  in  bianco  il  68*  e  gli  ultimi  sette. 
La  rilegatura  in  pelle,  con  impressioni  a  secco  ed  in  oro,  reca 
sul  frontespizio  la  scritta  privilegio,  con  V  o  terminale  raschiato. 
A  chi  originariamente  appartenesse  il  grazioso  codicetto  non  è 
segnato,  ma  il  suo  contenuto  ce  l'apprende,  a  nostro  modo  di  ve- 
dere, chiaramente.  Dei  77  documenti,  infatti,  che  si  succedono  dai 
1438  al  1745,  trascritti  da  varie  mani  nei  secoli  X\1-XVIII,  la 
maggior  parte  riguarda  il  comune  d'Averara  e,  se  con  esso  sono 
più  volte  ricordati  i  comuni  di  Taleggio,  Scalve,  Omica,  Rizzino, 
Cusio,  Cassiglio,  ecc.,  la  promiscuità  deriva  dal  fatto  che  i  privilegi 
richiesti  o  difesi  presso  la  Repubblica  Veneta  erano  eguali  per  più 
valli  ad  un  tempo:  ciò  che  il  Grassi  ha  pure  a\'\xrtito  (p.  18). 

Il  codice,  inoltre,  ci  serba  documenti  che  riguardano  unica- 
mente Averara,  com'è  il  caso,  ad  esempio,  delle  lettere  ducali  date 
il  5  ottobre  1545  ed  il  9  gennaio  1551  in  favore  di  quel  comune,  che 
si  vedeva  minacciato  ne'  suoi  diritti  da  un  Bernardino  Botagisi,  e 
degli  atti  giudiziari  che   ne  seguirono  (2).  Averara,   eccezion  fatta 

(i)  B.  Villa,  La  Vaili  Brembana  con  Taleggio  e  Strina  e  la  Valle  Ima- 
gna  con  la  Bremòtlla  Vecchia,  notisie  storiche,  geologiche,  artistiche,  ecc., 
Bergamo»  tip.  Natali  di  Maggroni  e  Secomandi,  1895;  cfr.  pp.  3,  4,  ecc. 

(a)  Privilegi^  ff.  ^a-^b.  Cfr.,  più  innanzi,  i  documenti  del  1537, 
giugno  11;  luglio  io;  1560,  maggio  7;  maggio  11  ;  1626,  giugno  6;  1637, 
agosto  14;  dicembre  26;  1638,  marzo  20;  1643,  giugno  13,  ecc.  Sul 
f.  87  rt  si  legge,  poi,  di  mano  del  sec.  XVIII,  rinscrizione: 

Sir    LAUS    DEO   PATRI    VIRGINIQUE   MATRI 
PRIVILEGIA   AVERARIAE; 

e  seguono,  infatti,  i  documenti  del  1731,  maggio  fo;  1733»  settembre 
18;  1740,  giugno  18  e  1745,  novembre  25,  che  concernono  esclusiva- 
mente esenzioni  daziarie  del  Comune  d'Averara  (ff.  87  ^i  a). 


DI   PRIVILEGI  BERGAMASCHI  281 

per  pochi  documenti  che  concernono  il  territorio  bergamasco  in 
genere,  è  nominata  ed  è  parte  principale  in  tutti  i  privilegi  del 
codice  Villa,  mentre  gli  altri  comuni  e  le  altre  valli  figurano  in 
esso  saltuariamente,  così  che  non  ci  sembra  avventata  supposi- 
zione il  ritenere  di  sua  originaria  pertinenza  l'interessante  rac- 
colta. 


*  * 


Tale  provenienza  accresce,  per  altro,  il  pregio  del  codice  nei 
rapporti  specialmente  della  storia  milanese,  in  quanto  ci  dà  no- 
tizie d*una  regione  che,  molto  più  della  Scalvina,  partecipò  alle 
fortunose  vicende  dei  Torriani  e  dei  Visconti,  dapprima,  e  dei  Vi- 
sconti con  la  Repubblica  Veneta,  dappoi. 

Fin  da  tempi  antichissimi,  infatti,  Averara,  insieme  con  Ta- 
leggio, appare  unita  alla  Valsassina  così  per  la  giurisdizione  eccle- 
siastica, mantenutavi  dagli  arcivescovi  di  Milano  (i),  come  per  la 
dvile,  infeudata  ai  Torriani,  altra  «  magna  pars  »  nei  rivolgimenti 
politici  della  metropoli  lombarda  (2). 

Anche  ad  Averara,  quindi,  si  dovette  recare  molto  probabU- 
mente  quel  frate  Bartolomeo,  ministro  dei  Minori  Osservanti,  che 
Ottone  Visconti,  per  benigna  concessione  di  Gregorio  X,  costituiva 
nel  1273  suo  procuratore  ad  esigere  le  entrate  arcivescovili  di 
Arona,  del  Vergante,  d' Intelvi  e  della  Valsassina,  che  maturavano 
già  da  quattro    anni  (3);  ma   poco  dopo   Averara,  insieme   con  le 

(i)  GiULiM,  MifHorU  spettanti  alla  storia  ecc.  della  città  e  campagna  ai 
Milano,  Milano,  F.  Colombo,  1854-57,  voi.  IV,  p.  722.  Cfr.  anche  pp.  719-720 
e  M.  Magistretti,  Notiiia  cleri  Mediolanensis  de  anno  ij^  circa  ipsius 
immunitatem  in  qucst'  Archivio^  9.  XXVIl,  fase.  XXVIII,  31  dee.  1900, 
PP-  300-301. 

(2)  G.  Arrigoni,  Notizie  storiche  della  Valsassina  e  delle  terre  limi- 
trofe dcUU  più  remote  età  fino  al^anno  1844,  ecc.,  Lecco,  Fratelli  Grassi, 
1889»  P<  ^  e   passim. 

{3)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  61 X.  La  procura  fu  pubblicata  an* 
che  dair  Osio,  Documenti  diplomatici  ecc.,  Milano,  1864,  voi.  1,  p.  18, 
dee.  X,  che  tralasciò  d'aggiungere  Tatto  d'  autenticazione  delle  lettere 
arcivescovili  rogato  il  7  maggio  da  "  Ambrosius  fìlius  Durantis  de  Ripa 
'  vicinie  Sancte  Marie  ad  Portam  Porte  Vercelline  „  in  seguito  a  pre- 
cetto di  Guglielmo  da  Fagniano  console  di  giustizia  in  Milano,  e  su 
richiesto  di  frate  Bartolomeo  (R.  Archivio  di  Stato  in  Milano,  Docu- 
menti Diplomatici,  cart,  I,  copia  di  mano  moderna). 

Arch,  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV.  19 


282  UN   CODICE   SCONOSCIUTO 

terre  limitrofe,  accoglie  di  buon  animo  la  signoria  di  Napoleone 
della  Torre  finché  ritoma  a  propositi  di  pace  con  l'arcivescovo 
milanese  e  s' inizia  così  una  lunga  serie  di  brevi  dominazioni  con 
vece  assidua  alternate  a  seconda  del  prevalere  in  Milano  or  del- 
l'una piuttosto  che  dell'altra   parte  (i). 

Le  relazioni  sono  continue  e  meglio  si  assettano  quando  la 
Valsassina,  dopo  Lecco  e  le  Riviere,  s' assoggetta  al  mite  giogo 
d'Azzone  Visconti,  e  con  essa  fanno,  naturalmente,  esperienza  del 
nuovo  dominio  anche  Taleggio  ed  Averara.  Questi  due  territori, 
però,  godettero  con  Bernabò  un  breve  periodo  d'indipendenza 
dalla  Valsassina  e  dal  1368  al  1380  circa  si  ressero  con  propri 
statuti  e  magistrature,  corrispondendo  direttamente  al  signore  un 
annuo  tributo,  ma  la  politica  unificatrice  di  Giangaleazzo  ripristi- 
nava l'antica  tradizione  e  ancora  gli  statuti  del  1388  riconoscevano 
al  vicario  visconteo  della  Valsassina  il  diritto  di  porre  a  sua  volta 
vicari  in  quelle  minori  giurisdizioni  (2). 

Piii  complesse,  ma  per  converso  meno  chiare,  sono  le  vicende 
che  seguono  alla  morte  del  Conte  di  Virtù,  e  1*  ambiguità  si  fa 
maggiore  dopo  la  successione,  storicamente  accertata,  di  Filippo 
Maria  Visconti  nel  dominio  della  Valsassina,  1'  anno  1421.  Sette 
anni  dopo,  allorché  il  Carnario,  contestabile  del  Carmagnola  ncl- 
r  esercito  della    Serenissima,  comparve    a  Taleggio    con   un  forte 

(i)  Arrigoni,  op.  cit.,  p.  75-sgg. 

(2)  Gli  Siatuia  et  ordinamenta  CommunUaiis  yallis  saxinat,  et Mon' 
tium  Varennae,  Exini  dervij\  et  Mugiaschae  facta,  ordinata  et  reformtì» 
tempore..,.  Domini  Galeaz  Vicecomitis  (Mediolani,  1674)  prescrivono  p«f 
l'appunto  che  il  vicario  della  Valsassina  *  possit,  et  teneatur,  ^W^ 
"  sibi  videbitury  ponere  unum  Vicarium,  vel  duos  de  hominibus  TalcgJJ 
"  in  Talegium,  et  similiter  unuiu^  vel  duos  de  hominibus  Averarilie''' 
"  Averariam,  et  eliam  in  Montibus  praedictis,  cum  beneplacito,  ctliccnti* 
"  praefati  Illustris  Domini  Nostri  fd.  Galeaz  VicecomitisJ.  .  I  vicarimi- 
"  nori  potevano  giudicare  "  de  causis  pecuniariis  „  e  •  in  civili  iudido  tan- 
"  tum  y,,  poiché  era  di  grave  scomodo  a  quei  di  Taleggio  e  d'Avcran 
"  prò  quolibet  negotio  coram  ipso  Vicario  (Vallis  Saxinae)  comparcrc  ■ 
(cap.  V,  p.  4).  Altrove  é  fatto  cenno  del  potere  ch'essi  avevano  d'cleg* 
gere  sei  uomini  delle  rispettive  valli,  "  qui  ad  expensas  Common'* 
"  et  Moniium,  ....  secum  vadant  prò  pacificando  rixas,  et  rumorcs . 
(cap.  XXXVIII,  p.  16).  La  conferma  degli  statuti  da  parte  di  Gianga- 
leazzo, data  a  Milano  il  21  novembre  1388,  si  trova  a  p.  109.  Cfr.  Ar- 
rigoni, op.  cit.,  pp.  Ili  e  sgg.  *  i 


1 

J 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI  283 

manipolo  d'armati,  tutta  la  valle  echeggiò  del  grido  festoso  di 
«  San  Marcel  ».  Vedeseta  soltanto  si  rifiutò  alla  dedizione,  ma  non 
la  ricusò,  d'accordo,  in  questo,  con  Bergamo  stessa,  la  Valle  d' Ave- 
rara  (i).  E  che  Venezia  ne  abbia  sempre  tenuto  grata  memoria 
conferma  Tesame  del  codice  Villa,   di  cui  diamo  i  regesti. 


I.  —  1420,  luglio  p  (2). 

«  Exemplum  unius  Capituli  contenti  in  Privilegio  seu  Capitulis 
«  Civitatis  Bergomi  sub  anno  1428,  die  nono  mensis  Julii  »,  È  pre- 
cisamente la  copia  del  nono  capitolo  che  conferisce  la  cittadinanza 
veneta  de  inttis  ai  Bergamaschi  tanto  della  città  che  del  distretto, 
riconoscendo  loro  il  diritto  d'  essere  trattati  «  in  Venetiis  in  solu- 

*  tione  datiorum  et  mesetarie  »  alla   pari   dei  Veronesi  e  dei  Pa- 
dovani; f.  I  ei.  . 

IL  —  1443,  ottobre  16.  —   Venezia. 

Lettere  ducali  di  Francesco  Foscari  in  favore  d'Olmo  e  d'Ave- 
rara  ;  f.  2  a. 

Tali  lettere  confermano  le  precedenti  del  16  luglio  143 1  die- 
tro petizione  degli   ambasciatori  d' Olmo  ed   Averara,   «  Antonius 

•  quondam  Grotti  de   Lulmo   et    Luchinus  de   Botegisiis  de    Ave- 
«  rana  ». 

Fra  le  varie  concessioni  è  notevole  la  seconda  che  suona  cosi: 

Item  quod  dicti  Comune  et  homines  de  Lulmo  ed  de  Averaria  sint 
immunes  et  exempti  ac  liberi  ab  omnibus  et  singulis  oneribus,  taleis  et 
condicdonibus  et  aliis  quibuscumque  gravaminibus  imponendis  per  pre- 
libatali] Dominationem,  salvo  tamen  certo  censu  quem  aliqui  dictorum 
Comunis  et  hominum  solvere  tenentur  Reverendissimo  in  Christo  Patri 
Domino  Archiepiscopo  Mediolani,  et  hoc  quia  eis  semper  ita  est  hucus- 
qnc  observatum  et  concessum  per  Illustrissimum  Dominum  Vicecomi* 
tem  Mediolani  ut  apparet  per  publicata  privilegia  eis  concessa  (3). 

(i)  Arrigoni,  op.  cit.,  pp.  122  e  sgg. 

(2)  Serbiamo  l'ordine  cronologico,  segnando  col  numero  romano  la 
disposizione  osservata  nel  codice. 

(3)  Da  alcune  sue  memorie  particolari  TArrigoni,  op.  cit.,  pag.  iii  in 
nota,  desumeva  che  nel  1344  l'arcivescovo  Giovanni  Visconti  rinfeudava 


284  UN   CODICE    SCONOSCIUTO 

Responsio  [in  margine], 

Quod  contenti  sumus  quod  sint  immunes  et  exempti  per  eum  mo- 
dum  quo  fuenint  sub  Duce  Mediolani  moderno,  sed  de  facto  census  vo- 
lumus  quod  donec  durabit  presens  guerra  (i)  dictus  census  converti  et 
dispensari  debeat  in  fabricam  reparationemque  et  cultum  ecclesianim 
existentìum  in  locis  supra  dictis. 

* 

E  concesso,  inoltre,  ai  valligiani  d'Olmo  e  d'Averara  di  poter 
usare  liberamente  «  sale  Brunino  »,  purché  non  ne  facciano  ven- 
dita a  profìtto  altrui  e  in  danno  della  «  Canepa  n  di  Bergamo;  di 
eleggersi  un  proprio  vicario  «  in  civilibus  tantum  »  da  confermarsi 
dal  podestà  di  Bergamo,  al  quale,  e  non  già  al  Podestà  della  Val 
Sassina,  si  avrà  ricorso  per  le  cause  penali  (2);  di  non  sottostare 
ai  gravami  che  s*  imponessero  alla  Val  Sassina  ;  d' esser  trattati 
u  in  facto  bulletarum  n  alla  pari  dei  valligiani  della  Valle  Brem- 
bana  e  del  distretto  Bergamasco  in  genere,  osservandosi  «  circa 
u  factum  datiorum  »  la  consuetudine;  ecc.,  ecc. 


a  Guglielmo,  Pietro  e  Valeriolo  Denti  di  Sellano  i  diritti  di  decima  che 
egli  aveva  in  alcuni  luoghi  della  Valsassina,  alla  cui  giurisdizione  ec- 
clesiastica appartenevano,  come  già  avvertimmo,  Taleggio  ed  Averara. 
Per  ciò  che  concerne  particolarmente  la  Valle  di  Scalve,  è  notevole  l'in- 
strumento  del  6  novembre  1222  col  quale  Giovanni  Tornielli  vescovo  di 
Bergamo  investiva  la  famiglia  de'  Capitani  dei  diritti  sopra  Scalve  e  Pa- 
lodo,  agendo  per  espressa  autorità  dell'  arcivescovo  di  Milano  (Grassi, 
op.  cit.,  p.  9). 

(i)  Si  tratta  della  guerra  di  Venezia  contro  il  duca  di  Milano.  Per 
gli  episodi  dal  1431  in  poi  nella  Valle  d'Averara,  vedi  Arrigoni,  op.  cit., 
pp.  126-sgg. 

(2)  Per  la  prima  volta  nel  nostro  codice,  Averara  e  la  sua  valle 
appaiono  comprese  nella  circoscrizione  territoriale  e  giudiziaria  di  Ber- 
gamo, ma  gran  parte  dei  privilegi  e  dei  documenti  che  seguono  riflet- 
tono per  l'appunto  la  lunga  lotta  che  Averara  ed  altri  comuni  sosten- 
nero col  capoluogo  per  mantenere  di  fatto,  e  non  di  nome  soltanto, 
quella  qualifica  di  **  Valli  separate  »  che  ha  durato  sino  al  termine  della 
dominazione  Veneta.  É,  per  esempio,  osservata  ancora  ufficialmente 
nella  Raccolta  di  terminasiotti,  proclami  et  ordini  per  la  città,  e  provincia 
di  Bergamo  et  altri  per  tutto  lo  Stato  di  T.  F,  stabiliti  dagt Illustrissimi^ 
et  Eccelentissimi  Signori  Girolamo  Grimani,  Alvise  Emo,  e  Marin  Gar- 
zoni per  la  Serenissima  Rep,  di  Venezia,  etCj  sindici  inquisitori  in  Terra 
Ferma  negli  Anni  1770,  177 1,  1772,  in  Bergamo,  per  V  Erede  dei  Fra- 
telli Rossi,  Stampator  Camerale,  pp.  49^  51,  ecc. 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI  285 


IIL  —  J460,  febbraio  7.  —   Venezia, 

In  riforma  d'un  capitolo  approvato  il  19  decembre  1495  dai 
Consoli  de*  Mercanti  di  Venezia,  il  Consiglio  dei  Dieci  delibera 
che  «  omnes  de  arte  velutarìorum  et  samittariorum  qui  ex  foren- 
^  sico  nato  sunt  in  hac  Civitate  [  Venetiarunt    et  qui  per  habitatio- 

•  nem haberì  debent  Cives  de   intus  et  illi    qui   acceperunt 

«  uxorem  venetam  possint  elligi  et  esse  gastaldiones  et  iudices  ipsa- 
■  min  Artium  et  participare  de  honoribus  beneficiis  et  oneribus  ip- 
«  sarum  scolarum  et  artium  »;  f.  6  ò. 

IV.  —  14^4,  fnaggio  II,  —  Venezia, 

Egualmente  determinano  Maffeo  Michele,  Benedetto  Venerio  e 
Giacomo  Mauroceno,  capi  del  medesimo  Consiglio,  per  i  «  Perga- 

•  menses  et  districtuales  Pergami  qui  sunt  de  terris  vallis  et  locis 

•  pergamensis  dominii  Venetiarum  »,  che  siano  ascritti,  in  Vene- 
zia, alla  «  scola  fructarolorum  »;  f.  7  a. 

V.  —  1499,  gitigno  IO.  —  Venezia. 

Determinazione  dei  Procuratori  alle  Biade  in  favore  dei  «  ven- 
«  dadori  Bergamaschi  delle    farine    in   Fontego  de   Rialto   et   de 

•  S,  Marco  »  affinchè,  a  tenore  di  loro  precedenti  privilegi,  deb- 
bano esser  considerati  «  per  Venetiani  de  dentro  »  e  possano  go- 
<iere  «  li  honori  et  beneficii   come   fano    coloro   che   sono  nasudi 

•  citadini  originarii  de  Venesia  »;  f.  8  a. 

1  «  vendadori  Bergamaschi  »,  in  favore  dei  quali  è  fatta  que- 
sta deliberazione,  sono  cosi  nominati: 

Scr  Antonio  diete  Togni.  Scr  Alvise  Gisi. 

Ser  Zaneto  de  Zuane.  Ser  Alexandre  de  Zuane. 

Scr  Girardo  Cagnelin.  Ser  Girarde  ditto  Cavalier. 

Scr  Abram  de  Zuane.  Ser  Martin  Grasete. 

Scr  Bartolomeo  Morexin.  Scr  Perin  de  Bello. 

Scr  Antonio  da  Spin.  Scr  Bernardo  de  Bortolcto  (i). 

Scr  Martin  de  Antonio.  Scr  Zaneto  de  Simon. 

Scr  Piero  Bondiol.  Scr  lacomo  Rosseto. 

\i)  Così  mi  sembrò  di  poter  sciogliere  l'abbreviazione  borlJ"^ 


286  UN   CODICE   SCONOSCIUTO 

Ser  Bernardin  Guardabaso.  Ser  Lorenzo  de  Girardo. 

Ser  Adamo  Gobo.  Ser  Zuan  ditto  Vechia, 

Ser  Lorenzo  Martacin.  Ser  Piero  de  Girardo. 

Ser  Vielrao  de  Piero.  Ser  Antonio  ditto  Molena. 

Segue  la  firma  notarile: 

Ego  Melchior  notarius  suprascriptus  suprascriptum  exemplum  fide- 
litcr  exemplavi  ex  alio  exemplo  manu  ser  lacchi  Rosseti  coadiutoris 
officii  Bladorum  et  in  fìdem  me  subscripsi. 

VL  —  ^^75,  decembre  2}.  —  Venezia. 

11  doge  Pietro  Mocenigo  comanda  a  Francesco  Marcello,  po- 
destà, ed  a  Francesco  Diedo,  dottore  e  capitano  di  Bergamo,  che 
cessino  dal  molestare  i  comuni  di  «  Castri  Picini  (i),  vallis  Ta- 
«  legìi,  Averarie  et  Scalvi  »  per  il  pagamento  del  secondo  sussidio 
«  tamquam  membra  n  della  città  di  Bergamo,  pagando  essi,  a  te- 
nore d'antichi  privilegi,  «  tamquam  membra  separata  et  omnino 
«  segregata a  citviate  et  districtu  Bergomi  »;  f.  io  a. 

Vili.  —  I4l6,  luglio  },  —    Venezia. 

Il  doge  Andrea  Vendramin,  in  seguito  alle  buone  ragioni  esposte 
da  Giovanni  Ambrogio  «  de  Savionibus  »»  da  Pizzino,  interveniente 
per  i  comuni  di  Pizzino,  Taleggio,  Averara  e  Scalve,  in  contrad- 
ditorio con  gli  oratori  della  città  di  Bergamo  «  super  negotio  extimi 
«  fìendi  »,  comanda  ai  suddetti  podestà  e  capitani  di  Bergamo  che 
rispettino  e  facciano  rispettare  «  ad  imguem  »  le  lettere  ducali  del 
23  decembre  1475  (clr.  n.  VI);  f.  14  a, 

VII.  —  i4t6,  settembre  //.  —  Bergamo. 

I  suddetti  podestà  e  capitano  di  Bergamo,  pur  rispettando  i 
privilegi  antichi  e  recenti,  stabiliscono  la   suddivisione    dell'intero 

(i)  Pizzino,  luogo  di  Val  Taleggio,  appartiene  ora  al  mandamento 
di  Zogno.  L'appellativo  di  castrum  conviene  alla  fortezza  che  nel  se- 
colo XIV  quei  di  Val  Taleggio  vi  eressero  e  della  quale  restano  an- 
cora tracce  nei  pochi  ruderi  d*  una  torre.  Cfr.  Villa,  op.  cit,  pp.  loi, 
f02  e  109. 


DI    PRIVILEGI   BERGAMASCHI  287 

territorio  bergamasco  in  cinquanta  «  caratti  n,  ventinove  dei  quali 
spettanti  ai  monti  ed  alle  valli  e  ventuno  alla  città  di  Bergamo  ed 
alla  pianura;  f.  ii  ò. 

IX.  —  t4n>  febbraio  ii.  —  Venezia, 

n  doge  Andrea  Vendramin  riconferma  a  Sebastiano  Baduario, 
podestà  ed  a  Giovanni  Mauro,  capitano  di  Bergamo  le  lettere  ducali 
del  1475  e  del  1476  (cfr.  nn.  VI  e  Vili);  f.   15  é. 

X.  —  iS^^ì  agosto  20.  —  Bergamo. 

Sentenza  pronunciata  da  Paolo  Valaresso,  podestà,  e  da  Vin- 
cenzo Tron,  capitano  di  Bergamo,  nella  causa  insorta  fra  i  comuni 
di  Val  Taleggio  ed  Averara  da  una  parte,  e  i  vicini  della  Valle 
Brembana  Inferiore  dall'  altra,  a  cagione  di  certe  partecipazioni  alle 
spese  per  il  riattamento  del  ponte  di  Sedrina;  f.  16  a. 

La  sentenza  è  in  favore  dei  comuni  di  Taleggio  ed  Averara, 
che  son  ritenuti  esenti  da  ogni  compartecipazione  alle  spese  sud- 
dette, obbligandosi  «  Laurentius  dictus  Furietus  de  Zonio  exequutor 
«  sive  exactor  impense  reparationis  seu  refectionis  pontis  Sedrine  » 
a  restituire  gli  oggetti  preventivamente  pignorati. 

Antonio  detto  u  Gazina  »  da  San  PeUegrino  interviene  «  sin- 
«  dicario  et  procuratorio  nomine  comunis  hominum  et  vicinorum 
«  Vallis  Brembane  inferioris  »  insieme  con  «  Domino  Johanne  Bap- 

*  tista  de  Asolario  doctore  eorum  advocato  ».  Taleggio  è  rappre- 
sentata da  M  Johannes  Maria  de  Savionibus  et  Cataneus  de  Bela- 
«  vitibus  I»;  Averara  da  «Mapheus  de  Lulmo  »  (i). 

(i)  11  Villa,  op.  cit.,  pag.  4»  ricorda  questa  sentenza,  ma  il  suo 
breve  accenno  merita  qualche  correzione,  anche  perchè  pone  la  data 
del  1520,  mentre  si  tratta  del  1526,  e  fa  definire  il  giudizio  da  un  ^  Paolo 

*  Valaresso,  podestà  e  capitano  di  Bergamo  ..  Il  Lorenzo  Furieto,  infatti| 
è  nominato  dal  Villa  come  giudice  dì  Zogno,  quando  il  documento  dice: 
'  ad  instantiam  Laurentii  dicti  Furieti  de  Zonio  asserti  exequutoris  sive 

*  exactorìs  impense  reparationis  seu  refectionis  pontis  Sedrine  „  (f.  16  a). 
IJ  Villa  poi  (op.  cit.,  p.  4,  in  nota),  nonostante  la  designazione  pre- 
cisa del  documento;  che,  notisi  bene,  è  una  sentenza  e  non  può  quindi 
lasciare  dubbi  sulle  località  in  discussione;  crede  che  la  controversia 
non  riguardi  il  ponte  di  Sedrina,  ma   quello   di  Zogno,  trovando  in  una 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI  289 


XrV.  —  IS37*  febbraio  7.  —  Venezia. 

U  doge  Andrea  Gritti  comanda  a  Marc'Antonio  Foscarini  e  ad 
Ettore  Lauredano,  podestà  e  capitano  di  Bergamo,  che  faccian  to- 
sto la  M  elletta  n  di  3000  uomini  dei  6000  deliberati  fin  dal  7522, 
i  quali  rimangan  pronti  ad  ogni  richiesta  «  per  andar  sopra  le  ga- 

•  Ice....  per  homeni  da  Remo  »;  f.  21  b, 

XV.  —  ^537^  gi^g^o  II.  —  Bergamo. 

«  Mapheus  del  Ulmo  »  e  «  ser  magister  Ambroxius  de  Savio- 

•  nibus  de  Talegio  »,  nunzi  di  Averara  e  Taleggio,  allegando  le 
lettere  ducali  e  la  sentenza  del  1476  (cfr.  nn.  VII  e  Vili),  si  rifiu- 
tano di  mandare  a  Bergamo  «  unum  remigem  classiarium  sive  unum 
■  galeotum  prò  illum  mittendum  ad  Inclytam  Civitatem  Venetiarum 

•  ad  servitutem  galearum  »,  e  di  pagare  «  expensam  deputatam .... 
«  tenitorio  Bergomensi  prò  Brenta  »,  e  ciò  contrariamente  al  de- 
creto dei  Rettori  di  Bergamo,  che  finiscono  però  col  dar  ragione 
ai  reclamanti;  f.  22  A  (i). 

XVI.  —  ^537*  gi^g^^o  26,  -7-  Venezia. 

B  procuratore  Vittor   Grimani,  avendo    saputo   da   parte   dei 
messi  dottor  Giovanni  Maria  de  Fin  e  Bartolomeo  Minol   la  «  dil- 

«  ficultà  che  alla  giornata   occorre nel    mandar   li   homeni  da 

«  remo  richiesti,  pretendendo  alcuni  sì  come  sono  li  loci  de  Tae- 

•  chio,  Averaria,  et  Schalve,  Sorisel,  Poltrenga  et  altri  loci  exen- 

•  tarsi  da  questa  gravezza  per  virtù  de  sui  privilegi]  »,  comanda  ai 
Rettori  di  Bergamo  che  tutti  indistintamente  debbano  concorrere  a 
fornire  gli  uomini  requisiti;  f.  24  a. 

XVII.  —  I33T,  luglio  IO.  —  Venezia. 

I  comuni  d' Averara  e  Taleggio  hanno  mandato  loro  agenti 
»Ua  Signoria  Veneta  reclamando,  in  virtù  dei  noti  privilegi,  di 
non    esser  compresi,  anche   per   il    contributo    degli    uomini   da 

(0  II  decreto  dei  Rettori  di   Bergamo,  in  data  del  4  giugno,  è  ri- 
portato  al  f.  23  ^. 


290  UN   CODICE   SCONOSCIUTO 

remo,  nel  territorio  bergamasco,  «  offerendosi  tamen  per  la  fede  et 
u  bon  animo  loro  verso  il  stato....  spontaneamente  contribuirli 
«  homeni  da  remo....  li  quali  perhò  se  intendono  esser  contribuiti 
«  oltre  a  quelli  esso  territorio  per  la  sua  limitation  è  obbligato 
u  contribuir  ».  La  proposta  essendo  piaciuta,  si  danno  ordini  ai 
Rettori  di  Bergamo  perchè  vogliano  rispettare  in  cotal  senso  i  pri- 
vilegi dei  comuni  ricorrenti  ;  f.  25  a. 

XVIII.  —  IJ42,  febbraio  ij.  —   Venezia. 

11  nobil'uomo  maestro  Francesco  Mallipiero,  in  qualità  d'avvo- 
cato, e  Davide  de'  Capitani  (i),  come  nunzio  ed  oratore,  presentano 
al  Collegio  dei  Sette  Savi  sopra  il  sussidio  di  Terra  Ferma  una 
istanza  a  favore  dei  comuni  d'Averara,  Taleggio  e  Scalve,  affindiè 
non  siano  u  astrecti  a  pagar  cossa  alcuna  de  li  8000  ducati  ri- 
«  chiesti  a  la  Cita  et  territorio  Bergamasco  »,  offrendosi  per  altro 
a  pagare  la  loro  porzione  di  ducati  80  «  oltra  quello  paga  il  terri- 
u  torio  Bergamascho  ",  e  ciò  in  virtù  della  loro  separazione  dal 
territorio  stesso;  f.  25  b  (2). 

(i)  I  De'  Capitani  sono  antichissima  famiglia  Scalvina.  Nel  1222,  anzi, 
venivano  investiti,  come  già  accennammo,  dei  diritti  feudali  che  il  Ve- 
scovo di  Bergamo  Giovanni  teneva  nella  Valle  e  Corte  di  Scalvc  e  di 
Palodo.  Grassi,  op.  cit.,  p.  9. 

(2)  Interessante,  per  le  notizie  storiche  in  essa  contenute,  è  la  prima 
parte  di  questa  petizione,  che  ricorda  come  *  del  ano  1428  la  llL""Si- 
"  gnoria  prexe  la  Cita  di  Bergomo  cum  el  suo  territorio  et  destretto 
^  de  lecho,  et  valsasmina  et  valtulina,  soto  qual  valsasmina  era  il  Co- 
*  mun  di  Talegio  et  de  Averaria    et   soto    valtulina    era   il  Comun  de 

"  scalvo Da  poi  nel  concluder  de  la  pace  tra  la  111."»*  Signo- 

"  ria  nostra,  et  il  Ducha  di  Milan  fu  posto  un  Capitolo  che  vegliando 
''  questa  valsasna  et  li  ditti  tre  Comuni  star  a  la  obedientia  del  Duca  di 
**  Milan  potesseno  star:  se  anche  li  piacesse  star  soto  il  Dominio  di  questo 
"  fedelissimo  stato  che  così  fosse  observato.  Et  così  li  ditti  tre  Comuni 
"  Averaria  Scalvo  et  la  meyttade  de  talegio  comparseno  avantc  la  prc* 
"  libatta  111.™»  Signoria  pregandola  li  volesse  acceptar  per  soi  fidellisub- 
"  diti  et  perpetualmente  defenderli  dal  Signor  Ducha  de  Milano  el  da 
"  altri  Signori  et  così  foreno  acceptati  per  fedelissimi  subditi,  et  il  rC" 
"  sto  de  Talegio  valsasna  et  valtulina  torneteno  ala  obedientia  del Du- 
*•  cha  de  Milano^  et  al  presente  li  sono  anchora. 

"  Per  la  qual  cosa  la  111.*"»  Signoria  concesse  molti  privilegii  a  dicti 
tre  Comuni  et  li  fece  exempti  da  ogni  gravezza,  Tallic,  et  altre  anganc 


i 


DI    PRIVILEGI   BERGAMASCHI 


291 


XIX.  —  1^42,  febbraio  20.  —  Venezia. 

11  Consiglio  dei  Sette  Savi  sopra  il  sussidio  di   Terra    Ferma 
accoglie  favorevolmente  la  petizione  suddetta  (n.  XVIII), 


XX.  —  iS43ì  agosto  jo,  —  Bergamo, 

Antonio  Marcello,  capitano  di  Bergamo,  essendo  intervenuti 
innanzi  a  lui  Davide  de'  Capitani  e  Andrea  Bottagisi  d'Averara 
in  rappresentanza  dei  comuni  di  Scalve,  Averara  e  Taleggio,  per 
lagnarsi  che,  nonostanti  i  molti  privilegi  attestanti  la  loro  separa- 
zione dal  territorio  Bergamasco,  quelle  comunità  siano  state  mo- 
lestate da  «  Corinus  de  Theotaldis  datiarius  pannorum  Bergami 
■  et  districtus  »•  perchè,  pagassero  «  dittum  datium  pannorum 
«  factorum   in   dictis  eorum  comunibus....  cum  lanis   factis   et  col- 

•  lectis  ex  nonnuUis  eorum  ovibus  quas  tenent  ipsi  vicini  in  dittis 

•  locis  prò  eorum  tantum  usu  »,  assolve   i   reclamanti    dall'osser- 

•  che  havesse  a  concorrer  et  fosseno  imposte  per  la  prelibata  III."*»  Si- 
'  gQorìa  corno  appar  per  dictì  sui  privilegi]  più  volte  confirmati,  qualli 
'  sai  privilegi]  et  exemption  sono  concessi  a  lì  dicti  tre  Comuni  per  tre 

•  cause  principalli. 

•  Prima  per  la  fideltà  et  devotion  grande  |>ortavano  a  questo  111.™» 
'  stato,  che  forono  sachezati  et  robatti  più  volte  da  li  soldati  ed  agienti 
'  del  Ducha  de  Milano,  ma  mai  volseno  ritornar  soto  il  Dominio  di  esso 
■  Ducha:  ma  sempre  steteno  fideli  di  questo  111.™®  Dominio. 

*  Seconda  per  esser  poverissimi,  et  lochi  sterili  dove  si  ricogiie  so- 
lamente feno:  et  la  più  parte  sono  pascholi  da  bestiame. 

*  Terza  per  esser  dicti  tre  Comuni  la   muraglia   de   Bergamascha 
che  loro  confinano  ,,  ecc. 

*  Dico  adoncha  li  ditti  tre  Comuni  non  esser  né  mai  esser  stati  del 
temtorio  Bergamascho:  ma  erano  del  distretto  di  Valsasna  et  valtu- 

Tra  i  privilegi  sono  allegate  le  lettere  ducali  del  23  decembre  1475 
(cfr.  n.  VI),  e  le  terminazioni  del  3  luglio  1476  (n.  Vili),  15  settembre 
147^  (n.  VII),  XI  febbraio  1477  (n.  IX).  20  agosto  1526  (n.  X),  11  giugno 
^537  (n.  XV),  e  10  luglio  1537  (n.  XVII),  tutte  intese  ad  aficrmare  la  se- 
parazione dei  comuni  ricorrenti  dal  territorio  Bergamasco. 

Al  testo  della  petizione  segue  l'avvertenza  ch'essa  fu  letta  al  Col- 
legio dei  Sette  Savi  il  14  febbraio,  *  domino  Francisco  Sonicha  doctor, 
.  P'^^tor  della  magnifica  et  fidelissima  Cita  di  Bergamo,  et  li  altri  etiam 
mtervenienti  ,;  f.  aga. 


292  UN   CODICE   SCONOSCIUTO 

vanza  del  dazio  in  controversia,  condannando  nelle  spese  l'agente 
del  fisco  ;  f .  30  a  (i). 

XXVII.  —  IS4S*  febbraio  24.  —  Bergamo, 

Cornelio  Barbaro,  capitano  di  Bergamo,  sentiti  in  contraddi- 
torio i  procuratori  dei  comuni  di  Scalve,  Averara  e  Taleggio,  Da- 
vide de*  Capitani,  Bernardo  «  de  Guarinonibus  vicarius  comunis 
«  de  Averaria  »  e  ser  Jacobo  Ambrosoni  d' Averara,  da  una  parte, 
e  Conno  «  de  Teutaldis  »,  depositario  del  dazio  dei  panni  per  la 
città  di  Bergamo  dall'altra,  sentenzia  «  mezetum  ilLura  album  bas- 
«  sum  acceptum  a  Joann^  Antonio  de  Vicominori  et  Scalvo  per 
u  datiarios  datii  pannorum  Bergomi  absque  bullo  restituendum 
«  esse....  ipsi  domino  Joanni  Antonio  w;  f.  38  a.  Corino  protesta 
d'appellarsi  ai  «  domini  superiores  »,  ma  segue  la  dichiarazione 
fatta  il  successivo  25  febbraio  da  «  dominus  Petrus  quondam  do- 
M  mini  Bernardini  de  Moiolis  incantator  datii  pannorum  n,  che  ri- 
nuncia all'appello  interposto  da  Corino.  «  Michael  Albricus  scalvensis 
«  civis  et  notarius  bergomensis  et  brixiensis  exem piavi t  »  ;  f.  39  b, 

XXI.  —  IS4S'  ottobre  /.  —   Venezia. 

11  doge  Pietro  Landò  interviene  presso  il  capitano  di  Bergamo 
Paolo  Contarini  a  favore  del  comune  d'Averara  minacciato   da  un 

(1)  In  questa  sentenza  sono  citati  i  privilegi  del  23  decembre  1475 
(n.  VI).  3  luglio  1476  (n.  Vili).  11  febbraio  1477  (n.  IX).  20  febbraio  1542 
(n.  XIX).  È  accennata  inoltre  una  "  confirmatione  omnium  privilegio- 
"  rum,  separationum  et  aliorum  jurium  dictorum  Comunium  facta  per 
"  Excellentissìmum  Consilium  Rogatorum  sub  die  secundo  Augusti,  1520  , 
(f.  31  d),  che  non  è  riportata  nel  codice  Villa,  come  pure  non  sono 
riportate  le  lettere  ducali  dell' 11  giugno  1428  che,  nella  sentenza,  fi- 
gurerebbero concesse  ai  tre  comuni  ricorrenti  (f.  30  b).  Del  mese  di 
giugno  1428,  ma  con  la  data  del  2  invece  che  dell'  11,  conosciamo  la 
ratificazione  dei  privilegi  Seal  vini  fatta  dal  doge  Francesco  Foscari  ap- 
punto sotto  forma  di  lettere  (Grassi,  op.  cit,  p.  18)  e  non  è  improbabile 
che  la  sentenza  voglia  riferirsi  ad  essa.  L' errore  di  data  è  ammissibile 
tanto  più  che  il  codice  Villa  ci  offre  altrove  dei  casi  analoghi,  come, 
per  esempio,  nella  petizione  del  13  febbraio  1542  (n.  XVIIIX  dove  le 
lettere  ducali  del  23  decembre  1475  (n.  VI)  sono  assegnate  al  3  de- 
cembre (f.  26  by 


DI  PRIVILEGI   BERGAMASCHI  293 

tal  »  Bernardino  di  Botagisi  »,  il  quale  «  ricercando  con  vie  in- 
«  dirette   impatronirse   di    certi   boschi  comunali  del   detto  Cora- 

•  mune  »  (i),  aveva  «  data  una  certa  accusa  contro  uno  Zuan  detto 
«  Mambrino,  et  altri  del  detto  Comun  avanti  al  Giudice....  del  mal- 
«  lefìtio  n  di  Bergamo  «  per  aver  tagliato  legne  in  detti  boschi 
a  comunali,  volendo  far  la  causa  criminale,  che  è  civile;   et    tirar 

•  essi  homini  a  litigare  a  Bergamo  contra  la  forma  di....  privilegii  », 
in  forza  dei  quali  gli  abitanti  d'Averara  devono  essere  giudicati 
in  civilibus  dal  loro  vicario  (2)  ;  f.  32  a,  —  Segue  la  presentazione 
di  queste  lettere  al  Con  tari  ni,  fatta  il  15  ottobre  dai  procuratori 
d'Averara  «  ser  Ambrosius  de  Chiusio  »  e  «  ser  Johannes  de  la 
«  Vemiga  »,  che  ne  ottengono  il  decreto  d'esecutorietà;  f.  32  b. 

XXII.  —  JS4S'  novembre  28.  —   Venezia, 

U  Consiglio  dei  Dieci,  uditi  in  contradditorio  Bernardino  dei 
Bottagisi  ed  i  rappresentanti  del  Comune  d'Averara,  comanda  al 
Podestà  di  Bergamo  di  far  osservare  le  lettere  ducali  del  5  otto- 
bre 1545  (n.  XXI).  —  Segue  la  presentazione  di  queste  lettere  al 
detto  podestà,  fatta  il  successivo  9  decembre  dai  procuratori  del 
comune  d'Averara  «  Ambrosius  de  Chiusio  »  e  «  Johannes  Mam- 
«  brinus  »,  che  ne  ottengono  il  decreto  d'esecutorietà;  f.  33  «. 

XXIIl.  —  [iS4S?\ —  [Venezia]. 

Si  comanda  ai  Rettori  di  Bergamo  di  lasciare  al  Vicario  di 
Averara  la  podestà  d*  esaminare  le  cause  promosse  da  Bernardino 

(i)  Questo  Bernardino  Bottagisi,  cittadino  di  Bergamo,  usava  di 
astuzie  e  di  raggiri  tutti  suoi  particolari  per  impadronirsi  dei  boschi 
comunali  ed  il  documento  18  febbraio  1551  (n.  XXV)  ce  ne  dà  una 
chiara  idea.  Le  sue  "vie  indirette  «  consistevano  nel  *  dar  accuse  de 

*  turbata  possessione  bora  ad  uno,  bora  ad  un  altro,  de  quelli   poveri 

*  homeni  che  tagliano  legne  in  essi  boschi,  et  facendo  poi  che  essi  po- 
'  veri  homeni,  i  quali  per  la  impotentìa  et  extrema  povertà   loro  non 

*  possono  resister  alte  spese  delle  litte,  gli  faccino  instrumenti  de   ac- 

•  cordi  ,  ;  f.  35  ^. 

(a)  Il  Martinengo,  op.  cit.,  p.  555,  parlando  delle  Valli  d'Averara  e 
<lcll*Olmo,  dice  appunto  che  **  queste  per  particolare  privilegio  del  lor 
'  Comune  eleggono  il  Vicario  da  sé  con  assoluta  autorità  nel  Civile, 
'  ma  limitata  nel  Criminale;  oltra  la  qual  limitatione  viene  a  Bergomo  «. 
Cfr.  il  doc.  IL 


294  UN  CODICE  SCONOSCI  aro 

Bottagisi  contro  «  Zuan  Mambrino  della  contrata  de  Umita  e  Cusio 
«  de  ditto  Comun  »»  (i),  revocando  le  lettere  con  le  quali  avevano  in- 
giunto ai  suddetto  Vicario  di  non  procedere  nel  giudizio  ;  f.  33  A . 

XXVI.  —  JS47'  novembre  i,  —  Bergamo. 

1  signori  Angelo  Marìa  de*  Prioli,  Benedetto  Boldu  e  Gioia 
Francesco  Salomone,  «  provisores  »  a  ciò  nominati,  presentano  a 
Pietro  Sanuto,  pretore  dì  Bergamo,  l'estimo  generale  da  loro  com- 
pilato e  pubblicato  il  29  ottobre,  secondo  il  quale,  riferendosi  alla 
sentenza  del  1476  (n.  VII),  si  definisce  che  la  «  Città  di  Bergamo 
«  et  suo  territorio,  escludendo  la  valle  di  Scalve,  Averaria,  et  Ta- 
«  legio,  sia  e  s' intenda  esser  in  carati  cinquanta  »  ;  f.  36  a. 

XXIV.  —  ij^iy  gennaio  9.  —    Venezia. 

Lettere  ducali  simili  a  quelle  del  1545  (n.  XXIII)  mandate  ai 
Rettori  di  Bergamo  in  seguito  alle  lagnanze  fatte  al  Consiglio  dei 
Dieci  da  Jacomo  Caral,  interveniente  per  la  valle  d*Averara;  f.  34  b. 

XXV.  —  /JJ//  febbraio  18,  —  Venezia. 

I  sindaci  delle  contrade  «  de  Cusio,  Ornica  et  Caselio  n  (2)  del 
comune  d'Averara  si  sono  gravemente  doluti  innanzi  al  Consiglio 
dei  Dieci,  dei  raggiri  messi  in  opera  da  Bernardino  Bottagisi  e  dai 
suoi  aderenti  per  usurparsi  i  boschi  di  quella  comunità;  epperò 
Giovanni  Luigi  Superanzio,  Luigi  Riva  e  Luigi  Foscarini,  capi  dei 
Dieci,  fanno  viva  istanza  ai  Rettori  di  Bergamo  onde  vogliano 
porre  riparo  a  cotal  nuovo  genere  di  violenza;  f.  35  b. 

XXXV.  —  ^SSìf  *^^SS^^  ^S'  —  Venezia. 

II  doge  Francesco  Donato  comanda  al  podestà  di  Bergamo 
Costantino  de'  Prioli.  al  capitano  Francesco  Bernardo  ed  al    Prov- 

(i)  Ornìca  e   Cusio,   paeselli   dell'attuale    mandamento   di  Piazza 

Brembana,  sul  confine  della  Valtellina  e  della  Valsassina.  Cfr.  Villa, 
op.  cìt.,  pp.  141  e  148. 

(a)  Cassigìio  e  un  paesello  delle  vicinanze  di  Santa  Brigida»  a  i>oca 
distanza,  come  Ornica  e  Cusio,  da  Averara,  dal  qual  comune  dipen- 
deva. Ora  fa  parte  del  mandamento  di  Piazza  Brembana.  Cfr.  Viluì, 
op.  cìt.,  p.  141. 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI  295 

veditore  del  Sale  cavalier  Domenico  Mauroceno  che  deliberino  di 
|Hcno  accordo  circa  la  petizione  presentata  dai  comuni  di  Scalve, 
Averara  e  Taleggio,  non  avendo  il  Consiglio  dei  Dieci  sufficienti 
informazioni  per  pronunciarsi  su  di  essa  ;  f.  45  a. 

XXXVI.  —  ISS3'  ^f^gS^^  J^-  —  Bergamo. 

I  suddetti  ufficiali  di  Bergamo,  sentite  le  ragioni  addotte  da 
messer  Davide  de  Capitani,  agente  in  nome  dei  comuni  di  Scalve 
e  Taleggio,  e  da  messer  Giovanni  Altobelli  d'Averara,  procuratore 
dei  comuni  d'Averara  e  Taleggio,  «  considerata  la  povertà  e  la 
«  fedeltà  delli  detti  comuni  »  (i),  determinano  che  il  futuro  appalta- 
tore dei  dazi  del  sale  di  Bergamo  debba  tenervi  tre  a  caneve  »  : 
lina  a  Scalve,  la  seconda  ad  Averara,  la  terza  a  Taleggio,  e  che 
i  «  Salaroli  »  di  questi  tre  luoghi  debbano  vendere  il  sale  al  prezzo 
di  Bergamo,  «  vollendo  solamente  di  più  dinaro  uno  per  lira  Ber- 
•  gamascha  da  onze  trenta  n    f.  4  5  ò. 

XXVIII.  —  ^SS7t  settembre  4.  —  Venezia. 

II  doge  Lorenzo  Priolo,  dietro  petizione  degli  ambasciatori  di 
Bergamo  Conte  Achille  Brembato,  cavaliere  e  Augustino  Alzano, 
comanda  l'osservanza  del  privilegio  di  cittadinanza  veneta  concessa 
ai  Bergamaschi  Tanno  1428;  f.  40  a, 

XXIX.  —  //^o,  maggio  7.  —  Venezia. 

S*  ingiunge  al  Podestà  di  Bergamo  che,  a  tenore  d' antichi  pri- 
vilegi concessi  ad  Averara  e  ad  Olmo,  il  Vicario  d'Averara  e  non 
quello  «  a  platea  ultra  Gochiam  »  (2)  definisca  la  controversia  in- 
sorta fra  Marc' Antonio  Bertolini  da  una    parte    e   Giovanni   Gia- 

(2)  A  proposito  della  povertà  di  Scalve  e  delle  terre  limitrofe,  ad 
ogni  tratto  messa  innanzi,  vedasi  nel  Martinengo,  op.  cit.,  p.  550,  una 
descrizione  davvero  pietosa. 

(i)  Si  tratta  di  Piazza  Brembana,  ora  capoluogo  di  mandamento  e 
anticamente  capitale  del  dipartimento  Olire  la  Gogia,  altro  dei  tre  nei 
quali  era  distinta  la  Valle  Brembana.  Cfr.  Martinengo,  op.  cit.,  pp.  553 
e  seguenti  ;  Villa,  op.  cit.,  pp.  3  e  149. 


ago  UN  CODICE  sconosciuto 

corno  e  Bernardino  dall'altra,  tutti  di  Olmo,  «    occasione   nemorìs 
"  posili  sub  jurisdictione  Vicarij  de  Averaria  ■  ;  f,  40  b. 

XXX.  —  /J'éo,  maggio  11.  —   Veneeia. 

1  capi  del  Consiglio  dei  Dieci  comandano  al  Podestà  di  Ber- 
gamo che  la  suddetta  contesa  insorta  fra  Marc'Antonio  e  Giacomo 
fratelli  ••  quondam  Bertulin  da  l'Olmo  nei  Zuaniacomo  '  e  -  Ber- 
li nardo  da  l'Olmo  «  venga  definita  in  prima  istanza  dal  Vicario  di 
Averara  e  non  a  Bergamo  ;  f.  40  b. 

XXXI.  —  if6i,  dicembre  7.  —  Venezia. 

*  Havendo  i  Savii  del  Collegio  udito  in  longa  disputatione  gli 

••  Eccellenti  domini  Alphonso  dalla  Torre,  Lattantio  Marcbesini  et 

"  Andrea  Viscardi  Ambasciatori  della  Magnifica  Comunità  di  Ber- 

"  gamo,  con  Eccellenti  dottori  (sic)  domino  Francisco  Assonica  suo 

41  avocato,  con  gli  intervenienti  per  le   vallade   Bei^amasche   me- 

con  l'Eccellente  domino  Vincentio  Pellegrino   loro 

doge  Geronimo  Priolo  comanda  al  podestà   ed   al 

gamo  che    per  i   fanti   adibiti   alla   custodia   della 

0,  la  comunità  stessa  debba  provvedere   Y  alloco 

serbata  alle  *  dette  Vallate   insieme   con    il   resto 

cioè  piano  Romano  et  Martinengo  "   la   provvista 

et  carbone  "  ;  f.  41  b. 

S\'ll.  —  iS9^,  gennaio  2^.  —   Venezia. 

rino  Grimano  comanda  al  capitano  di  Bergamo 
Ibertus  "  che  ritenga  obbligati  ••  all'excavatione  di 
e  i  comuni  di  Scalve,  Averara,  Taleggio  e  Sorisole, 
ielle  lettere  ducali  del  5  novembre  1594  che  ■  ad 
one  di  Palma  non  restasse  essente  alcuno,  così 
ome  non  privilegiato  ■;  f,  47  A. 

iVIIl.  —  ti<i^,  gÌ"S»o  IO.  —  Venezia. 

rino  Grimano  significa  al  capitano  di  Bergamo  Gio- 

0  come  il  Consiglio  dei  Dieci,  udite  le  ragioni  ad- 

1  Olmo  e  Pietro  Merli,  rappresentanti  i  comuni  di 


DI    PRIVILEGI   BERGAMASCHI  297 

Scalve,  Averara  e  Taleggio,  in  contradditorio  con  gli  avvocati  del 
territorio  Bergamasco,  abbia  deliberato  di  revocare  le  lettere  du- 
cali del  5  novembre  1594  e  del  25  gennaio  1596  (n.  XXXVII)  ; 
f.  4B  a.  —  Il  successivo  18  giugno  i  suddetti  procuratori  dei  co- 
muni ricorrenti  chiedono  alla  comunità  di  Bergamo  Tesecutorietà 
di  queste  lettere,  accompagnandole  con  la  profferta,  fatta  il  20  mag- 
gio, alla  Signoria  Veneta,  di  15  guastatori,  u  acciochè  in  occasione 

•  di  così  importante  fortezza  [quella  di  Palma]  ancor  essi  possano 

*  gloriarsi  di    haver  prestato   qualche  aiuto  »»  ;  f.  48  A. 

XXXIII.  —  161^,  maggio   11.  —  Venezia. 

11  doge  Giovanni  Bembo,  sentiti  in  contradditorio  i  rappresen- 
tanti di  quelli  del  Piano  e  delle  Valli  Bergamasche  da  una  parte, 
e  dall'altra  Viviani  Salvioni  per  il  comune  di  Taleggio,  Zuanc 
Cainela  per  la  Valle  di  Scalve  e  Bernardo  Lazaroni  per  il  comune 
d*Averara,  avverte  gli  ufficiali  tutti  del  dominio,  e  segnatamente  i 
bergamaschi,  che  i  suddetti  comuni  di  Taleggio,  Scalve  ed  Averara 
devono  contribuire  ai  carichi  separatamente  dal  territorio  di  Ber- 
gamo; f.  43 a.  —  Segue  il  decreto  d'esecutorietà  ottenuto,  il  23 
maggio,  dal  capitano  di  Bergamo  Lorenzo  Giustiniano  per  parte 
di  Bernardo  «  ab  Ulmo  »,  procuratore  delle  tre  comunità  nominate; 
f.  436. 

XXXIX.  —  1626^  gi^g^o  6.  —  Venezia. 

11  doge  Giovanni  Cornelio,  desiderando  ovviare  ai  danni  che 
quelli  d 'Averara  hanno  ricevuto  e  ricevono  tuttora  per  frequenti 
alloggi  di  milizie,  invita  il  podestà  di  Bergamo  Nicolò  Donato  ed 
il  capitano  Bartolomeo  Mauro  a  ripetere  i  provvedimenti  altre  volte 
ed  in  simili  circostanze  adottati  a  favore  di  quel  comune;  f,  50  a. 

XXXIV.  —  162^,  maggio  77.  —  Venezia. 

Il  doge  Giovanni  Cornelio  comanda  al  podestà  di  Bergamo  Gio- 
vanni Grimano  ed  al  capitano  cavalier  marchese  Antonio  Mauroceno 
che  debbano  restituire  al  comune  d'Averara  le  spese  da  esso  soste- 
nute per  la  costruzione  d'un  lazzaretto  eseguito  di  commissione 
del  Procuratore  Generale  e  Provveditore  Foscari  a  per  la  contu- 
m   matia  delle  genti  che  passano  al...  servitio  n  ducale  ;  f.  44  a. 

Arch.  Star.  Lontb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV.  20 


l    SCONOSCIUTO 


XXXII.  —  i6}6,  luglio  8.  —   Venezia. 

Il  doge  Francesco  Ericcio  comanda  al  podestà  dì  Bergamo 
Francesco  Zeno  ed  al  capitano  Aloysio  Cocco  che  anche  per  le 
valli  di  Taleggio  ed  Averara  eseguiscano,  *  in  proposito  del  Cam- 
Il  patico  *  ciò  che  loro  è  stato  commesso  per  la  valle  di  Scalve. 
—  Segue,  in  data  del  35,  il  decreto  d'esecutorietà;  f.  43  i. 

XL,  —  i6j7,  decembre  26.  —  Verona. 

Conformemente  all'istanza  d'Alvise  Mandello  intervenuto,  in- 
sieme col  Tesoriere  Generale  Antonio  Agnello,  in  nome  del  Ter- 
ritorio di  Bergamo,  e  contrariamente  alle  richieste  del  Comune 
d'Averara,  rappresentato  da  Giovanni  Pietro  Curtoni  ed  Agnello 
Rovelli,  r  eccellentissimo  signore  Alvise  Zorzi  Procuratore  di  San 
Marco  e  Provveditore  Generale  nello  Stato  di  Terra  Ferma,  de- 
legato inappellabilmente,  nella  presente  causa,  dal  Senato,  giudica 
che  il  comune  d'Averara   debba  concorrere  insieme   col  territorio 

di   Bergamo  ••  all'a^ravio  delle   condotte  di monitionì,  utensili, 

«  arme  et  viveri  per  le  soldatesche  fossero  in  avvenire  alloggiate.. 
"  in  essa  Terra  ■  :  f.  50  b. 

XLII.  —  ^^fj,  agosto  14.  —   Venezia, 

Il  Consiglio  dei  Pregadì  commette  al  Priore  Generale  in  Terra 
Ferma  che  ìn  quanto  alle  spese  militari  da  contribuirsi    per  il  co- 
mune d'Averara  sia  fatto   pagamento  *  delli  danari   della  Camara 
""'''""  .      .  »-  i^j.g  stesso  quella  delibera- 

onveniente;  f.  15A.  —  11  9 
ritorio  di  Bergamo  ser  An- 
i  Rettori  di  Bergamo  e  ne 


.  -   Venezia. 

:a  al  podestà  di  Bergamo 
:csco  Salomone  la  sentenza 
la    faccia  eseguire;  f.  51  é. 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI  299 


XLni.  —  164^,   giugno  I}.  —  Venezia, 

Il  doge  suddetto  scrive  al  podestà  di  Bergamo  Nicolò  Tron 
e  al  capitano  Contarini,  approvando  la  riduzione  da  lire  20.683  ^ 
ducati  800  ch'essi  hanno  fatto  delle  spese  militari  da  contribuirsi 
dalla  Valle  d*Averara;  f.  52  b  (i). 

XLIV.  —  16^0,  luglio  io,  —  Venezia. 

Il  doge  Francesco  Molino  fa  obbligo  al  podestà  di  Bergamo 
Paolo  Leoni  ed  al  capitano  Giovanni  Balbi  di  esigere  dalle  Valli 
di  Scalve,  Taleggio  ed  Averara  V  intiera  somma  dell'  ultima  con- 
tribuzione, riservato  loro  il  diritto  di  separazione  dal  territorio  Ber- 
gamasco e  la  facoltà  «  di  poter  essere  successivamente  risarcite  di 
•  tutto  quello  che  nelle  passate  contributioni  »  abbiano  corrisposto 
-  oltre  l'obbligo  loro  »»  ;  f.  53  «.  —  Il  2  settembre  Giovanni  Bat- 
tista Amigazzi  presenta  queste  lettere  ai  Rettori  di  Bergamo  che 
ne  decretano  l'esecuzione  ;  f.  53  h, 

XLV.  —  16^2,  febbraio  8,  —  Bergamo. 

I  Rettori  di  Bergamo  sentenziano  che  i  comuni  di  Scalve,  Ta- 
leggio, Averara,  Valtorta,  Sorisole  e  Ponteranica  non  siano  tenuti 
alla  contribuzione  pretesa  dalle  «  Arti  et  Fraglie  »  della  città  di 
Bergamo  nell'  ultimo  comparto  «  delli  settanta  quattro  galeotti  stati 
«  imposti  alle  suddette  Arti,  Fraglie,  Terre  e  Castelli  e  luoghi  se- 
«*  parati,  che  non  hanno  contribuito  con  li  Territorii  di  Terra  Ferma  »» 
con  lettere  ducali  del  31  agosto  1651.  Nella  causa  le  Arti  sono 
rappresentate  dall'avv.  Pietro  Salvagno  e  dal  procuratore  Giovanni 


(1)  A  maggior  segno  della  benevolenza  della  Signoria  Veneta  verso 
U  comunità  d' Averara,  il  doge  Ericcio  prosegue  :  "  Et  perchè  in  avve- 

*  Dire  possino  nascer  occasioni  simili  di  spese,  che    meritano  la  bonifì- 

*  catione  coiressempio  stesso  volemo  quando  succederanno,  che  di  Re- 
"gimento  in  Regimento  ce  ne  sia  datta  da'  vostri  successori  la  no- 
'titia,  acciò  osservata  la  parità  del  merito  della  spesa   possiamo  ordì- 

*  nare  costà  a'  vostri  Successori  la  bonifica tione  senza  che  gì*  Interve- 

*  nienti  della  Valle  habbino  da  venire  in  questa  Città  a  procurarlo  con 

*  tanto  dispendio,  come  è  seguito  per  il  passato  „.  (f.  52^). 


300  UN    CODICE   SCONOSCIUTO 

Andrea  Locatello,  il  Territorio  di  Bergamo  da  Thomaso  Averara 
e  da  Giacomo  Francesco  Bagnati,  avvocato,  Ponteranica  e  Sorisole 
dal  conte  Giovanni  Grumello  avvocato  e  da  Simon  Donati,  procura- 
tore, le  altre  Valli  dal  predetto  Bagnati  e  da  Giovanni  Battista 
Amigazzi,  procuratore  ;  f.  54  a. 

XLVI.  —  i^S^i  settembre  14.  —  Venezia, 

Lodo  della  sentenza  soprascritta  (n.  XLV),  trasmesso  dal  doge 
Francesco  Molino  ai  Rettori  di  Bergamo  Giovanni  Francesco  Giorgio, 
podestà  e  Pietro  Murto,  capitano,  dopo  aver  nuovamente  udite  le 
parti  in  contradditorio,  e  cioè  Tavvocato  Marchior  Lanza  per  le 
Arti  di  Bergamo,  D.  Pietro  Barile,  dottore,  per  il  Territorio,  D.  Ales- 
sandro Cattanio  per  Sorisole  e  Ponteranica,  D.  Giovanni  Ronchi 
per  la  Val  di  Scalve,  D.  Simon  Mainetti  per  Averara  ed  Olmo, 
D.  Alessandro  Marchesi,  avvocato  per  Taleggio;  f.  590.  —  Seguono 
le  presentazioni  del  lodo  per  ottenerne  l'esecuzione:  il  17  settem- 
bre per  parte  di  Simon  Donati,  procuratore  di  Sorisole  e  Pontera- 
nica; la  qual  presentazione  è  denunziata,  il  28,  da  Giulio  Cesare 
Sartorino,  vice  alabardiere  a  Tomaso  Averara,  Giovanni  Antonio 
Donarello  e  Francesco  Corte,  intervenienti  per  il  Territorio  di  Ber- 
gamo, ed  a  M.  Antonio  Calamita,  Marc  Antonio  Rossi  e  Giovanni 
Battista  Pisenti,  deputati  delle  Arti;  il  la  ottobre  per  parte  di 
Simon  Mainetti  a  nome  delle  Valli  di  Scalve,  Taleggio,  Averara 
e  Valtorta,  ed  anche  questa  presentazione  è  come  sopra  denun- 
ziata, il  giorno  i6,  ai  deputati  delle  Arti;  f.  60 a. 

LVI.  —  J^S3p  gi^^g^o  20  —  Venezia. 

Si  comanda  che  i  dazi  aiuoli  di  Bergamo  non  molestino  il  co- 
mune d'Averara  che,  in  forza  dì  suoi  privilegi,  paga  separatamente 
ì  contributi  allo  Stato;  f.  67  ò. 

LXXIll.  —  iàó),  luglio  9.  —   Venezia, 

Il  doge  Domenico  Contarinì  comanda  al  Provveditore  di  Ber- 
i;amo  Marco  R usino  che  faccia  rispettare  ì  diritti  delle  Valli  d'A- 
vt raia  e  dì  Taleggio  circa  il  dazio  sugli  animali  «  che  si  condu- 
«  coni>  a*  soliti  pascoli  ne*  monti  ^\  f.  8s  rt. 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI  3OI 

XLVII.  —  7^7/,  gennaio  14.  —  Venezia. 

U  doge  Nicolò  Sagredo  avverte  il  podestà  di  Bergamo  Carlo 
Belegno  ed  il  capitano  Giovanni  Michele  come  il  Senato,  apprez- 
zando i  meriti  dei  valligiani  di  Taleggio,  Averara  e  Scalve,  «  posti 

•  alla  custodia  di  codesti  confini,  e  compatendo  la  sterilità  del  sito 

*  montuoso  et  alpestre  »,  abbia  deciso  ch'essi  non  siano  obbligati, 
dal  1636  in  poi,  alla  presentazione  delle  polizze  per  il  pagamento 
dei  campatici,  ma  corrispondano  il  cinque  per  cento  a  ragione  di 
rendita,  bonificando  loro  il  totale  delle  «  tanze  »  pagate  e  V  im- 
porto di  quella  del  1656  e  concedendo  anche  una  certa  dilazione 
per  Testinzione  dei  debiti;  f.  61  a. 

XLVIII.  —  1682,  marzo  14.  —  Venezia, 

11  doge  Luigi  Contarini  avvisa  il  podestà  di  Bergamo  Zaccaria 
Salomone  ed  il  capitano  Luigi  Foscarini  d'aver  riconfermato  alle 
Valli  di  Scalve,  Taleggio,  Averara  e  Valtorta  le  già  fatte  conces- 
sioni circa  il  pagamento  del  campatico  (n.  XLVII);  f.  63  b, 

XLIX.  —  1682,  giugno  24.  —  Venezia. 
Replica  delle  lettere  precedenti  (n.  XLVIII);  f.  64  a. 

L.  —  1682,  settembre  26.  —  Venezia. 

U  doge  Luigi  Contarini  comanda  ai  Rettori  di  Bergamo  che 
bonifichino  alle  Valli  predette  il  dieci  per  cento  sulla  tassa  del  cam- 
patico, pagando  esse  in  una  sol  rata  invece  che  in  due;  f.  64  b.  — 
Il  28  successivo,  D.  Leonardo  Magni  «  diffensore  »  della  Valle  di 
Scalve,  a  nome  anche  delle  altre  Valli  di  Taleggio,  Averara  e 
Valtorta,  presenta  quelle  lettere  per  ottenerne  l'esecuzione;  f.  65  a, 

LI.  —  1682,  settembre  2^,  —  Bergamo. 

I  Rettori  di  Bergamo  pubblicano  le  lettere  precedenti  (n.  L) 
comandandone  l'osservanza;  f.  65  a. 

LIl.  —  1682,  settembre  jo.  —  Bergamo. 

H  camerlengo  Alvise  Diedo  riceve  dal  comune  d'Averara,  rap- 
presentato da  Giovanni   Battista   Cattaneo,  lire  712    e  soldi  2   in 


L 


302  UN  CODICE   SCONOSCIUTO 

conto  del  campatico  per  il  1628,  computato  l'abbuono  del  dieci  per 
cento  a  tenore  delle  lettere  ducali  del  26  settembre  (n.  L);  f.  65  b. 

LV.  —  IT 02,  gennaio  12,  —  Venezia. 

Il  doge  Luigi  Mocenigo  avvisa  il  podestà  di  Bergamo  France- 
sco Fusculo  ed  il  capitano  Federico  Barbadico  che  resta  fermo  ai 
comuni  delle  Valli  di  Taleggio,  Valtorta  ed  Averara  il  privilegio 
d*  eleggersi  il  proprio  vicario.  —  D  successivo  18,  il  signor  Ales- 
sandro Aregazzolo  presenta  queste  lettere  ai  Rettori  di  Bergamo, 
ottenendone  Tesecuzione;  f.  67  a  (i). 

LUI.  —  1702^ — 


I  comuni  d'Averara,  Valtorta,  Scalve  e  Taleggio  domandano 
alla  Signoria  Veneta  di  poter  fare  la  consegna  dei  soldati  requi- 
siti, separatamente  dal  Territorio  Bergamasco;  f.  66  a. 

LIV.  —  1702,  novembre  11,  —   Venezia, 

II  doge  Luigi  Mocenigo  comanda  al  capitano  di  Bergamo  Fe- 
derico Barbadico  che  i  comuni  predetti  siano  compiaciuti  nella  loro 
richiesta.  —  Il  2  gennaio  1703  il  capitano  stesso  concede  a  Giu- 
seppe Antonio.  Regazzoni  Tesecuzione  di  queste  lettere;  f.  66  b. 

LVII.  —  1710,  giugno  II.  —  Venezia.^ 

Il  doge  Giovanni  Cornelio  invita  il  podestà  di  Bergamo  Leo- 
nardo Delfino  ed  il  capitano  Vittor  Pisani  a  non  permettere  novità 
alcuna  in  danno  della  Valle  d*Averara;  f.  69  a. 

LVIU.  —  /7/i/  marzo  20.  —  Bergamo, 

In  omaggio  alle  precedenti  lettere  ducali  (n.  LVII),  il  capitano 
di  Bergamo  sospende  l'appalto  del  dazio  per  il  comune  d' Averara, 
circa  r  u  aggravio  del  prestino,  macina  et  soldo  per  lira  delle 
"  carni  w  ;  f.  69  i. 

(i)  Cfr.  nn.  II,  XXI,   XXII,  XXIII.  XXIX,    XXX,  e  T  introduzione. 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI  303 


LIX.  —  IT22,  febbraio  i8.  —   Venezia. 

n  doge  Luigi  Mocenigo  comanda  al  capitano  di  Bergamo  Paolo 
Donato  che  faccia  rispettare  le  concessioni  del  campatico  per  il 
comune  d'Averara;  f.  70  a  (i). 

LX.  —  1729,  febbraio  7.  —   Venezia. 

n  doge  stesso  invita  ancora  il  capitano  di  Bergamo  a  far  com- 
parire imianzi  al  suo  tribunale  i  reggenti  del  comune  d'Averara, 
perchè  mostrino  i  privilegi  in  forza  dei  quali  si  permettono  «  di 
»  vender  a  piacere  il  Tabacco  ben  che  tolto  al  publìco  Partito  »; 
f.  71  a. 

LXI.  —  1730,  marzo  28.  —  Venezia. 

Il  doge  stesso,  ritenendo  insufficienti  i  privilegi  accennati,  co- 
manda al  capitano  di  Bergamo  che  il  comune  d'Averara  debba  sot- 
tostare, per  la  vendita  del  tabacco,  alle  comuni  prescrizioni;  f.  71  b. 

LXU.  —  1730,  agosto  4.  —  Venezia. 

Il  doge  stesso  comanda  al  capitano  di  Bergamo  che  debba 
far  rispettare  dai  suoi  daziaiuoli  i  privilegi  del  comune  d'Averara; 
f  .  72  b. 

LXXIV.  —  J731»  maggio  io.  —  Venezia. 

Riconferma  delle  lettere  precedenti,  in  considerazione  anche 
d*una  sentenza  del  io  maggio  1731;  f.  87  A. 

LXIIl.  —  173 1\  gi^g*^o  7.  —   Venezia. 
Riconferma  come  sopra;  f.  75  a. 

LXIV.  —  173 Jj  luglio  3.  —  Bergamo. 

Il  capitano  di  Bergamo  ordina  che  siano  pienamente  osservate 
le  lettere  ducali  del  4  agosto  1730  (n.  LXII);  f.  75  ò. 

(i)  Cfr.  nn.  XLVIII,  XLIX,  L  e  LI. 


UN   CODICE 


LXV.  —  tlJii  luglio  i4-ip.  —  Bergamo. 

Si  dichiara  che  il  Comune  d'Averara,  e  per  esso  i  suoi  rappre- 
sentanti Giovanni  Cattaneo  e  Santo  Mariani,  ha  depositato  presso 
la  Camera  Fiscale  lire  306  e  soldi  io  per  il  dazio  nuovo  detto  Ma 
Cina  «  et  imposta  sopra  minuti  n;  il  qual  deposito  dovrà  esser  com- 
pensato al  comune  stesso  nell'aggravio  del  Campatico  in  forza  del 
decreto  precedente  [n,  LXIV);  f,  77  b. 

LXVl.  —  17JJ,  settembre  18.  —  Venezia. 

I  capi  del  Consiglio  dei  Dieci  raccomandano  al  capitano  dì 
Bergamo  l'osservanza  dei  privilegi  d'Averara  rispetto  ai  dazi; 
f.  78  b. 

LXXV.  —  '73Si  settembre  18.  —  Venezia. 
Ordine  come  sopra  del  doge  Carlo  Ruzzini;  f.  88  A. 

LXVII.  —  ilJi-  ottobre  j.  —  Bergamo- 

Francesco  Bonfadini,  podestà  di  Bergamo,  ordina  la  fedele  ese- 
cuzione delle  lettere  del  18  settembre  1733  (n.  LXVI);  f.  79  è- 

LXVIIl.  —  17J4/  giugno  j.  —   Venezia. 

11  doge  Ruzzini  comanda  al  vicecapitano  di  Bergamo  Antonio 
Savorniano,  che  addebiti  alla  Camera  la  contribuzione  dì  lire  104. 
pagata  da  Averara  per  la  •>  prestanza  del  Territorio   *  ;  f.  80  6. 

LXIX.  —  '7J9i  aprile  io.  —   Venezia, 

II  doge  Luigi  Pisani  diffida  il  capitano  e  vice-podestà  di  Ber- 
;jamo  Vincenzo  Gradonico  a  non  esigere  dai  comuni  d'Averara  e 
Valtorta  la  contribuzione  della  tassa  imposta  ìl  25  gennaio,  non 
appartenendo  essi  al  Territorio  Bergamasco;  f.  81  b. 


LXX.  —  1740,  aprile  ri. 


La  Valle  d'Averara,  allegando  l'esempio  della  Val  di   Scalve, 
impetra  l'esenzione  della  tassa  imposta  il  3  decembre  1739;  f.  82  a. 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI 


305 


LXXI.  —  1140,  maggio  i^,  —   Venezia, 

Lettere  ducali  al  capitano  di  Bergamo  Leonardo  Delphino  per 
avvisarlo  dell'esenzione  dalla  tassa  accordata  al  comune  d* Ave- 
rara;  f.  83  a  (cfr.  il  regesto  precedente  n,  LXX). 

LXXIL  —  1740,  giugno  18.  —  Venezia. 

Lettere  come  sopra  circa  il  rimborso  concesso  al  comune  d'A- 
verara  delle  spese  da  esso  sostenute  per  alloggi   militari;  f.  83  b. 

LXX  VI.  —  1740,  giugno  18.  —  Venezia. 
Lettere  come  le  precedenti  (n.  LXXII);  f.  89  b. 

LXXVU.  —  ^74S^  novembre  aj.  —  Venezia. 

U  doge  Felice  Grìmani  autorizza  il  vice-podestà  di  Bergamo 
Giovanni  Giuseppe  Gioanelli  a  rimborsare  al  comune  d'Averara 
lire  1484  pagate  dal  1740  in  poi  per  alloggi  militari,  condotte  e 
g^uardie  dì  sanità;  f.  90  b, 

Giuseppe  Riva. 


INDICE  ALFABETICO  DEI  NOMI 

DI   LUOGHI  E  PERSONE   CONTENUTI   NEI   REGESTI. 
(Si  cita  il  numero  dei  singoli  regesti) 


Abram  de  Zuane  (ser),  5. 

Adamo  Gobo  (ser),  5. 

AgneOo  Antonio,  tesoriere  gene- 
rale ed  esattore  del  Territorio 
Bergamasco,  40,  42. 

A&ricus  Michael  Scafvensis  civis  et 
notarius  Bergomensis  et  Brixien^ 

sis,  27. 
Alexandre  de  Zuane  (ser),  5. 
AlCobelIo  messer  Giovanni  d*Ave- 

rara,  36. 
Alvise  Gisi,  5. 
Alzano  Augostino,  aS, 


Ambrosoni  ser  Jacobo  d'Averara, 

27. 
Amigazzi  Giovanni  Battista,  44,  45. 
Antonio  da  Spin  (ser),  5. 
Antonio  ditto  Molena  (ser),  5. 
Antonio  dicto  Togni  (ser),  5, 
Aregazzolo  Alessandro,  55. 
Asoiario  (de)  Johannes  Baptista,  doc- 

tor,  IO. 
Assonica   Francesco,   cavaliere    e 

dottore,  31. 

AVERARA,  2,  6,  8,    IO,    II,   I3,    12,    I5, 
16,    17,    18,    19,   20,  27,   21,    22,   33, 


3p6 


UN  CODICE  SCONOSaUTO 


26,  24,  25,  35,  36,  29,  30,  37,  38, 

33.  39i  34»  32»  40»  42,  44»  45»  4^, 
56,  73»  47»  48.  49»  50,  51»  52»  55» 
53.  54»  57»  58»  59»  60,  61,  62,  74, 
63»  64,  65,  66,  75,  67,  68,  69,  70, 

71»  72,  76.  77- 
Averara  Thomaso,  45,  46. 

Baduario  Sebastiano,  podestà  di 
Bergamo,  9. 

Bagnati  Giacomo  Francesco,  av- 
vocato, 45- 

Balbi  Giovanni,  capitano  di  Ber- 
gamo, 55,  54. 

Barile  don  Pietro,  dottore,  46. 

Bartolomeo  Morexin  (ser),  5. 

Belavitibus  (de)  Caianeus,  io. 

Belegno  Carlo,  podestà  di  Ber- 
gamo, 47. 

Bembo  Giovanni,  doge  di  Venezia, 

33- 

BERGAMO,  I,  2,  4,  5,  6,  7,  8,  9,  IO, 
II,  13,  12,  14,  15,  16,  17,  18,  19, 
20,  27,  21,   22,  23,   26,   24,   25,    35. 

36,  28,  29,  30,  3^1  37»  38,  33»  39, 

34.  32»  40»  42,  41»  43»  44»  45>  4^» 
56,  73»  47.  48,  49»  50»  52,  55.  53» 
54»  57»  58,  59,  60,  61,  62,  74,  63, 
64,  65,  66,  75,  67,  68,  69,   71,  72^ 

76»  77. 

Bernardin  Guardabaso  (ser),  5. 

Bernardo  de  Bortoleto  (ser),  5. 

Bertolinì  Giacomo,  30. 

Bertolini  Marc'Antonio,  29,  30. 

Boldu  Benedetto,  provisore,  26. 

Bonfadini  Francesco,  podestà  di 
Bergamo,  67. 

Botagisi  (di)  Bernardino^  21,  22^ 
23.  25. 

Botegtsit's  (de)  Luchinus  de  Avera- 
ria,  2. 

Bottagisi  Andrea  d' Averara,  ao. 

Brembato  Achille,  conte  e  cava- 
liere, 28. 

BRESCIA,  27. 


Cainela  Zuane^  33. 

Calamita  M.  Antonio,  46. 

Caral  Jacomo^  24. 

CASELio  (de)  coniraia^  25. 

CASTRI  piciNi  comune,  6,  8. 

Cattaneo  don  Alessandro^  46. 

Cattaneo  Giovanni  Batt.,  52,  65. 

Chalaiapeira  (de)  Joannes  Antonius, 
vicepodestà  dì  Bergamo,  11. 

Chiusio  (de)  ser  Amòrosius,  21,  22. 

Cocco  Aloysio,  capitano  di  Ber- 
gamo, 32. 

Contarini  Domenico,  doge  di  Ve- 
nezia, 73. 

Contarini  Luigi,  doge   di  Venezia, 

48,  49»  50.  51- 

Contarini  Paolo,  capitano  di  Ber- 
gamo, 21. 

Contarini  Pietro,  capitano  di  Ber- 
gamo, 43. 

Cornelio  Barbaro,  capitano  di  Ber- 
gamo, 27. 

Cornelio  Giovanni,  doge  di  Ve- 
nezia, 39,  34,  57,  58. 

Corte  Francesco,  46. 

Curtoni  Giovanni  Pietro,  40. 

cusio  (de)  contrata,  23,  25. 

Dalla  Torre  Alphonso,  31. 

De'  Capitani    Davide,   18,    19^    ao, 

27/  36. 

Delphino  Leonardo,  capitano  e  pK>- 
destà  di  Bergamo,  57,  58,  71, 
72,  76. 

Diedo  Alvise,  camerlengo,  52. 

Diedo  Francesco,  dottore,  capitano 
di  Bergamo,  6,  7,  8. 

Donarello  Giovanni  Antonio^  46. 

Donati  Simon,  45,  46. 

Donato  Francesco,  doge  di  Vene- 
zia, 35. 

Donato  Nicolò,  podestà  di  Bergamo 

39- 
Donato    Paolo,    capitano    di     Ber- 
gamo, 59,  60,  61,  62,  74,    63,  64. 


DI   PRIVILEGI  BERGAMASCHI 


307 


Erìccio  Francesco,  doge  di  Vene- 
zia. 33^  41,  43. 

Fin  (de)  Giovanni  Maria,  dottore,  16. 

Foscari,  procuratore  generale  e 
provveditore,  34. 

Foscari  Francesco,  doge  di  Vene- 
zìa,  a. 

Foscarini  Luigi,  capo  dei  Dieci,  25, 

4^,49- 

Foscarini  Marc'Antonio,  podestà  di 
Bergamo,  14. 

Francesco  Bernardo,  capitano  di 
Bergamo,  35,  36. 

Fusculo  Francesco,  podestà  di  Ber- 
gamo, 55. 

Gauro  Giusto,  capitano  di  Bergamo, 
II. 

Gioanelli  Giovanni  Giuseppe,  vice- 
podestà di  Bergamo,  77. 

Gioia  Francesco  Salomone,  provi- 
sore, a6. 

Giorgio  Giovanni  Francesco,  po- 
destà di  Bergamo,  46. 

Girardo  Cagnolin  (ser),  5. 

Girardo  ditto  Cavalier  (ser),  5. 

Giustiniano  Lorenzo,  capitano  di 
Bergamo,  33. 

GocHiAM  {ultra),  29. 

Gradonico  Vincenzo,  capitano  e  vi- 
cepodestà di  Bergamo,  69. 

Grìm&ni  Felice,  vicepodestà  di  Ber- 
gamo, 77. 

Grimanì  Vitto r,  doge  di  Venezia,  16. 

Grimano  Giovanni,  podestà  di  Ber- 
gamo, 34. 

Grimano  Marino,  doge  di  Venezia, 

37,  38. 

Gritti  Andrea,   doge   di    Venezia, 

"r  14. 

Grumello  Giovanni,  conte  e  avvo- 
cato, 45. 

Gutgriftoniòus  (di)  JBfmardHs,  vica- 
rius  comunis  de  Averan'a,  27. 


Hieronimo  Michele,  podestà  di  Ber- 
gamo, 41. 

Hieronimus  Albertus,  capitano  di 
Bergamo,  37. 

Jacomo  Rosseto  (ser),  5. 

Landò  Pietro,  doge  di  Venezia^  21. 

Lanza  Marchior,  avvocato,  46. 

Lauredano  Ettore,  capitano  di  Ber- 
gamo, 14. 

Lazaroni  Bernardo,  33. 

Leoni  Paolo,  podestà  di  Bergamo, 
44. 

Locatello  Giovanni  Andrea,  45. 
Lorenzo  de  Girardo  (ser),  5. 
Lulmo  (de)  Antonius  quondam  Grot- 
ti, 2. 

Magni  don  Leonardo,  difensore  del- 
la Valle  di  Scalve,  50,  51. 

Mainetti  don  Simon,  46. 

Mallipiero  Francesco,  avvocato,  18, 
19. 

Mandello  Alvise,  40. 

Marcello  Antonio,  capitano  di  Ber- 
gamo, 20. 

Marcello  Francesco,  podestà  di  Ber- 
gamo, 6,  7,  a 

Marchesi  don  Alessandro,  avvo- 
cato, 46. 

Marchesini  Lattantio,  31. 

Mariani  Santo,  65. 

Martacin  Lorenzo  (ser),  5. 

Martin  de  Antonio  (ser),  5. 

Martin  Graseto  (ser),  5. 

MARTINENGO,  3I. 

Mauro  Bartolomeo,  capitano  di  Ber- 
gamo, 39. 

Mauro  Giovanni,  capitano  di  Ber- 
gamo, 9. 

Mauroceno  Domenico ,  cavaliere, 
provveditore  del  sale  a  Bergamo, 
35»  36. 


3o8 


UiN   CODICE   SCONOSCIUTO 


Mauroceno  Giovanni,  capo  dei  Die- 
ci, 4. 

Mauroceno  Marc* Antonio,  cavalie- 
re, capitano  di  Bergamo,  34. 

Mediolahi  archiepiscopus,  2. 

Melchior^  notarius  Venttiarum,  5. 

Merli  Pietro,  38. 

Michele  Giovanni,  capitano  di  Ber- 
gamo, 47. 

Minol  Bartolomeo,  16. 

Mocenigo  Luigi,  doge  di  Venezia, 
55>  54)  59»  60,  6i,  62,  74,  63,  64. 

Mocenigo  Pietro,  doge  di  Venezia,  6. 

Moioiis  (de)  Petrus  quondam  Ber- 
nardini, incaniator  daiii  panno* 
rum  Bergami^  arj. 

Molino  Francesco,  doge  di  Vene- 
zia, 44,  46. 

Murto  Pietro,  capitano  di  Bergamo, 
46. 

OLMO,  2,  29,  46.  Cfr.  UifHo  {de  t). 

Olmo  (d')  Bernardino,  29,  30. 

Olmo  (d')  Giovanni  Giacomo,  29, 3a 

Olmo  Valerio,  38. 

Padovani,  i. 

PALMA,  37,  38. 

Pellegrino  Vincendo,  avvocato  delle 

Valli  Bergamasche,  31. 
Perin  de  Bello  (ser),  5. 
Piero  de  Girard©  (ser),  5. 
Pino  Bondiol  (serX  5. 
Pisani  Luigi,  doge  di  Venezia,  69, 
Pisani  Vitto r,  capitano  di  Bergamo, 

57,58. 
Pisenti   Giovanni    Batl,    deputato 

delle  Arti  di  Bergamo,  46. 

mzziNo,  6,  7,  8,  15. 

PLATEA  ULTRA  GOCHIAM»  29. 
POLTRENGA,    12, 
IX>NTERANICA,   45,   46. 

PrioU  (de*)  Angelo   Maria,  pro\T- 

sore,  26, 
IVtolì  (de*>  Costantino,  {XKlestà  dì 

Bergamo»  35,  36. 


Priolo  Geronimo,  doge  di  Vene- 
zia, 31. 

Priolo  Lorenzo,  doge  di  Venezia, 
28. 

Rachinerio  Giovanni,  capitano  di 
Bergamo,  38. 

Regazzoni  Giuseppe   Antonio,  54. 

RIALTO  (Fontego  de)  in  Venezia,  5. 

Riva  Luigi,  capo  dei  Dieci,  25. 

ROMANO,  31. 

Ronchi  don  Giovanni,  46. 

Rossefus  JacobuSf  coadiuior  officii 
Biadorum  Venetiarum,  5. 

Rossi  Marc'Antonio,  46. 

Rovelli  Agnello,  40. 

Rusino  Marco,  provveditore  di  Ber- 
gamo, 73. 

Ruzzini  Carlo,  doge  di  Venezia,  75, 
67,  68. 

Sagredo  Nicolò,  doge  di  Venezia,  47. 

Salomone  Francesco,  capitano  di 
Bergamo,  41. 

Salomone  Zaccaria,  podestà  di  Ber- 
gamo, 48^  49. 

Salvagno  Pietro,  avvocato,  45. 

Salvioni  Viviani,  33. 

Sancto  Piligrino  (de)  Antoninus  die- 
ius  Casina^  io. 

SAN  MARCO  (Fontego  de)  in  Vene- 
zia, 5. 

Sanuto  Pietro,  pretore  di  Bergamo, 
26. 

Sartorino  Giulio  Cesare,  vice  ala- 
bardiere, 46. 

Savionibus  (de)  magisier  Amaro- 
xius  de  Talegio,  15. 

Saviomòus{dé)  Johannes  Amòfoxius 
et  Castro  Picèno,  7,  15. 

Savionibus  (de)  Johannes  Meeria,  10. 

Savomiano  Antonio,  vice  capitano 
di  Bergamo,  68. 

SCALVI,  6,  3,  II,  13,  12,  16,  18,  19, 

20.«  27,    26,   35,  36,  37,  38,   33,  32- 


DI   PRIVILEGI   BERGAMASCHI 


309 


44,    45,    46,  47,  48,  49,  50,  51,  53, 

ssDRUiA  (Ponte  di),  io. 

SQRISOLE,    16,  37,  45,  46. 

Superanzio   Giovanni   Luigi,  capo 
dei  Dieci,  25. 

T.\LEGGIO,    6,    8^    IO,    II,    13,    12,    15, 
16,    17,   18,    19,  20,  27,  26,    35,    36, 

37»  38,  33,  32,  44i  45,  4^,  73.  47, 

4S,  49,  50,  5h  55,  53,  54- 
Tkeo/alàis  (de)   Corinus^  datiarius 

pannorutn  Bergami  et  districtus, 

ao,  27. 

Tron  Nicolò,  podestà  di  Bergamo, 

43- 
Tron  Vincenzo,   capitano    di   Ber- 
gamo, IO. 

Ulfno  {de  r\  Antoniusqttondant  Crot' 

ii,  2. 
VUno  {de  F)  Mapheus,  15. 
URNiCA  (de)  contrata,  23^  25. 

Valaresso  Paolo,  podeàtà  di  Ber- 
gamo, IO. 

VAULE    BREMBANA,  2,    IO. 

VALLE    SASSINA,  2. 

VALTORTA,   45,   46,  48,  49,  50,  51,  55, 

53»  54,  69. 
Vendramin   Andrea,  doge   di  Ve- 
nezia, 6,  9. 


Venerio  Maffeo  Michele  Benedetto, 
capo  dei  Dieci,  4. 

VENEZIA,  I,  2,  3,  4,  5,  6,  8,  9,  II,  14, 
15,  16,  17,  18,  19,  21,  22,  [23],  24, 
25,  35,  28,  29,  30,  31,  37,  38,  33, 
39,  34,  32,  42,  41,  43,  44,  4^,  56, 

47,  48,  49,  50,  55/  53,  54,  59,  60, 
61,  62.  74,  63.  64,  66,  75,  67,  68, 
69,  71^  72,  76,  77. 

VERONA,  40. 

Veronesi^  i. 

Verniga  {de  là)  ser  Johannes,  21. 
Vicecomes  (dominus)  Medioians\  2. 
Vicominori  (de)  Joannes  Antonius, 

27. 
Vielmo  de  Piero  (ser),  5. 
Viscardi  Andrea,  31. 

Zaneto  de  Simon  (ser),  5. 

Zaneto  de  Zuane  (ser),  5. 

Zeno  Francesco,  podestà  di  Ber- 
gamo, 32. 

Zonio  {de)  Laureniius  dictus  Furie- 
tus,  exacior  intpense  reparationis 
pontis  Sedrine,  io. 

Zorzi  Alvise,  procuratore  di  San 
Marco  e  provveditore  generale 
nello  Stato  di  Terra  Ferma,  40. 

Zuan  detto  Mambrino  d'Averara, 
21,  22,  23. 

Zuan  ditto  Vechia  (ser),  5. 


GIANFRANCESCO  GONZAGA 

SIGNORE  DI  MANTOVA 
(1407-1420) 


STUDI  E  RICERCHE  (•)■ 


SANCESCO  Gonzaga  signore  di  Mantova,  usando  oppor- 
tunamente, secondo  i  tempi,  ora  il  valore  delle  anni, 
ora  la  destrezza  politica,  non  solo  era  uscito  calvo  e  cod 
onore  dalle  molte  guerre  e  pericolosissime  che  lo  avevano  per  piii 
anni  combattuto  e  tratto  &no  all'orlo  del  precipizio,  ma  ne  aveva 
anche  acquistato  aumento  di  territorio  e  di  potere  ;  e  stabilite  in 
pace  le  sue  cose,  amato  e  stimato  dal  suo  popolo,  era  tutto  intento 
a  guarire  le  molte  piaghe  aperte  nello  stato  dalle  guerre  sostenute, 
quando  un  improvviso  malore  lo  colse,  e  fra  il  compianto  di  tutti 
i  suoi  in  pochi  giorni  lo  trasse  al  sepolcro.  Morì  il  /  marzo  del  1407 
nel  pieno  vigore  di  tutta  la  sua  attività  hsica  e  intellettuale, 
rontando  appena  quarantadue  anni  di  età  (l).  Al  suo  cuore 
di  padre,  quando  si  accorse  che  per  lui  era  suonata  l'ultima  ora, 
dovette  egli  sentirsi  una  stretta  di  ambascia  inesprimibile,  nel 
pensare  in  quali  condizioni  di  luoghi  e  di  tempi  lasciava  l'unico 

|ui  in  principio  la  squisita  gen- 
deH'Archivio  Gonzaga,  il  quale 
icerche,  e  qualche    volta  anche 


di  Mantova,  cap.  LXXIX  in  Mu- 


SIGNORE   DI    MANTOVA  311 

&glio,  orfano  anche  deirassistenza  e  della  vigilanza  materna  (i). 
E'  vero  che  Mantova  usa  da  quasi  ottantanni  al  dominio  dei  Gon- 
zaga lo  tollerava  volontieri,  ma  non  era  ancora  entrata  nei 
costumi  della  città  la  successione  di  padre  in  figlio  per  diritto 
ereditario,  e  dal  ribollimejito  di  liberi  spiriti  che  fe^va  in  altre 
dttà  sorgevano  pel  Gonzaga  minaccie  paurose,  che  anche  per  le 
vie  di  Mantova  tornasse  a  ripercuotersi  l'antico  grido  di  libertà. 
E  fosse  pure  l'orfano  accettato  dal  popolo  per  signore,  non  era 
per  questo  assicurata  la  sua  sorte.  Uesempio  dei  figli  di  Gian 
Galeazzo  Visconti  doveva  presentarsi  al  pensiero  del  Gonzaga 
come  un  fantasma  pieno  di  spavento.  Gian  Galeazzo,  morto  pò-  /  V  ^  ' 
chi  anni  innanzi,  aveva  lasciato  per  custodia  dei  figli  la  ve- 
y«i,dova  loro  madre,  \m  forte  esercito,  e  valorosi  capitani  già 
*''.suoi  compagni  di  lotta  e  di  vittoria  in  cento  battaglie;  ep- 
^  *•  pure  le  sue  ceneri  erano  per  così  dire  ancor  calde,  e  già  da 
ogni  parte  dello  stato  le  città  soggette  insorgevano  a  ri- 
volta e  si  gridavano  indipendenti,  tornavano  ai  perduti  dominii 
i  Signori  vinti  e  scacciati,  e  i  suoi  fedeli  generali,  parte  si  leva- 
vano in  aperta  guerra  contro  gli  orfani  e  la  vedova,  parte  a  pre- 
mio di  loro  fedeltà  si  facevano  dichiarare  Signori  delle  terre  che 
avevano  in  custodia  o  che  riconquistavano  sui  traditori  :  e  così  gli 
orfani  erano  egualmente  spogliati  da  nemici  e  da  amici  ;  e  in- 
tanto la  città  capitale  e  tutto  lo  stato  si  divideva  in  due  fazioni 
arrabbiatissime,  le  quali,  riadottando  i  nomi  di  Guelfi  e  di  Ghi- 
bellini, rinnovavano  insieme  tutta  l'atrocità  degli  odi,  delle  per- 
secuzioni e  delle  stragi,  onde  quelle  maledette  due  fazioni  erano 
rimaste  tristamente  famose  (2). 

Senza  che  alcun  documento  lo  provi,  le  voci  stesse  della  na- 
tura umana  attestano  e  assicurano  che  siffatti  dovettero  essere  i 
pensieri  che  agitavano  Tultima  ora  del  morente^  Gonzaga.  Ma 
la  buona  fortuna  dell'orfanello  gli  teneva  pronto  tale  tutore  che 
meglio  non  avrebbe  potuto  desiderare  Era  quésti  Carlo  Mala- 

(i)  Margherita  Malatesta,  seconda  moglie  di  Francesco  Gonzaga, 
era  morta  l*  ultimo  di  febbraio  del  1399.  Il  suo  sarcofago  in  marmo 
trovasi  nella  cripta  di  S.  Andrea  nel  braccio  sinistro  in  luogo  assai 
poco  decente.  Era  prima  nella  Cappella  di  S.  Bernardino  nella  chiesa 
di  S.  Francesco. 

(2)  V.  CoRio,  Storia  di  MilànOy  e  tutti  gli  altri  storici  che  raccon- 
tano gli  avvenimenti  di  Lombardia  in  questi  tempi. 


312  gianfrancp:sco  Gonzaga 

testa,  signore  di  Rimini,  che,  fratello  alla  madre  del  fanciullo, 
aveva  in  moglie  una  sorella  del  padre  di  lui  ;  onde  l'orf anello 
veniva  ad  essergli  nipote  due  volte,  e  però  a  nessun  altro  più  che 
al  Malatesta  doveva  stare  a  cuore  la  salvezza  e  prosperità  di  Im  (i). 
Oltre  a  ciò  Carlo  era  un  uomo  da  tener  fede  al  suo  ufl&cio  sino 
allo  scrupolo,  perchè  fu  per  quel  secolo  esempio  unico  più  che 
raro  di  lealtà.  Poggio  Bracciolini,  storico  contemporaneo,  lo  disse 
egregio  nelle  arti  della  pace  e  della  guerra,  degno  di  essere  parago- 
nato agli  antichi  ;  e  il  Muratori  lo  dichiara  uno  dei  più  saggi  e  prodi 
signori  che  si  avesse  allora  Tltalia  (2).  Ed  era  di  tanta  religio- 
sità, non  solo  nell'intimo  sentimento  del  cuore,  ma  anche  nelle 
pubbliche  pratiche  della  vita,  che  ugnale  ai  nostri  tempi  appena 
si  potrebbe  credere  in  un  uomo  tutto  dato  al  mestiere  delle  armi 
come  era  lui. 

A  queste  diverse  ragioni  di  parentela,  di  carattere,  di  senti- 
mento religioso,  che  facevano  preziosa  pel  pupillo  la  tutela  di 
Carlo,  si  aggiungeva  la  speciale  simpatia  ed  affezione  che  ave- 
vano i  Mantovani  pel  Malatesta,  nella  memoria  e  nel  cuore  dei 
quali  era  sempre  presente  il  ricordo  di  quanto  egli  aveva  fatto 
per  loro  nel  1394.  In  quell'anno  il  Visconti,  respinti  da  ogni  parte 
i  Mantovani,  li  aveva  costretti  a  ripararsi  nella  città,  e  cinta  questa 
di  fortissimo  assedio  li  aveva  chiusi  siffattamente  che,  non  trovando 
da  nessuna  parte  né  modo  né  via  da  rifornirsi  di  viveri,  la  fame 
li  teneva  già  presi  alla  gola  per  forzarli  ad  arrendersi.  Fu 
Carlo  Malatesta  che  li  salvò,  il  quale  moltiplicandosi  in 
premure  e  sollecitudini  a  Firenze,  a  Bologna,  a  Ferrara,  a  Pa- 
dova, potè  raccogliere  aiuto  d'uomini  e  di  denaro,  e  messo  in- 
sieme buon  corpo  di  truppa  volò  al  soccorso  del  cognato  e  di 
Mantova,  spazzò  via  i  nemici  che  erano  corsi  a  contendergli  il 
passaggio  del  Po,  li  assalì  nelle  fortificazioni  stesse  dell'assedio, 
s'impadronì  del  loro  accampamento,  e,  fattine  prigioni  sei  mila 
a  piedi  e  due  mila  a  cavallo,  ricacciò  gli  altri  dispersi  sul  loro 
cammino  (3).  Che  se  la  tutela  di  Carlo  era  preziosa  sotto  l'aspetto 

(i)  La  moglie  di  Carlo  Malatesta  fu  Elisabetta  Gonzaga. 

(a)  Poggi I  Bracciolini,  Hist.  itb,  V  in  Muratori,  R>  L  S.,  p.  331. 
D  :  *  Fuit  Carolus  vir,  tum  belli,  tum  pacis  artibus  egregius,  et  priscis 
"  illis  niajorìbus  meo  judicio  comparandus  „.  Muratori,  Ann.  d'Italia^ 
ad  a.  1408. 

(3)  Platina,  Hist,  ManL  /io,  IT,  in  Muratori,  /?.  /.  S.,  p.  772.  E.; 
P.  Bracciolini,  liisL  cit,  lib.  HI.,  p.  275.  C. 


SIGNORE   DI    MANTOVA  313 

pditico,  anche  più  preziosa  per  Iteducazione  inorale  e  la  sorve- 
glianza del  fanciullo  riusciva  la  cooperazione  di  Elisabetta  'Gon- 
zaga, moglie  di  hii,  tanto  più  che  non  avendo  figli  era  naturale  che 
essa  riversasse  sul  nipote  tutta  l'affezione  e  la  tenerezza  del  suo 
cuore  materno. 

Francesco  adunque  morendo  chiamò  a  tutore  del  figlio  il  co- 
gnato Carlo  Malatesta  ;   e  insieme  con  lui  chiamò  pure  la  re- 
publica  di  Venezia  (i).  Egli  in  sua  vita  era  stato  un  prode  e 
fedele  soldato  della  republica,  e  fu  in  questo  pensiero  che  mo- 
rendo volle  affidata  anche  a  lei  la  custodia  del  suo  orfanello, 
nella  fiducia  che  la  memoria  dei  servigi   del    padre   parlerebbe 
presso  la  Serenissima  in  favore  del  pupillo.  Ma  probabilmente  an- 
cbt  un  altro  pensiero  di  avveduta  politica  si  era  presentato  alla 
sua  mente.  Mantova  era  tm  possesso  prezioso    in    quella    lotta 
accanita  che  si  combatteva  allora  fra  l'ambizione  della  Repu- 
blica e  l'ambizione  dei  duchi  di  Milano,  perchè  quale  dei  due 
avesse  in  mano  questa  città  fortissima  poteva  dire  di  avere  par- 
tita vinta.  Nello  sfacelo  dello  stato  dei  Visconti,  dalla  parte  di 
Milano  non  v'era  in  quel  momento  alcun  pericolo  ;   ma  l'acca- 
sdamento  dell'avversario  dava  troppo  propizia  occasione  a  Ve- 
nezia di  tentare  con  fortuna  un  colpo  su  Mantova  ;  ed  il  secolo 
che  correva,  pieno  di  soprusi  e  di  tradimenti,  come  nell'esempio 
altrui  poteva  facilmente  dar  esca  ai  desideri    della    Republica, 
così  facilmente  nella  comune  slealtà  e  perfidia  di  astuzie  e  di 
colpi  di  mano  avrebbe  perdonato  e  coperto  la  mala  azione  di 
^ma  disonesta  conquista. 

Francesco  riparò  al  pericolo  affidando  alla  stessa  Venezia, 
alla  sua  lealtà,  al  suo  onore  la  difesa  dell'orfano,  in  quel  modo 
che  i  popoli  e  i  re  degli  antichi  tempi,  veduta  l'invadente  ambi- 
zione dei  Romani  e  l'impossibilità  di  farvi  riparo,  col  pretesto 
di  salvarsi  da  altri  nemici  invocavano  la  loro  stessa  protezione  ; 
e  così  col  rimettersi  nella  loro  tutela,  assicurandoli  della  propria 

(1)  *  In  hoc  statu  rerum   Franciscus   anno  septimo  supra  quadrin- 

^  gentesimum  et  miUesimum  nonis  martiis  moritur,  relieto  Johanne  Fran- 

^  CISCO  impubere  adhuc,  utpote  qui  vix  duodecimum  attigerat  annum, 

in  Venetorum  ac  Malatestarum  tutelam,  quousque  adolevisset  „  ;  Pla- 

A,  p.  .^2  g  _  ^^  ^^.  jj  pjg^jjj^g^  ^j.j.j^   generalizzando   la  tutela  in 

*a  casa  dei  Malatestì,  mentre  gli  altri  storici,  e,  quello  che  è  più,  i 
^^ocumenti  la  restringono  al  solo  Cario. 

^•-c*.  Stor.  Lomb,,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXI V.  ai 


314  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

fedeltà  e  soggezione,  si  ponevano  al  riparo  dal  pericolo  di  averli 
nemici. 

Cosi  nella  sua  disgrazia  il  giovinetto  Gonzaga  si  presen- 
tava al  governo  di  Mantova  protetto  e  difeso  come  non  avrdìbe 
potuto  desiderare  di  meglio. 

Il  Malatesta,  che  era  a  Milano,  appena  ricevuto  l'avviso,  volò 
a  Mantova,  e  assunse  la  tutela  del  nipote. 

Francesco  Gonzaga  tre  anni  prima  di  sua  morte  aveva  fatto 
riformare  gli  statuti  della  città,  disponendo  le  cose  in  modo  che 
fosse  assicurata  nella  sua  casa  la  successione  ereditaria  al  governo 
di  Mantova  (i).  Ora  capitava  di  applicare  quelle  nuove  disposi- 
zioni per  la  prima  volta  ;  e  siccome  la  riforma  più  che  da  spon- 
tanea volontà  elei  cittadini  era  venuta  dall'influenza  che  Fran- 
cesco aveva  saputo  far  valere  sul  Consiglio  della  città;  cosi  il 
partito  dei  Gonzaga  non  era  senza  qualche  inquietudine  sull'ac- 
coglienza che  verrebbe  fatta  alla  presentazione  del  nuovo  signore 
nella  persona  del  giovinetto  Gianfrancesco.  E  infatti  si  levarono 
da  varie  parti  nel  Consiglio  più  o  meno  forti  opposizioni,  non  in 
nome  della  perduta  libertà,  ma  mettendo  avanti  la  troppo  tenera 
età  del  nuovo  principe  che  si  proponeva  eleggere,  i  pericoli  che 
minacciavano  Mantova,  la  necessità  di  affidare  a  mani  sicure  la 
tutela  publica.  Ma  la  morte  di  Francesco,  avvenuta  quasi  improv- 
visa e  fuori  d'ogni  aspettazione,  non  aveva  lasciato  tempo  agli 
2uiiatori  di  un  libero  governo  nella  città,  di  intendersi  fra  loro  e 
accordarsi  in  uno  sforzo  comune  :  cosi  quelle  opposizioni  non 
ebbero  che  carattere  individuale,  e  si  trovarono  a  dover  lot- 
tare contro  la  volontà  del  partito  Gonzaghesco  che  procedeva 
avanti  unito  e  compatto.  E  però  non  fu  difiicile  a  Donato  de'Preti, 
uomo  dotto  ed  assai  stimato  nella  città,  tutto  cosa  dei  Gonzaga, 
ribattere  le  ragioni  degli  oppositori,  e  persuadere  il  Consiglio  che 
valeva  assai  meglio  un  governo  per  successione  che  quello  per  ele- 
zione, e  che  nessun  pericolo  poteva  venire  dalla  tenera  età  di  Gian- 
francesco, dacché  la  Serenissima  di  Venezia  ne  aveva  la  tutela,  e 
un  Carlo  Malatesta  presiederebbe  al  governo,  finché  l'età  matura 
gli  permettesse  di  governare  da  sé  (2). 

(i)  Carlo  d*Arco,  Dei  Dowinaiori  Gonzaga  e  del  loro  governo^ 
Mantova,  V.  Guastalla,  1871,  v.  IV,  212;  Francesco  Tonelli,  Ricerche 
storiche  di  Mantova^  Mantova,  Pazzoni,  MDCCXCVII,  to.  I,  p.  274. 

(2)  M.   Equicola,    Istoria   di  Mantova,  lib.   Ili,   Mantova,  Osanna, 


SIGNORE    DI    MANTOVA  315 

Così  Gianfrancesco  senz'altra  formalità  fu  riconosciuto  per 
successore  del  padre  con  tutti  i  poteri  avuti  da  lui,  e  si  confermò 
definitivamente  nei  Gonzaga  il  diritto  di  successione  nel  dominio 
di  Mantova 

Della  facile  acquiescenza  dei  Mantovani  a  sanzionare  la  perdita 
della  loro  libertà,  qualche  scrittore  rimase  scandalizzato  e  la  notò 
col  nome  di  viltà  (i).  Ma  solo  che  vi  si  faccia  un  poco  atten- 
zione, si  vede  evidente  Terrore  di  questo  giudizio.  Nella  forma 
di  governo  non  vi  è  né  il  meglio  né  il  f)eggio.  Ogni  governo  é 
baono  quando  risponde  alle  condizioni  dei  tempi,  e  gente  saggia 
e  dabbene  lo  regge  ;  ogni  governo  é  cattivo  quando  va  a  ritroso 
dei  bisogni  del  popolo,  e  gente  senza  senno  o  malvagia  vi  sta  a 
capo.  Il  governo  a  popolo  era  stato  la  fortuna  d*  Italia  quando  nel 
secolo  XII  le  genti  italiane  riscosse  dal  lungo  letargo  del  Medio 
Evo  tornarono  a  riacquistare  il  senso  della  propria  dignità,  e 
accomunando  tutti  in  un  medesimo  intento  le  proprie  forze  riusci- 
rono a  dare  al  loro  paese  quel  complesso  meraviglioso  di  vigoria 
fisica  e  morale  che  furono  i  Comuni.  Ma  cessato  il  pericolo  e  rag- 
giunto rintento,  le  forze  unite  si  disgregarono,  Torgoglio,  l'ava- 
nzia,  la  prepotenza,  che  prima  erano  rimaste  assopite  nelTentusia- 
smo  della  comime  libertà,  si  risvegliarono  e  insorsero  feroci  da 
ogni  parte,  le  città  ne  furono  straziate,  e  si  combattè  e  si  mori, 
non  per  salvare  la  patria  o  la  libertà,  ma  per  decidere  quale 
dovesse  essere  il  tiranno  che  vi  stesse  sul  collo.  A'  tempi 
di  Gianfrancesco  le  tendenze  politiche  non  erano  a  far  ri- 
sorgere i  governi  popolari,  erano  invece  a  confermare  e  in- 
grandire i  Principati  ;  e  i  vani  sforzi  che  si  videro  fare  qua  e  là 
in  contrario  per  le  città  d'Italia  non  distruggono,  ma  confermano 
la  regola  Che  avrebbe  fatto  Mantova  della  sua  libertà  ?  Non  certo 
godutone  il  popolo.  Quando  mori  Tavolo  di  Gianfrancesco  non  gli 
fa  dato  per  successore  suo  figlio,  ma  la  città  riprese  nelle  sue  mani 
il  governo.  Ebbene,  dopo  sei  anni  il  popolo  tumultuando  domandò 

il  solito   Capitano,   preferendo    un    tiranno  solo    a    molti  (2). 

MDCX;  1.  DoNESMoNDi,  Istor,  eccies.  di  Mantova  \  Tonelli,  op.  e  l.  e, 
e  toni  in  genere  gli  storici  di  Mantova.  Donato  de'  Preti  era  "  legum 
•  docior  de  collegio  judicum  .  :  v.  Arch.  Gonz.  D.  IV.  11. 

CO  D*  Arco,  op.  cit,  voi.  IV,  p.  22. 

(2)  D*  Arco,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  18. 


3l6  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

Ne  avrebbero  sì  vantaggiato  i  nobili,  ma  non  per  goderne  da 
buoni  cittadini,  sì  per  avere  campo  libero  alle  loro  gare,  alle  ambi- 
zioni, alle  prepotenze.  Ogni  città  d*  Italia,  che  ne  fece  esperimento, 
può  stare  in  esempio.  E  codeste  lotte  e  discordie  fra  i  governanti 
della  città  avrebbero  portato  inevitabilmente  alla  perdita  della  sua 
indipendenza. 

La  republica  di  Venezia  e  i  duchi  di  Milano  agognavano  bra- 
mosamente il  possesso  di  Mantova,  e  ben  presto  nell'urto  dei  par- 
titi e  nelle  lotte  delle  private  ambizioni  e  avarizie  avrebbero  saputo 
trovare  la  via,  o  Tuna  o  Taltro,  di  mettervi  le  mani  sopra,  e  soddi- 
sfare la  lunga  fame  che  ne  avevano  avuto.  Per  Mantova  fu  una 
fortuna  di  essere  venuta  a  mano  di  una  famiglia,  ricca,  potente 
e  generosa,  come  i  Gonzaga,  la  quale  identifecando  il  publico  inte- 
resse col  proprio  riuscì  a  salvarne  per  lungo  tempo  rindipendenza 
e  procurarle  una  gloria  che  molte  città,  anche  assai  maggiori,  le 
possono  invidiare.  E  però  lungi  dal  credere  una  viltà  la  proposta 
del  De'Preti  e  l'assenso  del  Consiglio,  io  credo  che  in  ragione  dei 
tempi  l'uno  e  Taltro  prendessero  il  provvedimento  che  meglio  ri- 
spondeva ai  bisogni  della  patria. 

Il  riconoscimento  di  Gianf  rancesco  Gonzaga  a  signore  di  Man- 
tova avvenne  il  20  marzo  1407,  qttando  egli  non  aveva  ancora  com- 
piuto il  suo  dodicesimo  anno  (i). 


(i)  L'età  precisa  di  Gianfrancesco  si  ha  dalla  seguente  inscrizione, 
che  si  vuole  murata  nella  torre  delForologio  a  ricordo  del  titolo  che  gli  fu 
dato  di  marchese.  —  **  A  di  16  augusto  1328  virilmente  se  fece  Signore 

*  de  Mantova  el  magnifico  messer  Alois  de  Gonzaga,  atavo  del  illustre 
"  signor  Giovan  Francesco  de  Gonzaga,  il  quale  sucedette  nella  Signo- 
**  ria  adi  9  marzo  1407  in  la  etade  de  anni  11,  mesi  nove,  giorni  nove, 

*  quale  adi  22  di  septembre  1433  el  serenissimo  Imperadore  Sigismon- 

*  do  quarto  con  le  soe  mane  e  bocha  creò  e  fece  marchese  de  Mantova 

*  sopra  un  trionfante  tribunale  su  la  piazza  de  s.  Pietro  de  Mantoa.  « 
Dalla  Raccolta  ms.  d'Inscrizioni,  fatta  dai  fratelli  Coddè,  che  si  conserva 
nella  Biblioteca  comunale  di  Mantova. 

Ma  nella  trascrizione  di  questa  lapide  è  incorso  certamente  errore 
là  dove  si  dice  che  Gianfrancesco  succedette  il  9  marzo  al  padre.  Pro- 
babilmente in  quel  punto  la  lapide  era  corrosa,  ed  il  trascrittore  cre- 
dette dover  leggere  9  dove  realmente  era  scritto  20,  errore  assai  facile 
specialmente  se  la  data,  com'è  probabile,  era  messa  in  numeri  ro- 
mani (XX-IX).  La  data  precisa  e  indubitabile  l'abbiamo  dal  Gridario  ma- 
noscritto  di  Gianfrancesco,   ossia  dal   Registro,   incominciato   a  nuovo 


SIGNORE   DI    MANTOVA  317 

Venezia  accettò  rincarico  affidatole  e  mandò  a  Mantova  a  rap- 
presentarla nel  governo  Franzi  Foscari,  e  a  custodia  della  città  Gi- 
rolamo Contarini  con  150  lande  (i).  Ognuno  però  intende  che 
lopera  di  Venezia  in  questa  tutela  era  più  nominale  che  effettiva  ; 
e  che  in  realtà  tutto  il  peso  di  essa  verme  a  gravare  sul  Malatesta. 
Ma  dell'opera  di  lui  a  favore  del  minorerme  non  ci  è  dato  che  ar- 
gomentare dalla  saldezza  e  sicurezza  con  cui  si  stabiliva  in  Man- 

'  " '  li 
tova  il  governo  di  quel  fanciullo,  perchè  nell'incendio,  avvenuto 

pochi  anni  dopo,  del  publico  Archivio,  andarono  perdute  molte 
carte  di  quel  tempo  ;  molte  altre  ne  lasciò  poi  smarrire  l'incuria  o 
l'ignoranza  dei  tempi  seguenti. 

'Fra  le  poche  potutesi  salvare  viene  prima  la  seguente  grida, 
con  cui  si  apre  il  gridario  del  nuovo  governo,  e  che  certo  dovette 
sonare  assai  lieta  all'orecchio  dei  cittadini,  come  promessa  degli 
onesti  propositi  con  cui  si  presentava  loro  la  tutela  del  Malatesta. 
Porta  la  data  del  24  marzo  e  dice  cosi  :   t  Per  che  la  intentione 

•  del  magnifico  et  excelso  nostro  signore  messer  Johanne  Fran- 

•  òsco  de  Gonzaga  segnore  de  Mantova  etc.  etc.  è  che  le  gratie 
t  le  quale  luy  intende  de  fare  siano  libere  e  gratiose  e  senza  al- 

•  cuno  premio  over  tributo,  per  tanto  se  fa  crida  e  mcUiifesto.... 
€  Chel  non  sia  alcuna  persona  la  quale  olsi  ni  presumi  dare 
€  ni  promettere  alcuna  cossa  per  obtenire  alcuna  gratia  dal  pre- 

•  fato  nostro  signore  sotto  pena  :  prima  de  perdere  la  obtenta 
€  gratia,  etc.  »  E  qui  seguono  le  pene  fissate  tanto  per  chi  offre  o 
promette  denaro  od  altro  regalo  per  ottener  grazie  come  per  chi 
l'accetta.  E  si  armunziano  i  premi,  secondo  l'uso  dei  tempi,  per  chi 
avviserà  o  denunzierà  i  colpevoli. 

Segue  seconda  a  due  giorni  di  distanza  una  grida  con  cui  si 
concede  la  grazia  del  ritomo  in  patria  a  chi  aveva  dovuto  allon- 
tanarsene per  condanna  subita  da  un  armo  indietro,  trarrne  che  fosse 
di  tradimento  e  di  ribellione,  ma  se  v'era  darmo  di  terzi  occorreva 
il  perdono  degli  offesi.  Ai  debitori  si  concedeva  libero  ritomo  per 


appositamente  per  lui,  nel  quale  si  scriveva  ogni  sua  grida,  o  pubblico 
bando,  man  mano  che  si  facevano,  il  quale  principia  :  **  a  die  dominico 

•  vigesìmo  mensis  marcii....  qua  die  prelibatus  magn.  dominus  habuit  do- 

•  minium  et  capitaneatum....  Mantue  „.  Arch.  Gonz.  F.  I.  3. 

(i)  Marin   Sanuto,   Stor,    Ven,   in  Muratori,   /?,   /.    S.,   to.  XVII, 
e.  837  B. 


3l8  G[ANFRANCESCO  GONZAGA 

un  certo  tempo,  perchè  potessero  tentare  un  componimento  od  ac- 
cordo coi  creditori  (i). 

Fra  le  altre  poche  cose  potute  racimolare  nel  buio  di  questi 
anni  una  ricorda  la  premura  del  Malatesta,  subito  nei  primi  mesi 
della  sua  tutela,  per  assicurare  lo  stato  del  pupillo  negli  aiuti  e 
nell'assistenza  di  una  forte  alleanza.  V'era  lega  tra  Venezia,  Pan- 
dolfo  Malatesta  signore  di  Brescia,  e  Nicolò  d'Este,  marchese  di 
Ferrara,  per  la  reciproca  difesa,  chi  di  una  parte,  chi  di  tutto  il 
proprio  stato.  Nell'agosto  del  1407  vi  fu  accolto  anche  il  Gonzaga 
per  tutto  quanto  il  suo  territorio  dì  qua  e  dì  là  dal  Po  (2). 

Merita  uno  speciale  ricordo  anche  il  decreto  in  data  18  ottobre 
di  quel  medesimo  anno,  col  quale  si  ordina  al  giudice  del  banco 
dei  dazi  di  provvedere  assolutamente  e  presto,  che  vengano  pagate 
3  Francesco  da  Parma,  direttore  delle  scuole  di  Mantova,  le  somme 
che  ì  suoi  debitori  sono  tenuti  a  sborsargli  come  sua  mercede  per  la 
direzione  delle  scuole  (3).  Sarebbe  molto  interessante  poter  co- 
noscere la  natura  di  questi  debiti,  e  vedere  quali  relazioni  aves- 
sero con  la  scuola  ;  ma  dalle  poche  parole  del  decreto  non  è 
possibile  formarsi  un'idea  chiara.  Io  ho  supposto  che  codesti  de- 
bitori fossero  padri  di  fanciulli  mandati  a  scuola,  i  quali  doves- 
sero sostenere  le  spese  necessarie  pel  mantenimento  dell'istruzione 
o  per  lo  meno  concorrervi  :  e  perchè  forse  essi  curavano  poco  que- 
st'obbligo,  interviene  il  governo  a  richiamarli  al  loro  dovere. 

La  lega  ricordata  piìi  sopra  mirava  in  genere  ai  bisogni  di 
questo  o  di  quello  stato,  e  preparava  gli  opportuni  aiuti  per  le  ira- 
previdibili  eventualità  del  futuro.  Nuova  lega  fu  stretta  qui  in 
Mantova  nel  maggio  dell'anno  seguente  1408,  col  particolare  in- 
tento di  mettersi  al  sicuro  dall'invadente  audacia  e  impudente 
prepotenza  di  Ottobono  Terzi  tiranno  di  Parma.  Vi  entravano  il 
Gonzaga,  Giovanni  Maria  Visconti  duca  di  Milano,  Nicolò  d'Esle 

di    che  pei   debitori  le  leggi  di    allora   tenevano    pronta 

me  del  Gonzaga  fu  stipulata  a  Venezia  il  5  agosto  del 
isensu  et  aucloritate  suorum  tutorum  te  sta  menta  rio  rum 
fslalis  Manlue.  ,  Arch.  Gonzaga  B.  XXVI.  È  notevole 
del  podestà  di  Mantova,  perche  mostra  come  era  an- 
lulorità  del  principe. 

a  quDScumque  suos  debitores occasione  merceciis  sue 

i  scolaniin.  ,  Arch.  Gonz.  F.  II.  io.  —  V.  app.  n.  i. 


SIGNORE   DI    MANTOVA  319 

marchese  di  Ferrara,  Pandolfo  Malatesta,  e  Cabrino  Fondulo  si- 
gnore di  Cremona  (i).  Ottobono,  con  le  sue  frequenti  incursioni 
nelle  terre  dei  coniinanti,  e  coi  saccheggi,  incendi  e  stragi  che  vi 
faceva  commettere,  aveva  ripiene  di  spavento  quelle  popolazioni, 
e  i  governi  non  avevano  riparo  contro  di  lui,  perchè  uomo  di  nes- 
suna fede,  e  perchè  astutissimo  a  trovar  pretesti  di  discolpa  river- 
sava sugli  offesi  oltre  il  danno  e  le  beffe  anche  la  colpa.  NelTAr- 
chivio  Gonzaga  v*è  una  lettera  di  Gianfrancesco  a  Ottobono,  la 
quale  si  riferisce  evidentemente  al  sistema,  che  aveva  quel  tiranno, 
di  accusare  gli  altri  per  difendere  qualche  prepotenza  che  aveva 
già  fatto  o  che  aveva  in  mente  di  fare.  La  lettera  in  data  3  settembre 
1408  è  una  dignitosa  ma  forte  risposta  ad  altra  che  il  Terzi  aveva 
scrìtta  al  Gonzaga,  accusandolo  di  mancare  a  non  so  quali  promes- 
se ;  e,  a  quanto  pare,  oltrepassando  ogni  misura  nella  sconvenienza  e 
villania,  lo  aveva  anche  chiamato  fanciullo  (2). 

La  guerra  contro  Ottobono  terminò  come  terminavano  non 
raramente  le  guerre  di  allora,  cioè  con  un  tradimento  e  un  as- 
sassinio. Il  19  giugno  del  1409  le  truppe  degli  alleati  die- 
dero una  rotta  ad  un  corpo  di  gente  di  Ottobono,  per  la 
quale  le  sue  cose  cominciarono  a  piegar  male  ;  ond'egli 
domandò  un  abboccamento  all'  Estense  per  trovar  modo  di 
venire  ad  un  accordo,  com'egli  diceva,  o  per  g^dagnar  tempo 
a  nuove  insidie  ed  inganni,  come  la  perfidia  del  suo  carattere  fa 
sospettare.  Ma  mentre  i  due  stavano  discorrendo  insieme  nelle  vi- 
cinanze di  Rubiera,  imo  del  seguito  del  Marchese,  forse  a  sfogo 
di  privata  vendetta  per  ingiurie  patite,  con  una  stoccata  nella 
schiena  stese  Ottobono  morto  a  terra.  Nessuno  si  curò  di  punir 
l'assassmo,  nessuno  di  assicurarsi  chi  fosse  :  un  solo  pensiero  fu 
dì  tutti,  godere  di  quella  morte  comunque  fosse  avvenuta.  Era  tanto 
l'odio  che  il  Terzi  aveva  saputo  accumulare  sul  suo  capo, che  quando 
il  suo  cadavere  fu  portato  a  ludibrio  nella  vicina  Modena,  il  popolo 
a  furia  gli  si  gettò  sopra,  lo  fece  a  brani,  e  ne  attaccò  i  pezzi  san- 
guinanti alle  porte  della  città,  e,  se  la  fama  è  vera,  v'ebbe  perfino 
chi  per  eccesso  d'odio  bestiale  mangiò  delle  sue  carni  (3).  Con  la 

(i)  Arch.  Gonz.  B.  XXVI,  ;  I.  De  Delayto,  Annales  Estenses  in 
Muratori,  R,  L  S.,  to.  XVIII,  e.  1054  E. 

(2)  Arch.  Gonz   F.  II.  7.  —  V.  app,  N.  2. 

(3)  ■  Non  defuerunt  plurimi  qui  et  dentibus  et  ferris  discerpentes 
«  carne  ac  intestinis  illius  detestabilis  cadaveris  manducaverint.  „  De- 
UYTo,  op.  cit,  e.  1065  C. 


1 


320  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

morte  di  lui  cadde  in  is  faceto  lo  stato  ch'egli  si  ^ra  composto,  e  le 
sue  spoglie  andarono  divise  fra  gli  alleati.  A  Mantova  toccò  la 
grossa  terra  di  Bozzolo  (i).  Veramente  il  Nardi,  cronista  contem- 
p«>raneo  e  testimonio  a  quei  fatti^  mette  l'acquisto  di  Bozzolo  ai- 
ranno  corrente  1408,  e  non  al  1409,  quando  avvenne  la  morte  di 
vOttobono  (2).  Ma  v'è  HK>do  di  mettere  d'accordo  i  due  racconti» 
supponendo  (e  credo  che  la  supposizione  colga  direttamente 
nel  vero),  che  Bozzolo,  stanca  della  tirannia  di  Oftobono, 
appena  fu  conosciuta  con  certezza  la  lega  formatasi  in  Mantova 
nel  1408  contro  di  lui,  senza  aspettar  altro  gli  si  sollevasse  contro^ 
e  si  desse  spontaneamente  al  Gonzaga  :  quando  poi  l'anno  ap- 
presso si  venne  alla  divisione  delle  spoglie,  fosse  dagli  alleati  con- 
fermato a  Mantova  il  suo  possesso.  Cosi  il  Nardi,  testimonio  agli 
avvenimenti,  riferirebbe  il  suo  racconto  al  possesso  di  fatto  ;  il  Pla- 
tina, che  lavorava  sui  documenti,  si  riporterebbe  al  possesso  di  di- 
ritto. 

Dello  stesso  anno  1408,  si  è  salvata  un'altra  lettera  di  Gian- 
f  rancesco,  la  quale  di  per  sé  non  avrebbe  aknm  valore,  ma  l'acqui- 
sta dalla  mancanza  in  cui  siamo  di  altre  notizie  sulla  tutela  di 
Carlo  Malatesta,  perchè  ci  mostra  con  quanta  lealtà  e  zelo  egli  di- 
simpegnasse i  suoi  doveri  di  tutore.  Il  castello  di  Piubega 
parte  era  soggetto  al  Gonzaga,  parte  a  Pandolfo  Malatesta 
come  signore  di  Brescia,  Pandolfo  era  fratello  di  Carlo  tu- 
tore di  Gianfrancesco.  Nella  sua  condizione  del  doppio  do- 
minio quel  castello  aveva  dato  luogo  a  contestazioni  e  pratiche 
anche  al  tempo  del  morto  signore  di  Mantova.  In  quest'anno  Pan- 
dolfo tornò  di  nuovo  su  codesta  quistione  e  scrisse  al  Gonzaga 
chiedendo  facesse  demolire  il  castello  che  aveva  a  Piubega.  Vuoisi 
qui  notare  che  i  due  Malatesta  si  amavano  di  affetto  veramente 
fraterno,  e  in  tutte  cose  procedevano  fra  loro  di  pieno  accordo,  e 
in  ogni  occasione  l'uno  favoriva  le  cose  dell'altro  come  le  prop>rie 
Ma  in  codesta  quistione  del  Gonzaga  Carlo  dimenticò  il  fratello  e 
solo  si  ricordò  dei  diritti  del  suo  pupillo  ;  e  Gianfrancesco  rispose 

(i)  *  Mortuo  Othone   [Ottobono   Terzi] lohannes   Franciscus 

"  biennio  post  acceptam   ditìonem Bozolum  agri   Creraonensis  oppi- 

"  dum  sese  sponte  dedens  recepit.  ,  Platina,  op.  lib.  V,  p.  796  C.   D. 

(2)  "  Secundo  anno  [MCCCCVUI]  Johannes  Franciscus....  territori ì 
*  Cremonensis  castrum  nomine  Bozolum  acquisivit  ,  ;  Neru,  Chron,  in 
Muratori,  /?.  L  S.,  to.  XXIV,  p.  1082  C. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  32 1 

a  Pandolfo  che  sentito  il  parere  dello  zio  Carlo,  f^rebb^  abbattere 
il  castello  di  Piubega  quando  da  Pandolfo  fossero  soddisfatte  le 
tali  e  tali  condizioni  (i). 

L'anno  seguente  1409  ci  presenta  un  piccolo  attritp  con  l'altro 
dei  tutori,  la  Republica  di  Venezia.  Il  largo  uso  che  si  faceva  al- 
lora della  navigazione  nei  fiumi  del  Mantovano,  non  tanto  pei  be- 
nefid  commerciali  come  per  ragione  di  guerra,  rendeva  più  che 
necessario  tenere  esercitata  la  gioventù  negli  esercizi  della  naviga- 
zione ed  eccitarne  con  premi  lo  zelo  e  l'ardire.  A  questo  hne  nel  1409 
Gianfrancesco  indisse  una  regata  sul  lago  di  Garda,  invitandovi 
PW"  maggiore  solennità  e  più  forte  stimolo  di  emulazione  anche  i 
rematori  dei  luoghi  vicini.  Ma  Venezia,  che  vegliava  sempre  gelo- 
sissima sulle  sue  cose,  vfde  in  quella  regata  non  tanto  un  diverti- 
mento e  un  esercizio  quanto  una  dimostrazione  che  voleva  far 
Mantova,  per  provare  col  fatto  il  diritto  che  pretendeva  avere  sul 
lago  per  possedervi  sulle  sue  rive  il  forte  di  Peschiera.  E  però,  ap- 
pena conosciuta  la  cosa,  il  Doge  scrisse  subito,  e  ricordando  i  pre- 
cedenti accordi  presi  col  padre  del  vivente  Gonzaga,  proibì  assolu- 
tamente la  regata  (2). 

Intanto  Gianfrancesco  entrava  nel  suo  sedicesimo  armo,  età 
per  quei  tempi  più  che  sufficiente  in  un  principe  a  prender  moglie. 
La  sposa,  come  allora  si  usava,  era  già  stata  scelta  dal  padre  suo, 
quando  Gianfrancesco  era  ancora  di  tenera  età,  ed  erano  stati  fis- 
sati tutti  i  termini  del  contratto  matrimoniale  (3).  Essa,  come  la 
madre  di  Gianfrancesco  veniva  dalla  casa  Malatesta,  allora  delle 
più  gloriose  che  avesse  l'Italia,  sicché  con  lei  s'imparentavano  le 
famiglie  principesche  d'Italia  e  di  fuori  (4).  Questa  casa  divi- 
devasi  in  due  rami,  quello  di  Rimipi,  che  er^  il  principale,  e 
quello  di  Pesaro.  Appartenevano  ai  primo  ramo  Carlo,  il  tutore  del 
Gonzaga,  al  quale  come  a  primogenito  era  rimasta  la  signoria  di 
Rimini  ;  Pandolfo,  signore  di  Fano,  e  in  appresso  anche  di  Brescia  ; 
e  Malatesta,  signore  di  Cesena.  Chiamavasi  di  nome  proprio  Ma- 


(i)  Arch.  Gonz.  F.  II.  7.  —  V.  app.  n.  3. 

(2)  Vedi  la  lettera  in  app.  n.  4. 

(3)  Lo  vedremo  nell' Istromento  dotale. 

(4)  Ricordo  ad  esempio  per  lltalia  i  Visconti  di  Milano  ;  per  fuori 
la  casa  imperiale  dì  Costantinopoli,  dove  pochi  anni  dopo  entrò  una 
sorella  della  moglie  di  Gianfrancesco. 


latesta  anche  il  capo  del  secondo  ramo,  ed  era  signore  di  Pesaro 
e  di  Fossombrone  (i). 

Tanto  i  tre  fratelli  di  Rimini,  come  il  Malatesta  dì  Pesaro, erano 
celebrati  uomini  di  guerra,  chiamati  or  da  uno  stato  or  da  un  altro 
a  comandare  i  loro  eserciti  e  condurre  le  loro  guerre.  Nell'anno  in 
cui  avvenne  il  matrimonio  del  Gonzaga,  il  Malatesta  di  Pesaro 
comandava  le  truppe  della  republica  Fiorentina  e  de'  suoi  confe- 
derati nella  guerra  contro  Ladislao  re  di  Napoli  (2).  La  fan- 
ciulla scelta  a  sposa  di  Gianfrancesco  era  figlia  di  questo  Mala- 
testa  e  di  Elisabetta  Varano  dei  signori  di  Camerino  (3).  Chia- 
mavasi  Paola  Agnese,  ed  era  presso  a  poco  dell'età  dello  sposo  (4). 

Nessuna  memoria  abbiamo  dei  primi  anni  di  Paolzi,  ma  guar- 
dando alla  famiglia  in  cui  crebbe  e  all'educazione  in  uso  a  quei 
tempi  tra  le  fanciulle  della  sua  condizione  in  Italia,  è  molto  facile 
intendere  come  passar  dovesse  la  sua  fanciullezza.  Nelle  classi  più 
elevate  l'educazione  della  dorma  era  allora  messa  alla  pari  con 
quella  dell'uomo  :  nulla  quindi  di  quelle  delicatezze  e  morbidezze 
di  sentimenti  e  di  modi,  che  3  noi  sembrano  più  convenienti  e  con- 
facenti all'indole  e  al  carattere  della  donna  ;  ma  costanza,  fer- 
mezza, coraggio,  tutte  le  virtù  che  meglio  nobilitano  il  carattere 
dell'uomo  ;  donde  il  vanto  maggiore  che  più  frequentemente  si 
trova  ripetuto  per  le  grandi  donne  italiane  di  quel  tempo  sì  è  di 
avere  mente  ed  animo  veramente  virili  (5).  E  molte  ve  n'ebbe 
Basta  ricordare  la  Cia  degli  Ordelaffi  per  intendere  a  quale  virilità 

(1)  Il  ramo   di  Pesaro    si  era   staccato  da  quello  di  Rimiai  pel  te- 
stamento di  Malatesta  Guastafa miglia  nel  1364.  Dal  detto  Malatesta  era 
venuto  Pandolfo,  chiamato  dal  padre  alla  Simona  di  Pesaro,  da  Pan- 
dolfo  nacque  Malatesta  iuniore,  padre  della  sposa  destinata  al  Gonzaga, 
(a)  BRAcaoLiNi,  op.  e  1.  e,  lib.  IV,  p.  314  A. 

{3)  Che  la  moglie  del  Malatesta  di  Pesaro  fosse  Elisabetta  da  Vs' 
rano  è  messo  fuori  di  dubbio  dall'istromento  di  nozze  della  loro  figlia 
col  Gonzaga. 

(4)  L'isinimento  di  rinunzia  per  parte  di  Paola  alla  eredità  di  Casa 
Malatesta.  quando  andò  a  marito,  dice  che  essa  era  '  major  quatorde- 
*  cim  annorum,  minor  vigìntì  quinque  ,  ;  ma  questa  era  forma  legale  in 
fa  che  segnare  i  punti  estremi  fra 
■e  r  età  del  contraente.  Tutte  le  cre- 
ano a  dare  a  Paola  l'età  di  t6  anni. 
rf*/  stcoto  dil  rinascimenlo  in  Italie, 
II,  p.  168. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  323 

di  sentimenti  e  di  carattere  era  allora  educata  la  donna  delle  classi 
più  elevate  E  come  si  voleva  nei  figli  un'istruzione  classica,  pro- 
fonda ed  estesa  quanto  fosse  possibile,  così  egualmente  nelle  figlie, 
le  quali  perciò  dovevano  frequentare  le  medesime  lezioni,  udire 
senza  differenza  alcuna  i  medesimi  maestri  dei  loro  fratelli.  E 
quanto  anche  le  fanciulle  sapessero  approfittare  di  questa  istru- 
zione e  levarvi  nome  e  fama,  senza  cercarne  altrove  gli  esempì,  ne 
abbiamo  nella  casa  stessa  del  Malatesta  di  Pesaro.  Battista  di 
Montefeltro,  moglie  a  Galeazzo  fratello  di  Paola,  recitò  orazioni 
latine  all'imperatore  Sigismondo  ed  al  papa  Martino  V,  insegnò 
filosofia,  e  ne  disputò  con  celebrati  maestri.  Costanza  Varano,  figlia 
a  una  sorella  di  Paola,  di  soli  quattordici  anni  pronunciò  un  di- 
scorso latino  a  Bianca  Maria  Sforza,  e  n'ebbe  tanti  applausi  ed 
elogi  da  tutta  l'Italia,  che  ottenne  a'  suoi  di  essere  reintegrati  nella 
perduta  signoria  di  Camerino  (i).  E  lo  stesso  Malatesta,  padre  di 
Paola,  spendeva  i  pochi  riposi  che  gli  lasciavano  le  fatiche  delle 
armi  e  delle  guerre,  nelle  amenità  delle  lettere,  come  fanno  fede 
anche  oggi  parecchie  sue  poesie  messe  alle  stampe,  le  quali  gli 
hanno  guadagnato  non  infimo  posto  fra  i  verseggiatori  di  quel  se- 
colo (2).  Donde  non  può  esser  dubbio  che,  se  v'era  uomo  il  quale 
e  per  fermezza  di  carattere  è  per  gentile  culto  alle  Muse  volesse  nelle 
%lie  piena    ed    intera   l'educazione   che    portavano  l'uso  e  la 
moda,  quell'uomo  doveva  essere  appunto   Malatesta   dei    Mala- 
testi  di  Pesaro.  E  della  riuscita  che  vi  fece  Paola,  senza  prevenire 
1  tempi,  mi  basta  per  ora  ricordare  che  essa  fu  annoverata  fra  le 
grandi  donne  di  quel  secolo,  e  fra  le  loro  vite,  scritte  e  stampate 
ad  esempio  e  ricordo  della  posterità,  si  trova  pure  la  sua  (3). 

Forse  a  taluno  parrà  soverchia  cura  la  mia,  ma  e  per  la  verità 
della  storia  e  per  quello  che  si  dovrà  dire  in  seguito  di  Paola, 
io  credo  di  dover  notare  di  lei  anche  questo,  che  la  sua  educa- 
zione fu  inspirata  a  principi  profondamente  religiosi.  Per  esserne 
convinti,  senza  ricorrere  alla  testimonianza  costante  di  pietà  che 
essa  diede  per  tuta  la  sua  vita,  basta  guardare  quello  che  fu  in 

(i)  Cantù,  Storia  della  leileratura  italiana,  Firenze,  1865,  p.  124. 

(2)  V.  E.  Lamma,   Rime  inedite  di  Malatesta  de' Malatesti  in  Ateneo 
Veneto,  serie  18»,  voi.  I,  Venezia,  1894,  P-  3- 

(3)  V.  Vespasiano   da  Bisxica,   Notizie  di  alcune  illustri  donne  del 
secolo  XV,  in  Archivio  Storico  Italiano,  serie  I,  to.  IV,  p.  1,  p.  444. 


324  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

punto  di  religione  il  padre  di  lei,  per  intendere  con  quanta  solle- 
citudine egli  dovesse  curare  nei  figli,  non  solo  il  sentimento  in- 
temo della  religiosità,  ma  anche  la  pratica  esteriore  degli  atti 
religiosi  (i).  , 

Deireducazione  ed  istruzione  di  Gianfrancesco  non  ho  tro- 
vato altra  memoria  che  questa,  ch'egli  ebbe  a  maestro  un  Masio 
de'  Malici  di  Borgo  S.  Sepolcro.  Ma  Tuso  del  secolo  ed  il  se- 
guito della  sua  vita  attestano  di  lui  pure  la  forte  educazione  che 
ebb^,  e  un'istruzione  quale  i  tempi  volevano  in  un  giovane  del  suo 
nome  e  della  sua  qualità  (2). 

Gianfrancesco  partì  da  Mantova  per  andare  a  tor  moglie 
sulla  fine  di  luglio  del  1409,  lasciando  qui  al  governo  come  suo 
luogotenente  con  pieni  poteri  il  conte  Carlo  Albertini  da 
Prato  (3).  Il  Diario  Ferrarese  fa  ricordo  del  suo  passaggio  per 
quella  città,  notando  che  vi  si  fermò  tre  giorni  —  «  e  poi  an- 
<  dette  in  Romagna  molto  bene  in  punto  con  una  bella  compa- 
«  gnia  a  sposare  una  figliola  de'  Malatesti  1  (4). 

Il  22  agosto  1409  fu  stipulato  in  Pesaro  l'atto  col  quale  Paola 
rinunziava  per  sé  e  suoi  discendenti  a  tutti  i  diritti  che  avrebbero 
potuto  venirle  alla  successione  patema  e  materna,  ed  anche  a 
quella  dei  fratelli  e  delle  sorelle,  a  compenso  della  dote  che  le 
veniva  assegnata  pel  suo  matrimonio  col  Gonzaga.  La  dote  fu 
fissata  in  cinquemila  fiorini  d'oro,  oltre  un  corredo  conveniente  al 
suo  grado  ed  alla  sua  casa  (5).  Subito  dopo  firmato  l'istrumento 


(i)  Fra  le  poesìe  del  Malatesta  ve  n'ha  parecchie  di  sacro  argo- 
mento e  da  tutte  traspira  un  sentimento  di  religione  veramente  e  pro- 
fondamente sentita  nel  cuore.  Vedi  fra  le  altre  la  Canzone,  che  in  ogni 
sua  strofa  comincia  col  versetto  biblico  Domine,  exaudi  oraiionem.  E 
confermò  la  verità  di  questo  suo  sentimento  nelle  disposizioni  testa- 
mentarie che  lasciò  per  la  sepoltura  del  suo  corpo  e  pel  suffragio  del- 
l'anima. Più  avanti,  se  tant'oltre  arriverà  il  mio  lavoro,  vedremo  una 
curiosa  lettera  di  argomento  religioso,  che  il  Mala(esta  scriveva  a  Paola 
da  Roma  il  io  decembre  1423. 

(2)  Di  questo  Malici  non  mi  è  riuscito  trovar  nulla  né  qui  né  al- 
trove. A  lode  di  lui  e  deiraffettuosa  riconoscenza  che  seppe  meritarsi 
dal  suo  allievo,  riporto  in  Appendice  un  decreto  di  donazione  di  al* 
cune  terre  che  gli  fece  il  Gonzaga,  V.  append.  n.  5. 

(3)  Arch.  Gonz.,  Lib.  Statut.  lib.  XIII,  V.  append.  n.  6. 

(4)  In  Muratori,  /?.  /.  S.,  XXIV,  p.  174  C. 

(5)  V.  il  relativo  strumento  in  append.  n.  7. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  225 

di  rinunzia  e  l'assegnazione  della  dote,  il  corteggio  nuziale  si  avviò 
verso  la  cattedrale  per  celebrarvi  il  matrimonio.  La  data  dello 
sposalizio  è  riferita  dalla  stessa  Paola  in  una  lettera  allo  Sceva 
suo  Incaricato  a  Pesaro,  quando  anni  dopo  nacquero  contestazioni 
sulla  riniuizia  ch'ella  aveva  fatto  ad  ogni  possibile  eredità  di  casa 
Malatesta.*  Nui  fossem'o  sposata  adi  XXII  de  agosto  1409  et  quella 
€  propria  matina  ne  feceno  renunziare  prima,  et  immediate  doppo 
€  quello  atto  fossemo  conducte  al  domo,  dove  foe  contracto  el 
€  nostro  sposalezo  »  (i). 

Dove  andassero  gli  sposi  dopo  celebrato  il  matrimonio  non 
apparisce  da  nessuna  parte:  certo  a  Mantova  non  vennero  che 
nel  germaio  dell'anno  seguente.  Il  6  di  quel  mese  il  Gonzaga  da- 
tava da  Mantova  un  decreto,  con  cui  ordinava  che  i  tribunali  re- 
stassero chiusi  dal  giorno  8  a  tutto  il  20  per  le  solenni  feste  da 
farsi  in  quei  giorni  a  celebrare  le  sue  nozze  (2).  Gianfrancesco 
aveva  preceduto  la  sposa,  ma  che  egli  pure  per  tutti  quei  mesi  fosse 
rimasto  fuori  con  la  moglie  si  desume  chiaramente  dal  libro  dei 
decreti,  dove  nell'anno  1409  l'ultimo  Decreto  emanato  diretta- 
mente da  lui  è  del  17  lue^lio  :  dopo  quel  giorno  tutti  i  decreti 
onanano  in  suo  nome  dal  conte  Carlo  Albertini  da  Prato,  suo 
luogotenente,  fino  al  6  gennaio  del  141  o,  nel  quale  ricomparisce 
direttamente  Gianfrancesco  col  detto  decreto  sui  tribunali  per  fe- 
st^giare  le  proprie  nozze  (3). 

Come  è  facile  immaginarsi  codeste  feste  furono  solennizzate 
colla  pompa  che  si  addiceva  al  nome  e  alla  potenza  degli  sposi, 
secondo  che  volevano  i  tempi.  V'intervennero  principi  da  ogni 
parte  dell'Emilia.  Nicolò  d'Este,  marchese  di  Ferrara,  i  Legati 

(i)  Arch.  Gonz.  F.  II.  7,  Minute  di  Cancelleria. 

(a)  "  Mandatum   mag.   lohannis   Francisci   de   Gonzaga....   propter 

*  solerones  festivitates  nuptiarum  celebrandarum  per  prelibatum  excel- 

*  suro  dom.  in  sua  civitate.  —  Non  reddatur  etc...  a  die  mercurii  octava 

*  raensis  januarii   inclusiva  millesimo  quatrocentesimo  decimo....  usque 

*  ad  diera  vigesimam  quintam  dicti  mensis  januarii  inclusive.  „  VI  ja- 
nuarii MCCCCX.  Dal  Registro  dei  Decreti^  lib.  I.  (F.  II.  io). 

Poco  dopo  nello  stesso  libro  s'incontra  un  decreto  di  grazia  ai 
carcerati,  *  contemplatione  festivi tatum  nupttarum  ad  adventum  magni- 
■  fice  et  excelse  domine  Paule  ejus  consortis  ad  maritum.  „ 

(3)  Che  Gianfrancesco  precedesse  la  sposa  è  chiaro  dalle  parole 
del  decreto  di  grazia  qui  sopra  citato  :  "  adventus....  domine  Paule....  ad 
maritum.  . 


326  GIANFRANCESCX)   GONZAGA 

delle  republiche  di  Toscana,  gli  ambasciatori  di  Venezia  (i).  I 
regali  fatti  alla  sposa  furono  molti  e  di  molto  valore  p>er  quel 
tempo.  Il  Cronista  veneto  nota  che  gli  ambasciatori  della  Repu- 
blica  —  «  presentarono  gioielli  alla  novizza  per  valuta  di  ducati 
«  mille  e  vesti  in  fronde  di  fregi  d'oro,  foderate  di  vaio  per  gran 
«  valuta  1  (2).  Conservasi  nell'archivio  Gonzaga  la  nota  di  tutti 
gli  altri  regali  e  di  chi  li  fece,  ed  io  la  riporterò  in  appendice  (3). 

Qui  a  proposito  di  questi  regali  ricordo  di  passaggio  Elisabetta 
Gonzaga,  moglie  di  Carlo  Malatesta  e  zia  di  Gianfrancesco,  di 
cui  già  sopra  toccai.  Non  è  meraviglia  che  in  tanta  scarsezza  di 
documenti  il  nome  di  lei  s'incontri  ricordato  appena  una  volta, 
ma  quell'unica  volta  ce  la  presenta  appunto  come  una  madre  che 
guidi  la  sposa  a  riconoscere  il  suo  nuovo  dominio.  Poco  dopo 
l'arrivo  di  Paola  in  Mantova  furono  fatti  gl'inventari  in  casa 
Gonzaga  di  tutte  le  gioie,  vesti,  arazzi,  ecc.,  che  la  casa  possedeva, 
facendone  la  consegna  alla  nuova  padrona.  In  questa  lunga  ras- 
segna Paola  è  sempre  accompagnata  dalla  «  Signora  di  Ri- 
mini 1  (4). 

Tra  i  festeggiamenti  per  quelle  nozze  è  pur  ricordata  una  gio- 
stra corsa  da  42  cavalieri.  Il  fatto  di  per  sé  non  avrebbe  nessuna 
speciale  importanza,  perchè  di  siffatti  divertimenti  allora  se  ne 
aveva  spesso  e  con  grande  sfoggio  di  armi  e  di  vesti  :  ma  questo 
di  Mantova  avrebbe  una  singolarità  tutta  sua.  U  Equicola 
raccoglie  dagli  antichi  scrittori  la  notizia  «.  che  in  quella 
«  festa  la  casa  Gonzaga  annoverò  quarantadue  uomini  atti  a  por- 
«  tare  arme,  e  virilmente  adoprarle  i.E  questo  può  essere  benissimo. 
1 /adulazione  degli  scrittori  che  vennero  poi  allargò  la  cosa,  e  li 
fece  scendere  in  campo  tutti  quarantadue  per  onorare  le  nozze 
del  capo  della  casa  (5). 

Nell'archivio  Gonzaga  v'è  un  istrumento  notarile  originale  in 
data  23  aprile  14 io,  il  quale  dice  come  quel  giorno  m  una  sala 
del  palazzo  del  Gonzaga,  alla  presenza  di  Carlo  Malatesta  e  di 

(i)  Platina,  op.  cit.,  lib.  V,  p.  797  A. 

(2)  Marin  Sanuto,  op.  cit.,  p,  846  B. 

(3)  V.  append.  n,  8. 

(4)  Arch.  Gonz.  D.  XII,  6. 

(5)  V.  Equicola,  op.  cit.,  p.  138;  j4nt.  Possevini  junioris,  Gon- 
zagae,  lib.  V.  Mantuae,  Osanna,  M.DC.XVII,  p.  497;  Volta,  lib.  VII, 
p.  94. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  327 

Malatesta  suo  fratello,  signor  di  Cesena,  a  nome  di  Malatesta  di 
Pesaro  e  per  persona  da  lui  incaricata,  fu  sborsata  nelle  mani  di 
Gianfrancesco  la  somma  di  ducati  cinquemila  a  saldo  della  dote 
pattuita  per  Paola  ;  e  che  in  quella  occasione  il  Gonzaga,  quan- 
tunque fosse  maritato  già  da  più  mesi,  rinnovò  «  ad  cautelam  » 
la  cerimonia  dello  sposalizio  (i).  Uistrumento  è  redatto  con 
scrupolosa  esattezza  secondo  tutte  le  forme  legali  del  tempo,  e 
sono  indicati  come  testimoni  i  personaggi  più  distinti  che  avesse 
allora  la  città,  fra  gli  altri  il  cronista  Antonio  Merli  ;  ma  è  la- 
sciato in  bianco  il  nome  della  persona  che  da  parte  del  Malatesta 
sborsava  la  somma.  Che  vuol  dir  ciò  ?  Io  credo  che  la  spiegazione  sia 
questa.  Nel  ristrumento  di  nozze  fatto  a  Pesaro  fu  fissata  la  somma 
della  dote  di  Paola,  ma  non  pagata  :  infatti  vi  si  dice  «  danda 
€  et  consignanda  i.  Dev'essersi  quindi  stabilito  per  reciproco  ac- 
cordo, o  allora  o  più  tardi,  che  la  dote  si  sarebbe  sborsata  in  Man- 
tova il  23  aprile  ;  e  il  notaio  mantovano  ebbe  incarico  di  prepa- 
rare ristrumento  con  l'indicazione  di  tutte  le  persone  che  si  sareb- 
bero trovate  presenti  all'atto.  Ed  egli  lo  preparò  lasciando  in 
hnanco  il  nome  della  persona  che  da  parte  del  Malatesta  avrebbe 
fatto  lo  sborso,  perchè  non  si  sapeva  ancora  chi  fosse.  Ma  il  Ma- 
latesta non  riixscì  a  mettere  insieme  il  denaro,  e  l'istrumento  che  il 
notaio  aveva  preparato  rimase  nella  forma  in  cui  era  stato  com- 
posto, senza  il  nome  di  colui,  che  doveva  fare  lo  sborso  (2). 
Che  ristnmiento  non  abbia  avuto  la  sua  formale  conclusione  è 
provato  anche  da  un'altra  lacuna,  che  s'incontra  nella  paternità 
di  un  tal  Francesco  Gonzaga,  parente  del  principe,  dato  con  altri 
Gonzaga  come  presente  alla  stipulazigne  dell'istrumento. 

E  non  deve  far  meraviglia  che  Malatesta  di  Pesaro  mancasse 
al  pagamento  pattuito,  perchè  le  condizioni  finanziarie  della  sua 
casa  erano  deplorabilissime,  come  vedremo  a  suo  luogo.  E  che 
non  riuscisse  mai  in  sua  vita  a  soddisfare  al  debito  è  provato  dal 
testamento  che  fece  12  anni  più  tardi,  poco  prima  di  morire,  il 


(i)  •  Quam    quidem   mag.  dom.   Paulam  Agnetem,  licet   alias   de- 

*  sponsatam....  iterato  ad  cautelam  prelibatus  mag.  d.  d.  Johannes  Frati- 

*  ciscus  de  Gonzaga  in  presentia  supradictorum  testium  meique  notarli 

*  infrascripti    desponsavit  et  in  suam    legitimam  uxorem  et  consortem 

*  accepit.  „ 

(2)  V.  append.  n.  9. 


3a8  G1ANFRANCE5C0  GONZAGA 

4  aprile  1422,  nel  quale  impone  ai  figli  di  pagare  a  Paola  ■  jure 

■  institutionis  ■  la  sua  dote  (1). 


II. 

Qui  s'apre  una  larga  lacuna,  cEe  dall'aprile  1410  va  sino  al 
decembre  del  141 1.  Tacciono  i  documenti,  tecdono  le  memorie 
stampate. 

Riempio  questa  lacuna  con  alcune  osservazioni  sugli  storici 
mantovani  che  hanno  raccontato  le  vicende  di  questi  tempL  Sono 
stato  molto  incerto  se  dovessi  farlo  o  no,  perchè  facilmente  le 
mìe  parole  potrebbero  suonare  presuntuose.  Ma  ha  prevalso  nel 
mio  giudizio  la  considerazione  obbiettiva  della  cosa,  perchè  troppe 
cose  io  dico  diverse  da  quelle  che  gli  storici  mantovani  hanno 
detto  di  questi  tempi,  troppe  ne  taccio  di  quelle  raccontate  da 
loro  ;  e  chi  confronti  la  loro  narrazione  colla  mia  ha  diritto  di 
conoscere  il  perchè  di  questa  differenza.  Dirò  dunque  francamente 
che  gli  storici  di  quel  periodo  hanno  lavorato  tutti  di  fan- 
tasia, e  che  è  così  forte  in  essi  il  sentimento  di  male  inteso  amor 
patrio  che  qualunque  notizia,  purché  tomi  ad  onore  dei  Gon- 
zaga e  di  Mantova,  essi  l'accolgono,  l'abbelliscono,  l'esagerano. 
E  si  copian  l'un  l'altro  senza  alcuna  osservazione,  anzi  spesso  pre- 
cisano meglio  le  circostanze  del  racconto  dì  altri,  e  ne  aggiungono 
anche  delle  nuove.  H  non  solo  accade  che  quanto  essi  dicono  è 
in  opposizione  a  quello  che  narrano  le  cronache  contemporanee 
di  altre  città  ;  ma  si  dà  pure  il  caso  di  vederlo  apertamente  sbu- 
giardato dai  documenti  stessi,  visibili  a  chicchessia,  dell'archivio 
Gonzaga.  Nessuno  sospetti  esagerazione  nelle  mie  parole,  perchè 
ho  pronte  le  prove  a  convincere  il  lettore  che  esse  rispondono  alla 
verità.  Udite  come  uno  di  quegli  storici  racconta  il  matrimonio 
di  Gianfrancesco  con  Paola,  e  fate  conto  di  udire  con  poche  dif- 
ferenze il  racconto  di  tutti  gli  altri. 


(i)  *  Item    relinquo  jure   instituiioms  supradicte    Paule  fìlie  mee, 

nnmmif-    milia     Hiii-atni    niiri     quOS    8    IHC     habuìt     prO   dotibuS    SUÌS    pFO 

Iter  ipsam  et  magn.  dom.  prefatum  doir. 
lonzaga.  Item  relinquo  eidem  dicto  jure 
et  in  predìctis  ipsam  heredem  instituo.  . 


SIGNORE   DI   MANTOVA  329 

«  Gianfrancesco,  egli  dice,  tolse  in  moglie  Paola  Malatesta 
figlia  di  Pandolfo  signore  di  Brescia.  La  dote  ch'essa  gli  recò 
fu  degna  Jun  re,  poiché  il  padre  diede  al  Gonzaga  alarne  terre 
e  castella  del  territorio  bresciano,  altre  si  obligò  per  iscritto  di 
dare  in  seguito.  E  questo  matrimonio  era  stato  preparato  da 
Margarita  madre  di  Gianfrancesco,  per  affetto  al  figlio  e  alla 
nipote,  appunto  afhnchè  tante  terre  e  castella  non  uscissero  di 
casa  Malatesta  e  venissero  a  mano  d'altri.  La  fanciulla  venne 
da  Brescia  a  Mantova  con  pomposo  corteggio,  e  l'onore  di  ac- 
compagnarla l'ebbe  Oprandino  Arrivabene  con  altri  di  sua 
gente,  i  quali,  presi  dall'amenità  di  Mantova  e  alla  amorevolezza 
dei  Gonzaga,  lasciarono  la  loro  nativa  Brescia  e  vennero  a  sta- 
bilirsi in  questa  città.  »  (i). 
Ora  i  docimienti  del  matrimonio  di  Gianfrancesco  che  si  tro- 
vano nell'archivio  Gonzaga  ci  hamio  detto  poco  fa  che  Paola  era 
figlia  del  Malatesta  di  Pesaro,  e  non  di  quello  di  Brescia.  Lo 
stesso  Archivio  fa  vedere  in  parecchi  luoghi  che  gli  Arrivabene 
erano  in  Mantova  prima  che  Gianfrancesco  sposasse  Paola,  e  tene- 
vano nella  casa  del  principe  onorevolissimo  luogo.  11  decreto 
di  luogotenenza  pel  conte  da  Prato  che  fece  il  Gonzaga  prims^  di 
partire  da  Mantova  per  andare  a  prendere  la  Malatesta,  è  scritto 
di  mano  di  Cristoforo  Arrivabene  suo  secretario  (2).  Un  altro 
secretario  del  Gonzaga  a  questo  tempo  era  Venturmo  Arriva- 
bene (3).  Si  aggiunga  che  il  Malatesta  di  Brescia  ebbe  figli  ma- 
schi non  legittimi,  nessuna  figlia  né  legittima  né  naturale  (4). 

(i)  "  Haec  eadem  tempora  salutem  Mantuanis  tulere,  accepta  a 
'  lohanne  Francisco  in  matrimonium  Paula  Malatesta,  Pandolphi,  qui 
'  tum  Brixianis  imperabat^  fili  a,  Caroli  nepti.  Dos  regìam  magnificen- 
'  tiam  aemulata  est.   Quippe   oppida  Brìxiani  agri,    Gonzagis  in  prae- 

*  sentem  habita,   pater  aut  mansura  tradidit,  aut  possessa  in  futurum 

*  scripto  fìrmavit.  Celebres  quoque  nuptias  nobiles  exteri,  moxque  in- 

*  ter  cives   recepti,  Arrivabeni  reddidere.  Nam   cum  Principis    filiam 
■  Brìxia  adventantem   Parens  pomposo  comitatu  deduci  cuperet,  non 

*  alios  potiores    credidit,  quibus  puellam   commendaret.    Oprandinus 

*  magno  munere  funccus  est^  et  alii  e  gente  additi,  qui  Mantuae  amaeni- 

*  tate....  simul   comitale  lohannìs  Francisci  substitere.  „  Possevino,  op. 
e  L  cit. 

(2)  V.  append.  n.  6. 

(3)  Arch.  Gonz.  Lib.  dei  Decreti  F.  IL  io. 

(4)  V.  LiTTA,  Famiglie  illustri  d'Italia^  Malatesta  di  Rimini,  Tav.  XII. 

Arch.  Stor,  Lomb,,  Anno  XXTX,  Fate.  XXXIV.  23 


330  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

Quanto  poi  alla  ricca  dote  degna  d'un  re  abbiam  veduto  che  si 
riduceva  a  cinquemila  ducati  ;  e  Paola  per  averla  dovette  rinun- 
ciare per  sé  e  per  i  figli  da  lei  nascituri  a  qualunque  diritto  pre- 
sente e  futuro  per  qualsiasi  eredità  tanto  di  parte  patema  che  ma^ 
tema  ;  ed  erano  già  passati  dodici  anni  dal  suo  matrimonio  e  la 
dote  non  era  ancora  stata  pagata!  Tanto  quegli  storici  amarono 
la  fatica  di  spolverare  le  carte  antiche  e  ricercarvi  la  verità  dei 
loro  racconti!  (i). 

Sicché  sotto  l'aspetto  finanziario  il  matrimonio  con  Paola  fu 

un  magro  affare.  E  se  il  Gonzaga  efcbe  ragione  a  chiamarsene 
fortunato,  fu  per  le  doti  morali  e  intellettuali  della  donna,  non 
per  altro. 

Ma  per  togliere  al  lettore  ogni  sospetto  di  esagerazione  nel 
mio  giudizio  sugli  storici  mantovani  è  necessaria  anche  un'altra 
prova.  Quella  del  matrimonio  di  Paola  gli  ha  mostrato  che  essi 
non  si  diedero  alcun  pensiero  di  consultare  le  carte  di  quei  tempi 
per  rintracciarvi  la  verità  sulle  cose  che  dovevano  raccontare  :  or 
bisogna  anche  vedere  come  in  mancanza  di  documenti  il  loro  rac- 
conto regga  all'esame  della  critica  e  come  vada  d'accordo  con 
quanto  si  trova  scritto  dagli  storici  contemporanei  ai  fattL 

Udite  che  cosa  raccontano  del  giovinetto  Gonzaga  all'anno 
141 3  :  «  Papa  Giovanni  XXIII  venendo  a  Mantova  fu  preso  di 
e  tanta  ammirazione  per  l'ingegno   e   la   gpiandezza   d'animo  di 


(i)  Quanto  alla  confusione  nel  nome  dei  Malatesti  giustizia  vuole 
ohe  io  noti  come  questo  difetto  fu  comune  anche  ai  contemporanei. 
Cito  ad  esempio  il  Bonincontri.  Narrando  la  guerra  dei  Veneziani  con- 
tro r  imperatore  Sigismondo,  nella  quale  pei  Veneti  era  generale  in 
capo  il  Maiatesta  tutore  del  Gonzaga,  a  breve  distanza,  nello  stesso 
racconto  prima  lo  dice  "  Carolum  Malatestam  Pisauri  dominum  „;poi: 
"  Carolum  Malatestam  Cesenae  dominum  „  e  appresso  :  "  Carolum  Mala- 
"  testam  Arimini  dominum  ,  ;  Bonincontri  Annales  in  Muratori,  R.  I.  S., 
XXI.  p.  105  C,  106  B,  136A.  E  non  è  meraviglia,  perchè  erano  tutti  più 
o  meno  celebrati  uomini  di  guerra,  e  nelle  guerre  d'allora  da  ogni 
parte  veniva  fuori  il  nome  Maiatesta;  facilissimo  quindi  scambiarli  l'uno 
per  l'altro.  A  crescere  la  difficoltà  di  distinguerli  si  aggiungeva  che 
non  solo  avevano  comune  il  cognome,  ma  alcuni  anche  portavano  il 
medesimo  nome.  Così  chiamavansi  di  nome  proprio  Maiatesta,  tanto  il 
Signore  di  Pesaro,  che  quello  dì  Cesena  ;  e  da  qui  a  pochi  anni,  vivo 
ancora  il  vecchio  Carlo  Maiatesta  tutore  del  Gonzaga,  dirigerà  la  bai- 
tagha  di  Maclodio  il  giovane  Carlo  Maiatesta  fratello  di  Paola. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  33I 

t  Gianfrancesco,  che  lo  elesse  a  generale  delle  sue  truppe  per  la 
t  difesa  di  Bologna,  mettendogli  a  fianco  Francesco  da  Prato, 
«  uomo  esperto  nelle  cose  di  guerra...  Gianfrancesco  adunque  andò 
€  con  gnin  numero  di  fanteria  e  cavalleria  a  Bologna,  vi  sostenne 
t  con  l'aiuto  dei  cittadini  alcune  gravi  battaglie  coi  nemici,  li 

•  vinse  e  con  gran  vigore  difese  la  città,  Neirìnvemo  seguente 
€  venuto  il  Pontefice  a  Mantova  per  andare  al  congresso  di  Lodi 
€  con  Sigismondo,  menò  seco  il  giovinetto  Gonzaga  con  gran  parte 
€  delle  sue  truppe  ;  perchè  molto  confidava  in  lui  avendone  ben 

•  conosciuto  l'integrità  e  la  fede  nella  guerra  di  Bologna,  nella 

•  quale  egli  aveva  resistito  alle  molte  sollecitazioni  e  ai  doni  del 

•  Malatesta  che  lo  invitava  a  passare  nelle  parti  del  re  Ladislao. 

•  E  come  re  Sigismondo  scendendo  dalle  Alpi  per  venire  al  con- 
€  gresso  di  Lodi  doveva  passare  per  luoghi  non  troppo  sicuri  in 

•  causa  dei  molti  tiranni,  che  vi  dominavano  ;  il  Papa  gli  mandò 
«  incontro  con  alcune  schiere  lo  stesso  Gonzaga,  perchè  con  tutta 

•  sicurezza  lo  conducesse  a  Lodi.  Ma  né  Re,  né  Papa  si  credevano 
€  sicuri  neppure  in  questa  città,  e  però  mandarono  a  Mantova  il 

•  Gonzaga  a  preparare  loro  quanto  fosse  necessario.  Ed  egli 
€  venne,  preparò  in  breve  tempo  tutto  l'occorrente,  poi  corse  a  Cre- 
«  mona,  dove  Papa  e  Re  si  erano  trasferiti,  e  levatili  di  là  li  con- 
I  dusse  alla  sua  Mantova  »  (i).  Tutti  gli  storici  mantovani  ri- 
petono la  gloria  di  questo  generalato  del  giovinetto  Gonzaga  (2). 


(1)  "  Is  [Giovanni  XXIII]  Mantuam  iter  faciens  ingenium  et  ma- 
gnitudinem  animi  lohannis  Francisci  admiratus,  adolescentem  copiarum 
suarum  ducem  delegit,  Francisco  Prato  adjuvante,  qui  multis  ante 
annis  ordines  ductaverat  Johannes  Franciscus  cum  magno  peditum 
atque  equitum  numero,  mandato  Pontifìcis  Bononiam  in  praesidium 
urbis,  quam  Malatesta  Ariminensis  Ladislai  Regis  mercenarius  gravi 
bello  vexabat,  proficiscitur.  Ibi,  adiuvantibus  civibus,  gravia  aliquot 
praelia  cum  hostibus  fecit,  quibus  et  superior  factus  et  civitatem 
acerrime  tutatus  est.  Sequenti  hieme  [lohannes  XXIII]  Bononiam 
atque  inde  Mantuam  contendens  magnìfìce  ac  splendide  a  lohanne 
Francisco  hospitio  suscipitur  ;  quem  inde  haud  ita  multo  post  abiens, 
cura  magna  copiarum  parte  Laudam  Pompeiam,  quo  venturum  re- 
gem  Hungariae  sciebat,  secum  duxit.  Multum  enim  buie  Principi 
fidebat,  cujus  integritatem  et  fidem  Bononiensi  bello  optime  norat, 
cura  sollicitationibus  et  donis  in  partes  regias  a  Malatesta  sollicitare- 
tur.  „;  Platina,  op.  cit.,  lib.  V,  p.  797  C. 

(2)  Valga   per  tutti  il  Volta,   Storia   di  Mapi/ova,   lib.  VII,   p.  95; 


3S2  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

Solo  il  conte  d'Arco  la  mette  in  dubbio,  non  trovando  documenti 
che  la  provino  (i). 

Vedremo  in  seguito  a  che  si  riduce  questa  celebrata  impresa 
militare  di  Gianf  rancesco  :  per  ora,  come  prova  di  critica  storica 
in  chi  la  racconta,  bastino  queste  osservazioni;  —  i.  Che  allora 
ferveva  lotta  accanita  fra  Giovanni  XXIII  e  Gregorio  XII  ;  — 
2.  Che  la  difesa  di  Bologna  era  per  Giovanni  XXIII  d'interesse 
supremo  per  il  prestigio  del  suo  nome  nella  lotta  che  combatteva  ; 
—  3.  Che  questo  Papa  a  giudizio  di  tutti  gli  storici  tu  t  più  sol- 
«  dato  che  prete  1  ;  —  quindi  tal  uomo  in  tale  condizione,  avrebbe 
affidato  le  sorti  di  una  guerra  per  lui  pericolosissima  a  un  ra- 
gazzo di  sedici  anni,  pur  sapendo  di  metterlo  a  fronte  di  un  Carlo 
Malatesta,  che  era  fra  i  capitani  di  guerra  più  esperimentati  e 
temuti  di  quel  tempo!  —  Come  prova  di  verità  storica  pCT  ora 
dirò  solo,  che  papa  Giovanni  venne  a  Mantova  una  sola  volta  e 
non  due,  re  Sigismondo  non  venne  a  Mantova  affatto  ;  e  la  marcia 
di  Gianfranresco  per  ordine  del  Papa  incontro  all'imperatore  per 
assicurargli  la  discesa  dalle  Alpi  è  tanto  lontana  dal  vero,  che  il 
papa,  con  cui  era  il  Gonzaga,  parti  da  Bologna  alla  volta  di  Lodi 
pel  convegno  con  Sigismondo  nel  novembre  del  141 3,  mentre  quel 
re,  valicate  le  Alpi,  fino  dall'ottobre  antecedente  si  trovava  già  a 
Como  ottimamente  accolto  e  guardato  da  Lotterio  Rusca,  signore 
di  quella  città,  e  dagli  altri  partigiani  suoi  (2). 

Del  resto  non  è  il  caso  di  scandalizzarsi  troppo  di  questa  cre- 
dulità degli  antichi  storici  e  cronisti  mantovani,  perchè  è  un  di- 
fetto che  essi  avevano  comune  con  la  più  parte  degli  scrittori  con- 
temporanei. La  fantasia  popolare  faceva  suoi  tutti  i  fatti  che  ac- 
cennassero in  qualche  modo  alla  lode  del  principe,  e  secondo  sui 
natura  ricamandovi  sopra  spiegazioni  ed  aggiunte,  da  una  cosa  da 
nulla  sapeva  trar  fuori  racconti  pieni  di  meraviglia  e  di  gloria  E 

*  Gianfrancesco,  dichiarato  da  Papa  Giovanni  XXIII  capitano  generale 

*  della  sua  annata,  ecc.  1, 

È  curioso  vedere  con  quanta  ricchezza  di  particolari  il  Possevino 
nella  sua  Storia  descrive  l'esercito  del  Re  Ladislao  e  quello  del  Gon- 
^*K«i  gli  sforzi  del  primo  per  condurre  il  secondo  a  battaglia,  e  la 
prudenza  del  Mantovano,  la  ritirata  di  Ladislao,  ecc. 

(l)   D*ArCO,   Op.   CÌt,  voi   IV,   p.  32. 

(-1)  Canfi^,  Storia  dtiia  ciiià  9  diocesi  di  Como,  Uh,  VI,  Como,  Osti- 
nelli,  i8ao,  p.  465. 


SIGNORE   DI   MANTOVA 


333 


gli  saittori,  che  per  la  più  parte  componevano  il  loro  racconto  col 
bagliore  negli  occhi  dei  premi  che  i  principi  davano  o  facevano 
sperare  di  voler  dare,  erano  felici  d'incontrarsi  in  siffatti  racconti, 
che  dessero  campo  a  sfoggiare  la  loro  bravura,  e  mettere  in  vista 
il  loro  entusiasmo  per  il  sovrano.  Ben  avrebbero  potuto  riparare 
ai  loro  errori  ed  alle  esagerazioni  gli  scrittori  che  vennero  poi,  fuori 
come  erano  dal  pericolo  di  quella  potente  attrattiva  ;  ma  essi  stet- 
tero fermi  dìlVuti  possidetis  e  non  si  preoccuparono  d'altro. 

Io  però  nulla  voglio  dire  che  non  si  appoggi  a  documenti  o  a 
memorie  contemporanee  ;  e  mi  affiderò  alla  sola  autorità  degli  sto- 
rici mantovani,  quando  ciò  che  essi  dicono  abbia  tutti  i  caratteri 
della  verisimiglianza. 

Ed  ora  riprendiamo  il  corso  del  racconto  alla  fine  del  141 2, 
dopo  la  lunga  lacima  di  assoluta  oscurità  che  abbiamo  accennato. 
La  nomina  di  luogotenente  del  principe  data  al  conte  Carlo 
Albertini  da  Prato,  qucindo  Gianfrancesco  andò  a  Pesaro  pel  suo 
matrimonio,  ci  ha  già  detto  ch'egli  era  la  persona  più  importante 
nel  governo  di  Mantova.  Di  lui  gli  storici  mantovani  narrano 
che  co'  suoi  maneggi  fu  causa  che  il  Malatesta  si  affrettasse  ad 
abbandonare  la  tutela  del  nipote  ;  che  con  sue  arti  seppe  aggirare 
sifiFattamente  il  giovane  principe  da  allontanarlo  quasi  del  tutto 
dalle  cure  dello  stato,  e  concentrare  nelle  sue  mani  ogni  publico 
potere:  tasse,  impieghi,  leggi,  ogni  cosa  doveva  essere  inspirata 
da  lui,  0  ricevere  la  sua  approvazione  (i)  ;  che,  inorgoglito  della 
sua  potenza  e  fattosi  largo  appoggio  di  seguaci,  levò  il  suo  pen- 
siero a  togliersi  affatto  d'attorno  il  Gonzaga,  e  dominare  Mantova 
con  titolo  e  qualità  di  vero  signore.  E  che  sarebbe  riuscito  nel  suo 
disegno,  se  non  era  la  sospettosa  e  previdente  attenzione  della 
giovane  sposa  del  Gonzaga,  Paola  Malatesta,  la  quale  nel  suo 
affetto  di  moglie  e  di  madre  trovò  l'energia  necessaria  a  vincere 
la  cieca  buona  fede  del  marito,  e  spingerlo  a  un  provvedimento  sol- 
lecito e  risoluto  come  voleva  la  gravità  del  caso.  Onde  il  conte  fu 
arrestato,  arrestati  con  lui  i  fratelli  e  gli  altri  più  compromessi 

(^)  *  Si  quid   foris,  si   quid  domi  erat  agendum   [Carlo   da  Prato 

^  con  i  fratelli],  munera  omnia  obibant  :  tantae  auctoritatis  apud  prin- 

^  cipem  habebantur.    Exigebant    ipsi    vestigalia,    porteria,    proventus 

,  p"]nes.  Si  quid  erat  agendum  quod  auctoritatem  Principis  requireret, 

^       'psi  ex  animi  sententi  a  tamquam  domini  approbabant.  Ad  hos  omnia 

^cferebantur  ^.  Platina,  op.  e  Ice.  cit,  p.  799  B. 


334  GIAN  FRANCESCO  GONZAGA 

nella  congiura,  fatto  processo,  puniti  i  rei,  assicurato  lo  stato  al 
Gonzaga  (i). 

Fin  qui  gli  storici  mantovani  ;  e  al  loro  racconto  fanno  eco  le 
cronache  di  altre  città  (2). 

A  questi  pochi  cenni  posso  aggiungere  per  buona  fortuna  di- 
verse notizie  ripescate  in  alcuni  fogli  degli  atti  processuali  di 
quella  congiura,  che  si  sono  salvati  fra  le  carte  dell'Archivio  Gon- 
zaga (3).  Pur  troppo  sono  pochi  fogli,  e  le  frequenti  allusioni  a 
nomi  e  fatti  a  noi  completamente  ignoti  lasciano  infruttuose  una 
parte  delle  notizie  che  danno,  sicché  siamo  ben  lontani  dall'avere 
la  luce  che  ci  sarebbe  necessaria  ;  ma  pure  raccogliendo  quel  poco 
che  se  ne  può  trarre  di  sicuro,  e  aiutandoci  con  gli  avvenimenti 
politici  del  tempo  ai  quali  spesso  le  parole  degli  accusati  e  dei 
testimoni  si  riferiscono,  è  possibile  ricostruire  in  parte  l'opera  del- 
l'ambizioso ministro,  e  dalla  parte  che  si  viene  a  conoscere,  ar- 
guire e  indovinare  l'altra  che  ci  resta  ancora  nascosta. 

Notizie  sufficienti  e  sicure  ci  dà  lo  stesso  Archivio  anche  sulla 
persona  del  ministro  e  su  tutta  la  sua  famìglia  da  Prato  ;  e  perchè 
la  conoscenza  di  esse  può  giovare  a  meglio  intendere  la  natura  e 
la  portata  della  congiura,  cosi  prima  di  entrare  in  questo  argo- 
mento, dirò  qualche  cosa  di  quella  potente  famiglia 

I  conti  Albertini  erano  originari  di  Prato  in  Toscana,  come 
dice  il  titolo  aggiunto  al  loro  cognome,  e  furono  una  gente  assai 
ricca  e  potente  ;  tanto  che  ne  uscirono  a  breve  distanza  due  cardi- 
nali, zio  e  nipote,  vescovi  tutti  due  d'Ostia  e  Velletri,  vale  a  dire 
della  sede  episcopale  che  dà  al  suo  titolare  il  primo  posto  nel 


^i)  "  loliannes  Franciscus,  cognita  per  amicos  Pratensis  famìliae 
'  proditicinc...  eam  omnem  cum  reliquis  coniuratis  comprehendi  ac  in 
'  vinciila  trudi  iubet,  Paula  uxore  nobilissima  ac  magni  animi  matrona 
■  ad  id  adhortante.  ,  Platina,  0[>,  e  loc.  cit. 

it\  '  M^ntiiaf>  Mine  i)ovÌt.is  habìia  cst,  namquc  Franciscus  de  Gon- 
em  Prati,  ^  gubernatorem  ipsius  domìni 
inciscum  fratrem  dicti  Caroli,  capiianeum  gen- 
i  domini....  capi  fecit  et  carceribus  mancipari  .. 
arfisin.ia  Muratori,  ff.  /.  S,  XIX,  p.  844.  D; 
>.  888  C. 

lei  foiclì  porta  questo  titolo:  Cofiia  Consiilulo- 
'■tfpham  et  Caroli  tir  prato  ctun  quibusdam  dictis 
tu   adi-frsnm  domiituiH  Io.  Frantiscum  dt  Con- 


SIGNORE   DI    MANTOVA  335 

sacro  collegio  (i).  All'avita  loro  nobiltà  e  ricchezza  Lodovico  il 
Bavaro  aggiunse  nel  1329  nuovo  lustro  e  nuova  potenza,  costi- 
tuendo in  feudo  a  loro  favore  parecchi  beni  di  pertinenza  impe- 
riale nel  territorio  di  Prato,  a  premio  dei  loro  servigi  (2).  Nuovi 
favori  di  rendite  e  feudi  ottennero  dall'imperatore  Carlo  IV  :  e 
da  Venceslao  suo  figlio  ebbero  nel  1366  l'investitura  in  feudo  della 
stessa  città  di  Prato  (3).  Quando  e  perchè  codesta  famiglia  si  tra- 
mutasse da  Prato  a  Mantova  non  si  conosce,  ma  ciò  fu  certamente 
a'  tempi  di  Luigi  II,  che  resse  Mantova  dal  1369  al  1382,  dacché 
Gianfrancesco  in  un  suo  decreto  del  7  agosto  14 io  ricorda  i  ser- 
vigi resi  dal  padre  dei  viventi  conti  da  Prato  al  proprio  padre 
Francesco  e  all'avolo  Luigi  (4). 

Di  Francesco  da  Prato  restarono  quattro  figli,  tutti  per  diversi 
rispetti  uomini  di  valore,  e  tutti  dediti  come  il  padre  a  servire  con 
attività  e  zelo  i  Gonzaga.  Primeggiava  sugli  altri  per  ingegno  e 

^1)  Il  piiiiio  di  questi  due  cardinali,  Nicolò,  nato  nel  1250,  ebbe 
nome  fra  gli  uomini  di  Chiesa  e  di  Stato  più  influenti  e  potenti  del  suo 
tempo.  Entrato  nell'ordine  dei  Predicatori  da  prima  lesse  scienze  teo- 
logiche nel  convento  di  S.  Maria  sopra  Minerva,  quindi  passò  all'arci- 
vescovado di  Spoleto.  Fatto  nunzio  di  Francia  e  d'Inghilterra  pacificò 
i  due  re,  Filippo  ed  Odoardo.  Bonifacio  VII!  lo  fece  vicario  di  Roma 
Benedetto  XI  lo  creò  cardinale  vescovo  d'Ostia  e  Velletri.  Nel  i30[', 
ebbe  la  legazione  di  Firenze  mentre  più  vi  ferveva  la  lotta  tra  Guelfi 
e  Ghibellini.  Assistè  come  legato  pontifìcio  all'  incoronazione  dell'impe- 
ratore Enrico  VII,  e  andò  in  Sicilia  a  incoronare  Roberto.  L'imperatore 
Lodovico  il  Bavaro  in  un  suo  diploma  all'altro  cardmate  e  al  costui 
fratello,  ricorda  come  titolo  d'  onore  che  erano  nipoti  **  recolende  me- 

■  morie  olim   venerabilis  in    Christo  fratris  Nicolai  Ostiensis  et  Velie- 

■  trcnsis  Episcopi  Cardinalis.  „  (Arch.  Gonzaga  D.  IV,  li). 

(2)  Col  diploma  or  ora  ricordato  al  cardinale  nepote  e  a  suo  fra- 
tello in  dai  a  14  agosto  1329. 

{3)  l  documenti  si  trovano  nell'Arch.  Gonz.  D.  IV,  II,  e  molti  altri 
con  essi,  tutti  relativi  alla  famiglia  da  Prato,  ì  quali  ^mostrano  quanto 
essa  era  ricca  e  potente. 

(4)  ■  Attentis   quoque  servitiis  per   quondam   magnificum   militem 

*  dom,  genitorem  suum  [del  conte  Carlo  da  Prato]....  dom.  Lodovico 
■■  avo  nostro....  impensis,  etc.  »  (Arch.  Gonzaga  F.  IL  io,  lib.  dei  De- 
creti, p.  121).  Che  il  padre  degli  attuali  conti  da  Prato  si  chiamasse 
«gli  pure  Francesco  è  detto  nel  decreto  di  Gianfrancesco  a  favore  di 
Francesco  da  Prato   in  data   14  Agosto    1410:    •  Attendentes....  opera 

*  fructuosa....  comitis  Francisci  nati  nobilis  strenui  quondam  militis  dom. 

*  Francisci  de  Albertinis  comitis  Prati.  ^  Lib.  dei  Decreti  sudd.  p.  laB. 


l 


33^  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

autorità  il  conte  Carlo,  ed  a  lui  con  facile  deferenza  si  piegavano 
i  fratelli.  Egli  aveva  preso  la  via  della  politica,  Francesco  delle 
armi,  Stefano  delle  leggi.  Di  Luigi,  che  era  il  quarto  dei  fratelli, 
non  mi  è  riuscito  trovar  nulla  di  certo,  ma  dai  pochi  cenni  che  si 
hanno  di  lui  non  resta  dubbio  che  fu  egli  pure  uomo  di  vaglia  ; 
di  gran  vaglia  anzi,  se  quel  Luigi  da  Prato  che  s'incontra  a  questi 
tempi  nella  storia  di  Bologna  è  lui,  come  credo  probabile  (i).  Carlo 
e  Francesco  si  erano  già  fatti  un  bel  nome  fino  dai  tempi  del  morto 
signore  di  Mantova  (2)  :  e  dal  fatto  che  Stefano  nei  primi  anni 
di  Gianfrancesco  tenne  per  due  anni  la  carica  di  Podestà  di  Man- 
tova, dobbiamo  arguire  ch'egli  pure  aveva  dato  assai  buona  prova 
di  sé  (3).  Lo  zelo  dunque  dei  passati  servigi,  il  nome  della  fami- 
glia, la  capacità  loro,  tutto  concorreva  a  indicare  al  Malatesta  i 
fratelli  da  Prato  come  le  persone  più  adatte  su  cui  fare  asseg^na- 
mento  pel  governo  di  Mantova.  Ed  egli  ripose  in  essi  tanta  fiducia 
che,  durante  la  sua  tutela,  non  potendo  egli  occuparsi  direttamente 
delle  cose  mantovane,  la  somma  del  governo  rimase  tutta  nelle 
mani  di  Carlo  da  Prato. 

Basta  guardare  alla  storia  d' Italia  per  intendere  senz'altro 
quanto  poco  il  Malatesta  potesse  mettere  l'opera  sua  diretta  nel 
governo  di  Mantova.  Nel  1408  egli  era  governatore  di  Milano  pel 
duca  Giovanni  Maria  Visconti  e  dirigeva  l'assedio  di  quel  ca- 
stello (4).  Nel  1409  s'affaticava  al  concilio  di  Pisa  come  media- 
tore di  papa  Gregorio  per  indurre  i  cardinali  da  lui  dissidenti  ad 
accettare  un  concilio  che  si  raccogliesse  a  Bologna,  o  a  Forlì,  o  a 
Mantova  (5).  Nel  141 1  era  governatore  in  Romagna  per  lo  stesso 
papa,  e  a  nome  di  lui  faceva  guerra  al  suo  competitore  Gio- 
vanni XXIII  (6).  Nel  141 2  guidava  l'esercito  veneto  contro  l'im- 
peratore Sigismondo  e  i  suoi  Ungheri  (7).  Ch'egli  in  questo  lungo 

(i)  Se  ne  parlerà  più  avanti. 

(2)  La  cosa   è  ricordata   da  più  decreti  di  Gianfrancesco,   che   do- 
vremo ricordare  in  seguito. 

(3)  D'Arco,  S/itdt    intorno  al  Municipio   di  Mantova,  voi.  VI,  p.  61. 

(4)  Delayio,  Anna/.  I.  e,  p.  1050.  Cfr.  Corio,  Istoria   di  Milano,    in 
Vinetia,  De*  c:a valli,  MDLXV,  p.  695. 

(5)  L.    Tonini,  Rimini  nella  signoria  dei   Mala/esti,    Rimini,  tip.  Al- 
bertini  e  C,  18S2,  voi.  V,  p.  29, 

(6)  Matth.   des    Grifonibus,    Mem,  histor,    in  Muratori,   /?.  /.  S., 
XVIII,  p.  219  A. 

(7)  Sanuto,  op.  cit.^  p.  858  C. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  337 

periodo  di  tempo  venisse  sovente  a  Mantova  e  vi  facesse  anche  non 
brevi  permanenze,  quantunque  non  si  trovi  alcun  documento  che 
ce  lo  dica,  non  è  a  dubitarsi.  Ma  le  sue  dimore  ad  intervalli,  per 
hmghe  che  fossero,  non  potevano  raggiungere  altro  scopo  che 
di  assicurarsi  che  tutto  procedesse  regolarmente  nell'interesse  del 
suo  pupillo.  Occorreva  dimque  che  altri  in  sua  vece  stesse  conti 
nuamente  al  timone  dello  stato,  per  reggerlo  e  guidarlo  nel  suo 
cammino  giornaliero,  e  a  seconda  dei  casi  prendesse  gli  opportuni 
provvedimenti.  Quest'incarico  fu  dato  al  conte  Carlo  da  Prato.  E 
bisogna  dire  ch'egli  vi  acquistasse  tutta  l'approvazione  e  la  fidu- 
cia del  Malatesta,  perchè,  quando  Gianfrancesco  andò  a  Pesaro  a 
sposare  Paola,  e  stette  assente  da  Mantova  dal  i6  luglio  del  1409 
fino  al  6  gexmaio  del  141  o,  per  tutto  questo  tempo,  come  fu  già 
accennato,  il  governo  fu  lasciato  nelle  mani  sue  con  pieni  poteri 
come  in  quelle  di  luogotenente  del  principe  (i).  Confermano  que- 
sta fiducia  in  lui  del  Malatesta  le  munificenze  permesse  al  pupillo 
non  solo  verso  il  conte  Carlo,  ma  anche  verso  il  conte  Francesco, 
a]  quale  era  in  particolar  modo  affidata  la  cura  delle  armi. 
Il  24  luglio  1410  Gianfrancesco  stende  un  decreto  a  favore  del 
conte  Francesco,  e  gli  fa  un  succoso  regalo  di  terre  e  di  case  per 
Itti  e  i  suoi  eredi  (2).  E  pochi  giorni  dopo  in  data  7  ago- 
sto, stende  altro  decreto  a  favore  di  Carlo,  nel  cui  princi- 
pio si  legge  la  seguente  solenne  dichiarazione  :  t  Conside- 
*  rando  le  fatiche  e  le  veglie  che  Carlo  da  Frato  nostro 
«  consocio  carissimo  ha  instancabilmente  e  di  continuo  so- 
t  stenute  pel  nostro  onore  e  servizio  ;  considerando  l'ardore  della 
t  sua  devozione,  la  prontezza  de*  suoi  servigi,  ecc.,  ecc..  »  :  e  dopo 
questo  gli  regala  la  bella  somma  di  piìi  che  seimila  ducati  per 
comprarsi  una  tenuta  nel  Veronese,  sulla  quale  l'accorto  ministro 
aveva  posto  gli  occhi  ed  il  cuore  (3).  E  soli  sette  giorni  più 
tardi,  il  14  agosto,  con  altro  decreto  acconsente  alla  domanda  fat- 


(i)  Arch.  Gonz.,  Lib.  Statut.  lib.  XIII,  p.  217,  rubrica  25.  V.  ap- 
pend.  n.  6. 

(2)  Arch.  Gonz.  F.  II,  10,  lib.  dei  Decreti,  lib.  I,  p.  128  v.  *  Ei- 
*  dem  corniti  [frajicisco]  suisque  heredibus  et  successoribus  de  omni- 
'  bus  et  singulis  infrascriptis  terrarum  petiis,  domibus  etc.  possessio- 
'  nem  dationem  traditionem  et  absolutam  donationem  facimus...  „ 

(3)  Libro  cit.,  p.  131. 


33^  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

tagli  dal  conte  Francesco,  e  gli  regala  in  perpetuo  un  tratto  di 
terreno  con  casa,  corte  ed  orto  qui  in  città  in  contrada  Stabili  (i). 

E  non  solo  Carlo  Malatesta,  ma  anche  il  fratello  Pandolfo, 
signore  di  Brescia,  mostra  piena  fiducia  nella  lealtà  del  conte  Carlo 
da  Prato.  Abbiamo  veduto  più  addietro  la  controversia  che  era 
tra  Brescia  ei  Mantova  in  causa  di  Piubega  (2).  Ora  nel  novembre 
del  141 1  Pandolfo  acconsente  di  concedere  in  feudo  al  conte  Carlo 
da  Prato  la  parte  di  sua  proprietà,  come  il  Gonzaga  gli  concedeva 
la  sua  (3).  E  nello  stesso  mese  in  un  altro  decreto  il  Gonzaga,  do- 
vendo allontanarsi  dal  suo  stato,  nominava  per  la  seconda  volta 
suo  luogotenente  con  pieni  poteri  il  conte  Carlo  (4).  Forse  non  è 
fuori  di  luogo  il  sospetto  che  i  Da  Prato  fossero  im  poco  indi- 
screti e  sapessero  farsi  pagare  i  loro  servigi,  ma  comunque  dati, 
quei  doni  e  l'altissimo  potere  conferito  più  volte  al  conte  Carlo, 
danno  certezza  assoluta  che  si  viveva  pienamente  tranquilli  sulla 
fedeltà  di  lui  e  dei  fratelli. 

Or  come  si  spiega  che  da  lì  a  pochi  mesi  si  vede  quest'uomo  av- 
viarsi per  vie  tortuose  e  tuor  di  mano,  la  cui  uscita  portava  a  spo- 
gliare dello  stato  il  suo  signore  e  mettersi  al  suo  posto  ?  Aveva  egli 
saputo  fingere  fino  allora  con  arte  finissima  d'ipocrisia  o  il  pensiero 
del  nuovo  indirizzo  che  volle  prendere  gli  sorse  poi?  Il  cuore 
umano  è  un  mistero,  e  uomo  non  sa  leggervi  dentro  :  esaminando 
però  le  circostanze  dei  tempi  a  me  pare  di  potere  stabilire  che  la 
condotta  anteriore  del  conte  fosse  franca  e  leale.  A  mio  avviso  fu 
tra  la  fine  del  141 1  e  il  principio  del  141 2  che  gli  balenò  per  la 
prima  volta  nella  mente  l'idea  di  dare  nuovo  indirizzo  alla  sua 
condotta.  Secondo  me  gli  avvenimenti  di  quei  giorni  gli  presenta- 
rono il  miraggio  di  grandi  speranze  per  Tawenire,  ed  egli  si  lasciò 
vincere  alla  tentazione. 

(i)  Lib.  cit,  p.  128.    Riporto  per  intero  nell'append.  al  n.  io  questo 
decreto,  per  esempio  degli  altri  che  semplicemente  accenno. 

(2)  V.  nota  22  e  append.  n.  3. 

(3)  Arch.  Gonz.  B.  XXII,  5.  "  Instrumentum  tenutae  acceptae  per  Fran- 
**  ciscum  de  Zaifurdis  nomine  dom.  Caroli  de  Albertinis,   comitis  Prati 

*  de  castro  pu  ìlice,  quod  illi  donatum  fuerat,  partem  scilicet  Brixiensem 
**  per  dom.  Pandulphum  de  Malatestis  dominum  Brixiae  et  partem  Man- 

•  tuanam  per  dom.  Io,  Franciscum  de  Gonzaga  dominum  Mantue,  et 
*•  juramentum  fidelitatis  hominura  publice   die  XXII  novembris  1411  ,, 

(4)  Arch.  Gonz.  F.  II,  7,  Lib.   Stat.,  lib.   XIII.  rubr.    26.   e.  217  v. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  339 

Nel  dicembre  del  14 ii  scoppiò  la  guerra  tra  la  republica  di 
Venezia  e  il  regno  d'Ungheria,  e  Venezia  affidò  il  comando  delle 
sue  truppe  e  la  direzione  della  guerra  a  Carlo  Malatesta. 

Uuso  dei  tempi  portava  che  i  principi  minori  prendessero 
soldo  in  tempo  di  guerra  presso  gli  stati  maggiori  con  quel  nu- 
mero di  genti  che  fosse  possibile.  V'era  in  questo  il  vantaggio  di 
mantenere  un  corpo  di  truppa  coi  denari  altrui,  agguerrire  i  propri 
soldati,  procacciarsi  un  qualche  beneficio  negli  sperati  frutti  della 
vittoria,  e  avere  al  bisogno  uno  stato  potente  che  per  dovere  di  ri- 
cambio prendesse  le  vostre  difese  Con  tali  usi  quale  più  bella  oc- 
casione poteva  presentarsi  al  Gonzaga  per  procurarsi  tutti  co- 
desti vantaggi,  e  mostrare  nel  medesimo  tempo  la  sua  gratitu- 
dine a  Venezia,  e  apprendere  l'arte  della  guerra  alla  scuola  di  un 
uomo  che  aveva  nome  fra  i  primissimi  capitani  di  quel  tempo? 
Ma  il  Gonzaga  non  si  mosse  :  non  si  mosse,  quantunque  il  Mala- 
testa  avesse  autorità  da  Venezia  di  condurre  a  quella  guerra  assai 
numero  di  genti  (i),  e  dato  Tuso  dei  tempi,  si  possa  tenere  per 
cosa  indubitata  anche  senza  averne  le  prove,  che  da  Venezia  stessa 
gli  venissero  inviti  a  voler  seguire  l'esempio  del  padre,  e  mettersi 
lui  pure  al  seguito  delle  sue  bandiere.  Come  può  questo  spiegarsi  ? 
Che  ne  lo  dissuadesse  il  Malatesta  è  cosa  ridicola  pure  a  pensarla. 

E  né  anche  può  supporsi  fosse  avversione  di  Gianf rancesco  per 
la  vita  militare.  La  vanità  e  l'ardore  degli  anni  giovanili,  l'esempio 
degli  avi,  il  proprio  carattere,  tutto  lo  spingeva  alla  guerra.  L'op- 
posizione dunque  veniva  da  altri.  Ma  chi  fuori  del  conte  Carlo  da 
Prato  poteva  allora  avere  tanta  autorità  nel  governo  di  Mantova, 
da  mettersi  contro  l'opinione  e  i  desideri  del  Malatesta  e  di  Ve- 
nezia, tutori  del  principe,  e  far  prevalere  contro  essi  la  propria  opi- 
nione? Non  importa  conoscere  gli  argomenti  ch'egli  può  aver  fatto 
valere  a  favore  della  neutralità  di  Mantova  :  quando  si  tratta  di 
gettare  uno  stato  nelle  avventure  di  una  guerra  abbondano  sem- 
pre gli  argomenti  a  chi  parla  in  favor  della  pace.  Ma  questo  deve 
essere  ben  notato  che  al  da  Prato  sarebbe  stato  impossibile  spun- 
tarla contro  il  Malatesta  e  contro  Venezia,  quando  non  avesse 
avuto  del  suo  parere  lo  stesso  principe.  Questi  si  avvicinava  ormai 


(i)  Sanuto,  op.   cit.,  p.  861.  B.  "  1412,  28  gennaio.  S'aspetta  che  nel 

*  nostro  campo   giunga  el  signor   Carlo   Malatesta,   capitano   generale 

•  nuovamente  condotto  con  gran  gente  „. 


340  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

airetà  maggiorenne,  ed  è  naturale  che  l'opinione  di  lui  avesse  un 
gran  peso  nelle  decisioni  del  Consiglio.  Il  conte  da  Prato  do- 
vette dunque  tirare  dalla  sua  parte  l'opinione  del  Gonzaga  e  farla 
valere  contro  l'opinione  del  tutore  La  cosa  è  tanto  chiara  che 
senza  questa  premessa  resta  inesplicabile  la  condotta  del  Gon- 
zaga a  questo  tempo.  Egli  rifiuta  di  aiutare  in  guerra  Venezia  che 
era  la  sua  tutrice,  ntìuta  di  s^uire  il  Malatesta  che  conduceva 
quella  guerra,  il  quale  era  suo  tutore  ;  e  l'anno  appresso  lo  ve- 
diamo impugnare  le  armi  in  altra  guerra  e  scendere  in  campo  a 
combattere  questo  stesso  capitano,  che  fu  già  suo  tutore!  Come 
poteva  ciò  avvenire  senza  una  rottura  tra  zio  e  nipote?  Ma  prima 
di  questa  rottura  era  presso  il  Gonzaga  ministro  potentissimo  il 
da  Prato  e  dopo  la  rottura  il  da  Prato  continuò,  anzi  crebbe  nella 
medesima  potenza  della  sua  fiducia  presso  di  lui  ;  dunque  è  al  da 
Prato  che  deve  riferirsi  tutta  la  causa  di  quella  rottura  (i). 

Che  se  qualcuno  fosse  curioso  di  sapere  per  quali  modi  il 
da  Prato  sarà  riuscito  a  tirare  a  sé  il  giovane  principe,  io  non 
saprei  che  ricordargli  l'età  e  la  condizione  del  Gonzaga,  Egli  era 
sui  primi  passi  dell'adolescenza,  e  come  tutti  quelli  della  sua  età 
doveva  essere  sovrabbondante  di  vita,  intollerante  di  freno,  sma- 
nioso di  libertà  ;  e  le  ricchezze,  il  grado,  la  potenza  indubitabil- 
mente facevano  in  lui  crescere  tutti  i  difetti  e  le  debolezze  dei 
giovani  suoi  pari.  Bastava  saper  toccare  con  arte  codesti  tasti  per 
cavarne  il  suono  che  si  voleva.  Stimolare  le  tendenze  del  giovane, 
aggravare  con  accorte  parole  il  peso  della  tutela,  mettergli  in- 
nanzi ch'egli  era  ormai  nell'età  da  sapersi  governare  da  sé,  fargli 
pregustare  le  delizie  dell'indipendenza  e  della  libertà  ;  erano  tutte 
armi  infallibili  al  segno  nelle  mani  di  un  uomo  accorto  e  scaltro 
come  il  conte  da  Prato  ;  perché  il  giovine  Gonzaga  nell'inespe- 
rienza in  cui  era  del  mondo  e  delle  sue  arti,  e  nella  fiducia  che 

(i)  Il  conte  Carlo  non  solo  continuò,  ma  crebbe  tanto  nel  favore 
del  principe,  che  nel  solo  primo  anno  della  guerra  combattuta  dai  Ve- 
neziani e  condotta  dal  Malatesta  contro  gli  Ungheresi,  Gianfrancesco 
fece  tre  decreti  a  favore  di  lui,  lasciandolo  come  suo  rappresentante  nel 
Governo  con  la  stessa  estensione  di  poteri  illimitati,  come  si  era  fatto 
per  la  sua  assenza  quando  andò  a  Pesaro  a  spK>sare  la  Malatesta.  Il 
primo  decreto  fu  del  i."  febbraio  1412  (Statuti  di  Mantova,  rubr.  27, 
p.  ai8;  il  secondo  del  30  aprile  (Ibid.  rubr.  28,  p.  218  v.);  il  terzo  del 
31  luglio).  (Ibi  rubr.  29,  p.  219"^. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  34I 

tutti  attorno  a  lui  avevano  sempre  mostrato  verso  il  conte,  di  ne- 
cessità doveva  bere  con  assetate  labbra  il  veleno  di  quelle  insi- 
nuanti parole.  Così  al  momento  in  cui  si  sentì  spingere  ad  al- 
zare la  fronte  contro  lo  zio  tutore,  sarà  stato  tutto  coraggio  ed 
audacia,  sentendosi  spalleggiato  dalFautorità  e  dal  nome  del 
conte  Carlo.  In  questo  modo  resta  anche  spiegata  la  fiducia  senza 
limiti  ch*egli  ebbe  poi  nel  conte,  dopo  che  fu  uscito  di  minorità  ; 
e  non  fa  meraviglia  che  nell'ingenua  sua  lealtà  riguardandolo 
come  amico  di  provatissima  fede  e  quasi  suo  liberatore,  tutto  lo 
Stato  e  sé  stesso  affidasse  ciecamente  alle  cure  e  al  potere  di  lui. 

Ed  ora  guardiamo  a  che  termine  si  appuntassero  le  mire  del 
conte  Carlo  da  Prato. 

L'anno  avanti  che  scoppiasse  la  guerra  tra  Venezia  e  il  regno 
d'Ungheria,  Sigismondo  re  degli  Ungheri  era  stato  eletto  im- 
peratore, e  in  tale  qualità  era  divenuto  anche  capo  supremo  dei 
principi  italiani.  E*  ben  vero  che  l'autorità  imperiale  riducevasi 
ormai  in  Italia  a  poco  più  di  un  diritto  di  puro  nome,  perchè 
dove  gl'interessi  e  le  ragioni  politiche  lo  volevano,  era  libera- 
mente disconosciuta  ;  ma  il  prestigio  del  nome  durava  sempre, 
e  al  momento  opportuno  quell'autorità  poteva  essere  di  grande 
giovamento.  Alla  probabilità  di  questo  momento  fissò  lo  sguardo 
il  conte  Carlo  da  Prato.  L' Italia  in  quei  giorni  era  più  che  mai 
lontana  dalla  possibilità  di  levare  la  fronte  contro  le  pretese  del- 
l'impero. Lo  stato  della  Chiesa  era  conteso  fra  due  papi,  corso  dalle 
arali  di  re  Ladislao,  straziato  dai  signorotti  e  dalle  continue 
ribelUoni  che  si  andavano  facendo  nelle  città.  Il  grosso  e  potente 
stato  dei  Visconti  era  in  isfacelo,  e  gli  eredi  del  temuto  Gian 
Galeazzo  appena  a  furia  di  stenti,  di  transazioni  e  di  tunilia- 
zioni,  andavano  lentamente  ricomponendo  un  poco  di  stato  sulle 
rovine  dell'antica  grandezza.  Degli  altri  stati  d'Italia  due  soli, 
il  regno  di  Napoli  e  la  republica  di  Venezia,  trovavansi  in  grado 
di  sostenere  i  loro  diritti.  Ma  Napoli  era  lontano,  e  Venezia  in 
guerra  aperta  col  re  degli  Ungheri,  che  in  quel  momento  voleva 
dire  con  l'imperatore.  Se  Sigismondo  usciva  vincitore  dalla  guerra 
con  Venezia,  il  suo  prestigio  in  Italia  sarebbe  cresciuto  del  cento 
per  uno,  e  col  prestigio  il  valore  e  l'efficacia  della  sua  autorità, 
quando  si  fosse  deciso  a  scendere  fta  noi  e  farvi  riconoscere  i  di- 
ritti della  dignità  imperiale.  Il  conte  Carlo  mirò  alla  possibilità, 
anzi  probabilità  di  questo  avvenimento,  e  stabili  di  predisporre 


342  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

le  sue  cose  in  modo  da  trame  a  suo  tempo  il  più  largo  profitto. 
Egli  era  di  famiglia  ghibellina,  stata  sempre  seguace  degli  impe- 
ratori, e  sempre  da  loro  favorita.  I  Malatesta  invece  erano  stati 
sempre  guelfi.  E  non  è  inutile  ricordare  anche  questo  che  nello 
sfacelo  dello  stato  dei  Visconti  erano  risorti  in  Lombardia  gli 
antichi  nomi  di  Guelfi  e  di  Ghibellini  ;  e  le  due  sette  combattevan 
fra  loro  con  rabbia  di  lotta  non  inferiore  all'antica.  Sono  coinci- 
denze di  nomi  e  di  fatti  che  in  tempi  normali  si  lasciano  appena 
avvertire,  ma  dove  il  concorso  di  speciali  condizioni,  nella  effer- 
vescenza degli  animi,  dà  rilievo  al  ricordo  delle  loro  memorie, 
possono  aver  sempre  grande  influenza  sulla  eccitabilità  delle  pas- 
sioni umane.  Ora  l'imperatore  scendeva  in  guerra  contro  Venezia, 
ed  il  guelfo  Malatesta  andava  generale  in  capo  contro  l'impera- 
tore, e  a  rinforzo  delle  sue  truppe  voleva  seco  anche  il  Gonzaga. 
Davanti  a  tali  fatti  il  conte  ghibellino  pensò  di  schierarsi  subito 
dalla  parte  imperiale,  e  per  il  momento,  non  potendo  altro,  si 
contentò  di  sottrarre  al  nemico  il  supplemento  di  forze  che  po- 
teva dargli  il  Gonzaga,  riservando  a  miglior  tempo  più  sicuro  e 
più  diretto  aiuto.  Ma  era  nel  suo  interesse  che  l'imperatore  cono- 
scesse subito  queste  sue  disposizioni  d'animo,  ciò  che  per  ora  aveva 
fatto,  ciò  che  sperava  di  fare  in  seguito.  La  cosa  però  non  era 
facile,  perchè  l'imperatore  era  lontano,  Venezia  e  i  Malatesta  alle 
porte  di  Mantova,  e  la  più  piccola  imprudenza,  destando  il  so- 
spetto, poteva  non  solo  render  vana  l'opera  sua,  ma  perdere  lui 
inesorabilmente.  Prudenza  molta  occorreva.  A  deviare  ogni  so- 
spetto egli  pensò  che  il  mezzo  più  sicuro  fosse  quello  di  nascon- 
dere i  suoi  progetti  sotto  la  tonica  d'im  frate  ;  e  per  sua  fortuna 
aveva  proprio  qui  sotto  mano  l'uomo  che  gli  occorreva.  Questi 
era  frate  Gaspare  da  Mantova. 

Per  quante  ricerche  io  m'abbia  fatte  non  solo  nell'Archivio 
Gonzaga ,  ma  anche  presso  l'ordine  Francescano,  non  mi  è  riu- 
scito di  scoprire  di  che  famiglia  mantovana  egli  si  fosse.  Questo 
ho  trovato,  ch'egli  era  dei  Conventuali,  uomo  di  forte  intelletto 
e  grande  pratica  nelle  cose  del  mondo.  Infatti  l'anno  1400  fu  ele- 
vato alla  carica  di  padre  provinciale  del  suo  Ordine  (i),  e  nel 
141 3  l'imperatore  Sigismondo  lo  nominò  consigliere  dell'impero 

(1)  [P.  G.  Venni],  Elogio  del  B,  Oderico  da  Pordenone,  Venezia, 
1761,  tip.  Tatta,  p.  1^7. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  343 

per  le  cose  d'Italia  (i).  Dovette  pure  essere  di  una  costituzione 
fisica  robustissima,  perchè  la  carica  di  padre  provinciale,  con 
rimportanza  e  la  delicatezza  che  trae  seco  di  autorità  e  di  attri- 
buzioni, ci  assicura  che  nel  1400  non  doveva  esser  più  molto  gio- 
vane ;  eppure  nel  1444  lo  troviamo  ancora  vivente  nel  convento 
di  Cividale  di  Friuli.  Ma  oltre  la  forte  intelligenza  e  l'astuzia 
del  frate,  un'altra  cosa  lo  proponeva  al  conte  Carlo  come  Tuomo 
il  più  adatto  a  condurre  il  suo  disegno.  Il  santuario  di  S.  Maria 
delle  Grazie,  incominciato  nel  1399  da  Francesco  Gonzaga  e  com- 
piuto da  Gianfrancesco,  era  stato  affidato  da  principio  ai  PP. 
Francescani,  detti  Conventuali  ;  ma  come  essi,  a  quanto  pare, 
mostravano  assai  poco  spirito  religioso,  e  Carlo  Malatesta  era  in- 
vece religiosissimo  e  devotissimo  di  S.  Francesco,  così  nel  1408 
venne  loro  tolto  il  santuario,  e  al  loro  posto  furono  chiamati  i 
Francescani,  detti  Minori  Osservanti,  che  vi  stanno  tuttora,  i  quali 
per  la  tresca  riforma  dell'ordine  godevano  gran  nome  di  santità 
per  tutta  l'Italia  (2).  Naturalmente  la  responsabilità  di  que- 
st'atto risaliva  al  Malatesta,  che  governava  pel  Gonzaga,  e  come 
lo  sfratto  dato  ai  Conventuali  delle  Grazie  era  uno  schiaffo  per 
tutto  l'Ordine,  tutti  frati  di  quell'abito  dovevano  serbarne  amaro 
ricordo  contro  chi  ne  era  stato  l'autore  :  ma  più  d'ogni  altro  do- 
veva risentirsene  frate  Gaspare  (molto  probabilmente  di  stanza 
egli  pure  nello  stesso  convento  delle  Grazie)  perchè  lo  schiaffa 
più  che  gli  altri  colpiva  lui,  come  mantovano,  e  come  superiore 
die  era  stato  dell'Ordine  appunto  negli  ultimi  anni  ;  e  se  gli  si  pre- 
sentava  occasione  da  rifarai  un  tratto  sul  Malatesta  e  sulla  sua 
gente,  non  era  il  caso  di  aspettarsi  da  tal  uomo  e  in  tale  tempo 
la  carità  del  perdono  evangelico.  L'uomo  dunque  non  poteva  es- 
sere più  adatto  a  condurre  le  pratiche  ideate  dal  conte  Carlo. 

Lo  scaltro  frate,  dissimulando  sotto  la  povera  lana  chi  fosse 
e  che  volesse,  divenne  un  esecutore  attivo  ed  efficacissimo  del  Mi- 
nistro. Per  suo  conto  andò  cinque  volte  dall'imperatore,  e  non  di- 
pese certo  da  lui  se  le  lunghe  pratiche  non  sortirono  l'effetto  de- 

(i)  Gli  storici  francescani  lo  dicono  consigliere  dell'impero,  ma 
^espressione  non  è  esatta  ;  egli  fu  consigliere  dell'  impero,  ma  per  le 
sole  cose  d' Italia^  Consiliarium  prò  Italia,  come  dice  egli  stesso  nel 
processo. 

(2)  DoNESMONDi,  Istoria  ecclesiastica  di  Mantova,  lib.  V,  p.  350; 
Wadding,  Annales  Minorum  to.  V,  p.  55. 


314  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

siderato.  Scoperta  la  congiura  dei  fratelli  da  Prato,  anche  frate 
Gaspare  fu  arrestato  e  messo  prigione;  e  allora  fece  delle  sue 
cinque  ambascerie  una  relazione  per  rispondere  ai  quesiti  della 
giustizia  (i).  La  sua  relazione  è  stata  la  mia  guida  principale  a 
rintracciare  il  secreto  pensiero  del  conte  Carlo  da  Prato.  Ma  non 
tutto  quello  che  il  frate  narra  io  credo  dover  qui  riportare  ;  e  del 
suo  racconto  vi  sono  molte  cose,  che  a  me  paiono  inutili,  ed  io 
le  taccio  :  altre  difficili  a  intendersi  a  che  cosa  si  vogliano  rife- 
rire o  per  lo  meno  assai  dubbie,  ed  io  le  taccio  egualmente.  Ne 
prenderò  solo  quanto  è  strettamente  necessario  per  intendere  lo 
svolgimento  delle  pratiche  tenute  ;  e  fra  i  particolari  accennerò 
solo  quelli  che  mi  paiono  avere  uno  speciale  interesse  e  che  non 
lasciano  dubbio  sulla  loro  verità. 

Qui  noto  innanzi  tutto  che  i  secreti  maneggi  del  conte  Carlo 
per  mezzo  del  frate  cominciarono  in  tempo  che  il  giovane  Gon- 
zaga era  ancora  sotto  tutela  :  ma  il  Malatesta  era  al  campo  dei 
Veneziani,  e  forse  da  tempo  lontano  da  Mantova,  tutto  occupato 
nei  preparativi  e  negli  studi  della  guerra  che  era  chiamato  a 
condurre  L'imperatore  Sigismondo  trovavasi  allora  a  Buda, 
e  il  frate  giunse  in  quella  città  nell'aprile  del  141 2  (2),  vale 
a  dire  ch'egli  parti  da  Mantova  non  appena  con  la  buwia 
stagione  cominciò  a  svolgersi  in  aperta  campagna  la  guerra  scop- 
piata nell'antecedente  decembre.  In  questa  prima  ambasceria  la 
sua  missione  si  limitava  a  fare  a  Sigismondo  a  nome  del  Gon- 
zaga omaggio  di  sudditanza  e  di  obbedienza  quale  vicario  impe- 
riale, e  scusarlo  che  non  avesse  prima  soddisfatto  a  quest'obligo, 
perchè,  avendo  a  tutori  Venezia  e  il  Malatesta,  non  poteva  man- 
dare publicamente  ambasceria  a  Sua  Maestà,  né  fare  per  essa  quelle 
publiche  dimostrazioni  che  era  sua  intenzione  di  fare  quando  fosse 
uscito  di  tutela,  e  che  farebbe  quando  Sua  Maestà  scendesse  in 
Italia.  Per  questa  ragione  anche  il  frate  avea  dovuto  andare  molto 
secretamente,  e  perciò  pregava  l'imperatore  che  volesse  tener  se- 


(i)  Ha  questo  titolo:  •  Haec  est  via  quam  feci  eundo  ad  serenissi- 

*  mum  Romanorum  Regcm  putans  sempcr  ex  parte   magnifici  domini 

*  mei  ire,  et  quae  in  hiis  principaliter  debebam  agere.  Ego  frater  Ga- 
"  spar  de  Mantua.  .  Non  ha  data. 

(2)  *  Prima  via  fuit  de  mense   aprìlis   1412   ad   Hungariam  usque 

*  Budam.  .  Dalla  Rtlaziont  dello  stesso  frate. 


SIGNORE    DI   MANTOVA 


345 


oeU  la  sua  missione,  affinchè  non  ne  venissero  fastidi  a  Gianf ran- 
Cesco  da  parte  dei  tutori  (i). 

La  risposta  dell'imperatore  fu  questa:  t Gradire  gli  omaggi, 
f  accettare  le  scuse,  approvare  che  tenesse  nascosta  la  sua  devo- 
«  àone  airimpero  in  causa  dei  tutori  ;  e  dove  fosse  necessitato, 
«  piuttosto  che  scoprirsi  mandasse  in  prestito  sue  genti  ai  Vene- 
c  zìani  9  (2). 

Oltre  alle  commissioni  in  nome  del  Gonzaga  altre  ne  aveva 
frate  Gaspare  nel  nome  particolare  del  conte  Carlo,  questa  fra  le 
altre  di  far  conoscere  all'imperatore  :  t  Che  i  suoi  antenati  erano 
stati  tutu  di  parte  imperiale,  che  avevano  seguito  gl'imperatori, 
e  ne  avevano  ricevuto  molti  privilegi.  Ch'egli  e  i  fratelli  vole- 
vano essere  come  i  loro  maggiori,  e  che  egli  si  era  adoperato  e  si 
adopererebbe  sempre  a  tenere  il  Gonzaga  nella  fede  dell'  im- 
pero »  (3).  E  non  in  quella  sola  ambasciata,  ma  in  tutte  che  ven- 
nero poi,  il  conte  ebbe  sempre  cura  specialissima  di  mettere  in 
particolare  rilievo  agli  occhi  dell'imperatore  la  sua  persona  e  i 
suoi  servizi  (4)  :  donde  appare  evidente  le  sua  mira  a  richiamare 


(i)  "  Erant   tutores   propter  quos  non  poterat   ipse   dominus    nec 

*  oiiuere  nec  publice  facete  sicut  intendebat  quando  esset   extra   tuto- 

*  riam,  aut  quando  mayestas  sua  esset  in  lombardia  :  propter  hoc  ive» 

*  ram  magis  secrete  quam  potuissem  ad  presenciam  sue  mayestatis 

"  quod  deberem  rogare  seu  supiicare  mayestati  regie  quod  omnia  di- 

*  gnaretur  sua  mayestas  habere  secretum  ne  sibi  scandalum  orìretur  a 

*  premissis  tutoribus  suis.  „  Dalla  cit.  Relaz, 

(a)  •  Ymo  ut  bene  zelaret  se,  si  oporteret,  potius  deberet  Venetis 

*  suas  gentes  mutuare  et  mittere  quam  se  discoperire  quovis  modo.  „ 
I>alla  cit  Relaz. 

(3)  •  Pro  dom.  Karolo  declarare  debui  quod  sui  antiqui  fuerint 
impcriales  omnes,  et  quod  secuti  fuerint  imperatores,  et  quod  fuerint 
multum  privilegiati  ab  eis....  et  quod  volebat  sequi  vestigia  eorum.... 
et  qualiter  ipse  dom.  Karolus  iuxta  suum  posse  reducebat  dominum 
su\im  et  semper  reduceret  ad  obedientiam  imperialem....  „  Dalla  ci- 
tata Rtlaz. 

(4)  *  In  omnibus  ambaxiatis  ad  majorem   efficaciam  verborum  do- 
mini seu  probationem  quae  dicebam  ex  parte   domini  nostri  magni- 
fici, dominus  Karolus  dicebat  quod  etiam  dicerem  illa  impertatori  ex 
^  parte  sui.  Item  dicebat  dom.  Karolus  quod  dicerem  imperatori   quod 
^  jpsc  tamquam  principalis  consiliarius  et  rector  domini    consulebat  et 
mducebat  dominum  ad  fidelitatem  imperii.  „  Dalla  cit.  Relaz. 

^rch.  Stor.  Lomb,,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV. 


2*? 


SIGNORE    DI    MANTOVA  347 

difese  del  suo  signore,  ma  perchè  era  ignaro  di  ciò  che  poteva 
essere  avvenuto  in  Mantova  durante  la  sua  assenza,  dovette  tor- 
narsene indietro  assai  male  soddisfatto  della  sua  ambasceria. 

Tornato  a  Mantova  trovò  che  le  notizie  riportate  alFimpera- 
torc  erano  false,  e  fu  deciso  che  ripartisse  subito  a  tranquilliz- 
zarlo e  ad  annunziargli  che  quanto  al  giuramento  di  fedeltà  an- 
drebbe fra  breve  a  prestarlo  a  nome  del  Gonzaga  lo  stesso  conte 
Carlo  da  Prato  (i). 

L'imperatore  si  rabbonì,  e  quando  nell'aprile  seguente  fece  tre- 
gua con  Venezia,  vi  volle  compreso  come  suo  amico  anche  il  si- 
gnore di  Mantova  (2).  E  al  frate,  in  prova  di  sua  particolare 
soddisfazione  dell'opera  di  lui,  conferì  la  nomina  di  suo  consi- 
gliere per  le  cose  d' Italia. 

L'andata  del  conte  Carlo  a  prestar  giuramento  all'  Imperatore 
ci  è  prova  sicura  che  il  Gonzaga  era  stato  dichiarato  maggiorenne. 
Infatti  più  sopra  abbiamo  veduto  che  frate  Gaspare  nel  suo  primo 
viaggio  aveva  incarico  di  scusare  il  suo  signore  presso  Sigismondo 
se  non  aveva  ancora  mandato  a  prestargli  giuramento  di  fedeltà, 
e  la  scusa  doveva  fondarsi  sul  fatto  ch'egli  era  ancora  minorenne 
e  perciò  dipendeva  dall'autorità  de'  suoi  tutori  nemici  dell'im- 
peratore. Ora  se  nel  principio  del  141 3  fa  annunziare  all' im- 
peratore il  prossimo  arrivo  del  suo  primo  ministro  a  prestare  in 
suo  nome  quel  giuramento,  è  chiaro  ch'egli  era  fuori  dell'autorità 
dei  suoi  tutori  ;  e  come  col  primo  di  giugno  del  141 2  egli  entrava 
nel  suo  diciottesimo  anno,  molto  probabilmente  o  allora  o  poco 
appresso  ^li  fu  dichiarato  maggiorenne. 

Il  conte  Carlo  trovò  l'imperatore  a  Udine,  e  in  quella  città 
gli  prestò  solennemente  giuramento  di  fedeltà  a  nome  del  Gon- 
zaga, come  Vicario  imperiale.  L'imperatore  fu  largo  al  conte  di 
quanti  privilegi  seppe  domandargli  pel  Gonzaga,  per  sé,  per  altri, 
solo  quanto  al  titolo  di  marchese  chiesto  per  Gianfrancesco  eluse 
la  domanda  dicendo  di  non  poterlo  fare  prima  della  sua  incoro- 

(i)  •  Propter  hoc  deliberaium   fuit  quod  tercio   reverterer  ad    Im- 

*  pcratorein et  sic  recessi  tertia  vice   et   debebam   reverti    infra 

■  XXV  dies  ut  dom.  Karolus  iret  ad  eum....  veni  ad  eum  circa  medie- 
**  tatem  februarii  anni   preteriti  millesimo  CCCC  13^  „  Ibid. 

(2)  Sanuto,  op.  cit,  p.  880.  Frate  Gaspare  si  dà  vanto  che  fu 
opera  sua  se  il  Gonzaga   fu   compreso  in   quella  tregua  :  **  Feci    quod 

*  dominus  meus  fuit  in  tregua.  „  Dalla  cit.  Relan, 


348  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

nazione.  Il  conte  Carlo  alla  sua  volta  gli  si  obbligò  di  sborsare 
per  suo  conto  nelle  mani  del  conte  Bertoldo  cinquemila  ducati 
quando  questi  venisse  a  Mantova  con  le  sue  genti,  dei  quali  denari 
si  sarebbe  poi  rifatto  su  quelli  che  dovevano  essere  poi  pagati  per 
tributo  all'imperatore  dai  feudatari  (i).  Quando  e  perchè  do- 
vessero venire  codeste  genti  non  è  detto  nella  relazione  del  frate, 
ma  certo  riguardavano  la  discesa  che  Sigismondo  meditava  di 
fare  in  Italia  e  che  fece  poco  dopo. 

Tornato  a  Mantova  il  conte  Carlo  si  volse  tutto  a  rinforzare 
con  altri  appoggi  i  buoni  principi  della  sua  sperata  fortuna.  Il 
3  di  aprile  conchiudeva  a  nome  del  Gonzaga  una  lega  con  Ca- 
brino Fondulo,  signor  di  Cremona,  fervente  ghibellino  ;  e  il  13 
dello  stesso  mese  si  faceva  autorizzare  a  conchiudeme  un'altra 
coi  duchi  e  i  principi  d'Austria  (2).  Di  che  tenore  fosse  la  lega 
con  costoro,  e  se  si  facesse,  non  sappiamo,  perchè  non  trovasi  che 
l'autorizzazione  a  farla  Della  lega  con  Cabrino  esiste  l'istrumento 
originale,  ma  nella  più  parte  è  guasto  dall'umidità  e  corroso  dai 
sorci.  Vi  si  vede  però  benissimo  che  Mantova  assumeva  robbligo 
di  mantenere  per  cinque  anni  cinquecento  lancie  pronte  a  scendere 
in  campo,  e  che  in  caso  di  guerra  fornirebbe  al  Cremonese  quanti 
soldati,  galeoni  e  navigli  potessero  occorrergli.  Che  cosa  Cabrino 
dovesse  alla  sua  volta  dare  al  Gonzaga  non  mi  è  stato  possibile 
leggerlo.  Nel  processo  che  si  fece  in  seguito  contro  i  conti  da  Prato 
fu  richiamato  in  atto  d'accusa  anche  il  fatto  di  questa  lega,  e  un 
testimonio  affermò  che  essa  era  stata  fatta  in  vista  degli  interessi 
dei  fratelli  da  Prato  (3). 


(i)  "  Venit  dominus  Karolus  Utinum  ad  praesenciam  imperatoris.... 
"  fecìt  obedientiam  et  juramentum  fidelitatis  in  manibus  imperatoris 
"  in  persona  domini  nostri  magn.  multum  solemniter  ....  obtinuit  pri- 
"  vilegia ....  etc.  Marchionatum  de  Mantua  non  obtinuit,  quia  Rex  dixit 
"  non  posse  quovis  modo  ante  coronationem  suam,  sed  post  faceret  prò 
"  domino  quidquid  posset  prò  eo....  „ 

"  Item  promisit  imperatori  dare  corniti  bertoldo  quinque  millia  et 
"  quingentos  ducatos  quum  veniret  Mantuam  ciim  gentibus  suis,  quos 
"  debebat  recipere  ipse  dom.  Karolus  postea  de  pecuniis  dandis  per 
"  dominos....  j.  Dalla  cit.  Relaz, 

(2)  Arch.  Gonz.  B.  XXVI. 

(3)  "  Quando  fu  fata  la  liga  cum  el  signore  de  Cremona,  ave  re- 
"  sonamento  miser  Carlo  cum  lor  frateli  digando....  et  sicché  conclusono 


SIGNORE   DI   MANTOVA  349 

Una  circostanza  non  indegna  di  essere  ricordata  della  lega  con 
Cabrino  Fondulo  è  questa,  che  essa  fu  conchiusa  nel  palazzo  del 
Gonzaga  alla  presenza  di  un  rappresentante  dell'imperatore  ;  ciò 
die  mostra  chiaramente  l'intima  unione,  a  cui  si  mirava,  dei  due 
stati  sotto  le  ali  dell'impero  (i).  E  non  può  esser  dubbio  che 
anche  la  lega  col  duca  d'Austria  non  tendesse  al  medesimo  scopo. 

hatanto  Gianfrancesco  nella  sua  giovanile  spensieratezza,  pa- 
reva trascinato  dal  suo  destino  a  mettere  sempre  più  in  vista  agli 
occhi  dei  Mantovani  il  nome  e  la  potenza  del  conte  Carlo,  ed 
^li  sempre  più  sottrarsi  al  loro  sguardo,  e  ritirarsi  nell'ombra. 
L'ultimo  di  gennaio  di  quest'anno  141 3,  col  pretesto  ch'egli  spesso 
doveva  allontanarsi  dalla  città  e  anche  dallo  stato,  tornò  a  no- 
minare il  conte  Carlo  suo  luogotenente  con  pieni  poteri,  ordi- 
nando a  tutti  i  pubblici  ufficiali  di  obbedire  agli  ordini  e  comandi 
di  lui  come  a*  suoi  propri  (2).  Il  16  aprile  rimise  nelle  mani 
del  conte  Stefano,  fratello  di  Carlo,  che  era  allora  podestà  di 
Mantova,  tutti  i  poteri  speciali  che  in  materia  giudiziaria  secoiìHo 
gli  Statuti  erano  riservati  al  principe  (3).  E  cosi,  come  Tauto- 
ntà  militare  era  già  nelle  mani  del  conte  Francesco,  e  la  politica 
in  quelle  del  conte  Carlo,  affidando  ora  la  giudiziaria  al  conte 
Stefano,  Gianfrancesco  rimetteva  nella  sola  famiglia  da  Prato 
tutto  il  potere  dello  Stato. 

Pareva  che  la  fortuna  avesse  preso  il  conte  Carlo  per  mano, 


'  de  fare  chel  magn.  et  excel,  nostro  signore  fesse  la  ditta  liga  più  per 

*  so  bene  de  loro   che  per  bono  del  magn.   et   exc.   nostro   signore,  e 

*  così  fu  fato.  I,  Dep.  di  Benvenuto  de'  Pegorini. 

(i)  Il   Trattato   con   Cabrino   fu  fatto  •  in  camera   superiori  pietà 
'  ad  compassus,  in  qua  presentialiter  residet  magn.  dom.  Hugo  de  Her- 

*  noust  consiliarius  et  procurator  dom.  Sìgismundi  regis  Romanoruni 
'  posita  in  palatio  habitationis  magnifici  domini  Man  tue.  „  Arch.  Gon- 
zaga B.  XXVI. 

Quest'Ugo  era  un  rappresentante  speciale  di  Sigismondo,  mandato 
di  quei  giorni  al  Gonzaga  come  si  ha  dal  racconto  di   frate   Gaspare  : 

*  Et  sic  recessi  tertia  vice  et  debebam  reverti  infra  XXV  dies  ut  dom. 
■  Karolus  iret  ad  cum  [imperatorem]  cum  domino  Hugone  de  Her- 
**  noust,  quem  ego  reperì  in  palacio  domìni  nostri  magnifici.  » 

(a)  *  piene  pareant  ed  efficaciter  obediant  tanquam  nobis.  „  Libro 
dei  Decreti^  F.  II,  io.  V  append.  n.  11. 
(3)  Ibid.,  V.  append.  n.  12. 


350  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

e  volesse  condurlo  essa  stessa  direttamente  al  pieno  conseguimento 
de'  suoi  desideri. 

Un  improvviso  intoppo  gettò  il  turbamento  in  mezzo  alla  le- 
tizia di  così  prosperi  eventi.  Si  è  detto  che  Sigismondo  era 
stato  largo  al  conte  Carlo  di  quanti  privilegi  seppe  doman- 
dargli, tranne  la  nomina  di  Marchese  al  Gonzaga.  Ora  quando 
i  richiesti  privilegi  arrivarono  a  Mantova  si  trovò  che,  oltre 
al  volerli  far  pagar  troppo,  non  erano  distesi  nella  pie- 
nezza di  concessione  come  si  era  promesso  ;  onde  furono  ri- 
mandati per  le  necessarie  correzioni  (i).  Ma  mentre  si  atten- 
deva che  ritornassero  allargati  e  modificati  secondo  le  pri- 
mitive promesse,  ecco  arriva  invece  l'avviso  che  1*  imperatore 
era  in  gravissimo  sdegno  contro  il  Gonzaga  e  contro  il  suo  mi- 
nistro, accusandoli  di  aver  disprezzato  i  suoi  privilegi,  aver  man- 
cato ai  patti  giurati,  non  tenuto  fede  alle  loro  promesse. 


111. 


Ma  a  questo  punto  il  racconto  comincia  ad  intrecciarsi  con  gli 
avvenimenti  d'altre  parti  d' Italia  ;  e  però  è  necessario  dar  prima 
uno  sguardo  a  questi  per  intendere  la  ragione  delle  cose  che  si  do- 
vranno dire. 

In  Italia,  ai  tempi  di  cui  discorriamo,  l'autorità  pontificia  era 
divisa  fra  i  papi  Gregorio  XII  e  Giovanni  XXIII  ;  ma  il  vecchio 
Gregorio  era  sopraffatto  dall'attività  e  dalle  arti  dell'astuto  Gio- 
vanni, e  abbandonato  da  tutti,  anche  dalla  sua  Venezia,  fu  ridotto 
a  non  avere  altro  rifugio  che  la  piccola  città  di  Rimini,  né  altro 
protettore  che  Carlo  Malatesta.  Ma  questi  per  nulla  sbigottito  del 
comune  abbandono,  vero  cavaliere  dei  deboli,  lottò  instancabile 
per  la  difesa  di  quel  vecchio  ottuagenario,  prima  con  le  pratidie 
politiche  e  poi  arditamente  con  le  armi.  E  si  stava  appunto  com- 
battendo tra  lui  e  le  truppe  del  papa  Giovanni  XXIII,  quando  l'in- 
tervento dell'imperatore  Sigismondo  aprì  finalmente  la  via  per 


(i)  •  Ipsa  privilegia  non  fuerunt  recepta  tuoi  quod  non  fuerunt 
"  visa  bene  piena  tum  quod  petebatur  nimis  magna  summa  pecuniarum 
*  prò  eis.  Unus  Johannes  Kierchen  reversus  ad  imperatorem  reportavit 
"  ea  ut  ipsa  reaptaret.  ,  Dalla  cit.  Relae. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  35 1 

togliere  dalla  Cristianità  quello  scandalo.  La  nomina  ad  impera- 
tore, che  cadde  come  abbiamo  veduto  nel  141 1,  lo  chiamava  a  cin- 
gere la  corona  imperiale  in  Roma  per  mano  del  sommo  pontefice, 
ma  da  quale  dei  due  papi  si  fosse  fatto  incoronare,  restava  sempre 
ai  seguaci  dell'altro  e  dell'antipapa  un  appiglio  per  non  ricono- 
scere quella  incoronazione,  e  quindi  disprezzare  la  sua  autorità. 
Tra  per  questo,  e  perchè  era  uomo  di  molta  religione,  e  la  dignità 
imperiale  gli  dava  una  specie  di  diritto  e  di  dovere  di  prendere  le 
difese  della  Chiesa,  così  egli  si  volse  con  tutto  l'impegno  a  voler 
ntoraare  la  pace  nella  Cristianità.  E  come  ciò  poteva  ottenersi 
solo  per  mezzo  di  im  Concilio  generale  di  tutta  la  Chiesa,  stabilì 
di  scendere  appositamente  in  Italia  per  avere  un  colloquio  con 
Giovanni  XXIII,  che  era  il  papa  da  lui  riconosciuto,  per  indurlo 
a  intimare  nella  città  di  Costanza  codesto  concilio.  Per  luogo  di 
convegno  si  scelse  la  città  di  I-odi.  Ma  per  quanto  il  motivo  reli- 
gioso entrasse  per  il  primo  nelle  ragioni  di  quella  sua  discesa, 
non  se  ne  discompagnava  anche  l'intenzione  politica  di  avvantag- 
giarsi delle  debolezze  e  discordie  italiane  a  prò'  dell'autorità  im- 
penale  Per  ciò  che  interessa  la  storia  di  Mantova  sotto  questo 
rapporto,  deve  ricordarsi  lo  smembramento  che  era  avvenuto  dello 
stato  di  Gian  Galeazzo  Visconti.  Cremona  era  venuta  nelle  mani 
di  Cabrino  Fondulo,  Brescia  in  quelle  di  Pandolfo  Malatesta. 
Ma  Pandolfo  non  era  uomo  da  contentarsi  di  Brescia.  Forte  guer- 
riero, ambizioso,  audace,  aveva  già  fatto  sua  anche  la  città  di  Ber- 
gamo, ed  ora  volgeva  lo  sguardo  a  Cremona  non  aspettando  che 
il  momento  opportuno  per  gettarlesi  sopra  e  conquistare  quella 
pure  Intanto  avveniva  che  suo  fratello  Carlo  dava  una  gran  rotta 
all'esercito  ungherese,  ma  rimastovi  malamente  ferito  aveva  do- 
vuto ritirarsi  dal  comando  dell'esercito  veneto.  A  sostituirlo  la 
Republica  chiamò  suo  fratello  Pandolfo,  il  quale  anche  più  di 
Carlo  diede  addosso  agli  Ungheri,  e  fece  prosperare  le  cose  di 
Venezia.  Sospesa  in  seguito  per  una  tregua  la  guerra,  Pandolfo, 
fatto  anche  più  fiero  per  la  nuova  gloria  acquistatasi  contro  gli 
Ungheri,  corse  a  Brescia  e  invase  il  Cremonese  (i). 

La  tregua  tra  Sigismondo  e  Venezia  fu  fatta  il  17  aprile  del 


(i)  A.  Campo,  Storia  di  Cremona,  lib.  Ili,  Milano,  Bidelli,  MDCXLV, 
p.  no. 


352  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

1413  (i):  e  appena  quattordici  giorni  prima,  come  abbiamo 
veduto,  si  era  stretta  la  lega  tra  Cremona  e  Mantova.  Ora  scop- 
piando poco  dopo  la  guerra  di  Pandolfo  contro  Cabrino,  presen- 
tavasi  subito  il  caso  che  Mantova  dovesse  mandare  a  Cabrino  le 
cinquecento  lancie  pattuite  nell'alleanza  e  gli  fornisse  quanti  sol- 
dati, galeoni  e  navigli  gli  potessero  occorrere. 

Mantova  però  non  si  mosse  ! 

Questo  avveniva  appunto  nel  frattempo  che  a  Mantova  si 
aspettava  il  ritomo  dei  privilegi,  che  erano  stati  rimandati  perchè 
fossero  corretti.  Ma  invece  dei  privilegi  giunse  i  avviso  che 
l'imperatore  era  adiratissimo  contro  il  Gonzciga  e  contro  il  suo 
ministro:  i.  perchè  avevano  disprezzato  isuoi  pnvilegi  ;  2.  per- 
chè non  volevano  dare  aiuto  al  signore  di  Cremona  ;  3.  perchè  non 
facevano  guerra  ;  4.  perchè  il  conte  Carlo  non  aveva  dato  al  conte 
Bertoldo  i  denari  promessi  (2).  Lasciamo  la  quistione  del  denaro 
non  pagato  al  conte  Bertoldo,  perchè  a  noi  non  interessa  punto. 
Guardiamo  pmttosto,  se  ci  riesce  scoprire  il  motivo  perchè  Mantova 
non  si  unì  a  Cabrino  per  combattere  Pandolfo.  E  prima  di  tutto 
ricordiamo  che  era  di  tutto  l'interesse  di  Sigismondo  che  Cabrino 
riuscisse  vincitore  e  Pandolfo  fosse  schiacciato,  perchè  tolto  di 
mezzo  questo  egli  era  libero  del  più  fiero  e  terribile  nemico  che 
avesse  in  Lombardia,  mentre  in  Cabrmo,  pel  proprio  interesse  di 
lui,  era  sicuro  di  trovare  il  più  valido  appoggio  del  partito  impe- 
riale da  quelle  parti. 

A  questo  tempo  Carlo  da  Prato  aveva  predominio  assoluto  sulla 
volontà  del  giovane  Gonzaga,  e  però,  volendo,  gli  era  facilissimo 
d'indurlo  dove  e  come  voleva.  E  certo  niuna  cosa  allora  voleva  il 
da  Prato  così  ardentemente  come  stirpar  via  Pandolfo  dalla 
regione  lombarda.  Se  dunque  non  si  mosse  a  far  dare  aiuto  a 
Cabrino,  vi  dovettero  essere  ragioni  assai  forti  che  ne  lo  impe- 

(i)  S.  RoMANiN,  Storia  documentata  di  ygHeaia,  Venezia,  Nara- 
tovich,  1855,  to.  IV,  p.  62. 

(2)  *  Et  post  dies  aliquos  venit  nuncium  quomodo  imperator  erat 
"  multum  turbatus  et  commotus  contra  dominum  nostrum  magnificum 
■  et  dominum  Karolum  propter  ista  : 

■  I.**  quia  spreverunt  dicebat  privilegia  sua 

"  a.**  quia  nollent  dare  subsidium  domino  Cremone 

*  3.*  quia  non  faciebant  guerram  ut  scribebat 

*  4.*  quia   dominus   Karolus   non  dabat  pecunias  ut  promisit  co- 
*  miti.  „  Dalla  cit.  Rfins, 


mmm 


SIGNORE    DI    MANTOVA  353 

dissero.  Quali?  Siamo  nella  solita  oscurità  assoluta.  Il  motivo 
messo  avanti  all'imperatore  e  a  Cabrino  per  iscusarsi  e  difendersi, 
io  penso  che  dovettero  essere  senza  dubbio  le  condizioni  finanziarie 
dello  stato  di  Mantova,  che  da  qualche  accenno  nelle  ambasciate 
del  frate  appariscono  assai  poco  buone  ;  le  quali  condizioni  po- 
tevano farsi  valere  come  impedimento  insuperabile  a  mettere  in- 
sieme in  tanta  strettezza  di  tempo  ciò  che  pochi  giorni  prima,  in 
previsione  di  più  largo  e  comodo  spazio,  si  era  convenuto  nei  patti 
di  voler  fare.  Ma  io  credo  anche,  —  e  creder  credo  il  vero  —  che 
assai  più  delle  strettezze  finanziarie  un  motivo  di  scaltra  previ- 
denza politica  trattenesse  il  conte  Carlo  dallo  scendere  allora  in 
campo  contro  Pandolfo.  La  lega  contro  Cabrino  Fondulo  era  stata 
fatta  mentre  Pandolfo  era  tutto  occupato  nella  condotta  della 
guerra  di  Venezia  contro  1*  Imperatore  ;  ed  io  mi  penso  che  le 
mire  del  conte  Carlo  fossero  di  gettarsi  sulle  terre  di  Brescia  in- 
tanto che  Pandolfo  era  distratto  nella  guerra  veneta  ;  e  allora, 
mancando  a*  suoi  il  suo  braccio  e  la  sua  mente,  era  facile  mettersi 
sotto  i  nemici  e  compiere  la  conquista.  Ma  ora  ch'egli  era  tornato, 
le  forze  unite  di  Cremoiia  e  di  Mantova  potevano  sì  dargli  molto 
da  fare,  ma  erano  ben  lontane  dal  poterlo  schiacciare  ;  e  la  guerra 
tirata  in  lungo  andava  a  risolversi  indubitabilmente  nella  rovina 
totale  della  famiglia  da  Prato,  perchè  Mantova  non  aveva  alcun 
interesse  in  quella  guerra,  e  non  avrebbe  potuto  che  rimpiangere  gli 
uomini  che  vi  si  perdevano  e  il  denaro.  E  sul  publico  malcontento 
avrebbe  avuto  troppa  buona  presa  Paola  Malatesta,  che  certo 
avrAbe  detestato  con  tutta  l'anima  la  guerra  che  l'inviso  ministro 
moveva  a  uno  di  sua  gente.  Poteva  ignorare  il  da  Prato  i  senti- 
menti che  quella  donna  nutriva  contro  di  lui  ?  E  con  Paola  si  sa- 
rebbero uniti  gli  amici  di  Casa  Malatesta,  che  dovevano  essere  non 
pochi  per  le  continue  relazioni  di  quella  Casa  con  i  Gonzaga,  e  per 
la  lunga  fratellanza  d'armi  che  Carlo  Malatesta  aveva  avuto  col 
morto  Francesco  Gonzaga.  Né  certo  i  da  Prato  andavano  liberi 
da  altri  particolari  loro  avversari  in  tanta  potenza  che  si  erano  acqui- 
stata, specialmente  fra  i  Nobili,  che  in  altri  tempi  erano  usi  godere 
degli  utili  e  degli  onori  del  governo,  ed  ora  si  vedevano  messi  da 
parte.  Tutti  costoro  erano  tanti  nuovi  acquisti  per  ingrossare  le  fila 
dei  s^uaci  di  Paola.  Ai  quali  se  con  lunga  e  dispendiosa 
guerra  si  dava  tempo  di  lavorare  sulla  eccitabilità  del  popolo,  e 
•muovere  malumore  e  minaccia  di  tumulti,  era  certa  e  inevitabile  la 


354  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

perdita  del  potente  ministro.  Solo  dunque  in  una  disfatta  completa 
e  sollecita  del  nemico  poteva  sperare  il  conte  Carlo  ;  e  come  que- 
sta  per  il  momento  non  era  né  sperabile  né  possibile,  così  egli  ac- 
cortamente si  tenne  in  disparte,  aspettando  opportuna  occasione 
ai  suoi  disegni.  Intanto  a  dare  spiegazioni  della  sua  condotta  e 
pacificare  Tadirato  imperatore  fu  mandato  per  la  quarta  volta  a 
segreta  ambasceria  l'attivissimo  frate  Gaspare  (i).  L'imperatore 
era  allora  in  viaggio  verso  Y  Italia  e  si  avvicinava  alle  Alpi,  per 
scendere  a  Como. 

Il  frate  partì  il  i  agosto  e  passò  per  Cremona  a  scusare  il  Gon- 
zaga presso  Cabrino.  Ripreso  quindi  il  cammino  aveva  sperato  di 
giungere  all'Imperatore  in  meno  di  otto  giorni,  ma  invece  spese 
nel  viaggio  un  mese  intero  perchè  due  volte  fu  preso,  incarcerato  e 
spogliato.  Non  dice  da  chi,  ma  probabilmente  fu  lo  stesso  Pandolfo 
che  gli  fece  mettere  le  mani  addosso,  messo  in  sospetto  di  lui.  Il 
furbo  frate  però  riuscì  a  cavarsene,  e  il  2  settembre  si  presentò  al- 
l'Imperatore, che  aveva  già  passato  le  Alpi  e  scendeva  alla  volta  di 
Como  (2). 

Ma  qui  il  racconto  di  frate  Gaspare,  un  poco  per  la  scrittura 
e  assai  pifi  per  il  senso,  riesce  inestricabile.  Questo  è  chiaro  che 
l'Imperatore  accettò  le  scuse,  e  offrì  di  prendere  il  Gonzaga  al  suo 
servizio  con  cinquecento  lance  (3).  Ma  in  questo  frattempo  Gian- 
f  rancesco  si  era  impegnato  con  le  sue  genti  al  soldo  di  papa  Gio- 
vanni XXIII. 

Questo  Papa  l'anno  precedente  aveva  ripresa  Bologna,  che  nel 
141 1  gli  si  era  ribellata.  Ora,  nelle  sue  condizioni  di  lotta  con  papa 
Gregorio  XII,  era  per  il  prestigio  del  suo  nome  cosa  di  suprema 
importanza  non  tanto  conservare  quella  città,  quanto  impedire 
che  venisse  nelle  mani  del  suo  avversario.  Bisognava  dunque  as- 
sicurarla potentemente  contro  gli  umori  ribelli  che  sempre  bollivano 
fra  quei  cittadini,  e  più  ancora  contro  le  arti  e  la  forza  di  Carlo 
Malatesta»  che  con  forte  esercito  teneva  leRomagne  per  papa  Gre- 
gorio, e  spesso,  vecchia  volpe  di  guerra,  si  andava  avvicinando  alle 

(1)  *  Et   propter   ista  fui    missus   quarto  ad  impera torem   ad  ista 

•  declaranda  et  reconciliandum  ipsum  imperatorem  ^»  Dalla  cit.  Rtlaz. 

(^2)  Cantì',  Storia  della  città  e  diocesi  di  Como,  lib.  VI,  p.  465. 

(3)  *  Et  ideo  rcmìsit  me    dicendo  quod  erat  bene   contentus  quod 

•  dominus  nostcr  magnificus  acceptaret  et  haberet  quingentas  lances.  „ 
Dalla  cit.  Re/az, 


SIGNORE    DI   MANTOVA  355 

mura  di  Bologna.  Vi  raccolse  dunque  quanti  potè  uomini  ed  armi, 
ed  assoldò  fra  gli  altri  anche  il  signore  di  Mantova.  La  ferma 
presa  col  papa  impediva  al  Gonzaga  di  accettare  il  comando  delle 
cinquecento  lance  offertegli  dall'Imperatore,  e  però  fu  mandato 
per  la  quinta  volta  frate  Gaspare  a  ringraziare  dell'offerta  e  spie- 
gare la  ragione  del  non  poterla  accettare,  e  perchè  la  sua  parola 
avesse  maggiore  efficacia  di  fede,  si  volle  ch'egli  soprassedesse  a 
partire  finché  avesse  veduto  co'propri  occhi  la  partenza  di  Gian- 
francesco  alla  volta  di  Bologna  (i).  Questa  avvenne  il  19  di  ot- 
tobre del  141 3  (2). 

Abbiam  veduto  più  sopra  con  quanta  spensierata  liberalità  il 
Gonzaga  andava  accrescendo  Ininfluenza  e  l'autorità  del  conte 
Carlo  da  Prato.  Ora  partendo  per  Bologna  si  spinse  tant'oltre  in 
questo  abbandono  del  suo  potere  nelle  mani  di  lui,  che,  ancora  un 
poco,  e  non  gli  restava  più  che  cedergli  affatto  il  posto  ed  andar- 
sene In  data  dunque  del  16  ottobre,  tre  giorni  prima  della  sua  par- 
tenza, fece  nuovo  decreto  col  quale  revocava  i  poteri  straordinari 
concessi  in  materia  giudiziaria  al  conte  Stefano  suo  fratello  ; 
quindi,  fatto  grande  elogio  della  lealtà  e  della  prudenza  del  conte 
Carlo,  raccoglieva  nella  persona  di  lui  tutti  i  poteri  dello  stato, 
conferendogli  fino  a  nuovo  ordine  potere  uguale  al  suo,  non  solo 
pel  tempo  che  ^li  resterebbe  a  Bologna,  ma  anche  dopo  ;  non 
solo  quando  egli  fosse  assente  da  Mantova,  ma  anche  se  egli  in 
persona  si  trovasse  nella  città  (3). 

Gli  storici  mantovani  dicono  che  Gian  francesco,  stante  la  sua 
giovane  età,  fu  accompagnato  a  Bologna  nel  comando  delle  sue 


(i)  u  Et  dominus   meus   magnificus   nolluit    quod    ego    recederem 

"  nisi  viderem  ipsum  cum  gentibus  omnibus  primo  recedentem,  ut  pos- 

■  Sem  ex  visu  suum  rccessum  imperatori  refferre.  „  Dalla   cit.   Relaz. 

(2)  "  lòhannes  Franciscus  magnifìcus  Mantuae  dominus  XIX  octo- 

'  bris  capitaneus  papae  lohannis  effectus,  Bononiam    cum  multis  gen- 

*  tibus  adiit.  „  A.  Nerli,  Chron.,  cit.,  p.  1082.  D. 

Nell'Archivio  Gonzaga,  nel  Libro  dei  Decreti,  n.  2,  p.  310  sotto  la 
data  del  30  giugno  1414,  si  ha  la  ricevuta  che  il  Gonzaga  fece  per  mano 
del  suo  secretano  Cristoforo  Arrivabene  al  tesoriere  pontificio  delle 
somme  che  *  pluribus  vicibus  et  diebus  „  ricevette  come  parte  dello 
stipendio  che  gli  era  dovuto  per  il  suo  servizio  e  delle  sue  genti  a 
Bologna. 

(3)  "  Tarn  per  totum  diete  nostre  absentie   tempus  quam   post.... 
parem  habeat  nobiscum  potestatem  tam  nobis  presentibus  quam  ab- 

•  sentibus.  »  V.  append.  n.  13. 


SIGNORE    DI   MANTOVA  357 

logna,  ed  era  tanto  avanti  nella  fiducia  del  papa  ;  —  2.  perchè  il 
Luigi  da  Prato  mantovano  doveva  essere  un  uomo  di  gran  conto, 
come  appunto  appare  quello  di  Bologna,  giacché  vedremo  che  Tim- 
peratore  Sigismondo  domandò  di  averlo  presso  di  sé  con  quante 
più  genti  potesse,  e  quando  non  potesse  con  genti,  pur  di  averlo, 
contcntavasi  andasse  anche  solo  (i)  ;  —  3.  perché  dal  modo  di 
esprimersi  della  Cronaca  di  Bologna  par  chiaro  che  il  Papa  mandò 
per  legato  il  cardinal  Fieschi  a  richiesta  dello  stesso  Luigi  da 
Prato;  e  nel  processo  si  ha  che  il  cardinal  Fieschi  era  parente 
dei  da  Prato  di  Mantova  (2). 

Le  quali  cose  mi  è  parso  dover  qui  notare,  perché  quanto  più 
ingrandisce  la  potenza  e  Tiniluenza  dei  fratelli  da  Prato,  tanto 
aumenta  la  gravità  del  pericolo  che  corse  il  Gonzaga. 

Le  commissioni  di  frate  Gaspare  per  Tlmperatore,  dopo  la 
partenza  di  Gianfrancesco  per  Bologna,  eran  queste  :  —  Ripetere 
le  proteste  d'obbedienza  da  parte  del  Gonzaga  ;  —  Che  questi  co- 
stretto da  necessità  aveva  dovuto  prendere  soldo  col  pontefice  ;  — 
Che  servendo  al  papa  e  alla  Chiesa  credeva  servire  a  lui  e  all'im- 
pero; —  Che  se  avesse  voluto  avrebbe  potuto  essere  nella  parte 
contraria  alla  Chiesa  ;  —  Che  era  sempre  pronto  ad  ogni  comando 
dell'imperatore,  avuta  però  licenza  dal  sommo  pontefice  durante 
la  ferma  che  aveva  con  lui  (3). 

Occorre  appena  avvertire  che  la  necessità  di  prendere  soldo 
presso  il  pontefice  veniva  dalle  strettezze  finanziarie,  per  le  quali 
non  gli  era  possibile  di  mantenere  più  oltre  le  sue  truppe,  A  quanto 
pare  il  conte  Carlo  aveva  aperto  delle  pratiche  con  lo  stesso  impe- 
ratore per  mezzo  del  fratello  Luigi,  ciffinché  prendesse  al  suo  soldo 
il  Gonzaga  con  cinquecento  lance  ;  e  l'imperatore  sarebbe  stato  di- 
spostissimo ad  accettarlo,  ma  quanto  al  pagargli  il  soldo,  la  qui- 
stione  era  molto  dif&cile  a  sciogliersi,  perché  se  il  Gonzaga  era  nel- 
Tasdutto»  poco  meno  di  lui  vi  penava  Sigismondo  (4). 

(i)  *  Scripsit   Luysio   de    prato    quod    iret    personaliter   ad  ipsum 
cum  pluribus  gentibus  quibus  posset  :   saltem  iret  cum  domino  Man- 

•  Ulano.  ,  Dalla  cit.  Relaz.  di  Fra  Gaspare. 

(a)  Dalla  testimonianza  di  un  Enrico  tedesco  (23  marzo  1415)  si  ha 
che  il  conte  Carlo  faceva  pregare  un  suo  fratello  di  latte:  "  quod  mit- 

*  teret  ipsum  recomandatum  Pape    Imperatori   et  cardinali    de  Flisco 
suo  affini.  „ 

(3)  Balla  cit.  Relaz, 

(4)  Sigismondo  per  scendere  in  Italia    aveva    levato    in    Isvizzera 


35^  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

E  cosi  neirincertezza  di  una  decisione,  tardando  da  una  parte 
la  risposta  delFimperatore,  e  premendo  dall'altra  la  necessità  del 
denaro,  il  Gonzaga  colse  l'occasione  che  gli  si  offriva,  e  accettò  il 
soldo  di  papa  Giovanni  XXIII  (i). 

L'imperatore  accettò  lieto  le  scuse  portate  dal  frate,  vedendo 
confermata  la  buona  volontà  del  Gonzaga  a  stare  con  lui,  e  scrisse 
due  lettere  che  lo  stesso  frate  doveva  subito  portare,  una  al  Papa, 
pregandolo  a  voler  dare  licenza  al  Gonzaga  di  passare  con  le  sue 
genti  al  suo  servizio  ;  l'altra  allo  stesso  Gonzaga,  perchè  appena 
avuta  licenza,  andasse  da  lui.  Scrisse  anche  a  Luigi  da  Prato  in- 
vitandolo ad  andare  egli  pure  da  lui  con  quante  più  genti  poteva, 
e  se  non  poteva  con  genti,  andasse  solo  (2). 

Papa  Giovanni  XXIII  era  allora  a  Bologna,  andatovi  il  12  no- 
vembre 141 3,  e  —  «  quando  entrò  in  quella  città...  menarongli  le 
€  redini  il  signore  di  Mantova  con  altri  cavalieri  di  Bolo- 
€  gna  (3).  » 

E*  noto  che  stimavasi  grande  onore  reggere  le  redini  alla  ca- 
valcatura del  Pontefice,  ed  è  naturale  che  trovandosi  il  Gonzaga  a 

parecchie  centinaia  di  soldati,  ma  perchè  non  aveva  modo  di  pagarli, 
lungo  il  viaggio  gli  si  sbandarono  quasi  tutti,  onde  egli  giunse  a  Como 
presso  che  solo. 

(i)  Nella  relazione  di  frate  Gaspare  al  luogo  ricordato  poco  fa, 
di  difficile  lettura  e  più  difficile  intendimento,  si  legge  :  ■  Luysìus  [de 
**  prato]  in  somma  dixit  quod  non  daret  ultra  lanceas  assìgnatas  do- 
"  mino  mantuano  unum  solidum  nìsi  imperator  esset  personaliter  in 
"  mantua  vel  in  bononia.  n 

A  me  pare  che  queste  parole  vogliano  dire  che  presso  Timpera- 
tore,  intermediario  Luigi  da  Prato,  si  facevano  pratiche  perchè  pren- 
desse al  suo  soldo  il  Gonzaga  con  cinquecento  lance,  e  che  V  impera- 
tore facesse  rispondere  a  Luigi  ch'egli  darebbe  le  500  lance  al  giovane 
principe,  ma  non  un  soldo  di  stipendio,  finché  non  fosse  o  a  Mantova 
o  a  Bologna.  E  allora  Luigi  che  era  a  Bologna,  gli  trovò  soldo  presso 
il  pontefice.  Frate  Gaspare  ricorda  ch'egli  non  doveva  toccare  nella 
sua  ambasceria  "  practicam  quam  inceperat  dom.  Karolus  de  prato  prò 
**  magnifico  dom,  nostro,  cum  non  posset  plus  sustinere  gentes  suas,  , 

(2)  •  Imperator  omnia  gratissima  habuit.  Ipse  imperator  primo 
u  scripsit  pape  rogando  ipsum  ut  vellet  sibi  concedere  quod  dominus 
"  magnificus  veniret  ad  eum  cum  gentibus  suis:  secundo  scripsit  do- 
"  mino  nostro  magnifico  quod  habita  licentia....  vellet  ire  ad  euro. 

«  Item  scripsit  luysio  [de  prato]  quod  iret  personaliter  ad  ipsum 
**  cum  pluribus  gentibus  posset:  saltem  iret  cum  domino  mantuano.  » 
Dalla  cit.  Relaz, 

(3)  Cronaca  di  Bologna  in  op.  cit.,  XVIII,  p.  603.  D. 


SIGNORE    DI    MANTOVA  359 

Bologna  fosse  dato  a  lui,  che  superava  di  nobiltà  tutti  gli  altri 
nobili,  il  primo  posto  in  quell'onore. 

Letta  la  lettera  dell'imperatore,  il  papa  negò  di  cedere  il  Gon- 
zaga, dicendo  di  volere  condurlo  seco.  E  infatti,  quando  sulla  fine 
dello  stesso  mese  di  novembre  mosse  alla  volta  di  Lodi  ebbe  il 
Gonzaga  in  sua  compagnia  (i). 

Del  convegno  ira  il  papa  e  l'imperatore  a  Lodi  a  noi  basta  ri- 
cordare che  vi  si  stabilì  di  aprire  il  concilio  a  Costanza  secondo  il 
desiderio  dell'imperatore,  e  che  dalla  stessa  Lodi  furono  datate  le 
lettere  pontificali  che  indicevano  l'apertura  di  quel  concilio. 

Nel  ritornare  da  Lodi  a  Bologna  papa  Giovanni  XXIII  passò 
per  Mantova.  I  tempi  erano  feroci  nelle  passioni,  ma  ferventissimi 
nel  sentimento  religioso,  e  l'arrivo  del  Pontefice  in  una  città  era 
sempre  un  avvenimento  del  massimo  entusiasmo  per  le  popola- 
zioni. E  così  fu  per  Mantova.  E'  vero  che  la  cristianità  era  divisa 
fra  quei  tre  papi,  ma  qui  si  riconosceva  Giovanni  XXIII,  e  la  massa 
dei  fedeli,  senza  sollevarsi  a  tante  disquisizioni  e  distinzioni,  si 
contentava  di  sapere  che  quello  era  il  papa,  per  venerarlo  come 
capo  supremo  della  sua  religione,  Vicario  di  Gesù  Cristo. 

Gianfrancesco,  il  quale  per  natura  era  portato  alla  magnifi- 
cenza, (e  l'età  giovanile  dava  naturalmente  nuova  spinta  a  questa 
tendenza)  preparò  al  pontefice  accoglienza  molto  sontuosa.  La 
fama,  come  suole,  ne  sparse  largamente  la  notizia,  e  la  disse  anche 
più  grande  che  essa  non  era,  onde  tra  per  la  curiosità  di  assistere 
a  codesta  festa  e  pel  desiderio  di  vedere  e  riverire  il  pontefice, 
all'arrivo  del  papa  si  riversò  in  Mantova  tanta  calca  di  gente,  che 
la  città  non  bastò  ad  alloggiare  tutti,  e  la  sera  molti  dovettero 
uscirne  a  cercare  un  ricovero  per  la  notte  nelle  terre  vicine  (2). 
Il  papa  entrò  in  Mantova  il  16  gennaio  1 414  e  vi  stette  fino  al  15 
del  successivo  febbraio  (3)  ;  ed  erano  con  lui  13  cardinali,  e  tutto 
Io  splendore  della  corte  romana  (4). 

(i)  «  Ipse  [papa]  immediate  dixit:  ego  vollo  dominum  Mantuae 
"  prò  meutveniat  mecum....  Et  ita  fuit  papa  Laude  et  dominus  noster 
«  com  eo.  ,  Dalla  cit.  Relaz^ 

Gli  storici  mantovani  qui  pure  si  sbizzarriscono  a  raccontare  me- 
raviglie dei  servizi  resi  dal  loro  signore  al  papa  e  all'imperatore. 

(2)L.  C.  Volta,  Storta  di  Mantova,  Mantova,  Agazzi,  MDCCCXX  VII, 
lib.  VII,  p.  96. 

(3)  «  Octavo  autem  anno....  (1414)  XVI  januari  lohannes  papa  de 
*  Cremona  Mantuam  venit,  ex  qua  recessit  XVI  febriiarii  sequentis.  „ 
Nkrli,  Chron,  in  op,  cit.  XXIV,  p.  1082  E. 

(4)  DoNESMONDiy  Storia  ecclesiastica  di  Mantova,  lib.  V,  p.  359. 


360  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

Dopo  il  convegno  di  Lodi  il  Gonzaga  era  tornato  a  Mantova 
per  preparare  l'accoglienza  al  sommo  pontefice,  intanto  che  questi 
s'intratteneva  con  l'imperatore  a  Cremona  (i).  Anche  frate  Ga- 
spare era  tornato  da  Lodi  a  Mantova,  ma  fu  fatto  ripartire  alla 

volta  di  Cremona,  apparentemente  per  informare  il  Gonzaga  del 
giorno  preciso  che  il  papa  partirebbe  per  Mantova,  in  sostanza  per 
continuare  le  sue  pratiche  con  l'imperatore,  e  vegliare  all'utilità 
e  vantaggio  dello  stato  mantovano  (2). 

Dice  il  Volta  che  Giovanni  XXIII,  per  testimoniare  al  Gonzaga 
il  suo  gradimento  delle  festose  accoglienze  fattegli,  gli  diede  l'in- 
vestitura d'Ostiglia,  Villimpenta,  Poletto  ed  altri  luoghi,  toglien- 
dole al  monastero  di  S.  Zenone  di  Verona  che  li  aveva  in  pos- 
sesso (3).  La  cosa  avvenne  molto  diversamente.  Il  Gonzaga  te- 
neva già  da  molto  tempo  quei  luoghi  dai  monaci  di  S.  Zenone, 
pagando  loro  in  censo  annuo  quattrocentoquattro  mine  di  fru- 
mento. Ma  l'enfiteusi  era  vicina  a  scadere.  Or  egli  trovandosi  a  Bo- 
logna a  servizio  del  Pontefice,  pensò  di  trarre  profitto  delle  buone 
disposizioni  che  il  papa  gli  dimostrava,  e  gli  domandò  che  volesse 
cambiargli  in  perpetua  l'enfiteusi  a  tempo  che  aveva  in  quei 
luoghi,  e  gli  diminuisse  a  sole  duecento  mine  di  frumento  le  quattro- 
centoquattro che  fino  allora  aveva  pagato.  E  il  papa,  a  cui  tornava 
assai  conto  tenere  il  Gonzaga  legato  alla  sua  causa,  facendo  il  ge- 
neroso con  la  roba  altrui,  in  data  23  novembre  del  141 3  gli  rila- 
sciava un  breve  secondo  la  sua  domanda,  dichiarando  di  conce- 
dergli la  richiesta  enfiteusi  e  la  diminuzione  del  censo  anche  senza 
la  licenza  o  il  consenso  dell'abate  e  dei  monaci  di  S.  Zenone,  e  di 
chiunque  altro  (4). 

(Continua),  F.  I'akducci. 


(1)  Volta,  op.  cit,  lib.  VII,  p.  97. 

(2)  *  Recessimus  de  Laude  et  venimus  Mantuam,...  post  recessum 

■  dominus  meus voluit  ut  irem  usque  Cremonam   ut  informarem  de 

**  adventu  suo  [del  papa].... 

■  Item  videretn  si  pax  vel  tregua  fieret  inter  dominium  venetum ..., 

*  et  quod  dominus  noster  non  esset  exclusus.  ,  Dalla  cit.  Rela», 

(3)  Volta,  op.  cit.^  lib.  VII,  p.  97. 

(4)  •  Etiam  absque   abatis   et   conventus  dicti   monasterii    aut   ali- 

*  orum  quorumcumque  licentia  vai  consensu.  ^  V.  app.  n.  13.' 


NOMI  LOCALI  LOMBARDI  <*^ 


.AAaa</C/c(i  )  '  '^^^  vv€>e-^< 


I.  Mugglò.  ,  ,         , 

(W  due  i  luoghi  che  portati  questo  nome  :  un  comune 
vicino  a  Monza,  e  ima  frazione  del  comune  di  Albate 
in  provincia  di  Como.  La  più  antica  forma  del  nome 
è  Ameglao,  cui  segue  più  tardi  Megloe  (i),  e  paion  riferirsi,  l'una 
e  laltra  forma,  al  Muggiò  di  Monza. 

Due  quistioni  son  da  risolversi  a  proposito  di  questo  nome  : 
quella  delia  base  radicale,  e  quella  della  desinenza.  Intorno  al- 
luna e  all'altra  ebbero  ad  esprimere  il  loro  pensiero  due  autorevo- 
lissimi studiosi  :  il  Flechia,  Di  alcune  forme  dei  nomi  locali  dell'I- 
talia superiore,  p.  ii  n,  e  il  Meyer-Liibke,  Die  Betonung  im  Gal- 
lischen  (Estr,  dai  Contoresi  dell'Accademia  di  Vienna,  CI.  sto- 
rico-filologica, voi.  CXLIII),  p.  55.  Il  Flechia  paragona  Ameglao 
ai  nómi  gallici  come  Milhau,  senza  però  pronunciarsi  intorno  alla 
origine  di  Milh-y  e  lasciandoci  anche  il  dubbio,  in  fondo,  se  il  pa- 

(i)  V.  Cossa,  Dì  alcuni  luoghi  abitati  nell'agro  mil.  e  com.  che  dal 
medioevo  in  poi  cambiarono  nome  o  più  non  esistono  in  Giornale  del- 
ibisi, Lomb.,  HI,  185 1,  p.  6.  —  L'epitesi,  meramente  grafica,  dell'-^^  in 
Megloe,  Fenegroff  ed  altri  (Caloe  Calò,  Bechaloe^  in  questo  Archivio, 
a.  1900,  p.  322,  che  si  ragguaglierà  certo  a  un  Beccalo)  e  Beccalo  si 
legge  infatti  nell*  Indice  del  Giulini  *,  VII,  25),  si  rivede  anche  nei  testi 
volgari  lombardi  dell'età  di  mezzo  (p.  es.  amigoe  amicò,  ecc.,  in  Be- 
scapè,  Keller,  Die  Reimpredigt  des  Pietro  da  Barsegapè,  p.  23)  ed  è  da 
attribuire  ad  una  falsa  ricostruzione.  Come  cioè  doveva  dirsi  /ro,  frode, 
e  si  scriveva  froe,  come  verilà,  virtù  venivan  ricostrutti,  per  giusta 
tradizione  etimologica,  in  veritae,  virine,  cosi,  estendendosi  falsamente 
il  vezzo,  si  venne  ad  aggiungere  -^  anche  a  tali  voci  ossitone  cui  esso 
per  nessuna  ragione  spettava. 

(*)  Trattandosi  di  un  lavoro  di  natura  del  tutto  speciale  si  sono  ab- 
bandonate per  eccezione  qui  le  regole  tipografiche  adottate  per  V Archivio. 

La  Dn^EzioNE. 

Arck.  Star.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV.  34 


362  NOMI   LOCALI   LOMBARDI 

ragone  non  sia  istituito  in  primo  luogo  per  la  desinenza.  Il  Meyer- 
Liibke  va  più  in  là,  non  s'accontenta  di  porre  Muggiò  sulla  stessa 
dere  se  non  si  presenti  una  più  ovvia,  una  più  casalinga  dichiara- 
stula  addirittura  e  per  questi  e  per  quelli  la  base  Aemilius.  Que- 
sta conviene  certo  alle  forme  galliche,  ma  va  assolutamente  ricu- 
sata per  il  nome  lombardo,  poiché  qui  da  /;  non  si  poteva  venire  a 
gg(i),  naa  solo  a  ;,  onde  la  giusta  risposta,  prescindendo  per  ora 
dalla  desinenza,  che  in  Lombardia  avrebbe  trovato  Milhau,  sa- 
rebbe stata  *  Mijò,  poi  *  Mjò  (cf.  mjò  migliore,  fjo  figliuolo)  ;  e 
viceversa,  perchè  il  ll(i)  o  Ih  della  Gallia  potesse  corrispondere  al 
gg(i)*  lombardo,  occorreva  fosse  un  ll(i)  risalente  al  lat  -ci-  (frane 
or  etile  =  lomb.  ori  già).  Questo  deve  aver  sentito  il  Flechia, 
quando  si  astenne  dal  postulare  una  base  comune  per  i  termini 
galli  e  lombardi,  che  a  lui  pareva  di  non  dover  considerare  come 
cosa  diversa.  Ma  scindere  dovrem  pure  i  nomi  gallici,  che  certo 
rispecchiano  AEMILIUS,  dal  lombardo.  Questo  altro  non  sarà  che 
uno  dei  tanti  derivati  dal  lat.  META  (i),  o  meglio  dal  diminutivo 
METULA  (2).  A  questa  base  radducevo  io  già  (Romania  XXVIII 
99-101)  la  voce  mucchio  (lomb.  mùCy  e  mugid),  e  confortavo,  tra 
altro,  il  mio  etimo  col  bresciano  mécol  mucchio,  1.  e,  p.  100  n.  Un  al- 
tro bel  conforto  le  viene  appunto  dagli  antichi  Ameglao  Megloe 
contrapposti  a  Muggiò,  Il  qual  Muggiò  andrà  dimque  coi  nnll. 
Muggio,  Muggiasca  (in  valle  di  Muggiò),  Muggiasco  (Lecco  e  Ber- 
gamo), Mugcna  (Lugano),  Muggiano  (Milano  e  Novara),  ecc 

Quanto  airelemento  derivativo,  s'accordano  il  Flechia  e  il 
Meyer-Liibke  nel  ravvisare  neir^^,  onde  poi  ò  (3),  im  -avo  da  man- 
darsi coir-tfz;^  di  Andecavo  Pictavo,  ecc  (v.  Meyer-Liibke,  o.  e, 
PP-  54-5)»  ^"^àt,  il  francese  ha  -ou  (Anjou,  Poitou,  ecc).  Alla  quale 
affermazione  devo  io  opporre  ch*è  in  ogni  modo  troppo  assoluta  ; 
che  la  presenza  del  derivativo  -avo  nei  territori  cisalpini  non  con- 
sta per  nessun  esempio  sicuro,  e  che,   per  quanto   in  massima 

(1)  Cfr.  Meda  (^Monza),  Mede  (Mortara),  Medole  (Brescia),  Medassino 
(Voghera),  Meda-lunga  (Lecco).  Molto  verosimilmeute  rivengono  alla 
stessa  base  il  bologn.  e  lucch.  Medicina;  v.  però  Pieri,  Topon.  del  Scr- 
chio  e  della  Lima,  183. 

(2)  Questa  base  anche  nel  soprasilv.  mtgliàk,  Huonder,  Vok.  von 
Disentis,  §  9,  in  nota. 

(3)  L'  -ò  si  ragguaglierebbe  cioè  a  quello  di  Nicolò  =  Nicolao,  del 
vcn.  Aimorò  Ermolao,  e  forse  di  Bamaòò,  che  sarà  •  Barnabà(s)  *  Bar 


NOMI   LOCALI   LOMBARDI  363 

possibile,  non  è  buon  consiglio  rammetterla  in  base  a  una  voce 
più  che  problematica,  e  per  la  quale  corre  prima  l'obbligo  di  ve- 
dere se  non  si  presenti  una  più  ovvia,  una  più  casalinga  dichiara- 
zione: 

Questa  più  casalinga  spiegazione  io  credo  di  averla  trovata, 
ed  essa  ci  porta  ad  -dio,  onde  Ameglao   altro   non   sarebbe  che 
'ammucchiato*.  Può  parere  strano  che  già  s'ammetta  pel  sec.  X, 
—  che  a  tale  età  risalgono  gli  esempi  di  Ameglao,  —  la  espun- 
zione del  -/-  ;  ma  la  cosa  parrà,  credo,  ad  ognuno  più  ovvia,  ove 
si  muova  non  dalla  normale  soppressione  del  -/-,  ma  da  quella 
che  poteva  aversi  nel  caso  speciale  di  un  suffisso  avente  una  spic- 
cata funzione  morfologica  ;  quella  riduzione  che  vediamo  oggidì 
compiersi  appunto  in  -àio,  ridotto  a  -ti  od  -(J,  anche  in  dialetti  che 
nonnalmente  conservano  il  -a?-,  succedaneo  di  -/-,e  che  ha  il  suo  pre- 
ciso riscontro  nella  soppressione  del  -/-  di  -ATis  ecc,  indicat  pres., 
e  di  -ATE  ecc,  imperat,  in  dialetti,  come  il  bergamasco  e  gli  emi- 
liani, che  solitamente  conservano  il  -/-,  e  trova  un  riscontro  ana- 
logico nella  riduzione   ad    -à   che   subisce    la    desinenza   infini- 
tivale -ARE  pure  in  dialetti  centrali  e  meridionali  che  altrimenti 
punto  non  sopprimono  il  -re,  e  dove,  da  altare  mai  non  si  ver- 
rebbe ad  *  alta,  nonché  nella  desinenza  d'imperfetto  -éa  ecc.,  dif- 
fusa per  lingue  e  dialetti  che  rispettano  il  -v-.  —  Altri  esempi  di  un 
tale  -do  sono  Fenegrao  (Monum.  H.  P.,  XIII,  doc.  846,  ann.  988  ; 
e  la  forma  ritoma  in  un  apografo  del  sec.  XI  di  un  docum.  del  995) 
per  il  moderno  Fenegrò  (Como),  e,  particolarmente  probanti  que- 
sti, Turao  e  Musao  (Mon.  H.  P..  XIII  doc.  i.)  (i)  per  i  moderni  Tu- 
fate  e  Mozzate  (2),  che  ora  suonano  in  Lombardia  Turda  e  Mozda, 
ma  dove  il  -/-  della  forma  aulica  sarà  di  schietta  tradizione  etimo- 
logica. 

Circa  alla  riduzione  in  -ò  di  questo  -do,  esso  è  fenomeno  noto 

(i)  n  docum.  è  deira.  712,  ma  si  tratta  di  copia  del  sec.  XII. 

(2)  Il  docum.  519"  (a.  926;  autografo)  dei  Mon.  H.  P.,  XIII,  ha  un  Mor- 
cao,  nel  quale  nome  Teditore  ravvisa  Marcò  sul  lago  di  Lugano.  Egli  avrà 
certamente  ragione,  se  nel  (prima)  Calauna  dello  stesso  documento  si 
deve  riconoscere  Carena,  villaggio  assai  vicino  a  Marcò,  riconoscimenio 
a  cui  invero  nulla  s'oppone.  ~  Siccome  io,  Ball,  st.  d,  Svize.  it,,  XX,  40, 
spiegavo  -co  per  *  capo  „,  e  questa  dichiarazione  trae  conforto  dalla 
topografia,  così  in  -cao  riconosceremo  viva  la  fase  necessariamente 
anteriore  di  questo  -fd,  fase  che  forse  si  tramanda  fino  ai  nostri  dì 
nel  Morcó  (falsamente  ricostrutto  in  Marcate),  che  è  nome  d'una  punta 
di  terra  nel  Lario,  ed  è  nota  a  tutti  grazie  al  cap.  5*  del  Marco  Visconti. 


364  NOMI   LOCALI   LOMBARDI 

nella  regione  alpina  lombarda  (v.  La  Lettura  I  721)  e  nel  dialetto 
pavano,  e  i  nomi  locali  ci  ajuteranno  appunto  a  riconoscerne  il 
più  ampio  dominio  suo  nel  passato  della  pianura  lombardo-emi- 
liana. A  p.  41  del  XX  voi.  del  Bollett  stor.  della  Svizzera  ital.,  già 
spiegavo  io  da  *  Populatu  il  lugan.  Povero.  Ma  qui,  V-ò  da  -àtu  ar- 
riva sempre  si  può  dire  sino  alle  porte  di  Lugano.  Più  notevoli, 
come  spettanti  a  territori  che  oggi  più  non  hanno  il  fenomeno, 
sono  i  com.  Muggiò  e  Fenegrò,  il  brianz.  Vigano  (i)  che  sarà  un 

*  Vicanatu  (cfr.  berg.  Vigano^  bellinz.  Vigàna,  ossol.  Viganella 
lug.  -^,  valses.  Viganallo,  ecc.),  e  ritoma  più  in  giù,  come  nome  di 
una  frazione  del  comune  di  Gaggiano  (Abbiategrasso)  (2).  Nella 
provincia  di  Pavia  il  fenomeno  era  comune  fino  a  tutto  il  sec.  XV, 
e  vedine  Boll,  della  Società  storica  pavese,  II  201.  Ne  restan  te- 
stimoni il  vogher.  lo  lato,  e  il  ni.  Remondò  (3)  di  qua  dal  Ticino,  in 
territorio  di  Trivolzio.  Questo  Remondò  ritoma  nella  Lomellina, 
nel  comune  di  Zerbolò  (4),  e  in  compagnia  di  Travacò  (5),  vicinis- 
simo a  Pavia,  di  Gambolò  e  di  Cambiò  (6).  Le  antiche  carte  latine 

(i)  I  documenti  hanno,  per  Vigano,  la  forma  Viganorium  (e  Viga- 
nore\  che  ritengo  essere  delle  ricostruzioni  fatte  sulla  norma  di  rasóo, 
=  rasorio  rasojo,  fióo  fiore,  ecc.  —  Tuttavia,  siccome  i  nnll.  Baraanò  e 
Romano  sembran  celare  degli  antichi  genitivi  in  -orum  (v.  Cossa,  o.  e,  6; 
un  analogo  genitivo  conserva  Pavia  in  S.  Giovan  Dona  chiamato  sempre 
auh'camente  S.  Giovanni  Domnarum,  e  volgarmente  anche  S.  G.  di  dònn\ 
cosi  potremmo  chiederci  se  una  ugual  desinenza  non  fosse  da  ricono- 
scere pure  in  Vigano,  che  al  postutto  potrebbe  anche  rappresentare 
una  formazione  in  -orium  ;  cosi  come  il  vicinon  "  territorio  dei  vicini  , 
degli  antichi  statuti  di  Biasca  (che  si  rivede  nel  ni.  t^isnù  di  Arbedo 
presso  Bellinzona)  può  essere  vicinorum  e  ♦  vicinorium.  —  Circa  all'-d, 
tanto  in  Vigano  che  in  Romano  e  Barbano,  esso  non  sarebbe  regolare, 
dato  •orum  e  'Orium,  ma  si  può  spiegare  dalla  tradizione  scritta  sosti- 
tuita alla  tradizione  orale. 

(a)  Nella  Brìanza,  si  hanno  anche  Calò  (Calodium  nelle  carte;  v.  più 
avanti  le  note  che  rig^ardan  Rhò  e  Salò)  e  Brusco,  che  ben  potrebbero 
contenere  -<l/o. 

(3)  Si  sarà  detto  prima  di  un  terreno  dissodato,  "  rimondato  ,. 

(4)  Ziròolò  -=.  Gerbulato,  da  »èrb  terreno  non  dissodato. 

(5)  Travacò  =  Travaccato,  da  travóca,  che  a  Pavia  s'adopera  nel 
significato  di  *  edificio  fatto  per  sostenere  un  certo  corpo  d'acqua  che 
serve  per  V  irrigazione  n.  Si  paragona  idealmente  al  ni.  Fossarmaio,  cioè 

*  fosso  armato  „  eh*  è  pure  dì  Pavia. 

(6)  Cambiò  è  *  campo  beato  .,  nelle  carte;  formazione  possibile; 
ma  anche  potrebbe  trattarsi  di  un  ^Cambiato,  d'altra  origine,  cosi  in- 
terpretato etimologicamente. 


NOMI  LOCALI   LOMBARDI  365 

hanno  per  questi  nomi  costantemente  delle  rispondenze  in  -àto  (i). 
Nel  territorio  piacentino,  è  notevole  il  ni.  Seminò  San  Miniato. 

L'origine  di  -do  da  -àto  riman  quindi  la  più  probabile,  per 
quanto  \-ào,  e  quindi  ò^  possa  avere  altre  origini  :  così  da  -àdo  in 
?ò  e  nel  sost  Vòo  di  Vallintelvi  «  solco  o  spazio  tra  campo  e 
campo*»  It.  VADU;  onde  il  ni.  Vòo  (v.  il  Monti,  Voc.  com.)  e 
Vho  (2),  nome  di  un  comune  in  prov.  di  Cremona  (Piadena  ;  chia- 
mato già  S.  Maria  in  Vado),  di  una  frazione  di  Modignano  (Lodi) 
e  di  una  frazione  di  Tortona  ;  —  da  -ago  in  fò  faggio,  It.  FAGU, 
e  nel  parm.  frò  fragola,  It  FRAGU  /  —  da  -avo  -àpo  in  co  capo  (3). 

Nessuna  di  queste  formole  può  far  concorrenza  ad  -àto.  Piut- 
tosto mi  chiedo  se  una  concorrenza  non  poteva  sorgere  da  -àcu,  da 
quel  suffisso  cioè  onde  si  hanno  i  numerosissimi  nomi  locali  in 
'ago,  e  di  cui  v.  il  Flechia,  o.  e,  12  sgg..  Ben  è  vero  che  il  Meyer- 
Liibke  è  alieno  dal  l'ammettere  che  questo  -g-  secondario  possa, 
come  il  primario,  andare  smarrito.  —  Ma  io  credo  che  a  una  tale 
conclusione  si  possa  invece  venire.  Nel  dialetto  di  Venezia,  c*è 

(i)  Da  gente  che  conosce  i  luoghi  ho  che  nelle  parti  di  Gallaratt 
e  Somarate,  questi  paesi  si  chiamano  Galarò,  Samara,  Non  ho  tuttavia 
potuto  constatare,  se  per  avventura  colà  non  sia  -d  la  normal  risultanza 
di  un  à  riuscito  finale.  Non  lungi  da  Galarò,  c'è  Rhò,  che,  giudicato  dal 
punto  di  vista  puramente  lombardo-occidentale,  potrebbe  voler  dire  non 
altro  che  •  arato  „.  Senonchè  c'è  un  Ro  a  Montichiari  (Brescia)  e  un  altro 
a  Copparo  (Ferrara).  A  volerli  giudicare  e  dichiarare  insieme,  mi  par- 
rebbe che  fosse  da  pensare  al  lat.  rapum  (cfr.  il  ven.  rao\  ridotto 
com'è  •  CAPU  in  co,  —  Per  Rhò,  le  carte  latine  hanno  Rode  e  Raude  -do, 
e  queste  forme,  specialmente  l' ultima,  hanno  indotto  gli  studiosi  locali 
alla  fantasìa  che  in  Rhò  fossero  da  riconoscere  i  Campi  Raudii,  Quanto 
a  me,  ra'  accontento  di  notare  che  Pò  è  frequentemente  ricostrutto, 
nelle  carte  latine  di  Pavia,  per  Paudum  -de,  certo  sulla  norma  per  cui 
a  Lo  (cfr.  Los  Lodi,  nel  Crisostomo  pavese)  corrispondeva  Laude,  e 
che,  in  carte  latine  di  Verona  (v.  Cipolla,  Un  amico  di  Cangrande  I  della 
Scala,  p.  46),  la  voce  fò,  faggio,  è  ricostrutta  per  fodum, 

(2)  Uh  di  questa  forma  non  credo  lo  si  debba  al  fatto,  possibile 
certo,  che  un  momento  si  scrivesse  Vaho  (pron.  Vóo),  con  h  indicante 
0  stacco  tra  le  due  vocali  ;  ma  si  spiega  da  una  servile  imitazione  di 
Rho.  E  qui  lo  si  deve,  ognun  capisce,  ai  pedanti  che  pensavano  a  Rhodos, 

(3)  Invece  di  co,  il  mil.  ha  eòo.  La  lunga  e  la  breve  devono  spie- 
garsi dalla  diversa  età  in  cui  ne'  diversi  luoghi  l'-do  di  eòo  s' è  chiuso 
in  "6,  La  qualità  poi  di  quest'd,  a  Milano,  dipende  dalla  sua  quantità  ; 
in  6n  di  parola,  una  lunga  accentata  dovendo  sempre  sonar  chiusa,  e 
una  breve  aperta  (cfr.  póo  poco,  nò  no) 


366  NOMI  LOCALI  LOMBARDI 

aveta  gugliata,  e  questo  aveta  non  si  spiega  che  coH'ammettere 
come  punto  di  partenza  *  avo  ago  ACU  ;  e  questo  *  avo  già  m'in- 
coraggiava (Boll.  st.  d.  Svizz.  it  XXII  97)  a  riconoscere  in  Po- 
schiavo  un  *  POST-LACUM  (cfr.  il  mil.  Poslaghetto).  Si  tratta  in 
questi  due  esempi,  è  vero,  di  -u  limgo,  ma  credo  sia  cosa  fortuita, 
e  in  ogni  modo  non  mancano  gli  esempi  in  condizione  diversa.  Nel 
territorio  pavese,  i  nnll.  Gius  sago,  Gerenzago,  LardiragoMarci- 
gnagOy  Pabiago  suonano  Giussà,  Zerenzà,  Lardirà,  Marsgnà,  Papié, 
e  così  a  Pavia  hanno  Pastura  per  il  Pasturago  di  Abbiategrasso,con 
un  -à  che  par  rispondere  a  -àto,  quasi  si  trattasse  di  *  Giussàte  ecc 
Ma  le  forme  antiche  di  quei  nomi  hanno  costantemente  -aco  -ago, 
concordando  così,  com'è  giusto  che  sia,  colla  moderna  forma  il- 
lustre. Ben  è  vero,  dopo  quanto  è  detto  in  Bollett  della  Soc.  stor. 
pav.  II  196-7,  che  potrebbe  trattarsi  di  una  risoluzione  specifica- 
mente pavese.  Ma  che  anche  altrove,  in  Lombardia,  si  venisse  da 
-àco  -ago  ad  -do,  come  vi  si  veniva  da  -àto,  -àdo,  è  provato  da  ciò 
che  qualche  nome  ci  offra  insieme  -ago  ed  -àte.  Così  il  Monti,  Voc 
Com.,  Appendice  s.  Tonzàa',  dà,  come  riflessi  volgari  di  Ponzate, 
le  forme  Ponzàa  e  Ponza gh.  Ver  curate  dà  il  Giulini  qual  forma  an- 
tica di  Vercurago.  Nello  scritto  del  Cossa  sopra  ricordato,  p.  17, 
si  allega  da  un  documento  del  11 40  un  Certenade  a  pud  S.  Abun- 
tì?iww(i),€  facilmente, soggiunge  il  Cossa,nella provincia  di  Como.i 
Ora,  nell'antico  dominio  comasco,  in  un  territorio  che  jeri  ancora 
spettava  alla  Diocesi  di  Como,  cioè  nel  Luganese,  c'è  appunto  Cer- 
tenago  e,  a  lui  vicinissimo,  Sant'Abbondio.  Il  Coronate  di  Abbia- 
tegrasso,  si  chiamava  anche  Cornago,  e  Coronagum  è  la  forma  dei 
documenti  (v.  Giulini',  VII,  316)  (2).  Corbesate,  frazione  del  co- 

(  i)  Per  -ade,  cfr.  Arbigiadef  Laniade,  Agredade  nel  Giulini  *,  VII  314, 
318,  331,  e  Casirade  =  Castrate  (Treviglio),  Catcinade  =^  Calcinate  (Mar- 
tinengo),  Divelade,  in  docum.  del  990,  973,  959,  ap.  Mazzi,  Corografia 
bergomense,  121,  134,  241.  —  Circa  alla  sostituzione,  meramente  rico- 
struttiva, delF-^  air-o,  v.  Flechia,  Di  alcune  forme  dei  nomi  locali  del- 
V  Italia  superiore,  p.  74  sgg.  È  evidente  che  la  ragione  ultima  è  questa  : 
nella  pronuncia  volgare  -a  (rispettivamente  -ad)  tanto  rispecchiava  -àte 
quanto  -dto  {està  estate,  abà  abate,  mercà  mercato),  e  nel  ricostruire  que- 
sto 'à  si  preferì  il  primo,  forse  per  V  influenza  di  civitate,  o  per  quella 
di  derivati  latini  come  arpinate  ecc.,  che  dovevano  avere  una  certa 
diffusione  fra  i  letterati  medievali,  se  se  ne  poteva  avere,  p.  es.,  ber- 
gontate,  ecc. 

(2)  Neir  Indice  corogr.  del  XIII  voi.  dei  M.  H.  ?.,  si  legge  Cuxadt  = 
CusagOf  ma  a  p.  1078 n.  è  detto:  „   Citxadi  ignoto,    ma  forse  Cusago  ,. 


NOMI    LOCALI   LOMBARDI  367 

mune  di  Bomasco  (Pavia),  che  suona  dialettalmente  Corbsà,  com- 
par  nei  documenti  come  Corbexago,  La  Cronaca  di  Cremona  dal 
MCCCIC  al  MCDXLII,  pubblicata  da  Fr.  Robolotti  nel  i.  voi. 
della  Biblioteca  Historica  Italica,  parla,  a  p.  175,  di  Medolato  del 
bergamascho,  un  nome  che  non  potrebbe  non  corrispondere  a  Medo- 
lago  (i).  In  tutti  questi  nomi,  e  nei  parecchi  altri  che  una  ricerca 
sistematica  certo  riuscirebbe  ad  aggiunger  loro,  non  v'ha  certo  so- 
stituzione di  -àio  -e  a  -ago,  o  viceversa.  V*ha  confusione  tra  Tuno 
e  l'altro  suffisso,  e  questa  confusione  non  si  può  spiegare  in  miglior 
modo  (2)  che  ammettendo  il  confluire  in  -do  (-d)  di  -àto  e  di 
-dco  (3). 

(i)  Di  MedolagOf  v.  il  Flechia,  op.  cit^  44-5,  Mazzi,  Corografia  bergo- 
znense  dei  secoli  Vili,  IX  e  X,  pp.  323-3.  Per  quanto  la  forma  più  an- 
tica (a.  917  ;  Medolaco  nel  952)  sia  Mediolacus  dovrem  pur  riconoscere 
in    questa    non  altro    che  una  introduzione   arbitraria  di  medius;   che 
Medo-  non  può  in  nessun  modo  risalire  a  medio.  Onde  penseremo  me- 
glio a  METULA.  —  Quanto  all'alternare  di  -ago  e  -àio  in  questa  parola, 
esso  prova  certo  meno  che  non  negli  altri  esempi,  trattandosi  di  ter- 
ritorio dove  'àto  non  si  riduce  ad  -oo,  ma,  attraverso  ad(o)  ad  -àt.  Debbo 
tuttavia  ricordare,  che  non  manca,  nella  Lombardia  orientale,  la  riso- 
luzione di  'àio  per  -ào.   Il  saggio  di  Avenone  (Valsabbia-B rescia)  nel 
Papanti,  mi  fornisce  pensa/  {la  pensa/  =»  Pa  pensa/)  pensato  (bis),  e  sco- 
mensa/  cominciato,  che  rispecchiano  un  -avo  da  -ào  (cfr.  tardi/  tardivo), 
e,  nel  femminile,  nàa   andata,   tomàa   ritornata;  il  saggio   di   Trobiolo, 
pure  in  provincia  di    Brescia,  mi  dà   buia  "  buttato  „,  fià  fiato,    e  naa 
andata,  sconsolaa.  Nel  saggio  di  Olmenetta  (Cremona)  :  pensaa  allato  a 
ptrdonnat  e  a  -oda.  —    Gli  esempi  di   Avenone    e   di  Trobiolo,   luoghi 
della  Vakabbia  vicini  a  Sa/ò,  sono   particolarmente  importanti  per  la 
storia  di  questo  nome.  Essi  rendon  lecita  la  domanda  di  sapere,  cioè, 
se  anche  qui  non  s'abbia  un  *  salato  dal  germ.  "  sala  „,  base  frequente 
nella  toponomastica  alto-italiana.  La  forma  più  antica  di  Salò  par  essere 
Salaude  (in  docum.  del  1016  e  del  1186,  ap.  Bettoni,  Storia  della  Riviera 
di  Salò,  IV,  pp.  8,  15),  più  tardi  e*  è  Salodo  e  Salodium  (cfr.  ancora  oggi 
salodiano  di  Salò)  ;   e  si  T  una   che  l'altra   potrebbero  esser   non  altro 
ehe  delle  ricostruzioni,  sul  genere  di  Paude^  fodunt,  di  cui  in  una  delle 
precedenti  note 

(2)  Teoricamente  si  può  certo  pensare  che  da  -ào  si  venisse  a  -avo 
e  quindi  ad  'ago  (cfr.  Vincislago,  Venceslao,  a  p.  180  della  Cronaca 
cremonese  qui  sopra  menzionata).  Ma  se  -avo  veramente  occorre  (v.  una 
delle  precedenti  note  e  Arch,  gioii.  U,  XIV,  239  n)^  non  vedo  che  occorra 
la  fase  -ago,  all'  infuori  del  territorio  pavese  antico  (v.  Bolleit.  della 
Soc,  star,  pav,  II,  197-8),  dove  ha  una  ragione  locale,  e  quindi  potrebbe 
suffragare  solo  gli  esempi  pavesi  come  Gerenzàgo,  ecc.  Pei  quali,  trat- 
tandosi di  territorio  dove  il  -e-  anticamente  si  risolveva  alla  pedemon- 
tana, si  potrebbe  del  resto  anche  chiedere  se  non  rappresentino  questa 
successione  :  -ago  *  -àjo,  *  -do,  -ago, 

(3)  È  così  che  la  doppia  forma  medievale  {Gaitedum  e  Gatlerium; 


NOMI  LOCALI  LOMBARDI  369 

Lascio  da  banda  il  VlCUS  Laevorum  che  è  assolutamente  in- 
sostenibile, e  mi  fermo  alla  proposta  del  Rossi-Case,  non  perchè 
questi  abbia  prodotto  degli  argomenti  validi,  ma  perchè  la  sua  eti- 
mologia ha  avuta  la  fortuna,  come's*è  detto,  di  piacere  al  Meyer- 
Lùbke  II  quale  però,  com'è  naturale,  trova  alquanto  avventurosi 
i  mezzi  dichiarativi  del  Rossi-Case  e  ne  propone  di  più  ragionevoli  ; 
più  ragionevoli  ma  non  meno  artificiosi.  Prescindendo  infatti  dalla 
circostanza  che  il  VlCTUMULAE  di  Livio  è  solo  una  congettura,  per 
quanto  fondata,  e  che  il  VlCTUMIAE  dello  stesso  Livio  difficilmente 
s'identifica  con  VlCTUMULAE  (v.  L.  Schiaparelli,  1.  e,  p.  258),  ri- 
man  sempre  che  la  risposta  normale  lombarda  di  VlCTUMULAE  o 
•  VlCTOMULAE  (i)  sarebbe  stato  *  Viciómol(e)  (a)  con  o  chiuso 
se  si  suppon  breve  Yti  della  prima  base  (3),  con  o  aperto  tutt'al 
più  (4)  se  si  muove  dall*^  breve  della  seconda. 

Ognun  vede  qual  divario  corra  tra  questo  *  Viciómol(e)  e  Vi- 
ghan(o)  ;  e  Thanno  visto,  s'intende,  anche  il  Rossi-Case  e  il  Meyer- 
Liibke,  che  quindi,  a  togliere  le  dissonanze  pongono  in  opera  ogni 
più  potente  ordigno.  Ma  invano,  che  il  g(e)  al  posto  di  c(e)  e  Yé  al 
posto  di  6  non  si  lascian  di  leggeri  sgominare.  —  Per  il  primo  fatto 
non  conosco  io  in  Lombardia  nessun  sicuro  esempio  che  lo  corro- 
bori (5),  e  anche  i  difensori  dell'equazione  non  ne  conoscon  né  di 

(i)  VlCTOMULAE  (con  o  breve)  sarebbe  cioè  suggerito  dall'  Oòtxxó^iXa 
eh' è  ofiferto  da  autori  greci  in  corrispondenza  al  passo  di  Livio. 

(2)  Data  la  sincope  della  vocal  postonica,  si  poteva  anche  venire, 
in  epoca  antica,  a  •  Victumbl(e)  onde  '^Viciombi{e)\  e,  supposta  una  ugual 
sincope  in  tempi  recenti,  si  poteva  averne,  dato  il  fenomeno  vigeva- 
nasco  e  lombardo  di  -/-  in  r,  •  Viciombr{e). 

(3)  Se  lo  si  suppon  lungo,  il  volgare  avrebbe  ù  nella  tonica. 

(4)  Dico  "  tuttalpiù  V  perchè  non  voglio  escludere  la  possibilità  che 
Xó  breve  conservasse  il  suo  carattere  anche  se  seguito  dalla  nasale.  In 
realtà,  ne'  dialetti  della  pianura  lombarda,  Vó  breve  cui  sussegue  una 
consonante  nasale,  si  ragguaglia  a  o  chiuso  (mil.  bon  bonus,  ecc.^  come 
presoti  prigione,  òm  homo,  come  pòm  pomum). 

(5)  n  mil.  lùgiàf  piagnucolare,  deve  risalire,  come  credo  d'avere 
altrove  avvertito,  a  ♦  iucfulare,  o  forse  meglio  a  *  Iugulare  (cfr.  piango^ 
àtri  da  piangere).  Il  com.  rUgi,  eruttare,  si  risente  di  riigi  ruggire.  Il 
blen.  siranogià,  passar  la  notte  fuori  del  letto,  sta  sotto  l' influsso  di 
verbi  in  -ogià  aventi  cattivo  sapore  (cfr.  il  belli nz.  Hnògià  far  lo  scio- 
perato) o  è  stato  fatto  a  noe,  notte,  sulla  norm.  di  oc,  occhio,  ógiada^ 
occhiata,  ecc.  —  A  mio  avviso,  il  miglior  modo  di  difendere  il  ^é)  sa- 
rebbe stato  questo  :  che  il  g{i)  grafico  per  c{f),  tanto  radicato  nelle  con- 


370  NOMI  LOCALI   LOMBARDI 

sicuri  né  di  malsicuri.  Per  il  secondo,  —  meramente  grafico  tanto  a 
giudizio  del  Rossi-Case  che  del  Meyer-Liibke,  —  sfido  pure  a  tro- 
varmi un  secondo  esempio.  Uo,  —  poiché  di  o  si  tratterebbe,  —  non 
era  certo  ignoto  ai  nostri  antenati  del  M.  E.,  e  possiamo  ragionevol- 
mente credere  che  i  molti  nomi  locali  di  oscura  ragione  etimologica  i 
quali  contengono  un  o,  già  avessero  questo  suono  nel  sec.  XII  ;  ma 
nessun  documento  latino  rende  quel  suono  altrimenti  che  per  o.  I 
documenti  volgari  lombardi  dei  sec.  XIII  e  XIV  non  hanno  nessun 
segno  speciale  per  o,  come  non  ne  hanno  nessuno  per  u.  Per  trarsi 
d'impaccio  ricorrono  agli  esponenti  grafici  più  vicini,  e  quindi, 
come  rendono  ti  per  u,  così  o  per  o.  Mai  non  accade  che  per  3  scri- 
vano e.  Non  sarebbe  egli  dunque  una  cosa  oltremodo  strana,  che 
alla  costante  consuetudine  si  sottraesse,  con  uguale  costanza,  solo 
la  penna  di  quanti,  —  nessuno  eccettuato,  —  dovevan  mettere  in 
carta  il  presunto  *  Vigiovan?  —  1\  v  poi  e  il  «  nella  dichiarazione 
del  Meyer-Liibke,  —  di  quella  del  Rossi-Case  non  mette  conto  par- 
lare, —  sono  intimamente  connessi.  Il  dotto  cattedratico  di  Vienna 
muove  da  un  *Victomel,  con  un  -el  insolito,  dice  egli,  e  che  quindi 
era  soggetto  a  tramutarsi  in  ;//  o  in  en,  come  si  vede  accadere  in 
mùggine  =  lat.  MUGIL.  Ora,  che  si  potesse  passare  2l  ulh  cosa  ben 
o\^ia  ;  ma  il  passaggio  a  en  non  si  può  giustificare  con  mùggine, 
dove  si  parte  da  -IL  (-ILIS  in  Isidoro  di  Siviglia)  e  dove  pure  l'a- 
dattamento pili  naturale  portava  a  -ILE  o  a  -XILO,  avendosene  in- 
fatti il  gen.  miizaoy  il  sic.  mul-etto,  e  forse  il  com.  mugro 
(=  *  viùjolo  *  muoio  *  mùvolo)  allegato  dal  Monti  e  da  lui  tra- 
dotto per  'storione'.  Ma  dato  un  -menio),  ottenuto  come  pretende 
il  Meyer-Liibke,  era  facile  che  m-n  si  andassero  dissimilando 
per  v-n. 

Ma  certo  il  Meyer-Lubke  non  avrebbe  sfoderata  la  sua  ta- 
gliente spada  in  favore  di  VlCTUMULAE,  ove  avesse  conosciuto  il 
ViCUS  Gebuin  rivelatoci  da  Nic  Colombo  e  che  di  tanto  ci  allon- 
tana da  VlCTUMULAE  di  quanto  ci  raccosta  a  Vigevano.  Ricorre 
esso  in  sette  documenti  della  2.*  metà  del  sec.  X,  senza  la  concor- 
renza di  nessun'altra  forma,  all'infuori  di  quella  ben  poco  mo- 
mentosa  di  Giòuin,  per  cui  vedi,  del  resto,  le  forme  franche  pure 
con  Gì-,  in  un  documento  del  981. 

suetudini  medievali  di  Lombardia,  avesse  finito  per  esser  preso  come 
un  g  reale.  Ma.  a  tacere  anche  che  del  fatto  mancherebbero  altri 
esempi,  sorgerebbero  qui  le  ditìScoltà  di  cui  si  tocca  più  in  là  a  pro- 
posito di  Gebuin, 


NOMI  LOCALI  LOMBARDI 


37J 


Cos'è  ora  questo  Gebuin?  A  dichiararlo  già  s'è  provato  N. 
Colombo  ;  ma  non  si  può  dire  che  siano  queste  le  più  felici  pa- 
gine del  suo  libro,  per  quanto  abbia  egli  ragione  di  ravvisare  in 
Gebuin  un  nome  proprio  di  persona  da  giudicarsi  come  i  nnpp. 
Ardoino,  Aldtdno,  e  molti  altri  analoghi,  di  cui  può  vedersi  una 
lista  nel  Bruckner,  Die  Sprache  der  Langobarden,  p.  233,  e  ai 
quali  lo  stesso  Colombo,  83,  aggiunge  Geroin  (a.  963).  Indipen- 
dentemente dal  nome  locale  che  qui  ci  occupa,  compar  esso  qual 
nome  proprio  (Gibuinus)  in  documenti  milanesi  del  sec.  XII  (v. 
Giulinì',  VII,   Indice   generale    106,    107,   col    i  ),  e  comparirà 
forse  altrove,  cKl  avesse  la  pazienza  di  compulsare  a  tal  uopo  le 
scritture  medievali.  E*  nome  d'origine  germanica  e  si  compone  di 
un  radicale  geb(aX  che  tanto  il  Bruckner  che  il  Colombo  connet- 
tono col  ted.  geben  (ingl.  /o  give,  got  giban),  e  del  sostantivo 
wini  da  mandarsi  coll'anglo-sass.  e  coll'ant.  alto-ted.  wini  amico, 
che  si  rivede,  qual  primo  elemento  del  composto,  nei  nomi  Gui- 
fàfredo,  GuinibaldOy  Guinigi,  ecc.  Uu  di  -uin  non  è  che  l'espo- 
nente grafico  di  «/,  quando  questo  sia  a  formola  intema. 

Data  la  qual  base,  e  riconosciuto  che  tanto  le  voci  geba  e 
wini,  quanto  la  possibilità  di  comporle  insieme  in  una  sol  voce,  son 
comuni  alle  diverse  schiatte  germaniche  (i)  che  si  son  succedute 
sul  nostro  suolo,  sorge  il  problema  di  sapere  a  quale  di  queste  sia 
realmente  da  attribuire  il  nome  Gebuin.  Nella  mancanza  di  altri 
criteri  per  decidere  la  questione,  parrà  ragionevole  di  ritenere  che 
il  nome  spetti  a  quella  tra  le  popolazioni  germaniche  nella  cui 
onomastica  esso  veramente  compare.  Ora,  per  quanto  può  valere 
Vattestazlone  dei  documenti,  il  nome  Gebuin  manca  alla  onoma- 
stica dei  Goti  e  dei  Longobardi  (2).  Lo  conosce  invece  quella  de' 
Franchi.  Il  Waltemath,  Die  frànkischen  Elemente  in  der  fran- 
zòsischen  Sprache  Paderbon   1885,  allega,  a  p  23,  un  Gkiboino 
figurante  in  un  documento  del  694,  e  dalla  Chanson  de  Roland  è 

(i)  Per  i  longobardi,  v.  Bruckner,  op.  cìt.,  passim.  Per  i  nomi 
degli  ostrogoti  composti  mediante  -wm,  v.  Fard.  Wrede,  Die  Sprache 
der  Ostgoten  in  Italien,  p.  83,  s.  «  Odwin  „.  Per  i  franchi,  vedansi  il 
lavoro  del  Waltemath,  e  quello  del  Mackel,  Die  germanischen  Elemente 
in  der  franzòsischen  und  provenzalischen  Sprache  (Heilbronn,  1887), 
Indice,  p.  199,  s.  Gebouin. 

(2)11    Geboin  addotto   dal    Bruckner   è    nella   combinazione    Vicus 

'«,  e  SI  riferisce  appunto,    come  appare   dall'identico   esempio  ac- 

o  aa  IN.  Colombo,  a  Vigevano.  Nulla  prova  dunque  per  i  Longobardi. 


37^  NOMI  LOCALI  LOMBARDI 

ben  noto  quel  barone  Gè-  o  Gibuin,  cui  Carlo,  prima  di  avviarsi 
all'inseguimento  de^Saraceni,  affida  la  guardia  del  campo  di  Rcm- 
cisvalle,  che  è  da  lui  incaricato  di  scortare  le  salme  di  Orlando» 
di  Olivieri  e  di  Turpino,  e  che  muore  ucciso  da  Baligante  (i). 

D'origine  franca  dobbiam  dunque  ritenere  che  sia  il  cisal- 
pino Gebuin.  Dove  però  la  matassa  subito  s'aggroviglia.  Dopo  un 
silenzio  di  circa  un  secolo  e  mezzo  (2),  che  incombe  sul  nome,  esso 
riappare  alla  luce  del  mondo  in  due  forme  quasi  contempo- 
ranee (3)  :  Vegevan(ensem)  e  Viglevanum  (4),  due  forme  che 
quindinnanzi  ricorrono  continuamente  e  promiscuamente,  preva- 
lendo il  -^/-,  —  e  riuscendo  esso  anzi  a  un  completo  trionfo  nelle 
carte  latine,  —  man  mano  che  i  tempi  si  fanno  meno  remoti. 

Non  dubito  di  asserire  che  una  sostanziale  differenza  tra  la 
forma  con  -g-  e  quella  con  -gì-  non  intervenga.  Questa  non  fa  al- 
tro che  ricostruire  quella  sulla  norma  di  giaza  gianda  =  GLACIES, 
GLANDE.  Un  altro  rapporto  tra  le  due  forme  non  si  saprebbe  esco- 
gitare. E  con  ciò  è  detto  che  Vegevano  già  avesse  nel  suo  g  ima 
palatale,  quella  palatale  che  si  continua  fino  nell'odierno  Vige- 
vano,  e  che  non  poteva  essere  nella  base  germanica. 

La  qual  palatale  come  si  spi^a?  Un  trapasso  diretto  ad 
essa  dalla  gutturale  di  Ghebuìn  non  è  possibile.  La  gutturale  dei 
nomi  germanici,  anche  se  seguita  da  e  od  i,  rimane  inalterata  in 
Italia,  e  vedine  Bianchi,  Arch.  glottol.  ital.  X  398-40  (5).  La  con- 

(i)  V.  E.  Stengel^  Das  altfranzòsische  Rolandslied.  Kritische  Aus- 
gabe.  I,  p.  386  s.  "  Gebuin  „.  È  notevole  rilevar  qui  come  nella  redazione 
franco-italiana  della  Chanson  (V^)  compaja  (^abufn,  dove  il  f  (=  jb  so- 
noro) ci  dice  la  via  per  cui  sì  sarebbe  messo  in  Italia  il  g  di  Gebouin. 

(2)  In  un  documento  del  1056  (N.  Colombo,  p.  69)  compare  uico 
UI....GINE;  l'intiera  forma  è  cioè  resa  illeggìbile  da  una  macchia  d'in- 
chiostro. —  Nella  copia  di  un  diploma  del  1064  (N.  Colombo,  p.  42)  si 
legge  Veglevani,  dove,  trattandosi  appunto  di  una  copia,  sarà  lecito  il 
procedere  con  qualche  diffidenza. 

(3)  N.  Colombo  farebbe  più  antico  il  comparire  di  gè-  che  non 
quello  di  -gle-)  e  infatti,  ne'  documenti  da  lui  contemplati,  la  prima  forma 
occorre  nel  1133»  la  seconda  nel  1191.  Ma  tra  quelli  pavesi  del  Majocchì, 
s'ha  -gle-  già  nel  1143.  Onde  potrem  ritenere  meramente  fortuita  la 
precedenza  cronologica  di  -gè-, 

(4)  Prescindo  per  ora  da  altre  differenze  che  non  sia  quella  tra 
'g-  e  -gì'. 

(5)  Il  Bianchi  tratta  qui  anche  del  rendere  che  facevano  in  To- 
scana la  gutturale  germanica  seguita  da  i  o  e,  pei  segni  g  o  gh^  e  mo- 


NOMI   LOCALI   LOMBARDI  373 

tinuazione  diretta  di  VlCUS  Gebuin  ci  avrebbe  quindi  condotti  a 
•  Vigkevano.  Ma  una  tal  forma  è  esclusa  dalla  moderna  pronun- 
cia, dalla  ricostruzione  di  questa  per  Viglevano  fin  dal  sec.  XII, 
dal  fatto  che  non  una  sola  volta  si  scriva  -gie-.  La  spiegazione 
della  palatale  è  quindi  giuocoforza  cercarcela  per  vie  oblique.  E 
a  noi  s'impone  Tesarne  di  queste  tre  possibilità  : 

che  lo  scritto  Vigevano,  con  -gè-  presuntamente  gutturale, 
venisse  poco  a  poco  letto  come  se  il  j'  fosse  palatale,  allo  stesso 
modo,  p.  es.,  come  noi  leggiamo  guidrigildo,  ecc.,  e  che  questa  let- 
tura finisse  col  passare  dai  letterati  al  popolo  ; 

die  Ghebuin  sia  venuto  a  pronunciarsi  con  g  palatale,  per 
essere  passato  in  Italia  quando  la  favella  di  Francia  già  aveva  ri- 
dotto alla  palatale  la  gutturale  della  base  germanica  (v.  Mackel, 
0.  e,  150)  (i),  quella  riduzione  francese,  cioè,  a  cui  dobbiamo 
d'avere,  p.  es.,  Gerardo  allato  a  Gherardo  ; 

che  col  g  palatale,  si  risalga  a  un  gì  il  cui  /  compaja  inorgani- 
camente nella  parola. 

Alla  prima  e  alla  seconda  di  queste  ipotesi  si  deve  però  muo- 
vere ima  grave  obiezione.  Il  g  che,  data  Tuna  o  l'altra,  sarebbe  ri- 
sultato, era  quel  g  che  negli  antichi  documenti  volgari  di  Lombar- 
dia è  rappresentato  dai  segni  q  o  z,  segni  cui  compete  il  suono  di  z 
sonoro  (cfr.  zente  o  qente  gente,  reqer  o  rezer  reggere),  suono  che 

stra  come  invalessero  colà  ambedue  le  grafie.  Non  parmi  che  la  stessa 
cosa  si  possa  affermare  per  la  Lombardia,  che  anzi,  in  questa  regione, 
la  persistenza  di  gè  gi  con  g  gutturale,  si  rivede  ancora  più  tardi  nei 
documenti  volgari,  nei  quali  s*  ha,  p.  es.,  pregerà  «-  pregherà  preghiera, 
logi  «>  loghi  luoghi,  ecc.  Ma  nel  secolo  X,  nel  secolo  di  Gebuin^  non 
era  forse  possibile,  per  la  gutturale,  altro  spediente  grafico  che  il  sem- 
plice g,  E  che  sarebbe,  del  resto^  un  Gebuin  con  g  palatale  ? 

(i)  Supposto  che,  come  si  ritiene  per  la  formola  latina  ga-,  anche 
per  la  gutturale  delle  formole  germaniche  ghi  ghe,  l'evoluzione  palatina 
sia  da  riportarsi  al  sec.  Vili,  ciò  non  vorrebbe  dire  di  necessità  che  debba 
essere  di  quel  secolo  o  anteriore  ad  esso  \*  introduzione  di  Ghébuin  in 
Lombardia.  Trattandosi  d'un  nome  proprio,  poteva  la  forma  guttu- 
rale mantenersi  tra  i  franchi  stessi  per  tradizione  letterata,  e,  del  resto, 
non  tutti  i  popoli  di  Francia  parteciparono  all'evoluzione  delle  gutturali 
verso  la  palatina.  —  D'altra  parte,  nulla  ci  obbliga  ad  ammettere  che 
l'introduzione  sia  posteriore  alla  conquista  franca,  ben  potendo,  per 
questa  o  quella  via,  de'  nomi  franchi  essere  penetrati  in  Italia  in  con- 
seguenza de*  vari  rapporti,  che,  anteriormente  alla  conquista,  corsero 
tra  Franchi  e  Longobardi. 


374  NOMI   LCXXALI   LOMBARDI 

certo  veniva  attribuito  anche  al  gè  o  gi  delle  scritture  latine  Può 
darsi,  abbenchè  raramente,  che  i  documenti  volgari  adoperino  anche 
il  segno  g,  ma  questo  sempre  ha  allato  a  sé  le  grafie  con  g  o  s  (i),  e 
in  ogni  modo  mai  non  accade  che  quel  g  venga  ricostruito  per  gì. 
Lo  stesso  dicasi  del  g  d'origine  francese  (cfr.  la  parentela  Zirar- 
ditti,  e,  abbenchè  non  si  tratti  di  gè  o  gi,  il  ven.  zardin  giardino, 
daira.  frane  jardin)  (2).  Il  g  di  Vegevano  è  invece  quello  che  nel 
volgar  lombardo  risultava  da  gì,  quello  che  s'ode  in  giazz  ghiac- 
cio, gianda  ghianda,  gha  ghiaja,  gira  ghiro,  vegià  vegliare,  strigia 
striglia,  ecc,  è  questo  che  i  documenti  soglion  ricostruire  per  gì  e 
che  mai  ha  allato  a  se  né  f  né  z,  precisamente  come  allato  a  Vige- 
vano  mai  non  occorre  nelle  carte  un  Veze-  o  un    Ve(;evano. 

Rimane  la  terza  ipotesi,  alla  quale  quasi  ci  costringono  le  con- 
siderazioni ora  svolte  :  Vigevano  é  dalFanterior  fase  fonetica 
♦  Viglevano.  Ma  donde  proviene  il  /?  Veramente  di  consonanti 
inorganicamente  aggiunte  v*ha  tanti  esempi  non  ancora  spiegati, 
che  potremmo  considerar  tale  anche  quella  di  Viglevano,  accon- 


(1)  Una  parola  che  in  più  documenti  ha  costantemente  g{i)  è  già- 
ser  giacere.  Crederei  che  la  ragione  ne  vada  cercata  in  ciò,  che  un 
giorno  nella  i*  persona  del  presente  indicativo,  in  quelle  tutte  del 
congiuntivo,  si  sarà  venuti  a  *  zazo^  giaccio,  ecc.  (col  primo  z  sonoro 
e  il  secondo  sordo).  Il  g[i)  sarebbe  poi  stato  introdotto  per  toglier  la 
cacofonia,  e  sarebbe  poi  stato  esteso  a  tutte  le  voci.  —  Nessuno,  credo, 
vorrà  poi  invocare,  per  la  possibilità  che  un  g(é)  potesse  imbrancarsi 
colla  risultanza  palatina  di  gì,  il  fatto  che  ìie'  dialetti  dell'Alta  Italia, 
antichi  e  moderni,  s' abbiano  esempi  come  Ta.  pav.  zeregado  chiericato, 
il  vie.  sérega  tonsura,  "  chierica  „,  Ta.  berg.  zexia  chiesa,  che  ritrovo 
anche  negli  Statuti  di  Valle  Intelvi  (v.  P.  Conti,  Memorie  storiche  d* 
Vair  Intelvi,  p.  233).  Sono  esempi  (o  meglio,  *  è  un  esempio  „  poiché 
molto  verosimilmente  dipende  zexia  da  zeregado,  o  viceversa)  sui  ge- 
neris, come  dimostra  la  loro  stessa  diffusione,  che  aspettano  una  dichia- 
razione, e  non  potrebbero  da  soli  infirmare  la  nozione  nostra  circa  ai 
ritiessi  lombardi  di  /  preceduto  da  gutturale. 

(2)  Per  le  voci  francesi  la  cosa  risulta  forse  meno  evidente,  ma 
pur  non  mi  pare  dubbia,  se  anche  per  la  sorda  eh  s'abbiano  esempi 
come  Chiartorssa  Chartreuse  (Crisostomo),  con  un  chi-  che  corrisponde 
esattamente  a  quello  di  chiamar  (—  damar).  Oggidì  in  Lombardia  diciamo 
Gilardi,  Geltrude,  e  anche  giardin,  giald  (ven.  zalo^  boi.  zat).  Un  esempio 
antico  è  ^enie,  gentile,  e  esempi  moderni  sono  il  berg.  sista  (s  sonoro) 
—  gesie  stirpe,  razza,  il  mil.  zòja  e  giòja  giojello.  In  Bescapè  :  mancar 
allato  a  mangiar. 


NOMI   LOCALI   LOMBARDI  375 

tentandoci  di  riconoscere  il  fatto.  Qualche  contaminazione  lessi- 
cale che  a  noi  ora  sfugge,  potrebbe  esseme  stata  la  causa.  Tuttavia, 
una  spiegazione  m*è  venuta  alla  mente  e  non  mi  par  del  tutto  in- 
degna di  venir  sottoposta  al  giudizio  de*  lettori.  Si  tratterebbe  di 
dò,  che  allato  alla  tradizione  che  mette  capo  a  VlCUS  Gebuin 
se  ne  avesse  un'altra,  latente  per  qualche  tempo  e  che  metteva  capo 
a  ♦  VlCXJLUS  Gebuin.  Qui  poteva  formarsi  un  *  VlGLOGHEBUlN 
onde  poi  si  poteva  giungere  o  a  *  Vigogle-,  con  una  facile  meta- 
tesi del  /,  e  quindi  a  Vigoge-  (con  g  palatale),  oppure  a  *  Vigio- 
gke-,  da  cui,  per  metatesi  reciproca  tra  le  consonanti  della  seconda 
e  terza  sillaba,  *  Vi(go)ge'  (con  g  palatale)  (i). 

Ma  la  questione  del  gè  non  è  tutto  nel  nome  Vigevano,  Altre 
elaborazioni  fonetiche  scorgiamo  nella  forma,  che  obbligano  la 
nostra  attenzione  a  soffermarsi.  Al  posto  di  bu  (cioè  bw)  abbiamo 
V.  E*  questo  un  ben  notevole  fenomeno  che  trova  il  suo  riscontro 
e  la  sua  conferma  nella  risoluzione  alto-italiana  del  lat  HABUIT, 
ecc,  cui  corrisponde  nelle  antiche  scritture  ave,  conservato  moder- 
namente nelV-^y  di  condizionale  (mì\.  poTtaràf=^porta7-ave  por- 
terebbe). —  Uà  postonico  porta  certo  l'impronta  della  fonetica  lo- 
cale (cfr.  vigev.  Vgévan,  ùrdan  ordine,  thman  termine,  ecc.)  ;  e 
quanto  alF^  protonico  di  molti  esempi  antichi  e  dell'astig.  Ve- 
gévo  (Alione;  ed.  Daelli,  224),  esso  vorrà  dire  una  assimilazione 
air^  della  tonica. 

Nic  Colombo  si  preoccupa  anche  delle  ragioni  accentuali 
della  voce,  e,  supposto  che  Gebuin  suoni  Gebuin,  si  sforza  di  to- 
glier l'ostacolo.  Ma  l'accento  germanico  vuol  Gebuin,  e  -givano 
sarà  un  bell'esempio  della  conservazione  di  questo  accento  (2). 
esempio  da  aggiungere  a  quelli  che  già  ricorda  il  Bianchi,  Arch. 
glott  it  X  403. 


(i)  Potrebbe  taluno  credere  che  il  Gebuin  de'  documenti  già  sonasse 
colla  palatale.  Sennonché  nulla  ci  legittima  a  ritenere  che  il  nesso  ^/ già 
si  fosse  ridotto,  nel  sec.  X,  a  ^,  e  d'altra  parte  sarebbe  strano  di  non 
incontrare  mai  la  ricostruzione  per  gi  (Glebuin).  —  Gebuin,  del  resto, 
doveva  essere  conservato  dalle  scritture  più  che  come  una  forma  reale, 
come  una  forma  tradizionale,  tradizione  smarritasi  poi  nel  periodo  che 
corre  tra  la  fine  del  sec.  X  e  i  primi  decenni  del  XII. 

(2)  Che  sarà  Trivano  (Como),  per  cui  l'Indice  corografico,  che  sta 
in  fondo  al  XllI  voi.  dei  Monumenta  Historiae  Patriae,  ha  Trebuano? 


37^  I^'OMI   LOCALI   LOMBARDI 

Rimane  che  si  tocchi  di  taluna  tra  le  parecchie  forme  strava- 
ganti (i)  di  quelle  sole  però  che  risultan  non  essere  il  prodotto 
d'un  errore,  d'un  arbitrio  individuale  o  di  un  capriccio  etimologico. 
C'è  in  primo  luogo  un  Vigevio  che  compare  in  una  scrittura  di  su 
la  fine  del  sec.  XV  e  in  un  documento  volgare  del  1527.  Rico- 
struisce assai  verosimilmente  un  Vigévi  (cfr.  Vigivini  -civ-  in  im 
docum.  del  13 io,  Nic.  Colombo,  p.  65),  adoperato  forse  un  mo- 
mento a  Vigevano  o  in  qualche  angolo  del  suo  territorio.  Crederei 
di  poter  così  argomentare  dal  rlci,  ricino,  del  vigevanasco  odierno, 
e  dal  fatto  che  a  Voghera  sia  -/  la  normal  risoluzione  di  -ino  atono 
(v.  Nicoli,  Dial.  di  Voghera,  $  59).  —  Il  Vigivano  -gli-,  che  abbonda 
sopratutto  in  documenti  del  sec  XIII,  tanto  potrebbe  essere  una 
ricostruzione  fittizia  di  é  in  /  fatta  sulla  norma  di  tanti  altri  é  che 
venivan  così  restituiti,  quanto  potrebbe  rappresentare  una  pro- 
nuncia reale  determinata  dalla  palatina  che  precedeva  allV  e  rin- 
saldata dall'i  che  compariva  nei  derivati  (2).  —  Anche  il  /  di 
Vigei'aluni,  che  occorre  in  due  scrittori  (Nic.  Colombo,  p.  27),  po- 
trebbe giustificarsi  colla  intromissione  del  sufiìsso  -ULO. 

Carlo  Salvioni. 


(i)  Tra  queste  non  è  da  contare  Vigluvium  che  come  ben  dimostra 
Nic.  Colombo,  pp.  17-8,  non  si  riferisce  a  Vigevano.  Ma  ha  torto  il  Co- 
lombo di  ravvisarvi  o  Ciivio  o  la  Val  Cuvta,  invece  di   Viggiù» 

(a)  Cfr.  il  sempre  usato  viglnón  (—  *  vigivnoM)  vigevanasco. 


VARIETÀ 


I  porci  di  Sant'Antonio  in  Brescia. 

I. 

lettori  ricorderanno  per  certo  l'arguta  novella  del  Sac- 
chetti, nella  quale  si  racconta  la  mala  ventura  toccata 
ad  un  gottoso  che  aveva  tentato  di  uccidere  due  porci, 
due  di  quei  porci  che  sotto  V  egida  di  Sant'Antonio  andavano  li- 
beramente vagando  per  le  vie  delle  città  e  spesso  spesso  entra- 
vano ospiti  poco  graditi  nelle  case,  quando  addirittura  non  adden- 
tavano e  mutilavano  fanciulli.  Ad  un  amico  che  prudentemente  lo 
ammoniva  :  «  Oihmè  I  non  ischerzate  con  Sant'Antonio,  »  il  gottoso 
rispondeva:  «  Se'  tu  di  questi  sciocchi  ancora  tu,  che  credi  che 
rf  santo  Antonio  abbia  ad  insalare  carhe  ?  per  cui  ?  per  la  sua  fa- 

*  miglia  ?  Tu  sa'  bene  che  colassiì  non  si  bee,  e  non  sì  mangia,  ma 
«  questi  suoi  gaglioffi  col  T  nel  petto,  sono  quelli  che  divorano,  e 

•  dannoci  a  credere  queste  frasche  »  (i). 

Ma  per  verità,  se  queste  frasche  trovarono  assai  facile  ac- 
coglienza nel  volgo  credulo,  tanto  che  a  mandre  a  mandre  crebbero 
quasi  dovunque   i  maiali  appartenenti  ai  canonici  regolari  (2),  non 

(i)  Sacchetti,  Nov.  CX,  ed.  Fanfani,  I,  443. 

(2)  Air  ingordigia  dei  frati  allude  senza  dubbio  l'Alighieri  ne'  vv.  124 

sgg.  del  e.  XXIX  del  Paradiso: 

Di  questo  ingrassa  il  porco   sant'Antonio, 
Ed  altri  ancor  che  son  peggio  che  porci. 
Pagando  di  moneta  senza  conio 

Dell'uso  di  lasciar  vagare  per  Padova  codesti  animali  si  lagnò  an- 
che y  Petrarca  in  una  nota  lettera  a  Francesco  di  Carrara^  e  l'arguta 
novella  del  Sacchetti  è  un'altra  conferma  della  libertà  che  essi  gode- 
vano in  Firenze.  Vedi  in  proposito:  Cibrario,  Dell* Economia  politica 
dei  J/.  E.,  Torino,  1861,  t.  i,  p.  15. 

Arck,  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV.  25 


37^  I   PORCI   DI    SANT'ANTONIO   IN   BRESCIA 

tardarono  però  nemmeno  le  leggi  a  cercare  di  limitare  una  con- 
suetudine, la  quale  risolvevasi  in  un  pericolo  continuo  per  1* igiene 
delle  città.  Difatti  quasi  tutti  gli  statuti  dei  nostri  Comuni  non  solo 
sancirono  pene  più  o  meno  severe  contro  chi  solo  lasciasse  vagare 
per  la  città  siffatte  bestie,  ma  stabilirono  anche  in  quali  mesi  ed  in 
qual  numero  esse  si  potessero  tenere  ed  allevare  dai  cittadini  (i). 
E  sovente  perchè  la  cosa  fosse  anche  più  chiara,  come  a  Modena 
e  a  Pistoia,  si  affermò  recisamente  che  a  tale  disposizione  dovevano 
essere  sottoposti  anche  i  signori   canonici  (2). 

Tuttavia  questi  non  si  arresero  né  sempre  ne  intieramente. 
Forti  della  riverenza  che  il  popolo  aveva  per  il  loro  santo  patrono, 
invocando  a  difesa  dei  loro  presunti  diritti  l'assistenza  che  essi 
prestavano  agli  infermi,  resistettero  con  ogni  mezzo  alle  leggi  co- 
munali dettate  da  evidenti  ragioni  di  igiene,    e  spesso,    quando  le 

città  passarono  sotto  il  governo  di  un  signore,  trovarono  in  costui 
appoggio  e  protezione. 

II. 

Così  accadde  anche  a  Brescia.  Qui  pure,  sino  dal  1335,  s'era  fatto 
espresso  divieto  di  tenere  «  porcos  vel   porcas  a   calendis  mensis 

(i)  Cfr.  gli  Statuti  di  Acqui  (Staiuta  Gvitatìs  aquarum,  MDCXVIII, 
cap.  55);  Benevento  (Statuta  condita  a  Sixto  ^y  Chianciano  (Fumi,  Gli 
Statuti  del  Chianciano  del  1287  ;  Orvieto,  1874;  cap.  184);  Cremona  (Sia- 
tuta,  ediz.  del  1578,  rubr.  417);  Ferrara  (Staiuta,  provisiones  et  ordi- 
namento, Ferrariae,  1533,  lib.  VII,  rubr.  3);  Forlì  (Statuia^ed.  del  1595, 
lib.  1,  rubr.  LXXXVIll);  Gradara  (Statuti  di  Gradara  in  Collezione  di 
Documenti  storici  antichi  pubblicati  per  cura  di  Ciavarini,  Ancona,  1874. 
to.  Ili,  rubr.  139);  Parma  {Statuto  communis  Parmae,  Parma,  1856;  ag- 
giunte, p.  4c8);  Piacenza  (Statuto  Piacentiat,  1561,  ed.  1560;  rubr.  30,  fol.41, 
liber  quartus);  Novara  (Statuta  Novariae^  MCCXCVH,  Novara,  1879, 
rubr.  ex  CHI);  Teramo  (Statuti  del  Comune  di  Teramo,  Firenze,  Bar- 
bera, 1889,  lib.  IV)  ;  Treviso  (Statuta  provisione sque  ducalis  civitatis  Tar- 
risii,  Venezia,  1579,  lib.  Ili);  Cervia  (Statuta  civitatis  Cerviae,  Ravenna, 
1588);  Bovcgno  (Statuti  del  Comune  di  Bovegno  pubblicati  da  B.  Nocara, 
Milano,  1898,  p.  70  e  82);  Montecastello  (Kirner,  Statuti  ed  ordini  di 
àfontecastello,  contado  di  Pisa,  Bologna,   1890,  p.  56). 

(2)  Negli  Statuti  di  Modena  (libri  quinque  Sfatutorum,.,.  Mutinae,  1590, 
nibr.  87,  lib.  V)  si  prescriveva  c'ie  nessuno  potesse  tenere  •  porcos  qui 

■  vadant  per  civitatem  etianisi  essent  porci  sub  nomine  Divi  Antonii  ,; 
in  quelli  di  Pistoia  {Sla/nfa  civiltifis  Pistorii,  Florentiae,  1546,  rub.  VI, 
cap.  146)  si  stabiliva  che  nessuno,  •  nec  etiam  quilibet  commendator 
•  Sancti  Antonii  ,  potesse    tenere  *   aliqueni  porcum  intra  muros  civi- 

■  tat's  vcttris  •. 


I    PORCI    DI   SANT  ANTONIO    IN    BRESCIA 


379 


*  aprilis  in  antea  usque  ad  quartam  decimam  diem  sancti  Mi- 
•ichaelis  »  (i);  ma  del  divieto  non  si  preoccuparono  affatto  i  frati 
ospitalieri,  quando  vennero  qui  pure  ad  erigere  uno  dei  loro  ospe- 
dali (2),  e,  sia  che  li  comprassero,  sia  che,  come  è  forse  più  proba- 
bile, li  ricevessero  in  dono,  essi  mantennero  una  così  copiosa  famiglia 
di  suini,  che  in  numero  di  circa  quattrocento,  indisturbati,  giravano 
per  le  vie  ficcandosi  dapertutto  e  mettendo  a  serio  rischio  la  in- 
columità delle  persone. 

Per  ciò,  rinnovandosi  nel  1385  gli  statuti  cittadini,  si  ordinò 
che  nessuna  persona  o  collegio  o  convento  o  congregazione  (forse 
Tesempio  dei  canonici  era  stato  contagioso)  potesse  allevare  codeste 
bestie,  se  non  tenendole  rinchiuse  in  casa  o  nelle  stalle,  «  ita  ut  non 
«  possint  ire  per  civitatem ..  fetorem  facere  vel  nocere  in  stratis 
«  vel  viis,  nec  etiam  nocere  euntibus  per  ipsas  stratas  vel  vias  nec 
f  pueros  parvos  mutilare  vel  ledere  in  aliqua  parte  personarum  »; 
e  tutto  ciò  sotto  pena  di  40  soldi  pianeti  ogni  qualvolta  si  fosse 
trovato  un  porco  per  le  vie  della  città  (3).  Tuttavia  per  riverenza 
a  Sant'Antonio  si  concedette  che  in  ciascuna  quadra  della  città  si 
potessero  allevare  due  porcelli  maschi,  castrati,  i  quali  per  essere 
riconosciuti  avrebbero  dovuto  aver  l'orecchio  sinistro  tagliato  o 
tutto  od  in  parte  e  portare   poi  un   campanello.  La  nera  famiglia 

(i)  Nello  Statuto  del  1355  fatto  sotto  la  signoria  di  Barnabò  Vi- 
sconti (Bibliot.  Querin.  di  Brescia,  inedito  n.  6)  furono  per  la  prima 
volta  introdotte  queste  disposizioni  (fascicol.  166,  v.  parag.  XllI);  esse 
mancano  affatto  negli  antecedenti  statuti  del  1277  e  1373.  Vedi  Valen- 
Twi,  Gli  Statuti  di  Brescia,  Venezia,  1898,  estratto  dal  Nuovo  Archivio 
Veneto^  to.  XV  e  sg. 

(2}  Non  ci  consta  in  qual  anno  si  stabilissero  in  Brescia  i  Gino- 
nici  di  S.  Antonio.  Mons.  Fé  (Storia,  Tradizione  ed  arte  nelle  vie  di 
Brescia,  Parrocchia  di  S.  Nazzaro  e  Celso,  Brescia,  1895,  p.  47),  reca 
un'iscrizione  lapidaria,  la  quale  contiene  il  no:r.e  del  fondatore  del- 
l'Ospedale, (che  fu  Io  stesso  Poncius  de  Foeto,  di  cui  si  farà  parola 
più  tardi),  ma  manca  della  data.  Siccome  però  negli  Statuti  del  1355 
non  è  fatto  cenno  dei  Canonici,  e  la  petizione  al  conte  di  Virtù  fu 
mandata  nel  1387,  così  credo  che  si  possa  fissare  l'epoca  della  fondazione 
dell'ordine  in  Brescia  fra  questi  due  limiti  estremi  di  tempo. 

(3)  Statuto  di  Giov.  Galeazzo  Visconti  (cod.  della  Quer.  n.  7)  :  "  Salvo 

*  quod  in  qualibet   quadra  civitatis   Brixie   teneri    et   stare    possint  et 

*  allevari    seu  nutriri  duo  porcelli  masculi,  castrati   et  non   plures,  ad 

■  reverentiam  S.  Antonii,  quorum  porcellorum  quilibet  habeat  auriculam 

■  dextram  incisam  in  toto  vel  prò  parte  et  portare  debeat  unum  campa- 

*  nellum  ad  collare  ut  ab  aliis  dignoscatur....   qui  esse   possint  numero 

*  triginta  octo,  videlicet  duo  prò  qualibet  quadra  et  non  ultra  „. 


380  I    PORCI   DI   SANT'ANTONIO   IN   BRESCIA 

subiva  dunque  una  doppia  diminuzione;  da  400  si  riducevano  a  38, 
e  per  di  più  i  superstiti  venivano  sottoposti  all'oltraggio  di  un  con- 
trassegno! 

III. 

I  canonici  si  commossero.  Reggeva  allora  l'ordine  col  titolo  di 
precettore  lo  stesso  Ponzi  de  Foeto  che  aveva  fondato  V  ospe- 
dale; egli  propose  dunque  agli  anziani  che  da  due  i  porcelli  fos- 
sero portati  a  cinque  o  almeno  almeno  a  quattro  e  che  fosse  poi 
tolto  l'obbligo  del  campanello.  Ma  gli  anziani  rifiutarono  qualsiasi 
nuova  concessione;  laonde  egli  ricorse  addirittura  al  conte  di  Virtù, 
signore  di  Brescia,  per  ottenere  che  le  cose  continuassero  come 
prima,  u  ne  elemosine  pauperum  infirmorum  Sancti  Antonii  pri- 
u  ventur  in  domo  Sancti  Antonii  noviterque  acquisita  in  civitate 
u  Brixia  »  (i).  Messa  abilmente  sotto  questo  punto  di  vista  la  que- 
stione, si  capisce  come  essa  trovasse  favore  presso  il  conte.  Il  Re- 
ferendario ebbe  quindi  ordine  di  chiamare  a  sé  il  Precettore  e  gli 
anziani  per  riconciliarli,  ed  ove  questi  non  avessero  voluto  recedere 
dalle  loro  deliberazioni  di  imporre  loro  che  non  ostante  il  disposto 
degli  statuti  si  osservassero  le  antiche  consuetudini.  Gli  anziani 
dovettero  dunque  chinare  il  capo  ed  accettare  le  prime  proposte 
del  Precettore,  ed  i  porci,  pur  ridotti  di  numero  e  sfregiati  al- 
Torecchio,  furono  lasciati  vagare  per  le  pubbliche  vie,  senza  l'ol- 
traggioso accompagnamento  del  campanello. 

IV. 

Non  durò  tuttavia  molto  a  lungo  questo  stato  di  cose.  La  re- 
verenza per  sant'Antonio,  che  ai  tempi  del  Sacchetti  era  ancora 
così  grande  da  far  considerare  come  pericoloso  il  toccare  i  sacri  por- 
celli, andò  poi  scemando  tanto,  che  i  canonici  si  videro  costretti 
ad  invocare  l'autorità  dei  magistrati  e  dei  principi  per  salvarli  dal- 
l' ingordigia  di  «  alcuni  presuntuosi,  che  non  temevano  né  Dio  né  i 
santi,  n  A  tale  scopo  difatti  nel  1416  il  duca  Filippo  Visconti  pubbli- 
cava un  bando  con  cui  si  imponeva  che  nessuno  osasse  toccare  i 
sacri  animali  (2),  e  nel  1435  i^  Consiglio  speciale  di  Brescia  era  chia- 
mato a  deliberare  su  analoga  petizione  del  precettore  Egidio  Pa- 
li) Vedi  documento  III  A. 

(2)  Vedi  Archivio  Sior.  Itah,  app.  IV,  n.  16,  p.  148,  Firenze,  1847; 
MopRio,  Storia  dei  Municipi  (Ree.  di  L.  Farina). 


I   PORCI   DI    SANT'ANTONIO   IN    BRESCIA  381 

sturelli  (i),  il  quale  invocava  in  proprio  favore  le  benemerenze  che 
si  era  acquistato  nel  suo  ufficio;  egli  rammentava  difatti  di  avere 
impiegato  quasi  tutte  le  sue  rendite  neirerezione  della  nuova  chiesa 
di  Sant'Antonio,  d'aver  edificato  un  ospedale  per  i  pellegrini,  nel 
quale  si  esercitavano  opere  di  carità,  u  quod  nunquam  factum  est 
«  per  aliquos  eius  precessores,  »  E  ancora  per  quella  volta  il  Con- 
sìglio si  arrese  alle  preghiere;  i  canonici  poterono  continuare  a  te- 
nere le  loro  bestie  ed  anzi  si  minacciò  di  una  multa  di  dieci  lire 
pianeti  chi  le  uccidesse  o  ferisse  (2). 

Ma  r  igiene  e  la  pulitezza  dovevano  alla  fine  trionfare  della 
superstizione  popolare  e  degli  appetiti  molto  volgari  dei  canonici. 
Si  cominciò  quindi  nel  '46  a  ridurre  da  capo  a  32  il  numero  dei 
porci  che  il  convento  poteva  allevare  ;  ne  le  proteste  dei  pietosi 
loro  patroni  trovarono  così  benevola  accoglienza  come  pel  passato; 
difatti  nel  '63  si  rinnovò  il  divieto  di  tenere  e  di  lasciar  errare 
per  la  città  i  suini,  ed  il  decreto  non  fece  alcuna  eccezione  per  il 
convento  dei  canonici  (3).  Questi  d'altra  parte  s'erano  già  tanto  cor- 
rotti che  già  nel  1459  il  Consiglio  raccomandava  al  cardinale  il  desi- 
derio del  precettore  perchè  l'ordine  si  riformasse  (4).  Né  bastò  la  ri- 
forma; nei  primi  anni  del  secolo  XVI  il  papa  dovette  addirittura  tra- 
sformare gli  spedali  in  altrettante  commende.  Così  ci  spieghiamo  tanto 
più  perchè  negli  statuti  del  1557  il  divieto  di  nudrir  porci  divenisse 
assoluto  e  generale.  11  buon  tempo  per  costoro  era  proprio  finito  ! 

'  A.  Zanelli, 


(i)  Il  Fé,  op.  cit.,  p.  47,  riporta  oltre  la  precedente  un*  altra  iscri- 
zione lapidaria  del  Museo  cristiano  dì  Brescia,  nella  quale  si  legge  che 
'  vir  frater  Egidius  Pasturelli...  praeceptor  domus  Sancti  Antonii  Brixiae  „ 
fece  edificare  la  chiesa  di  Sant'Antonio  nell'anno  1445.  Ma  o  la  data  si 
riferisce  all'apposizione  della  lapide  o  è  sbagliata,  perchè  nella  peti- 
zione presentata  al  consiglio  nel  1435  ^^  stesso  Pasturelli  ricordava  la 
recente  costruzione  della  chiesa. 

(2)  Provvis.  10  e  19  luglio  1446  (Arch.  Com.  di  Brescia,  Reg.  454, 
^  36»  te.  37).  Così  il  Podestà  come  il  Consiglio  fecero  fare  una  grida 
'  de  porcis  non  tenendis  nisi  ad  numerum  XXXII,  per  do.  preceptorein 
'  S.  Antonii  et  omnino  fìat  „. 

(3)  Con  provvis.  a6  luglio  1463  (Arch.  Com.  Brescia,  Reg.  500,  e.  44) 
il  Consiglio  generale  deliberò  ^  quod  de  cetero  sit  in  arbitrio  dom.  iu- 
'dicum  clausorum  posse  condempnare  quamlibet  personam  que  re- 
'  periretur  porcum  aliquem  extra  stabulum  et  domum  ire  permisisse... 
'  non  obstante  statuto  de  dieta  poena  loquente  „• 

(4)  Con  provvisione  del  14  giugno  1459  (Arch.  Com.,  Reg.  498, 
e  216),  si  raccomandò  al  Cardinale  la  riforma  che  il  precettore  di  san- 
f  Antonio  intendeva  di  introdurre  nel  suo  convento  *  pellendo  mendi* 
'  cantes  forenses  qui  inhoneste  vivunt  et  inducendo  nostrales  bonae  et 
■  honcstae  vitae  ». 


382  I    PORCI    DI   SANT'ANTONIO   IN   BRESCIA 


DOCUMENTI 


1. 

Statuto  di  Gian  Galeazzo  Visconti  (1385) 

(Bibliot.  Quer.  VII,  1046,  p.  199). 

Item  statutum  et  ordinatum  est  quod  nulla  persona,  collegiura, 
conventus  vel  congregatio  audeat,  nec  presumat  tenere  in  civitate 
Brixie  et  suburbiis  porcos  vel  porcas  nisi  teneat  eos  et  eas  inclu- 
sos  vel  inclusas  in  domibus  vel  stabulis,  ita  quod  non  possint  ire 
per  civitatem  Brixie  nec  suburbia,  et  quod  non  possint  fetorem 
facere  vel  nocere  in  stratis  vel  viis  nec  etiam  nocere  euntibus  per 
ipsas  stratas  vel  vias  nec  pueros  parvos  mutilare  vel  ledere  in 
aliqua  parte  personarum  suarum  ;  et  si  qua  persona,  coUegium  vel 
conventus,  cuiusvis  status  conditionis  vel  dignitatis  existat,  tenens 
porcum  vel  porcam  unum  vel  plures,  dimitteret  ipsos  porcos  vel 
porcas  sive  extra  domos  vel  stabula  per  civitatem  Brixie  vel  su- 
burbia, cadat  in  penam  soldorum  quadraginta  planetorum  prò  qua- 
libet  vice  et  prò  quolibet  porco  vel  porca,  quem  vel  quam  sic  sive 
dimiserit  et  intelligatur  dimississe  sive  quotiens  porcus  suus  repertus 
vel  reperta  fuerit  extra  stabulum  vel  domum  suam  seu  habitationis 
sue,  et  quilibet  possit  accusare  vel  denuntiare  ludici  seu  officiali 
clausorum  Brixie  vel  alicui  ex  notariis  suis  et  stetur  sacramento 
ipsius  accusatoris  vel  denuntiatoris  et  habeat  medietatem  condem- 
pnationis  et  alia  medietas  sit  comunis  Brixie  et  ultra  hec  possit 
quilibet  impune  interficere  ipsos  porcos  vel  porcas  repertos  vel 
repertas  sive  per  stratas  seu  vias  civitatis  vel  suburbiorum  Brixie. 
Salvo  quod  in  qualibet  quadra  civitatis  Brixie  teneri  seu  stare  pos- 
sint et  allevari  seu  nutriri  duo  porcelli  masculi  castrati,  et  non 
plures,  ad  reverentiam  S.  Antonii,  quorum  porcellorum  quilibet 
habeat  auriculam  dextram  incisam  in  toto  vel  prò  parte  et  portare 
debeat  unum  campanellum  ad  collum  ut  ab  aliis  dignoscatur  et  de 
hoc  statuto  fieri  debeat  crida  in  qualibet  quadra  singulis  sex  men- 
sìbus  ex  parte  dicti  ludicis  ad  hoc,  ut  non  possit  aliquis  allegare 
se  non  habere  notitiam  ipsius  statuti.  Et  quod  Antiani  quadrarum 
teneantur  et  debeant  sub  pena  librarum  viginti  quinque  mezanorum 
prò  quolibet  Antiano  conducere  seu  expellere  et  expelli  et  fugarì 
facere  de  suis  quadris  extra  portas  civitatis   Brixie  intra  quinque 


1    PORCI    DI   SANT*ANTONIO   IN   BRESCIA  383 

dies  continuos  a  die  cride  computandos  quoslibet  porcos  el  porcas 
habentes  ambas  auriculas  vel  unam  ex  eis  incisas  vel  incisam, 
exceptis  porcellis  signatis  et  tenendis  in  qualibet  quadra  ut  supra; 
quos  porcos  vel  porcas  sic  expulsos  vel  expulsas  custodes  portarum 
nullomodo  permittant  redire  vel  intrare  dictas  portas  sub  pena  amit- 
tendi  pagas  suas  prò  qualibet  vice  qua  contrafactum  fuerit,  et  possit 
quilibet  impune  interficere  quoslibet  porcos  vel  porcas  repertos  in 
civitate  Brixie  habentes  auriculas  taliter  incisas,  exceptis  porcellis 
portantibus  campanellum  ut  supra,  qui  esse  possint  numero  trigin- 
taocto,  videlicet  duo  prò  qualibet  quadra  et  non  ultra.  Qui  ludex 
seu  officialis  clausorum  teneatur  possit  et  debeat  in  et  super  pre- 
dictis  procedere  summarie  et  sine  aliquo  litigio  et  sine  aliquibus 
solemnìtatibus  curie  vel  statutorum  comunis  Brixie  et  executioni 
mandare  ad  instantiam  cuiuslibet  accusantis  vel  denuntiantis,  et 
etìam  ex  officio  suo  sub  pena  soldorum  centum  dicto  ludici  prò 
qualibet  vice  qua  contrafecerit  vel  neglìgens  fuerit  circa  processum 
vel  executionem  predictorum  vel  alicuius  eorum. 


II. 
Provvisione  del  Consiglio  speciale  12  luglio  1435 

(Ardì.  Coni.  Brescia  —  Reg.  Provv.  487,  e.  324). 

[omissis].  Item  audita  petitione  tenoris  infras.  prò  parte 

venerabilis  d.  preceptoris  ordinis  seu  monasterii  sancti  Antonii  ci- 
vitatìs  Brixie  Magnifico  et  generoso  militi  D.  Antonio  Veneiro  Brixie 
Potestati  nec  non  egregiis  abati,  ancianis  etc . . . .  suplicatur  ut,  at- 
tento quod  in    edificio    ecclesie    Sancti    Antonii    noviter   fabricate 
libanti  animo  expendidit  pene  omnes  eius  intratas  et  de  cetero  etiam 
cxpendere  intendit  in  eius  melioramentis  ut  dare  concernitur  ;  at- 
tento etiam  quod  edificare  fecit  hospitale  unum  ad  honorem  beati 
Antonii  et  ad  hospitandum    pauperes    et  maxime    peregrinos    qui 
vadunt  ad  S.  Antonium    de   Viena,  in  quo   hospitali,    ut  est  omni 
populo  manifestum,  exercet  continue  opera  pietatis,  quod  nunquam 
factum  est  per  aliquos   eius   precessores,  etc,  dignemini  ob  reve- 
rentiam  beati  patris   Antonii    eidem    confirmare   ac   successoribus 
suis  quandam  provisionem  olim  antiquitus  factam  et  concessam. .. 
qua  continetur  quod  non  obstantibus   aliquibus   statutis   in  contra- 
num  editis  fratres  S.  Antonii  possint  tenere  prò   qualibet  quadra 
civitatis  Brixie  porcellos  quattuor.  Et  quia  sic  etiam   semper  fuit 
soUtum  observari,  et  quia  sunt  aliqui   presuntuosi  qui  non  timent 


384  I   PORCI    DI   SANT'ANTONIO   IN   BRESCIA 

deum  ncque  sanctos,  qui  ad  eorum  libitum  interficiunt  dìctos  por- 
cellos  S.  Antonii  nec  aliquam  licentiam  petunt  ipsi  domino  pre- 
ceptori,  reverente!*  supplicat  ut  ordinare  velitis  atque  statuere  quod 
aliqua  persona  non  audeat  ncque  presumat  interficere  aliquem 
porcellum  seu  porcellam  S.  Antonii  nisi  cum  licentia  prefati  d. 
preceptoris. 

Et  super  diete  petitionis  continentia  matura  deliberatione  pre- 
habita,  multisque  superinde  habitis  consiliis,  coloquiis  et  prius  ple- 
naria informatione  suscepta  a  civibus  fide  dignis  de  consuetudine 
antiquitus  observata,  audito  etiam  tenore  provisionis  antedicte  pre- 
senti   Consilio    lecte    per   cancellarium    comunis   Brixie,   cupientes 
etiam  prefati  d.  preceptoris  iustis  petitionibus  compiacere  ob  reve- 
rentiam  Dei  et  beati  Antonii,  exigentibus  etiam  ipsius  d.  preceptoris 
laudabilibus  operibus  et  bencmeritis  et  eius  bone  vite  scientia,  cum 
auctoritate  et  consensu  prefati  vicarii ...   providerunt  et  ordinarunt 
quod  non  obstantibus    aliquibus    statutis  in  contrarium  factis  pre- 
fatus  venerabilis  d.  frater  Egidius  de  Pasturellis   preceptor  et  gu- 
bernator  ecclesie  et  domus  S.  Antonii  civitatis  Brixie  et  eius  qui- 
cumque    successores  possint    et  valeant  tenere  et  teneri  facere  et 
impune  in  civitate  Brixie  quattuor  porcos  seu  porcellas  prò  qualibet 
quadra   eius  seu  ad  rationem    quattuor    porcellorum    prò   qualibet 
quadra,  qui  iuxta  solitum   possint  ire  per  civitatem,   se  pascendo: 
nec  possit   aut  debeat   prefatus  d.  preceptor  nec  eius  successores 
tenere  plurcs  porcos  qui  vagare  possint  seu  discurrere  per  civita- 
tem   quam  dictum  est   ad  numcrum   quattuor   prò  qualibet   quadra 
civitatis    Item  providerunt....  quod  nulla  persona  cuiuscumque  con- 
ditionis  existat,  audeat  nec  presumat  interiìcere  nec  ledere  aliquem 
ex  dictis  porcis  seu  porcellis  aliquo  tempore  anni,  nisi  cum  bona  li- 
centia prefati  d.  preceptoris  seu  eius  successorum  sub  pena  librarum 
decem  planetarum  comuni  Brixie  aplicanda  et  solvendi  carnes  dicti 
porci  interfecti.  Et  quod    de  predictis   fiat   publica   proclamatio  et 
preceptum,  maxime  de  ultima  parte  per  preconem  comunis  Brixie. 

III. 
Provvisioni-:  del  25  Gennajo  1379  (i). 

In  Christi  nomine,  amen.  Anno  a  nativitate  eiusdem  millesimo 
trecentesimo  octuagesimo  nono,  iudictione  duodecima,  die  xxv  men- 
sis    lanuarii.  Convocatis    et  congrcgatis  infras.,  Abate  et  Ancianis 

(i)  Fa  se^uitu  alla  provvisione  precedente. 


I    PORCI    DI    SANT'ANTONIO   IN   BRESCIA  385 

negotiis  comunis  Brixìe  presidentibus  ac  additis  in  presentia  et  de 
voluntate  do.  potestatis  eiusque  vicarii  nec  non  do.  Referendarii, 
sono  botti  campane  grosse  turris  de  Dom,  more  et  loco  solitis  prò 
infrascriptis  peragendis 

[seguono  i  nomi  dei  convocati]. 

Coram  quibus  lecte  fuerunt  littere  cum  supplicatione  ipsis 
litteris  introclusa  tenoris  infrascripti. 


Lettera  al  conte  di  Virtù. 

Dorainus  Mediolani  etc.  comes  Virtutum,  imperialis  vicarius  — 
A  tergo: 

Egregio  militi  domino  Po  testati  nec  non  Referendario  nostris 

Brixie.  —  Recepimus   supplicationem    prò  parte  fratris   Pontii  de 

Fatheo  preceptoris  domus  S.  Antonii  civitatis  nostre  Brixie,  cuìus 

exemplum  bis  in volutum  vobis  destinatum  ;  quare  attendentes  quod 

emolumentis  pauperibus  infirmis  sancti  Antonii   preceptoris  nostri 

exhibendis    statutorum    continentia    detrahere  et   preiudicari    non 

debent,  imo  ipsis  pauperibus  infirmis  quanto  honestius   fieri  po- 

test  sit  opportunis   favoribus   assistendum,   volumus  quod  habitis 

coram  vobis    dicto  preceptore    et   deputatis   et   Ancianis   civitatis 

nostre  Brixie,  illis  melioribus  et  honestioribus  modis  quibus  co- 

gnoveritis  expedire,  procuretis  partes  ipsas...  (?)...  contentorum  in 

supplicatione   predicta    concordare  per  modum   de  quo  idem  pre- 

ceptor  valeat  contentare  Quod  si  facere  et  exequi  predicti  deputati 

et  Anciani  voluntarie  contentabuntur,  bene  quidem;  sin  aliter,  fa- 

ciatis  ipsi  preceptori  super  contentis  in    eadem  supplicatione  con- 

suetudines  alias  in  pretacta  civitate  nostra  Brixie  observatas  ejQFectua- 

litcr  servari,  statuto  in  contrarium  non  obstante.  Datum  Mediolani, 

xiii  Januarii  1389. 

Franciscolus. 

B 
Petizione  del  p.  Ponzo  al  Conte  di  Virtù. 

Illustri  et  benigne  dominationi  vestre  suplicatur  prò  parte  ve- 
stii fidelis  oratoris  fratris  pontii  de  fatheo  preceptoris  domus  et 
ecclesie  ac  hospitalis  sancti  Antonii .  civitatis  Brixie.  Quod  intuitu 
et  ob  reverentiam  litterarum  dominationis  vestre  transmissarum 
potestati  et  deputatis   et  Ancianis  civitatis  Brixie  super  facto    te- 


386  I    PORCI    DI    SANT'ANTONIO    IN    BRESCIA 

nendi  porcellos  in  predicta  vestra  civitate,  idem  preceptor  domus 
predicte  sanati  Antonii  suam  porexit  petitionem  coram  deputatis 
et  Ancianìs  predictis  continentem  quod  non  obstante  quod  per 
tempora  retro  acta  consuetus  sit  tenere  et  quod  tenuerit  in  civitate 
predicta  porcellos  et  porcellas  numero  quasi  quatuorcentum,  para- 
tus  erat  componere  de  numero  solummodo  de  quinque  vel  ad 
minus  quatuor  prò  qualibet  quadra  diete  civitatis  Brixie  absque  cam- 
panella, capientes  in  summa  porcellos  septuagintasex,  cui  petitioni 
consentire  noluerunt,  asserentes  se  velie  servare  statutum  super 
bis  conditum  per  eosdem.  Quare  cum  prò  parte  eiusdem  preceptoris 
non  deffecerit  nec  deficiat  compositi o  predicta,  dignetur  prefata 
clemens  et  benigna  dominatio  vestra  ob  reverentiam  S.  Antonii 
prelibati  edicere  et  mandare  quod  non  obstante  statuto  predicte 
tenere  possit  porcellos  et  porcellas  in  civitate  predicta  in  numero, 
modo  et  forma  solitis  consueti,  et  predictam  requirit  suplicans  an- 
tedictus  ut  dignetur  dominatio  vestra  de  predictis  gratiam  facere 
ne  elemosine  pauperum  infirmorum  sancti  Antonii  priventur  in 
domo  sancti  Antonii  noviter  aquisita  in  vestra  civitate  predicta 
plusquam  in  aliis  civitatibus  vestris. 

Quibus  litteris  et  supplicatione  lectis,  auditis,  intellectis,  prefati 
abbas  et  anciani....  deliberaverunt  quod  frater  Pontius  de  fatheo 
preceptor  domus  sancti  Antonii  civitatis  Brixie  et  successores  sui 
possit  et  valeat  tenere  seu  teneri  facere  in  civitate  Brixie  et  subur- 
biis  porcellos  vel  porcellas  septuaginta  sex,  vidicet  quatuor  prò 
qualibet  quadra  et  sine  campanello,  qui  tamen  porcelli  seu  porcelle 
sint  et  esse  debeant  cum  auricula  dextera  incisa  in  toto  vel  prò 
parte.  Et  hoc  non  obstante  quodam  statuto  comunis  Brixie  posito 
sub  rubrica  de  porcis  non  tenendis  in  civitate  nec  suburbiis  Brixie  (i) 
in  quo  inter  cetera  continetur  quod  in  qualibet  quadra  civitatis 
Brixie  teneri  et  stare  possint  et  ale  vari  seu  nutriri  duo  porcelli 
masculi  castrati  et  non  plures  ad  reverentiam  sancti  Antonii,  quo- 
rum porcellorum  quilibet  habeat  auriculam  dexteram  incisam  in 
toto  vel  prò  parte  et  portare  debeant  unum  campanellum  parvum 
ad  collum  ut  ab  aliis  dignoscantur.  Et  hec  omnino  facta,  provisa, 
statuta  et  ordinata  fuerunt  in  perpetuum  et  voluntate  fratris  Gu- 
lelmi  de  Zaberna  diocesis  Zabernensis  predicti  ordini  sancti  An- 
tonii, sindici  et  procuratoris  dìcti  fratris  Pontii  de  fatheo. 

(i)  S'allude  allo  statuto  del  1385. 


UNA   CONDANNA   A    MORTE   CONTRO  CARLO   VISCONTI  387 


Una  condanna  a  morte 
contro  Carlo  Visconti  figlio  di  Bernabò. 


L  28  giugno  del  1399  il  cavaliere  marchese  Pietro  de 
Cavalcabò  (i),  Pode3tà  di  Milano,  dal  suo  banco 
giuridico,  posto  nella  arrengheria  della  loggia  degli 
Osij  in  piazza  Mercanti,  dinanzi  a  gran  folla  di  popolo  ivi,  se- 
condo il  costume,  radunato,  pronunziava  una  sentenza  capitale, 

in  contumacia,  contro  Carlo  figliuolo  del  fu  Bernabò  Visconti  Si- 
gnor di  Milano.  Uaccusa  si  componeva  di  due  capi  :  tentativo 
di  avvelenare  G.  Galeazzo,  conte  di  Virtù,  e  cospirazione  coi  ne- 
mici di  lui  per  abbatterne  il  dominio  e  sovvertirne  lo  stato. 

Quante  molestie  abbia  procurato  Carlo  allo  zio,  quanti  intri- 
ghi per  molti  anni  ordito  a  fine  di  spodestarlo  e  vendicare  il  pa- 
dre, han  dimostrato  i  geniali  studi  del  prof.  Giacinto  Romano, 
dai  quali  intera  e  netta  balza  fuori  la  figura  di  questo  indomito 
ribelle  (2).  Con  Giovanni  Akwood  e  col  conte  d'Armagnac,  valo- 
roso e  magnanimo,  caduto  per  la  causa  di  lui  sul  campo  di  Ales- 
sandria, coi  Fiorentini,  coi  Carraresi,  coi  duchi  di  Baviera,  con 
tutti,  perfino  coi  Gonzaga,  a  cominciar  dall'anno  medesimo  della 
cattura  del  padre  suo,  tramò  contro  lo  zio,  né  mai  gli  die*  pace, 
quantunque  riuscisse  ad  amareggiarne  forse,  non  ad  impedirne  i 
trionfi. 

In  questa  guerra  sorda  ed  accanita  G.  Galeazzo  die*  prova,  è 
d'uopo  confessarlo,  d*una  lunga  pazienza  :  ben  due  volte  dimo- 
strò il  desiderio  di  un  accordo  che  ponesse  fine  a  sì  acerbe  ire, 
e  lo  promosse:  nel  1391,  un  mese  appena  dopo  la  celebrata  bat- 
taglia d*Alessandria,  offrì,  narra  il  Romano,  sulle  notizie  dei 
contemporanei,  di  pagare  a  ciascuno  dei  tre  fratelli  mille  fiorini 
al  mese,  e  sembra  perfino  volesse  loro  cedere  le  città  di  Cividale, 
Feltra  e  Bassano  di  recente  conquista.  Uaccordo,  soggiunge  il  sul- 
lodato  professore,  rimase  lettera  morta,  ma  nel  1 393  riprendeva  le 
pratiche,  secondo  le  quali  Carlo,  in  cambio  di  una  provvisione  di 
mille  fiorini  mensili,  doveva  rinunciare  a  qualunque  diritto  sulla 

(i)  Su  costui  ved.  Tiraboschi,  La  Famiglia  Cavalvaòò,  Cremona,  1814, 
p.  36;  Arisi,  Crem.  lifer.,  I,  188.  Era  stato  podestà  di  Firenze  nel  1386. 

(2)  Nuovi  documenti  viscontei  tratti  dall'Archivio  notarile  di  Pavia 
in  ([Mtsì^Arch.,  XVI,  297  sgg.  ;  e  G.  Galeazzo  Visconti  e  gli  eredi  di  Ber- 
^bò,  ibid.,  XVllI,  5  sgg.,  391  sgg. 


388  UNA   CONDANNA    A   MORTE   CONTRO  CARLO    VISCONTI 

eredità  patema  e  materna.  Neppur  questa  convenzione,  dichiara 
ancora  il  Romano,  ad  onta  del  giuramento,  fu  rispettata.  Tutto 
era  inutile,  il  turbolento  nipote  non  piegava  né  restava  dal  co- 
spirare ;  non  era  possibile  con  lui  alcuna  conciliazione,  e  G.  Ga- 
leazzo stesso  doveva  essersene  ormai  persuaso  quando,  nel  suo  te- 
stamento del  1397,  pur  dimostrando  ancor  viva  la  sua  preoccupa- 
zione pei  figliuoli  di  Bernabò,  di  Carlo  non  faceva  neppure  il 
nome  Era  proprio  Tanno  in  cui  il  secondo  Armag^ac  minacciava 
un'altra  spedizione  contro  la  Lombardia  ! 

Il  Romano,  considerando  questa  lotta  acerba  ed  incessante, 
si  domanda  a  chi  ne  spetti  la  responsabilità  e  trova,  com'è  na- 
turale, assai  difficile  una  risposta  decisiva.  La  sentenza  che  pub- 
blichiamo porta  su  questo  punto  qualche  lume.  Innanzi  tutto  alle 
losche  imprese  di  Carlo  Visconti,  già  note,  una  nuova  se  ne  ag- 
giunge: il  tentato  avvelenamento  dello  zio,  descntto  con  abbon- 
danza di  particolari.  Se  è  vero  il  racconto  del  cronista  pistoiese 
Sozomeno,  che  cioè  Carlo  nell*  '88  quando  era  in  Cortona  presso 
Uguccione  Casali,  signore  di  quella  città,  i  industria  Comitis 
€  Virtutum...  per  quemdam  familiarem  et  medicum  voluit  veneno 
€  interfici,  sed  tamen,  re  comperta,  medicus  in  quatuor  partes  fuit 
€  divisus  »  (i)  non  avrebbe  fatto  che  render  la  pariglia  allo  zio  ; 
ma  ad  ogni  modo  è  sempre  un  titolo  di  più  nella  carriera  di  que- 
sto intraprendente  avventuriero. 

Alcune  parole  del  documento  fanno  intendere  che  nel  tempo 
di  questo  tentativo  Carlo  e  U  suo  famigliare  Maffiolo,  incaricato 
della  faccenda,  dimoravano  in  Venezia  :  t  dictus  Matìollus  morte 
€  preventus  non  potuit  de  Venetiis  Papiam  redire,  ut  dicto  Berto- 
€  lollo  promiserat  et  dixerat  ad  portandum  pulverem,  tosichum  et 
€  venenum  prò  abverando  Serenissimum  Ducem  »  ;  il  che  ci  mette 
sulla  via  per  fissare  la  data  del  fatto.  Di  una  stabile  dimora  di 
Carlo  in  Venezia  non  accadde  al  Romano  di  trovar  traccia  nelle 
pur  numerose  fonti  colle  quali  ha  ricostruito  l'itinerario  delle  pe- 
regrinazioni di  lui:  però  nelle  prime  trattative  corse,  nel  1391, 
fra  G.  Galeazzo  e  i  figli  di  Bernabò,  quali  ci  son  descritte  da  So- 
zomeno. si  era  stabilito  che  i  medesimi  dovessero  abitare  in  Ve- 
nezia (2)  ;  il  tentativo  dunque  sarebbe  da  porsi  tra  la  fine  del  *9i 
e  il  1393  quando  ebbero  principio  le  seconde  trattative.  Queste 

(i)  Muratori,  /?.  /.  SS.,  XVI,  1038. 

(a)  Id.,  ìbid.,  XVI,  1147:  ■  Comes  Virtutum  fecit  concordiam   cum 

•  filìis  D"»  Bernabovis,  hac  conditione  ut  singolo  mense  deberet  dare 
■  eis  florenos  M  et  certa  castra  in  Paduano,  et  ipsi  deberent  habitart 

*  VtntHis  et  numquam  contra  co  aliquid  innovare  i». 


UNA   CONDANNA   A   MORTE    CONTRO  CARLO  VISCONTI  389 

indicazioni  del  documento  ci  inducono  inoltre  a  pensare  che  la 
convenzione  del  1391  sia  stata,  in  realtà,  almeno  in  parte,  eseguita, 
e  il  documento  medesimo  ce  ne  dà  più  sotto  una  bella  prova. 
Sozomeno,  che  in  più  punti  appare  poco  benevolo  verso  il  conte 
di  Virtù,  dopo  aver  accennato  alla  provvisione  di  mille  fiorini, 
conclude  :  t  Sed  postea  eos  [filios  Bemabovis]  decepit  nihil  eis 
•  dando  ».  Invece  nella  sentenza  si  dice  esplicitamente  che  Carlo 
era  stato  t  provvisionario  »  e  aveva  ricevuto  la  provvisione  dal 
duca:  €  D.s  Karollus  tunc  provixionarius  prefati  D.ni  Ducis  et 
e  provixionem  ab  ipso  recipiens  ».  Né  si  può  supporre  falsa  que- 
sta circostanza  in  un  documento  che  veniva  letto  davanti  al  po- 
polo, in  mezzo  a  gente  che  ben  doveva  sapere  com'erano  andate 
le  cose 

Che  la  convenzione  sia  stata  in  tutto  eseguita,  cioè  che  G.  Ga- 
leazzo abbia  ceduto  le  tre  città  del  Veneto  ai  nepoti,  credo  anch*io, 
col  Romano,  insostenibile,  e  per  le  buone  ragioni  da  lui  esposte  e 
per  quest'altra  considerazione  che,  se  quelle  città  fossero  state  dav- 
vero cedute  e  possedute,  non  avrebbe  mancato  il  Podestà  di  di- 
chiarare nella  sentenza  una  circostanza  tanto  aggravante  per  l'ac- 
cusato ;  ma  che  G.  Galeazzo  abbia,  almeno  per  qualche  tempo,  pa- 
gata la  provvigione  mi  pare  omai  cosa  certa. 

Così  la  bilancia  della  responsabilità  in  questa  aspra  lotta  fi- 
nisce a  pendere  dalla  parte  di  Carlo  Visconti.  G.  Galeazzo  non 
mancava  di  buone  intenzioni,  ha  più  volte  iniziato  accordi  e,  in 
certa  misura,  ha  pur  mantenuto  i  patti.  Carlo  invece  rispondeva,  se 
l'accusa  non  è  inventata  di  pianta,  il  che  parmi  poco  probabile,  con 
un  tentativo  di  omicidio,  e  continuava  ad  ordire  intomo  allo  zio 
una  rete  d'insidie  così  ampia  da  metter  capo  ai  duchi  di  Baviera 
da  una  parte  e  ad  Isabella  di  Francia  dall'altra.  Era  naturale  che 
dopo  tanti  anni,  quando  G.  Galeazzo  avea  ormai  il  consenso  uni- 
versale del  suo  popolo,  un  atto  solenne  marchiasse  la  condotta  del 
ribelle;  il  processo  del  1399  instituito  non  per  denuncia,  come  la 
maggior  parte  dei  processi  d'allora  (i),  ma  per  inquisizione  diretta 
del  potere  giudiziario,  ci  appare  come  espressione  di  coscienza  po- 
polare, come  pubblica  sanzione  dell'operato  del  duca.  Carlo  Vi- 
sconti non  posò  tuttavia  ;  ci  voleva  la  strepitosa  vittoria  di  Brescia, 
che  rimandò  scornato  in  Baviera  il  suo  paladino  Ruberto,  per  con- 
vincerlo della  vanità  de'  suoi  sforzi. 

Ettore  Verga. 


(i)  Verga,  Le  sentenze  criniinaii  dei   Podestà   milanesi   in    questo 
Arch.,  XX. 


390  UNA   CONDANNA   A    MORTE   CONTRO    CARLO  VISCONTI 


DOCUMENTO 


ARCHIVIO  STORICO  CIVICO 

Dicasteri  :   Giustizia  punitiva  —  Sentenze  dei   Podestà, 
IV,  148  V.  e  sgg. 

Dominum  Karollum  de  Vicecomitibus,  filium  quondam  Magni- 
fici Domini  D"»  Bernabovis,  civem  Mediolani  et  oUim  habitatorem 
diete  civitatis  et  ipsius  civitatis  ortum,  Porte  Romane,  Parrochie 
S.  Stefani  in  BroUio,  nefandum  ignominiossum  et  crudellem  pro- 
ditorem  prefati  111™'  Principis  et  ex"»»  D"»  D°'  Ducis  Mediolani  ut  s., 
et  tunc  provixionarium  prefati  D"»  Ducis,  et  etiam  sue  mediola- 
nensis  patrie  manifestissimum  proditorem  ac  totius  Status  prefati 
Serenissimi  D"'  Ducis  turbationis  et  subversionis  machinatorem  et 
hominem  malie  dispoxitionis,  pessime  vite  et  conditionis  conversa- 
tionis  et  fame: 

Contra  quem  processum  fuit  et  est  per  nos  et  dictum  nostrum 
judicem  malleficiorum  per  modum  inquixitionis  contra  eum  formate, 
in  eo  de  eo  et  super  eo  quod  ad  aures  et  notitiam  nostram  et  no- 
strorum  dictorum  judichum,  fama  publica  precedente  et  clamoxa 
insinuatione  subsequente  et  rejQFerente  ac  frequentante,  non  quidem 
a  malivollis  ncque  suspectis  personis,  sed  potius  a  fide  dignis,  et 
maxime  ex  informatione  super  predictis  habita,  cognita,  vixa  et 
prehabita,  pervenit  quod 

predictus  I>  KaroUus,  civis  mediolanensis  et  proditor  sue  pa- 
trie et  prefati  serenissimi  D">  et  status  sui  et  subditorum  suorum 
mallo  modo  et  ordine,  scienter  et  dollose,  deum  pre  ocullis  non 
habendo,  sed  spiritu  diabolicho  instigatus,  animo  et  intentione  tur- 
bandi,  inquietandi  et  totaliter  subvertendi  bonum  ac  pacifichum 
statum  prefati  Ser™*  D"'  Ducis  et  subditorum  suorum  et  sue  patrie 
mediolanensis,  ac  privandi  ipsum  prefatum  D™  Ducem  statu  suo, 
et  etiam  fatiendi  nequiter  et  crudelìter  prefatum  D™  Ducem  vene- 
nare  et  morì,  tractavit  et  ordinavit,  scienter  et  doloxe,  cum  Mafiollo 
dicto  de  Cremona,  cive  et  oriondo  civitatis  Mediolani,  ipsius  D"»  Ka- 
rolli  familHare,  noto  et  domesticho,  ut  veniret  Papiam  caussa  vi- 
dendi  si  poterat  reperire  modum  fatiendi  prefatum  Ser™  D™  Ducem 
venenari  et  ipsum  mori  fatiendi  ; 

quo  consillìo  et  ordine  ac  mandato  per   ipsum    D«»  Karollum 


UNA    CONDANNA   A    MORTE  CONTRO  CARLO  VISCONTI  39I 

sic  datis,  cum  ipso  Mafiollo  et  per  ipsum  Mafiollum  volluntarie  su' 
ceptis,  predictus  Mafiollus  juxta  mandatum  et  ordinem  predictos  per 
ipsum  D™  Karollum  factos,  venit  Mediolanum  ad  domum  Bertolloli 
de  Cremona,  filii  quondam  Ambrosii,  porte  Comasine  Par.  S.  Pro- 
taxii  in  campo  intus,  et  ibi  ipse  Mafiollus  pluribus  diebus  stetit  et 
sic  stando  ipse  Mafiollus  de  multis  et  multis  consulit  cum  predicto 
Bertololo,  et  inter  allia  secrete  ei  occulte  dixit  ipsi  BertolloUo  : 
«  Audi,  Bertollole,  habeo  tibi  aliqua  exponere  et  dicere  parte  D"» 
Karolli,  sed  vollo  antequam  alliqua  tibi  dicam  mihi  promitas  cum 
sacramento  quod  ipsa  secreta  tenebis  et  nemini  manifestabis  »  ;  qui 
BertoloUus  respondidit:  «  dicas  audacter  que  vis,  quia  si  erunt 
tallia  que  per  rae  fieri  possunt,  libenter  exsequar,  sin  autem  de  pre- 
dictis  numquam  loquar  n.  Et  ipse  Mafiollus  tunc  respondit  :  «  D*  Ka- 
rollus  mihi  impoxuit  et  in  mandatis  dedit,  ut  tibi  dicam  si  vis  te 
cooperari  ad  tosichandum  et  venenum  dandum  0°°  Duci  Mediolani, 
quod  tibi  fatiet  multa  bona,  talliter  quod  semper  eris  dives  ».  Et 
ipse  Bertollollus  respondit  :  «  quid  michi  dicis  esset  nimis  pos- 
sibille  executioni  mandare,  sed  cogitabo  modum  et  postea  respon- 
debo  tibi  ».  Et  ipse  Mafiollus  respondit:  «  optime  dicis,  sed  caveas 
quod  nemini  pandas,  et  si  dispoxueris  te  ad  fatiendum,  tibi  dabo 
raodos  et  res  opportunas  prò  fatiendo  predicta  ».  Et  ipse  Berto- 
loUus respondidit  :  «  si  feceris  id  quod  dicis  et  D*  Karollus  fatiat 
ea  que  michi  dixisti  usque  nunc,  cogitavi  velie  facere  et  fatiam  ». 
Et  predicta  verba  ipse  Mafiollus  tribus  vicibus  dicto  Bertolollo  dixit 
et  semper  ipse  BertoloUus  in  eius  propoxito  mallo  perseveravit; 
sed  predicta  atrocissima  crimina  ipse  D*  Karollus,  licet  animum 
haberet  propoxitum  et  intentìonem  fatiendi  et  exequendi  et  in  eis 
semper  perseveraret,  executioni  mandare  non  potuit,  sed  per  ipsum 
non  remansit  quin  fierent  et  executioni  mandarentur.  Sed  dictus 
Mafiollus,  morte  preventus,  non  potuit  de  Venetiis  Papiam  redire  ut 
dicto  Bertolollo  promixerat  et  dixerat  ad  portandum  pulveres  tos- 
sichum  et  venenum  prò  abeverando  Ser."'  D."™  Ducem  prelibatum. 
Item  in  eo  de  eo  et  super  eo  quod  predictus  D*  Karollus, 
tunc  provLxionarius  prefati  D"'  Ducis,  et  provixionem  ab  ipso  re- 
cipiens,  mallo  modo  et  ordine,  scienter  et  doUose,  spiritu  diabolicho 
instigatus,  animo  et  intentione  turbandi  statum  pacificum  prelibati 
D*"  Ducis  et  subditorum  suorum,  tractavit  et  procuravit  cum  quam- 
pluribus  dominis,  comunitatibus  et  principibus,  quorum  nomina  prò 
melliori  tacentur,  adversariis  et  inimicis  capitalibus  prefati  D"»  Du- 
ds,  destinando  predictis  adversariis  et  inimicis  quamplures  et  va- 
rias  litteras  et  brevia,  suo  sigillo  sigillatas  et  sigillata,  et  se  cum 
eis  inimicis  capitalibus  ligare  voUendo  et  recipere   ab  eis  magnam 


392  UNA   CONDANNA   A   MORTE   CONTRO  CARLO  VISCONTI 

quantitatem  denariorum  et  pecuniarum  ad  hoc  ut  mellius  et  habillius 
posset  ojQFendere  prefatum  Ducem  et  eius  subditos  et  subvertere 
et  perturbare  prefatum  Statuiti  pacifichum  et  tranquillum  prelibati 
D"*  Ducis  et  subditorum  suorum,  et  per  ipsum  non  remansit  quin 
predicti  crudelissimi  tractatus  et  conspirationes  fierent,  et  execu- 
tioni  mandarentur;  sed  eius  pessimam  voluntatem  et  intentionem 
pravam  executioni  mandare  non  potuit  ut  eius  propoxiti  et  inten- 
cionis  erat. 

Et  predicta  omnia  et  singulla  commissa  et  perpetrata  fuenint 
per  suprascriptum  D™  Karollum  de  Vicecomitibus,  superius  inqui- 
xitum,  talliter  ut  supra,  loco  et  tempore  in  dieta  inquixitione  con- 
tentis.  Comittendo  predicta  contra  bonos  mores  sue  genitallis  pa- 
trie, formam  statutorum  provixionum  et  consuetudinum  Comunis 
Mediolani  ac  decretorum  et  ordinamentorum  et  edictorum  111"™'  D"' 
D°'»  nostri. 

Qua  de  causa  suprascriptus  D»  Karollus  de  Vicecomitibus,  pro- 
ditor  et  ignominioxus  ut  s.  superius  inquixitus,  in  fine  rite  legip- 
time  et  perhemtorie,  secundum  formam  statutorum  Comunis  Me- 
diolani, citatus  monitus  et  requixitus  fuit  per  Ambrosium  de  Tre- 
chate,  servitorem  malleficiorum  comunis  Mediolani,  et  Marchetum 
dictum  dominum  Balzarum  de  Grivio  (?),  publicum  tubatorem  Co- 
munis Mediolani,  quatenus  certo  termino  eidem  statuto  et  asignato, 
et  jam  diu  elapso,  coram  dictis  nostris  judicibus  personaliter  ve- 
nire et  comparere  deberet  ad  standum  et  parendum  mandatis  die- 
torum  nostrorum  judichum,  et  ad  respondendum  suprascripte  in- 
quixitioni  contra  eum  formate,  de  prodictione,  ut  s.  et  se  a  dieta 
inquixitione  et  ab  omnibus  et  singullis  in  ea  inquixitione  con- 
tentis  dejQFendendum  et  excuxandum  ;  et  non  venit  nec  comparuit 
dominus  Karollus  superius  inquixitus,  sed  venire  et  comparere  recu- 
savit,  et  mandata  ipsorum  nostrorum  judichum  penitus  contempsit, 
passus  fuit  se  poni,  legi,  scribi  et  publicari  in  hanno,  de  contemptu, 
inhobedientia,  prodictione  ac  malleficiis  supraspriptis  et  de  omnibus 
et  singullis  in  dieta  inquisitione  contentis,  et  ultra  de  certa  quantitate 
peccunie  in  dicto  hanno  specificatis,  in  quo  hanno  tanto  tempore  stetit 
et  perseveravit  semper  in  contumacia  pjersistendo  et  perseverando, 
quod  de  predictis  in  dieta  inquixitione  contentis  habetur  prò  con- 
victo  et  confesso  secundum  formam  statutorum  comunis  Mediolani 
etc,  prout  hec  et  allia  in  actis  nostris  et  curie  nostre  plenius  con- 
tinentur  et  evidenter  aparent; 

Idcirco  nos  Petrus  marchio  de  Cavalchahobus,  Potestas  ante- 
dictus  prò  tribunali  seden tes  ut  s.,  sequentes  et  sequi  vollentes  for- 
maro  juris,  statutorum,    decretorum,   ordinamentorum  et  provixio- 


UNA   CONDANNA   A   MORTE   CXJNTRO  CARLO  VISCONTI 


393 


niun  prelibati  D"'  D">  nostri,  et  Comunis  Mediolanì,  et  ex  vigore 
arbitrii  et  bayllie  nobis  in  hac  parte  concessorum  et  atributorum, 
omnique  allio  modo  jure,  via  et  forma  quibus  mellius  possumus  et 
<ie  jure  debemus,  predictum 

Dominum  KaroUum  de  Vicecomitibus  proditorem  et  nefandum 
inpominiossum  ut  s.  superius  inquixitum, 

Quod  si  quo  tempore  pervenerit  in  nostri  fortiam  vel  Comunis 
Mediolani  vel  successorum  nostrorum,  quod  ducatur  ad  locum  ju- 
stitie  consuetum  et  ibidem  caput  a  spatulis  amputetur  et  anima  a 
torpore  separetur  ita  et  talliter  quod  confestim  moriatur,  et  eius 
penna  alliis  transeat  in  exemplum,  in  hiis  scriptis  prò  tribunali 
sedentes  ut  s.  sententialiter  et  juditialiter  condempnamus  et  pronun- 
mraus. 

APPENDICE. 

Carlo  Visconti  a  Parma. 

Il  Giulini  (i)  sotto  Tanno  1379,  dice  :  «  Nel  mese  di  marzo  Ber- 
«  nabò,  a  dire  del  Corio,  divise  il  suo  Stato  in  cinque  parti,  e  ne 
«  assegnò  da  governare  una  a  ciascuno  dei  suoi  cinque  figliuoli  le- 

•  gittimi.  A  Marco  assegnò  la  metà  di  Milano  che  a  lui  era  toccata, 

•  a  Lodovico  Lodi  e  Cremona,  a  Carlo  Parma,  Borgo  S.  Donnino  e 

•  Crema,  a  Rodolfo  Bergamo,  Soncino  e   la  Chiara  d*Adda,  ed  a 

•  Mastino,  ancor  fanciullo  sotto  la  custodia  della  madre,  Brescia  colla 
«  riviera  e  la  valle  Camonica  ».  Questo  egli  giudica  un  pessimo  di- 
visamento  perchè  di  uno  stato  forte  se  ne  venivano  a  far  cinque 
<ieboli  e  conclude  :  «  forse  Tessersi  solamente  trapelata  tale  dispo- 
«  sizione  contribuì  alla  totale  distruzione  de'  figliuoli  e  del  padre  ». 

Dà  infatti  precisamente  il  Corio  tale  e  quale  quella  notizia  (2), 
e  aggiunge  che  Bernabò  mandò  nel  marzo  ciascuno  dei  suoi  figli  con 
nobile  comitiva  ai  rispettivi  domini.  Se  non  che  non  è  egli  il  primo 
a  narrar  questo  fatto  come  possono  far  credere  le  parole  del  Giulini. 
Per  quanto  riguarda  almeno  il  nostro  Carlo,  scrive  Tanonimo  par- 
mense, identificato  dal  Ferrai,  negli  Annales  Mediolanenses  (3)  :  «  Die 

•  W  Martii  D.  Bernabos  Vicecomes  posuit  D.  Carolum  filium  eius  in 
«  lenutam  et  possessionem  Civitatis  Parmae  et  jurare  sibi  fecit  fide- 


(i)  Mem,  Cont.  II,  314. 

(2)  Storta  di  Milano,  ediz.  1856,  II.  288. 

(3)  Muratori,  R.  L  SS.,  XVI,  771.  Cfr.  questo  Archivio,  XVII,  287. 

^^k.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXfX.  Fase.  XXXIV. 


36 


394  "■''A   CONDANNA  A   MORTE  CONTRO  CARLO  VISCONTI 

a  litatem  ab  ofìicìalibus  et  a  quibuscumqiie  aliis  et  stipendiariis  e.\i- 
v  stentìbus  in  ipsa  civitate  ";  e  negli  Additamenta  alla  Istoria  par- 
mense del  Cornazzani  (i)  sotto  l'anno  1358:  «  Carlo  Visconte,  figliuolo 
"  di  Bernabò  il  quale  stava  in  Parma  e  ne  era  Signore,  si  partì  et  andò 
"  al  Padre  ».  Dunque  la  disposizione  di  Bernabò,  che  il  Giulini  inclina 
a  credere  appena  trapelata,  avrebbe  avuto  esecuzione  e  per  parecchi 
anni,  fino  alla  cattura  del  Visconti.  A  conferma  di  queste  notizie  ecco 
un  documentino  ufficiale,  che  mi  fu  comunicato  dall'egregio  e  dotto 
amico  mio  professore  Giuseppe  Callìgaris,  E  una  letterina  scritta  da 
Carlo  Visconti  al  duca  di  Savoia,  un  mese  dopo  aver  preso  pos- 
sesso della  sua  nuova  sede  di  Parma. 

■  lllustris  Princeps  et  Magnifice  tamquam  pater  carissime  *. 

«  Literas  Paternitatis  vestre  nobis  prosperum  et  jocundum  sta- 
tum  eiusdem  vestre  Paternitatis  nuntiantes,  gratanter  et  illari  animo 
suscepimus;  de  quanim  missione  non  modicas  grates  eidem  vestre 
Paternitati  regratiamur,  notìftìcantes  vobis  quod  altitonantis  gratia 
corporea  sospitate  cum  tota  nostra  comitiva  in  Parma  vigemus.  De 
eadem  vestra  Paternitate  nobis  carissima,  quam  dictus  altitonans 
juxta  votum  conservare  dignetur,  sepius  audire  preoptantes. 

Karolus  Vicecomes  natus  Mei  et  Ex™'  Dni  Dni  Mediolani  etc, 
in  Parma   etc,  locumtenens  prefati  Domini,  Datum  Parmae    lercio 

apriliS   MCCCLXXVUIJ  "    (2). 

Carlo  Visconti  si  firma  luogotenente,  e  l'aver  mandato  i  propri 
figli  a  governare  le  provincie  come  semplici  governatori  o  lut^o- 
tenenti  del  principe,  è  ben  altra  cosa,  mi  sembra,  che  l'aver  fatto 
dnque  stati  d'un  solo,  come  opina  il  Giulini  interpretando  le  pa- 
role del  Cono,  e  come  pure  lascerebbe  intendere  l'espressione  del 
cronista  parmense. 

(0  Muratori,  R.  I.  SS.,  XVI,  753. 

(2)  Si  trova  nell'Archivio  di  Stato  di  Torino.  Lett.  Princ.  foresi,  Mi- 
lano, Doc.  2. 

"  '      '  oliata  da  mano    moderna    sulla  lei- 


MASTINO  VISCONTI  395 


Mastino  Visconti. 


genealogisti  caddero  facilmente  in  grossi  errori,  par- 
lando dei  figli  di  Bernabò  Visconti,  sia  per  difetto  di 
notizie,  sia  per  l'eccessivo  numero  dei  figli  medesimi; 
sia  infine  per  l'oscurità,  in  cui  vissero  non  pochi  fra  questi. 

Tra  i  molti  altri  discendenti  legìttimi,  che  diede  a  Bernabò  la 
moglie  Regina  della  Scala,  ve  ne  fu  uno  chiamato  Mastino,  al  quale 
poi,  nella  spartizione  dei  domini  fatta  da  Bernabò  nell'anno  1379  (i), 
toccarono  Brescia,  la  Riviera  del  Garda  e  la  Val  Camonica.  Ma  il 
giovanetto  non  godè  a  lungo  la  signoria;  perchè,  caduto  il  padre 
nel  1385,  anche  Mastino,  che  s'era  chiuso  nella  fortezza  di  Brescia, 
dovette  arrendersi  dopo  non  lunga  resistenza  ed  andarsene  esule  (2). 

Qie  età  aveva  Mastino  Visconti,  quando  fu  costretto  ad  an- 
dare in  esilio?  11  Cono  ed  il  Giulini  gli  attribuiscono  non  più  di 
cinqtie  anni,  il  Volpi  sei  (facendolo  nascere  il  26  febbraio  1379)  ; 
glie  ne  concede  otto  compiuti  il  Calco  (facendolo  nascere  l'ultimo  di 
febbraio  del  1377),  quasi  nove  gli  Annali  Vicentini,  nove  compiuti 
il  Litta,  dieci  il  Muratori;  finalmente  glie  ne  darebbe  anche  piti  di 
dieci  l'Odorici,  se  si  dovesse  credere  che,  nel  suo  contorto  lin- 
guaggio, lo  storico  di  Brescia  volesse  dire  che  Mastino  aveva 
quasi  IO  anni  nel  1379  (3). 

Alcune  di  queste  opinioni  si  dimostrano  errate  con  la  massima 
facilità.  Così  è  impossibile  ammettere  quella  dell'Odorici;  perchè, 
se  Mastino  avesse  avuto  circa  io  anni  nel  1379,  cioè  quando  il 
padre  gli   assegnò   il  dominio  di  Brescia,   avrebbe    avuto  circa  16 

(1)  CoRio,  Historia  di  Milano,  Padova  1646,  pp.  497-498. 

(a)  Odorici,  Storie  bresciane^  Brescia  1857,  voi.  VII,  pp.  216-217;  Ro- 
MAKo,  Giangal.  e  gli  eredi  di  Bernabò  in  Arch.  Stor,  Lomb.  XVIII,  1891, 
p.  10-I3.  Fonti  principali:  Ann,  Mediai,  in  R,  L  S.,  XVI  786;  Ann.  Piceni,, 
ibid.,XIlI  1261,  Chron.  placenLf  ibid.,XVI  544,  Chron,  regien.^  ibid.,XVIIl  92. 

(3)  CoRio,  op.  cit.;  Giulini,  Mem.  stor,  a.  1385,  1.  LXXII,  p.  374;  Volpi, 
Istoria  de'  Visconti^  I,  362,  Napoli  1737  ;  T.  Calchi,  Genealogia  Viceca- 
mitum  in  appendice  al  Volpi  op.  cit.,  II,  291,  Napoli  1748;  Annales  vi- 
ctHtÀfì,  R.  L  S.,  XIII,  1261;  Litta,  Fam,  Risconti,  tav.  V.  L'Odorici,  op.  cit., 
VU,  ai6,  si  esprìme  così:  *  Avendo  già  Barnabò  diviso  lo  stato,  al  mi- 
'  Dore  di  tutti  Mastino,  giovinetto  di  forse  dieci  anni,  aveva  data  la 
*  nostra  dttà.  1,  Il  Muratori,  Ann.  1385,  gli  attribuisce  io  anni  ;  ma  cita 
come  prova  gli  Ann,  medioL,  che  a  dir  vero  glie  ne  attribuiscono  sola- 
mente otto. 


396  MASTINO   VISCONTI 

anni  nel  1385  e  quindi  non  avrebbe  potuto  fare  quel  patto,  di  cui 
ci  informano  gli  Ami.  Vicentini^  secondo  il  quale  Giangaleazzo  gli 
avrebbe  dovuto  passare  una  pensione  fino  al  compimento  del  suo 
15°  anno  (i).  Ugualmente  impossibile  è  d'ammettere  con  il  Cono 
ed  il  Giulini  che  i  cinque  anni  non  fossero  già  superati  nel  1385, 
dacché  il  Corio  medesimo  e  con  lui  il  Giulini  dicono  (cadendo  in 
contraddizione)  che  Mastino  è  menzionato  nel  trattato  di  pace  fra 
Bernabò,  Regina  e  gli  Scaligeri,  trattato  che  porta  la  data  del  26 
febbraio  1379,  la  quale  non  è  contestata  da  alcuno  (2).  E  questo 
medesimo  trattato  dimostra  falsa  la  data  del  Volpi,  non  potendo 
Mastino  esser  nato  proprio  il  giorno  medesimo  nel  quale  si  fir- 
mava il  trattato,  in  cui  s'era  convenuto  qualche  cosa  in  suo  favore. 
Ma  se  Mastino  era  già  in  vita  nel  26  oi  febbraio  1379,  non  è  am- 
missibile però  che  nascesse  in  queir  inverno  medesimo  fra  il  1378 
ed  il  1379;  perchè,  proprio  in  queir  inverno.  Regina  prese  parte 
alla  guerra  contro  Verona  (3),  e  ciò  non  avrebbe  fatto  se  si  fosse 
trovata  negli  ultimi  mesi  di  gravidanza  o  nel  puerperio,  perchè 
quella  dura  vita  di  strapazzi  avrebbe  messo  in  pericolo  lei  stessa 
e  la  creatura  che  portava  nel  seno.  Alla  guerra  che  s*era  combat- 
tuta, pure  contro  Verona,  nel  primo  semestre  del  1378,  Regina  in- 
vece non  aveva  partecipato  (4);  e  ciò  potrebbe  lasciar  credere  che 
Mastino  nascesse  in  quel  tempo,  se  non  avessimo  una  testimonianza 
in  contrario,  che  ci  viene  dagli  Annales  tnediolanenses. 

Gli  Ann.  medioL  dicono  espressamente  che  Mastino  nacque 
nel  marzo  1377,  e  che  in  tale  occasione  furono  fatte  grandi  feste 
e  stettero  chiuse  le  botteghe  per  tre  giorni  (5);  e  questa  testimo- 
nianza risolverebbe  la  quistione,  se  non  fosse  grandemente  scossa 
la  fede  in  questi  annali,  centone  tardivo,  derivato  da  fonti  di  troppo 
diverso  valore,  ed  a  volte  meno  autorevole  del  Corio.  Senonchè 
la  data  degli  Ann,  niedtoL  trova  questa  volta  un  valido  conforto 
nella  testimonianza  autorevole  degli  Ann.  vìcent.  (il  cui  autore. 
Conforto  Pulice,  fiorì  circa  il  1387),  i  quali  dicono  che  nel  1385  Ma- 


(i)  Ann.  Vicent.y  loc.  cit. 

(a)  Trovasi  nel  Dumont  ed  è  riassunto  dal  Giulini,  op.  cil,  a.  1379, 
1.  LXXII,  pp.  312  sgg.  Il  Corio  lo  ricorda,  sbagliando  il  mese,  sotto  la 
data  Taprile  1379.  Il  medesimo  G>rìo  dice  che  nel  marzo  1379  Mastino 
fu  destinato  al  dominio  di  Brescia  a  norma  di  una  divisione  anierior' 
menti  fatta  da  Bernabò  di  tutto  il  suo  stato  {Hisioria  est.  p.  497  498). 

(3)  Odorici,  op.  cit.,  VII  aii,  Giulini,  op.  cit.,  a.  1379, 1.  LXXII,  p.  812. 

{^^  Oix)Rici.  op.  cit.,  ao8;  Giullm,  op.  e  loc.  cit.,  311. 

(5>  R.  L  S..  op.  e  loc.  cit.,  X\*I,  763  B. 


MASTINO    VISCONTI  397 

stìno  aveva  quasi  nove  anni;  il  che  torna  a  cappello  perchè,  se  Ma- 
stino era  nato  nel  marzo  1377,  come  vogliono  gli  Ann.  medìoL, 
egli  aveva  precisamente  otto  anni  ed  alcuni  mesi  nel  maggio  T385, 
quando  cadde  suo  padre. 

Questo  è  quanto,  intorno  alFetà  di  Mastino,  esplicitamente  ci 
dicono  le  fonti.  Altri  indizi,  che  forse  si  avevano  un  tempo,  della 
data  della  nascita  di  Mastino  sono  irremissibilmente  perduti  o  al- 
meno per  ora  non  si  rintracciano.  E  perduta  V  iscrizione  posta  sul 
suo  sepolcro  a  Bergamo,  scomparsa  oggi  insieme  con  la  chiesa  di 
S.  Giovanni  della  Cittadella,  in  cui  si  trovava  (i). 

Certamente  però  i  fatti  che  di  Mastino  si  ricordano  neir  anno 
1335,  confermano  indirettamente  che  nel  1385  egli  era  in  età  molto 
giovanile.  Tutte  le  cronache  ce  lo  rappresentano  condotto  da  amici 
fedeli  a  Brescia  (2),  difeso  dai  fratelli,  dai  Gonzaga  (3);  i  patti  della 
resa  in  suo  favore  non  furono  dettati  da  lui  ma  dai  suoi  difensori, 
come  attestano  espressamente  diverse  fonti  (4). 

Un  altro  fatto  ci  permette  di  credere  che  ventanni  dopo,  quando 
morì,  Mastino  fosse  ancor  giovane  ;  poiché  i  figli  che  lasciò  erano 
ancora  fanciulli  e,  sebbene  vi  fosse  tra  essi  un  maschio,  niuno  se 
ne  curò,  evidentemente  perchè  era  un  bambino,  e  la  città  di  Ber- 
gamo passò  a  Gianpiccinino  figlio  di  Carlo  Visconti  (5).  Bisogna 
dunque  supporre  che  solamente  da  pochi  anni,  Mastino  avesse  po- 
tuto consumare  il  matrimonio  con  la  giovine  Scaligera,  alla  quale 
era  stato  promesso  in  marito,  mentre  egli  era  ancora  infante  ;  dato 
che  sia  veramente  costei  la  madre  de'  suoi  figli. 

(i)  Ricorda  la  morte  di  Mastino  il  Chron.  berg.  in  R,L  S.,  XVI  971  C. 
Essa  avvenne  il  19  giugno  1405.  Del  sepolcro  fa  cenno  il  Ronchetti, 
Mem.  istor,  delia  città  di  Bergamo,  Bergamo  1819,  VI,  p.  26,  avendone 
notizia  da  un  frammento  dì  cronaca,  che  ora  trovasi  stampato  nelle 
Breves  chronicae  bergomenses  del  can.  Finazzi  {Miscellanea  di  storia 
italiana  V.  275). 

(2)  ■  reductus  fuit  per  el  Medexina  virum  facetum  valde^  ecc.  „  Chron, 
placent.  in  /?.  /.  S,,  XVI  544  B. 

(3)  Chron  plac,  ed  altre  fonti  citate  in  principio. 

(4)  *  Reddiderunt  cittadellam  „  (non  reddidit)  dicono  gli  Ann.  me- 
dioL  785  E.  ■  D.  Guido  Gonzaga,  qui  erat  custos  ac  dux  eius  [scil.  Ma- 

*  stini],  eum  reduxit  Venetias  et  dedit  civitatem  D.  Corniti  [scil.  Virtu- 

*  tum]  ,  Chron,  reg.  92  D.  Similmente  il  Chron  bergom.  854  D.  Resta 
oscuro  il  perchè,  se  c'erano  a  Brescia  alcuni  fratelli  di  Mastino,  chi 
dettò  i  patti  fu  invece  Guido  Gonzaga. 

(5)  Chron,  bergont,,  9170,9728;  Volpi,  1,  p.  362;  cfr.  Litta  e  R'-n- 

CHETTI. 


398  MASTINO   VISCONTI 

Ma  per  essere  incapace  di  comandar  soldati  nel  1385,  per  aver 
figli  giovanissimi  nel  1405,  non  è  mica  assolutamente  necessario 
che  Mastino  fosse  nato  nel  1377  e  non  qualche  anno  prima;  mentre 
di  lui  si  raccontano  altri  fatti  che  si  spiegano  un  po'  a  stento  qua- 
lora si  voglia  proprio  tenere  per  fermo  che  la  sua  nascita  avvenisse 
nel  1377. 

Il  giorno  IO  ottobre  del  1385,  cioè  pochi  mesi  dopo  la  caduta 
di  Brescia,  Giangaleazzo  inviava  al  Reggimento  di  Reggio  nel- 
r Emilia  severissime  disposizioni  contro  le  persone  che  andavano 
nel  Reggiano  con  lettere  di  Carlo  e  Mastino  Visconti  (i).  O Carlo 
aggiungeva  di  suo  arbitrio,  o  in  qualità  di  tutore,  il  nome  del  fra- 
tello al  nome  proprio  nella  intestazione  delle  lettere,  oppure  Ma- 
stino aveva  più  di  sette  anni  nel  1385. 

Ci  risulta  inoltre  che  Mastino  non  ristava  dall'agitarsi  in  cerca 
d*aiuto  e  protezione  (2)  nel  1390,  quando,  se  fosse  nato  nel  1377, 
avrebbe  avuti  solamente  13  anni.  Nel  1391  prese  parte  ad  un  ac- 
comodamento con  Giangaleazzo  (3).  Nel  1393  la  signoria  di  Firenze 
gli  diresse  una  lettera,  in  cui  lo  esortava  a  sottomettersi  a  Gian- 
galeazzo, e  lo  chiamava  col  titolo  di  miles^  mentr'egli  avrebbe  con- 
tati air  incirca  16  anni  (4).  NelKottobre  di  quel  medesimo  anno  suo 
fratello  Carlo  Visconti,  stringendo  una  convenzione  con  Gianga- 
leazzo, usava  nel  parlare  di  Mastino  le  identiche  parole  che  usava 
parlando  di  Lodovico,  altro  fratello  non  più  giovinetto,  parole  che 
implicavano  che  Mastino  avesse  come  Lodovico  piena  potestà  di 
sé  e  piena  libertà  di  contrarre  (5)  ;  e  lo  stesso  giorno  infatti  Ma- 
stino medesimo  stringeva  una  convenzione  della  quale  ci  rimane  un 
solo  frammento,  ma  che  si  ha  ogni  ragione  di  credere  che  fosse 
analoga  a  quelle  di  Carlo  e  di  Lodovico  (6). 

Ora  è  da  osservarsi  che  se  vi  sono  statuti,  i  quali  abbassano 
fino  a  12  anni  l'età  maggiore,  lo  statuto  milanese  (che  è  quello  che 


(t)  Archiv.  di  Reggio  Emil.,  Cart,  del  Regg, 

(2)  Romano,  op.  cit.  in  Arcfu  lomb,  XVIII,  1901,  p.  42  e  cfr.  20, 24, 35, 

(3)  i'^i  43-44- 

(4)  ivi  45  e  docum.  n.  VII,  p.  315-316. 

(5)  Romano,  Nuovi  docum.  viscontei  in  quest* -<4rc/r.,  XVI,  1880, 
p.  318:  "  dictus  dominus  Karolus  scit  quod  illustris  dominus  Lodovicus 
"  et  dominus  Mastinus  fratres  sui  facturi  sunt  simile  contractum...  Co 
'•  gnoscens  rectas  praedictorum  fratrum  suorum  intentiones....  promitiii 
"  etc.  Predicti  Ludovicus  et  dominus  Mastinus  et  uterque  ipsorum  con- 
'*  trartus  ab  ipsis...  cellebrandus...  integraliter  observabunt  „. 

(6)  Romano,  Nuovi  docum,  cit.y  ibid.,  XVI,  1889,  p.  301,  nota. 


i 


MASTINO   VISCONTI  399 

a  Giangalea2zo  avrebbe  dovuto,  se  non  erro,  interessare  maggior- 
mente di  rispettare,  trattandosi  di  convenzioni  con  un  pretendente 
alla  signoria  viscontea;  affinchè  questi  non  potesse  mai  sollevare 
eccezioni  contro  la  validità  dell'atto)  non  concedeva  la  libera  ca- 
pacità giuridica  ai  giovini  prima  dei  20  anni  (i).  Ciò  desta  il  so- 
spetto che  nemmeno  la  data  del  1377  sia  da  tenersi  per  sicura  e 
che  sia  prudenza  il  contentarsi  di  dire  che  nel  1385  Mastino  non 
era  certamente  in  età  maggiore  e  non  aveva,  secondo  ogni  proba- 
bilità, raggiunti  i  15  anni,  perchè  la  menzione  esplicita  dei  15  anni, 
riferita  degli  Annales  vicentini  come  contenuta  nel  trattato  per  la 
resa  di  Brescia,  ha  troppo  chiaramente  l'impronta  di  una  notizia 
di  fonte  ufficiale. 

Quest'ultima  rimane  dunque  a  stretto  rigore  l'unica  notizia  ve- 
ramente incontrovertibile  che  abbiamo  intorno  alla  sua  età.  Pur  es- 
sendo in  particolar  modo  probabile  che  Mastino  sia  nato  nel  1377, 
tuttavia  è  possibile  che  nascesse  invece  in  uno  degli  anni  dal  1371 
al  1376;  nei  quali  anni  consta  che  Regina  della  Scala  non  mise 
alla  luce  altri  figli,  poiché  dalle  notizie,  sebbene  incomplete,  che 
abbiamo  di  tutti  i  figli  nati  da  lei  (2),  risulta  che  videro  la  luce 
prima  del  1371,  meno  Mastino  (3). 

F.    E.    COMANI. 


(1)  Salvigli,  Man,  di  storia  del  dir.  ital.*  §  159,  p.  242;  Fertile, 
St.  del  dir.  ital.^  §  103,  n.  25,  111,  216.  Gli  Statuta  Mediolani  editi  nel  1480 
da  Paolo  de  Suardis  portano  a  18  anni  l'età  per  stare  in  giudizio; 
in  tutti  gli  altri  casi  esigono  ancora  i  20  anni  (Rubrica  gener,  de  ex- 
iraord.  ciuil.,  fol.  234  t,  nella  copia  della  Biblioteca  nazionale  di  Napoli, 
una  delle  più  pregevoli  secondo  Manzoni,  Biòl,  statutaria,  I,  266-267). 

(2)  Vedi  LiTiA  e  Volpi,  op.  cit.,  I,  360-369. 

(3)  So  per  cortesia  del  eh.  bibliotecario  sig.  Motta  che  il  testamento 
di  Bernabò  (su  cui  vedi  Romano,  /  Visconti  e  la  Sicilia  in  quest'<^rrA. 
XXIII,  1896,  pp.  21-22)  in  cod.  Trivulz.,  n.  1741  non  contiene  nulla 
che  lasci  supporre  l'età  di  Mastino  alla  data  del  testamento  medesimo 
<i6  novembre  1379).  Nell'Archivio  municipale  di  Brescia  scarseggiano 
i  documenti  di  quest'epoca.  Nessuno  serve  a  risolvere  la  nostra  qui- 
stionc;  anzi  nei  pochi  documenti  di  Bernabò  e  di  Regina  il  piccolo  Ma- 
rtino non  è  nemmeno  menzionato,  sebbene  fra  gli  atti  del  governo 
trascritti  in  calce  allo  Statuto  del  1355  (ora  depositato  presso  la  B.  Que- 
tiniana)  vi  siano  documenti  posteriori  al  1379  a  carte  225  e  sgg. 


V 


400  PER  l'ingresso  di  cristierna  sforza  in  vigevano 


Per  l'ingresso  di  Cristierna  Sforza  in  Vigevano^ 


EL  1534  e  Vigevano  fu  pure  onorata  dalla  presenza 
di  Cristierna  figlia  del  re  di  Dcinimarca,  e  sposa 
del  duca  Francesco  Sforza.  Nel  solenne  ingressa 
di  questa  Principessa  narra  il  Sacchetti,  dietro  Tautontà  di  Si- 
mone dal  Pozzo,  che  sei  personaggi  distinti  del  comune  ebbero 
Tonore  di  portare  il  baldacchino,  fra'  quali  nomina  il  nobile  Ge- 
ronimo Ridolfo,  il  dottor  fisico  Gio.  Giacomo  de  Bergondi,  e 
Mr.  Geronimo  Parona,  che  dopo  la  morte  di  Francesco  Sforza  fu 
il  primo  referendario  cesareo  »  (i). 

Maggiori  notizie  sopra  tale  ingresso  crediamo  non  si  cono- 
scano :  di  più  non  dice  il  Sacchetti  (2)  ;  Vlstoria  del  Pozzo,  che 
sarebbe  riuscita  fonte  preziosissima  ai  ricercatori  delle  antichità 
vigevanesi,  non  vide  mai  la  luce,  ed  oggi  anzi  è  perduta,  e  final- 
mente, secondo  quel  che  ci  è  noto,  nessun  altro  scrittore  ne  ha 
toccato. 

Perciò  reputiamo  non  del  tutto  ozioso  offrirne  qui  alcune 
nuove,  dovute  in  parte  a  Simone  stesso,  il  quale  non  si  conten- 
tava di  narrar  le  cose  in  uno  solo  de'  molti  volumi,  che  ci  ha  la- 
sciati, ma  amava  ripeterle  in  vari  luoghi,  onde  quello,  che  non 
ci  è  più  concesso  di  leggere  nella  sua  Istoria^  possiam  ricavare 
da  altre  note,  quantunque,  senza  dubbio,  molto  meno  largamente. 


*  * 


La  dominazione  di  Francesco    II    sopra    Vigevano  non  fu, 
certo,  mite,  che  da  una  parte  il  duca,  stretto  da  numerosi  e  ur- 

(i)  BiFFiGNANDi,  Memorie  storiche  della  città  e  contado  di  Vigevano, 
Vigevano,  1870,  p.  268. 

(2)  Sacchetti,  Vigevano  illustrato,  Milano,  1648,  p.  89,  parlando 
della  famiglia    Bergondi,   dice:    *  E  d'essa  famiglia  vivea  nel  principio 

•  del  secolo  prossimo   passato    il   Dottor   Fisico    Gio.  lacomo   de  Ber- 

•  gondi,  uno  di  quelli,  che  portarono    l'Ombrella,  o  Balduchino  di  tela 

•  d'argento,    all'entrata   in    questa    Città  della  Duchessa    Christierna.... 

•  come  scrive  il  Pozzo  nel  sopraciiato  libro  al  fol.  212.  »  Così  a  p.  120: 

•  ....  Hieronimo  Parona,   ch'era    stato  anco  uno  dei    sei,  che    portorno 

•  il  Balduchino   d'argento    all'entrata    della    Duchessa    Christierna....  ^ 
Così  a  p.  128,  trattando  de'  Rodolfi,   dove  si  riferisce  ancora  al  Pozzo 

•  nel  libro  coperto  di  corio  turchino.  , 


PER  l'ingresso  di  cristierna  sforza  in  vigevano  401 

genti  bisogni,  chiedeva  troppo  spesso  nuove  somme  di  danaro,  di 
cui  talune  abbastanza  rilevcinti  ;  dall'altra  la  città,  ridotta  in  mi- 
seria per  le  guerre,  le  spogliazioni,  le  devastazioni,  la  peste  degli 
anni  precedenti,  non  riusciva  a  metter  insieme  pochi  scudi  senza 
ricorrere  ad  espedienti  dolorosi  e  pericolosi.  Tuttavia,  liberata  al- 
fine, grazie  allo  Sforza,  da  Svizzeri,  da  Spagnuoli,  da  Francesi, 
e  a  lui  riconoscente  per  più  d'un  benefizio  e  d'un  onore  ricevuto. 
Vigevano  amava  quel  duca  e  approfittava  volentieri  d'ogni  oc- 
casione per  dimostrarglielo.  Le  prove  non  mancsuio. 

Il  14  giugno  1530  nel  Consiglio  dei  12  di  provvisione,  con- 
soli Bartolomeo  de'  Natali  e  Jeronimo  da  Parona,  il  podestà  Gio- 
vanni de  Pisoni  annunziò  aver  il  duca  scritto  che  il  fratello  suo 
Massimiliano  era  morto,  e  che  «  ut  fient  honores  in  remedium  eius 
«  anime  vult  celebrari  officium  per  sacerdotes  spacio  trium  die- 
«  rum  »  ;  e  allora  e  prefati  domini  [del  consiglio]  ordinaverunt 
€  celebrari  debere  in  ecclesia  S.ti  Ambrosij  [la  cattedrale]  per 
€  omnes  órdines  ecclesiarum  diete  terre  [sci.  Vigevano]  per  tres 
€  dies  continuos  omni  solemni  ordine  quo  fieri  potest,  et  ex  nunc 
€  ordinaverunt  miti  debere  mediolanum  ad  accipiendum  ceram  et 
«  insigna  prò  dicto  funere  illustrando,  etc.  »,  e  e  ...  ad  exequen- 
«  dum  premissa  elligerunt  d.  Johannem  Andream  de  cochis  et  d. 

•  Alex,  de  bellaciis  »  (i). 

Nella  seduta  del  Consiglio  generale  dei  sessanta,  che  si  fece 
il  14  agosto  1530,  il  console  Giovanni  Maria  del  Pozzo  e  exponit 
f  qualiter  providendum  est  de  aliquibus  personis  idoneys  qui  ha- 
t  berent  conferre  de  privilegis  et  immunitatibus  petendis  ab  Ill.mo 
€  domino  D.  Duce  Mediolani  nostro  antequam  publicari  faciet 
«  hanc  terram  in  titulum  Civitatis  ac  etiam  qui  habeant  providere 
€  de  aliquibus  pecunijs  prò  aliquo  munere  fiendo  prelibato  Duci 
«  et  congratulary  de  ejus  adventu  ut  moris  est  »  ;  ed  ecco  i  consi- 
glieri scec^liere  Giovanni  Maria  del  Pozzo,  Pietro  Maria  de'  Bossi, 
consoli,  Cristoforo  de'  Rodolfi,  Antonio  Maria  da  Parona,  Stefano 

(i)  Tribunale  XII  di  provvisione,  anni  1523-1531,  voi.  6",  consiglio 
14  giugno  1530.  La  spesa  tuttavia  non  fu  sostenuta  dal  Comune,  poiché 
nell'atto  del  consiglio  successivo,  a8  giugno,  leggiamo  queste  parole: 
Il  console  leronimo  da  Parona,  espose  "  qualiter  Mag.cus  dominus  Gu- 
■  bcrnator  retulit  habuisse  litteras  ab  Ill.mo  domino  domino  Duce  Me- 
'  diolani  disponentes  quod  expensa  facta  in  funeralibus  IlLmi  d.  Maxi- 

•  miliani  Sforcie  deberi  solvi  per  personas  ecclesiasticas  et  quid  agendum 

•  sit  circha  hoc  ordinari  petunt  {sic),  „  Non  è  registrata  la  deliberazione 
del  consiglio. 

Tutti  i  documenti  appartengono  all'Archivio  civico  di  Vigevano. 


402  PER   l'ingresso   DI  CRISTIERNA   SFORZA    IN   VIGEVANO 

del  Pozzo,  Jeronimo  da  Parona,  figlio  di  Francesco,  Vincenzo  de* 
Bastici  Borioli,  Giovanni  Andrea  de*  Cocchi,  Giovanni  Giacomo 
de'  Cotti  Morandi,  Guglielmino  de'  Previde  Massaia,  Vincenzo 
de'  Bossi,  figlio  di  Pasquino,  e  Jeronimo  de'  Rodolfi  Merchisoti, 
dcindo  ad  essi  tutti  <  omnimodam  autoritatem  potestatem  et  bay- 

•  liam  circha  peticiones  fiendas  p.to  II  Imo  D.  D.  circha  reforma- 
«  tionem  statutonun  et  ad  perquirendum  pecunias  necessarias 
t  circha  premissa  omni  meliori  modo  etc.  et  ex  nunc  prout  ex 

•  tunc  aprobaverunt  et  ratificaverunt  ac  aprobant  et  ratificant 
€  quicquid  actum  factum  gestumque  erit  per  ipsos  utsupra  ellectos 

•  dantes  quoque  autoritatem  obligandi  et  vendendi  nomine  pre- 

•  fati  comunis  tantum  de  bonis  diete  comimitatis  quantum  opus 

•  fuerit  prò  premissis  peragendis  »  (i).  Jeronimo  de'Rodolfi  Mer- 
chisoti e  Vincenzo  de'  Bossi  riuscirono  ad  ottenere  da  Pollo  Lo- 
mellino,  mercante  genovese,  nove  balle  di  lana,  che  furono  messe 
in  pegno  per  novanta  scudi  presso  Jorio  Centorio,  vercellese  Ma 
la  città  non  aveva  denari,  e  perciò  nella  seduta  del  9  ottobre  1530 
i  consiglieri  stabilirono  di  nominare  tante  persone  quéinte,  obbli- 
gandosi ciascuna  per  dieci  scudi  verso  i  due  su  citati,  eran  neces- 
sarie a  garantirli  per  l'intera  somma,  «  et  quos  ellegerint  in  casu 
renitentie  debcant  compelli  per  mag.m  d.  potestatem  prò  dieta 
sumam  videlicet  prò  scutis  decem  prò  quolibet  »  I  nomi  riferiti 
sono  però  solamente  otto  :  Pietro  Maria  de'  Bossi,  Giovanni  Maria* 
del  Pozzo,  Jeronimo  de*  Rodolfi  Merchisoti,  Guglielmo  de'  Pre- 
vide, Tommasino  de'  Bossi,  Jeronimo  de'  Previde  Maffini,  Vin- 
cenzo de'  Bossi  e  Vincenzo  de*  Bastici  Borioli  (2). 

Nel  consiglio  del  20  novembre  1530.  poi,  rinnovarono  agli 
eletti  il  14  agosto  l'autorità  di  far  tutto  il  necessario  (3). 

In  che  cosa  sia  consistito  il  dono  ce  Io  dice  pure  Simone  del 
P077.0  ne*  ricordi  lasciatici  sulle  feste  onde  i  Vigevanesi  onora- 
rono il  Duca  venuto  a  celebrare  lerezione  del  loro  oppidum  in 
città  Scrive  egli  che  il  5  dicembre  1530.  appunto  durante  tali 
feste,  €  Communis  Vigle\*ani  presentavit  prelibato  duci  bazillam 
e  unam  areenteam  et  bochalle  ac  cum  carta  instrumenti  donatio- 
«  nis  Domus  Episcopati  que  alias  erat  d  Joh.  petri  de  grava- 

•  rona  »  (4\  La  solennità  stessa  di  queste  feste  mostrò  allo  Sforza 
quanto  Vii:^vano  ì:j1ì  fos^se  riconoscente  del  benefizio  e  dell'onore 
ncevuto. 

y\\  Convocati  Consìjjììo  G^rieraìe,  anni  i5aS-i53i,  f.  108  e  scg. 

( -^^  C,  C  G.  i5j8-^^i,  k  ii6  e  scg.  Consigli ;o  9  ottobre  1530. 

i^^"^  C  C  G.  15^831,  f.  lia. 

V4^  C  C,  G,  i>:*S'3i»  f,  ij^r,  cfr.  Bifignaxdi,   op.  cìt^  p-  275,  nota. 


PER   L  INGRESSO   DI  CRISTIERNA   SFORZA   IN    VIGEVANO  403 

Finalmente,  allorché  si  cx>nobbe  la  ricuperazione  del  castello 
di  Porta  Giovia,  il  tribunale  de*  12  di  provvisione,  nella  seduta 
del  25  febbraio  1531,  presenti  il  podestà  Giovanni  de'  Pisoni  e 
il  console  Guglielmino  de*  Previde  Massara,  ordinò  «  fieri  solemni- 
f  tates  et  leticiam  et  accendere  ignem  leticie  in  tribus  locis  in  foro 
€  et  super  turem  »  (i). 

Non  è  quindi  da  meravigliare  se  la  città  preparò  come  me- 
glio potè  un*onorevole  accoglienza  a  Cristiema  quando,  pochi 
mesi  dopo  il  suo  arrivo  in  Italia,  venne  a  visitare  la  dimora  ca- 
rissima agli  Sforza,  tanto  più  che  ben  vivo  doveva  tuttavia  essere 
il  ricordo  delle  feste  celebratesi  in  Milano  per  la  stessa  occasione. 

Già  allorché,  nell'ottobre  del  1533,  era  giunta  la  notizia  che 
Massimiliano  Stampa  aveva  in  Fiandra  concluso  il  matrimonio 
di  Francesco  II  con  la  Principessa  di  Danimarca,  i  12  di  provvi- 
sione, nella  seduta  del  13  ottobre  e  ordinaverunt  pulsari  campane 
i  ac  illares  ignes  fieri  sive  falò  ut  vulgo  dicitur  ad  demonstran- 
i  dum  talia  fore  nobis  grata  »  (2). 

Quando  poi,  nel  gennaio  del  1534,  si  seppe  che  la  duchessa 
«  in  p.o  ingressu  status  Mediolani  »  sarebbe  venuta  a  Vigevano, 
riunitosi  appunto  1'  11  di  quel  mese  il  consiglio  generale  dei  ses- 
santa, il  console  Giovanni  Maria  del  Pozzo  dichiarò  che  era  ne- 
cessario farle  un  dono  t  ....  opus  est,  ut  aliquo  munere  condonatur 
«  ad  honorem  sue  ex.tie  et  utilitatem  p.te  Civitatis  ».  I  consiglieri 
elessero  Pietro  de'  Tocchi,  Jeronimo  da  Parona,  Pietro  Maria  de' 
Bossi,  Giovanni  Andrea  de'  Cocchi,  Guglielmo  de'  Previde  e  Gi- 
rolamo de'  Rodolfi  Merchisoti,  dando  loro  t  omnimodam  autho- 
*  ritatem  »  quale  avrebbe  avuto  l'intero  Consiglio,  di  far  tutto 
tinello  che  avrebbero  giudicato  opportuno,  anche  di  «  compelle 
e  quoscumque  debitores  prò  eorum  talijs  prò  habendis  pecunijs  ad 

(i)  Tribunale  XII  provvisione,  1523-31,  seduta  25  febbraio  1531. 
(a)T.  XII  P.  1532-1533,  voi.  VII,  f.  186  r  e  sg. 

*  ^533»  l^ie  lune  13  octobris. 

•  Convocato  et  conjf.to  Consilio  domino  rum  duodecim  presidum  pro- 

•  visionum  civitatis  Vigl.ni  ctc. 

•  Itcm  quia  hodie  rclatum   est   qualiter  111.  D.  Maximilianus   stamppa 
■  procurator  III  mi  d.  d.   Ducis    Mediolani   nostri  desponsavit  Christia- 

*  nam  [in  margine:  in  sponsam]  filiam  Regis  Dacie  Nepotem  ex  so- 
rorc  Caroli  imperatoris  die  28  septcmbris  proximi  preteriti  in  flan- 
dria  nomine  prelibati  Ducis 

*  Ordinaverunt  p.ti  Domini  pulsari   campane  ac  illares   igncs  fieri 

*  sWc  falò,  ut  vulgo  dicitur,  ad  demonstrandum  talia  fore  nobis  grata.  „ 


» 


404  PER    L  INGRESSO    DI   CRISTIERNA   SFORZA    IN   VIGEVANO 

«  dictum  munus  perficiendum  »  (i).  Che  cosa  riuscisse  a  fare  quella 
commissione  non  sappiamo  :  di  tal  dono  non  si  parla  più.  Pro- 
babilmente Cristiema  venne  a  Vigevano  molto  prima  che  non  si 
credesse  e  il  Consiglio  deliberò  di  renderle  onore  in  altro  modo. 
Il  giovedì  santo  del  1534  il  podestà  di  Vigevano,  Boniforti 
de*  Petra,  ad  istanza  dei  consoli  Girolamo  de'  Rodolfi  Merchisoti 
e  Tommaso  de'  Ferrari  Fantoni,  convocò  il  Consiglio  generale  dei 
sessanta  «  premissa  debita  citatione  quorumcumque  per  Mathenm 
•  pregutium,  per  matheum  de  s.to  naz.o  magnini  et  vincm  de  iu- 
«  dicibus  alieti  servitores  ».  E*  questa  forse  Tunica  volta  in  cui 
i  consiglieri  sono  convocati  direttamente  per  mezzo  de'  servitori, 
essendo  la  formola  consueta  sono  campane  fremisso  ut  mos  o 
moris  est  —  come,  del  resto,  gli  statuti  stessi  prescrivono  (2)  — 


(i)  C.  C.  G.  1532-35,  f.  163  r  e  sg.,  consìglio  11  gennaio  1534. 
"  Item  expositum  fuit  per  d.  lohannem  nìariam  de  Putheo  consulem 
"  utsupra  [l'altro  console  era  Pietro  de'  Garroni]  qualiter  lU.ma  d.  d. 
Ducissa  Mediolani  nostra  in  p.o  ingressu  status  Mediolani  veniet 
"  Vigl.ra  Quare  opus  est,  ut   aliquo    munere   condonatur   ad    honorem 

•  sue  ex.tie  et  utilitatem  p.t«  Civitatis. 

•  Quare  p.ti   domini  Consiliarij  ellegerunt  ìnfras.tos  videlicet... 

'*  Dantes  predictis  omnibus  omnimodam  authoritatem  quam  haberet 
'*  totum  concilium  c.a  dictum  munus  et  expendendi  ad  totum  quod  eis 
"  videbitur  opportunum.  Dantes  quoque  predictis  omnibus  omnimodam 

■  authoritatem  posse  comprile  quoscumque  debitores   prò  eorum  talijs 

■  prò  habendis  pecunijs  ad  dictum  munus  perfìciendum.  j, 

(2)  Dicono  infatti  gli  Statuti  del  1532  (copia  a  stampa  esistente 
neirArchivio  civico  di  Vigevano),  f.  V  r.,  cap.  De  poena  non  venientium 
ad  Cosiiium:  *  Omnes  consiliarij,  qui  per  tempora  erunt,  teneantur 
accedere  ad  Consilia  Immediate  postquam  pulsaverit  ter  campana  quae 
appellatur  muleta,  sub  poena  soldorum  decem  Imperìalium  prò  singulo 
et  sìngula  vice....  ,.  Nel  capitolo  che  tratta  dei  Servitori  non  prescri- 
vono però,  in  modo  particolare,  che  essi  debbano  portar  la  citazione 
ai  consiglieri. 

Vuoisi  tuttavia  notare  che  neppure  trattando  dei  preconi  o  tuòatori 
gli  Statuti  assegnano  loro  esplicitamente  e  specificatamente  Tincarico  di 
gridare  la  seduta,  sebbene,  oltre  la  formola  ricordata,  leggasi  bene 
spesso  negli  atti  di  questi  tempi  anche  :  "  sono   campane    et   preconis 

*  premissis,  ut  mos  (moris)  est...,  ^ 

I  servitori  avevano  per  segno  un  berretto  metà  bianco  e  metà 
rosso.  Prima  dei  nuovi  statuti  forse  tali  colori  si  notavano  in  tutto  il 
loro  abito,  che  nell*  atto  del  consiglio  dei  XII  di  provvisione  12  ot- 
tobre 1531  (Tr.  XII  P.  a  1523- 1531),  podestà  Giovanni  de'  Pisoni,  con- 
soli  Jeroninio  da  Parona  e  Giacomo  de'  Moi*selli,  si   legge  :  *  Ordina- 


PER  l'ingresso  di  cristierna  sforza  in  vigevano  405 

ed  è  anche  forse  Tunica  volta  che  son  radunati  di  sera,  coi  lumi, 
poiché  in  testa  all'atto  si  legge  appunto  :  «  1 534,  Die  Jovis  Sancti 
i  hora  prima  noctis  sequentis  quinque  luminaribus  accensis  »,  il  che 
non  abbiamo  visto  notato  in  nessun  altro  luogo.  Perchè  tutto  ciò  ? 

*  verunt  etiam  vestiri  debere  rolandum  prearzam  servitorem  comunis 
'^  Viglevani  Albi  et  rubrj  iuxta  insigniam  dictis  comunis,  «  e  in  quello 
dello  stesso    consìglio,  21  ottobre  :  "  Ordinaverunt   fieri    mantum   sive 

*  capam  unam  ad  devisam  pM  comitatis  (sic)  loh.  lac.o  montano,  ac 
berretam  unam  ad  ss.tam  devisam  omnibus  servitoribus.  „  Uad  ssjam 
devisam  devesi  intendere  come  divisa,  sì  che  questa  consistesse  solo  in 
un  berretto,  e  il  vestiri  del  resoconto  antecedente  significa  soltanto 
■  fornir  di  berretto?  »  O  il  Consiglio  nel  21  modifica  la  deliberazione 
presa  nel  12,  non  solo,  ma  anche  una  consuetudine  durata  fino  a  quei 
giorni? 

Nei  Conii  dei  tesorieri  (voi.  IX)  troviamo  pagato  nel  1529  a  Gian  Gia- 
como de*  Montani,  servitor   et  tubicina  di  Vigevano,  '*  prò  birre to    uno 

*  sibi  dato  per  Com.  in  soliium  festum  s.ti  Ambroxij,  ut  moris  est  „ 
16  soldi,  e  così,  per  lo  stesso  motivo,  a  ciascun  de'  servitori  Matteo 
de'  Preguzzi  e  Rolando  Prearza  ;  a  Battista  Capo  di  ferro  e  a  Vin- 
cenzo de*  Giudici,  pure  servitori,  no. 

Ricorderemo  che  Gian  Giacomo  de'  Montani  si  trova  eletto  servi- 
tore e  tubicinem  dal  Consiglio  generale  il  26  settembre  1529  (C.  C.  G. 
i528-*3i,  f.  46):  poi  non  vien  più  nominato  nelle  elezioni   dei  servitori, 
allora  trimestrali,  mentre  non  si  eleggono  neanche  più   tubicini.  Riap- 
pare —  vigenti  gli  statuti  del  1532  —  nel  consiglio  del  i  gennaio  1533 
(C.  C.  G.  i532-*35  f.  81)   eletto   servitore,  mentre  vien   scelto  tubatore, 
Paolo  da  Cannobio.  Nel  '31,  dunque,  quando  si  delibera  di  acquistargli 
un  manto  ad  devisam,   dovrebb'essere,  stando   alle    nomine  consigliari, 
soltanto    tubatore.  Invece  i  Conti   dei    tesorieri   (voi.    IX),   registrando 
il  pagamento   del   salario,  lo    qualificano  nel  '29,  nel  '30  e  nel  '31  ser- 
vitor et  tubicina,  mentre   nel  '33  (le  spese  del  '32   mancano)  lo   dicono 
solo  appunto  servitor,  E  il  salario   corrisponde   al   suo   doppio   ufficio, 
perchè  mentre  i  servitori,  fino  al  '33,  prendono    ogni  trimestre  libre  6 
unperiali,  egli  riceve  libre  6  e  io  soldi;  di  più  ogni  anno  egh  ha  "  prò 
pulsate  tube  ad  computum    d.  unum  cum  dimidio   in  die  et   prò  cla- 
mide et  cerotetis  „  libre  7  e  io  soldi.  —  Andati  in  vigore  gli  statuti 
^cl  1532,  i   quali,  lasciavano    al  Comune   di   stabilire   la   paga,    questa 
dev'essere  stata   aumentata.  Infatti   nei    conti   dei    tesorieri    (voi.  IX), 
anno  1534^  troviam  date  a  ciascuno  de'  servitori  G.  G.  Montani,  Matteo 
de'  Preguzzi,  Rolando   de   Ferraria,  Vincenzo   de'  Giudici  Alietti,  libre 
9  ogni  trimestre.  Cosi   nel  1535   e,  certo,  nel    1533,  nel  qual  anno   è 
registrato  un  pagamento   a   Vmcenzo   de'  Giudici   appunto   di  libre  9 

per  tre  mesi.  Paolo   da   Cannobio,   tubicina,  riceve   nel    1535   libre  5 
al  mese. 


4o6  PER  l'ingresso  di  cristif.rna  sforza  in  vigevano 

Testimonianze  esplicite  con  le  quali  dare  a  siffatta  domanda  una 
risposta  sicura,  o,  almeno,  cenni  atti  a  metterci  sulla  buona  strada 
non  n'abbiamo,  e  però,  dovendo  tirar  a  indovinare,  altra  ragione 
non  sapremmo  addurre  che  l'urgenza  dì  provvedere.  Infatti  ÌI  Con- 
siglio trattò  unicamente  del  modo  di  ricevere  la  duchessa.  Ecco, 
senz'altro,  l'atto. 

*  1534.  Die  Jovis  Sancii  hora  p.«  noctìs  sequentis  quJnque  lumina- 
ri bus  accensis. 

■  Convocato  ci  Cong-W  Cons.o  Generali  Dominorum  sexaginta  Ci- 
vitatis  Vigl.oi  de  m.w  Mag.d  D.  Boniforli  de  pelra  hon,  potestalis  Civi- 
vilatis  predicte  et  ad  Inslantiam  D.  Hieronymi  de  rodulfis  merchisoti  et 
D,  Thome  de  ferrarijs  fantoni  Consulum  prò  infrasc.'»  peragendis  prc- 
missa  debita  citatione  quorumcumque  per  Matheum  pregutium ,  per 
malheum  de  a.'o  naz.°  magniui  et  vinc."  de  iudicibua  alieti  aervìtores 
ut  retulerunt  etc.  In  quo  quidem  con,°  interfuerunt  infrascripti  Domini 
et  primo  prefatus. 

Mag.="'  D.  Pretor,  D.  Thomas  de  ferrarijs  fantoni,  D,  Hierony.»  de 
rodulfi  merchisoti,  consules,  D,  Petrus  de  Tochis.  D.  Ant.'  m.«  de  Pa- 
rona,  D.  Vinc'  de  bastis  borioli,  D.  Marchiis  ant.'  de  bergondijs.  D.  loan- 
nes  angelus  de  gravarona  alioli,  D.  Hierony.*  de  Parona,  D.  lohannes 
Andreas  de  cochis,  D.  felix  de  cacijs,  D.  Alovisus  de  bellacijs,  D.  Gulier- 
itiinus  de  previde  massara,  D.  lohannes  maria  de  Put.*,  D.  lohannes  ant.' 
de  podexijs,  D,  Alex.'  de  rodulfis  rose,  D.  Petrus  de  pregutijs,  D.  Vinc.' 
de  carbonibuscagnazini,  D.  Ant.' de  Collis  quaglini,D.  Franchus  degriSs 
fanzini,  D.  Zaninus  de  bastis  donoti,  D.  baptista  de  Decemb.  cusini,  D.  lul- 
lianus  de  mascharonibus,  D.  Petrus  de  garronibus,  D.llierony.' de  previde 
maflìni,  D.  Matheus  de  poi.'  ardicij,  D.  Christ.*  de  rodulfis  d.  SarafH, 
D.  frane'  de  natalibus,  D.  lacobus  de  madijs,  D.  Bemardinus  de  gusbertis, 
D.  Matheus  de  natalibus  Dionisij,  D.  lacobus  de  Stevis,  D.  Hierony.*  de  bifF. 
quatia,  D.  Michael  de  caballis,  D.  Petrus  de  morsetlis,  D.  Petrus  d« 
araldo  maroncini,  D.  Barth.m  de  biffignandis  belhomi,  D.  Vinc.'  de  mor- 
sellis  maze,  D.  Vinc'  de  pregutijs,  D,  Petrus  m."  de  laqua,  D.  Vinc.'  de 
ludicibus  brusa,  D.  Stephanus  de  bellacijs,  D.  Petrus  m.*  de  vastamìlijs, 
D.  Dominicus  de  gusbertis,  D.  lacobus  de  Collis  tibaldi,  D.  lohannes 
Ant.'  de  ottonibus  museti ,  D.  lohannes  Ant.*  de  ferrarla  prearza , 
D.  Bemardinus  de  fumo  mine,  D.  Barth."  de  Tegamalis  vagini,  D,  Mel- 
chion  de  podexijs,  D.  lohannes  Andreas  de  boxijs,  D.  Ambrosius  de 
previde  massara. 

In  quo  quidem  Con.a  sic  utsupra  cong.i^  expositum  fuìt  per  dictos 
Dominos  Consules  causam  presentis  cong."**  hanc  esse  videlicet  Qua- 
liter  die  hodie  per  Mag.""»  d.  lulium  Butigelam  Ducalem  aulicum  pre- 
sentate fuerunt  litcere  credentie  HI.'»'  d.  d.  Mediolani  nostri  petentem 
in  adventum  111.°"  Ducìsse  Mediolani  nostri  Civitas  Vigl.oi  ornarì  et 
decorati  varijs  (?)  omamentis  ad  honorem  et  decus  diete  Civitatis  et 
ita  fieri  pelunt  aliter  protestantur  etc. 


PER   L  INGRESSO   DI   CRISTIERNA   SFORZA   IN   VIGEVANO  407 

Quare  p.ti  Consiliarij  premissis  intellectìs  ad  decus  et  honorem 
prelibate  Ill.me  domine  nec  non  et  diete  Cìvitatis  ordinant  infrascrìpta 
fieri  et  executioni  demandari  omnibus  remedijs  videlicet  p.o 

Ad  portam  S.ti  Martini  ubi  erit  prelibate  introitus  fieri  Arcus  trion- 
falis  frondibus  et  insignibus  Ducalibus  et  Regis  Dacie  insìgnitus  more 
antiquorum. 

Dieta  via  S.d  martini  panorum  tegi  usque  ad  forum  ac  via  strari 
herbis  frondibus  ac  floribus. 

In  introitu  diete  platee  magne  alius  fieri  arcus  primo  simili  frondi- 
bus lauri  ac  hedere  et  florum  cum  Cesarijs  Ducalibus  et  Dacie  insi- 
gnibus illustrarì. 

Forum  quoque  diete  Cìvitatis  usque  ad  Ecclesiam  Divi  Ambrosij 
fregi  cum  columnis  frondibus  sertis  ac  similibus  insignis. 

Ordinant  et  iuvenes  diete  Civitatis  quotquot  haberi  poterint  colore 
albo  giploide  serico  albo  bireto  albo  ac   penis  albis  vestiri  et  ornarì.  « 

Tutto  ciò  si  legge  nel  f.  184  r  ;  il  f.  185  è  per  circa  due  terzi 
in  bianco  :  a'  piedi  c'è  quest*aggiunta  : 

*  Ilem  quoniam  teste  antiquorum  proverbio  pecunie  nervus  sunt 
belli  addendo  alij  sex  alias  ellectis  noviter  ellegerunt  quoque  infrasc.to» 
ad  perquirendum  pecunias  prò  provisione  adventus  Ill.me  d.  d.  Ducisse 
Mediolani  nostre 

D.  Vinc.m  de  boxijs,  D.  Franc.m  de  putheo,  D.  Vinc.m  de  bastis 
borìoli.  D.  lohannem  mariam  de  Putheo  una  cum  dominis  consulibus 
adeo  quod  maior  pars  ipsorum  facere  possint  cum  omnimoda  authoritate 
potestate  et  licentia  et  quicquid  per  ipsos  actum  fuerit  ex  nunc  prout 
ex  tunc  aprobaverunt  et  aprobant  et  ratificaverunt  et  ratifìcant.  ,, 

Talvolta  Simone  del  Pozzo,  il  cancelliere  autore  dei  resoconti, 
lasciando  un  tratto  in  bianco,  avverte  che  lo  fa  per  avere  spazio 
da  scrivere,  se  mai  dovesse  aggiungere  qualcosa.  Qui  forse  doveva 
registrare  la  nomina  de'  sei  alias  ellecti  con  l'autorità  loro  con- 
cessa di  far  quanto  credevano  necessario.  Se  così  è  e  solo  cosi,  alla 
lacuna  possiamo  in  parte,  cioè  per  il  nome  degli  eletti,  supplir  con 
un  altro  atto  e  precisamente  con  quello  successivo,  dell'  1 1  aprile, 
dove  il  segretario  riporta  l'intera  lista,  perchè  a  quella  commissione 
si  dava  im  altro  incarico.  I  nomi  da  aggiungere  sono  :  Cristoforo 
de'  Rodolfi,  Pietro  de'  Tocchi,  Giovanni  Andrea  de'  Cocchi,  Gu- 
glielmino  de'  Previde,  Jeronimo  da  Parona,  figlio  di  Francesco, 
Pietro  de'  Bossi  (i).  Noteremo  tuttavia  che  queste  persone,  se 
cambi  il  Cristoforo  de'  Rodolfi  in  Jeronimo,  son  quelle  appunto 
aUàs  ellectis  per  il  dono. 

(I)  C  C  G.  1532-35  f.  186  r. 


4o8  PER   l/lNGRESSO   DI   CRISTIERNA    SFORZA    IN   VIGEVANO 


*  * 


Tutto  era  ormai  in  ordine,  e  Ventrata  della  Duchessa  immi- 
nente, quando  il  25  aprile,  sabato,  un  vento  impetuoso  che  buttò 
a  terra  i  frutti  delle  piante,  spezzò  rami  e  sradicò  alberi,  prostrò  al 
suolo  quasi  tutti  gli  apparati  disposti,  con  grandissima  spesa,  fuori 
della  porta  S.  Martino  e  nella  città  (i).  Si  ebbe  perciò  a  rimediare 
a  quella  specie  di  disastro  con  la  massima  sollecitudine,  perchè 
gli  Sforza  dovevano  arrivare  tre  giorni  dopo,  il  28.  Ed  ecco  la 
breve  descrizione  lasciataci  da  Simone  del  Pozzo. 

*  1534.  Die  martis  28  aprilis  reparatis  maxima  celerìtate  prefatis 
ornamentis  in  mane  hora  16  dici  prc.t«  Cristierna  Ducissa  Vigl.ni  hoc 
ordine  ingressa  est,  videlicet,  p.o  totus  clerus  una  cum  episcopo  infulis 
albis  videlicet  sericijs  et  argent'js  extra  portam  s.ti  martini  ei  obviam 
iverunt,  quae  decosculta  cruce  extra  lecticam  equum  ascendit  cui  su- 
praposito  balduchino  sìve  ombrella  telle  argentee  portato  per  d.  mar- 
chum  de  otonibus  et  d.  lohannem  Iac.<n  de  bergondiìs  ambo  medicine 
Doctores,  per  d.  Hìerony.»  de  rodulfìs  marchisoti,  d.  Thomam  de  fer- 
rarijs  fantoni  tunc  consules,  per  d.  lohannem  marìam  de  Putheo  et 
d.  Hierony.ro  de  parona  nobiles  usque  ad  ecclesiam  chadredalem  et 
postmodum  usque  ad  castrum  comitati  sunt  :  hic  ordo  datus  fuit  a  prìn- 
cipe. Doctores  legum  tane  non  aderant  quia  mors  in  annis  preteritis 
surcpserat.  Incedebat  vaiata  invenum  numero  XXXVII  albis  vestibus 
sericijs  vesti torum  extra  porta  s.ti  martini.  Ibi  erat  erectus  arcus  trium- 
phalis,  via  autem  a  dieta  porta  usque  ad  ecclesiam  s.ti  Ambrosij  et 
usque  ad  castrum  drapis  tecta  collonis  frondibus  et  hedera  ìndutis  in- 
signijs  imperialibus  ducalibus  ac  regis  Dacie  indecunque  apositis.  , 


*  * 


Quanto  costò  a  \'igevano  tale  festa?  La  cifra  precisa  non  ci 
è  nota.  Forse  575  o  475  scudL 


(i)  C.  C.  G.  1532*35.  ultima  facciata.  '  1534*  Die  sabbati  festum 
S.IÌ  marci  25  aprilis  ingens  vis  ventorum  hora  la  vel  c.«  exorta  est 
que  fnictus  deiecit  arborum,  ramos  fregit  et  arbores  plures  evulxit 
ornamentaque  extra  portam  s.<ì  martini  ac  per  loca  civitatis  qua  itura 
erat  Christierna  filìa  regis  Dacie  frane.®  sforcia  a®  Duci  Mediolani 
desponsata  maxima  ìmpensa  facta  fere  omnia  prostravit  In  mane 
dieì  sequentis  pruina  dequoxit  ac  devastavit  totam  vindemiam  totius 
dominij  Mediolani,  « 


> 


PER   L  INGRESSO   DI   CRISTIERNA   SFORZA    IN   VIGEVANO  409 

Nella  preziosa  raccolta  dei  volumi  lasciatici  dagli  antichi  te- 
sorieri mancano  le  spese  del  1536  :  il  tesoriere  stesso  Tavverte,  poi- 
diè  dopo  le  parole  :  «  Hic  incipit  ratio  Anni  1536  »,  scrive  :  e  Pre- 
f  sens  ratio  agitata  f uit  per  parochias  ut  in  libro  viridi  ad  suas 

•  rationes  »  (i).  Onde  i  debiti  pagati  dal  Comune  in  quell'anno, 
che  non  dovettero  esser  pochi,  ci  restano  sconosciuti,  e  solo  alcune 
insufficienti  note  possiamo  riferire. 

Nel  verbale  della  seduta  consigliare  tenuta  il  26  ottobre  1534, 
consoli  Francesco  del  Pozzo  e  Giacomo  de'  Morselli,  cominciamo 
a  leggere  :  t  In  quo  quidem  Consilio  sic  utsupra  congregato  expo- 
f  situm  f uit  per  dictum  frane"»  de  Putheo  consulem  utsupra  causam 
t  presentis  congregationis  esse  qualiter  in  adventu  lU.me  Ducisse 

•  nostre  Mediolani  ad  ejus  honorem  preparandum  fuit  necesse  ac- 
«  cipere  cèrtam  honestam  denariorum  quantitatem  videlicet  s. 
(sic)  ab  Zacharia  hebreo  habitatore  Viglevani  et  ab  alio  Zacharia 
f  hebreo  qui  inabitat  novarie  cum  interesse  quod  omni  mense  cur- 
f  rit,  et  prò  cautione  dictorum  scutorum  specialiter  se  obligavit 

•  D.  Hieronimus  de  parona  et  alij  cives  ad  hoc  ellecti  quare  dicti 
«  Ebrej  modo  instant  habere  dictos  scutos  quare  provideri  petunt 
f  aliter  etc.  »  (2). 

Del  debito  con  Zaccaria  di  Novara  non  abbiamo  trovato  altra 
traccia;  di  quello  invece  con  l'ebreo  abitante  in  Vigevano  sono 
rostrate  le  somme  che  ogni  mese,  a  cominciare  dal  maGfgio,  nel- 
lanno  1534,  il  tesoriere  Antonio  Colli  gli  pagò  per  interessi.  La 
prima  nota  è  appunto  la  seguente  :  e  Zacharia  hebreo  prò  inte- 
i  resse  unius  mensis  finiti  die  1 5  may  ut  patet  instrumento  rogato 
«  d.  Scipione  de  puteo  die  15  ApriHs  de  scut.  centum  mutuat.  Co- 
t  munitati  in  adventu  Ill.me  ducisse  et  hoc  ex  ordine  Consilij  de 
«  XII  presidum  sub  die  7  may  11.  decem  octo  »  (3)  E  così  poi 
gcmpre  L.  18  per  ciascuno  dei  mesi  successivi  (4):  la  bellezza  di 
L  2x6  all'anno  per  100  scudi,  che,  se  il  conto  toma,  è  come  dire 
un  interesse  del  33,25  circa  per  cento  all'anno!  (5).  Quando  il 
Comune  abbia  trovato  senz'altro  i  100  scudi  ignoriamo. 


(i)  Conti  dei  tesorieri  1527-38,  f.  294  r. 
(a)  C.  C  G.  i532'35'  f-  217. 

(3)  C.  T.  1527  '33.  f  255. 

(4)  C.  T.  i527-'38,  f.  257  e  sgg. 

(5)  A  proposito  di  quest'ebreo,  nell'atto  consigliare  del  19  ot- 
tobre 1533  (C.  C.  G.  i53a*'35»  ^-  i44)  si  legge  :  «  Item  exposuit  D.  pc- 
"  trus  de  araldo  maroncini  [un  consigliere]  qualiter  D.  Zacarias  Ebreus 
'  f.  q.  D.  Lazari,  dicit  quodamodo  in  antea  non  intendit  nec  vult  a  civibus 

Àreh  Stor,  Umb,,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV.  97 


4IO  PER  l'ingresso  di  cristierna  sforza  in  vigevano 

Oltre  a  ciò,  i  conti  dei  tesorieri  registrano  molti  pagamenti, 
soprattutto  per  mutui 

Infatti,  sempre  appunto  per  mutuo  in  adventu  della  Duchessa, 
troviamo  versate:  Nel  1534  a  Cristoforo  da  Groppello,  L.  2,  soldi 
io  ;  a  Giovanni  Rodolfo  Prealza,  L.  10  ;  a  Giovanni  Garrono, 
L.  2,  soldi  14  (i)  ;  nel  1535  a  due  persone  L.  i  ciaiscuna  ;  a  sette 
L.  I,  soldi  io  ;  a  tre  L.  2  ;  a  una  L.  2,  soldi  6  ;  a  otto  L.  2,  soldi  10  ; 
a  una  L.  2,  soldi  13  ;  a  sei  L.  2,  soldi  14  ;  a  cinque  L.  3  ;  a  due 
L.  4  ;  a  quattro  L.  5  ;  a  cinque  L.  5,  soldi  6  ;  a  due  L.  5,  soldi  8  ; 
a  una  L.  6  ;  a  una  L.  7,  soldi  5  ;  a  una  L.  8,  soldi  14  ;  a  una  L.  io  ; 
a  una  L.  io,  soldi  12  (2);  nel  1537  a  Giovanni  Antonio  de'  Te- 
gamali  L.  5,  soldi  4,  e  ad  Ambrogio  Cazelli  L.  2  (3).  In  tutto 
L.  204,  soldi  18.  Ancora  :  nel  1534  il  tesoriere  paga  a  Vincenzo  de' 
Ferrari  Lanzalotti  pò  clonis  (?)  et  aliis  date  per  l'arrivo  della 
Duchessa  L.  13,  soldi  io  (4);  nel  1535  a  Giovanni  de'  Merli  di 
Mortara  per  danni  soflFerti  L.  16  (5);  a  Pietro  Maria  Barbassi  per 
assi  dati  prò  ordinando  pontem  ticini  L.  5,  soldi  8  (6)  ;  a  Fran- 
cesco da  Novara,  cordarus,  per  corde  date,  L.  8  (7).  In  tutto  L.  42, 
soldi  iS.  Finalmente  troviamo  notati  nel  1535  otto  pagamenti  di 
L.  5,  soldi  IO  (8)  e  uno  di  L.  5,  soldi  8.  e  nql  1537  due  di  L  5, 
soldi  IO,  e  uno  di  L.  5,  soldi  12  ad  altrettante  persone  vestitesi  di 
bianco.  Di  qui  appare  l'importanza,  per  i  nostri  conti,  della  la- 
cuna del  1536.  poiché  in  essa  probabilmente  dovevano  essere  sc- 
ornati i  denari  dati  alle  altre  25  persone,  se,  realmente,  come  abbiam 
visto  nella  descrizione  di  Simone,  37  furon  quelle  che  si  vestirono 
di  bianco,  e  le  restanti  spese  Quella  cifra  ammettendo,  e  ammet- 
tendo che  ciascuna  sia  stata  retribuita  in  niedia  L.  5,  soldi  io,  si 

*  et  homìnibus  civitatis  Vigl.iù  dare  ad  usaras  nisi  ad  denarios  octo  Impl^ 

*  prò  singula  lib.  Impl.  singulo  mense  modo  quod  provideatur  quod  si 
'  aliquì  Elbreij  sive  sabbatarìj  venerìnt  in  dieta  Civitate   et   qui   modo 

*  sunt   non  possint  nec  valeant  dare  et  ipsi  ad  usuras  nisi  ad  dictum 

*  interesse  dictorum  d.  octo  prò  singula  lib.  Impl.  Et  ita  fieri  petit  prò 
■  comodo  et  utilitate  diete  Civitatis.  , 

(i)  C  T.  i5a7-'38.  f.  262  e  sgg. 
(a)  C  T.  a.  e  f.  278  e  sgg. 

(3)  C  T.  a.  e.  f.  316  e  sgg. 

(4)  C  T.  a.  e.  f.  a6o  r. 

(5)  C.  T.  a,  e,  f.  280. 

(6)  C.  T.  a.  e.  f.  282  r, 

(7)  C.  T.  a.  e.  f.  286. 

(8)  A  uno   dei   creditori  non  furono  versate  per  la  questione  del- 
Vequaiantim, 


PER  l'ingresso  di  cristierna  sforza  in  vigevano  411 

viene  ad  avere  un  altro  pagamento  di  L.  303,  soldi  io.  In  totale 
risulterebbe  quindi  una  spesa  di  L.  451,  soldi  5,  pari  a  scudi  6g, 
lire  2,  soldi  16,  che,  uniti  ai  100  ottenuti  dallo  Zaccaria,  di  Vige- 
vano, sono  scudi  169,  lire  2,  soldi  16. 

Ma  noi  abbiam  detto  che,  forse,  al  Comune  la  festa  costò 
scudi  575  o  475.  Perchè? 

Ecco.  Nel  consiglio  del  io  marzo  1534  il  console  Gian  Maria 
del  Pozzo  e  Gian  Giacomo  de'  Morselli,  proconsole  invece  di  Pie- 
tro de*  Garroni,  lessero  una  lettera  ricevuta  dal  senato  milanese, 
in  cui  il  duca  ordinava  loro  di  riunire  il  consiglio  generale  e  far 
eleggere  due  o  tre  cittadini,  che  si  trovassero  il  giorno  1 5  a  Milano 
senza  fallo,  perchè  doveva  t  far  intendere  alcune  cose  alli  agenti  9 
di  Vigevano,  e  chiesero,  secondo  il  solito,  che  si  deliberasse.  I 
consiglieri  elessero  Jeronimo  da  Parona  e  Tommaso  de'  Ferrari 
Fantoni  (i).  I   quali,   recatisi   a   Milano,   ne  riportarono  la  poco 
lieta  novella  che  il  duca  voleva  raccogliere  da  tutto  lo  stato  la 
somma  di  centomila  scudi,  lasciando  facoltà  ai  singoli  comuni 
di  cavarli  da  dove  loro  fosse  piaciuto  o  sembrato  opportuno  :  la 
risposta  doveva  essere  a  lui  recata  il  venerdì  della  settimana  suc- 
cessiva, giorno  27.  I  consiglieri,  avvisati  nella  seduta  del  19  marzo, 
considerando  t  rem  esse  magni  ponderis  et  considerationis  »,  de- 
liberano di  rimandare  ogni  decisione  alla  prossima  domenica,  t  ut 
«  omnes  bene  considerati,  et  instructi  valeant  ad  minus  diete  Ci- 
€  vitatis  et  Comitatus  damnum  »  (2).  E  la  domenica,  giorno  22, 
eleggono  Jeronimo  da  Parona,  Tommaso  de*  Ferrari  Fantoni,  Vin- 
cenzo de'  Bastici  BorioH,  Gian  Maria  del  Pozzo,  t  qui  habeant  ire^ 
«  Mediolanum  occaxione  diete  obligationis  fiende...  dantes  eiis- 
«  dem  omnimodam  autoritatem   obligandi    dictam    comunitatem 
«  [sci.  Vigevano]  et  comitatum  prò  dicto  redutu  constituendo  ver- 
«  sus  R.m  senatum  in  et  super  illis  rebus  quibus  suprascriptis  do- 
«  minis  vidébitur  oportunum  et  diete  comunitati  et  comittatu  mi- 
«  nus  nocium  et  damnosum.  promittentes  et  oblieantes,  etc.  »  (3). 
Il  15  aprile  Tommaso  de'  Ferrari,  tornato  da  Milano,  riferiva  al 
Consiglio  che,  dei  centomila  scudi,  la  parte  spettante  a  Vigevano 
cx)l  suo  contado  era  di  mille,  t  cum  spe  def  alcandi  scutos  centum  » 
e  con  facoltà  t  imponendi  tale  onus  in  et  super  quas  vel  quibus 
«  magis  agentibus  dicti  comunis  placuerit  »  Allora  i  consiglieri, 
se  ben  intendiamo;  ordinarono  alla  commissione  dei  dieci  dele- 

(i)  c.  c.  G..  153235,  r.  178. 

(2)  e.  e  G.  1532.35,  f.  1 79  e  sg. 

(3)  C.  C.  G.  1532-35,  f.  182  r. 


412  PER   L  INGRESSO   DI  CRI5TIERNA   SFORZA    IN   VIGEVANO 

gati  ai  festeggiamenti  per  l'arrivo  della  duchessa,  che  trovassero 
il  modo  di  pagare  tale  porzione  «  ac  recuperandi  >,  cioè  di  far 
pagare  al  duca  i  denari  spesi  per  quelle  feste  ■  simul  danis  et  in- 
c  teresse  secuto  et  secuturo  >  (i).  E  la  commissione,  se,  ancora, 
bene  interpretiamo,  riusci  al  secondo  scopo,  poiché  nell'atto  della 
seduta  consigliare  del  i  '   maggio  così  si  legge  :  «  In  quo  quidem 

■  Consilio  sic  utsupra  congregato  expositum    fuit   per   jamdictos 

■  Dominos  Consules  causam  presentis  cong>  hanc  esse    videlicet 

■  qualitcr  legati  nostri  missi  Mediolanum  occaxione  subsidij  im- 
c  positi  loto  statui  et  precipue  prò  exigenda  portione  civitati  Vi- 
€  gl.ni  contingenti  que  est  s.  430  vel  circa  cum  alijs  expensis  factis 
•  in  adventu  IH  D.  D.  Ducisse  nostre...  ■  (2). 

La  questione  del  circa  sembra  definita  dal  resoconto  della  se- 
duta 25  maggio  1534,  nella  quale,  parlandosi  della  parte  dei  cen- 
tomila scudi,  due  volte  la  si  dice  di  435  (3). 

Ora  due  sono  i  problemi  da  risolvere  per  sapere  quanto  vera- 
mente costarono  le  teste  :  primo,  se  il  Comune  ottenne  di  pagaie 
solo  900  srudi,  invece  che  1000,  come  gliene  era  stata  lasciata  spe- 
ranza ;  secondo,  se  realmente  tutta  la  somma  dai  425  ai  900  o  ai 
1000  fu  impiegata  nelle  feste.  Ma  del  primo  non  possiamo  dare 
la  soluzione,  perchè  non  n'abbiamo  documento  o  argomento  al- 
cuno ;  all'ultimo  risponderemmo  di  sì,  se  fossimo  proprio  assolu- 
tamente sicuri,  come  ci  pare  verosimile,  che,  per  ottenere  il  con- 
dono, il  Comune  dovette  presentare  tutti  i  conti. 

Perciò  appunto  abbiamo  detto  che  la  festa  costò,  forse.  475 
o  575  scudi,  l'n  ultimo  scrupolo  c'induce  ad  aggiungere  che  tale 
spesa,  in  conclusione,  venne  ad  essere  sostenuta  da  Francesco  II. 
nnn  dal  Comune  dì  Vige\'aDo.  che  la  computò  nella  quota  dei 
mille  scudi. 

Felice  Fossati. 


(0  e.  e.  e.  153*35.  r.  iSc)  e  sf. 
(ai  e.  e.  G.  153J-ÌV  r.  191  r. 
(3»  e.  e.  G.  i53a-35  C  •«- 


BIBLIOGRAFIA 


E.  Selctti,  Marmi  scritti  del  Museo  Archeologico  di  Milano^  Catalogo. 
Milano,  Tipogr.  P.  Gonfalonieri,  1901,  in-8,  p.  Xll-350. 

Lo  studioso  e  l>enemerito  editore  spiega  brevemente  nella  prefazione 
Torigine,  i  confini  e  lo  scopo  della  pubblicazione.  —  Avuto  l'incarico 
dai  colleghi  della  Consulta  del  Museo  Archeologico  di  Milano  di  ordi- 
nare le  pietre  scritte,  che  stavano  in  loro  custodia,  nel  portico  della 
Rocchetta  del  Castello  Visconteo-Storzesco,  ed  associatosi  all'uopo  il 
cav.  Vincenzo  Forcella,  dovette  necessariamente  delle  iscrizioni  stesse 
ricercare  la  provenienza  e  fare  la  classificazione  in  ordine  di  tempo  e 
di  materia;  e  così  in  breve  si  trovò  raccolto  fra  le  mani  un  materiale 
prezioso,  che  credette  bene  far  pubblico  come  primo  fra  i  cataloghi  a 
stampa  del  nuovo  Museo.  «  Non  ebbi  intenzione  »,  avverte  il  Seletti, 
P-  n,  u  di  pubblicare  un'opera  critica  epigrafica  col  commento  delle  sin- 
«  gole  iscrizioni,  lavoro  che  in  buona  parte  fu  già  eseguito  da  altri,  come 
«  è  dato  poi  rilevare  dalle  citazioni  bibliografiche  ;  ma  si  è  cercato,  tra- 
M  scrivendo  con  diligenza  le  iscrizioni  e  delle  più  antiche  presentando  i 
«disegni  a  ricordo  delle  forme,  di  compilare  un  catalogo  convenevole, 
«  che  servisse  di  guida  al  visitatore,  e,  col  rendere  più  agevole  la  lettura, 
n  valesse  a  far  conoscere  l'importanza  epigrafica  del  cittadino  Museo.  » 

I  marmi  scritti  del  Museo  Arch.  di  Milano  provengono  da  tre  colle- 
zioni principali.  La  prima  e  la  più  ricca  è  quella  Archinto,  fondata 
da  Ottavio  Archinto,  uno  dei  LX  Decurioni  di  Milano,  che  la  raccolse 
dal  1648  al  1652  nel  suo  palazzo  lungo  Ma  fossa  intema  del  Naviglio 
in  via  Fatebenef  rateili  ;  donde  passò  dopo  il  1833  nel  palazzo  Archinto, 
ora  Collegio  Reale  delle  Fanciulle,  in  via  della  Passione;  finché,  ve- 
nuto lo  stabile  in  possesso  del  Comune,  quei  marmi  furono  consegnati 
al  Museo  nel  1865.  La  seconda,  di  circa  cinquanta  pezzi,  è  la  collezione 
Picenardi,  acquistata  nel  1868,  la  quale  contiene  iscrizioni  di  Brescia, 
dissotterrate  nel  villaggio  di  S.  Eufemia  a  4  km.  da  quella  città; 
di  Como,  raccolte  nella  seconda  metà  del  seicento  dal  vescovo  monsi- 
gnor Caraffini  ;  di  Napoli,  regalate  ai  Picenardi  dall'abate  Giovanni  Re- 
calcati; di  Cremona,  riunite  o  comperate  in  occasione  di  scavi  in  città 
0  nel  suburbio.  La  terza  h  la  collezione  Castìglwnij  che  comprende  una 


L 


414  BreLIOGRAFIA 

numerosa  serie  di  iscrizioni  e  monumenti  provenienti  per  la  maggior 
parte  dalla  demolita  basilica  Naboriana  e  dal  chiostro  di  S.  Valeria,  la 
quale  fu  donata  al  Museo  dalla  contessa  Carolina  Borromeo  vedova  Ca- 
stiglioni  nel  1868.  A  queste  collezioni  vanno  aggiunti  i  marmi  prove- 
nienti dalle  scoperte  fatte  via  via  negli  edifici  pubblici  e  nel  sottosuolo 
delle  strade,  e  quelli  regalati  da  altri  cittadini  benemeriti,  dei  quali 
è  dato  un  lungo  elenco  nell'indice  a  pag.  347. 

Tutto  questo  materiale,  che  comprende  447  iscrizioni,  e,  abbracciando 
un  periodo  di  circa  2000  anni,  forma  una  specie  di  commento  scritto  della 
storia  di  Milano,  è  diviso  in  tre  classi  principali  :  di  iscrizioni  romane, 
a  cui  ne  precedono  due  gallo-italiche  e  due  greche,  dal  n.  5  al  272  ;  di 
iscrizioni  cristiane  dal  273  al  299;  di  iscrizioni  medievali  e  moderne 
dal  299  al  447.  La  prima  classe  delle  iscrizioni  romane,  secondo  l'ordine 
tenuto  nel  Corpus  Inscr.  Lat.,  è  suddivisa  in  diverse  categorie  d'iscri- 
zioni relative  a  divinità,  imperatori,  consoli,  magistrati,  militari,  artefici, 
commercianti,  famiglie,  a  cui  si  aggiungono  i  frammenti  senza  nome 
proprio  certo;  le  cristiane  non  hanno  suddivisione  propria,  ma  sono  or- 
dinate cronologicamente  ;  e  così  le  medievali  e  moderne  sono  raggrup- 
pate in  due  grandi  categorie,  d'iscrizioni  sepolcrali  e  di  carattere  pub- 
blico, e  ciascuna  di  esse  alla  sua  volta  è  ordinata  cronologicamente.  Per 
ogni  lapide  o  marmo  scritto  sono  date  le  dimensioni,  la  provenienza,  la 
bibliografia  e  il  numero  di  catalogo;  ma  ciò  che  costituisce  una  novità, 
se  non  in  senso  assoluto,  certo  in  senso  relativo  per  un  catalogo,  è  che 
di  tutti  i  monumenti  scritti  antichi,  e  di  quasi  tutti  i  medievali  e  mo- 
derni, è  data  la  riproduzione  per  incisione  in  legno  o  per  zincotipia,  ri- 
cavata da  disegni  e  fotografie  ;  di  guisa  che,  insieme  al  fac-similc  di 
ogni  iscrizione,  il  lettore  si  trova  dinanzi  l'imagine  del  monumento  di 
cui  essa  è  parte. 

Ognun  vede  l'importanza  grandissima  di  queste  riproduzioni ,  e  per 
la  retta  interpretazione  di  ciascun  monumento,  e  per  lo  studio  generale 
dell'epigrafia  e  della  paleografia.  L'esattezza  della  trascrizione  è  e  sarà 
sempre  la  condizione  prima  di  ogni  raccolta  epigrafica;  ma  anche  l'oc- 
chio più  esperto,  per  suggestione  propria  o  d*altri,  può  esser  tratto  in 
qualche  abbaglio;  e  allora  non  v'è  che  la  riproduzione  meccanica  del- 
l'oggetto che  possa  fare  da  termine  inappellabile  di  paragone  e  ri- 
chiamare lo  studioso  all'interpretazione  obbiettiva  dello  scritto.  Non  è 
raro  poi  il  caso  di  iscrizioni  che  di  per  sé  non  danno  una  spiegazione 
chiara  ed  esauriente,  o,  invece  di  una  sola,  offrono  parecchie  spiega* 
zioni  ;  e  allora  la  natura  e  le  proporzioni  del  monumento  inscritto  pos- 
sono fornire  un  criterio  decisivo  per  l'interprete  :  quindi  è  che  l'ideale 
più  vagheggiato  di  un  epigrafista  e  di  un  archeologo  moderno  è  quello 
di  poter  valersi  sempre  di  raccolte  facsimilari.  Così  si  è  fatto  in  parte 
nel  Corpus.  Inscr.  /tal.  del  Fabretti  e  più  nel  Corpus  Inscr.  Etrusc.  del 
Pauli,  per  la  riproduzione  delle  iscrizioni  ;  così  e  meglio  si  è  fatto  per 
le  iscrizioni  e  i  monumenti  licii  {Tituli  Lyciae  lingua  Lycia  conscripti) 
editi  lo  scorso  anno  dal  Kalinka,  cogli  auspici  dell'imperiale  Accademia 


BIBLIOGRAFIA  4I5 

di  Vienna.  Se  mai  un  giorno  si  penserà  ad  un  rifacimento  dei  famosi 
Corpus  delle  iscrizioni  latine  e  greche,  così  dovranno  fare  i  nostri  suc- 
cessori (i).  L'aver  il  Seletti  ideato  e  fatto  tanto  da  solo  è  il  miglior  elogio 
che  si  possa  tributare  all'opera  sua,  la  quale,  non  è  lecito  dubitarne,  rac- 
coglierà per  questo  il  plauso  e  le  simpatie  di  tutti  gli  studiosi. 

Quanto  alla  parte  descrittiva  e  bibliografica  del  suo  lavoro,  essa  è 
condotta  con  precisione,  con  cura  e  con  sobrietà.  Niente  sarebbe  più  fa- 
cile a  questo  ngriardo  che  proporre  aggiunte  j  ma  in  parecchi  casi  l'edi- 
tore dice  espressamente  di  essersi  astenuto  a  bella  posta  dalle  soverchie 
citazioni,  riferendosi  a  qualche  più  ampia  pubblicazione  speciale  :  in  altri 
casi  la  dichiarazione  non  è  espressa,  ma  facilmente  si  sottintende.  Io  per 
parte  mia  non  propongo  qui  altro  che  un'aggiunta  all'iscrizione  370,  per  la 
quale,  trattandosi  d'un  monumento  su  cui  l'ultima  parola  non  fu  detta 
ancora  (2),  credo  utile  ricordare  che  trovasi  pure  pubblicata  nel  Supfle- 
mentum  lUslicum  I,  al  C.  /.  L.  n.  129$,  con  una  noticina  del  Mommsen. 
Del  resto  il  bel  volume  parla  da  sé  e  non  ha  bisogno  di  elogi  per  esser  rac- 
comandato al  pubblico.  Auguriamoci  piuttosto  che  gli  altri  cataloghi  delle 
raccolte  splendidamente  installate  nel  castello  monumentale  trovino 
tutti  un  editore  ben  preparato,  amoroso  e  diligente  come  il  Seletti. 

B.  NOGARA. 


Reinhold  Ròhricht.  —  Deutsche  Pilgerreisen  nach  dem  Heìligen 
Lande,  Innsbruck,  \<po.  —  GeschichU  der  Ersten  Kreugsuges,  Inn- 
sbruck,  1901. 

11  primo  di  questi  due  Importantissimi  studi  si  può  considerare  come 
la  terza  edizione  di  un  lavoro  che  apparve  vent'anni  or  sono  e  che  fu 
già  assai  lodato  e  apprezzato.  E'  però  necessario  notare  che  nella  prima 
stampa,  fatta  colla  collaborazione  del  Meisner  (3),  l'elenco  dei  pelle- 
grini ne  comprendeva  poco  più  d'un  centinaio  e  che,  essendo  le  narra- 
zioni dei  viaggi  riprodotte  dai  testi  nella  forma  originale  (antico  tede- 
sco), non  a  tutti  era  dato  di  poterle  consultare^  sebbene  gli  autori  vi 
avessero  aggiunto  un  glossario  per  le  parole  più  oscure  e  difficili;  inol- 

(1)  Speriamo  che  con  tale  criterio  sia  condotto  anche  il  Corpus  Inscr. 
^t.  M.  Aevi,  di  cui  la  nostra  Società  si  è  fatta  promotrice,  qualora  be- 
nigni i  fati  arridano  a  tanta  impresa.  (V.  quest'ilrtr/r.,  igoi  p.  184). 

(2)  Fa  specie  il  trovare  questo  monumento  fra  le  iscrizioni  di 
carattere  pubblico  medievale  e  moderno.  Il  monumento  è  senza  dub- 
bio antico  e  antiche  sono  le  parole  incise  sull'orlo  dei  quattro  pozzetti 
angolan  :  medioevale  è  soltanto  l'iscrizione  di  Valperto  :  sarebbe  stato 
meglio  perciò  pubblicare  il  monumento  fra  le  iscrizioni  antiche  senza 
nome  certo,  e  a  questo  luogo,  fra  le  iscrizioni  medievali,  riprodurre 
1  iscrizione  di  Valperto. 

V      ^«J^*  ^^™rcHT  u.  H.  Meisner,  Deutsche  Pilgerreisen,  ecc.,  Ber- 
lin,  tooO. 


4l6  BIBLIOGRAFIA 

tre  a  quell'edizione  era  unita  una  bibliografia  delle  opere  che  si  riferi- 
scono alla  storia  della  Terra  Santa,  dall'anno  333  al  1876. 

Nella  ristampa  che  seg^i  pochi  anni  dopo  e  a  cui  attese  soltanto 
il  R.  (i),  il  numero  dei  pellegrini,  dei  quali  erano  date  più  ampie  e 
particolari  notizie,  sali  a  trecento  circa;  furono  invece  omesse  le  nar- 
razioni in  antico  tedesco  e  quella  bibliografìa,  che  il  R.  rifece  comple- 
tamente e  pubblicò  poi  a  parte  (2). 

Questa  nuova  edizione  merita  di  ess3r  segnalata,  e  perchè  il  R.,  pro- 
seguendo nelle  sue  fortunate  ricerche,  ha  saputo  aumentare  il  numero 
dei  pellegrini,  l'elenco  dei  quali  giunge  ora  sino  alla  fine  del  sec.  XVII 
(1699),  e  perchè  l'introduzione,  nel  testo  e  soprattutto  nelle  utilissime 
note,  è,  si  può  dire,  tutta  rinnovata. 

I  pellegrini  tedeschi,  come  quelli  d'ogni  altro  paese,  intraprende- 
vano il  lungo  viaggio  non  sempre  per  divozione  o  fervore  religioso, 
ma  più  sovente  per  smania  di  avventure  o  per  semplice  curiosità  o  per 
visitare  i  mercati  di  Oriente,  e  stringere  cosi  nuove  relazioni  commer- 
ciali; alcuni  poi  se  ne  andavano,  pellegrini  di  professione,  a  sciogliere 
i  voti  di  coloro  che  più  non  potevano  mantenere  la  solenne  promessa, 
o  che  forse  non  si  sentivano  il  coraggio  di  decidersi  e  preferivano  di 
pagare  il  sostituto  :  e  pare  che  questi  uomini  prudentemente  divoti  non 
fossero  pochi,  poiché  si  formarono  anche  alcune  confraternite  o  soda- 
lizi che,  come  si  usava  un  tempo,  in  certi  paesi,  pel  servizio  militare, 
offrivano,  a  chiunque  avesse  sborsata  una  data  somma  di  danaro,  il 
vice-pellegrino. 

Quasi  tutti,  in  generale,  venivano  ad  imbarcarsi  a  Venezia,  poiché 
pochissimi  si  arrischiavano  a  seguire  la  via  di  terra,  ed  a  Veneria  fa- 
cevano pure,  in  gran  parte,  ritomo  ;  è  naturale  quindi  che  molti,  e 
specialmente  gli  svizzeri,  arrivassero  alla  terra  di  S.  Marco,  valicando 
le  Alpi  :  il  S.  Gottardo  ne  vide  infatti  scendere  parecchi,  i  quali  non 
mancavano  poi  di  fermarsi  nelle  principali  città  italiane,  e  soprattutto 
a  Milano,  che  fu  visitata  da  molti,  sia  andando  che  ritornando  da  Ve- 
neria. 

II  R.  narra  con  la  consueta  chiarezza  come  si  organizzassero  le 
carovane  dei  pellegrini,  e  come  si  regolassero  quelli  che  partivano 
soli;  descrive  il  loro  soggiorno  a  Venezia,  gli  alberghi  in  cui  trova- 
vano alloggio  e  quel  famoso  Fondaco  dei  Tedeschi,  di  cui  già  si  occupò 
il  Simonsfeld;  assai  interessanti  sono  poi  i  patti  che  il  pellegrino  strin- 
geva col  padrone  della  nave  e  le  clausole  del  contratto  (cfr.  pag.  10-12), 
che  determinavano  in  modo  preciso  i  diritti  e  i  doveri  dei  due  con- 
traenti, per  evitare  possibili  contestazioni  da  una  parte  o  dall'altra. 

Prima  di  approdare  a  JaflFa  (e  lo  sbarco  richiedeva  non  poche  for- 
malità) i  pellegrini  ricevevano  preziose  istruzioni  sulla  condotta  che 
dovevano  seguire,  secondo  i  vari  paesi  che  avrebbero  attraversato  per 


iO  R.  R.,  Deutsche  Pilgcrrcisen,  Gotha,  1889. 

\2)  R.  R.,  Bibliothcca  geographica  Palestinar,  Berlin,  1890. 


BIBLIOGRAFIA  417 

giungere  al  Santo  Sepolcro;  sciolti  i  loro  voti  e  compiute  le  desiderate 
divozioni,  tutti,  o  almeno  la  maggior  parte,  andavano  a  visitare  Be- 
thlehem,  alcuni  arrivavano  sino  ad  Aleppo,  altri  si  fermavano  ad  Ales- 
sandria, al  Cairo,  ecc. 

All'Introduzione  segue  Telenco  dei  pelleg^rini,  cominciando  dal  1300, 
col  viaggio  di  Fredericus  quondam  decanus  ecclesie  Goslariensis  dictus 
de  Jerxom  (Jerxheim),  fino  al  1699,  anno  in  cui  partì  Enrico  Guglielmo 
Lndolph;  e  le  notizie  che  il  R.  ha  raccolto,  tanto  sulle  comitive  come 
sui  viaggiatori  isolati,  sono  molte  e  pregevoli,  specialmente  per  quelli 
che  vissero  nel  sec.  XV  e  nei  seguenti.  Fra  coloro  che  passarono  da 
Milano,  ricordiamo  Hans  v.  Eptingen,  che  nel  1460  ritornò  in  Germa- 
nia pel  S.  Gottardo  ;  Ludwig  Tschudi  Glarus,  che,  dopo  aver  visitato 
Maria-Einsielden,  giunse  a  Milano,  attraversando  egli  pure  il  S.  Got- 
tardo, e  quivi  fu  accolto  molto  cortesemente  dal  governatore  francese,  il 
Lautrec  (15 19),  dal  quale  ebbe  inoltre  lettere  di  raccomandazione;  Hein- 
rich Wòlfli,  canonico,  che  fu  a  Milano,  sempre  pel  S.  Gottardo,  nel 
1520,  e  così  Jodocus  v.  Meggen  (1542),  Jacob  Wormser  (1561),  Alexan- 
der V.  Pappenheim  (1563).  Osserviamo  infine  che  il  R.  ha  opportuna- 
mente registrato  il  nome  di  parecchi  pellegrini  che,  pur  essendo  di  altro 
paese,  si  accompagnarono  a  carovane  tedesche  ;  e  fra  questi  troviamo 
qualche  lombardo  (cfr.  pag.  196,  212,  ecc.)  :  il  volume  si  chiude  poi 
colle  canzoni  del  pellegrino  {Pilgerlicder),  le  più  antiche  che  cono- 
sciamo, e  delle  quali  un  saggio  era  stato  dato  anche  nella  seconda  edi- 
zione. 

Gli  studiosi  delle  crociate  dovevano  già  non  poca  gratitudine  al  R. 
per  i  Regesta  e  per  la  Storia  del  Regno  di  Gerulasemme  (i),  e  più  ri- 
conoscenti gli  saranno  ora  ch'egli  ha  pubblicata  questa  Storia  della 
prima  crociata,  che  spiega  in  modo  chiaro  e  sempre  rigorosamente  do- 
cumentato quegli  avvenimenti  che  precedettero  e  prepararono  il  nuovo 
regno  latino  ;  cosicché  essa  può  a  buon  diritto  considerarsi  come  la  prima 
parte  della  Storia  di  quel  Regno. 

Il  R.  studia  anzitutto  le  varie  cause  che  diedero  luogo  alla  crociata  ; 
esamina  quali  fossero  le  relazioni  fra  i  cristiani  e  i  mussulmani  fin  dai 
tempi  più  antichi  (sec.  VII),  e  quale  la  condizione  dei  cristiani  nella 
Terra  Santa  sotto  la  dominazione  dei  Califfi  d'Egitto,  per  concludere 
che  soltanto  quando  i  Turchi  Selgiucidi  s'impadronirono  della  Pale- 
stina, i  cristiani,  e  più  esattamente  i  pellegrini,  incominciarono  ad  esser 
perseguitati  e  maltrattati.  Il  R.,  contro  l'opinione  del  compianto  e  bene- 
merito Riant,  ammette  con  ragione  che  Gregorio  VII,  commosso  dagli 
appelli  dell'imperatore  Michele,  preparasse  una  spedizione,  dalla  quale 
fu  in  seguito  distratto  a  cagion  dell'infuriare  della  lotta  per  le  investi- 
ture ;  e  dimostra  che  si  può  pure  ritenere  autentica  la  lettera  che  Alessio 
scrisse  a  Roberto  di  Fiandra  nel  1088  (cfr.  pag.  15-16),  lettera  che  il 
Riant  invece  ritenne  apocrifa. 

(i)  R.  R.,  Regesta  Regni  Hierosolymitani^  Innsbruck,  1893;  e  Ges- 
chickte  des  Kónigreichs  Jerusalem,  Innsbruck,  1898. 


V 


4  rè  BÌBLlOGRAriA 

E*  del  resto  evidente  che  l' Europa  insorse  e  s*apparecchiò  alla  guerra, 
scossa  dalle  disperate  invocazioni  d'aiuto  di  Alessio  I,  che  seppe  dimo- 
strare con  efficacia  e  abilità  i  gravi  danni  che  il  terribile  nemico  poteva 
minacciare  all'impero  bizantino;  tuttavia  noi  crediamo  che  le  cause  che 
hanno  cooperato  assai  a  rendere  popolare  la  crociata,  a  diffondere  in 
modo  così  rapido  l'entusiasmo  per  la  santa  guerra,  si  devano  ricercare 
nella  generale  miseria,  triste  eredità  che  le  guerre  continue  e  feroci  ave- 
vano lasciato  e  lasciavano  dietro  a  sé,  nella  potenza,  sempre  crescente 
e  sempre  più  vittoriosa,  del  papato  e  nel  maggior  ascetismo  :  e  di  ciò 
appunto  il  R.  ci  ha  dato  convincenti  prove. 

Esaminata  quindi  l'opera  dei  principali  organizzatori  del  grande 
movimento,  specialmente  di  Urbano  II  (i)  e  di  Pietro  l'Eremita,  il  R. 
fa  il  racconto  delle  due  spedizioni  che  seguirono  a  breve  intervallo  di 
tempo,  di  quella  cioè  «  popolare  »,  che  diede  luogo  al  massacro  degli 
ebrei  in  Germania  ed  ai  sanguinosi  conflitti  nell'Ungheria  e  nell'impero 
greco,  e  dell'esercito  più  regolare,  o  se  non  altro  meno  indisciplinato, 
condotto  da  Goffredo  e  dagli  altri  noti  principi  e  cavalieri  ;  e  con  ric- 
chezza di  notizie  particolari,  consentita  solo  a  chi  ha,  come  il  R.,  profonda 
conoscenza  dei  fonti,  sono  narrati  gli  avvenimenti  che  si  svolsero  dal 
1096  al  luglio  10Q9.  Per  ciò  che  riguarda  l'ordine  cronologico  il  R.  si  è 
in  parte  servito  degli  studi  dello  Hagenmeyer  (2)  ;  quanto  ai  fonti,  se 
non  si  può  dire  ch'egli  abbia  avuto  singolari  preferenze,  è  però  certo 
che  le  cronache  d'Alberto  d'Aix,  di  Raimondo  d'Agiles  ed  i  Gesta  Fran- 
corum  d'autore  anonimo  furono  da  lui  considerati  come  i  più  degni  di 
fede  (3). 

Molto  importante  ci  sembra  l'ultimo  capitolo,  dedicato  tutto  a  Gof- 
fredo e  al  suo  governo  :  qui  il  R.  ha  messo  in  chiara  luce  le  non  liete 
condizioni  del  nuovo  regno,  reso  subito  assai  debole  dalla  partenza  della 
maggior  parte  dei  crociati,  e  gli  effetti  diversi  che  l'esito  della  guerra 
aveva  prodotto  nell'Oriente  e  nell'Occidente.  Mentre  i  mussulmani,  se- 
condo il  loro  costume  erano  rimasti  quasi  indifferenti,  l'annunzio  della 
presa  di  Gerusalemme  destò  nuovi  e  più  grandi  enttisiasmi  in  Europa, 
che  non  apportarono  beneficio  alcuno  alla  nascente  dominazione  latina; 
ed  è  notevole  ciò  che  il  R.  dice  dei  progetti  e  dell'opera  dell'Arcivescovo 
Anselmo  di  Milano  (cfr.  pag.  222-3). 

(i)  Il  R.  non  ricusa  di  accogliere  come  autentica  la  lettera  che  Ur- 
bano II  avrebbe  inviata  ad  Alessio  il  25  dicembre  1096,  annunziando  l'ar- 
rivo dei  crociati  (cfr.  pag.  23 V 

(2^  Dico  in  pane,  poiché  H.  Hagenme\'ER  terminò  di  pubblicare  la 
sua  ottima  Chronolo^ie  de  la  première  croisade,  (in  Revue  de  TOrieni 
latin,  VI,  214-03;  4tKH54o;  VII,  275-330;  430-503;  VIII,  318-381),  dopo 
che  il  R.  aveva  già  ecita  la  presente  opera. 

(3^  E'  supt^fluo  aggiungere  che  il  R.  tenne  conto  di  tutti  i  numerosi 
studi  che  sì  pubblicarono  in  questi  ultimi  anni  ;  così  ci  è  grato  notare  per 
esempio,  che,  circa  la  partecipai  io  no  dei  lombardi  alla  crociata,  non 
sfuggirono  al  R.  le  o<>erv.i/K>ni  che  il  Motta  scrisse  in  questo  Archivio 
nel  tSq^ 


ftlfeUOGRAt^IA  41$ 

Infine^  a  complemento  di  questa  pregevole  storia,  il  R.  pubblica 
quattro  excurfus^  dei  quali  senza  dubbio  riporta  la  palma  il  primo,  che 
tratta  dell'Oriente  avanti  la  proclamazione  della  crociata;  così  il  suo 
lavoro  rimane  più  compiuto  ed  è  quanto  oggi  si  può  desiderare  di  me- 
glio, dopo  gli  studi  del  Sybel,  del  Riant,  e  del  Kugler. 

ARTURO   MAGNOCAVALLO. 


Conte  Girolamo  Secco  Suardo,  //  Falaszo  della  /Cagione  in  Bergamo  ed 
edifici  ad  esso  adiacenti.  L antica  demolita  basilica  di  S.  Alessandro 
in  Bergamo,  Memoria.  Bergamo,  Istituto  italiano  d'arti  grafiche,  1901, 
con  illustrazioni. 

Pel  carattere  prevalentemente  tecnico  di  questa  interessantissima 
pubblicazione  dobbiam  limitarci  ad  un  breve  cenno  bibliografico. 

La  parte  prima  illustra  lo  scalone,  che  oggi  vien  detto  della  Biblio- 
teca e  che  tempo  addietro  si  chiamava  del  Palazzo  vecchio.  Contro  l'opi- 
nione espressa  da  qualche  scrittore  che  l'origine  dello  scalone  non  ri- 
salga oltre  il  1 566,  l'Autore  si  studia  di  provare,  con  ricco  corredo  d'osser- 
vazioni storiche  e  di  confronti,  come  lo  scalone  sia  coevo  col  Palazzo  e 
come  una  scala  sul  lato  orientale  del  palazzo  stesso  non  sia  mai  esistita, 
contrariamente  a  quanto  da  altri  fu  detto  :  fra  le  prove  ch'egli  adduce  per 
assicurare  che  lo  scalone  esisteva  nel  secolo  XV  è  lo  Statuto  della  città 
pel  1491. 

La  parte  seconda  è  destinata  a  illustrare  il  palazzo  del  Comune. 
Del  palatium  comunis  Pergami  rifa  la  storia.  Esaminando  le  forme  della 
piccola  facciata  orientale  ancora  esistente  e  tenuto  conto  della  tradizione 
(conservata  in  documenti  grafici  e  manoscritti)  di  quello  che  furono  le 
forme  della  facciata  meridionale  nel  suo  piano  superiore,  egli  conclude 
che  non  v'  ha  dubbio  che  il  palazzo  fu  edificato  nel  secolo  XII  e  che 
quindi  i  documenti  di  quell'epoca  i  quali  discorrono  genericamente  di  un 
palazzo  comunale  si  riferiscono  realmente  a  questo,  non  ad  altri  oggi  più 
non  esistenti  :  ma  che  le  arcate  e  le  finestre  a  sesto  acuto  e  le  trifore 
eleganti  a  colonnine  abbinate  con  belle  basi  e  capitellini  costituiscono 
uno  dei  più  notevoli  esemplari  dello  stile  gotico  del  princìpio  Jel  se- 
colo XIV. 

Per  risolvere  il  problema  della  data  della  costruzione  del  palazzo, 
"autore  intraprende  un  diligente  studio  archeologico.  Egli  osserva  giu- 
stamente che   quando  si   tratta   di   costruzioni   medievali   nessun   docu- 
mento può  parlar  più  chiaro  dell'edificio  stesso:    se  anzi  la  via  delle 
indagini  è  esclusivamente  la  diplomatica,  le  conclusioni  possono  essere  del 
tutto  contrarie  al  vero.  Egli  conclude  che  la  fronte  occidentale  rimase 
salva  dall'incendio  del  15 13  e  dai  restauri  intrapresi  dall'architetto  Isa- 
bello  che  raffazzonò  o  ricompose  l'attuale  fronte  settentrionale.  Questa 
parte  del  libro  del  Secco  Suardo  è  di  notevole  interesse  anche  per  le 
molte  notizie  nuove  e  pei  richiami  dei  documenti  sul  palazzo  vecchio, 


420 

sul  faiatium  farentatki  Stiardorum  et  Colionum,  sM'kospitìMm  Coum- 
HÌs  Pergami,  sul  palazzo  pretorio,  già  casa  di  ZentiJino  Suardo. 

La  parte  terza  è  dedicata  alla  stona  edilizia  dell'antica  basilica  di 
S.  Alessandro,  che  venne  demolita  nel  i;6i  per  la  costruzione  delle 
nuove  mura  della  città.  Un  disegno  nel  Fondo  di  Religione  nell'Archi- 
vio di  Stato  di  Milano  riproduce  lo  spaccato  di  quella  basilica  ;  esso 
presenta  due  stili  marcatamente  distinti  :  «  l'originario  del  secolo  IV 
lineile  colonne  coi  capitelli  e  nelle  cornici  architravate  sovrappostevi, 
<[  le  quali  però  non  sopportavano  il  peso  dell'edificio  inquantocbè  dalla 
«  detta  cornice  architravata  si  dipartivano  i  peducci  degli  archi,  i  quali 
ti  in  realtà  (non  gli  architravati)  portavano  il  peso  del  tetto.  Gli  archi 
Il  giungevano  in  prossimità  del  sofBtto  :  e  dalla  loro  spinta  li  garantivano 
CI  i  due  muri,  che  li  dividevano  dal  coro  e  dal  portico.  E'  la  forma  degli 
Il  archi  sia  della  nave  principale  che  delle  due  minori  non  che  quella 
li  della  centinatura  delle  finestre,  che  subì  una  profonda  modificazione, 
li  trasformandosi  da  romana,  ossia  a  pieno  sesto,  in  gotica,  ossia  a  sesto 
Il  acuto  ed  a  curvatura  trilobata,  n  11  che  avvenne  probabilmente  nel  prin- 
cipio del  XV  secolo,  introducendo  si  nelle  navi  minori  i  nicchioni,  entro 
i  quali  si  collocarono  gli  altari.  Quanto  alle  finestre  il  Secco  Suardo 
ne  osserva  la  relazione  con  gli  archi  trilobati  della  basilica  di  S.  Francesco 
in  Assisi  e  altri  ;  quando  i  canonici  di  S,  Alessandro  si  decisero  a  mo- 
dificare lo  stile  della  loro  basilica,  avendola  trovata  con  finestre  a  cen- 
tinatura semicircolare,  si  limitarono,  conservando  la  loro  luce  originaria, 
a  convertire  la  precedente  centinatura  in  altra  trilobata,  quanto  alle  fine- 
stre delle  navi  ;  quanto  a  quelle  det  coro  le  decorarono  pure  in  tutto 
il  loro  contomo  dì  una  ricca  cornice  conforme  al  gusto  del  tempo.  Lo 
studio  che  il  Secco  Suardo  intraprende  per  ricomporre  la  storia  della 
distrutta  basilica  è  quindi  del  maggiore  interesse,  e  noi  ci  auguriamo 
con  lui,  che  si  intraprendano  dei  restauri  seni  intorno  agli  edifizi  an- 
tichi più  notevoli  di  Bergamo  e  specialmente  del  Palazzo  vecchio. 

F.  M. 


Luca  B^^tRAUI,  —  LiOnaido  da  Vinci  e  la  sala  delle  «Asse»  nel  Ca- 
stello di  Milano.  —  Milano,  Allegretti,  .MCMll,  pp.  70. 

In  occasione  del  ripristino  della  decorazione  pittorica  nella  Sala 
detta  delle  «  Asse  11  ad  iniziativa  dell'avv.  Pietro  Volpi,  che  volle  in 
modo  così  nobile  onorare  la  memoria  della  defunta  consorte  Alessan- 
drina Volpi  Bassano,  l'arch.  Beltrami  puU>lica  questo  scritto,  ricca- 
mente corredato  di  disegni,  destinato  a  rifare  la  storia  di  quella  sala 
che  si  trova  al  pian  terreno  della  torre  situata  all'angolo  nord  del  ca- 
stello Sforzesco  di  Milano.  E'  a  pianta  quadrata,  coperta  da  vòlta  por- 
tata da  lunette  e  riceve  luce  da  due  finestre  in  corrispondenza  ai  lati 
della  torre  prospettanti  il  fossato.  Il  Beltrami,  esposte  le  condizioni  di 
fatto  che  si  riferiscono  a  questa  parte  del  castello,  riporta  i  documenti 


BIBLIOGRAFIA 


421 


speciali  sulla  decorazione.  Una  lettera  del  21  aprile  del  1498  di  Gual- 
tiero, famigliare  ducale  a  Lodovico  il  Moro,  nota  :  Lunedì  si  desarmerà 
la  Camera  grande  da  le  asse  cioè  da  la  tore,  Magistro  Leonardo  fromete 
finirla  per  tuta  seftembre,  Leonardo  da  Vinci  nelVepoca  stessa  lavorava 
alla  Saletta  negra  e  ai  Camerini  :  e  la  sala  dalle  «  Asse  »,  della  quale  è 
ricordo  più  volte,  da  lui  decorata,  è  oggi  ripristinata  in  tutta  la  sua 
veste  smagliante.  Nel  1893-94  il  dott.  Paul  Miiller  Walde  ottenne  che 
vi  si  intraprendessero  indagini  per  rintracciarne  la  decorazione  della 
vòlta  e  si  rinvennero  infatti  alcuni  frammenti  raffiguranti  grandi  tronchi 
d'alberi  che,  innalzandosi  lungo  le  pareti,  si  ramificavano  in  corrispon- 
denza al  piano  d'imposta  delle  lunette,  trasformando  la  vòlta  in  ampio 
pergolato,  nel  quale  l'intreccio  fittissimo  di  rami  trova  una  nota  vivace 
nel  motivo  di  corde  dorate  a  nodi  raggruppanti  si  intomo  alla  serraglio 
della  vòlta,  dove  campeggia  lo  stemma  ducale  in  anello  dorato.  Ritro- 
vata parte  di  una  iscrizione  all'imposta  di  vòlta,  in  uno  dei  lati  della 
sala,  fu  potuta  completare  quella  e  rinnovare  le  altre  che  per  for- 
tuna eran  state  raccolte  nei  Diari  di  Marin  Sanudo.  D' accordo 
con  l'architetto  Gaetano  Moretti,  direttore  dell'Ufficio  Regionale  per 
la  conservazione  dei  monumenti  in  Lombardia,  il  lavoro  fu  affidato  al 
pittore  Emesto  Rusca  e,  dopo  lunghe  ricerche  per  ricomporre  tutto  lo 
schema  generale  della  decorazione,  costituita  da  un  intricatissimo  vi- 
luppo di  rami  complicato  dal  raggirarsi  di  corde  che  si  sbizzarriscono 
in  nodi  e  per  rintracciare  il  fogliame  per  ricomporre  le  masse,  le  mo- 
venze, i  contomi,  ristabilire  le  parti  forate  del  pergolato,  per  ricono- 
scere le  tonalità  originali,  le  gradazioni  di  colore,  le  intensità  di  luce 
e  di  ombre,  il  lavoro  fu  compiuto  diligentemente  e  genialmente  cosi 
che,  levate  le  impalcature,  la  grandiosa  composizione  si  presentò  equi- 
librata, armonica,  attraentissima. 

Dalla  interessante  pubblicazione  del  Beltrami,  che  di  tutti  i  restauri 
del  castello  Sforzesco  ^  l'anima,  si  vede  come  l'idea  originalissima  trovi 
molti  pensieri  e  note  nei  manoscritti  di  Leonardo.  Nel  momento  pre- 
sente in  cui  uno  stile  che  si  vuol  chiamar  nuovo,  perchè  si  vanta  di 
una  veste  decorativa  ispirata  direttamente  alla  natura,  cerca  dì  affer- 
marsi ufficialmente,  è  bello  constatare  il  carattere  eminentemente  no- 
strano della  decorazione  floreale,  ma  sarà  di  meraviglia  soltanto  per 
chi  non  conosceva  intimamente  l'arte  del  Rinascimento  trovarlo  cosi 
meravigliosamente  sviluppato  precisamente  in  quel  periodo  e  per  opera 
di  questa  scuola  italiana  che  sembra  più  direttamente  bersagliata  dai 
nuovi  apostoli  dello  «  aesthetic  Style  ».  Per  tutti  gli  altri  questa  ten- 
denza che  ci  viene  dal  Nord  non  è  che  un  provvido  ma  non  nuovo  rimo- 
dernamento di  idee  del  passato. 

F.  M. 


422  BIBLIOGRAFIA 


Cesare  Faccio.  —  Giovanni  Antonio  Bassi  (Il  Sodoma)  pittore  vercel- 
lese del  secolo  XVI,  Vercelli,  Gallardi  e  Ugo,  editori,  1902,  ili.  pp. 

Come  nota  l'autore,  questo  libro  ebbe  origini  modeste.  Quando,  nel 
1895,  Tavv.  Antonio  Borgogna  che,  per  la  dispersione  della  Gallerìa  Scarpa, 
conservata  in  Motta  del  Friuli,  aveva  avuto  occasione  di  arricchire  la  pro- 
pria collezione  d*opere  d'arte,  di  una  delle  ultime  tavole  rivendicata  al 
Sodoma  dalla  critica  moderna,  donava  alla  città  di  Vercelli  la  protome 
del  pittore,  ch'egli  aveva  fatto  ritrarre,  il  colonnello  Faccio  aveva  rac- 
colto quanto  era  noto  intomo  alla  vita  e  alle  opere  dell'artista  vercel- 
lese ed  ora  pubblica  in  un  bel  volume,  corredato  riccamente  di  ripro- 
duzioni dirette,  una  interessante  monografia. 

Del  Sodoma  il  Vasari  aveva  cercato  evidentemente  di  menomare 
la  fama  e  come  artista  e  come  uomo  :  contribuirono  al  contrario  a  farne 
rilevare  le  grandi  qualità  d'artista  il  senatore  Morelli  e  Gustavo  Friz- 
zoni,  mentre  il  Dellavalle  prima,  il  Bruzza  poi,  s'eran  studiati  di  assu- 
merne le  difese  per  quanto  riguarda  la  natura  dell'uomo  ed  i  suoi  co- 
stumi, che  il  triste  nomignolo  affibbiato  all'artista  (e  che  il  Faccio  si 
studia  provare  debba  essere  Sodóna,  non  Sodoma,  e  quindi  di  nessun 
carattere  infamante)  aveva  fatto  supporre  fin  qui  del  tutto  pervertiti. 

L'esame  diligente  dei  fonti  per  la  biografia,  e  specialmente  per  quello 
che  si  riferisce  al  luogo  di  nascita  del  Bazzi,  inizia  nel  volume  del  Faccio 
la  narrazione  delle  vicende  della  sua  vita.  Il  Sodoma  nacque  nel  1477  * 
vent'anni  dopo  egli  aveva  già  compiuta  la  sua  prima  educazione  arti- 
stica con  Martino  Spanzotti,  presso  il  quale  il  padre  lo  aveva  allo- 
gato. Sulla  guida  dei  documenti  sembra  accertato  che  il  pittore,  per  di- 
verse ragioni  d'indole  famigliare,  disamoratosi  della  sua  Vercelli,  che 
allora  faceva  parte  del  ducato  milanese,  si  condusse  a  Milano,  dove  lo 
sfarzo  della  corte  di  Lodovico  il  Moro  e  la  fama  di  Leonardo  lo  chia- 
mavano. Da  Milano,  nel  1501,  come  narra  il  Vasari,  gli  agenti  di  Giulio 
ed  Antonio  Spannocchi  lo  condussero  a  Siena,  dove  Ser  Pandolfo  Petrucci 
dominava  su  quella  repubblica.  Si  sa  che  quivi  il  pittore  eseguì  vari 
ritratti,  uno  dei  quali  potrebbe  essere  quello  della  Galleria  Staedel  di 
Francoforte,  già  dato  a  Sebastiano  del  Piombo  e  dalla  moderna  critica 
restituito  al  pennello  del  Vercellese.  D'altri  suoi  ritratti  non  si  saprebbero 
indicare  che  quelli  rinvenuti  dal  Morelli,  fra  cui  tre  figure  maschili, 
condotte  al  carboncino,  una  nella  raccolta  degli  Uffizi,  una  seconda  nell'Al- 
bertina di  Vienna,  la  terza  nel  Museo  Britannico  ;  ai  quali  il  Faccio  asr- 
giunge  l'effigie  d'uomo  con  barba  nera  e  largo  cappello  rosso  a  cencio 
nella  sala  del  Prometeo  della  Galleria  Pitti.  Fra  le  prime  opere  del 
periodo  senese  del  Bazzi  eran  due  tavole,  perdute,  per  Enea  Savini  della 
Costerella  incorniciate  dal  celebre  intagliatore  Antonio  Barili.  Rimane 
invece  la  Deposizione  dalla  Croce,  dipinta  per  la  cappella  dei  Cinuxii 
in  San  Francesco,  ora  nell'  Istituto  di  Belle  Arti  di  Siena,  che  il  Friz- 


BIBLIOGRAflA 


423 


zoni  ascrìve  al  periodo  giovanile  dell'artista,  confermando  così  l'opinione 
del  Della  Valle  e  degli  annotatori  del  Vasarì  :  in  quest'opera  sono 
una  delicatezza  e  un  sentimento  che  ricordano  i  migliori  pittori  lom- 
bardi di  quel  tempo.  Cosi  di  un  tondo  della  galleria  di  Siena,  traspor- 
tato dall'Eremo  di  Lecceto,  nel  suburbio  della  città,  raffigurante  un 
presepio  :  motivo  che  il  Sodoma  ripetè,  con  varianti  notevoli,  nel  tondo 
della  galleria  Borgogna  di  Vercelli,  già  dato  a  Cesare  da  Sesto. 

Nel  luglio  del  1503  il  pittore  prometteva  a  Don  Andrea  Coscia,  na- 
poletano, cellerario  del  monastero  di  S.  Anna  di  Creta,  a  poco  più  di 
sette  chilometri  da  Pienza,  di  eseguire  le  pitture  per  ornare  il  refettorio, 
per  compenso  di  20  scudi  d'oro  e  le  spese.  I  dipinti  che  vi  si  vedono  son 
di\isi  in  sei  grandi  scomparti,  disposti  a  tre  a  tre  sulle  pareti  dei  lati 
minori  della  sala.  Sulle  pareti  dei  lati  maggiori,  ai  quali  dovevano  es- 
sere appoggiati    i    seggi    dei   monaci    e   al  disopra  di  questi,  il  pittore 
dispose    un    fregio    con    tondi    che    racchiudono    teste  di  santi    alter- 
nati con  quadretti  a  monocromato.  Sul  muro  di  fronte  all'ingresso,  nel 
quadro  principale,  è  raffigurato  il  miracolo  della  moltiplicatone  dei  pan! 
e  dei  pesci  :   nello  scomparto  a  sinistra  si   vede  la  turba  già  satolla  ; 
quello  di  destra  è  del  tutto  sciupato  dall'umidità.  Nella  parete  di  contro, 
sulla  porta  d'ingresso  è  raffigurata  una  Pietà  :  nel  compartimento  a  sini- 
stra è  S.  Bernardo  Tolomei,  fondatore  dell'ordine  degli  Olivetani,  circon- 
dato dai  confratelli  vestiti  delle  loro  tonache  bianche  ;  nel  compartimento 
di  destra  è  sant'Anna  in  trono  e  la  Madonna  col  bambino.  Nello  spes- 
sore del  muro  dell'unica  porta  che  dà  accesso  al  refettorio  è  un  tondo 
con  la  mezza  figura  del  Redentore. 

Nel  150$  il  Sodoma  era  intento  ai  grandi  dipmti  dell'archicenobio 
di  Montoliveto  di  Chiusuri,  che  rappresentano  il  lavoro  suo  capitale.  L'o- 
pera era  stata  commessa  al  Signorelli,  che  aveva  abbandonata  l'impresa 
nel  1498,  chiamato,  sembra,  ad  Orvieto,  dopo  aver  condotto  a  termine  a 
Montoliveto  nove  istorie  con  varii  episodi  della  vita  di  San  Benedetto. 
Il  Bazzi,  colorando  le  ventisei  storie  che  completano  il  giro  del  chio- 
stro, continuò  quella  serie  con  altri  fatti  della  vita  del  Santo.  Oltre  questi, 
in  vari  locali  del  monastero  il  pittore  raffigurò  :   L  Incoronazione  della 
Vfrgine,  il  Salvatore  con  la  croce,  la  Madonna  coi  Santi  Pietro  e  Mi- 
chele, il  cominciamento  della  religione  olivi  tana,   (risto  alla  colonna, 
tristo  che  porta  la  croce.  L'autore  della  monografìa  eh.*  stiamo  esami- 
nando, si  allontana  (jui,  nell'elenco  di  questi  affreschi  e  nella  loro  de- 
signazione, dagli  annotatori  del  Vasari,   e  si   studia  di  demolire  certe 
facili  leggende  create  sull'asserzione  dell'autore   delle    Vite,   intorno   a 
questi  dipinti  :  i  quali  provano,  come  aveva  osservato  il  Frizzoni,  che  il 
pittore,  dal  1498  al  1501,  segui  la  scuola  di  Leonardo  da  Vinci.  Fra  le 
opere  di  questo  periodo  l'autore  mette  il  tristo  che  -porla  la  Croce,  del 
quale  è  ricordo,  ma  che  si  credeva  fosse  andato  perduto  ;  il  Faccio  invece 
osserva  che  potrebbe  essere  quello  del  palazzo  dei  marchesi  di  Beaurc- 
gard  in  Chambery,  scoperto  sotto  una  moderna  impiastricciatura. 

^^el  1507  il  Sodoma  era  a  San  Gimignano,  dove  fresco  a  chiaroscuro 
^na  parete  della  cappella  delle  carceri,   ora  ufficio  dell'economato  mu- 


434 

DÌcipale,  che  rimane  (un'ora,  con  sant'Ivoue  in  atto  di  render  giustizia 
a  una  turba  di  poveri  e  di  orfani  dinanzi  alla  porta  del  tribunale  :  è 
lavoro  affrettato  e  di  poco  valore,  come  aveva  notato  il  Frizioni.  Nel 
1507  capitò  a  Siena  il  fastoso  Agostino  Chigi,  che  si  condusse  a  Roma  il 
pittore.  Qui  finisce  il  primo  perìodo  dell'attivi^  del  Balli. 

Giunto  alla  corte  pontificia  l'artista  ottenne  di  dipingere  nel  palano 
Vaticano  in  una  delle  camere  innalzate  da  Nicolò  V,  presso  a  quella  in 
cui  lavorava  il  Perugino.  Qui  il  Faccio  esamina  con  acume  quanto  ne 
scrisse  in  proposito,  contraddicendosi,  il  Vasari,  per  concludere  che  il 
Sodoma  non  potfe  metter  mano  ai  dipinti  suoi  nella  Camera  della  Se- 
gnatura prima  del  1508,  e  che  quindi  Raffaello  precedette,  per  ordine 
di  tempo,  il  Bazzi  nella  decorazione  delle  stanze,  non  questi  quello;  al 
Sodoma  spetta  quindi  la  parte  ornamentale  e  architettonica  di  quella 
stanza  e,  pel  Frizzoni,  il  tondo  del  centro  della  vfllta  coi  putti  reggenti 
lo  stemma  dei  Della  Rovere  e  otto  piccolissimi  quadri  posti  fra  quelli 
di  Raffaello,  con  scene  mitologiche  e  fatti  di  storia  antica.  Cosi  stando 
le  cose  non  si  riesce  davvero  a  spiegare  l'animosità  del  Vasari  verso  il 
nostro  pittore.  TI  quale,  il  38  ottobre  i^io.  a  Siena,  conduceva  in  moglie 
Beatrice  di  Luca  di  Bartolomeo  d'Egidio,  detto  Luca  de'  Galli,  oste 
alla  locanda  della  Corona:  in  quella  città  allorn  condusse  a  termine  i 
dipinti  del  palazzo  Chigi  con  le  gesta  di  Giulio  Cesare  e  altri  fatti  tratti 
dalle  Metamorfosi  di  Ovidio,  oggi  scomparsi.  Quanto  alla  vita  coniu- 
gale del  pittore,  fc  possibile  sfatare  altre  false  asserzioni  del  Vasari,  coi 
fatti  alla  mano  :  lungi  datl'obbligare  la  moglie  a  dividersi  da  lui,  rat- 
tristandone l'esistenza,  come  lo  scrittore  delle  Vite  aveva  asserito,  i  do- 
cumenti rinvenuti  dal  Milanesi  assicurano  che  il  Bazri  la  tenne  presso 
di  sé  sempre,  rendendola  madre  di  più  figliuoli,  a  un  de'  quali  pose 
il  nome  di  Apelle,  mentre  la  figlia  Faustina  andò  poi  sposa  a  un  allievo 
di  Giovan  Antonio,  ciot  Bartolomeo  di  Bastiano  Neroni.  detto  il  Riccio, 
pittore  e  miniatore,  A  questo  periodo  dell'artista  appartiene  Ta  grande 
tavola  da  altare,  già  a  Colle  Val  d'  Elsa  nel  senese,  ora  nella  R.  Pi- 
nacoteca di  Torino,  rappresentante  la  Vergine  in  trono  col  Bambino  e 
ai  Iati,  ritte,  santa  Caterina  e  santa  Lucia  e,  dinnanzi,  san  Girolamo  e 
san  Giovanni  in  ginocchio.  I  documenti  estratti  dal  libro  delle  Prov- 
vigioni di  San  Gimignano  provano  che  il  Bazzi  fece  una  seconda  ^ta 
in  quella  terra  per  eseguirvi  un  grande  affresco  sotto  la  loggia  di  fronte 
alla  Collegiata,  che  gli  fu  pagato  142  lire,  nel  luglio  del  i;i3.  Dopo 
quest'opera  vanno  ricordati  i  grandi  affreschi  sulla  facciata  della  casa 
in  Siena  di  messer  Agostino  dei  Bardi,  che  gli  diede  in  compenso  un 
cavallo.  Il  documento  relativo  chiama  il  pittore  /ohannes  Antonims  fa- 
cobi  de  Vèrse  dì  Savoia.  Fra  il  1514  e  il  1515  il  nostro  si  trovava  di 
nuovo  a  Roma  e  vi  compiva  i  dipinti  meravigliosi  della  Farn>'.si.n.i ;  ne 
fanno  fede  una  lettera  di  Pietro  Aretino  al  pitore  e  altri  fatti.  Nella 
celebre  villa  di  .Agostino  Chigi,  bella  delle  pitture  di  Raffaello  e  dei 
suoi  nel  pian  terreno,  egli  eseguì  quel  vistoso  ciclo  di  figure  con  le  ge- 
sta del  grande  Alessandro,  fra  le  quali  meravigliosa  dì  genialità  e  di 


BIBLIOGRAFIA  425. 

delicatezza  la  scena  delle  nozze  di  Alessandro  con  Rossane,  uno  dei  ca- 
polavori dell'arte  italiana  del  Rinascimento. 

Il  Razzi  compi  in  meno  dun  anno  gli  affreschi  della  Farnesina. 
Nel  giugno  del  15 15,  dopo  una  gita  a  Piombino,  si  recava  a  P'irenze 
a  far  correre  sui  cai  all'i,  come  scriveva  Jacopo  V  d'Appiano,  signore  di 
Piombino,  a  Lorenzo  de'  Medici.  Qui  l'autore  del  bel  libro  che  stiamo 
esaminando,  riporta  molte  prove  curiose  dell'amore  che  il  pittore  por- 
tava ai  cavalli,  amore  che,  come  suppone  il  Blanc,  egli  aveva  forse 
derivato  dalle  lezioni  di  Leonardo.  £  sembra  che  dall'epoca  delle 
corse  al  pallio,  che  ebber  luogo  allora  a  Firenze,  prendesse  origine  il 
nomignolo  di  Sodoma  al  nostro  pittore  che,  avendo  vinto,  era  circon- 
dato dai  fanciulli  che  lo  seguivano  schiamazzando,  e  gridando  con  ev- 
viva quello  che  essi  credevano  il  suo  soprannome.  Sul  quale  nomignolo  il 
Faccio  si  studia  di  provare  come  non  Sodoma,  ma  Sodòna  dovesse  essere, 
cioè  u  uno  di  quei  nomignoli  di  officina  o  di  scuola,  senza  una  signifìca- 
«zionc  al  mondo,  né  fìsica  né  morale,  che,  dati  una  volta  per  celia  da 
te  un  compagno  burlone,  rimangono,  senz'ombra  di  ragione,  saldati  alla 
«personalità  su  cui  sono  stati  in  mal  punto  scaraventati».  Certo  è  che, 
meritato  o  no  (e  questo  allo  studioso  dell'arte  importa  poco)  il  so- 
prannome antipatico  rimase  al  pittore  nella  storia.  11  Cristo  alla  colonna, 
dell'Accademia  di  Belle  Arti  di  Siena,  già  in  S.  Francesco,  di  fort<»  mo- 
dellatura, superbo  di  colore  (15 10-17),  gli  affreschi  nell'oratorio  su- 
periore di  S.  Bernardino  coi  fatti  della  Vergine  (15 18)  con  alcune  figure 
di  santi,  eseguiti  in  concorrenza  con  Domenico  Beccafumi  e  con  Gi- 
rolamo del  Pacchia,  gli  affreschi  della  Compagnia  di  Santa  Croce,  di 
cui  tre,  guasti  dai  restauri,  si  conservano  tuttora  uno  nel  monastero 
di  Sant'Eugenio  —  ora  villa  Guiccioli  —  due  nella  Pinacoteca  di  Siena, 
la  motte  di  LucreBÌa  romana  della  R.  Pinacoteca  di  Torino  e  quella  di 
Annover,  la  Carità  del  Museo  di  Berlino,  rivendicata  al  Bazzi  dai  Mo- 
relli, V Adorazione  dei  Magi  in  Sant'Agostino  di  Siena,  che  al  Lanzi  pa- 
reva cosa  tutta  leonardesca,  sono  gli  ultimi  dipinti  della  seconda  maniera 
del  pittore  vercellese. 

I  documenti  chiariscono  vieppiù  la  vita  e  l'attività  artistica  del  Bazzi 
nel  terzo  periodo  della  sua  vita;  e  il  libro  che  stiamo  esaminando  ri- 
chiama ordinatamente,  ricavandone  il  succo,  le  notizie  sui  rapporti  del- 
l'artista, col  marchese  di  Mantova,  col  duca  di  Ferrara,  col  pontefice, 
dal  quale  ottenne  il  titolo  di  cavaliere.  Un  san  Giorgio  nella  collezione 
del  Cook  di  Richmond  presso  Londra,  può  essere  quello  ricordato  nella 
lettera  del  Sodoma  all'Estense.  A  proposito  del  fatto  di  trovare  nel 
novembre  del  1518  il  Bazzi  abitante  temporaneamente  a  Reggio  Emilia, 
dove  si  firmava  come  testimonia  a  due  atti  e  del  chiamarvisi  egli  cit- 
tadino parmigiano,  non  siamo  d  accordo  con  quelli  che  credettero  che 
il  Sodoma  facesse  ciò  per  uno  di  quei  capricci  che  gli  avevan  procu- 
rato il  soprannome  di  Mattaccio.  E'  noto  infatti  che  in  vari  luoghi  la  cit- 
tadinanza veniva  concessa  allora  anche  ai  pittori  di  grido,  con  qualche 
facilità;  abbiam  trovato  nei  documenti  del  tempo  di  artisti  come  TOmo- 

Arch.  Stor,  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV.  28 


4^6  BIBLIOGRAFIA 

deo,  il  Foppa  e  altri  che  vantavano  due  o  tre  cittadinanze  diverse, 
che  davan  loro  diritto  a  esenzioni  e  a  privilegi  speciali  :  è  probabile  che 
anche  il  Bazzi,  cavaliere  senese  e  ricercato  dal  papa  e  da  principi,  iossv 
realmente  stato  creato  cittadino  parmense. 

Le  opere  ascritte  al  Sodoma  in  Lombardia  sono  diverse  :  un  gran- 
dioso affresco  detto  il  Madonnone  nella  villa  Melzi  a  Vaprio  d'Adda, 
erroneamente  attribuito  a  Leonardo  prima  che  il  Morelli  lo  restituisse 
al  Vercellése,  una  Madonna  col  bambino  e  cherubini  nella  collezione 
Morelli,  una  Maddalena  e  un  frammento  di  Madonna  nella  collezione 
del  sig.  Gustavo  Frizzoni  a  Milano,  una  sacra  famiglia  presso  donna  Laura 
Minghetti,  <c  alla  quale  si  accosta  sensibilmente  nelle  forme  e  nella  sfu> 
(c  matura  certa  Madonnina  attribuita  al  Vìnci,  che  è  nella  Pinacoteca  Car- 
«  rara  riparto  Lochis,  n.  136,  in  Bergamo  »,  a  Milano,  in  San  Tom- 
maso, dietro  l'aitar  maggiore  un  Cristo  morto  sorretto  dalla  Vergine  t 
adorato  dalla  Maddalena,  che  si  accorda  con  un'altra  Pilota  comprata  nel 
1891  in  Milano  ed  ora  a  Firenze  presso  il  sig.  Enrico  Costa,  una  Vergine 
col  Bambino  degli  eredi  Ginouillac  di  Milano,  la  Vergine  col  Bambino 
della  Pinacoteca  di  Brera,  ispirata  a  Leonardo  molto  da  vicino  e  il 
cui  fondo  a  paesaggio  potrebbe  ben  essere  del  maestro  che  creò  la  di- 
vina Vergine  delle  Roccie.  Al  rinvigorimento  del  gusto  prodotto  dall'in- 
flusso leonardesco  sul  Vercellese  devesi  anche  la  celebre  Leda  col  cigno 
della  galleria  Borghese  :  uno  studio  a  sanguigna  per  la  testa  di  questa 
Leda  nella  sala  dei  disegni  del  Museo  artistico  del  castello  Sforzesco 
richiama  talmente  i  tratti  della  Madonna  di  Brera  da  provare  la  unica 
provenienza  dei  due  dipinti.  Allo  stesso  periodo  il  Faccio  ascrive  la 
Vergine  col  Bambino  della  collezione  di  Lord  Battersea,  esposta  nel 
1898  a  Londra  al  Burlington  five  arts  club,  nonché,  seguendo  il  Frizzoni, 
il  tondo  della  galleria  Borgogna  di  Vercelli,  da  riportarsi  pure  alla 
stessa  epoca  del  soggiorno  di  Gio.  Antonio  in  Lombardia.  Aggiungasi 
a  queste  opere  la  Madonna  col  Bambino  della  raccolta  Layard  a  Ve- 
nezia. In  tutte  più  o  meno  ricorrono  le  stesse  caratteristiche  del  maestro 
Vercellese  e  le  traccie  di  certa  fretta  e  sbadataggine,  sopra  tutto  nelle 
linee  mosse  e  ondulate  del  disegno  degli  occhi  e  dei. capelli.  La  di- 
mora del  Sodoma  in  Lombardia  non  durò  oltre  il  1524.  Il  Vasari  registra 
fra  le  sue  opere  una  bara  da  portar  morti,  che  gli  annotatori  fiorentini 
delle  Vite  dicono  incominciata  nel  1525,  per  la  Compagnia  della  Trinità 
di  Siena  e  che  sarebbe  quella,  secondo  alcuni,  che  si  conserva  tuttora 
nella  parrocchia  di  S.  Donato. 

Certo  è  che  nel  1525  il  Bazzi  fece  ritorno  in  Siena,  perchè  il  3  di 
maggio  di  quell'anno  la  Compagnia  di  S.  Sebastiano  in  Camollia  gli 
diede  a  dipingere  «  in  tela  e  olio  »  il  gonfalone  col  S.  Sebastiano  che 
si  ammira  nella  galleria  degli  Uffizi,  la  meravigliosa  figura  che  è  il  vero 
Apollo  dell'arte  cristiana,  come  fu  giustamente  notato.  In  S.  Domenico  di 
Siena  eseguì  poi  quegli  affreschi  di  S.  Caterina  che  soUevaron  sempre,  dn 
Annibale  Caracci  all'Ingres,  cosi  unanime  coro  di  lodi.  Rappresetano  lo 
svenimento  di  Santa  Caterina  dopo  le  stimmate,  l'estasi  della  santa  i 
la  decapitazione  di  un  reo,  l'anima  del  quale  vien  salvata  per  interces- 


BIBLIOGRAFIA 


427 


sione  di  lei.  Le  altre  pitture  della  cappella  son  d'altri.  Alcune  nuove 
pitture  il  fìazzi  vi  eseguì,  fra  cui  uno  stendardo  nella  sagrestia  descritto 
dal  Frizzoni,  che  restituì  al  pittore  anche  gli  affreschi  della  cappella  del 
Rosario.  Eseguì  poi  un'altra  bara  per  portar  morti,  oggi  divisa  in  quattro 
quadri,  nella  chiesa  de'  Santi  Giovanni  e  Gennaro. 

Nel  1527  s'era  condotto  a  Firenze,  e  il  Faccio  ascrive  a  quell'anno  i 
dipinti  del  refettorio  di  Monte  Olivete  fuori  porta  S.  Frediano.  Nel  1529 
era  di  nuovo  a  Siena  e  vi  eseguì  alcune  belle  figure  pel  palazzo  dei  Si- 
gnori, un  san  Vittorio  con  la  spada  alzata  e  san  t'Ausano  in  atto  di 
battezzare  i  neofiti,  poscia  fresco  la  cappella  di  S.  Jacopo  degli  Spa- 
gnoli da  assegnarsi,  sulla  guida  dei  documenti,  al  1530.  Fra  il  1530  e 
il  1535  condusse  altri  lavori  in  Siena  :  l'affresco  detto  la  Madonna  dei 
CaUolari,  sul  canto  presso  la  piazza  dei  Tolomei,  una  Natività  in  un 
tabernacolo  sovra  la  porta  dei  Pispini,  la  Pietà  sulla  casa  già  Bambagini, 
e  un'altra  Pietà  della  galleria  Borghese  a  Roma.  Verso  il  1532  completò 
i  dipinti  del  l'oratorio  di  San  Bernardino,  aggiungendovi  V  Assunzione 
iella  Vergine,  e  nel  1534  fresco  una  figura  del  beato  Bernardo  Tolomei 
nella  sala  delle  Balestre  nel  palazzo  pubblico  di  Siena.  Nel  1535  eseguì 
la  grande  J^  e  sur  r  esione  j  firmata,  ora  nella  R.  Pinacoteca  di  Napoli  e 
un'altra  Resurrezione,  ora  nel  gabinetto  del  Sindaco  di  Siena.  Né  l'attività 
fenomenale  del  pittore  finisce  qui.  Il  6  marzo  1537  la  Signoria  gli  commet- 
teva la  pittura  a  fresco  della  Cappella  dì  piazza  sotto  il  palazzo  pubblico, 
che  non  fini,  per  trasferirsi,  già  sessantenne,  a  Piombino  presso  quel 
signore  Giacomo  V  d'Appiano,  dove  lo  ritroviamo  nel  1538.  Un  ultimo 
lavoro  suo  a  Siena  è  la  Vergine  col  Bambino  e  i  santi  Giuseppe  e  Cal- 
listo, ora  nella  Cappella  di  Piazza.  Nel  1540  era  a  Volterra,  ove 
avrebbe  eseguito  per  Lorenzo  di  Galeotto  de'  Medici  la  caduta  di  t  e- 
ionie,  ora  perduto,  il  cui  progetto  potrebbe  esser  quello  che  si  vedf 
in  un  foglio  della  raccolta  degli  Ufiìzi,  benché  porti  il  nome  di  Baldas- 
sarre Peruzzi.  A  Volterra,  nella  chiesa  della  Compagnia  della  Croce, 
^i  dà  al  Sodoma  una  tavola  col  crocifisso  e  santi  e  un  bel  paesaggio  di 
fondo.  A  Volterra  lasciò  uno  scolaro,  il  celebre  Daniele  Ricciarelli,  e 
altri  due  quadri  d'ineguale  valore,  il  Cristo  morto  e  il  sacrificio  d' Abramo j 
ora  nella  cattedrale  di  Pisa;  in  questa  città  finì  pure  la  Vergine  in 
trono  con  vari  santi  nel  Museo  Civico. 

Lasciata  Pisa  per  Lucca  per  lavorarvi,  in  quest'ultima  città  si  osserva 
un  suo  Cristo  crocifero  alquanto  annerito.  Di  altre  sue  opere  e  altre  pe- 
regrinazioni non  si  hanno    prove,  chi  eccettui    una    salita  al  Calvario 
nella  sagrestia  di  S.  Giacomo  e  una  mediocre  Natività  della  Vergine 
nella  chiesa  del  Carmine,  nella  quale,  nonostante  i  tipi  dei  visi  muliebri 
ovali  e  dolci  caratteristici  del  Vercellese,  si  nota  un  notevole  convenzio- 
nalismo. Il  pittore,  che  aveva  dato  cosi  nobile  esempio  di  eccezionale  at- 
tività, si  spense  a  Siena  il  15  febbraio  del  1549.  Il  Faccio,  nel  suo  libro 
interessantissimo  e  steso  con  diligenza  grande  sulla  guida  dei  documenti 
e  della  critica  moderna,  finisce  ricordando  alcune  altre  opere  del  Ver- 
cellese, alle  quali  non  è  possibile  per  ora  trovare  un  posto  determinato 
nella  cronologia  dei  suoi  dipimi.  L'ultimo  capitolo  è  dedicato  ai  costumi 


428  BIBLIOGRAFIA 

e  al  nomignolo,  che  sembra  immeritato,  del  maestro  ;  segue  un^appendice 
con  la  cronologia  della  vita  e  delle  opere  e  coi  documenti. 

Abbiamo  voluto  intrattenerci  un  pò*  diffusamente  sul  libro  del  Faccio, 
sia  perchè  l'argomento  che  tratta  si  riferisce  a  un  artista  che  soltanto  da 
poco  tempo  la  ciitica  moderna  ha  fatto  conoscerò  a  dovere,  sia  perchè 
il  nuovo  materiale  critico  e  storico  che  ne  forma  il  substrato,  permette  di 
conoscere  intimamente  e  in  tutta  la  sua  evoluzione  il  pittore  che  ha 
tanti  rapporti  con  la  scuola  di  Leonardo. 

Francesco  Malaguzzi. 


DAVIDSOHN  Robert.  —  Forschungen  sur  Geschichte  von  Florenz^  III  Th., 
13  und  14  Jahrhundert.  I,  Regesten  unedirter  Urkunden  zur  Geschi- 
chte von  Handel,  Gewerbe  und  Zunftwesen.  II,  Die  Schwarzen  und 
die  Weissen,  Berlin,  1901  ;  pp.  XVlII-339. 

La  storia  dell'industria  e  del  commercio  in  Italia  si  è  arricchita  d'un 
contributo  assai  notevole  coi  milletrecento  e  più  regesti  di  documenti, 
dal  1209  al  1330,  che  occupano  i  quattro  quinti  di  questo  volume.  Quan- 
tunque piuttosto  scarse  sian  le  notizie  riguardanti  Milano,  il  libro  merita 
da  parte  nostra  più  che  un  semplice  appunto,  perchè  è  tale  da  offrire 
una  miniera  ricchissima  di  ragguagli  e  di  raffronti  anche  a  chi  voglia 
trattare  argomenti  di  storia  commerciale  ristretti  alla  Lombardia.  Co- 
mincierò  coiracccnnare  ai  regesti  che  più  direttamente  ci  interessano. 
Un  d'essi  (anno  1273,  num.  83)  ci  rivela  un  credito  di  società  fiorentina 
verso  il  Capitolo  del  clero  milanese;  un  altro  (1278  n.  88)  accenna  alla 
iniziativa  di  otto  mercanti  di  Asti  per  strìngere  un  accordo  con  quelli  di 
'Roma,  Genova,  Siena,  Lucca,  Pistoia,  Milano,  allo  scopo  di  trattare 
col  Re  di  Francia  pei  loro  commerci  a  Nimes;  accordo  che  sortì  buon 
esito  e  riuscì  a  concretare  il  trattato  con  Filippo  il  Bello,  registrato  nel 
lÀber  jurium  genovese,  (//.  P,  M.y  I,  1451)  ;  un  terzo  è  la  ricevuta  fatta 
da  un  fiorentino,  nelle  case  degli  Agliate,  a  Guglielmo  Catelano,  con- 
nestabile  del  comune  di  Milano,  per  una  somma  dovutagli  da  certi  pro- 
venzali (1292,  n.172)  ;  a  questo  si  connette' l'incarico  dato  dal  medesimo 
(tuglielmo  a  due  fiorentini  di  stringere  un  trattato  di  servizio  col  co- 
mune di  Bologna  per  le  truppe  assoldate  sotto  la  sua  costableria  (do- 
cumento che  lascia  intravvedere  qualche  cosa  di  interessante  e  merite- 
rebbe d'esser  letto  nell'originale;  1292,  n.  172),  come  pure  alcuni  altri  ove 
un  troppo  fugace  accenno  ci  segnala  la  presenza  abituale  di  fiorentini 
nt  ircbcrcito  del  nostro  comune  :  siamo  agli  inizi  delle  milizie  merce- 
narie. Altrove  troviamo  la  nomina  di  due  milanesi,  fatta  nel  Consiglio 
dei  trecento  in  Firenze,  per  rappresentare,  insieme  con  un  fiorentino,  il 
comune  in  un  processo  intentatogli  da  un  Giovannino  de  Summo,  mer- 
cante di  Milano,  da\*anti  a  Matteo  Visconti,  Vicario  Imperiale,  a  Ga- 
K^azto  V*i>contì,  Capitano  del  Popolo,  e  al  Podestà,  per  danni  di  quasi 
tremila  fiorini  incontrati  in  Firenze  (1301,  n.  374). 


BIBLIOGRAFIA  429 

Alle  famose  banche  fiorentine  affidavano  i  pontefici  i  proventi  delle 
decime;  cosi  Tarcivescovo  di  Milano  sborsa  diecimila  settecento  trentadur 
fiorini  d'oro  al  procuratore  della  ditta  dei  Bardi  (1302  n.  426)  e  un'altra 
grossa  somma  nel  1310  a  quello  degli  Scali  (735). 

Infine  \m  bel  documentino  accennante  alla  vendita  di  nove  ball<' 
d'acciaio  fatta  da  un  milanese  e  da  un  comasco  a  Firenze  (13 io,  589)  ci 
prova  l'esportazione  da  Milano  di  questo  metallo,  così  ricercato  nelle  in- 
dustrie delle  armi  d'allora,  che,  come  già  ebbe  a  dimostrare  lo  Schultc, 
si  preparava  nelle  nostre  fucine  (i). 

Tre  dei  regesti  riguardan  direttamente  i  Visconti.  Nel  primo  (i3o<^^ 
n.  496)  Beatrice  estense,  moglie  di  Galeazzo,  nomina  tre  membri  della 
società  commerciale  fiorentina  degli  Acciaiuoli  suoi  procuratori  per  riti- 
rare dalle  ditte  Spini,  Peruzzi,  Acciaiuoli  e  Pazzi,  il  donum  (interesse) 
che  le  spetta  pel  danaro  affidato  a  quelle  società  ;  nel  secondo  l'Ufficiai» • 
della  Mercanzia  di  Firenze  dichiara  al  podestà  di  Piacenza  di  esser 
pronto  ad  assistere  la  medesima  Beatrice  per  le  riscossioni  di  una  somma 
affidata  alla  società  dei  Pazzi  (1319  n.  718)  ;  il  terzo  infine  ci  dà  un  bel- 
l'esempio di  rappresaglia  medievale  :  undici  fiorentini  avvisano  da  Pia- 
cenza l'ufficiale  della  Mercanzia  della  loro  città,  di  essere  stati,  durant* 
il  loro  viaggio  per  Milano,  incarcerati  per  ordine  di  Galeazzo  Visconti  o 
messi  ai  ferri,  a  causa  del  credito  di  Beatrice  verso  la  società  dei 
Pazzi  ;  dichiarano  essere  il  principe  adiratissimo,  perchè  da  quindici  anni 
non  siagli  riuscito  né  di  ritirare  una  somma  di  cinquemila  fiorini  né  di 
avere  alcuna  soddisfazione,  e  volerli  mantener  prigioni  fino  a  che  non 
abbia  conseguito  la  restituzione  del  denaro  ;  i  poveretti  pregano  di  prov- 
vedere   (1319  n.  719). 

Null'altro  che  interessi  direttamente  Milano.  Ma,  ripeto,  non  pos- 
siamo dispensarci  dall'acce nnare,  sia  pur  brevemente,  agli  altri  materiali 
contenuti  in  questo  utilissimo  libro. 

Numerosi  regesti  illustrano  il  commercio  dei  fiorentini  nelle  fiero 
della  Sciampagna,  della  Provenza  e  della  Fiandra,  le  loro  relazioni  con 
tutti  i  principali  mercati  dell'oriente  e  dell'occidente,  le  principali  case 
di  commercio  toscane,  che  avvolgevano  in  una  rete  d'affari  l'Europa  in- 
tera: gli  Acciajuoli,  i  Bardi,  i  Cerchi,  i  Frescobaldi,  i  Granfigliazzi,  i 
Moazi,  i  Nerli,  i  Peruzzi,  i  Puci,  gli  Scali,  gli  Spini,  gli  Strozzi,  i  Vil- 
lani e  cent'altri.  Il  cerchio  degli  affari  delle  banche  fiorentine,  che  lo 
Schulte  (I,  231  sgg.)  aveva  così  ben  delineato,  mettendo  in  luce  special- 
mente i  cospicui  e  frequenti  prestiti  all'alto  clero  tedesco,  si  allarga  ora 
di  molto,  e  si  può  dire  che  la  maggior  parte  dei  capitali  d'Europa  pass;t- 
van  per  le  loro  mani.  La  merceologia  occidentale,  già  dallo  Schulte  me- 
desimo con  abbondanza  di  particolari  illustrata,  trova  qui  nuove. ed  am- 
pie conferme.  La  immensa  esportazione  dei  grani,  dai  porti  del  regno 
di  Napoli,  per  opera  dei  fiorentini,  testimoniata  da  un  numeroso  gruppo 

(1)  Geschichte  des  miiielalterlichen  Handels  und  Verkehrs  Bwischen 
\^estd€uUchlani  und  Italien,  Leipzig,  1900,  I.  695. 


430  BIBLIOLRAFIA 

di  regesti,  è,  direi,  una  rivelazione.  —  Tra  le  tariffe  doganali  del  tre- 
cento in  Italia  era  fino  ad  ora  la  più  completa  la  nostra,  compresa  negli 
statuti  del  1396;  ma  ora  essa  trova  due  valide  concorrenti,  alle  quali 
l'età  maggiore  accresce  autorità,  in  quella  del  1306,  che  ci  indica  gli  og- 
getti di  importazione  ed  esportazione  tra  Firenze  e  Genova  (panni  di 
Milano  e  di  Como  e  tele  di  Lombardia,  fra  gli  altri)  (n.  517)  e  in  quella 
del  1320  pel  traffico  tra  Firenze  e  Bologna  (n.  730)  ;  la  milanese  tuttavia 
resta  sempre  la  più  interessante,  perchè,  intesa  a  determinare  un  dazio 
del  cinque  per  cento  sul  valore  della  merce,  ci  dà  il  prezzo  effettivo  di 
tutte  le  mercanzie  registrate. 

Un  altro  manipolo  di  documenti  riguarda  i  mestieri  :  alcuni  ci  ri- 
velano in  Firenze,  già  nel  XIII  secolo,  una  florida  industria  delle  armi 
(corazze,  ccrvelliere,  lancie,  gorgiere,  freni,  sproni)  in  concorrenza  con 
quella  di  Milano  ;  altri  ci  danno  interessanti  esempi  di  società  industriali, 
che  vengono  opportunamente  ad  aggiungersi  ai  materiali  studiati  da 
Max  Weber  (1)  ;  altri  sono  instruìnenta  fosturae,  cioè  contratti  per 
Vapprrntissage,  tra  garzoni  e  maestri  nclTindubtrie  tessili,  e  illustrano 
i  rapporti  tra  le  varie  classi  operaie  nonché  il  lavoro  delle  donne  e  dei 
fanciulli  ;  materiali  preziosi  senza  dubbio,  ma  non  affatto  ignorati  fino  ad 
ora,  come  mi  sembra  credere  il  Davids'^hn,  giacché,  almeno  per  quanto 
riguarda  l'industria  della  seta,  abbiamo  su  questo  importantissimo  argo- 
mento bclJe  pagine  del  Sieveking  e  del  Broglio  d'Ajano,  nella  invidia- 
bile raccoha  dello  Schmoller  (2)  e  in  quella  del  Brentano  (3)  ;  documenti 
simili  ho  fra  mano  anch'io,  e  vedran  la  luce  in  una  memoriuccia  sul- 
l'industria della  seta  in  Milano  nel  quattrocento. 

Altri  regesti  infine  concernono  le  corporazioni  d'arti  e  mestieri;  al- 
cuni le  mostrano  nell'esercizio  delle  loro  funzioni  politiche,  cosi  prepon- 
deranti in  Firenze,  altri,  più  interessanti  per  noi,  in  quello  dell'arte 
loro.  La  letteratura  delle  corporazioni  italiane  è  abbastanza  ricca  per  nu- 
mero di  memorie,  ma  lascia  ancor  molto  a  desiderare  per  la  qualità.  Si 
tratta  per  lo  più  di  studiosi  locali  che  si  limitano  all'esame  o,  meglio, 
al  riassunto  degli  statuti  delle  varie  Arti;  e  siccome  quegli  statuti  in 
gran  parte  si  assomigliano  tutti,  le  numerose  memorie  che  li  riguardano 
ripeton  quasi  sempre  le  medesime  cose,  e,  prese  insieme  e  sfrondate 
dalle  ripetizioni,  riescono  a  dare  un  contributo  assai  meno  importante 
di  quello  che  sulle  prime  parrebbe.  Pi^cemi  tuttavia  notare  come  non 
sian  da  porre  fra  questi  i  lavori  del  Gaudenzi,  il  quale  delle  corporazioni 
studia  con  grande  acume  l'intima  natura  e  le  differenze  sostanziali  che 


(i)  Zur  Geschichte  der  Handelsgesellschaften  im  Mittelalier  nach 
sudeuropàischen  quelUn,  Wien,  1889. 

^2)  Sieveking,  Die  Genueser  Seidenindu strie  in  75  und  16  Jàhr- 
hundert,  in  fahrbuch  fùr  Gesetsgebung  Verwaltung  und  Volkswirtsckaft 
in  Deuis.  Retch.,  di  G.  Schmoller.  Leip7ig,  1897. 

(3)  Broglio  d'Agliano,  Die  V enetianischer  Seidenindustrie  und  ihrc 
organisation  bis  sum  Ausgang  des  Mitielalters^  in  Mùnckener  Studien, 
1893. 


BIBLIOGRAFIA  431 

«nono  fra  regione  e  regione  (1),  del  Doren  (2),  del  Filippi  (3),  e  di  qual- 
che altro.  Nello  stato  in  che  si  trovano  oggi  gli  studi  sulle  università 
delle  Arti,  i  regesti  del  Davidsohn  tornano  utilissimi,  dacché  ci  forni- 
scono notizie  che  escono  dal  solito  campo  degli  statuti  per  portarci  in 
quello  dove  si  esplicava  praticamente  l'attività  di  quei  sodalizi  che  rias- 
sumono la  vera  storia  del  popolo  italiano.  Son  nomine  di  commissari 
per  trattar  questioni  di  pedaggi,  di  rappresentanti  per  compiere  determi- 
nate operazioni  e  contratti  (n.  1185),  modificazioni  di  rapporti  tra  maestri, 
compagni  e  discepoli,  operazioni  finanziarie  e  prestiti  al  comune,  con- 
Feozioni  per  Timportazione  e  la  vendita  del  sale,  giuramenti  di  sensali, 
banchieri  e  cambisti,  controversie  tra  arte  e  arte,  giudizi  e  condanne 
contro  membri  colpevoli,  contro  falliti  e  fugUiviy  contestazioni  e  delibe- 
razioni su  questioni  tecniche,  petizioni  di  vario  argomento  ai  consigli 
del  comune,  regole  intomo  alle  rappresaglie  e  così  via  discorrendo. 

Ciascun  vede  che,  pur  trattandosi  di  documenti  per  la  maggior  parte 
fiorentini,  il  loro  interesse  è  assai  più  che  regionale,  dacché  si  riferi- 
scono a  fatti  e  costumanze  che,  mutatis  mutandis,  nell'età  aurea  della 
vita  comunale,  erano  o  diventavano  generali. 

Ettore  Verga. 

(i)  Le  società  delle  Arti  in  Bologna  nel  sec.  Xlll^  i  loro  Statuti  e 
Matricole,  in  Bollett.  dell  Istituto  storico  italiano^  21. 

(2)  Entwickelung  und  or^anisation  der  Florentiner  Ziinfle^  in  /j 
^nà  14.  jahrh.j  in  Stanis  und  socialtuissenschaftl,  Forschungen^  XV. 

(3)  Lo  Statuto  delVarte  di  C alimala  del  1301,  Torino,  Bocca,  1889. 


BOLLETriNO  DI  BIBLIOGRAFIA  STORICA  LOMBARDA 
(mano-giugno  i^oa) 


I  libri  MgDili  con  atteritco  perveanero  alla  Ubiiotcca  Sociale, 

AiRACHi.  —  Un  eroe  dimenticato.  Il  colonnello  Cesare  Airaghi.  —  Ri- 
vista Miniare  Italiana,  XLVI,  9,  1901. 

'  ALACEVIC  (G).  Due  documenti  del  conte  Vincenzo  Dandolo,  provvedi- 
tore generale  della  Dalmazia  (1838).  —  BjlUtlino  di  Arclieilogia  1 
Storia  Dalitiala.  XXIV,  &<),  1901. 

AMBROGIO  (S.|.  Consolazioni  in  morte  della  madre,  tratte  dalle  orazioni 
dette  da  S.  Ambrogio,  vescovo  di  Milano,  in  lode  del  suo  fratello, 
volte  in  italiano  dal  sac.  Tomaso  Chiuso.  Torino,  tip.  Baravalle  &  Fal- 
conieri, 1902,  in-34,  pp.  148. 

ANNONI  (Ambrogio).  Corrieri  artistici:  Afiori  (Milano)  [Oratorio  diS.  Mam- 
mete].  —  Rassegna  d'arte,  aprile  1902. 

*  AiiuariO  della  Nobiltà  lliUiua.  Anno  XXIV,  1902.  In-a^.  Bari,  Direzione 
del  Giornale  Araldico. 

V Annuario  1903,  non  meno  copioso  di  materia  dei  volumi  precedenti, 
è  ami  questa  volta  di  molto  arrtccliito.  Infatti  le  famiglie  per  la  prìnu 
volta  inserite  in  questa  eiitione  sono  ben  ili;  di  esse  i;  appartengono 
alla  Lombardia  e  sono;  AnelU  (Milano-  Ot^ebbJo);  De  Baggio  (Bassano); 
Brtmbati  (B-rgaino);  Biisea  Arctnali  Visconti  (Milano);  Oirhontra  (Son- 
drio);  Q'cogna-Ma^iani  (Milano);   Canfalonierì    (Milano);   GaadotS  (Pavia); 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  433 

Mazzoleni.  Cronologia  dantesca.  —  MAjRom.  Bergamo  e  i  Ber- 
gamaschi. —  PiNETTi.  La  sanità  pubblica  in  Bergamo.  —  Mazzoleni. 
La  compassione  in  Omero.  —  Locatelli.  Marco  Alessandri.  —  Maz- 
zoleni. «  Amor  che  a  nullo  amato  amor  perdona,  n  —  Piccionl  Ac- 
cademia ed  accademici  cesenati. 

Atti  M  Gran  Consiglio  del  Cantone  Ticino.  I.  volume.  Sessioni  ordinarie  e 
straordinarie  dal  r8o3  al  1806.  Bellinzona,  tip.  Cantonale,  1902,  in-8, 
pp.  C748. 

BARBIERA  (Raffaello).  La  Princif>essa  Belgiojoso.  I  suoi  amici  e  nemici 
—  il  SUO  tempK>.  Da  memorie  mondane  inedite  o  rare  e  da  archivii 
segreti  di  stato.  Afilano,  Treves,  1902,  in-8,  pp.  450  e  ritratto. 

I.  In  casa  Trivulzio  e  in  casa  Visconti  d'Aragona.  —  IL  I  Belgìoioso. 
Nozze,  separazione  e  fuga  della  Principessa.  —  III.  La  Principessa  e  la 
t  Giovine  Italia.  »  —  IV.  Un  traditore.  —  V.  Processi  contro  i  Belgioioso, 
Cospiratrici  belle.  —  VI.  Gli  esuli  italiani  e  il  salotto  della  Principessa  a 
Parigi.  —  VII.  I  filosoli  intomo  alla  Dea.  —  Vili.  Alfredo  de  Musset  ed 
Enrico  Heine.  —  IX.  Il  dolce  signore....  Il  cieco  Thierry.  —  X.  Una  folla 
d'immortali.  —  XI  Le  amiche  e  le  nemiche  di  Parigi.  —  XII.  La  fuga  e 
le  passioni  della  Duchessa  de  Plaisance.  —  XIII.  La  Principessa  pubblicista  e 
benefattrice  dei  contadini.  Suo  incontro  con  Luigi  Napoleone.  —  XIV.  La 
rivoluzione  del  1848.  Il  battaglione  della  Principessa.  —  XV.  Ancora  nel 
1848:  a  Milano,  a  Venezia,  a  Parigi.  —  XVI.  Nel  1849.  La  Principessa  al- 
l'assedio di  Roma.  —  XVII.  La  Belgioioso  in  Oriente  e  gli  arem.  — 
XVIII.  Ritorno  in  Francia  e  in  Italia.  —  XIX.  I  salotti  di  Torino.  Alla  vi- 
gilia della  guerra  del  1859.  —  XX.  Dopo  la  battagUa  di  Magenta.  —  XXI.  A 
Blevio  sul  lago  di  Como.  —  XXII.  Gli  ultimi  anni  a  Milano,  [v.  Comandim], 

BASS  (Alfr.).  Deutsche  Sprachinseln  in  Sùdtirol  und  Oberitalien.  Leipzig, 
Lucius,  1901,  in-8.  pp.  v-104  ^  ^^' 

Isole  linguistiche  tedesche  nel  Tìrolo  meridionale  e  nell'Alta  Italia. 

BASSERMANN  (Alfredo).  Orme  di  Dante  in  Italia.  Opperà  tradotta  sulla 
seconda  edizione  tedesca  da  Elgidio  Gorra.  Bologna^  ditta  Nicola 
Zanichelli,  1902,  in-i6. 

IO.  Italia  Settentrionale. 

BECKiANM  (GusT.).  Deutsche  Reichstagsakten  XII.  (Un ter  Kaiser  Sig- 
mund) I.  (1435-1437).  Gotha,  Perthes,  1901,  in-4,   pp.  LXvm-351. 

'  BELLEZZA  Paolo).  Quale  stima  il  Manzoni  facesse  di  Dante.  —  Gior- 
nale Styrico  della  Letteratura  Italiana,  fase.  116-117,  1902. 

'  BELTRAMI  (Luca).  Gli  avanzi  della  Basilica  di  S.  Maria  in  Aurona  a  Mi- 
lano. Rilievi  e  note  del  prof.  Gaetano  Landriani.  Testo  dell'archi- 
tetto Luca  Beltrami,  con  prefazione  del  prof.  Femand  De  Dartein 
(50  illustrazioni).  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1902,  in-4  grande,  pp.  45. 


y 


434  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

BELTRAMI  (Luca).  La  casa  dei  Missaglia  in  Milano.  —  Rivista  \mo€Uma 
poliiica  e  letteraria  di  Roma,  febbraio  1902. 

—  Gli  avanzi  nella  Basilica  di  S.  Maria  in  Aurona  disegnati  dall'archi- 

tetto Gaetano  Landriani  e  conservati  nel  Museo  del  Castello  di  Milano. 
—  Rassegna  d'arte,  aprile  1902. 

—  Leonardo  da  Vinci  e  la  sala  delle  "  Asse  »   nel  Castello  di  Milano. 

Milano,  Allegretti,  MCMII,  in-4  ili.,  pp.  70. 

Cfr.  i  cenni  bibliografici  in  questo  Archivio. 

*  —  A  proposito  degli  aftreschi  di  Bramante  da  Urbino  nella  Casa  dei 

Panigarola  ora  nella  Pinacoteca  di  Brera.  —  La  Perseveranza, 
17  marzo  1902. 

—  Il  Romanzo  di  Leonardo  da  Vinci  [del  Merejkowsky].  —  Alla  Basi- 

lica di  S.  Ambrogio  [lapide  deirarch.  Landriani].  —  Un'opera  igno- 
rata di  Leonardo  da  Vinci.  La  sala  delle  «  Asse  »  nel  Castello  di 
Milano.  —  Corriere  della  Sera.  nn.  67,  109,  127,  1902. 

*  —  Le  decorazioni  pittoriche  della  Cappella  Grifo  nuovamente  tornate 

in  luce.  —  La  Perseveranza,  28  maggio  1902. 

BENADDUCI  (Giovanni).  Contributo  alla  Bibliografia  di  Francesco  Filelfo. 
(Estratto  dal  voi.  I  degli  Atti  e  Me  Norie  della  R.  Deputazione  di 
storia  patria  per  le  Marche).  Tolentino,  tip.  F.  Filelfo,  1902,  in-4, 
pp.  78. 

Parte  I.  Opere.  A,  Manoscritti.  B,  Edizioni.  (Epistole  latine,  Epistole 
latine  scelte,  Formulari  di  epistole  latine  e  volgari,  Epistole  volgari.  Ora- 
zioni latine,  Orazioni  volgari.  Prose  varie.  Poesie  latine,  Poesie  greche, 
Poesie  volgari,  Commento  al  Canioniere  del  Petrarca,  Versioni  dal  greco. 
Opere  del  Filelfo  non  rinvenute  finora  o  a  lui  attribuite  erroneamente;  Al- 
cuni codici  greci  raccolti  dal  Filelfo  e  conservati  nella  Laurenziana  di  Fi- 
renze, descrìtti  dal  Bandini;  Codici  greci  portati  in  Italia  dal  Filelfo  re- 
duce da  Costantinopoli).  —  Parte  II.  Scritti  sulla  vita  d^l  Filelfo  e  in- 
torno alle  opere  sue, 

BENELLI  (Zulia).  Epigoni  Foscoliani.  Lettere  di  Giulio  Foscolo  e  della 
Quirina  Maggiotti.  —  Rivista  delle  Bibliotec  ie,  a.  XIII,  voi.  XIII, 
n.  1-2  (cont.), 

BERCHET  (Giovanni).  Due  articoli  sul  Tiraboschi  e  sul  Roscoe,  ripub- 
blicati da  Guido  Mazzoni.  Firenze,  tip.  G.  Barbèra,  1902,  in-i6,  pp. 


Sono  estratti  dal  Conciliatore  tu  26,  20  novembre  i8i8e  n.  35,24  di- 
cembre 18 18. 

Bergamo.  —  V.  Annuario,  Atti,  Bercìiei,  De  Bart/tolomaeis,  Galletti,  Mas- 
zoleni.  Savio,  Serassi,  Tasso,  Zdekauer. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  435 

*  BERTHELOT.  Les  manuscrits   de  Léonard   de  Vipci  et  les  machines  de 
guerre.  ^Journal  des  Savants,  febbrajo  1902. 

BESTA  (prof.  Enrico).  Per  la  determinazione  dell'età  e  della  patria  della 
così  detta  Lex  Romana  Rhaetica  Curiensis.  Torino,  Bocca,  1901. 

Monografìa  diretta  a  confutare  gli  argomenti  addotti  dal  dott.  Zanetti  a 
favore  dell'origine  rctica  della  legge. 

BIANCHINI  (D.)-  Lettere  inedite  di  Ugo  Foscolo.   —  Medusa,  I,  n.  3  e  4. 

BIANCHINI  (G.)  IppK)lito  Nievo  a   Verona.   —    Fanfulla   della   Domenica, 
n.  12,  1902. 

Bibliotheca  hagiographica  latina  antiquae  et   mediae   aetatis.    Bruxelles, 
i89B-i90i.  Due  voi.  in-8,  pp.  xxxv-1387. 

I  pp.  Bollandisti  hanno  condotto  a  termine  questo  vasto  repertorio  agio- 
grafico che  contiene  in  n.  90^1  titoU  la  recensione  di  tutti  gli  scritti  d'ngio- 
grada  composti  in  latino  prima  del  1501.  Ricco  il  materiale  per  TAlia  Italia. 

Bmiothèque  de  Bibliographles  crltiques.  I.«r  volume.  In-8,  Paris,  A.  Picard. 

Contiene,  tra  altre  bibliografie,  quella  di  Alfredo  Lkroux:  Conflits 
entre  la  Fratice  et  l'Empire  pendant  le  moyen  Age  (p.  73).  Nel  V  capitolo, 
le  Confiit  en  Italie, 

BIFFI  (dott  Serafino).  Opere  complete.  Milano,  U.  Hoepli,  1901,  in-8,  cin- 
que volumi  con  ritratto. 

BOBE  (W.).  Ein  Meisterwerk  des  Sperandio  im  South  Kensington-Museum 
zu  London.  —  Zeitschrift  fur  hildende  Kunst,  gennajo  1902. 

Un  capolavoro  di  Sperandio  nel  Museo  South  Kensington  di  Londra. 

"  BtIiettiBO  della  Società  Pavese  di  storia  patria.  Anno  II,  fase.  MI.  Pavia, 
Fusi,  1902. 

Damiani  (Andrea).  La  giurisdizione  dei  Consoli  del  Collegio  dei 
Mercanti  in  Pavia  [Introduzione.  Appunti  bibliografici  sugli  Statuti 
citati.  —  Parte  I.  La  Mercanzia  (i.  Cenni  storici  sull'origine  e  sullo 
scioglimento  della  Mercanzia  in  Pavia.  2.  Costituzione  della  Mer- 
canzia). —  Parte  II.  I.  Consoli  (i.  Norme  che  concernono  i  Consoli. 
--  La  parte  III  ed  ultima  al  prossimo  fascicoh],  —  Mariani  (M.).  Per 
la  storia  della  zecca  pavese.  Ricerche  e  documenti  [documenti  dal 
1451  al  1457,  che  autorizzano  a  supporre  che  la  vita  della  zecca 
siasi  spinta  fors'anco  al  di  là  del  1457].  —  Majocchi  (R.).  L'  intro- 
duzione della  stampa  a  Pavia  [Dai  nuovi  documenti  pubblicati  qui 
dal  M.  appare,  che  tutto  quanto  si  è  detto  circa  1*  introduzione  della 
tipografia  in  Pavia,  anteriormente  al  1472  non  ha  fondamento  :  il 
contratto  per  la  stampa  della  Practica  del  medico  Ferrari  fu  stipu- 


436  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

lato  la  prima  volta  ai  4  gennaio  del  1472,  e  ricorrendo  ad  un  tipo- 
grafo di  Milano,  il  noto  FilipfK)  di  Lavagna.  Il  primo  introduttore 
della  tipografìa  in  Pavia,  non  è  il  Ferrari,  ma  Manfredo  Giiarguaglia 
medico  e  professore  come  lui.  Il  primo  tipografo  è  un  Giovanni  da 
Sedriano,  allievo  ancora  del  Lavagna,  che  s' impiantò  in  Pavia  una 
tif>ografia  alla  fine  dell'ottobre  1472,  della  quale  però  non  si  cono- 
scono sinora  le  produzioni.  I  libri  che  si  danno  per  stampati  in 
Pavia  prima  del  1475,  non  presentano  garanzia  alcuna  che  renda 
certa  la  data  della  loro  origine,  hanno  invece  contro  di  sé  forti  argo- 
menti che  li  dimostrano  usciti  alla  luce  parecchi  anni  di  poi].  — 
Rasi  (P.).  Dell'arte  metrica  di  Magno  Felice  Ennodio  vescovo  di 
Pavia.  —  Peroni  (Baldo).  L'assedio  di  Pavia  nel  1655.  [II.  Le  ope- 
razioni militari.  III.  La  vita  cittadina.  IV.  Conclusione].  —  Salvioni 
(Carlo).  Dell'antico  dialetto  pavese  [tre  testi  dei  secoli  XIV  e  XV, 
il  cui  contenuto  idiomatico  serve  a  gettare  luce  sul  dialetto  di  Pavia 
in  quel  giro  di  tempo,  conservati  nelle  Biblioteche  Universitaria  e 
del  conte  Cavagna-Sangiuliani  in  Pavia  ed  alla  Zelada.  Annotazioni 
fonetiche  e  morfologiche.  Saggi  dell'antico  parlare  pavese.  (Saggio 
del  Crisostomo,  della  Leggenda  di  S.  Maria  Elgiziaca.  Il  sonetto  di 
Lancino  Curzio.  Il  testo  del  Lampugnani)].  —  Quinta  valle  (Fer- 
ruccio). L'ingresso  del  duca  Alessandro  de*  Medici  nella  lega  di 
Bologna,  secondo  i  documenti  dell'Archivio  notarile  di  Pavia  (1533)- 
—  Romano  (G.).  Le  due  nuove  epigrafi  in  S.  Salvatore  [critiche  al 
testo  delle  epigrafi  in  onore  di  Paolo  Diacono  e  della  regina  Ade- 
laide]. —  Pavesi  (U.).  Museo  pavese  del  Risorgimento  Italiano  [doni 
e  ricordi  varjj.  —  Recensioni  e  Bollettino  bibliografico.  —  Noiisif 
ed  appunti  :  Nuovi  documenti  per  la  storia  della  controversia  tra  il 
vescovo  di  Pavia  e  i  canonici  di  Piacenza  circa  le  decime  di  Por- 
t'Albera;  Teodelasio,  abbate  di  Bobbio,  e  Guido  vescovo  di  Pia- 
cenza; Torello  da  Strada,  pavese,  trovatore;  Mercanti  lombardi  in 
Puglia  nel  secolo  XV  :  Un  gentiluomo  pavese  giustiziato  a  Firenze 
nel  1597  ;  Un  nobile  pavese  prigioniero  dei  Turchi  ;  L'epitaflSo  di 
Sebastiano  Bassini.  —  Atti  d4la  Società  —  Recenti  pubblicazioni. 

*  Bollettino  Storico  della  Svizzera  Italiana.  Anno  XXIV,  1902,  n.  1*3.  Bei- 
iinzona,  C.  Colombi. 

Salvioni  (Carlo).  Noterelle  di  toponomastica  mesolcina.  —  Am- 
BROSOLi  (Solone).  Contrafiazione  bellinzonese  di  una  moneta  franco- 
italiana.  —  Viaggio  della  poetessa  Federica  Brun  nei  baliaggi  italiani 
(1795).  —  Vegezzi  (can.  P.).  Note  e  documenti  inediti  di  Stefano 
Franscini.  —  Il  testamento  dell'architetto  Domenico  Fontana.  —  Come 
erano  le  condizioni  del  commercio  di  Bellinzona  di  fronte  alla  Me- 
solcina negli  anni  1497-1498.  —  Tagliabue  (Emiuo).  Un  passaporto 
mesolcinese  del  1625.  —  Lettere  da  Roma  ai  Nunzi  pontifici  in  Svizzera 
negli  anni  160^1615.  —  Tgrriani  (ab.  Edoardo).  Catalogo  dei  docu- 
menti per  r  istoria  della  prefettura  di  Mendrisio  e  pieve  di  Balema 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  437 

dall'anno  15CX)  al  1800.  —  Varietà:  Il  castellano  di  Gnosca  nel  1356; 
Leventinesi  nelle  guerre  di  Lombardia;  Un  libro  donato  da  un 
Morosini  ;  Un  artista  di  Sonvico  a  Massa  Carrara  ;  Baciocchi  e 
Rainaldi  a  Brissago  ;  Schioppi  acquistati  in  Lugano  ;  Poesie  in  onore 
di  landf'ogti  bellizonesi  ;  Per  la  genealogia  degli  Orelli.  —  Cronaca. 
—  BolUHtno  Bibliograjico. 

[^     '  BONI  (sac.  dott  Giuseppe).  La  cappella  di  S.  Contardo  nella  chiesa   di 
BronL  Pavia,  tip.  fratelli  Fusi,  1902,  in-8,  pp.  16.  (Nozze  Boni-Saglio). 

Autore  del  disegno  della  cappella  fu  l'architetto  Bernardino  Lonati  (1547) 
die  il  B.  vuole  pavese.  Ai  Lonati  è  dovuta  la  bramantesca  chiesa  di  S.  Maria 
in  piazza  di  Busto  Arsizio. 

'  BONELLI  (G.).  I  nomi  degli  uccelli  nei  dialetti  lombardi.  (Estratto  dagli 
Studi  di  filohgia  romanza  pubbl.  da  E.  Monaci  e  C.  De  Lollis).  To- 
rino, E.  Loescher,  1902,  in-8,  pp.  100. 

BONNAFFE  (Edmond).  Etudes  sur  l'art  et  la  curiosité.  Paris,  Société  fran- 
^aise  d*éditions  d'arts,  1902,  in-8,  ili. 

Li  tuaggi«ìr  parte  degli  articoli  riuniti  in  questo  elegante  volume  com- 
parvero già  nella  Gaiette  dés  Beaux  Aris,  Notiamo  lo  studio  su  Sabba  da 
Castiglione. 

BOUYIER  (F.).  Bonaparte  en  Italie,  1796.  a.«  édition.  Paris,  Léop.  Ceri', 
1902,  in-8,  gr.,  pp.  xi-745. 

BORfMMIEO  (card.  Federico).  Vita  della  venerabile  serva  di  Dio  suor  Ca- 
terina Vannini  di  Siena.  Mjnza,  tip.  de*  Paolini,  1901.  in-i6,  pp.  205 
e  ritr.  [u  Collana  di  vite  di  santi  n  a.  LI,  disp.  306]. 

^teoA.  —  V.  Elenco f  Foà,  Hauche,  Lac,  Largajolli,  Manolesso,  Perini, 
fragni, 

BBINDLEN  (L).  Die  Opfer  des  Simplons  wahrend  der  letztcn  3  Jahrhun- 
derte.  —  Blàiter  aus  der  fVai/iser-Gesc/iithte,  VI  Jahrg.,  1901, 
Sion,  1902. 

Le  vittime  del  Sempione  durante  gli  ultimi  tre  secoli,  con  qualche  nome 
di  feriti  Italiani.  Agg.  nel  med.  fascicolo  dei  Blàtter  l'articolo,  interessante 
anche  l'Ossola,  di  R.  Roten:  Die  Expedition  nuch  Berisal  und  Beset^ung  des 
Simplons  durch  die  Oberwalliser  im  Marx  1814^  e  ancora  Jmesch  D,  Sagen 
àts  Simplon^ThaUs, 

MOSCHI  U  restauro  di  S.  Maria  deUa  Pace.   —  Atti  Collegio  degli  in- 
gegneri ed  architetti  in  Milano,  a.  XXXIV,  n.  3-4,  1901. 

MESONI  (prof.  E.).  Die  drei  Oberitaliànische  Seen.  Lugano,  sein  See  und 
seme  Verbindungslinien,  San  Salvatore-Generoso-Brunate-Como,  sein 


438  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

See.  —  Die  Brianza- Varese.  —  Die  Verbindungslinien  von  Mailand.  — 
Der  Langensee-Pallanza-Locamo.  BclHnznna,  Colombi,  1902,  in-i6. 
illustrato,  pp.  466-VI,  con  carte  panorami  ed  ili. 

BUCCI  (Eugenio).  [E.  B.  di  SANTAFIORA].  L'armata  del  Risorgimento:  saggi 
illustrati  di  monografie  storico- marinaresche.  Torino,  tip.  Roux  & 
Viarengo,  1902.  in-i6,  fig.,  pp.  71, 

BUSTICO  (C).  Alcune  lettere  inedite  di  N.  Tommaseo.  —  FanfuUa  delia 
Domenica,  n.  11,  1902. 

Otto  lettere,  talune  tratte  dalla  collezione  Vanbianchi  di  Milano. 

BUTTI  (Attilio).  Un  uomo  che  non  e*  è  nei  Promessi  Sposi.  —  Medusa  à\ 
Firenze,  a.  I,  2  marzo  1902. 

Il  padre  di  Lucia  non  è  mai  nominato  e  qui  s* indaga  perchè. 

CAEMMERER  (V.).  Magenta.  Der  Feldzug  von  1859  bis  zur  ersten  Entschei- 
dung.  In-8.  Berlin^  Mittler,  1902. 

CALMETTE  (Joseph).  La  Diplomatie  carolingienne,  du  traité  de  Verdun  à 
la  mort  de  Charles  le  Chauve,  843-877.  —  Bibliothèque  de  PÉcoU  des 
hautes  éiudeSy  fase.  135. 

In  appendice,  delle  quattro  dissertazioni,  l'una  è  consacrata  all'elezione  di 
Carlo  il  Calvo  a  re  d'Italia  ed  agli  atti  dell'assemblea  di  Pavia. 

*  Calvi.  —  Felice  Calvi.  Necrologia.   —    Bulleitino   Istituto   Storico  Ita- 

liano, n.  23,  1902. 

Agg.  i  cenni  necrologici  del  Calvi  e  del  Vignati  in  Riv,  Slor,  Itaì.^  1902. 
fase.  I,  136. 

'  CANTARELLI  (L.).  La  diocesi  italiciana  da  Diocleziano  alla  fine  dell'Im- 
pero d'Occidente.  —  Studi  e  Documenti  di  Storia  e  Diritto  di  Roma, 
XXII,  1-2,  1901. 

Premessa  un'accurata  classificazione  delle  fonti,  enumera  i  vicarii  italìae 
dal  320  al  599;  quindi  di  ciascuna  provincia  (Venetia  et  Histria,  ^Emilia  et 
Liguria,  Flaniinia  et  Picenum  Annonarium,  Alpes  Cottiae,  Retia  prima  et 
seconda)  raccoglie  notizie  e  dà  la  serie  degli  ufficiali. 

*  CARASSAI  (B.).  La  politica  religiosa  di  Costantino   il  Grande  e  la  pro- 

prietà della  chiesa.  —  Archivio  Società  Romana  di  Storia  Patria, 
XXIV,  1-2,  1901. 

Confuta  l'opinione  del  Seeck  sulla  inesistenza  dell'editto  di  Milano  del  31  ^ 

Catalogo  della  Biblioteca  Cattolica  circolante  SS.  Redentore  in  Cassano 
d'Adda.  Treviglio,  tip.  Messaggi,  1902,  in-i6,  p.  32. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  439 

'  Catalogo  metodico  degli  scritti  contenuti  nelle  pubblicazioni  periodiche 
italiane  e  straniere.  Parte  I  (Scritti  biografici  e  critici):  quarto  sup- 
plemento (Biblioteca  della  Camera  dei  Deputati).  Roma,  tip.  della 
Camera  dei  Deputati,  1902,  in-8  gr. 

CHECCHI  (E.)  &  D'OVIDIO  (F.).  Un'inavvertenza  del  Manzoni.  —  Fanfulla 
della  Domenica f  nn.  11- 12,  1902. 

CHULA  (sen.  Luigi).  Ancora  un  po'  più  di  luce  sugli  eventi  politici  e 
militari  dell'anno  1866.  Firenze,  G.  Barbèra,  1902,  in-8  pp.  X-675. 

Cfr.  Villari  (P),  Un  nuovo  libro  sugli  avvenimenti  politici  e  militari 
del  1866  in  Cernere  della  Scra^  n.  157,  1902. 

CNIATTONE  p.)-  Come  fu  accolta  la  «  Francesca  da  Rimini  »  di  Silvio 
Pellico.  —  Piccolo  Archivio  Storico  dell'antico  Marchesato  di  SaluazOy 
a.  I,  fase.  III-VI,  1902. 

La  tragedia  apparve  la  prima  volta  al  Teatro  Re  dì  Milano  il  18  agosto 
181 5  e  con  solenne  vittoria.  —  Pel  Peljico  agg.  le  memorie  edite  nel  me- 
desimo fascicolo  :  Gahotto  (F.).  Lettere  inedite  di  Silvio  Pellico  a  Carlo  Mu- 
letti; Rinieri  (J.).  Il  «  Cola  da  Rienzo  »,  la  «  prima  poesia  »  di  Silvio 
Pellico;  Chiattone  (D,),  Cimeli  Patriottici  (Un  gergo  di  setta?  La  carta  senza 
còlb  del  vecchio  Schiller). 

CHUOUET  (A.).  Stendhal-Beyle.  Paris,  Plon,  1902. 

Agg.  in  proposito:  D'Ancona  (A,).  Stendhal-Bcyle,  in  Giornale  d'Italia 
17  aprile  1902,  e  Lumbroso  (A,),  in  Rivista  storica  italiana,  fase.  2,  1902, 
pp.  207  scgg. 

CIANCiOSI  (A.).  T.  Grossi  notaio  ed  un  rogito  patriottico.  —  Rivista 
Abruzzese,  XVII,  2. 

*  CIPOLLA  (Carlo).  Note  bibliografiche  circa  l'odierna  condizione  degli 
studi  critici  sul  testo  delle  opere  di  Paolo  Diacono.  —  Miscellanea 
di  Storia   Vetìeia,  serie  2*  voi.  Vili.  Venezia,  1902. 

1.  Exposiro  in  Regulam  S.  Benedicti.  —  II.  Homiliae.  —  III.  Homiliarium. 

—  IV.  Collectio  Epistolarum  S.  Gregorii.  —  V.  Historia  Langobardorum. — 
VI.  Historia  Romana.  —  VII.  Gesta  Episcoporum  Mettensium.  —  Vili.  Vita 
S.  Gregorii  I.  —  IX.  Epitome  Sexti  Pompei  Pesti  de  Verborum  significatu. 

—  X.  Ars  Donati.  —  XI.  Carmina.  —  XII.  Epistolae.  —  XIII.  Scripta  vel 
dubia  vel  apocrypha.  (2.  Chronica  S,  Siri), 

'  —  Recensione  di  K.  Haase,  Die  Kònigskrónungen  in  Oberitalien  imd 
die  u  eiseme  »  Krone  (Strassburg,  1901).  —  Rivista  Storica  Italiana, 
aprile-giugno  1902,  pp.  146-150. 


440  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

Codogno.  —  a."  Supplemento  al  Catalogo  generale  1895  della  Biblioteca 
popolare  circolante  di  Codogno.  Codogno,  tip.  A.  G.  Cairo,  1901, 
in- 16,  pp.  24. 

Coilezione  Gnecchi.  Italìenische  MQnzen  11.  Abtheilung:  MQnzstfltten  Maccagno 
bis  Musso.  Mit  15  LìchtdrucktSLieìn.  Frank/urta.  M.,  Osterrieth,  1902 
(Auction  L.  &  L.  Hamburger,  mai  1902). 

Maccagno  (lav.  XII)  —  Mantova  (tav.  XIII,  XIV,  XV)  —  Mesocco 
(tav.  XVU)  —  Milano  (tav.  XVII-XXIII)  —  Mon^a  —  Musso  (tav.  XXVI). 

COMANDINI  (Alfredo).  L* Italia  nei  cento  anni  del  secolo  XIX,  giorno 
per  giorno  illustrata.  Dispense  27-31.  In- 16,  ili.  Mi/ano,  Antonio  Val- 
lardi,  1902  [cfr.  Archìvio  Storico  Lombardo.  II  1901  p.  422]. 

Queste  nuove  dispense  abbracciano  il  periodo  1829-18 n*  Dobbiamo 
ripetere  che  la  parte  illustrativa,  assai  bene  scelta,  è  riccamente  consa- 
crata alla  storia  milanese.  Anche  le  date  storiche,  vagliate  con  rigore,  of- 
frono un  contributo  copioso  alb  cronologia  lombarda  del  novecento. 

—  La  Belgiojoso  esule.  —  Gazzetta  di  Venezia,  n.  148,  31  maggio  1900. 

Manifestazione  del  giornale  VEsnle  verso  la  principessa  Belgiojoso,  in 
Parigi,  e  nelfa.  18^^.  Ne  risulta  quale  fosse  la  posizione  di  questa  donna, 
non  certamente  e  princesse  malheureuse  »,  ia  mezzo  agli  esuli  italiani  già 
nel  marzo  1833,  quando  la  spedizione  mazziniana  nella  Savoia  —  che  as- 
sorbì largo  sussidio  di  lei  —  era  ancora  di  là  da  venire;  e  vi  si  vede  la 
presentaz  one  pubblica,  ufficiale  di  lei  agli  esuli  italiani  ed  ai  liberali  fran- 
cesi come  simbolo  della  gentilezza,  della  intellettualità,  del  sentimento  ita- 
liano, confortati  dal  prestigio  del  nome  e  dal  fascino  della  misteriosa  bellezza. 

Como  e  Valtellina.  —  V,  Alacevic,  Annuario,  Barbiera,  Besfa,  Boi/eftino, 
storico,  Brusoni,  Cianciasi,  Collesione,  Croce,  Egger,  Foày  Hunziker, 
lUastrazijne,  le  klin.  Lettere,  yfario,  Aferoni,  Monti,  Plinio,  Ramsauer 
Rivista,  RosMi,  Rott,  Sa*if  Ambrogio,  Savio,     Valtellina,  Zwiedineck, 

COOK  (Th.  A.).  The  shell  of  Leonardo,  I-III.  —  Monthly  Review,  aprile- 
maggio  1902. 

Trattasi  del  da  Vinci?... 

CwreatL  —Colombo  (Giuseppe),  De  Cristofqris  4M  alachia)  e  Negri  (Gae- 
tano). Discorsi  per  T  inaugurazione  del  monumento  a  Cesare  Cor- 
renti in  Milano,  24  novembre  1901.  Mdan:*,  tip.  G.  Martinelli,  1901, 
in-8,  pp.  35  con  tavola. 

'  Crkmo.na,  —  Al  D.'  Carlo  Calzi,  prof,  di  filosofia  e  vicepreside  nel  R,  Li- 
ceiì  Manin  di  Cremona  (Necrologia).  —  Atti  L  R.  Accademia  degli 
Agitici  in  Rovereto,  serie  III,  voi  Vili,  fase.  I,  1902. 

~   V.  Uin.titì,  Maiaguzzi^  M  iim^  P.iscil,  Rotidolino,  Staffetti,  Wymann, 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  44I 

CROCE  (Silvio).  La  villa  de  Vertemate  Franchi  e  il  283.""*  anniversario 
della  sommersione  di  Piuro.  Chiavenna,  1901. 

CRUTWELL  (Maud).  Andrea  Mantegna.  Nfzv  York,  Macmillan,  [  1901,  in-12, 
pp.  132  e  ili. 

DE  BARTHOLOMAEIS  (V.)-  Un  frammento  bergamasco  e  ima  novella  del 
Decamerone.  Scritti  vari  di  filologia  a  Emesto  Monaci  per  l*a.  XXV 
del  suo  insegnamento  (Roma,  Forzani,  1901). 

*  DECIO  (dott  F.  Carlo).  Appmiti   storici   sulla   ospitalità   e   sulla  cura 

dei  tignosi  in  Milano  dal  XV  al  XIX  secolo.  (Estratto  dal  Giornale 
Italiano  delle  malattie  veneree  e  della  pelle,  fase.  I,  II  e  IV,  1901).  Mi- 
lano, tipografìa  degli  Operai,  1901,  in-8,  pp.  44  con  ili. 

DEL  LUNGO  (Carlo).  La  peste  nel  racconto  del  Manzoni  e  le  idee  di  un 
medico  lombardo.  —  Nuova  Antologia,  15  maggio  1902. 

11  «  Medico  Lombardo  »  è  Enrico  Acerbi  {1785-1827). 

DOLLMAYR  (H.).  Giulio  Romano  und  das  classische  Alterthum.  Wien, 
Tempsky,  1902,  in-4,  pp.  50. 

DONNEI.  Les  Lombards  à  Termonde  et  dans  quelques  villes  des  Pays- 
Bas.  —  Annales  du  Cercle  Archéologique  de  Termonde,  2."  serie,  t.  Vili. 

ORUMONT  (E.).  «  Napoléon  III  et  le  comte  Arese.  »  —  Casette  de  France, 
8  aprile  1902. 

DUC  de  CONEGUANO.  Le  maréchal  Moncey,  due  de  Conegliano,  1754- 1842. 
Paris,  Calraann-Levy,  i<x>2,  in-8  gr.,  pp.  626. 

Per  la  storia  nostra  sono  a  notarsi  le  pagine  che  riferiscono  documenti 
relativi  alle  campagne  del  1 800-1 801,  quando  il  MonGey,  passato  il  Gottardo 
col  suo  corpo  d^armata,  viene  a  formare  Pala  sinistra  dell^esercito  d'Italia  e 
riporta  successi  sul  Mincio  e  sull'Adige.  Così  pure  allorché  comandò  l'esercito 
di  occupazione  nella  Cisalpina  dal  marzo  al  luglio  1801. 

*  DUMOULIN  (Maurice).  Le  gouvemement  de  Théodoric  et  la  domination 

des  Ostrogo^s  en  Italie,  d'apres  les  oeuvres  d'Ennodius.  —  Revue 
Historique,  marzo-giugno  1902. 

I.  Comment  Théodoric  a-t-il  conquis  l'Italie?  —  II.  Nature  du  pou- 
voir  de  Théodoric.  —  III.  Théodoric  gouverne  à  la  romaine.  —  IV.  Sa 
cour.  —  V.  Les  fonctionnaires.  —  VI.  Théodoric  et  le  Sénat;  Le  Consulat. 
—  VII.  Le  gouveraemeat  de  Théodoric.  —  Vili.  Politique  religieuse  de 
Théodoric.  Conclusìon. 

E68ER  (I.).  Die  Barbareneinfalle  in  die  Provinz  Ratien  uncl  deren  Be- 
setzung  durch  Barbaren.  Wien,  Gerold,  1902,  in-8  gr.,  pp.  234. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXIV.  2q 


443  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

Elenco  storico  dei  viventi  patrizi  bresciani  e  le  loro  ascendenze  fino  a 
1796  con  appendice.  Brescia,  tip.  Centrale,  1902,  in-8,  pp.  «0-97. 

ERRERÀ  (P.).  Art  et  science  chez  Léonard  de  Vinci.  —  Revue  de  {'Uni- 
versili  de  Bruxelles,  VII,  a. 

ESSLINfi  (prince  d'}  &  MONTZ  (Euciène).  Pétrarque,  ses  études  d'art,  son 
iniluence  sur  les  artistes,  ses  portraits  et  ceiuc  de  Laure,  V  illustration 
de  ses  écrits.  Paris,  Gazette  des  Beaus  Arts,  1902,  in-4  gr.,  pp.  300, 
con  194  ili.  nel  testo  e  21  tavole  fuori  testo. 

Io  questa  splendida  pubblicazione  è  da  notarsi  la  tavola  che  riproduce 
il  frontespiiio  del  famoso  ms.  dì  Virgilio  colle  note  del  Servio,  miniato 
da  Simone  di  Martino,  ms.  che  dalla  Biblioteca  del  Petrarca,  è  entrato  dopo 
assai  vicissitudini  nell'Ambrosiana,  dopo  aver  pauato  pei  la  celebre  biblioteca 
dei  Visconti  in  Pavia.  Nel  cap.  I  è  detto  del  soggiorno  del  Petrarca  nel- 
l'Alta Italia  (IJ47-49  »  Mantova,  Ij5)-ij6i  3  Milano,  I}j4  suo  incontro 
coir  imperatore  Carlo  IV  a  Mantova,  i);8  viaggio  a  Bergamo,  1360  viaggio 
a  Parigi  come  ambasciatore  di  Galeazzo  Visconti  al  re  Giovanni,  i)6)  sog- 
giorno a  Pavia,  1364-1)68  soggiorno  ■  Padova,  Pavia,  Venezia,  Bolina  e 
Milano).  Tra  le  illustrazioni  nel  lesto  annoveransi  il  Regitole  e  la  veduta 
di  Pavia  tolte  dal  Guaita  e  dal  Mùnster. 

*  Études  sur  la  campagne  de  1799.  —  Revue  d'/iisloire,  redrgée  à  rÉtnh 
major  de  farmée,  HI'  année,  gennaio  e  febbraio  1902. 

Cfr.  il  cap.  VI,  il  generale  Jouberl  al  quartiere  generale  di  Milano, 
novembre  1798. 

'  FACCIO  (Cesare).  Giovan  Antonio  Bazzi  (II  Sodoma),  pittore  vercellese 
del  secolo  XVI.  yercelH,  Gallardi  &  Ugo,  1902,  in-8  gr.  ili,  pp.  236. 
I.  Le  origini.  —  II.  La  vita  e  le  opere  (1.'  periodo).  —  III.  Idem 
(%'  perìodo).  —  IV.  Idem  (j.*  periodo).  —  V.  I  costumi  e  il  nomignolo. 
—  Cronologia  della  vita  e  delle  opere.  —  Documenti,  —  Indice  sommario 
delb  vita  e  delle  opere.  —  Indice  delle  illustrazioni,  —  Indice  generale  del 
volume.  —  Cfr.  la  recensione  in  questo  fascicolo  itXV Archivio. 

FALCHI  (A).  Leonardo  musicista.  —  Rivisia  d'Ilalia.  V.  i. 

FALDELLA  (Giovanni).  La  biblioteca  Negroni  in  Novara,  inaugurandosi  il 
busto  del  suo  fondatore,  atldi  29  ottobre  1901.  Novara,  tip.  di  G,  Gaddi, 
1901,  in-4,  PP-  =^- 

'  FERRARI  (GiOSEi'i'E,  rrlalurr).  Contro  la  esclusione  del  nome  di  Re^io 
nell'Emilia  dalla  iscrizione  posta  sul  inoniimento  della  Lega  Lom- 
bar<la  eretto  in  Legnano.  Ahr/e/ia,  Vincenzi,  1902,  in-8.  («  R.  Depu- 
tazione di  storia  ])atria  jkt  le  pro\'incie  modenesi,  S«>ttosezìone  di 

Reggio   -). 


f 


BOLLETTINO  BmLIOGRAFICO  443 

FERfttÉRES-SAUVEBOEUF.  Lettres  sur  Tarmée  d*  Italie  (1799).  -  R€Vi4e  de 
Paris f  VII,  19,  1901. 

Art  Roe  pubblica  parecchie  lettere  di  questo  intrigante  mandato  dal  Tal- 
leyrand  a  Milano,  contemporaneamente  al  generale  Scherer,  per  sorv^liare 
Inazione  militare  e  riferirne  al  ministro  d^li  esteri,  quasi  controllo  all^ Am- 
basciatore Rivaud.  Sono  testimonianza  del  disordine  e  delle  disfatte  francesi 
dal  17  aprile  al  i  maggio  del  1799.  (Cfr.  Riv.  Stor,  Ital,  I,  1902,  p.  114). 

FOÀ  (Arturo).  {Ugo  Foscolo.  —  L'amore  in  Ugo  Foscolo.  —  Ugo  Fo- 
scolo e  il  pensiero  contemporaneo.  Torino,  C.  Clausen,  i<x>2,  in-i6, 
pp.  270. 

*  FOÀ  (Palmira).  I  concorsi  Bettoni  per  novelle  morali.  —  L'Ateneo  Ve- 

neh,  gennaio-febbraio  e  marzo-aprile,  1902. 

li,  Carlo  Bettoni  e  il  primo  concorso  per  novelle  morali.  —  III.  Sto- 
ria del  primo  concorso  e  accuse  mosse  ai  giudici.  —  IV.  Altri  concorsi 
Bettoni  per  novelli  morali.  —  V.  Francesco  Soave  e  Girolamo  Padovani. 

FOERSTER  (R.).  Die  Bilder  des  Studiolo  der  Isabella  Gonzaga  in  Mantua. 
—  Jahrbuch  dei  Musei  Prussiani,  XXII,  3. 

I  ritratti  dello  studiolo  di  Isabella  Gonzaga  in  Mantova. 
Foscolo.  —  V.  BenelH,  Bianchini,  Foà,  Levi,  Neri. 

*  FUMAGALLI  (Carlo).  Il  Castello  di  Milano  e  i  suoi  musei  d'arte.  Tavole 

sessanta  in  eliotipia.  Milano,  stab.  Montabone,  1902,  fol.  in  cartella. 

'  6AB0TT0  (F.).  Una  supplica  degli  uomini  di  Borgo  S.  Stefano  di  Ge- 
nova per  Prospero  da  Camogli  (io  maggio  1477).  —  Giornale  storico 
e  letterario  della  Liguria,  a.  Ili,  nn.  3-4  (1902). 

Supplica  a  favore  del  Camogli,  imprigionato  in  Milano,  indirizzata  alla 
duchessa  reggente  Bona  di  Savoja,  e  tolta  dall'Archivio  di  Stato  milanese. 

6ACH0T  (E.).  La  bataille  de  Vaprio.  —  Nouvelle  Revue,  i  aprile  1902. 

GALLETTI  (prof.  A.).  Le  teorie  drammatiche  e  la  tragedia  in  Italia  nel 
secolo  XVIII.  Parte  I  (1700-1750).  Cremona,  tip.  Fezzi,  1901,  in-8. 

6.  La  tragedia  e  le  teorie  tragiche  dal  1715  al  1735;  Pietro  di  Calepio 
e  il  suo  Paragone  della  poesia  tragica  d'Italia  con  quella  di  Francia. 

GEFFROY  (G.).  U  histoire  de  «  la  Cène  »  de  Léonard  de  Vinci.  —  Revue 
hebdomadaire,  1  marzo  1902. 

GELU  Oacopo).  Alcuni  celebrati  armajuoli  milanesi.  —  Emporium,  feb- 
braio 1902. 


444  BOLLETTINO  UIBLIOCRAFICO 

GERINI  (G.  B.).  Un  avventuriere  pedagogista:  Giuseppe  Corani.  —  Nuovo 
Risorgimento,  X.  3,  4,  5,  1900. 

6ER0LA  (dott.  Giuseppe).  Sull'orìgine  boema  del  Castelbarco.  —  Triden- 
him,  a.  IV,  1901,  fase,  VI. 

fiERSPACH.  Una  Crocifissione  del  Luini.  —  Empormm,  maggio  1902. 

GIOJA  (Melchiorre).  Teoria  civile  e  penale  del  divorzio,  ossia  necessità, 
cause,  nuova  maniera  d'organizzarlo  (opera  edita  nel  1803).  Palermo- 
Milano,  (R.  Sandron).  (Bellinzona,  tip.  E.  E,  Colombi  e  C.)  1903, 
in-i6,  pp.  XV-153  e  ritr.  [«  Biblioteca  rara  »  voi.  VI,  serie  politica]. 

6[iUUErn}  (C[ARLo]t.  Spigolature  storiche.  Montebello  nel  Vogherese  an- 
ticamente Oltre-Po  Pavese.  Terza  edizione  riordinata  con  aggiunte. 

CasUggio,  tip.  E.  Sparolazzi,  1902,  Ìn-8,  ili,  pp.  125. 

—  Spigolature  storiche.  Due  battaglie  combattute  nel  secolo  XIX  a  Mon- 
tebello nel  Vogherese  anticamente  Oltre-Po  Pavese.  Costeggio,  tipo- 
grafìa Sparolazzi,  1902,  in-8,  pp.  40. 

ESPENBERflER  (I.  N.).  BeitrSge  zur  Geschichte  der  Philosophie  des  Mìt- 
telalters.  Ili,  5.  Die  Philosophie  des  Petrus  Lombardus  und  ihre 
Stellung  im  zwOlften  Jahrhundert.  Mfmstrr,  Aschendorff,  1901,  in-6, 
pp.  X1-139.  [«  Beitrage  zur  Geschichte  der  Philosophie  des  Mtttel- 
alters  «,  5]. 

A^.  gli  artìcoli  di  Fr.  Bu«nger  sulla  dottrina  di  P.  Lombardo  sulla 
opera  di  Cristo,  ic  ZtiUehrìJt  far  wssinschaftlicbe  Thtohgie  XLV,  1903, 
fase.  I,  e  di  1.  Gotochick  sulla  dottrina  della  riconciliazione  nel  M.  Gvo,  da 
S.  Agostino  innanzi,  in  Ztitschrifl  far  KirebengtschicbU,  voi.  XXIII,  fase.  I. 

6REC0  (Errico).  L'Armida  del  Tasso.  Avellino,  tip.  Pergola,  1901,  in-d, 
PP-  15- 

■  GREPn  (conte  Giuseppe).  La  rivoluzione  francese  nel  carteggio  di  un 
osser%-atore  italiano  (Paolo  Greppi),  raccolto  e  ordinato  da  G.  Greppi. 
Volume  secondo.  Milano,  Ulrico  Hoepli,  1902,  in-16,  pp,  xu-348> 
con  ritratto. 

Ne  riparleremo.  [V.   Montieoh]. 

HAGENMEYER  (H.).  Epistulae  et  chartae  ad  historiam  primi  belli  Sacri 
speclantcs.  Die  Kreiizugs-Briefe  aus  den  Jahrcn  1088-1110.  litnsbruck, 
Wagner,  1901,  tn-8,  pp.  x-488. 

Agg.  del  med.  .\.  la  *  Chronologie  de  la  première  crotsade  (1094-1 100) 
in  Revue  di  ì'Oritnl  latin,  1.  Vili,  nn.   j-4,   1901  e  fast  -  Per  il  Rubrichi 

cfr.  la  recensione  in  qucst)  f.ticicolo  dt:\V.-trchini'. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 


445 


HAUCHE  (Ewald).  Am  Gardasee.  Skizzen  und  Carakterbilder,  2.'  edi- 
zione. Innsbruck,  Edlinger,   1901. 

Hlstoire  generale  du  IV  siede  à  noe  jours,  ouvrage  publié  sous  la  direction 
de  Ernest  Lavisse  et  Alfred  Rambaud.  T.  XI  :  Révolutions  et  Guerres 
nationaleSy  1848-1870.  Paris,  Colin,  s.  d.,  in-8;  pp.  1014. 

Le  rivoluzioni  dUtalia  sono  in  questo  volume  studiate  da  A,  Pingaud, 
Del  P.  è  pure  V  Italie  de  1810  à  1841  nel  voi.  X  della  medesima  storia  del 
Lavisse. 

HORNE  (H.).  Quelques  souvenirs  de  Sandro  Botticelli.  —  Reuue  archéolo- 
gigney  s.  Ili,  XXXIX,  1901. 

Un  documento  dell'archivio  di  Milano  che  sì  può  attribuire  al  1485-86, 
parla  di  prova  data  dal  Botticelli  insieme  a  Filippino,  Ghirlandaio  Domenico, 
dopo  i  freschi  della  Sistina,  nell'Ospedaletto  di  Lorenzo  il  Magnifico.  [Riv» 
Slor,  ItaL  I,  1902,  lOj], 

Nistorical  Atlae  of  modem  Europe,  fase.  28. 

Contiene,  tra  altre,  la  carta  dell'Italia  dal  11 67  al  1250,  a  cura  di 
miss  Lina  Echenslein. 

MOFFER  (H.).  La  correspondance  de  Souwarow  pendant  la  campagne  de 
1799.  —  Historiscìie  Vierteijahrschriftf  IV.  Jahrg  Heft,  III. 

HUN2IKER  (I.).  Das  Schweizerhaus  nach  seinen  landschaftlichen  Formen 
und  seiner  geschichtlichen  Entwickelung  dargestellt.  II  Abschnitt: 
Das  Tessin.  Mit  163  photogr.  Ansichten  und  skizzierten  Grundrissen. 
Airaiif  Sauerlander,  1902,  in-8,  pp.  xu-169. 

Le  case  svizzere  rappresentate  nelle  loro  forme  caratteristiche  e  nel  loro 
sviluppo  storico.  II.  parte:  //  Cantati  Ticino  —  V'è  compreso  lo  smdio  sulle 
abitazioni  della  Val  Formazza. 

Ulottrazione  d'arte  grafica  antica:  incisioni  in  legno  dal  1500  al  1800:  rac- 
colta fatta  per  cura  di  Piero  Borgo- C ar atti- Agnelu  di  445  clichés 
in  legno  usati  nelle  edizioni  dell'antica  tipografia  dei  fratelli  Agnelli 
in  Milano  e  Lugano,  ora  ditta  Pietro  Agnelli.  Milano,  tip.  Pietro 
Agnelli,  1902,  in-4  fig.,  pp.  59.  (Ediz.  di  soli  2d  esemplari). 

JECKLlN  (F.).  Ein  Inventar  des  Schlosses  Klaven.  —  Biindnerisclies  Mo' 
nalsblali,  n.  11,  1901. 

Un  inventario  del  castello  di  Chiavenna. 

*  URCHEISEN  (F.).  Bibliografia  di  Napoleone.  Torino,  Unione  tipografico- 
editrice  torinese,  1902,  in-8  gr.,  vm-i88. 

Ne  riparleremo. 


44^  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

Lac  de  Garda  et  ses  environs.  Milano,  tip.  Beraardoni-Rebeschini,  1902, 
in-16,  fig.,  pp.  48. 

LANCETTI  (Vincenzo).  Biblioteca  Napoleonica.  —  Rivista  delle  Biblioteche 
a.  XIII,  voi.  XIII,  n.  4,  aprile  1902,  a  p.  64. 

Il  L.  lasciò  mss.  non  già  una  Storia  di  Napoleone,  ma  una  Bibliografia 
napoleoaica;  la  stampa,  gii  principiata,  rimase  ìnierrotta  per  ordine  della 
Censura  austrìaca  nel  1843.  11  ms.  della  biblìc^rafìa  fa  parte  della  colleiionc 
di  autografi  del  socio  nostro  avv.  cav.  Emiìio  Sehtti. 

LARGAJOLLI  (dott  Filippo).  Un  gruppo  di  lettere  di  Gerolamo  Tartarotli  a 
G,  M.  Mazzucchelli  (1748-1758).  Trento,  Trentina,  1905,  in-8,   pp.   sa. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  447 

*  LUZIO  (A.)  &  RENIER  (R.)-  La  coltura  e  le   relazioni  letterarie    di  Isa- 

bella d'Este  Gonzaga.  6  :    Gruppo  dell*  Italia  Centrale.    —   Giornale 
Storico  della  Letteratura  Italiana,  fase.  116-117,  1902. 

Vi  si  discorre  di:  Nicolò  Macchia  velli,  Giov.  e  Bernardo  Rucelai,  An- 
tonio Cammelli  detto  il  Pistoia,  Nicolò  Campani  detto  lo  Strascino,  Ber- 
nardo Dovizi  detto  il  Bibbiena,  Benedetto  Moncetti,  Bernardo  Accolti  detto 
runico  Aretino,  Biagio  Pallai  detto  Blosio  Palladio,  Carlo  Agnello,  Fr. 
Maria  Molza,  Giampietro  Bolzani  detto  Pierio  Valeriano,  Fabrizio  e  Vittoria 
Colonna,  Vincenzo  Calmeta,  Giov,  Bruno  de'  Parcitadi,  Francesco  Roello, 
Marco  Cavallo,  Fabrizio  Varano,  Alfonso  Alfani. 

*  MALAQUZZI  VALERI  (Francesco).  Pittori  lombardi  del  quattrocento.  Ri- 

cerche.  (Con  30  illustrazioni).  Milano,  tip.  editrice  L.  F.  Cogliati, 
1902,  in-8  gr.,  pp.  253. 

L  Bernardino  Butinone  e  Bernardo  Zenale.  —  II.  Cristoforo  Moretti  e 
P  influsso  di  Pisanello  nella  scuola  lombarda.  —  III.  Bonifacio  e  Benedetto 
Bembo.  —  IV.  Zanetto  Bugatto  e  i  ritrattisti  della  corte  di  Francesco  e  di 
Galeazzo  Maria  Sforza.  —  V.  Bartolomeo  da  Prato  e  il  Poppa.  —  VI.  Giov, 
Ambrc^o  Bevilacqua,  —  VII.  I  Zenoni  da  Vaprio.  —  Vili.  I  maestri  mi- 
nori. —  Ne  riparleremo, 

—  Note  sulla  Scultura  Lombarda  :  I.  Alcune  sculture  del  Museo  Archeo- 

logico di  Milano  da  assegnarsi  alFAmadeo  (con  6  ine).  —  II.  Ancora 
della  porta  degli  Stanga  e  un  bassorilievo  inedito  di  Pietro  da  Rho 
(con  4  ine).  —  Rassegna  (fArte,  febbraio  1902. 

*  MANOLESSO  FERRO  (G.).  La  fuga  del  cardinale  Molino,  vescovo  di  Bre- 

scia (1768).  —  Ateneo  Veneto,  marzo-aprile  1902. 

Mantova.  —  V.  Annuario,  Appello,  Bianchini,  Bade,  Bonnaffé,  Collezione, 
Crutwell,  Dolmayr,  Foerster,  Luzio,  Metani,  Paz,  Perini,  Quaglio, 
Reggiani,  Romanov,  Virgilio,  Wyzewa. 

MANZONI  (A.).  I  Promessi  Sposi  :  storia  milanese  del  secolo  XVII.  Nuova 
edizione  sull'ultima  corretta  dall'autore  di  Ferdinando  Galanti,  Pa- 
dova, fratelli  Salmin,  editori,  1902.  In  formato  minuscolo,  p.  xv-1102 
con  ritratto. 

—  V.  Bellezza,  Butti,    Checchi,  Del  Lungo,   Mazzoleni,   Novali,    Tolstoi, 

Vanzolini, 

MARCHOT  (Paul).  Dans  quel  sens  en  France  et  en  Italie  le  boucher  est-il 
le  tueur  de  «  boucs  ?  «  —  Studi  di  filologia  romanza,  IX,  i. 

■ARIO  (I.  W.).  Lettere  di  Giuseppe  Mazzini.  —  Nuova  Antologia,  16  set- 
tembre 1901. 

Con  lettere  inedite  al  Rosales  (dalla  raccolta  Gironi)  negli  anni  1835-56. 


44^  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

MAZZALORSO  (Giuseppe).  Della  dottrina  morale  di  Gian   Domenico  Ro 
magnosi.  Bologna,  lib.  Treves  di  L.  Beltrami.  1902,  in-8,  pp.  72. 

MAZ2^TINTI  (G.).  Per  Piero  Maroncelli.  —  Rivista  d^ Italia,  maggio  1902. 

MAZZI  (Curzio).  Le  carte  di  P.  Giordani  alla  «  Laurenziana.  ,  —  Rivista 
delle  Bibliotec/ie,  a.  XIII,  voi.  XIII,  n.  2-3,  1902  (continuazione). 

MAZZOLENI  (prof.  Achille).  Nel  campo  letterario.  Bergamo,  tip.  R.  Gatti, 
1902,  in-i6. 

6,  Echi  del  centenario  tassiano.  —  7.  Pazzia  e  prigionia  del  Tasso.  — 
8.  Intorno  all' Aminta.  —  9.  Inezie  pariniane.  —  io.  Echi  del  centenario 
mascheroniano.  —  11.  Di  un  riscontro  manzoniano  nel  Goldoni. 

MELANI  (A.).  La  reggia  mantovana.  —  Emporium,  febbraio  1902. 

—  Per  la  Porta  Stanga  a  Cremona.  —  Arte  e  Storia,  n.    i,  3,  4,  1902. 

Sostiene  il  M.  che  Giancrìstoforo  Romano  non  può  essere  P  autore 
della  porta  Stanga. 

—  Chiavi  e  serrature.  —  La  Raccolta  Garovaglio  nel  Museo  Archeolo- 

gico di  Milano.  —  Arte  Italiana  Decorativa,  febbraio  1902,  con  ili. 

—  Se  la  Corona  ferrea  fu  una  collana.  —  Emporium,  aprile  1902. 

MEREIKOWSKI  (Dimitri).  La  Résurrection  des  dieux;  traduction  du  russe 
par  Jacques  Sorrèze.  Paris,  Calmann-Lévy,  1902,  in- 12,  pp.  718. 

Abbiamo  citato  nel  p.  p.  fascicolo  (1902,  p.  206)  la  traduzione  francese 
del  Persky. 

*  MERONI  (canonico  Venanzio).  La  Pieve  d' Incino  o  Mandamento  d*  Erba. 
Memorie  storiche  (con  illustrazioni).  Milano,  Remo  Sandron  editore, 
1902,  in- 16,  pp.  160. 

Prefazione,  —  Sguardo  generale  alla  storia  della  Pieve  d' Incino  —  Sin- 
gole parrocchie  e  Comuni  della  Pieve.  Incino  (la  parrocchia)  —  Indno  (il 
comune)  —  Erba  (il  comune)  —  Chiesa  di  S.  Marta  in  Erba  sussidiaria  ad 
Incino  —  Parrocchia  di  S.  Maurizio  di  Erba  —  Badia  di  S.  Antonio  Ab- 
bate —  Convento  dei  Riformati  nella  Chiesa  di  S.  Maria  degli  Angeli  in 
Erba  —  Appendice  I.  Permuta  di  terreni  tra  il  Capitolo  d' Incino  e  qucUo 
di  Monza.  —  II.  Canonica  de  Inzino,   1398.  —  III.  Visita  pastorale  145$. 

—  IV.  Istanza  per  diritto  di  decime.  —  V.  Prospetto  censuario  della  Pre- 
benda preposimrale  e  del  Capitolo  d*  Indno  nel  1760.  —  VI.  Benedizioni 
delle  campagne,  1590.  —  VII.  Elenco  dei  RR.  Sacerdoti  esistenti  nella 
Pieve  d'Incino  neira.  1775.  —  Vili.  Clero  della  Pieve  d'Incino  nel  1902. 

—  IX.  Incinum  Offitiales  in  Plebe  Incini  in  synodo  37  a.  1687.  —  X.  Co- 
mune d'Incino.  Consuntivo  1775.  —  XI.  Ferrovia  Nord,  Mflano-Erba.  — 
XII.  PrivUegi  ai  Castellani  d»  Herba,  141 2.  —  XUI.  Oblazione  di  Erba  per 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  449 

disinfeudazione,  1647.  —  ^V»  istanza  pel  mercato  di  Erba,  i68o.  —  XV.  Co- 
mune d'Erba.  Consuntivo  1780.  —  XVI.  Colèra  nella  Pieve  d'Incino,  1856-67 
—  XVII-XVIII,  Compartimento  territoriale  della  Pieve  d'Incino,  1760.  — 
XIX.  Censimento  1881.  —  XX.  Note  di  confronto  degli  abitanti  della 
Pieve.  —  XXI.  Anziani  della  Pieve.  —  XXII.  Podestà  della  Pieve.  — 
XXni.  Mestieri  della  Pieve.  —  XXIV.  Notaj  che  rogarono  in  Pieve  d'In- 
cino.  —  XXV.  Bilancio  consuntivo  del  Convento  de'  Minori  Riformati  di 
S.  M.  d^li  Angeli  di  Erba,  179$.  —  XXVI.  Ruolo  de' Religiosi  di  S.  M. 
degli  Angeli,  1795). 

Milano.  —  Conseils  d'un  Milanais  à  don  Juan  d'Autriche.  —  Revue  Hi'- 
spanique,  1901,  nn.  25-28. 

—  Del  monastero  delle  Angeliche  di  S.  Paolo  in  Milano  :  cenni  storici. 

Milano,  Arte  Sacra,  editrice,  1901,  in-8,  pp.  30. 

—  Un  joueur  de  souplesses,  [milanese]  à  Lyon,  en  1494.  —  Bulletin  Histo- 

rique  du  Diocèse  de  Lyon,  III*  année,  n.  15,  maj-juin  1902. 

—  V.  Annotti,  Annuario   Barbiera,  Beltra  ni.  Bollettino  pavese,  Brioschi, 

Brusoni,  Bustico,  Carassai,  Chiaitone,  dandosi,  Col/eaione,  Comandint, 
Correnti,  Decio,  Drumont,  Fumagalli,  Galli,  Cerini,  Greppi^  Horne,  Il- 
lustrazione, Lemmi,  Locati,  Malaguzzi,  Manzoni,  Metani,  Momigliano, 
Moretti,  Novali,  Perini,  Pio  IV,  Prove nzal.  Ratti,  Revel,  Ricci,  Rog* 
giero,  Rinieri,  Riva,  Rivista,  Roberti,  Romussi,  Rondolino,  Ronzoni, 
Rotta,  Sant'Ambrogio,  Savio,  Simonsfeld,  Suida,   Verga,  Zanardi. 

M issale  ambrosianum  ex  decreto  Pii  IX  p.  m.  restitutum,  jussu  Leonis 
pp.  XIII  recognitum,  Andreae  Caroli  cardinalis  Ferrari  Archiepi- 
scopi auctoritate  editum.  Editto  typica.  Mediolani,  typ.  Jacobi  Agnelli, 
1902,  in-4  fig.,  pp.  xxiu-682. 

MOMIGLIANO  (F.).  La  morte  di  Giuseppe  Mazzini  e  di  Carlo  Cattaneo.  — 
Rivista  Ugure,  XXXIII,  4,  1901. 

■ONTI  (doti.  Santo).  Storia  ed  arte  nella  provincia  ed  antica  diocesi  di 
Como.  Dispense  15-17.  —  Fol.  ili.  Como,  Ostinelli,  1902,  da  p.  337 
a  408. 

MOHTICOLO  (Giovanni).  Lettera  a  Sua  Eccellenza  il  conte  Giuseppe  Greppi, 
senatore  del  Regno  (A  proposito  della  sezione  ottava  del  Congresso 
intemazionale  di  scienze  storiche).  Roma,  tip.  Cooperativa  Sociale, 
1902,  in^,  pp.  26. 

Monza.  ~  V.  Collezione,  Metani, 

MRANDO  (Giuseppe).  L'origine  dell'anima  umana  secondo  la  dottrina  di 
Antonio  Rosmini.  —  Rassegna  Nazionale,  1°  marzo  1902  e  sg. 


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450  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*  MORETTI  (arch.  Gaetano).  La  Basilica  di  S.  Maria  in  Aurona  a  Milano 

e  Tarchitetto  prof.  Gaetano  Landriani.  —  La  Perseveranza,  21  aprile 
1902. 

MOLLER  (Carlo).  Contese  fra  Intra  e  Pallanza  dal  1472  al  1508.  —  La 
Vedetta  d' Intra,  nn.  31-37,  1902. 

Narrazione  documentata  che  ci  dà  una  abbastanza'  compiuta  idea  di  quel 
che  fossero  anche  sul  Lago  Maggiore,  in  quei  tempi  di  rivalità  feroci,  sif- 
fatte contese  municipali.  Del  Mùller,  che  attende  a  raccogliere  i  materiali  per 
una  storia  della  sua  Intra,  è  a  notarsi  l'articolo  Una  gloria  intrese  (maestro 
Giorgio  da  Gubbio)  in  Vedetta  nn.  31  agosto  e  3  settembre  1901. 

MONTZ  (Eugène).  Études  iconographiques.  La  Legende  du  Sorcier  Virgile 
dans  l'Art  des  XIV,  XV  et  XVP  siècles.  Av.  ili.  —  Monatsberichte  ùber 
Kunstwissenscftafty  di  Hugo  Helbing  (Monaco),  Jahrg,  2,  Heft  3,  1902. 

MOntz.  —  V.  Essling  (prince  d'). 

NERI  (Achille).  Per  la  bibliografìa  foscoliana.  —  Rassegna  Bibliografica 
della  Letteratura  Italiana,  a.  X,  p.  85-88. 

Novara.  —  La  piazzs.  delle  Erbe  di  Verona.  —  Novara.  —  Concorsi 
(con  3  illustrazioni).  —  Nuova  Antologia,  1.°  febbraio  1902. 

—  Novara  a  Ferdinando  di  Savoja,  duca  di  Genova:  numero  unico  pel 
monumento  inaugurato  il  27  ottobre  1901.  Novara,  tip.  Novarese  edit., 
1901,  fol.  fig.,  pp.  14. 

*  —  Onoranze   ad   Antonio   Frizzi,   a  Bartolino   Pioti   ed  a  Domenico 

Maria  Novara  :  discorsi  di  A.  F.  Trotti  e  Giuseppe  Agnelli.   —  Atti 
Deputazione  ferrarese  di  storia  patria,  voi.  XII-XIII,  1901. 

Novara  e  Ossola.  —  V.  Annuario,  Brindeln,  Brusoni,  Faccio,  Faldella, 
Espenberger,  Hunziker,  Mailer,  Pomello,  Revel,  Riva,  Rossi,  Tallone. 

*  MOVATI  (Francesco).  Le  ferriere  milanesi  nel  sec.  XV  e  la  casa  Mis- 

saglia.  —  La  Perseveranza,  26  marz  o  1902. 

*  —  Alessandro  Manzoni  ed  il  R.  Istituto  Lombardo.  —  Giornale  Storico, 

fase.  116-117,  ^902,  pp.  456-58. 

*  OBERZINER  (G.)  I  Liguri  antichi  e  i  loro  commerci,  cap.   II  :   I   Liguri 

antichi  e  i  loro  prodotti  commerciali.  —  Giornale  Storico  e  Letterario 
della  Liguria,  a.  Ili,  1902,  fase.  3-4. 

P.  La  sala  delle  «  Asse  ».  —  La  Lettura,  giugno  1902. 

Agg.  La  sala  delle  a  Asse  »  di  Leonardo  da  Vinci  nel  castello  sfos^esco 
in  Emporium^  n.  90,  1902. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  451 

*  PASCAL  (Carlo).   La  dottrina   epicurea  nell'egloga   VI  di  Virgilio.  — 

Atti  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  voi.  XXXVI,  disp.  4-5. 

PASCAL  (E.).  Eugeniusz  Beltrami;  con  ritratto.  Varsavia,  1902. 

Pa\ta.  —  V.  Annuario,  Bollettino,  Boni,  Calmette,  Dumoulins,  Giulietti, 
Perini,  Rasi,  Rivista,   Torraca. 

*  PAZ-Y-MÉLIA  (A.).  Códices  mas  notables  de  la  Biblioteca  Nacional.  — 

Revista  de  Archivos,  Biblioiecas  y  Museos,  fase.  1-2,  1902. 

Illiistrazione  d'un  pregevole  codice  di  Plauto  (sec  XV)  ornato  di  ricche 
miniature,  d'una  delie  quali  si  offre  la  riproduzione,  già  appartenuto  al  pro- 
tettore di  Andrea  Mantegna,  il  marchese  di  Mantova  Luigi  III  di  Gonzaga 
(1444-1478). 

*  PERINI  (QuiNTiuo).  Numismatica  italiana,  XVII.  La  grida  di  Enrico  VII 

imperatore  del  131 1.  —  Atti  L  R.  Accademia  degli  Agiati  in   Rove- 
reto, s.  Ili,  voi.  VII,  fase.  Ili- IV,  1901. 

Scopo  di  questo  interessante  studio  è  quello  di  far  conoscere  le  monete 
messe  al  bando  da  quel  decreto,  pubblicato  in  Milano  ai  29  settembre  15  H) 
e  poi  a  Pavia  colla  data  7  novembre  ijii  e  non  del  13 io,  come  erronea- 
mente è  ritenuto  da  molti  scrittori. 

*  —  Numismatica  Italiana,  XVIII.  Contributo  al  Corpus  Nummorum  Ita- 

licorum.   —   Atti  I.  R.  Accademia  degli  Agiati   in  Rovereto,   s.  Ili, 
voi.  VII,  fase.  III-IV,  1901. 

Dezana  —  Messerano  —  Crevacuore  —  Frinco  —  Crema  —  Brescia  — 
Castiglione  delle  Stiviere  —  Verona  —  Piacenza. 

PETIT-DUTAILLIS  (Ch.).  Charles  VII,  Louis  XI  et  les  premières  années 
de  Charles  Vili  (1422-1492).  [Lavisse.  Histoire  de  France,  t.  IV, 
2.*  partie,  fase.  5].  Paris,  Hachette,  1902. 

Pio  IV.  —  Pope  Pius  IV,  and  the  Hook  of  Common  Prayer.  —  Tablet, 
5  aprile  1902. 

PuNio.  -  WOLFFLIN  (E.).  Plinius  und  Cluvius  Rufus.  —  Arc/tiv  fùr  la- 
teinisclte  Lexicographie,  XII,  3,  1901. 

Agg.  la  memoria  del  Dedefsen  intomo  a  ciò  che  si  deve  a  Plinio  per 
la  storia  degli  artisti,  in  Jahrhuch  deìV  istituto  archeologico,  di  Roma,  voi.  XVI, 
1901,  fac.  3.  [V.  anche  Puhirenti], 

POiELLO  (Arturo).  Paolo  Perez,  prete  dell'Ordine  della  Carità.  Verona, 
tip.  Civelli,  1902. 

*  PROYENZAL  (dott.  Dino).  Di  un  carteggio   inedito  di   Francesco  Maria 

Zanotti  (Codice  Ambrosiano  Y.  107,  P.  Superior).    —  Atti  I,  R.  Ac- 
cademia degli  Agiati  di  Rovereto,  s.  Ili,  voi.  Vili,  fase.  I,  1902. 


45^  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

PULVIRENTI  (Leonardi  Seb.).  Per  le  orazioni  di  Cajo  Plinio  Cecilio  Se- 
condo. Acireale,  tip.  dcWEinaf  1901,  in-8,  pp.  12. 

*  QUAGLIO  (N.).  Illustrazione  della  leggenda  Ghiozzi  e  Fedele  Magrini.  — 

Aiti  Deputazione  ferrarese,  di  sloria  patria,  XI,  1899. 

Bartolomeo  Ghiozzi  nacque  in  Mantova  (1671);  perchè  versato  ni^li 
studi  matematici  e  fisici  si  formò  attorno  a  lui  una  leggenda,  riproduzione 
di  quella  del  dottor  Faust. 

RADINI  (F).  Memorie  di  un  milite  volontario  casalasco  riguardanti  i  fatti 
d'armi  cui  prese  parte.  Casal  maggiore.  Granata,  1901,  in- 16,  pp.  84. 

RAMSAUER  (Franz).  Die  Alpenkunde  in  Altertum.  —  Zeitschrift  des 
Deutschen  und  Oesterreichischen  Alpenvereins,  Bd.  XXXII,  Jahi^ng 
1901  (Mflnchen,  1901  in-4  gr.,  iU.)  [v.  anche  Zwiedenek], 

I.  Le  più  antiche  notizie  sulle  .\lpi  e  sui  loro  nomi.  —  II.  I  primi 
passaggi  delle  Alpi.  —  III.  La  conquista  romana  dei  paesi  alpini.  —  IV.  La 
configurazione,  l'altezza  e  l'estensione  delle  Alpi.  —  V.  La  divisione  antica 
delle  Alpi.  —  VI.  I  valichi  alpini  nell'antichità.  —  VII.  1  territori  delle 
regioni  delle  Alpi  nell'antichità,  la  loro  popolazione  ed  organizzazione  dì 
stato.  —  Vili.  I  prodotti  delle  r^oni  alpine  nell'antica  letteratura.  — 
IX.  I  laghi  alpini  nell'antica  letteratura.  —  X.  La  sfavorevole  riputazione 
delle  Alpi  presso  gli  scrittori  classici  (i). 

*  RASI  (prof.  Pietro).  Saggio  di  alcune  particolarità  nei  distici  di   En- 

nodio.  Nota.  —  Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi.   XXXV, 
fase.  VIII,  1902.  [V.  Bollettino  Società  Pavese], 

*  RATTI  (sac.  Achille).  Milano  nel  1266  da  inedito  documento  originale 

dell'archivio  secreto  vaticano.  —  Rendiconti  Istittito  Lombardo,  s.  II, 
voi.  XXXV,  fase.  XII,  1902. 

RAULICH  (Italo).  Storia  di  Garlo  Emanuele  I,  duca  di  Savoja,  con  docu- 
menti degli  archivi  italiani  e  stranieri.  Volume  II:  Dairoccupazione 
di  Saluzzo  alla  pace  di  Vervins  (1584-1589).  Milana,  U.  Hoepli, 
1902,  in- 16. 

REGGIANI  (L.).  Enrico  Tazzoli.  Torre  Picenardi,  Puppo,  1901,  in-i6,  pp.  41. 

RENÉMONT  (G.  de).  Gampagne  de  1866  (étude  militaire  rédigée  confor- 
mémentau  programma  des  examens  d'admission  à  TEcole  supérieure 
de  guerre).  II.  Opérations  en  Allemagne  et  Italie.  Limoges  et  Paris, 
Gharles  Lavauzelle,  1901,  in-8,  pp.  367  et  fig. 

RENIER.  V.  Lusio. 

(i)  Nel  med.  volume  è  a  notarsi  l'importante  memoria  cartografica:  Ober- 
huminer  (Eugcn).  Die  Entstehung  der  Alpenkarten,  con  ili. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  453 

REVEL  (G.  di).  Carlo  Alberto.  Da  Milano  a  Novara.  —  Rassegna  Nazio- 
nale, i6  febbraio,  16  marzo  1902. 

REZZESI  (Pietro).  Antonio  Cammelli  detto  il  Pistoia:  studio  (1897).  So«- 
driOf  stab.  tip.  Quadrio,  1902,  in-i6,  pp.  27. 

RHODES  (W.  E.).  Les  Banquiers  Italiens  et  leurs  avances  d'argent  à 
Edouard  I  et  à  Edouard  II.  —  (Historical  essays  by  members  of  the 
Owen's  College,  Manchester,  published  in  commemoration  of  its 
jubilee,  1815-1901.  London  Longmans,  1902). 

y  *  RICCI  (Serafino).  La  chiesa  di  S.  Raffaele  e  le  gite  ai  monumenti 
milanesi.  —  Il  Museo  topK)grafico  della  Lombardia.  —  L'Alba, 
24  marzo  e  9  maggio  1902. 

*  —  Per  una  gipsoteca  d'arte  a  Milano.  —  Lega  Lombarda,  n.  33, 1902. 

RINIERI  (Ilario).  I  costituti  del  conte  Confalonieri  e  il  principe  di  Cari- 
gnano.  Torino,  R.  Streglio,  1902,  in-8,  pp.  150. 

*  RIVA  (Giuseppe).  Per  una  nuova  edizione  dell'Azario,  cronista  novarese. 
Lettera  al  Presidente  della  Società  Storica  Lombarda.  —  Bulleitino 
dell'Istituto  Storico  Italiano,  n.  23,  1902. 

*  Rivista  Italiana  di  Numismatica.  Anno  XV,  1902,  fase.  MI,  in-8  gr.  Mi- 
lano, tip.  edit.  L.  F.  Cogliati. 

Gnecchi  (Ercole).  Appunti  di  numismatica  italiana,  XVII.  Uno 
scudo  d'oro  di  Gian  Giacomo  de  Medici,  marchese  di  Musso.  — 
Dessi  (Vincenzo).  Due  tremissi  inediti  di  Carlo  Magno.  —  Ro- 
STOWZEw  (M.).  Tessere  di  piombo  inedite  e  notevoli  della  collezione 
di  Francesco  Gnecchi  a  Milano  e  la  cura  munerum.  —  Amrrosoli 
(Solone).  Alcuni  acquisti  del  Gabinetto  Numismatico  di  Brera  (1887- 
1900).  Monete  di  zecche  italiane  [Milano,  Matteo  II,  Bernabò  e  Ga- 
leazzo III,  signori.  —  Pavia,  Francesco  Sforza,  conte.  —  Mesocco, 
G.  G.  Trivulzio  —  Bellinsona,  Uri  e  Untervalden].  —  Rica  (Se- 
rafino). Di  una  medaglia  autoritratto  di  Antonio  Averlino  detto 
«  il  Filarete  »  nel  Museo  Artistico  Municipale  di  Milano.  —  Spin- 
GARDi  (Arturo).  Le  medaglie  dei  Congressi  degli  scienziati  italiani, 
1839-1875  [Sesto  Congresso,  Milano,  1844].  —  Varietà  :  Il  Congresso 
intemazionale  di  scienze  storiche  in  Roma.  —  Atti  della  Società 
Numismatica  Italiana. 

*  ROBERTI  (Melchiorre).  Le  rappresaglie  negli  statuti  padovani.  Nota. 
—  Atti  e  Memorie  R.  Accademia  delle  sciente  di  Padova,  N.  S.  vo- 
lume xvn,  1901. 

A  p.  146-147  v'è  il  ricordo  delle  rappresaglie  concesse  nel  IJ02  dal 
Comune  di  Padova  ad  Elena  della  Torre,  figlia  di  Salvino,  moglie  di  Nic- 
colò I  da  Carrara  e  nuora  di  Ubertino,  contro  Milano. 


454  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICX) 

ROGGIERO  (Orazio).  La  zecca  dei  marchesi  di  Saluzzo.  —  Stndj  Saitészesi, 
(Pinerolo,  Chiantore,  1901-1902)  [«  Biblioteca  della  Società  storica 
subalpina  »  X]. 

Vi  lavorarono  nei  primi  anni  del  1500  il  celebre  scultore  milanese 
Benedetto  da  Briosco  ed  il  compatriota  suo  Francesco  da  Civaie  maestro 
della  zecca  del  marchesato  (cfr.  anche  Piccolo  Archivio  storico  di  SaJuno  I, 
1-2,  p.  149). 

*  ROMANO  (G.).  Niccolò  Spinelli  da  Giovinazzo  diplomatico  del  secolo  XIV. 

Contributo  alla  Storia  politica  e  diplomatica  della  seconda  metà 
del  Trecento.  Con  documenti  inediti  tratti  da  archivi  italiani  e  stra- 
nieri. Napoli^  stab.  tip.  Pierre  &  Veraldi,  1902,  in-8  gr.  ili.  pp.  xn-646. 

Cfr.  specialmente  i  cap.  IX,  Niccolò  Spinelli  al  servigio  di  G,  Galeai^o 
Visconti  (i  384-1 392)  e  cap.  X.  Lo  Spinelli  ne*  nego:^iati  per  V alleanza  franco- 
milanese.  Sua  morte  (1392-1396). 

ROMANOV  (N.).  Donatello.  Moskva,  Sytin,  1901,  in-8,  pp.  40. 

ROMIZI  (prof.  Augusto).  Storia  del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione. 
Parte  I'.  2.'  edizione.  Milano,  Albrighi,  Segati  e  C,  1902. 

I.  II  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  durante  il  R^;no  di  Carlo  Al- 
berto. —  II.  I  primi  ministri  di  V.  Emanuele  II  per  1*  istruzione  pubblica. 

•  » 
/      ROMUSSI  (Carlo).  Il  Duomo  di  Milano.  Mi/ano,  U.  Hoepli,  edit  (stabili- 
mento M.  Bassani),  1902,  in-foL,  pp.  xv  e  43  tavole. 

*  RONDOLINO  (F.).  La  pittura  torinese  nel  Medio  Evo.  —  Atti  della  Società 

di  Archeologia  e  Belle  Arti  di  Torino,  voi.  vn,  fase.  Ili,  1901-1902. 

In  Pinerolo  nel  castello  dei  Principi  d'Acaja  lavora  nel  1328  un  Berardo 
da  Milano,  In  Aviglìana  fra  il  1392  ed  il  1395  maestro  Pietro  pittore  da 
Milano.  Le  relazioni  che  correvano  nel  400  fra  le  corti  di  Torino  e  di  Mi- 
lano diedero  per  avventura  opportunità  al  cremonese  Cristoforo  Moretti,  emulo 
del  Bembo,  al  soggiornare  che  fece  in  Torino  «  con  grande  vantaggio  dei 
nostri  pittori,  i  quali  dovettero  apprendere  da  lui  a  sopprimere  gli  orna- 
menti d*oro  ed  a  portare  ne*  dipinti  morbidezza  e  libertà  di  figura  ed  a 
curarsi  della  prospettiva.  »  Fra  il  1464  ed  il  1465  il  Moretti  attendeva  In- 
fatti in  Torino  a  dipingervi  la  parte  superiore  della  torre  comunale,  e  fra 
il  1463  ed  il  1466  vi  preparava  stemmi  all'impresa  del  toro  da  fregiarne 
il  bravio  destinato  a  chi  avesse  vinto  nelle  corse  dei  cavalli.  Pare  vero- 
simile che  il  Moretti  abbia  dipinto  nella  sacrestia  di  S.  Antonio  di  Ranverso 
l'affresco  della  salita  al  Calvario.  —  Le  carte  torinesi  ricordano  un'altro 
pittore  lombardo,  Galeaixp  da  Turate,  che  nel  1462  già  poteva  mutuare  al 
Comune  di  che  pagare  certo  tasso  impostogli  dal  duca.  Ma  delle  sue  opere 
sappiamo  appena  che  lavorò  a  colorire  stemmi  e  pennoncelli  per  le  festose 
accoglienze  fatte  nel  1466  ai  duchi  di  Savoia  ed  a  Filippo  di  Bresse,  ed  a 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  455 

dipingere  il  toro  sui  tocchi  dei  decani  od  uscieri  comunali.  L'anno  15 13  va 
segnalato  per  la  cittadinanza  torinese  concessa  al  pittore  Martino  Span:^oUi 
da  Varese,  abit.  in  Chivasso,  il  maestro  del  Soddoma  e  probabilmente  an- 
che di  Defendente  Ferrari  (f  1528). 

RONZONI  (D.).  L'apologia  di  Antonio  Raudense  e  la  fortuna  di  Dante  nel 
Quattrocento.  —  Giornale  Dantesco,  X,  1-2. 

*  ROSATI  (prof.  d.  Luigi).  Gli  Statuti  della  Confraternita  dei  calzolaj  te- 

deschi in  Trento.  —  Aiti  I.  R.  Accademia  degli  Agiati,  in  Rovereto, 
s.  Ili,  voi.  VII,  fase.  III-IV,  1902. 

Statuti  del  secolo  decimoquinto  che  vengono  qui  riprodotti  nel  loro 
testo  tedesco,  colla  versione  coeva  eseguita  e  scritta  dal  notaio  Prospero  Mario 
da  Bormio,  in  V.  Tellina.  Chi  era  costui  e  quando  viveva?  Non  fu  pos- 
sibile al  R.  di  trovarlo,  che  aggiunge  il  nome  suo  essere  sfuggito  anche  al 
P.  Giangrisostomo  Tovazzi,  il  quale  perciò  nella  sua  lunghissima  lista  dei 
notaj  non  lo  ha.  All^epoca  del  martirio  di  S.  Simonino  (1475),  abitava  a 
Trento  una  famiglia  da  Bormio,  di  cui  è  nominato  un  tal  Cipriano  come 
amico  del  padre  del  piccolo  martire.  Era  forse  il  nostro  Prospero  un  membro 
di  essa? 

ROSSI  (Quintino).  Congregazione  di  Carità  di  Cossogno.  Origine,  dona- 
zioni, lasciti  e  controversie  [1547-1901].  Intra ,  tip.  Intrese,  1902, 
in-8,  pp.  14. 

ROTT  (Edouard).  Histoire  de  la  Représentation  diploma tique  de  la 
France  auprès  des  Cantons  Suisses,  de  leurs  alliés  et  de  leurs 
Confédérés,  II,  1559-1610.  Ouvrage  publié  sous  les  auspices  et  aux 
frais  des  Archives  fédérales  suisses.  Berne,  Benteli,  1902,  in-8  gr., 
pp.  VI-724. 

ROTTA  (can.  Paolo).  UflScio  funebre  ambrosiano  con  aggiunte  sui  riti 
antichi,  sulla  messa  e  sepoltura  dei  defunti:  notizie  storiche  litur- 
giche. Milano,  G.  Agnelli,  1902,  in-i6,  pp.  100. 

—  Il  Vespro  domenicale  ambrosiono  :  osservazioni  storico-liturgiche.  Mi- 
lano, ditta  G.  Agnelli,  1902,  in- 16,  pp.  70. 

SALVIONI  (Carlo).  La  Divina  Commedia,  VOrlando  furioso  e  la  Gerusa- 
lemme liberata  nelle  versioni  e  nei  travestimenti  dialettali  a  stampa. 
Sagginolo  bibliografico.  Bellinaona,  C.  Salvioni,  1902,  in-8  gr.,  pp.  41 
(Nozze  Maggini-Salvioni). 

y 
/ 

^  *  SANTAMBROGIO  (d.'  Diego).  Un  presumibile  resto  scultorio  del  distrutto 
sarcofago  del  1355  al  giureconsulto  Giacomo  Bossi,  già  nella  chiesa 
di  San  Marco.  —  Politecnico,  febbraio  1902. 

*  --  Sugli  affreschi  di  Casa  Prinetti  in  via  Lanzone.  —  Lega  Lombarda 

7  e  19  marzo  1902  (Cfr.  anche  Perseveranza,  19  marzo  1902). 


456  BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO 

*  SANT'AMBROGIO  (d/  Diego).  —  Un'artistica  pergamena  in  Milano,  del 

1479,  riferibile  alla  Cappella  della  Concezione  di  San  Francesco 
Grande.  —  Sempre  intomo  al  quadro  leonardesco  di  AflFori  e  della 
data  sua.  —  Arte  e  Storia^  nn.  5-7,  1901;  nn.  9-10,  1902. 

*  —  Di  una  nuova  lapide  relativa  al  soppresso  Monastero  di  Castellazzo 

presso  Vigentino  Milanese.  —  Un  pallio  dei  Panigarola  alla  Ma- 
donna del  Monte.  —  La  Chiesa  e  il  Convento  delle  Benedettine  di 
Lambrugo.  —  Legd  Lombarda,  nn.  100,  129,  132;  1902. 

*  —  Nel  Castelio .  di  Porta  Giovia.  Sulla  flora  della  sala  delle  «  Asse.  » 

—  Lega  Lombarda,  15-16  giugno  1902. 

*  SAVIO  (FmÈLE,  S.  J.).  La  legende   des  SS.   Fidèle,  Alexandre,  Carpo- 

phore  et  autres  martyrs.  —  Analecta  Bollandiana,  t  XXI,  fase.  1, 1902. 

I.  Les  légendes  actuelles  et  la  l^ende  primitive.  —  2.  Epoque  de  li 
l^;ende  primitive. 

*  SCHIAPARELU  (L,).  I  diplomi  dei  Re  d'Italia.   Ricerche   storico-diplo- 

matiche. Parte  I.  I  diplomi  di  Berengario  I.  —  Bullettino  Istituto 
Storico  Italiano,  n.  23.  1902. 

SCHOTTE  (d.'  Ludwig).  Der  Appeninenpass  des  Monte  Bardone  und  die 
deutschen  Kaiser  («  Historische  Studien  »  XXVII).  Berlin,  E.  Ehen- 
ring,  1901,  in-8,  pp.  137  e  una  carta.  [Cfr.  Recensione  in  Bollettino 
Storico  Pavese,  II,  1902  n.  i-a,  p.  266  sgg.]. 

—  Die  Lage  von  Parma  und  ihre  Bedeutimg  im  Wechsel  der  Zeiten. 
Eine  Studie.  (Abdruck  aus  der  Festschrift  des  geographischen  Se- 
minars  der  Universitàt  Breslau,  1901,  pp.  190-220).  [Cfr.  la  recen- 
sione di  J.  Jung  in  Mittheilungen  dell'  Ist  Stor.  Austriaco  XXIII,  2, 
P-  307  sgg.]. 

SERASSI  (Pier  Antonio).  Lettere  a  Giuseppe  Beltramelli,  a  cura  di  Ar- 
naldo Foresti.  Bergamo,  Istituto  italiano  d'arti  grafiche,  1902,  in-8, 
pp.  4a  (Nozze  Ruffoni-Rienzi-Lochis). 

Sforza  e  Visconti.  —  V.  Beltrami,  Benadduci,  Bibliotltèque,  Gabotto, 
Malagussi,  Petit,  Riva,  Rivista,  Romano,  Volpi. 

SICHLER  (Albert).  Littérature  des  Chemins  de  fer  suisses  (1830-1901). 
Berne,  K.  J.  Wyss,  1902,  in-8,  pp,  XX-390-130.  [•  Bibliographie  na- 
lionale  Suisse  •  fase.  V  9  h  p]. 

Con  abbondante  bibliograna  pel  Gottardo,  \o  Spinga,  U  Scmpionc,  ecc. 

*  SIMONSFELD  (H.K  MaiLlndor  Briete  zur  bayerischen   und   allgemeinen 

Gcschuhie  do^^  16  laììrlumderts  MI.  (Aus  den  Ablutndlungen  der  k. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  457 

òayer.  Akadentie  der  Wissintschafien,  III  Q.  XXII  Bd.  IMII  Abth.). 
Mùnchen,  Verlag  der  k.  Akademie,  in  Commission  des  G.  Franz'schen 
Verlags,  1902,  in-4  gr.,  da  p.  273  a  p.  575. 

Lettere  da  Milano  per  la  storia  di  Baviera  e  per  quella  generale  del 
secolo  XVI.  —  Se  ne  riparlerà. 

STAFFETTI  (Luigi).  Una  sposa  principesca  del  Cinquecento  con  alcune  let- 
tere della  medesima  a  suo  padre.  Massa,  tip.  di  E.  Medici,  1902, 
in-8y  pp.  84* 

Si  tratta  di  Lucrezia  Cybo,  figlia  di  Alberico,  maritata  al  conte  Er- 
cole Sfondratì,  nipote  di  papa  Gr^orio  XIV. 

STRZYGOWSKI  (Joseph).  DQrer*s  Madonna  vom  Jahre  1519,  sein  und  Hol- 
beiii's  Verhaltniss  zu  Leonardo.  —  Zeitschrift  fur  bildende  Kunst, 
XII,  1901,  fase.  X,  pp.  235-38. 

La  Madonna  del  Dùrer  dell'a.  15 19.  Relazioni  sue  e  dell' Holbein  con 
Leonardo  da  Vinci. 

Wòk  (dJ  Wilhelm).  Ein  verloren  geglaubtes  Werk  Bramantinos.  — 
Hugo  Helfnngs,  Monatsberichte  Uber  Kunstwissenschaft,  a.  II,  fase.  III, 
1902,  con  tav. 

L^opera  creduta  perduta  del  Bramantino  è  la  Pietà  eseguita  dal  Suardi 
nel  15 15  per  i  monaci  di  Chiaravalle,  indi  passata  nella  chiesa  di  S.  Sabba 
in  Roma  e  dappoi  nella  collezione  del  cardinale  Barberini  nel  seicento.  Scom- 
parsa da  essa,  s'ebbe  a  perderne  le  traccie;  il  quadro,  secondo  i  dati  offerti 
dallo  S.  sarebbe  ora  rintracciato  comechè  in  possesso  della  Ditta  Artaria, 
Tavo  degli  attuali  proprietari  della  ditta  avendolo  acquistato  a  suo  tempo 
in  Italia.  Lo  Snida  attende  ad  un  lavoro  esauriente  sul  Bramantino,  che  noi 
ci  auguriamo  di  veder  presto  alla  stampa. 

TACCHI  VENTURI  (P.).  Corrispondenza  inedita  di  L.  A.  Muratori  con  i 
pp.  Contucci,  Lagomarsino  e  Orosz  della  compagnia  di  Gesù.  — 
Scrini  vari  ài  filologia  offerti  a  Ernesto  Monaci  per  ta,  XXV  del 
suo  insegnamento.  (Roma,  Forzani,  1901). 

TALLONE  (Armando).  Il  distretto  di  Vercelli  ed  il  Vercellese  nel  1564, 
secondo  i  capitoli  XXII  e  XXIII  delle  Costituzioni  deh'ospedale  di 
S.  Andrea.  Vercelli,  stab.  tipKvlit.  G.  Chiais,  1901,  in-8,  pp.  45. 

*  —  Appunti  sulle  relazioni  tra  Innocenzo  IV  e  il  Comune  di  Vercelli 
(1243^1).  —  Atti  R,  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  XXXVI,  di- 
spensa  6-7. 

TAN6L  (M.).  Die  Haft  Silvio  Pellico's.  —  Deutsche  Rundschau,  gennaio  1902. 

Ampio  riassunto  in  Piccolo  Archivio  Storico  di  Saluzzo,  I,  fase.  IIMV, 
P-  571-75-  Ivi  (pp.  367.371),  recensione  del  libro  del  Luzio  sul  Salvotri  — 
Arch,  Sior,  Lom^.,  Anno  XXIX.  fise.  XXXIV.  30 


45^  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

Pel  Pellico  agg.:  Musson  (L,),  Silvio  Pellico.  (Paris,  Vitte,  1901,  8,  pp.  32) 
e  Pellico  (S.).  Lettere  alla  dontia  gentile  pubbL  per  cura  di  L.  Capinerì  G- 
priani  (Roma,  Società  Dante  Alighieri,  1901). 

TASSO  (T.).  La  Gerusalemme  Liberata,  illustrata  da  £.  Matania,  con 
note  di  Eugenio  Camerini  e  prefazione  di  Carlo  Romussi.  Milano, 
Società  editrice  Sonzogno,  1902,  in-4  fig.,  pp.  x-319. 

—  V.  Greco,  Mazzoleni,  Salvioni. 

TOLSTOI  (Leone).  Che  cosa  è  l'arte?  Traduzione  autorizzata  dall'autore, 
preceduta  da  un  saggio  di  Enrico  Panzacchi,  Tolstoi  e  Manzoni 
neir  idea  morale  e  nell'arte.  Milano^  Treves,  1902,  in- 16  («  Biblio- 
teca amena  »  n.  264). 

TOMMASINI  (prof.  Gustavo).  U  concetto  della  giustizia  amministrativa  in 
G.  D.  Romagnosi  :  discorso  letto  nella  R.  Università  di  Parma  per 
l'inaugurazione  dell'anno  accademico  1901-1902.  Parma,  tip.  Rossi- 
Uboldi,  1901,  in-4,  PP-  S^* 

TORRACA  (prof.  Francesco).  Studi  su  la  lirica  italiana  del  Duecento.  Bo- 
logna, edit.  Zanichelli,  1902. 

Nel  terzo  di  questi  studi  {Federico  II  e  la  poesia  provenutale)  il  T.  de> 
dica  qualche  pagina  a  Torello  da  Strada  comprendendolo  tra  i  trovatori  del 
duecento  che  ebbero  relazioni  più  o  meno  dirette  collMmperatore  Federico  IL 
Cfr.  nel  Boll,  Storico  Pavese^  II,  1902,  fase.  MI,  p.  297  la  riproduzione  di 
quella  parte  del  suo  scritto  che  gli  si  riferisce  direttamente. 

TRAGNI  (Ang.,  colonnello).  Attorno  a  Verona:  notizie  storiche-militari. 
Verona^  stab.  tip.  G.  Franchini,  1901,  in-8,  pp.  304. 

Trivulzio.  —  V.  Barbiera.  Collezione,  Comandine,  Rivista, 

VALLE  (P.).  Reminiscenze  di  Custoza.  —  Rassegna  Nazionale,  1  marzo  1902. 

*  Valtellina.  —  Carlo  Bonadei  (prov.  di  Sondrio  1822-1901).  Necrologia- 
—  Al  fi  I.  R,  Accademia  degli  Agiati  in  Rovereto,  s.  Ili,  voi.  VII,  1901. 

—  V.  Como, 

VANZOUNI  (G.).  Un  p>o'  di  «  Zibaldone  »  [del  Batacchi]  nei  «  Promessi 
Sposi,  n  Rivista  d'Italia,  V.  2. 

Verdl  —  PASCOLATO  (A.).  Re  Lear  e  Ballo  in  maschera.  Lettere  di  Giu- 
seppe Verdi  ad  Antonio  Somma,  con  fac-simile,  in-16.  Città  di  Ca- 
stello, S.  Lapi,  1902. 

Agg.:  Bellaigtu  (C),  Verdi;  l'oeuvre  et  l'homme,  in  Correspandant 
IO  aprile  1902  e  Muret  (M.).  Un  paquet  de  lettres  de  Verdi,  in  Journal 
Ì€s  débats,  1  aprile  1902. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  459 

r       VERGA  (dott  Ettore).  Concetto  e  giudizi  d'altri  tempi  sugli  archivi  no- 
^  tarili.  —  Rivista  delle  Biblioteche^  a.  XIII,  voL  XIII,  n.  a,  1902. 

I  Costituzione  dell^Àrchivio  notarile  di  Milano,  per  opera  di  Maria  Teresa, 

nel  177 1;  opposizioni  dei  notaj  alla  sua  istituzione. 

I        *  ViRGiuo.  —  CIPOLLA  (F.).  Dante  Censore  di  Virgilio.  —  Atti  R.  Istituto 
Veneto,  LXI,  3.*,  1902. 

Agg.  po'  gli  studi  vergiliani  :  Baiassi  (G.).  Il  Caronte  dantesco  e  il 
Caronte  virgiliano  [«  L* Agave  9  I,  2-5];  Georgh  (H,)  Die  antike  Vergilkritih 
in  den  Bukolika  und  Georgika  [«  Philologus  »  voi.  IX  Supplemento, 
fase.  II,  1902]  ;  Hofmann  (Max).  Der  Codex  Mediceus  pL  XXXIX  n.  I  des 
Vergilius  II  [Berlin,  Weidmann,  1901,  4,  pp.  56-VlII]  ;  Leo  (F.).  Vergil  und 
die  Ciris  [t  Hermes  »  voL  XXXVII,  fase  I,  1902]  ;  Norden  (E)  Vergils 
Aeneis  im  Lichte  ihrer  Zeit  [e  Neue  Hddelberger  Jahrbùcher  »  XI,  giugno- 
luglio  190 1];  Victor  Hugo  traducteur  de  V  Eneide  [a  Intermédiaire  des  dier* 
cbeurs  et  curieux  »  28  febbraio  e  20  marzo  1902];  Wright  (R.).  On  the 
enigma  in  Vergil  ecL,  III,  104  [e  Qassical  Review  1»  voL  XV,  n.  4,  1902]. 

—  V.  Muntz,  Pascal. 

VOLPI  (Guglielmo).  Le  feste  di  Firenze  del  1459.  Notizia  di  un  poemetto 
del  secolo  XV.  Pistoja,  librerìa  Pagnini,  1902,  in-8,  pp.  26. 

I  cronisti  fiorentini  tutti  e  gli  storici  moderni  si  soffermano  sulle  feste 
per  Pio  II.  Ma  tanto  parvero  strepitose  e  straordinarie  che  d  fu  anche  chi 
si  senti  spinto  a  celebrarle  in  versi.  L'autore  è  un  cliente  mediceo  e  fa 
larga  parte  alle  accoglienze  del  giovanetto  Galeazzo  Maria  Sforza,  mandato 
dal  padre  a  Firenze  per  complimentarvi  il  pontefice. 

WALTZ  (d'.  Otto).  Die  DenkwQrdigkeiten   KarFs    V.  Bonn,  E.   Strauss, 
1901,  in-8,  pp.  47. 

WEIL  (H.).  Le  Prince  Eugène  et  Murat,  1813-1814.  Opérations  militaires. 
Négociations  diplomatiques.  T.  Ili,  in-8.  Paris,  Fon  temo  ing,  1902. 

WOLFF  (J.).  Lionardo  da  Vinci  als   Aestetiker.   Strassburg,   Heitz,  1901, 
in-8,  pp.  140. 

*  WYMANN  (E.).  Nuntius  Bonhomini   auf  der  Tagsatzung  zu   Baden  im 
Juni  1580.  —  Anzeiger  fùr  Schweizer.  Geschichte,  n.  I,  1902. 

WYZEWA  (T.  de).  L'oeuvre  d'André  Mantegna.  —  Revue  des  deux  Mondes, 
15  marzo  1902. 

*  ZACCAQNINI  (G.).  Le  osservazioni  di  Niccola  Villani  alla  Gerusalemme 
Liberata.  —  Bollettino  Storico  Pistoiese,  a.  Ili,  fase.  3,  1901. 


460  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

iEANARDI  (Amalia).  Maria  Gaetana  Agnesi:  studio  Inografico.  Milano^  ditta 
G.  Agnelli,  1902,  in-8,  p.  36. 


(L.).  Studi  sulla  crìminalità  italiana  nel  Dugento  e  Trecento. 
—  Bulletiino  Senese  di  Storia  Patria,  a.  Vili,  fase.  II. 

Lo  Z.  prende  ad  illustrare  la  Quaestio  an  in  loco  domìciUi  di  Alberto 
di  Gandino  (a.  1299),  la  quale  si  riferisce  ad  una  controversia  pistoiese,  e 
cioè  :  Un  Giovanni  dei  Bonaccorsi  di  parte  nera,  pistoiese,  si  era  portato  in 
territorio  Senese  per  causa  di  salute.  M.  Manente  degli  Scali,  allora  resi- 
dente in  Firenze,  il  quale  nel  1395  era  stato  podestà  di  Pistoia  di  parte 
Bianca,  si  accordò  co'  suoi  mandatari  perchè  uccidessero  il  Bonaccorsi  in 
territorio  senese;  il  che  avvenne.  —  Bella  discussione  di  principi  di  diritto 
colla  quale  il  dotto  A.  illustra  la  Quaestio  di  Alberto  da  Gandino  sul  tema 
della  competenza  a  punire  il  mandante  e  i  mandatari  della  compiuta  ucci- 
sione (cfr.  Boll,  Stor,  pistoiese  a.  Ili,  Case  IV,  1901,  p.  159).  ^ 

ZWIEOINECK-SODENHORST  (Hans  von).   Die  Ostalpen  in  deivpranzosen-^^l 
krìegen,  IV,  Theil,  Der  Feldzug  von  1813.  —  Zeitsc/iri/t  des  deutschen 
u,  oesterr.   Alpenvereins ,   voi.  XXXII    (Mùnchen,    1901).    [v.    anche 
Ramsauer], 

Nelle  precedenti  annate  sono  contenute  le  memorie  intomo  alle  cam- 
pagne degli  anni  179697,  1799,  1800-1801,  1805  e  1809  (cfr.  a.  1897, 
voi.  XXVIU,  Graz;  1898,  voi.  XXIX,  1899,  voi.  XXX). 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


.\  La  Chiesa  di  San  Raffaele  in  Milano.  —  A  proposito  di  questo 
tempio,  del  quale  si  annunciava  la  distruzione,  che  la  Società  nostra  ha 
tentato  nell'ultima  sua  adunanza  d'impedire,  indirizzando  un  voto  di  pro- 
testa alle  autorità  competenti,  il  chiaro  consocio  prof.  D.  Fedele  Savio 
ba  pubblicato  nel  n.  134  del  giornale  cittadino  ^Osservatore  Cattolico 
(14-15  giugno  1902)  un  interessante  e  vivace  articolo,  di  cui  ci  pare  con- 
veniente inserire  qui  la  parte  essenziale,  in  cui  l'egregio  cultore  della 
storia  ecclesiastica  italiana^  da  cui  attendiamo  con  impazienza  una  nuova 
e  crìtica  illustrazione  della  serie  degli  arcivescovi  milanesi,  ricostruisce 
le  vicende  dell'antica  chiesetta  or  minacciata  dai  soliti  nemici  del  pas- 
sato: 

«Ottimamente  fu  detto  dalla  Società  storica  nella  sua  protesta,  che 
la  chiesa  di  S.  Raffaele  è  uno  dei  pochi  punti  di  partenza  che  ancora 
rimangono  per  ricostruire  idealmente  la  topografia  della  parte  più  cen- 
trale e  più  nobile  della  antica  città. 

«Delle  sei  chiese  minori,  che,  come  figlie  attorno  alla  madre,  circon- 
davano la  vetusta  chiesa  di  S.  Maria  Maggiore,  ossia  il  Duomo,  ora  non 
rìmane  che  S.  Raffaele  e  forse  S.  Giovanni  alle  Fonti,  se  pure  questa  è 
identica  a  S.  Gottardo.  Molta  è  l'antichità  di  queste  chiese.  Non  sarebbe 
forse  vano  il  credere  che  esse  esistessero  già  prima  della  distruzione  della 
chiesa  cattedrale  e  di  altri  edifici  di  Milano,  eseguita  dal  fiero  Attila, 
poiché  ad  esse  sembra  alludere  San  Massimo  di  Torino  allorché, 
parlando  della  ricostruzione  della  cattedrale  compiuta  dall'arcivescovo  di 
Milano,  Eusebio,  diceva  ai  milanesi  :  «  Colui  il  quale  ha  fatto  rivivere  la 
«chiesa,  che  è  il  corpo  della  città,  farà  che  sorgano  altresì  le  membra  del 
«  medesimo  capo,  che  ancora  giacciono  al  suolo.  » 

«  Ma  se  non  si  può  risalire  (almeno  con  certezza)  ad  un  tempo  tanto 
antico,  par  certo  che  la  fabbrica  di  quelle  chiese  minori  dovette  susse- 
guire ben  presto  la  costruzione  o  ricostruzione  della  cattedrale,  avvenuta, 
secondo  una  cronaca  degnissima  di  fede,  nell'  836  per  opera  dell'arcive- 
scovo Angilberto  II,  prelato  così  zelante  e  benefico  per  il  culto  divino. 
Il  fatto  che  quattro  delle  sei  chiese  erano  dedicate  a  quattro  santi  angeli 
Michele,  Gabriele,  Raffaele  ed  Uriele,  mentre  è  prova  del  culto  antico 
verso  gli  angeli,  rivela  evidentemente  un'unità  di  concetto  a  cui  proba- 
bilmente corrispose  la  contemporaneità  nell'esecuzione. 


462  APPUNTI   E   NOTIZIE 

«  E'  certo  ad  ogni  modo  che  la  chiesa  di  S.  Raffaele  già  esisteva  nel 
903,  ed  a  ragione  il  Giulini  disse  falsa  Fasserzione  di  coloro  che  data- 
rono la  costruzione  della  chiesa  dal  regno  di  Berengario  e  ne  fecero  au- 
tore questo  re.  Lo  sbaglio  provenne  dall'indicazione  dell'anno  15  del 
regno  di  Berengario,  che  si  trova  tra  le  note  cronologiche  di  un  diploma, 
che  il  di  II  gennaio  dell'anno  suddetto  903  venne  fatto  dall'arcivescovo 
milanese  Andrea  I,  e  di  cui  non  sarà  inutile  rammentare  il  contenuto. 

«  Questo  generoso  e  caritatevole  arcivescovo  col  suddetto  atto  sta- 
biliva che  dopo  la  sua  morte  certe  case  ch'egli  aveva  comperate  attorno 
alla  chiesa  di  S.  Raffaele  diventassero  un  ospedale.  Per  il  mantenimento 
di  questa  nuova  benefica  istituzione  il  prelato  assegnava  vari  suoi  beni, 
prescrivendo  pure  alcuni  obblighi  ai  quali  dovesse  sottostare  il  rettore 
della  chiesa  e  dell'ospedale,  che  egli  nominò  nella  persona  di  Gari- 
berto  suo  nepote,  il  quale,  secondo  il  Giulini,  sarebbe  il  medesimo  che 
divenne  poi  arcivescovo  di  Milano  nel  918.  Tra  gli  obblighi  il  principale 
era  che  il  giorno  anniversario  della  morte  d'Andrea,  il  rettore  di  S.  Raf- 
faele convitasse  dodici  preti  che  avrebbero  celebrata  la  messa  in  chiesa 
e  desse  loro  un  regalo,  e  di  più  desse  una  refezione  a  cento  poveri,  as- 
segnando a  ciascuno  una  detcrminata  misura  di  pane,  lardo,  cacio  e  vino. 

«  O  allora  o  poco  dopo  la  chiesa  diventò  parrocchia  e  tale  rimase 
fino  a'  tempi  moderni.  Nei  suoi  fasti  è  celebre  l'atto  coraggioso  di  San 
Carlo,  che  nella  terribile  peste  del  1576,  avendo  saputo  ch'era  amma- 
lato il  parroco,  volle  egli  stesso  non  solo  visitarlo,  ma  assisterlo  fino 
all'ultimo  suo  respiro....  Poco  appresso  la  chiesa  fu  tutta  rinnovata,  e 
valenti  autori  dipinsero  una  parte  della  volta  e  i  quadri  degli  altari,  il 
Pellegrini,  l'architetto  favorito  di  S.  Carlo,  disegnò  ed  incominciò  la  gra- 
ziosa facciata,  che  per  parecchi  secoli  poi  rimase  incompiuta.  Essa  fu 
terminata  or  sono  pochi  anni  per  cura  del  veneratissimo  arcivescovo  mon- 
signor Calabiana,  di  santa  memoria,  che  fu  indotto  a  quell'opera  non 
meno  dalla  sua  profonda  pietà  che  dall'amore  al  decoro  della  sua  metro- 
poli. Ne  mal  si  appose,  perchè  doppiamente  essa  adoma  Milano,  e  per 
i  ricordi  storici  che  le  sono  congiunti  e  per  la  sua  moderna  elegante  strut- 
tura che  armonizza  interamente  con  tutti  i  nuovi  edifìzi  che  dopo  la  co- 
struzione della  Galleria  Vittorio  Emanuele,  le  si  eressero  attorno.  Onde 
si  comprende  come  tutti  coloro  i  quali  hanno  un  po'  d'amore  per  le  tra- 
dizioni storiche  e  per  i  monumenti  artistici  di  Milano,  tutti  coloro  cui 
sta  a  cuore  l'ornamento  e,  dirò  pure,  il  buon  nome  di  quest'illustre 
città,  si  siano  giustamente  commossi  al  sentire  che  quasi  di  nascosto  si 
vorrebbe  distruggere  quella  chiesa,  che  è  monumento  insigne  della  reli- 
giosa pietà  degli  antichi  milanesi.  » 

Anche  tutti  gli  altri  giornali  cittadini,  com'a  dire  il  Secolo^  la  Sera^ 
la  Pcrsfveransa,  senza  distinzione  di  partito,  hanno  lodato  l'iniziativa  as- 
sunta dalla  Società  nostra,  che,  forte  del  voto  di  corpi  competenti  ed  auto- 
revoli, quali  sono  l'Ufficio  Regionale  per  la  conservazione  dei  Monu- 
menti e  la  Consulta  Archeologica,  spera  di  vincere  la  battaglia  che  ha 
assunto  in  prò  delle  tradizioni  cittadine. 


APPUNTI   E   NOTIZIE  463 

,*^  Che  cosa  soso  i  patiti?  —  Quando  i  mesi  convennero  insieme 
per  ordire  una  trama  contro  Gennaio  loro  signore,  secondochè  narra 
i]  carme  latino  dato  alla  luce  dal  prof.  Bìadone  come  opera  del  mila- 
nese Bonvesin  della  Riva  (i),  il  primo  a  parlare  fu  Febbrajo  : 

Prìmus  fert  talia  Febnis 
ceno  fedatus  caligat  et  utrosque  peti  tot  (i). 

Esso  si  presenta  dunque  coi  calzari  insozzati  di  fango.  £  sta  bene  : 
pur  troppo  Febbraio  e  fango  son  quasi  sinonimi.  Ma  oltreché  i  calzari, 
saligaey  il  mese  della  pioggia  ha  lordi  anche  utrosque  fetitos.  Che  cosa 
diamine  sono  i  f etiti? 

L'Editore  non  seppe  a  tutta  prima  raccappezzarsi  :  ((La  parola  manca 
«ai  lessici,  egli  postillò,  e  forse  è  male  scritta...  Che  si  tratti  di  un  deri- 
«  vato  di  fes?  »  (3).  Ma  più  tardi  nelle  ((  Giunte  e  Correzioni  »  soggiunse  : 
nll  Kajna  crede  inverosimile  il  ravvicinamento,  da  me  fatto  del  resto 
«  in  modo  molto  dubitativo,  di  fetitos  a  fes,  e  mettendosi  a  ricercare  l'eti- 
«  mologia  di  quella  parola,  penserebbe  piuttosto  ai  milanesi  fitty  fettarott 
«{cfr.  pito  sp.).  Senonchè  non  riuscendomi  di  vedere  quale  relazione 
«  di  significato  possano  avere  questi  due  ultimi  vocaboli  con  fetitos  (fitt) 
«non  può  essere  che  plurale  di  peit  a  peto  »,  da  cui  petarott,  specie  di 
«piva,  con  cui  i  contadini  anziché  sufolarc  trullano  [CHERUBINI,  Vocab, 
amilan.  s.  v.]  (4),  né  si  può  ammettere  che  pitt  valga  ((piedi»  (come, 
«correggendosi,  osserva  il  Cherubini  nel  Suppl.  al  Vocabolario),  m*ac- 
«  contenterò  di  dire  che  questo  é  forse  derivato  da  quella  radice  pet,  da 
cui  pezza  (pet-i-a)  e  qualche  altra  voce  significante  lembo  e  parte  in  ge- 
«  nere  degli  indumenti,  se  pure  pctitos  non  é  da  ravvicinare,  ciò  che  sod- 
«disf crebbe  bene  al  senso,  al  muggese  pisett  ((polpacci»  {Arch.  glotL 

*'-^II>  331  (5)-  » 

Infine  in  una  nuova  serie  di  correzioni  al  testo  de'  Carmina  inserita 

•nello  stesso  volume  degli  Studi  di  Filologia  R amanza ^  il  prof.  Biadene 
annunziò  un'altra  ipotesi  suggeritagli  dal  prof.  Della  Giovanna.  Per- 
suaso questi  che  la  parola  misterios?i  derivasse  da  fes,  proponeva  di  ri- 
conoscere nel  petitos  del  codice  un  originario  pecitoSy  male  trascritto  dal 
copista.  E  pecitos  sarebbe  una  latinizzazione  del  pescitt  u  piedini  »  proprio 
del  milanese,  che  doveva  ai  tempi  del  Della  Riva  scriversi  pezit  o  pe- 
cit  (6). 

Di  tutte  le  congetture  messe  innanzi,  fuorché  di  quella  proposta  dal 
Della  Giovanna  che  gli  sfuggì,  fece  giustizia  poco  appresso  il  Savi-Lopez, 
scrivendo  che  senz'eccezione  ((  sollevano  qualche  difficoltà  ».  Ed  essendo 

(i)  L.  Biadene,  ((  Carmina  de  mensibus  »  di  Bonvesin  da  la  Riva 
in  StudÀ  di  Filologia  Romanza^  voi.  IX,  Fase,  i,  1901,  p.  i  e  sgg. 

(2)  Op.  cit.,  p.  54  sg.. 

(3)  Op.  cit.,  p.  43. 

'  (4)  Petarott  in  cremonese  si  adopera  come  termine  spregiativo  per 
«bambino».  Cfr.  Peri,  Vocab.  ital.  cremonese ,  s.  v. 

(5)  Op.  cit.,  p.  127  sgg. 

(6)  Op.  cit.,  p:  180. 


464  APPUNTI   E   NOTIZIE 

quindi  persuaso  che  non  si  potesse  interpretar  la  voce  tal  quale  si  tro- 
vava nel  codice,  uscì  fuori  con  un'altra  proposta  che  affrcttossi  però  m 
dichiarare  «  tutfaltro  che  soddisfacente  »,  quella  cioè  di  mutare  fetitos 
in  fedicos,  le  «dita  dei  piedi»  (i). 

Il  problema,  per  quanto  piccolo,  aveva  stimolata  la  mia  curiosità, 
tanto  più  vivamente  che  io  serbavo  come  un  vago  ricordo  d'essermi  già 
imbattuto  altra  volta  nella  voce  che  Bonvesin  aveva  introdotto  nel  pro- 
prio componimento  per  la  disperazione  de'  suoi  futuri  postillatori.  Ed 
ecco,  quando  meno  me  l'aspettava,  ricapitarmi  appunto  sott'occhio  il  vo- 
cabolo, mentre  rileggevo  un  testo,  inedito  sin  qui,  da  me  ricopiato  di 
sull'originale  la  bellezza  di  ventiquattro  anni  fa,  vale  a  dire  gli  Statuti 
dei  Canonici  della  Cattedrale  di  Cremona  promulgati  l'anno  1246  :  Item 
quod  nullus  canonicus  nec  mansionarius  ncque  presbyter  altarium  neque 
sacriste  deferani  pathos  ligneos  neque  nudis  pedibus  acccdant  ad  offi- 
tium  maxime  in  die,  etc.  (2). 

I  fatitos  del  documento  cremonese  son  dunque  senza  dubbio  i  petHos 
del  poemetto  milanese  :  Febbraio  va  in  zoccoli  per  non  bagnarsi  i  piedi  ! 

Messo  così  sulla  buona  via,  non  ho  tardato  ad  avvedermi  che  la  mi- 
steriosa parola  faceva  già  la  sua  figura  presso  il  Du  Cange.  Il  vecchio 
lessicografo  reca  difatti  s.  v.  patitus  un  esempio  tolto  dagli  Statuti  di  Ver- 
celli, dove  a  e.  101  v.  si  legge:  liem  licitum  sii  cuilibet...  ducere  vel 
duci  facete...  calderias,  subtulares,  cathenas,  patitosi  mercarias...   (3). 

La  voce  patUus  (o  petitus)  si  riconnette  dunque  etimologicamente 
con  patinus,  che  rinviensi  pure  in  documenti  nostri  e  oltremontani  del 
sec.  XIII  (4),  e  riflette  il  pattino  italiano,  il  patin  francese  (5). 

F.  N. 

.*,  Un  dubbio  in  un  punto  di  storia  vigevanasca  recentemente  illu- 
strato. —  Alessandro  Colombo,  infaticato  studioso  della  storia  vige- 
vanasca, ha  pubblicato  recentemente,  in  luce  del  tutto  nuova  per  com- 
piutezza, un  documento  assai  interessante  delTarchivio  di  Vigevano.  Vi 
è  contenuto  il  trattato  di  alleanza  tra  Milano  e  Vigevano  nel  1277;  e 
la  pubblicazione  è  stata  fatta  in  questo  Archivio  (XXVIII,  pag.  369,  sgg.), 
premessavi  un'opportuna  illustrazione. 

Ora  a  pag.  373  si  domanda  il  Colombo  chi  siano  i  nemici,  contro 
i  quali  Milanesi  e  Vigevanesi  si  obbligavano  con  giuramento  a  reci- 

(i)  Vedi  la  recensione  de*  Carmina  inserita  dal  S.  L.  in  Rassegna 
bibliogr,  della  leti.  ital.  a.  X.,  1902,  fase.  3,  p.  84. 

(a)  L'originale  degli  Statuti  si  conserva  ancora  nell'Archivio  Capi- 
tolare :  unico  avanzo  di  una  ricchissima  collezione  di  diplomi  e  docu- 
menti che  rignoranza  e  l'avarizia  hanno  miseramente  dispersa. 

(3)  Du  Cange,  Lex.,  ed.  Fabre,  to.  VI,  e.  213,  s.  v.  patitus. 

(4)  Du  Cange,  op.  cit.,  s.  v.  patinus.  Vi  troviamo  difatti  allegati  gli 
Statuti  de'  canonici  d  Acqui  del  1259,  i  quali  prescrivono  come  i  Cremo- 
nesi :  Nec  ctiam  in  ecclesia  rei  claustro  Portabunt  patinos  sive  soccas 
f errato s  strepi tum  magnum  facentes. 

(5)  Cfr.  sull'origine  della  parola,  che  è  incerta,  KòRTlNC,  Latein- 
roman.  Wòrterb.,  n.  5937. 


appuntì  e  notizie  46^ 

proco  aiuto  e  difesa  e  conclude  ragionevolmente,  più  per  induzione,  che 
per  certezza  diplomatica  riguardante  particolarmente  quel  trattato,  chV 
siano  i  Pavesi.  A  me  par  opportuno  rammentare  alPuopo  quanto  si 
legge  in  una  vecchia  pubblicazione  d'un  Tortonese  ;  appunto  in  Notùtie 
per  servire  alla  biografia  degli  Uomini  illustri  tortonesiy  raccolte  dal 
conte  Ciac.  Carnevale,  ed.  nel  iSjé  d*l  Viuli  a  Vigevano,  a  pag.  126- 
127,  nel  cap.  intitolato  <c  Dei  Tortoncsi  che  furono  Ambasciatori  ».  Qui 
è  memoria  di  De  Rovano  Ridolfo,  «  tortonese  dell'Ordine  de*  Predicatori  », 
che  CI  secondo  quanto  trovasi  scritto  nel  calendario  di  S.  Giorgio,  sa- 
«rcbbe  stato  nel  12 17  dal  popolo  di  Tortona  deputato  a  portarsi  in  Pia- 
te cenza  da  Lanfranco  Bucabarla  Bresciano  allora  podestà  di  Milano,  nel 
a  quale  i  Pavesi  da  una  parte  ed  i  Milanesi  con  i  Piacentini  dall'altra 
«fecero  un  ampio  compromesso,  rimettendosi  a  quanto  egli  avrebbe  de- 
Aciso  nelle  loro  controversie,  ed  il  Bucabarla  pronunciava,  che  i  Mila- 
«nesi  rilasciassero  ai  Pavesi  per  dieci  anni  il  castello  di  Vigevano,  e  che 
«i  Piacentini  ritenessero  alcune  terre,  che  pria  godevano  in  comune  coi 
M cittadini  di  Pavia». 

Ora,  che  s'abbia  a  leggere  1277,  anzi  che  12 17,  nella  fonte,  a  cui 
il  Carnevale  attinge?  e  che  il  trattato  preludia  a  una  guerra,  la  cui 
fine  abbia,  invece  di  esimere  Vigevano  dal  principato  pavese,  ridato  il 

castello  a  Pavia? 

Attilio  Bum. 

,\  Una  riforma  del  dazio  delle  bollette  sotto  Giangaleazzo  Vi- 
S0Q(>rn.  —  Parlando  altra  volta  del  contributo  per  la  dote  di  Valentina 
Visconti  (i),  avvertii  che,  non  molto  a  proposito  a  mio  parere,  il  Giu- 
lini  aveva  citati,  come  prova  del  malcontento  popolare  contro  Gian- 
galeazzo e  dei  timori  di  questo  principe  nel  1386,  e  nei  successivi  anni, 
due  provvedimenti  di  polizia,  uno  dei  quali  era  il  nuovo  regolamento 
per  il  dazio  delle  Bollette  (2). 

Una  delle  caratteristiche  di  quel  regolamento  erano  le  minuziose 
disposizioni  riguardanti  il  movimento  dei  viaggiatori.  Io  avvertivo  che, 
certo  in  forma  assai  meno  vessatoria,  quelle  disposizioni  vigono  tutt'ora,  e 
quindi  avevano  poco  valore  per  provare  quanto  affermava  il  Giulini. 
Ora  un  interessante  documento  proverà  che  Giangaleazzo  non  aveva  me- 
nomamente il  proposito  di  vessare  i  sudditi  con  disposizioni  dettate  dal 
sospetto.  Questo  documento  è  un  ordine  col  quale,  attesa  la  noia  e 
il  danno  che  deriva  dal  dazio  delle  Bollette,  esso  viene  abolito  preci- 
samente per  la  parte  che  riguarda  il  movimento  dei  viaggiatori  (3)  ;  e 

(i)  Arch.  Stor.  Lomb.,  XXVIII  (1901),  in  fine  della  memoria. 

(2)  GIULINI,  Mem.^  1386,  libro  LXXIII,  pp.  422-425.  Cfr.  Antiqua 
iuc.  Mei.  decretay  pp.   112-114. 

(3)  Il  Magenta,  castello  di  Pavia^  I,  272-273,  afferma  che  da  questo 
dazio  erano  esenti  solamente  gli  ecclesiastici,  i  mendicanti  ed  i  romei. 
Ciò  sarà  stato  vero  in  alcune  epoche  ;  ma  non  può  erigersi  ad  afferma- 
zione generale,  perchè  nell'anno  1389  la  tassa  lu  abolita  per  tutti  indi- 
stintamente. 


466  APPUNTI   E   NOTIZIE 

ciò  accade  nell'anno  1389,  che  tanto  per  le  guerre  quanto  per  gli  ag- 
gravi finanziari  fu  dei  meno  felici  tra  quelli  del  governo  di  Giangaleazzo, 
e  quindi  uno  di  quelli  nei  quali  dovevano,  se  mai,  essere  più  pungenti 
i  sospetti  del  governo  visconteo  intomo  alla  fede  dei  sudditi,  e  più  spe- 
cialmente dei  sudditi  nuovi,  com'erano  per  esempio  i  Reggiani. 

[Archivio  di  Reggio  Emilia.  -  Carteggio  del  Reggimento  (i)]. 

u  Dominus  Mediolani  ctc.^  Comes  virtù tutìty  Imperialis  vicarius  gè- 
«  neralis.  » 

»  Principum  fastigia  dignitatum  tanto  onim  magis  extollontur  quanto 
«  de  liberali  munere  sue  munifìcentie  uberiora  proveniunt.  Igitur  aten- 
a  dentes  datium  bulletarum  forensium  nimium  exosum  fore  precipue  no- 
«  bilibus  et  magnatibus  àc  mercatonbus  a  mondi  {sic)  partibus  hinc  inde 
«  per  territorium  nostri  dominij  transeuntibus,  et  sepius  ad  nos  acceden- 
«  tibus,  percgrinis  vero  et  alijs  mendicantibus  et  paupcrtatis  fratribus 
«  ac  pauperibus  ef  misérabilibus  personis  valde  onerosum  datium  illud 
«  de  nostre  liberalitatis  arbitrio  et  beneficentia  nostra  duximus  totaliter 
«  reuocandum  et  anulandum  in  qutbuslibet  ciuitatibus  dominij  prelati, 
«  per  respectum  dumtaxat  ad  id  quod  exigi  consueverat  de  datio  ipso  prò 
«  personis  equis  valisijs  et  besazijs.  Mandantes  preterea  vobis  quatenus 
«  datium  illud  in  ciuitate  nostra  Rhegij  ab  ultima  die  mcnsis  instantis 
«<  in  antea  tolli  et  reuocari  facere  debeatis,  non  permitentes  deinceps 
«aliquid  ex  eo  percipi  nec  haberi  per  respectum  ut  prefertur  ad  per- 
«  sonas  equos  valisias  et  besazias.  Certificantes  de  receptione  presentium 
«  Magistros  intratarum  nostrarum  et  Referendarios  curie  nostre.  Vo- 
«  lumus  bene  tamen  quod  prò  rata  temporis  et  pretij  incantus  dicti  datij 
«  incantator  ipsius  datij  solvere  debeat  pretium  dicti  incantus.  Dat.  Mc- 
«  diolani  die  vigesimoquinto  Januarij   MCCCLXXXVIIII. 

a.  tergo:  «  JOHAXOLUS.  » 

«  Nobili  viro  Potestati  Referendario  et  Sapientibus  nostre  ciuitatis 
«  Regij.  » 

Non  è  da  trascurar  un*osservazione  riguardo  alle  ultime  parole  di 
questo   documento. 

Nel  suo  lodevole  zelo  per  il  bene  economico  delle  città  soggette, 
alle  quali  nuoceva  ogni  cosa  che  desse  impaccio  al  movimento  dei  viag- 
giatori, il  governo  non  aveva  né  badato  (cosa  notevole)  alle  gravi  dif- 
ficoltà in  cui  allora  si  trovava  il  tesoro  dello  Stato  (2),  né  attesa  nep- 
pure la  fine  delFanno  finanziario  per  attuare  la  riforma.  Questa  entrava 
anzi  in  vigore  poco  dopo  il  principio  dell'anno  e  cioè  poco  dopo  la  con- 
chiusione  dei  nuovi  contratti  d'appalto  dei  dazi.  Dovevano  quindi  sor- 
gere, nell'applicazione  pratica,  non  poche  difiìcoltà.   Non    per    questo 

(i)  Questo  è  l'originale.  Se  ne  trova  copia  nello  stesso  Archivio,  Re- 
gistro  ansiani,  1386- 1390,  e.  571. 

(2)  Ne  ho  dato  alcune  prove  nel  precitato  articolo. 


APPUNTI   E   NOTIZIE  467 

Giangaleazzo  rinunciò  al  provvedimento  reputato  necessario.  Niella  let- 
tera stessa  di  riforma  egli  aveva  date  preventivamente  alcune  disposi- 
zioni per  quanto  riguardava  i  doveri  degli  appaltatori.  Quando  poi  gli 
giunsero  i  reclami  inevitabili  da  parte  di  questi,  dispose  che  nei  limiti 
del  giusto  essi  venissero  indennizzati  senza  toccare  le  entrate  principali 
dello  Stato  :  Mandamus  (si  legge  in  un  rescritto  in  proposito,  in  data 
15  febbraio  1389)  quatenus  eidem  supplicanti  bònos  fatiatis  et  nume- 
reiis  denarios  aduentagiorum  (i)  in  ipsius  incantu  promissorum;  et  hoc 
de  denarijs  baratene^  qui  relaxantur  prò  laborerijs  ciuìtatis  ipsius  (2). 

A  lungo  si  protrassero  tuttavia  le  contestazioni  intorno  alla  portata 
della  riforma  introdotta.  Questa  parte  della  storia  del  dazio  delle  Bol- 
lette non  ha  veramente  diretta  relaziono  col  toma  di  questa  nota  ;  e  per- 
ciò non  mi  addentrerò  in  essa,  per  ora.  Ma  non  sarà  inutile  avvertire 
che  dai  documenfl  relaftvi  non  appare  che  il  governo  sofisticasse  per  ri- 
togliere quanto  aveva  concesso,  bensì  che  i  soliti  appaltatori  intorbidas- 
sero le  acque  per  guadagnare  di  più  (3). 

F.   E.   COMANI. 

.\  Un  «  MANIGOLDO  »)  NOVARESE.  —  Forse  ultimo  tra  gli  scritti  del 
compianto  prof.  Paoli,  l'insigne  paleografo  italiano,  e  pubblicatosi  nel- 
V Archivio  storico  italiano  (fase.  IV,  1901),  lui  già  defunto,  è  a  notarsi 
quello  dal  titolo  «  Manigoldo  ».  Il  P.  vi  produce  due  documenti  toscani 
del  quattrocento  a  conferma  storica  del  vocabolo  Manigoldo  nel  signi- 
ficato di  «carnefice)».  Nel  1417  aveva  tale  ufficio  ai  servigi  della  repub- 
blica di  Siena  certo  Perone  da  Novara,  condannato  a  morte  fin  dal  141 5 
fro  nonnullis  malcfitiis  (innocente,  dice  lui  !)  e  commutatagli  la  pena  colla 
reclusione  perpetua  nelle  carceri  del  comune,  unita  all'obbligo  di  far 
le  esecuzioni  di  giustizia  prò  manigoldo.  Ora,  a  costui  pesava  di  far  quel 
triste  mestiere,  e  cercò  modo  di  esserne  liberato.  Avendo  trovato  fra  i 
suoi  compagni  di  carcere  uno  Schiavone,  tal  Simone  di  Zagabria,  che, 
condannato  a  morte  per  certi  furti,  si  offeriva  volontieri  a  sostituirlo  af- 
fine di  salvare  la  vita,  presentava  istanza  al  Concistoro,  perchè  accogliesse 
la  domanda  di  quest'altro  sciagurato,  e  così  liberasse  lui.  Perone,  dal 
carcere  e  da  «  lu  dicto  mestieri  ».  Tra  le  ragioni  che  egli  adduce  va  per 
raccomandare  la  propria  istanza  (sostenuta  nel  Concistoro  stesso  da  due 
autorevoli  giureconsulti  milanesi,  Cristoforo  e  Franchino  da  Castiglione, 
in  considerazione  ch'egli  era  un  «  nobil  uomo  et  de  nobili  domo  »),  c'era 
anche  la  nota  del  patriottismo  :  a  Et  ciò  ve  addomando  (egli  dice)  per 
«  Tamor  della  patria,  che  so'  italiano  e  so'  de  le  terre  del  duca  di  Milano.  » 
Il  Consiglio  generale  della  Campana  approvava  la  menzionata  domanda, 
presentatagli  dalla  Signorìa,  nell'adunanza  del  2  aprìle  14 17. 

(i)  Cioè  «vantaggi»,  lucri. 

(2)  GG.  al  Pod.  e  al  Referend.  di  Reggio.  Archivio  e  Carteggio 
cittadino. 

(3)  Archivio  cit.  :  Dazi,  gabelle  e  beni,  Dazio  delle  bollette. 


468  APPUNTI  E   NOTIZIE 


,\  Un  ginnasta  milanese  a  Lione.  —  Non  è  del  concorso  ginna- 
stico tenuto  nel  maggio  scorso  a  Milano,  bensì  del  ricordo  di  un  ginnasta* 
o  clown  milanese  a  Lione  nel  1494  che  rinfreschiamo  la  memoria,  grazie 
al  seguente  curioso  documento  che  il  Bulletin  historique  du  diocèse  de 
Lyon  (N.  15,  maggio-giugno  1902),  ristampa,  togliendolo  a  sua  voha^ 
dal  libro  di  L.  Paris,  Les  manuscriis  de  la  bibliotèque  du  Louvre^  Pa^ 
ris,  1872.  Peccato  che  nel  documento  non  sia  indicato  il  nome  del  a  jou- 
«reur  de  souplesse»,  ch'ebbe  nel  maggio  1494  a  divertire  la  brigata  del 
duca  d'Orléans  : 

«  Louis  Alexandre  de  Malabaylc,  chevalier,  scigneur  de  la  Monta, 
«  conseiller  et  maistre  d'hostel  de  mons.  le  due  d'Orléans,  ccrtifions  à' 
«  tous  [ceux]  qu'il  appartient,  que  Jacques  Harault,  conseiller  et  tréso- 
(crier  et  receveur  general  des  fìnances  de  mond.  Seig.r,  a  paié,  baillé 
«  contant,  en  ma  présence,  à  un  joueur  de  soupplesscs  de  Pambaxade  de 
«  Milan,  la  some  de  quatre  escus  d'or,  à  la  couronne,  que  le  dit  scigneur 
«  luy  a  donne  pour  avoir  joué  devant  luy  cejourd'huy  en  la  ville  de 
«  Lyon.  —  En  tesmoing  de  ce,  nous  avons  signé  ces  présentes  de  notre 
u  main  le  XXVIlLe  jour  de  may  Pan  mil  CCCC.  IIIL  XX.  et  quatorze: 
«  (Signé  :)  Alexandre  Malabaye.  » 

/.  Una  lettera  di  Lodovico  il  Moro  dal  Tirolo  {1499).  —  Il  socio 
dott.  C.  Dccio,  delle  ricerche  di  storia  medica  appassionato  cultore,  e 
dal  quale  VArchtTio  nostro  si  ripromette  presto  qualche  contributo, 
ci  comunica  un  documentino  sforzesco,  perduto  non  si  sa  come  fra  le 
numerosissime  carte  dell'Archivio  dell'Ospedale  Maggiore  di  Milano.  E* 
importante,  trattandosi  di  una  lettera  di  Lodovico  il  Moro,  tra  le  pochis- 
sime scritte  da  lui,  dal  Tirolo,  poco  tempo  dopo  la  sua  ritirata  da  Mi- 
lano di  fronte  all'invasore  francese  ;  curiosa,  perchè  pur  conservando  il 
titolo  suo  di  duca,  mantiene  le  sue  aspirazioni  sulle  terre  del  reame  d'Ara- 
gona e  afferma  la  speranza  di  rientrar  presto  dal  suo  esilio  nell'abban- 
donato ducato. 

«  Dux  Medìolani. 

«  Dilecte  noster.  Credemo  havereti  inteso  quello  che  per  la  mala 
«  sorte  nostra  ce  è  occurso  de  la  occupatione  facta  da  francesi  et  vene» 
«  tiani  del  stato  nostro  de  Milano  et  comò  siamo  venuti  in  Alamania  ad 
«  La  M.tà  cesarea,  la  quale  non  porrìa  essere  più  disposta  né  inanimata 
«  ad  remetteme  in  casa  et  redintegrare  del  Stato  et  cose  nostre  :  per  modo 
«  che  in  breve  sentireti  effecti  honorevoli  et  che  vi  piacerano.  Et  desi- 
uderando  noi  conservare  quello  stato  lì  del  Reame  per  nostro  fiolo  ce 
«  è  parso  avisarvi  del  tutto,  et  dirvi  vogliati  cum  ogni  diligentia  et  studio 
«  attendere  alla  administratione  de  la  impresa  nostra  cum  far  bon  animo 
«  alli  homini  et  tenirli  ben  confortati  in  la  devotione  nostra  comò  ne  con- 
ci fidiamo  fareti.  Dat.  Brixine  (i),   18  octobris  1499.  » 

(i)   Bressanone. 


APPUNTI  E   NOTIZIE  469 

a  tergo  : 

Egregio  Jureconsulto  domino 
Jacobo  Castilioneo  viceprindpi 
Rossani  nostro  dilecto  (Con  sigillo). 

.%  Predicanti  italiani  in  Valtellina  e  nei  Grigioni.  —  La  Val- 
tellina e  i  Grìgioni  —  è  notissimo  —  furono  sicuro  asilo,  all'epoca  della 
riforma  religiosa,  ai  partigiani  suoi  di  lingua  italiana,  riparati  numerosi 
sn  quel  suolo  e  da  preti  e  frati  cattolici  ch'erano,  diventativi  predicanti 
rosi  su  quel  suolo  da  preti  e  frati  cattolici,  trasformatisi  in  predicanti 
evangelici.  E  nomi  parecchi  di  essi,  conosciuti  nelle  storie  degli  eretici, 
pk  ricordano  gli  autori  nostri,  come  quelli  di  Giovanni  Beccaria,  di  Fran- 
cesco Beccaria,  di  Cesare  GafFuri,  di  Giulio  da  Milano  e  di  Pier  Paolo 
Vergerio. 

Ma  a  parare  la  minacciata  disunione  tra  i  predicanti  su  diverse  que- 
stioni di  fede,  e  più,  ad  opporre  un  forte  argine  alle  aspirazioni  troppo 
radicali  dei  numerosi  seguaci  della  nuova  dottrina  venuti  dall'Italia 
nei  Grìgioni,  il  Sinodo  evangelico  rctico  stabiliva,  a  mezzo  del  Gal- 
lizio,  una  speciale  confessione  di  fede,  la  confessio  /Gaelica,  che  tutti  i 
sinodali  dovevano  riconoscere  e  colla  loro  firma  sanzionare.  Questa 
l'origine  (1555)  ed  il  principio  della  matricola  sinodale  grigionesc,  che 
il  parroco  I.  R.  Truog,  a  vantaggio  degli  studi  storici,  ha  testé  resa  pub- 
blica per  le  stampe  (i).  E  da  quell'elenco  vai  la  pena  di  cavarne  e  qui 
riprodurre  tutti  i  nomi  dei  predicanti  italiani  nei  Grigioni  dal  1555  in- 
nanzi, fra  i  quali  non  pochi  i  Lombardi  : 

Hieronimus  Mediolanensis. 
Antonius  Placentinus. 

Joannes  Antonius  Cortesius  brixiensis  minister  Seglii. 
Bartholomeus  ab  ecclesia  de  Malenco. 
Guido  Veronensis  1558. 
Augustinus  a  Crema,  minister  Berbeni. 
Paulus  Antegeranensis  (  ?),  minister  Dubini.   • 
Georgius  Stephanus  Genuensis. 
Augustinus  Mainardus. 
Sebastianus  Tarrachia  Casalen<tÌ8. 

Hieronymus  Ferhcus,  Siculus,  min'stei  ecclesiae  Castaseniae. 
Hieronimus  Zanchus. 
Leonardo  Bodetto  Cremoneso. 
Scipio  Lentulus  Ncapolitanus.  Sutzii  Cai.  Ju.  1568. 
Job.  Ant.  Gaza  Mediolanensis. 
Arminius  Gugliotta  Neapolitanus. 

Job-.  Petrus  Parisottus  Bergomas.  Curìae,  in  nundinis  Sancti  Mar- 
tini, 1552. 

(i)  Die  Bùndner  Pràùkanten  1555-1901  nach  den  Malrikelbùchern 
ier  òynodey  in  XXXI  fahresbericht  der  histor.-antiquar,  Gesellschaft 
von  Craubundeny  Chur,  1902. 


47^  APPUNTI   E    NOTIZIE 

Laurcntius  a  Soncino. 

Gabriel  Averrarìus  Gardonensis  dictionis  Brixia  a  .  1572  26  Maitii, 

quum  in  Civitatem  Curiam  essem  missus  ab  X.na  ecclesia  Mentis 

Rovolcdi  supra  Sondrium. 
Joannes  Paulus  Ferrarius  Placentinus  1580. 
Joantonio  Gientilcschi  marchejano  (1581). 
Thomas  Casella  (1581). 

Octavianus  Meyus  Lucensis,  Siliensis  eccl.  past.   (1581). 
Gerardus  Tortus,  Fussanensis,  eccl.  Dubinensis  pastor  (1584). 
Albertus  Marthinengus  praegalliensis  (1584). 
Joannes  Jacobus  Mainerius  a  Janua. 

Hercules  Poggius,  Bonnoniensis,  philosophus  et  theologus  (i586)« 
Caesar  ChafFonius  Placentinus  (1588). 
Martinus  Ponchierius  Valturenus  (1588). 
Johannes  Marra  Neapolitanus  (1590). 
Marcus  Eugenìus  Bonacino  Mcdiolancnsis  (1595). 
Josua  Resta,  Clavennensis  (1595). 
Joh.  Bapt.  Paravicinus,  Vulturinensis  Rhactus  (1596). 

Hippolitus  Rubens ebbriarensis  Italus  (1596). 

Lucas  Donatus  Politianus,  status  Florentinus  (1596). 

Nicolaus  de  Gal  vis  di  Abbiate  ducatus  Mediolani  (1598). 

Helias  Piscator. 

Andreas  Nierius. 

Joh.  Bapt.  de  Rattis,  Romanus,  eccl.  Bondii  minister  (iS99)- 

Laurentius  Burbonius  Montinus  Placentinus,  qui  Romae  sumsit  in- 

signia  Doctoratus  et  in  universitate  Placentiae  incorporatus  fuit 

(1599)- 
Ferdinandus  Carresius  de  Regno  Neapolitano  (1600). 

Michael  Terentius  Neapolitanus  (1602). 

Sylvester  Confortus,  Genuensis  (1603). 

Marcus  Ant.  Alba  a  Santo  Salvatore  Montisf errati  (1603). 

Joh.  Bapt.  Calantirìnus  (1604). 

Simon  Pellizarus,  Pluriensis  (1607)  [Gancellato  dopo]. 

Alexander  Turrianus,  Mediolanensis  (161 1). 

Bartholomaeus  Marlianicus,  Sondriensis  (1616). 

Annibal  Naninus  Bononìensis  (161 7). 

Plinius  Paravicinus,  Caspanensis  (cancellato  in  seguito,  ed  appo- 
stavi la  nota  :  «  Plinius  ille  apostasia....  obiit  Mediolani  monachi 
toga  indutus  »). 

Bartholomaeus  Malacrida  Volturenus  (1648). 

Andreas  Gilardonius,  Sondrio-Volturenus  in  numerum  V.  D.  Mini- 
strorum  susceptus  Majaevillae  die  29  Mail  a.  1692,  subscrìpsi  die 
16  Junii  a.  1693  Thusciae. 
Franciscus  Antonius  Ma^'nonus  a  Grìante  (1695). 

Job.  Petr.  Malacrida,  Trahonensis  (1705). 

Joh.  Paulus  Sylvani  ex  Insula  Corsica  (1714). 


APPUNTI   E    NOTIZIE  471 

J"^  Una  grida  sulla  riforma  del  calendario.  —  E'  abbastansa  noto, 
a  chi  si  diletta  di  studi  cronografici,  il  bando  sulla  riforma  del  calen- 
dario giuliano  emanato  dal  granduca  di  Toscana  il  20  giugno  1582.  Esso 
fu  pubblicato  nello  scorso  secolo  da  L.  Cantini  nella  sua  grandiosa 
opera  sulla  Legislasione  Toscana  (1).  A  riscontro  di  esso  crediamo  op- 
portuno dare  oggi  il  testo  di  altro  bando  sulla  riforma  stessa,  divulgato 
in  Lombardia  dal  governo  spagnuolo  in  data  2  ottobre  di  detto  anno, 
potendo  servire  per  qualche  utile  raffronto.  L'originale  manoscritto  del 
bando  stesso  rinvenimmo  nel  nostro  Archivio  di  Stato  alla  classe  Gride^ 
busta  44 ,  ma  non  accompagnato  dall'esemplare  a  stampa.  Una  copia 
di  quest'ultimo,  oggi  certamente  assai  raro,  potemmo  però  esaminare 
presso  l'Archivio  Civico  di  S.  Carpoforo  (2)  ma  non  vi  notammo  che 
poche  e  lievi  varianti.  La  data  è  la  stessa  del  2  ottobre,  ed  in  fine  leg- 
gesi  :  In  Milano  fer  Leonardo  Pontio  Stampatore  di  Sua  Eccellenna  (3). 

Si  noterà  che  il  bando  venne  divulgato  piuttosto  tardi,  cioè  quasi 
alla  vigilia  della  soppressione  dei  dieci  giorni,  ma  si  tenne  conto  pro- 
babilmente della  larga  diffusione  già  data  alla  riforma  stessa  dalla 
curia  arcivescovile. 

Ecco  il  testo  della  grida  : 

Declaratio  et  dccretum  dierum  decem  (4). 

MDLXXXII  a  II  di  Ottobre. 

«  Ha  sua  Santità  per  generale  bcnefìtio  della  Christianità,  partici- 
upato  però  et  consultato  primieramente  il  tutto  con  la  Maestà  del  Re 
«  Nostro  Signore,  ordinato  un  nuovo  Calendario,  col  quale,  con  bavere 
«sminuito  al  mese  di  Ottobre  presente  dieci  giorni,  ha  restituito  all'an- 
«tico  stato  il  vero  Equinottio  et  ridotto  il  giorno  di  Pascha  di  Resur- 
«rettione  alla  forma  che  già  fu  instituita  dal  sacro  Concilio  Niceno, 
«come  più  particolarmente  dall'istesso  Calendario  s'intenderà,  et  essendo 
«  espressa  mente  di  Sua  Maestà  che  il  detto  Calendario  si  pubblichi  nelli 
«  suoi  Stati  et  Regni  et  da  ognuno  sia  osservato  :  desideroso  l'Ili. mo 
«et  Ecc.mo  Signore  don  Sancho  de  Guevarra  et  Padiglia,  Castellani 
«di  Milano  del  Consiglio  secreto  di  Sua  Maestà,  Governatore  di  que- 


(1)  Voi.  X,  pag.  208. 

(2)  Gentilmente  indicataci  dal  dott.  E.  Verga. 

(3)  NulTaltro  rinvenimmo  relativo  al  calendario  gregoriano,  eccetto 
le  poche  righe  che  seguono  dirette  al  Governatore  di  Milano  dal  se- 
natore Galeazzo  Brugora  Podestà  di  Cremona.  «IlLmo  et  Ecc.mo  Sig.re. 
«Ho  recevuto  la  lettera  di  V.  Ecc.  con  la  grida  fatta  sopra  l'osserva- 
«tione  del  novo  calendario  et  correttionc  dell'anno  la  quale  ho  fatto 
«subito  publìcare.  Nostro  Signore  conservi  l'Ili. ma  persona  di  V.  Ecc. 
«alla  quale  bacio  le  mani.  —  Di  Cremona  il  XVII  di  ottobre  MDLXXXII. 
«Di  V.  Sig.  111. ma  et  Ecc.ma  Oblig.mo  et  affett.mo  Serv. 

<c  G.  Brugora.  » 

(4)  Parole  di  diversa  mano,  ma  sincrone,  scritte  nel  margine  supc- 
riore della  grida. 


47»  APPUNTI   E   NOTIZIE 

«tito  Stato  et  capitano  (i)  generale  in  Italia,  del  ben  publico  et  di 
CI  levare  le  dificoltà  le  liti  et  danni  che  per  la  diminutione  de  detti  dieci 
«  giorni  potriano  nascere  et  che  ognuno  sappia  ciò  che  per  questo  par- 
«ticolare  s'havrà  da  osservare,  ha  deliberato,  col  parere  ancora  del  Sc- 
emato et  del  Consiglio  secreto  che  si  pubblichi  il  presente  bando  col 
«  quale  Sua  Eccellenza  dichiara  et  ordina  che  tutti  i  termini  di  negotiii 
«  già  incominciati  così  legali  e  iudiciali  come  statutarij  dati  dalle  con- 
«  stituzioni  del  presente  dominio  overo  dalla  consuetudine,  o  prescritti 
«  o  conventionali  si  debbano  prorogare  per  altri  dieci  giorni,  sì  come 
«  V  Eccellenza  Sua  con  la  presente  li  proroga.  I  quali  dieci  giorni  di 
i<  proroga  havranno  da  correre  immediatamente  finiti  detti  termini  et 
«  che  tutti  i  salarij  et  li  stipendi]  che  mensualmente  si  pagano  nel  detto 
«  solo  mese  di  ottobre  siano  da  ognuno  ridotti  a  ragione  delle  due  parti 
«ideile  tre  del  detto  mese  et  per  rispetto  delle  gravezze  che  si  pagano 
«  mensualmente  alla  Regia  Camera  si  avvertirà  che  por  lo  detto  mese 
Il  de  Ottobre  non  si  bavera  da  riscotere  salvo  che  per  due  terzi  d'un 
fi  mese.  Et  per  essere  li  poveri  rurali  mal  prattichi  et  che  è  facil  cosa 
i<  a  quelli,  che  riscotono,  ingannarli  si  commanda  alli  detti  che  ha- 
II  vranno  da  riscotere  suoi  agenti,  et  ogni  altro  che  haurà  da  intrauenire 
Il  a  detta  scossa  che  non  ardiscano  de  riscotere  ne  ancora  da  chi  darà 
Il  spontaneamente  oltre  detti  due  terzi  sotto  pena  del  quadruplo  et  ma- 
il giore  etiandio  corporale  alFarbitrìo  de  Sua  Eccellenza,  avisando  che 
Il  si  farà  diligenza  per  trovare  li  contrafacienti  et  che  trovati  saranno 
Il  puniti  irremissibilmente.  Et  che  le  ferie  presenti  che  di  consuetudine 
Il  durano  sette  settimane  s'intendano  finire  il  giorno  della  commemora- 
li tione  de*  morti  bora  prossima,  sì  che  il  giorno  immediatamente  se- 
iiguente  habbiano  a  sedere  et  giusdicere  tutti  i  tribunali  et  giusdi- 
«  centi  (2).  Et  afiìne  che  questa  mente  di  Sua  Maestà,  per  mezzo  del 
Il  presente  decreto  pubblicata,  sia  a  tutti  palese  e  manifesta  commanda 
Il  Sua  Eccellenza  a  ogni  qualunque  persona  di  questo  stato  all'autorìtà 
<c  sua  soggetta  che  osservi  et  faccia  osservare  inviolabilmente  tutto  il 
Il  contenuto  nel  detto  novo  Calendario  et  nel  presente  decreto  per  con- 
II  venirsi  così  al  publico  e  particolare  servitio  di  ognuno.  Ne  sia  chi 
«I  contravenga  sotto  le  pene  alVarbitrio  di  Sua  Eccellenza  riservate. 

Don  Sancho 
De  Gevarra  y  Padilla 


(LuogoX 
dei    ) 
sigillo/ 


V[idi(]  F1UODONU8  Raynoldus 

MONTIUS. 

Il  Gridata  die  martis  secundo  octobris  1 582  sono  tubarum  prcmisso 
«in  broletto  novo  communis  Mediolani  et  super  platea  arenghi  Medio- 

(i)  Nella  ^rida  a  stampa  leggesi  et  suo  capitano. 

(2)  Le  ferie  incominciavano  il  giorno  8  settembre  e  duravano  fino 
al  2  novcn^bre  inclusivo.  V.  Cousiiiutiones  dominii  Mediolanensis,  Me- 
diolani, MDXLIIII. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  473 

«  lani  per  Joannem  Ambrosium  Bassinum  publicum  preconem  dicti  Com- 
«munis  prout  retulit,  etc.  » 

Sembrerà  strano  il  non  vedere  precisati  nella  grida  i  giorni  che 
dovevansi  sopprimere  dal  mese  di  Ottobre,  ma  tale  particolarità,  di 
non  lieve  importanza  per  le  scadenze  dei  contratti,  trovavasi  già  nella 
bolla  Inter  gravissimas  di  papa  Gregorio  XIII,  del  24  febbraio  stesso 
anno  (i),  e  certamente  anche  nel  nuovo  Calendario  di  cui  si  fa  parola 
nell'editto  stesso.  Che  nella  Lombardia  venissero  veramente  soppressi 
i  giorni  dal  5  al  14  e  non  altri  ce  lo  provano  i  molti  atti  e  lettere  dell'ot- 
tobre 1582  che  conservansi  nel  nostro  archivio  di  Stato  (2),  tanto  scritti 
a  Milano  che  in  altre  città  e  paesi  lombardi,  fra  i  quali  non  un  solo 
trovasi  datato  nei  detti  giorni. 

Nello  stesso  anno,  come  è  noto,  veniva  accolta  la  riforma  grego- 
riana nel  resto  d' Italia,  in  Francia,  Spagna,  Portogallo,  Lorena,  Da- 
nimarca, Polonia  e  parte  dei  Paesi  Bassi.  Gli  altri  stati  d'  Europa  l'ac- 
cettarono più  tardi  tranne  Russia,  Serbia  e  Grecia  che  usano  ancora  il 

calendario  Giuliano  (3). 

A.  Cappelli. 


/,  Un  parente  di  Pietro  Micca  nella  Val  d'Ossola.  —  La  R.  De- 
putazione di  storia  patria  per  le  Antiche  Provincie  e  la  Lombardia  ha 
deliberato  di  commemorare  il  2.®  centenario  della  liberazione  di  Torino 
nel  1706  con  una  pubblicazione  storica,  affidandone  al  barone  Antonio 
Manno  la  direzione  ed  ordinamento,  pubblicazione  che  non  sarà  ristretta 
ai  soli  fatti  dell'assedio,  ma  ne  comprenderà  le  cagioni  e  le  conseguenze, 
abbracciando  quel  periodo  della  guerra  di  successione  che  va  dal  1703 

(i)  Fu  diffusa  in  tutta  la  Lombardia  dall'Arcivescovo  S.  Carlo  Bor- 
romeo, per  ordine  avuto  nel  giugno  dell'anno  medesimo  dal  Cardinale 
Segretario  di  Stato.  —  V.  anche  SCHMID,  in  Historische  jahrhuch^  V, 
P-  75"7^»  6  Paoli,  Programma  ài  Diplomatica^  Firenze,  1899,  P-  '^7* 
—  A  proposito  dei  giorni  da  sopprimere  nel  mese  di  Ottobre,  detta  bolla, 
edita  nel  Bullarium  romanum,  Lugduni,  1655,  T.  II,  p.  455,  si  esprime 
in  questi  termini  :  a  Prsecipimus  et  mandamus  ut  de  mense  octobri  anni 
«  1582  decem  dies  inclusive  a  tertia  Nonarum  usque  ad  pridie  idus  exi- 
«mantur,  et  dies  qui  festum  S.  F  ranci  sci  IV  Nonas  celebrari  solitum 
«sequitur,  dicatur  Idus  Octobris...» 

(2)  Specialmente  in  Carteggio  generale  ed  alla  classe  Comuni. 

(3)  In  uno  studio  del  Sac.  Ant.  Maria  De  Lorenzo,  /  Calabresi  e 
la  correzione  del  calendario,  edito  nel  periodico  Gli  studi  in  Italia, 
anno  II,  voi.  I,  fase.  II,  Roma,  1879,  leggesi  al  $  VI  che  la  Russia 
apriva  finalmente^  in  quell'anno,  le  forte  delFinifero  alla  correzione 
gregoriana.  Ma  trattavasi  forse  di  un  progetto  che  poi  non  ebbe  attua- 
zione. Nel  1899  annunziavasi  pure  nel  fase,  di  settembre  del  Bulletin  de 
la  Società  astronomique  de  Frane  e,  diretto  dal  Flammarion,  che  Pado- 
lione  del  calendario  gregoriano  era  stata  decisa  allora  dal  governo  russo 
e  doveva  attuarsi  il  i.*»  gennaio  1901.  Ma  pare  che  la  commissione  in- 
caricata di  regolare  le  modalità  dell'attuazione  della  riforma  non  abbia 
ancora  oggi  terminati  i  suoi  lavori.  V.  anche  :  I^  riforma  del  calen- 
dario russo,  in  Corriere  della  Sera  del  6  ott.   i8qq. 

Arch  Star.  Lomb.,  Anno  XXTX,  Fase.  XXXÌV.  31 


474  APPUNTI   E   NOTIZIE 

al  1707.  L'opera  sarà  divisa  in  due  serie,  Puna  documentata  e  l'altra  mi- 
scellanea.  Nella  seconda  serie  troveranno  posto  la  bibliografia  e  l'ico- 
nografìa. 

Un  documentino  che  tocca  indirettamente  all'eroe  di  Andomo  è  con- 
servato in  un  rogito  del  notaio  ossolano  Pier  Francesco  Ceruti,  nelP^r- 
chivio  Notarile  di  Pallanza  (n.  79,  cartella  569),  dove  non  ci  vien  mai 
meno  nelle  nostre  ricerche  la  premurosa  cortesia  dell'archivista  avv.  Ce- 
sare Oliva.  Trattasi  delle  convenzioni  stipulate  ai  29  dicembre  1738  tra 
«  dominus  Petrus  Franciscus  de  Micca  fil.  quondam  d.  Johannis,  loci 
a  Netri,  jurisdictionis  Bugellensis  status  Pedemontani,  etiam  nomine  so- 
«  ciorum  »  e  Carlo  Antonio  Fuzio,  di  Val  Vigezzo  per  la  locazione  del 
maglio  di  ferro  a  C  re  vola,  presso  Domodossola,  presso  il  ponte  dov'eb- 
bero a  toccare  nel  1487  la  nota  sconfitta  gli  Svizzeri.  Le  pubblicazioni 
fin  qui  uscite  intomo  alla  famiglia  Micca  (i),  non  ci  concedono  di  pre- 
cisare qual  vincolo  di  parentela  corresse  tra  il  nostro  Pietro  Francesco 
ed  il  suo  omonimo.  Tutto  importa  però  a  credere  che  si  tratti  di  un  pa- 
rente vicino,  tenuto  calcolo  della  industria  mineraria  pur  da  questi  eser- 
citata e  fuor  dei  confini  più  stretti  della  sua  valle  (2).  Netro  poi  è  vicino 
a  Sagliano  patria  di  Pietro  Micca.  E.  M. 

^\  La  R.  Defutagione  di  Storia  patria  fer  le  antiche  'Provincie  e  la 
Lombardia  tenne  in  Torino  ai  16  giugno  p.  p.  la  sua  annuale  adunanza. 
A  Vice-Presidente  della  Sezione  Lombarda,  in  surrogazione  del  defunto 
Vignati,  venne  eletto  il  prof.  F,  Movati.  E  riuscirono  a  nuovi  Soci  effettivi 
il  prof.  G.  Calligaris  in  Milano  e  il  prof.  Majocchi  in  Pavia.  A  socio  corri- 
spondente il  dott.  Ettore  Verga,  Nelle  pubblicazioni  storiche  in  prepara- 
zione per  i  Monumenta  troverà  posto  la  Nunziatura  in  Germania  di  moff 
signor  Biglia,  a  cura  del  socio  corr.  sac.  dott.  A.  Ratti. 

.•.   Congresso  Internazionale  di  Scienze  stcxuche.  —  Quanti  hanno- 

aderito  a  questo  Congresso  ricevettero,  or  fanno  alcuni  giorni,  la  circolare 
seguente  che  stimiamo  opportuno  riprodurre  a  complemento  delle  no- 
tizie già  date  in  proposito  : 

Roma,  18  giugno  igo2, 

<{  Come  V.  S.  conosce,  il  Congresso  storico  intemazionale  ch'era  stata 
«  indetto  in  questa  città  nello  scorso  aprile,  per  un  complesso  di  circo- 
li stanze,  dovette  essere  rinviato. 

Il  Per  l'importanza  ch'esso  era  venuto  assumendo,  il  Comitato  erga- 
li nizzatore  volle  rimettere  a  noi  i  propri  poteri  e  le  ulteriori  risoluzioni. 
Il  Stabiliamo  quindi,  in  via  definitiva,  che  il  Congresso  abbia  luogo  in. 
Il  Roma  nel  prossimo  aprile  1903. 

(i)  Ad  es.  quelle  del  Manno  :  Relazione  e  documenti  suir assedio  di 
Torino  nel  lyoó  e  Pietro  Micca  ed  il  generale  conte  Solaro  della  Marga- 
rita in  Miscellanea  di  Stor,  ItaL,  XVII,  539  e  XXI,  313. 

(2)  Per  ferriere  esercite  nell'Ossola  dal  1462  al  1498  cfr.  Bianchetti, 
//Ossola  inferiore,  IT,  452  scg.  ;  Boll.  stor.  Stì^s.  /tal.,  1883,  p.  118. 


/ 


APPUNTI  E   NOTIZIE  475 

«Riservandoci  di  comunicare  entro  breve  termine  i  provvedimenti  ne- 
«  cessali  per  la  continuazione  de*  lavori  preparatori,  invitiamo  frattanto 
a  gli  iscritti  e  aderenti  a  volerci  prestare  tutta  la  loro  cooperazione,  nella 
«fiducia  che  ciascuno  col  personale  intervento  vorrà  crescere  solennità 
«al  prossimo  geniale  convegno  de'  dotti  di  ogni  nazione,  sì  che  ne  de- 
«  rivi  il  maggior  numero  di  fecondi  risultati. 

«Gradisca  frattanto  la  S.  V.  gli  atti  della  nostra  maggiore  osser- 
«  vanza.  » 

//  ministro  delia  pubblica  istruzione  II  sindaco  di  Roma 

N.  Nasi.  P.  Colonna. 

N.  B.  —  Indirizzo  provvisorio  della  corrispondenza  del  Congresso  : 
Roma  :  via  dei  Greci,  i8, 

\  ,\  Il  Castello  di  Milano  e  i  suoi   Musei  d'Arte  :  è  questo  il  ti- 

tolo dWa  raccolta  di  sessanta  tavole  eliotipiche,   data  testé  alla  luce 
per  opera  dello  stabilimento  Montabone,  sotto  la  direzione  intelligente 
di  quell'egregio  cultore  dell'arte  fotografica,  che  è  insieme  un  amatore 
appassionato  e  un  valente  studioso  di  cose  di  storia  e  d'erudizione,  il 
consocio  nostro  Carlo  Fumagalli.  —  Innamorato  del  Castello  dì  Mi- 
lano, il  Fumagalli  ha  voluto  elevare  un  monumento  veramente  degno 
d'encomio  all'oggetto  del   suo  culto,   con  questa  bellissima  collezione, 
che  riunisce  in  sé  il  più  bel  fiore  di  quanti  insigni  cimeli  artistici  ed 
architettonici  rinchiude  oggi  la  reggia,  dove  trionfò  Lodovico  il  Moro 
e  meditò  pensieroso  Leonardo.  Alle  tavole  I-IX,  le  quali  oflFrono  magni- 
fiche riproduzioni  del  Castello  stesso,  or  veduto  dall'uno  ora  dall'altro 
lato,  del  Torrione  rotondo  dell'Est,   della  Torre   di  Bona,   della   Roc- 
chetta,   del    Cortile    di    essa,    della    Corte    ducale,    altre    dieci  (X-XX) 
ne  seguono,  che  ci  presentano  i  più    preziosi    monumenti    medievali  o 
quattrocentini  oggi  ospitati  nelle  stanze  del  palazzo  ducale,  come  a  dire 
i  bassorilievi  di  Porta  Romana,  il  tabemacoletto  di  S.  Antonio,  il  cenotafio 
di  Bernabò  Visconti,  la  tomba  della  consorte  sua,  la  Porta  del  Banco  Medi- 
ceo, opera  leggiadra  di  Michelozzo.  Poi  (XXI-XXXVl)  troviamo  riprodotte 
le  sale  a  terreno  della  Corte  ducale,  quella  delle  Asse,  testé  ritornata  a 
vita  dal  pennello  dell'egr.  pittore  E.  Rusca,  quella  degli  Scarlioni,  la 
Cappella;   quindi   i   capi   d'arte   più   notevoli   ch'esse   accolgono,    dalla 
mirabile  statua  giacente  di  Gastone  di  Foix  alla  figura  marmorea  così 
estatica  nella  preghiera,  che  ornò  altra  volta  una  guglia  del  Duomo. 
Seguono  ancora  altri  oggetti  pregevoli  :  il  calice  sforzesco  del  sec.  XV, 
lo  stendardo  di  S.  Ambrogio,  la  testa  in  bronzo  di  Michelangelo. 

Saliamo  poscia  (XXXVII-LII)  colla  nostra  guida  cortese  e  dotta 
al  piano  superiore,  ed  ecco  afiFacciarcisi  la  pinacoteca  civica  coi  suoi 
tesori  :  il  S.  Gerolamo  del  Bergognone,  gli  affreschi  del  Foppa,  la 
Maddalena  del  Giampietrino,  i  Devoti  oranti  del  Beltraffio;  e,  fuori 
della  scuola  milanese,  quegli  impareggiabili  dipinti  che  sono  il  ritratto 
del  foeta  d'Antonello  da  Messina,   la   Vergine  del   Correggio,    V  Enri- 


APPUNTI   E    NOTIZIE  477 

E*  a  notarsi  che  tra  i  libri  della  collezione  Luppi  (Vendite  Sambon, 
febbraio  1900,  Catalogo  n.  192,  a.  XXIV)  figurava  un  prezioso  volume 
contenente  le  genealogie  di  19  famiglie  (tra  di  esse  Acerbi,  d'Adda,  Ben- 
zeni), in  fogli  stampati  nella  carta  e  formato  eguali  all'opera  del  Litta, 
ma  inediti.  Preparati,  sembra,  dal  co.  Litta  per  la  compilazione  della 
genealogia  di  esse  famiglie,  essi  non  furono  mai  pubblicati,  né  posti  in 
commercio.  Questo  volume  era  corredato  di  tavole  illustrative  di  monu- 
menti, ritratti,  monete,  ecc.  L'esemplare  Luppi  trovasi  ora,  per  acquisto 
fattone,  nella  Biblioteca  Cantonale  di  Lugano. 

.%  Concorsi  a  premi.  —  Fra  i  nuovi  concorsi  banditi  dall'Istituto 
lombardo  notiamo  :  Fondazione  Ciani,  premio  di  L.  1500  al  miglior  libro 
di  lettura  per  il  fofolo  italiano  ài  genere  storico^  pubblicato  dal  i.  gen- 
naio 1895  ^1  3'  dicembre  1903.  —  Fondazione  Tommasoni,  premio  di 
L.  6000  per  la  migliore  Storia  iella  vita  e  delle  ofere  di  L.  da  Vinci; 
scadenza  31  dicembre  1905.  Per  il  premio  Tommasoni  ebbero  alla  chiu- 
sura del  precedente  concorso  un  assegno  d'incoraggiamento  di  L.  1000 
per  ciascimo  i  tre  concorrenti  prof.  G.  B.  de  Toni,  Edmondo  Solmi  e 
dott.  Nino  Smiraglia  Scognamiglio. 


/,  L'Accademia  della  Crusca,  quale  amministratrice  dell'Ente  morale 
Luigi  Maria  Rezzi,  apre  un  concorso  per  tutti  gì'  Italiani  su  un'opera  in 
prosa,  0  letteraria,  o  storica^  o  filosofica,  col  premio  di  L.  5000. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ   STORICA   LOMBARDA  479 

zioni  circa  lo  stato  miserevolissimo  al  quale  sarebbe  stata  ridotta  la 
città  di  Milano  dopo  la  feroce  invasione  di  Uraja  nel  538.  Un'altra  epi- 
grafe, che  si  conserva  a  Beolco,  gli  dà  materia  di  commenti  ad  un  cu- 
rioso episodio  della  storia  di  Paolo  Diacono.  L'interessante  comunicazione 
alla  sua  fine  viene  salutata  da  vivissimi  applausi. 

11  Segretario  presenta  in  seguito  il  Bilancio  consuntivo  dell'a.  1901 
che  viene  demandato  ali'  esame  e  rapporto  dei  Revisori,  confermati 
nelle  persone  dei  sigg.  nob.  avv.  G.  Maggi,  nob.  dott.  G.  Luini  e 
dott.  A.  Garovaglio. 

Da  ultimo  l'Assemblea  passa  all'ammissione  a  nuovi  soci  dei  signori 
Besozzi  Visconti  nob.  cav.  Francesco,  F.  Sottoprefetto  di  Fiorenzuola 
d'Arda,  Arturo  Frova,  Giovanelli  cav.  Enrico,  Segretario  Capo  del 
R.  Economato  Benefici  Vacanti  in  Lombardia,  lacobovits  Rodolfo  Remy, 
Serralunga-Langhi  nob.  avv.  G.  M.,  Sessa  Rodolfo,  Silvestri  cav.  Emilio, 
tutti  in  Milano. 

La  seduta  si  chiude  alle  ore  sedici. 


//  Presidente: 

F.   N  OVATI. 


//  Segretario 
E.  Motta. 


Adunanza  generale  del  giorno  8  giugno  igo2. 
Presidenza  del  Presidente  prof.  F.  Novati. 


Aperta  la  seduta  alle  ore  quattordici  colla  lettura  ed  approvazione 
del  verbale  della  precedente  adunanza,  il  Presidente  commemora  i  soci 
perduti,  il  generale  Egidio  Oslo,  il  conte  Giovanni  Giovio  e  il  prof.  En- 
nco  Savio, e  dà  conto  dei  lavori  scientifici  di  cui  la  Società  si  occupa: 

Come  sempre  avviene,  darà  inizio  alle  nostre  parole  un  memore 
e  mesto  saluto  ai  compagni  che  ci  hanno  abbandonato.  Sono  tre  questa 
vo  ta,  e  tutti  meritevoli  di  largo  compianto  per  le  virtìi  loro  e  la  vita 
nobilmente  impiegata. 

generale  conte  Egidio   Osio   moriva   il  27  dello   scorso  marzo, 

otto  immaturamente  al  sepolcro  da  atroce  malattia  che  la  scienza 

non  ha  finora  saputo  domare.  Com'Egli,   entrato  a  far  parte  in  tempi 

J  ancora,  deiJe   nazionali  milizie,  vi  avesse  raggiunto  elevatissimo 

6  t  Voi  tutti  sapete,  e  fu  del  resto  rammentato  già  r\e.\V Archivio  con 

copia  d  esatti  ragguagli.  E  ricordata  pure  vi  fu  la  sua  eletta  cultura»  il 

•  ^  ^^ntenne    vivo  sempre   per  le  classiche   letture,  la  predile- 

S I  studi  storici  e  le  indagini  genealogiche,  di  cui  diede  saggio 


480  ATTI   DELLA  SOaETÀ  STORICA   LOMBARDA 

nella  storia  della  Famiglia  Osio,  lavoro  pregevole  per  larga  esplora- 
zione di  docurnenii  ed  inspiralo  non  già  a  vacua  boria  nobiliare,  bensì 
a  quel  lodevole  sentimento  che  fa  ricercar  conforto  e  ammaestramento 
negli  esempì  de'  maggiori. 

Il  5  aprile  è  sparita  pure  un'  altra  interessante  individualità  citta- 
dina, il  conte  Giovanni  Giovio,  discendente  dall'illustre  famiglia  comasca 
tanto  nota  ne'  fasti  letterari  ilatìani.  Il  Giovio  era  oramai  il  rappresen- 
tante unico  quasi  di  una  generazione  scomparsa,  avendo  raggiunto 
l'anno  ottantaqualtresimo  di  sua  vita,  ed  in  questo  lungo  spazio  di 
tempo  molte  e  varie  vicissitudini  eran  state  le  sue.  Deputato  di  Como, 
egli  ebbe  parte  nelle  politiche  faccende  e  godette  l'amicizia  de'  più  in- 
signi uomini  di  Stato;  benvoluto  dal  compianto  sovrano  nostro  Um- 
berto I,  vide  davvicino  le  Corti.  Amava  molto  gli  studi  storici,  di  cui 
seguiva  con  attenzione  il  sempre  maggior  incremento,  e  della  benevo- 
lenza sua  verso  la  Società  storica  volle  dar  prova  pochi  di  prima  ai 
spegnersi  inviando  in  dono  alla  nostra  biblioteca  l'cpers  del  Magenta 
sul  castello  di  Pavia  sontuosamente  rilegata. 

Infine,  pur  sempre  nel  mese  d'aprile  a  d)  ao,  spirava  il  dottor  En- 
rico Savio,  professore  nella  R.  Accademia  scientifico  letteraria,  dove 
copriva  la  cattedra  di  geografia  dal  1875,  dopo  avere  per  alquanti 
anni  (dal  1871  al  '74)  tenuta  quella  di  storia  moderna.  Il  nome  del  Savio 
è  stato  ed  è  in  Milano  notissimo,  giacché  pochi  insegnanti  ebbero  car- 
riera cosi  lunga  al  pari  di  lui  che,  entrato  ai  primi  del  1860  nel  Liceo 
Parint  in  età  di  trent'un  anni  (era  nato  il  09  settembre  del  1839)  vi 
professò  storia  per  sette  lustri.  Ben  si  può  dire  pertanto  che  grande 
parte  della  gioventù  milanese  abbia  udito  la  sua  parola,  non  facile  ni 
elegante,  ma  improntata  sempre  ad  un  vivo  calore  d'entusiasmo.  Del 
Savio  difatti  questa  fu  dote  precipua:  l'amore  intenso,  inesauribile  che 
nudrl  sempre  per  l'insegnamento.  Anche  negli  ultimi  tempi,  quando  più 
il  morbo  lo  struggeva,  noi  lo  abbiamo  veduto  trascinarsi  faticosamente 
all'Accademia  per  fare  lezione;  il  riposo  lo  sbigottiva.  Quel  suo  ardore 
fu  in  alto  grado  comunicativo,  ed  egli  accese  quindi  in  molti  e  molti 
intelletti  la  fiamma  che  l'animava.  Della  sua  dottrina,  che  fu  grande  e 
svariata,  delle  studiose  vigilie  che  furono  lunghe  ed  aspre,  non  rimane 
disgraziatamente  alcun  vestigio,  perchè  il  Savio  trovò  sempre  nella  sua 
modestia  dapprima,  quindi  nella  disabitudine  fatta  natura  un  insupera- 
bile ostacolo  a  manifestar  altrui  colla  penna  i  propri  concetti;  e  nulla 
quindi  ha  lasciato  alla  stampa  che  dia  indizio  sicuro  del  suo  valore.  Ma 
la  memoria  di  lui  vivrà  a  lungo  affidata  alla  stima  ed  alla  riconoscenza 
di  chi  lo  ebbe  collega  e  maestro;  e  noi  non  possiamo  quindi  che  far 
plauso  al  pensiero  gentile  che  mosse  professori  ed  alunni  di  quel  Liceo 
Parinj,  dov'cgli  passò  gli  anni  migliori,  a  ricordar  con  un  modesto  mo- 
numento il  nome  d'un  insegnante  che  si  può  chiamar  davvero  esemplare. 

Compiuta  cosi  la  funebre  rassegna  e  inviata  l'espressione  del  nostro 
sincero  rammarico  per  la  domestica  sventura  che  l'ha  pur  ora  colpito 
e  lo  tiene  oggi  lontano  da  uoi,  all'egregio  e  venerato  collega  l'avvocato 


ATTI  DELLA  SOOCTÀ   STORICA   LOMBARDA  481 

Emilio  Selettiy  veniamo  adesso  a  dire  qualche  cosa  delle  faccende  nostre 
e  de'  nostri  lavori.  Ed  innanzi  tutto  annunziamo  con  soddisfazione 
schietta  che  S.  £.  il  Ministro  della  Pubblica  Istruzione,  accordatosi  col 
sindaco  di  Roma,  ha  deliberato  che  il  Congresso  storico  internazionale^ 
il  quale  doveva  aver  luogo  nello  scorso  mese  d'aprile,  ed  era  stato  con 
improvvisa  deliberazione  rinviato  a  data  indeterminata,  si  effettuerà  in- 
vece immancabilmente  o  nel  prossimo  autunno  o,  come  sarebbe  assai 
più  desiderabile,  nella  primavera  dell'anno  venturo  (i).  Come  dicevamo^ 
c'è  da  rallegrarsi  vivamente  che  Ton.  Ministro  abbia  con  un  atto  di 
encomiabile  energia  rotti  gli  indugi  e  sgombrato  ogni  dubbio  sulle  sorti 
future  del  Congresso.  La  sospensione  inattesa  di  questo  convegno  così 
largamente  annunziato,  aveva  eccitato  assai  malumori  e  proteste  non 
in  Italia  soltanto  ma  altresì  ne'  paesi  stranieri.  Pur  troppo  non  era 
mancato  chi,  partito  da  lontana  regione,  nella  certezza  di  prender  parte 
al  Congresso,  trovasse  un  po'  singolare  una  sospensione  deliberata  pro- 
prio quando  non  si  faceva  più  a  tempo  ad  avvenirne  tutti  gii  interessati. 

Ma  sopra  ogni  cosa  cuoceva  a  quanti  tra  noi  erano  stati  fin  da 
principio  chiamati  all'ufficio  di  cooperatori  ed  aveano  preso  parte  ai 
lavori  preparatori  ed  incorati  con  molto  calore  e  ripetute  insistenze 
amici  e  colleghi,  italiani  e  stranieri,  prossimi  e  lontani,  a  rendere  colla 
presenza  loro  più  solenne  codesta  festa  scientifica,  la  triste  impressione 
che  l'abbandono  inesplicabile  d'un'  intrapresa  cosi  bene  avviata  susci- 
tava dovunque.  Or  che  le  nebbie  si  son  diradate  ed  il  sole  torna  a  ri- 
splendere,  farà  d'uopo  che  ciascuno  si  riponga  con  raddoppiato  vigore 
al  lavoro,  affinchè  l'impresa  donde  deve  senza  fallo  scaturire  non  poco 
onore  all'Italia  intellettuale  e  studiosa  abbia  degna  fine  e  felice  successo. 

Come  ben  si  capisce  l'interruzione  inattesa  ha  perturbato  non  poco 
que'  disegni  che  la  Presidenza  vi  aveva  altra  volta  sottoposto  e  di  cui 
Voi  approvaste  volonterosi  l'esecuzione.  Così  la  stampa  della  Miscel- 
lanea^ che  s'era  pensato  di  metter  insieme  per  offerirla  al  Congresso^ 
rimase  sospesa;  né  forse  riuscirà  possibile  riporvi  mano  adesso,  giacché 
in  questo  frattempo  parecchi  dei  pregevoli  lavori  che  dovevano  con- 
correre a  formarla,  restituiti  ai  cortesi  Autori,  sono  stati  da  essi  uti- 
lizzati in  altra  guisa  e  già  dati  alle  stampe.  Ci  limiteremo  dunque  a 
presentare  al  Congresso,  in  omaggio  al  voto  ch'era  stato  espresso  dal 
Comitato  direttivo  della  sezione  Vili,  un  indice  sommario  dei  volumi 
XXl-XXVII  deìV Archivio  nostro;  e  lo  presenteremo  manoscritto,  giacché 
esso  non  intende  essere  che  un  saggio  di  quello  assai  più  completo  e 
generale,  del  quale  si  inizierà  la  pubblicazione  non  appena  col  voi.  XXX 
àtìVArcAivio  si  chiuderà,  spirato  il  decennio  1894-1903,  la  terza  serie 
di  esso. 

Ma  se  per  questa  parte  non  daremo,  malgrado  le  nostre  buone 
intenzioni,  segno  di   molta  attività  al  futuro   Congresso,  in   compenso 


notizie 


i)  Una  recentissima  circolare,  di  cui  daremo  conto  negli  Appunti  e 
te,  ci  accerta  ora  che  s'è  definitivamente  prescelta  quest  ultima  data. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ   STORICA   LOBIBARDA  483 

di  Stato  il  dott.  Bonelli  ultimava  l'esplorazione  riuscita  poco  fruttuosa 
di  parecchi  fondi  de'  quali  era  indispensabile  sbarazzarsi,  all'Archivio  di 
Torino  il  chiarissimo  dott.  Mario  Zucchi,  cedendo  ai  nostri  inviti  per 
cortese  intromissione  del  conte  C.  Cipolla  e  del  prof.  Calligaris,  nostri 
benemeriti  soci,  continuava  lo  spoglio  già  iniziato  dal  Calligaris  stesso 
ed,  esaminati  i  Protocolli  Ducali  tanto  dell'Archivio  di  Corte  quanto  della 
serie  Camerale,  finiva  collo  studio  del  Fondo  Monferrato  e  delle  Rela- 
zioni politiche  con  testerò  le  sue  laboriose  e  profìcue  investigazioni* 
D'altro  canto  a  Mantova  ci  avveniva  finalmente  d'abbatterci  ad  un  col- 
laboratore prezioso  nella  persona  del  chiarissimo  dott.  prof.  Raffaello 
Putelli,  il  quale,  mosso  da  vivo  interesse  per  gli  studi  storici,  ha  spon- 
taneamente assunto  la  fatica,  immane  veramente,  di  analizzare  in  servizio 
nostro  tutte  le  filze  di  cui  già  la  cortesia  del  cav.  Davari  ci  aveva  for- 
nito succinti  ragguagli.  Il  prof.  Putelli  ha  già  condotto  a  termine  lo 
spoglio  dei  copialettere  Gonzaga  segnati  coi  numeri  i  e  2,  traendone 
un  centinaio  di  schede,  ed  ora  sta  attendendo  a  spogliare  il  3,  che  darà 
altrettanto.  Oltre  a  questi  libri  che  conservano  documenti  di  primaria 
importanza  per  noi,  egli  ha  altresì  esaminate  diverse  rubriche  dello 
stesso  Archivio^  e  s'è  formato  il  convincimento  che  il  celebre  deposito 
delle  carte  mantovane  arrecherà  al  Regesto  il  contributo  di  circa 
1500  schede. 

Al  valoroso  collaboratore  vada  dunque  una  parola  di  schietto  rin- 
graziamento. 

Aveva  la  Commissione  che  al  Regesto  invigila  fatta  sin  dallo  scorso 
inverno  domanda  al  Ministero  dell'Interno  perchè  fossero  mandate  in 
prestito  presso  il  R.  Archivio  nostro  di  Stato  quelle  filze  dell'Archivio 
^i  I^eggio,  che  constano  tutte  di  documenti  emanati  dalla  cancelleria 
Viscontea  nel  tempo  in  cui  la  città  emiliana  fu  governata  dal  Biscione. 
Sperava  così  la  Commissione  di  poter  eseguir  con  sollecitudine  quel 
lavoro  indispensabile  di  spoglio  che  il  prof.  Comani  aveva  assunto  e 
poi  per  circostanze  imprevedute  non  esegui.  La  domanda  era  stata 
esaudita,  e  già  s'attendevano  le  carte  desiderate,  quando  ostacoli  im- 
pensati le  arrestarono  in  cammino.  La  Presidenza  venuta  a  cognizione 
di  ciò  ha  or  tentato  di  eliminare  codesti  ostacoli,  e  sarebbe  lieta  di  riu- 
scirvi, giacché  tornerebbe  impresa  molt'ardua  ottener  in  altra  maniera 
uno  spoglio  fatto  a  dovere  di  questi  interessanti  materiali. 

Così  sono  stati  rapidamente  accennati  tutti  i  nostri  lavori  in  corso. 
E  la  Presidenza  si  affaticherà  più  vivamente  a  promuoverli  ove  sia, 
come  sempre,  allietata  e  sorretta  dal  vostro  autorevole  conforto.  » 

Terminato  il  suo  discorso,  il  Presidente  riprende  la  parola  per  an- 
nunziare come  da  varie  parti  sia  giunta  notizia  che  s*  intende  abbattere 
la  chiesa  di  San  Raffaelle,  e  ricostruirla  altrove  con  evidente  dispregio 
delle  storiche  memorie  che  quel  tempio  conserva.  Egli  chiede  quindi 
all'Assemblea  d'esprimere  sopra  siffatto  argomento  il  suo  avviso  e  di- 
chiara aperta  in  proposito  la  discussione. 


ATTI    DELLA   SOCIETÀ   STORICA   LOMBARDA  485 

La  diminuzione  di  patrimonio  sarebbe  stata  anche  maggiore,  perchè 
la  spesa  preveduta  in  L.  6400  è  stata  invece  di  L.  9226,41  (superiore 
della  preveduta  per  L.  2826,41),  se  per  la  differenza  non  avessero  sop- 
perito e  sopravanzato  maggiori  entrate  sulle  previste,  adoperandosi 
tre  semestri  dell'  assegno  governativo  invece  di  due ,  e  prelevandosi 
L  536  sulla  donazione  Lattes.  Ma,  come  abbiamo  già  detto,  la  erogazione 
in  più  sul  preventivo  è  giustificata. 

La  stampa  deìV Archivio,  prevista  in  L.  2800,  ha  invece  importato 
L.  3674^  con  una  maggiore  spesa  di  L.  874,50. 

11  volume  della  Biblioteca  Storica  invece  di  L.  600  costò  L.  1208, 
e  cioè  il  doppio. 

Al  Municipio  di  Milano  si  pagarono  L.  1000  per  l'aggregazione  di 
una  nuova  sala  del  Castello  Sforzesco  alla  sede  sociale,  aumento  dive- 
nuto indispensabile  e  ottenuto  con  una  spesa  veramente  minima. 

E  pel  Repertorio  Visconteo  si  pagarono  L.  536,  detraendole  natu- 
ralmente dalla  rimanenza  attiva  dell'anno  precedente. 

Le  quattro  maggiori  e  straordinarie  spese  dì  cui  sopra  importarono 
in  totale  L.  3018,50. 

Le  accresciute  spese  di  pubblicazione  écW Archivio  non  segnarono 
un  aumento  corrispondente,  per  quanto  spetta  al  compenso  pagato  agli 
autori. 

Di  ciò  va  data  sempre  maggior  lode  ai  medesimi,  che  si  acconten- 
tano di  una  indennità  tanto  modica  in  confronto  al  merito  dei  loro  lavori. 

La  commissione  dei  revisori  nel  mentre  ringrazia  gli  Onorevoli 
Coileghi  della  fiducia  a  lei  dimostrata.  coU'affidarle  l' incarico  di  rivedere 
il  consuntivo  del  1901,  crede  si  possano  pienamente  approvare  le  mag- 
giori spese  occorse,  di  circa  L.  3000,  a  vantaggio  esclusivo  della  Società, 
della  sua  sede,  e  del  suo  credito  per  aumento  di  pubblicazioni;  e  pro- 
pone che  piaccia  all'assemblea  generale  di  approvare  il  bilancio  con- 
suntivo  1901,  con   un   voto  di  plauso  al  benemerito   nostro  Consiglio 

direttivo. 

Avv.  Giovanni  Maggi 

Dott.  Giuseppe  Luini 

Dott.  Alfonso  Garovaguo. 


OPERE   PERVENUTE   ALLA  BIBUOTECA   SOCIALE  487 

Carotti  (dott  Giulio).  Catalogo  della  R.  Pinacoteca  di  Brera.  —  Milano, 
Lombardi,  1901  (d.  d.  s.  A.). 

Catanzaro  (Carlo).  Giuseppe  Rovani.  Profilo.  —  Firenze,  Ducei,  1875 
(d.  d.  s.  No  vati). 

Catena  (prev.  A.).  La  legione  Tebea  e  il  suo  secolo.  —  Milano,  tipo- 
grafia edit.  Cogliati,  1895  (d.  d.  Editore). 

Chiappelu  (avv.  L.).  Le  dicerie  volgari  di  Ser  Matteo  de'  Libri  da  Bo- 
logna. —  Pistoja,  Fiori,  1900  (d.  d.  s.  Storica  Pistoiese). 

Colombo  (F.).  Pariniana.  Date  e  appunti  su  la  vita  e  opere  di  G.  Parini. 
—  MUano,  tip.  edit.  Cogliati,  1899  (d.  d.  Editore). 

Colombo  (G.).  Il  Cavaliere  della  Morte.  —  Milano,  tip.  edit.  Cogliati, 
1900  (d.  d.  Editore). 

Croce  (B.).  Relazioni  dei  patrioti  napoletani  col  direttorio  e  col  conso- 
lato e  l'idea  dell'unità  italiana  (1799-1801).  —  Napoli  1902   (d.  d.  A.). 

Deoo  (dott.  F.  Carlo).  Appunti  storici  sulla  ospitalità  e  sulla  cura  dei 
tignosi  in  Milano  dal  A  V  al  XIX  secolo.  —  Milano,  tip.  degli  Operai, 
1902  (d.  d.  s.  A.). 

Desideri  (dott.  Mariano).  Relazione  della  solenne  incoronazione  di  Carlo 
Stuart  Re  d'Inghilterra,  1661.  —  Tivoli,  tip.  Majella,  1902  (d.  d.  A.). 

Fabris  (C).  Memorie  Manzoniane.  —  Milano,  tip.  edit.  Cogliati,  1901 
(d.  d.  Mitore). 

pAcao  (Cesare).  Giovan  Antonio  Bazzi  (lì  Sodoma),  pittore  vercellese 
del  secolo  XVI.  —  Vercelli,  Ugo  &  Grallardi,  1901  (d.  d.  s.  not.  Leone). 

Ferrari  (Gius,  relatore).  Contro  la  esclusione  del  nome  di  Reggio  nel- 
l'Emilia dall'iscrizione  posta  sul  monumento  della  Lega  Lombarda 
eretto  in  Legnano.  —  Modena,  Vincenzi,  1902  (d.  d.  R.  Dep.  di  Storia 
patria  di  Reggio) 

Fortunato  (Giustino).  Il  castello  di  Lagopèsole.  —  Trani,  Vecchi,  1902 
(d.  d.  A.). 

FuMAGALU  (Carlo).  Il  Castello  di  Milano  e  i  suoi  Musei  d'arte.  Tav.  60 
in  eliotipia.  —  Milano,  Montabone,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

C^AMBELu  (C).  Il  u  Licini  forum  »  e  gli  «  Orumbovii  »  (Orobii).  —  Mi- 
lano, tip.  edit.  Cogliati,  1897  (d.  d.  Editore). 

CriAifETTi  (Alessandro).  Un  poeta  dialettale  dimenticato.  —  Milano,  Mar- 
chi, 1902  (d.  d.  s.  A.). 

GmuETTi  (C).  Due  battaglie  combattute  nel  secolo  XIX  a  Montebello  nel 
Vogherese.  —  Casteggio,  1902  (d.  d.  s.  Motta). 

(ioRRiNi  (Giacomo).  Il  Comime  Astigiano  e  la  sua  storiografia.  —  Fi- 
renze, Ademollo,  1884  (d.  d.  s.  Novati). 

(ìreppi  (Giuseppe).  La  rivoluzione  francese  nel  carteggio  d'un  osserva- 
tore italiano  (Paolo  Greppi),  voi.  IL  —  Milano,  Hoepli,  1902  (d.  d.  s.  A.^. 

(jrasso  ^Gabriele).  S.  Ottone  Frangipane  nella  storia  e  nella  leggenda. 
Conferenza.  —  Ariano,  tip.  Appulo-Irpino,  1901  (d.  d.  A.). 

Gratiolus  (P.).  De  praeclaris  Mediolani  aedificiis.  —  Mediolani,  in  re- 
gia Curia,  1735  (d.  d.  s.  dott.  C.  Redaelli). 

Hartmann  (L.  M.).  Corporis  Chartarum  Specimen.  —  Roma,  Loescher, 
1902  (d.  d.  A.). 


OPERE  PERVENUTE   ALLA   BIBLIOTECA   SOCIALE 


489 


Rosmini  (Per  Antonio)  nel  primo  centenario  dalla  sua  nascita,  voi.  2.  — 
Milano,  Tip.  Eldit  Cogitati,  1897  (d.  d.  Elditore). 

)\  Sant'Ambrogio  (Diego).  Un  presumibile  resto  scultorio  del  disperso  sar- 
cofago al  giureconsulto  Giacomo  Bossi  del  135^  in  S.  Marco  di  Affi- 
lano. ~  Milano,  tip.  degli  ingegneri,  1902  (d.  a.  s.  A.). 

ScHERiLLO  (Michele).  I  limiti  della  poesia.  —  Milano,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

SiMOifSFELD  (H.).  Mail&nder  Briefe  zur  bayerischen  und  allgemeinen 
Geschichte  des  16.  Jahrhunderts.  —  MOnchen,  K.  Akademie,  1902, 
2  voi.  (d.  d.  A.). 

Sommi  Picenardi  (Guy  F.,  bailli).  Itinéraire  d*un  chevalier  de  Saint  Jean 
de  Jérusalem  dans  Pile  de  Rhodes.  —  Lille,  Desclé,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

^  Università  commerciale  Luigi  Bocconi.  Statuto  e  Programma.  —  Milano, 
Martinelli,  1902  (d.  della  Fondazione  Bocconi). 

ViRGANi  (dott  Giovanni).  Pio  istituto  di  maternità.  Parole  lette  all'Adu- 
nanza Generale  dei.  Benefattori.  —  Milano,  Pirola,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

VnAU  (L.).  Il  principio  religioso  nella  vita  e  nelle  opere  di  A.  Manzoni. 

—  Milano,  tip.  edit  Cogliati,  1899  (d.  d.  Editore). 

Zdtschrift  der  historisch.  Gesellschaft  fOr  die  Provinz  Posen,  XVI  Jahrg* 

—  Posen,  1901  (d.  d.  s.  Motta). 


35  giMgno  igo9. 


Il  Bibliotecario 
B.  Sanvisentl 


Arck.  Star.  Umb.,  Anno  XXIX,  Fmc.  XXXIV. 


32 


•        I 


IPTDIOl^ 


MEMORIE. 

Achille  Ratti.  Il  probabile  itinerarìo  della  fuga  di  Ariberto 
arcivescovo  di  Milano,  da  un  suo  autografo  iniedito.  (Con 
tavola) Pag.        5 

Gkbolamo  Biscaro.  La  Compagnia  della  Braida  di  Monte  volpe 

nell'antico  suburbio  milanese  ed  il  suo  Statuto  del  1240  .    »  a6 

Carlo  Pellegrini.  Fonti  e  Memorie  storiche  di  S.  Arialdo     .    n         60 

Giacinto  Romano.  Tornandoci  sopra  (A  proposito  di  alcuni  re- 
centi studi  sul  matrimonio  di  Valentina  Visconti  col  duca 
di  Touraine) »  99 

Antonio  Battistella.  Notizie  sparse  sul  Sant'Officio  in  Lom- 
bardia duranti  i  secoli  VI  e  VII »        lai 

Fedele  Savio.  Una  lista  di  vescovi  italiani  presso  S.  Atanasio.    »        333 

Rodolfo  Maiocchl  Milanesi   prigionieri  di  guerra  in  Pavia 

nel  1247 n        249 

Giuseppe  Riva.  Un  codice  sconosciuto  di  privilegi  bergamaschL    »        277 

Francesco  Tarduco.  Gianfrancesco  Gonzaga  signore  di  Man- 
tova (1407-1420).  Studi  e  ricerche »        310 

Carlo  Salvioni.  Nomi  locali  lombardi n        361 

VARIETÀ. 

Achille  Varisco.  Lo  Staio  di  Monza Pog.    139 

SoLONE  Ambrosoll  Una  moneta  milanese  anonima  dei  succes- 
sori di  Giovanni  Visconti.  (Con  illustrazioni)  .        .    «        14^ 

Diego  Sant'Ambrogio.  Una  lettera  inedita  di  S.  Carlo  a  pro- 
posito della  Cappella  della  Concezione  di  S.  Francesco   .    «        146 

Eiouo  Motta.  Carnevale  in  Milano  nel  1590     ....    «        149 


INPICE  491 

Emanuele  Greppi.  Un  tragico  eminente  discusso  e  giudicato 

nella  corrispondenza  privata  di  due  illustri  lombardi       .  Pag.    165 

Agostino  Zanelll  I  porci  di  Sant'Antonio  in  Brescia      .        .    n        377 

Ettore  Verga.  Una  condanna  a  morte  contro  Carlo  Visconti 

figlio  di  Bernabò »        387 

F.  K  CoMANi.  Mastino  Visconti »        395 

Feucs  Fossatl  Per  l'ingresso  di  Cristiema  Sforza  in  Vigevano.    »        400 

BIBLIOGRAFIA. 

Ettore  Verga.  —  Felice  Tocco,  Guglielmina  Boema  e  i  Gu- 
glielmitL  —  U  Processo  dei  Guglielmiti.  —  Nuovi  docu- 
menti intomo  all'eresia,  in  Milano Pag^    169 

F.  N.  —  A,  Colombo,  L'alloggio  del  Podestà  di  Vigevano  e  il 

palazzo  del  Comune  nel  secolo  XV »        173 

Ettore  Verga.  —  B,  Feliciangeli.  Sull'acquisto  di  Pesaro  fatto 
da  Cesare  Borgia.  —  Il  matrimonio  di  Lucrezia  Borgia 
con  Giovanni  Sforza  signore  di  Pesaro       ....    »         ivi 

F.  N.  —  A,  Mazzi,  Sulla  biografia  di  G.  Michele  Alberto  Carrara    »        175 

F.  N.  —  Gaetano  Capasso,  Il  Collegio  dei  Nobili  di  Parma    .    f        176 

F.  N.  —  E,  Motta.  Alcune  lettere  d' illustri  Italiane  tratte  dagli 

autografi  in  Trìvulziana n        181 

F.  N.  —  F,  Sforza,  Il  Manzoni  giornalista       ....    »        182 

G.  Calvi.  —  Nino  Smiraglia  Scognamiglio,  Ricerche  e  docu- 

menti sulla  giovinezza  di  Leonardo  da  Vinci  (1452-1482). 

—  G,  B,  De  Toni.  Frammenti  Vinciani       ....    »        183 

Bw  Nogara.  —  E.  Seletti.  Marmi  scrìtti  del  Museo  Archeolo- 
gico di  Milano »        413 

Arturo  Magnoca vallo.  —  Reinhold  Róhricht,  Deutsche  Pilger- 
reisen  nach  dem  Heili^en  Lande.  —  Geschichte  dee  Ersten 
Kreuzzuges *        4x5 

F.  M.  —  G,  Secco  Suardi,  Il  palazzo  della  Ragione  di  Bergamo 
ed  edifici  ad  esso  adiacenti.  —  L'antica  demolita  basìlica  di 
S.  Alessandro  in  Bergamo v        419 

F.  M.  —  Luca  Beltrami,  Leonardo  da  Vinci  e  la  sala  delle 

«  Asse  9  nel  Castello  di  Milane »        420 

Francesco  Malaguzzi.  —   Cesare  Faccio.   Giovanni    Antonio 

Bazzi  (Il  Sodoma)  pittore  vercellese  del  secolo  XVI  »        422 


Forschungen  zur  Gescht- 
Pag-    4a8 

irda  (dicembre  1901-giu- 
-190-43» 

NOTIZIE. 

le.  —  Lexicon  abbrevìalu- 
'iscrizione  d'Alba  (F.  N.)- 
lano  nel  secolo  decimo- 
campane  milanese  del 
ata  a  Naiivilalt  (Ettore 
[l'arte  dei  Fustagnari  a 
logio  a  sveglia  nel  se- 
indazione  dell'Oratorio 
Gio).  —  L'Alciato  a  Fer- 
ese.  —  Necrologio:  Gè- 
Pag.    ai6 

—  Che  cosa  sono  i  pa- 

to  di  storia  vigevanasca 

tm).  —  Una  riforma  del 

azzo  Visconti  (F.  E.  Co- 

;se.  —  Un  ginnasta  mi- 
Lodovico  il  Moro  dal 

.ni   in  ValteUina   e   nei 

1  del  calendario  (A.  Cap- 

Micca   nella   Val  d'Os- 

izionale  di  Scienze  sto- 
suoi  Musei  d'Arte.  — 
del  Ghilini.  —  Famiglie 

orsi  a  premi  .  .     ■         461 

TORICA  LOMBARDA, 
braio  e  8  giugno  tpoa: 

«w-  478 

«a  della  società  nel  I  e 


rente-responsab  %U . 
'  Cono  P.  RoilKDi.  17. 


\  : 


ARCHIVIO  STORICO  LOMBARDO 


I 


ARCHIVIO  STORICO 

LOMBARDO 


GIORNALE 


DELLA 


SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


SERIE  TERZA 


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'  ^-F  a- 


ARCHIVIO  STORICO 


LOMBARDO 


GIORNALE 


DELLA 


SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


SERIE  TERZA 


VOLUME  XVIII  —  ANNO  XXIX 


MILANO 


SEDE 

DELLA  SOCIETÀ 

Castello  Sforzesco 


LIBRERIA 

FRATELLI  BOCCA 
Corso  Vitt.  Em.,  21 


1902. 


La  proprietà  letteraria  è  riservata  agli  Autori  dei  singoli  scritti 


Milano  -  Tip.  L.  F.  Cogliati  -  Corso  P.  Romana.  17. 


PER  UNA  NUOVA  EDIZIONE 


DEL 


**  liber  de   gestis   in   ci  vi  tate   Mediolani  ,, 


DI 


Fra  STEFANARDO  DA  VIMERCATE 


VENDO  ricevuto  l'onorevole  incarico  di  preparare  una 
nuova  edizione  del  poema  di  f  ra*Stef  anardo  per  quella 
coraggiosa  ristampa  dei  Rerum  Italicarum  Scriptores 
intrapresa  dal  Lapi  di  Città  di  Castello  ;  a  cui  permette  di  bene 
augurare  la  direzione  di  G.  Carducci  e  V.  Fiorini,  credo  oppor- 
tuno pubblicare  alcune  considerazioni  che  ho  avuto  agio  di  fare 
nei  miei  studi  preparatori,  invocando  le  osservazioni,  le  corre- 
zioni, le  aggiunte  di  qucinti  vorranno  portar  nuova  luce  in  queste 
ricerche.  Non  ebbi  mai  altro  scopo  che  quello  di  trovar  il  vero, 
e  ringrazierò  di  cuore  chiunque  mi  darà  il  mezzo  di  fare  im  passo 
oltre  a  quel  limite  a  cui  solo  mi  permisero  di  giungere  le  mie  forze. 


I.  Osservazioni  sulle  edizioni  muratoriane  del  poema. 

Il  poema  del  frate  domenicano  fu,  per  la  prima  volta,  pub- 
blicato nel  17 13  da  L.  A.  Muratori  nel  to.  Ili  dei  suoi  Anecdota  (i). 
Riguardo  al  codice  ambrosiano  da  cui  lo  aveva  ricavato,  il  Mu- 
ratori, nella  sua  prefsizione,  non  ci  dice  altro  se  non  questo  :  «eius 
cHistoriam  (di  Stefanardo),  quam  ex  Cod.  ms.  Bibliothecae  am- 


(1)  Anecdota,  quae  ex  Ambrosianae  bibliothecae  codicìbus  nano  primum 
eruit  Ludovicus  Antonius  Muratorìus  Sereniss.  Rainaldi  I  Mutinae,  etc. 
Ducis  Bibliothecarius  to.  III.  Patavii,  typis  Seminarii,  M.DCC.XIII. 


iris  public!  facio,  non 
m  in  calce  mutilam  *  ; 
em..,.  qui  res  sub  oculis 
;,  quam  Stephanardus 
e  (erant  in  ms.  codice 
s  u  s,  quas  retinuia.  Le 
unque  scorra  l'edizione 
oi  qui  pubblicate  sono 
el  libro  primo. 
,  del  codice,  che  valga 
lè  ci  dice  chi  sia  stato 
vi  per  l'edizione. 

Muratori  ripresentava 
egli  dice  chiaramente, 

correzione  di  date,  la 
ima  per  gli  Anecdota, 
Historìam»  di  Stefa- 
anae  Lit  S.  num.  35, 
I.  erano  «  lacunae  quae- 
1  fa  più  parola  delle 
'ate  nel  codice  apposte 

;tto  all'edizione  prece- 
>go  che  tnotulas....  in 
no3Ìs  quibusdam  locis 
ratiot  nova  haec  editio 
conferretur  cum  ma.to 
cum  in  ordioem  redi- 
othecae  Aaibrosianae. 
i  Praefectus  collocavit 
aiuto  di  questo  nuovo 
Argelato  nostro,  plura 
1  cioè  supplito  a  molte 
iù,  ciò  che  il  Muratori 
>  divisi  in  capitoli,  se- 
,n  margine,  appone,  ad 
egli  A.  invece  il  Mu- 
to va  edizione  del  poema, 
ùo  del  Muratori. 


DEL  LIBER  DE  OESTiS  IN  ClVlTATE  MEDIOLANI  ^ 

ratori  aveva  sol  distinti  i  due  libri,  e  nel  primo  di  essi,  ad  una 
specie  di  prefazione  che  comprende  i  vv.  1-34,  aveva  fatto  se- 
guire un  $  I  coi  w.  35-66  dopo  cui  s'apriva  un  $  II  che  non  pre- 
sentava più  limiti  precisi,  mancando  in  seguito  ogni  determina- 
zione di  paragrafi.  Nel  modo  stesso  che  il  Muratori  trovava  note 
marginali  nel  suo  codice  solo  per  i  primi  66  versi,  così  anche 
solo  per  questi  rilevava  le  divisioni  in  paragrafi. 

In  generale  però  l'edizione  del  1726  è,  nel  testo,  proprio  la 
riproduzione  di  quella  del  171 3,  colle  stesse  lacune  e  colle  stesse 
scorrezioni  :  i  miglioramenti  che  furono  ricavati  dal  ms.  Ambro- 
siano, cosi  è  sempre  chiamato  O.  161,  mentre  con  Codex  o  Codex 
ms.  si  allude  solo  a  S.  35,  si  fermarono  solo  nelle  note.  A  pie  del 
testo  nel  v.  IX  del  R.  I.  SS.  troviamo  due  sorta  di  note.  Abbiamo 
note  cioè  die  diremo  critiche  (distinte,  in  genere,  con  lettere  del- 
l'alfabeto o  asterischi)  nelle  quali  si  colmano  le  lacune  del  testo, 
o  si  correggono  errori  che  questo  presenta,  con  lezioni  ricavate  da 
O.  161  :  note,  in  una  parola,  che  ci  presentano  la  collazione  di 
O.  161  col  testo  del  1713  qui  riprodotto. 

Accanto  alle  note  critiche  ne  abbiamo  delle  storiche  (con- 
traddistinte in  generale  da  numeri  arabici),  dovute  all'editore  il 
quale  usufruì  pure,  incorporandole  nelle  sue,  quelle  antiche  anno- 
tazioni che  aveva  pubblicate  negli  A  e  che  già  aveva  dette  rica- 
vate dal  margine  del  Codex.  Ma  le  annotazioni  numerose  le  quali 
gremiscono  i  margini  del  tms.  ambrosiano!  (cioè  di  O.  161)  non 
furono  punto  comunicate  al  Muratori,  salvo  forse  rarissime  ecce- 
zioni, e  per  note  che  hanno  aspetto  di  glossa  (i). 

Stando  dunque  a  quel  che  appare,  l'edizione  del  1726  sem- 
brerebbe suffragata  dall'autorità  di  due  codici  :  a  fondamento  del- 

(i)  Ecco  le  annotazioni  di  O.  161  che  il  Muratori  conosce  (oltre 
aUe  antiche  già  ricordate,  apposte  ai  primi  66  vv.  del  poema>  che 
egli  diceva  trovarsi  in  S.  35).  Lib.  I,  §  2,  v.  65  :  alia  parola  Praetor  il  M. 
annota  :  ms.  ambrosianus  addii  in  margine  :  idest  Martinus  (in  realtà 
la  nota  non  è  marginale,  ma  interlineare);  lib.  I,  §  9,  v.  341,  a  DucisW 
M.  annota  :  ms.  ambrosianus  addii  in  margine  idest  Manfredi  ;  lib.  I,  §  io, 
v.  281  a  iyranno  il  M.  annota  :  ms.  ambrosianus  addii  in  margine  Mar- 
chioni  Pellavìclno.  Che  l'editore  non  conoscesse  le  altre  note  di  O.  161 
e'  è  testimonio  ciò  che  leggiamo  nella  nota  54  del  Muratori  a  lib.  I,  §  12, 
V-  539  dove  si  dichiara  non  sapere  a  che  voglia  alludere  il  poeta  par- 
lando della  montana  urbs  ricordata  nel  testo.  Nella  nota  relativa  di 
O.  161  ciò  è  ampiamente  spiegato. 


DEL   LIBER   DE    GESTIS   IN   CIVITATE   MEDIOLANI  9 

bile  tale  ipotesi  ?  la  logica  dei  fatti  non  ci  spinge  a  una  conclu- 
sione più  radicale  ?  a  far  cioè  dei  due  codici  una  cosa  sola  ? 

Notiamo  prima  di  tutto  che  oggidì  in  Ambrosicina  non  esiste 
una  copia  del  poema  di  Stefanardo  che  possa  identificarsi  col 
cod.  S.  35  del  Muratori  :  o,  a  dir  meglio,  mentre  noi  ci  aspetteremmo 
di  trovare  nella  biblioteca  due  copie  del  poema,  quella  che  il  Mu- 
ratori indicava  con  S.  35  e  quella  che  ricordava  come  trovata  dal 
Sassi  e  segnata  da  lui  con  O.  161,  invece  non  ne  troviamo  che 
una  sola  ;  troviamo  solo  quel   «  [codicem],  quem  a  se  repertum, 

•  ami  in  ordinem  redigeret  indigestam  Mstorum  molem  Bibliothe- 

•  cae  Ambrosianae,  clarissimus  vir  Joseph  Antonius  Saxius  eidem 

•  Praefectus  collocavit  sub  Litera  O.  num.  161  in  quarto.!  Del- 
l'altro manca  assolutamente  ogni  traccia  anche  per  il  passato. 

Il  cod.  segnato  oggi  con  O.  161  sup.,  è  in  biblioteca  fin  dal 
tempo  della  fondazione.  Il  primo  prefetto  dell'Ambrosiana  che 
fu  rOlgiati,  scrisse  di  sua  mano  sull'antiporta  del  codice:  tAn- 

•  tonius  Olgiatus  vidit  anno  1603  •  ;  e  il  suo  copista  vi  aveva  scritto 
più  sopra:  tFelicibus  Ill.mi  et  Rev.mi  Federici  Cardinalis  Bor- 

•  rhomaei  auspiciisi  ;  di  più  nei  fogli  cartacei  (sono  4,  di  cui  il 
I"  aderisce  alla  copertura  del  cod.  stesso)  che  precedono  i  per- 
gamenacei, e  precisamente  in  fol.  2  r.  e  3.  v.)  dove  troviamo  le 
varie  segnature  che  ebbe  il  codice,  di  mano  del  Sassi  leggiamo 
la  segnatura  attuale  O.  161.  Ma  prima  ve  n'erano  altre  ora  can- 
cellate e  che  son  pur  tutte  segnature  ambrosiane  :  cioè  Q.  e  poi  R. 
ed  infine  S.  35.  Il  codice,  posto  dapprima  nello  scaffale  Q,  passò 
poi  fn  R  e  finalmente  in  S.  Quando  ai  codici  collocati  nei  vari 
scaffali  venne  apposto  un  numero  progressivo,  al  nostro  codice, 
che  era  nello  scaffale  S,  fu  dato  il  n.  35.  S.  35  valse  dunque  ad 
indicare  il  codice  prima  che  il  Sassi  (e  171 2),  nel  riordinamento 
della  biblioteca,  vi  sostituisse  di  sua  mano  la  segnatura  O.  161. 
S.  35  ed  O.  161  indicherebbero  dunque  lo  stesso  codice,  ma  in 
tempi  differenti  (i). 

Né  in  quel  periodo  di  tempo  in  cui  il  Muratori  trovavasi  a 

(0  Oggidì  con  S.  35  sup.si  indica  in  Ambrosiana  un  cod.  membran. 
del  sec.  XV  (1450),  contenente  : 

a)  Af.  Tulli  Ciceronis  iusculanarum  quaestionum  libri  V, 

b)  Leonardi  Aretini  elegantissima  epistola  ad  dominam  Baptistam, 

Nell'antiporta  del  cod.  la  segnatura  S.  35  ne  sostituisce  una  ante- 
riore cancellata,  cioè  Q. 


DEL  LIBER  DE   GESTIS  IN  CIVITATE   MEDIOLANI  II 

ste  due  opere  t  Fr.  Stephanardi  de  Vicomercato  Ord.  Praedicator. 
e  Poema  duobus  libris  distinctum,  de  gcstis  Ottonis  Vicecomitis 
f  Archiepiscopi  Mediol.  concors  cum  codice  membranaceo  BibL 
tAmòrosianae^  (i). 

Prima  della  venuta  del  Muratori  a  Milano,  dopo  la  sua  par- 
tenza noi  non  conosciamo  dunque  che  un  sol  codice,  il  membra- 
naceo, che  anche  oggidì  conservasi  fra  tanti  tesori  :  non  è  quindi 
impossibile  che  fosse  pur  visto  dal  Muratori  mentre  portava  la 
segnatura  S.  35. 

*  * 

Ma  dalle  indicazioni  muratoriane,  nulla,  assolutamente  nulla 
appare,  che  ci  autorizzi  a  far  dei  due  codici  due  fonti  distinte? 

Togliamone  naturalmente  le  lacune,  gli  errori  che  sono  in 
maggior  numero  in  S.  35  e  meno  copiosi  in  O.  161  :  come  ve- 
dremo, ciò  non  implica  punto  che  i  due  codici  siano'  due  cose 
differenti  :  implica  sol  lettura  più  o  meno  diligente  dello  stesso 
testo.  Rispondo  subito  che  non  solo  nulla  ci  autorizza  a  far  di 
S.  35  e  di  O.  161  due  codici  distinti,  ma  tutto  invece  ci  induce  a 
confonderli  in  una  fonte  sola.  Notiamo  qualche  difficoltà  appa- 
rente. 

Nell'edizione  del  poema  in  A.  Ili  il  Muratori  dichiarava  di 
trovar  nel  suo  codice  S.  35  note  che  illustravano  solo  i  priores 
versus:  mentre  in  O.  161  le  note  proseguono  per  tutto  il  poema. 
Parrebbe  trattarsi  proprio  di  due  codici  differenti  ;  invece  non 
abbiamo  che  una  descrizione  inesatta  del  solito  codice  e  ci  spie- 

(i)  Autore  della  copia  è  Gio.  Antonio  Trivulzìo  che  il  Litta  {Fa- 
migiie  celebri  italiane^  XIV,  famiglia  Trivulzio  di  Milano,  tav.  i)  dice 
iscritto  nel  1706  al  Collegio  dei  nobili  giureconsulti,  e  lettore  pubblico 
nelle  scuole  Canobbiane.  Morì  il  17  gennaio  del  1767  di  90  anni,  ultimo 
del  suo  ramo.  Però  nel  cod.  ambrosiano  T.  102  sup.  conservansi  alle- 
gati dal  Mazzuchelli  parecchi  fascicoli  cartacei  contenenti  "  Estratti  da  un 

*  cod.  cartaceo  del  sec.  XVIII,  di  casa  Trivulzio,  che  contiene  il  viaggio 

•  in  Terra  Santa  di  Roberto  Sanseverino  ed  altri  del  1458  „  in  fine  ai 
quali  notasi  che  la  scrittura  di  questo  cod.  pare  di  Gio.  Antonio  Tri- 
vulzio dottor  di  Collegio,  e  si  ricorda  il  suo  testamento  del  1768  con 
CUI  lasciò  vari  codd.  all'Ambrosiana  specialmente  quelli  del  Carisio, 
mentre  lasciava  i  suoi  codd.,  la  sua  libreria  e  sostanza  al  marchese 
Giorgio  Trivulzio.  Notiamo  che  nella  copia  trivulziana  le  note  marginali 
del  cod.  ambrosiano  furono  omesse  completamente.  Devo  alla  cortesia 
e  dottrina  dell*  ing.  E.  Motta  queste  notizie  sul  Trivulzio. 


f 


DEL   LIBER   DE   GESTIS   IN   CIVITATE    MEDIOLANI  I3 

risco  richiama  a  una  nota  marginale  nell'edizione  stessa  tgnies  ac 
crates». 

In  R.  L  SS.  quel  verso  si  legge  pure  così  : 

cCassis  et  umbo  graves  ac  certos  excipit  ictus»  e  il  M.  vi 
amiota  (nota  4)  :  e  In  margine  Msti  »  (con  la  qual  denominazione 
sappiamo  che  intende  il  suo  S.  35)  t  legitur  :  grues  ac  crates  bellicae 

•  artis  machinamenta.  Ms.  Ambrosianus    (cioè  O.  161),  in  textu 

•  legit  crates,  » 

In  O.  161  la  lezione  di  quel  verso  è  : 

«Cassis  et  umbo  grues  ac  crates  excipit  ictus»,  e  in  margine 
niuna  nota  riguarda  grues  ac  crates  ;  sì  bene  ve  n'è  una  per  excipit^ 
per  avvertirci  che  qui  abbiamo  uno  zeugma. 

In  S.  35  vi  sarebbe  dunque  stata  una  nota  marginale  che  in 
0.  161  non  c'è?  Niun  bisogno  di  supporre  tutto  ciò:  chi  lesse  il 
testo  di  Stefanardo  per  l'edizione  del  171 3  trovando  nel  v.  492 
le  due  abbreviature  t  gues  ac  ctes  »  si  trovò  in  dubbio  se  scioglierle 
in  •  graues  ac  certos  »  o  t  grues  ac  crates  »  ;  e  se  nel  testo  accolse 
la  prima  lettura,  pose  in  margine,  come  dubbia,  questa  che  pur 
avrebbe,  secondo  lui,  potuto  sostituirsi. 

Il  Muratori,  avanti  a  questo  dubbio  che  trovava  nelle  sue 
carte,  si  credette  autorizzato  alla  supposizione  che  quella  variante 
fosse  nel  majgine  del  ms.  La  notizia  che  grues  ac  crates  fossero 
«bellicae  artis  machinamenta»  appartiene  per  intero  all'annota- 
tore, e  il  povero  lettore,  fra  quelle  due  lezioni,  con  quel  crates 
attribuito  a  O.  161  accanto  a  un  graves  resterà  maggiormente  per- 
plesso, se  pure  non  sarà  da  quest'ultima  indicazione  messo  sulla 
buona  via  per  interpretare  bene  le  due  abbreviazioni. 


*  * 

Ma  in  che  modo  furono  preparate  le  due  edizioni  del  poema  ? 

I  quattro  volumi  degli  Aneddoti  latini  veimero  stampati  a 
due  riprese  :  i  primi  due  mentre  il  Muratori  era  tuttora  a  Milano, 
dottore  della  biblioteca  Ambrosiana  (febb.  1695  -  ag.  1700)  e  a 
spese  dell'autore,  dal  Malatesta,  negli  anni  rispettivi  1697,  1698. 
Il  terzo  ed  il  quarto  volume,  dopo  molte  difficoltà,  furono  final- 
mente stampati  nel  17 13  a  Padova,  a  spese  di  quel  Seminario  (i), 
quando  il  Muratori  mancava  già  da  Milano  da  13  anni. 

À  l!l  ^'^^^'  '**^^ite  di  L.  A.  Af.   tratte  dagli  autografi  della  biblioUca 
r'jyana  da  A.  Ceruti  (in  Misceli,  disi.  Ital.,  Vili,  1869,  p.  303,  305), 
•  ^  ^^^^'  del  4  maggio  e  25  giugno  1713. 


/ 


DEL   UBER  DE  GESTIS  IN  CIVITATE   MEDIOLANI  15 

codice  di  Stef  anardo  (il  membranaceo  pure  a  noi  noto)  e,  uomo  di 
senso  crìtico  acutissimo,  compresane  l'importanza,  averne,  in  fretta, 
distratto  da  altri  studi,  tratta  copia  o  fattala  trarre  da  altrì.  Non 
pubblicò  subito  il  poema,  pensando  però  già  probabilmente  di  in- 
serirlo in  alcuno  dei  suoi  volumetti  di  Aneddoti.  Ai  due  primi,  già 
editi  nel  1698,  secondo  il  suo  disegno  primitivo,  doveva  seguire 
un  voliunetto  di  cose  greche  (i).  Ma  intanto  raccoglieva  pur 
altro  materiale  oltre  a  quel  greco  e  fra  le  cose  preziose  da  lui  rac- 
colte in  quel  tempo,  dobbiamo  porre,  molto  probabilmente,  an- 
che il  poema  (2). 

Ma  se  il  materiale  per  nuovi  volumi  era  pronto,  non  era  pos- 
sibile trovar  editori  ed  egli  non  intendeva  far  altre  pubblicazioni, 
troppo  costose  per  la  sua  borsa  modesta,  a  sue  proprie  spese,  come 
aveva  fatto  per  i  primi  due  volumi  di  Aneddoti  (3).  Nel  1709 
riusciva  a  far  stampare  i  suoi  Aneddoti  greci,  ma  i  latini  manca- 
vano sempre  di  un  editore  (4). 

Finalmente  nel  1710  (5),  ricevette  la  lieta  notizia  che  il  car- 

(i)  Campori,  Epistolario,  ecc.,  II,  408*9,  letr.  32  sett.  1699  ^^^  A*  M. 
Salvini  in  Firenze  :  "  Io  ho  già  rozzamente  trasportato  in  latino  mol- 
tissimi versi  di  S.  Gregorio  Nazianzeno,  che  non  sono  comparsi  finora 
in  pubblico.  Ho  fatto  lo  stesso  a  46  epistole  di  Fermo  vescovo  di  Ce- 
sarea, che  visse  nel  sec.  V....  Vorrei  congiungere  a  queste  lettere  assai 
brevi,  una  supposta,  nel  medesimo  sec.  a  Giulio  papa  I,  e  tutto  dare 
•He  stampe,  se  mai  possibile,  e  formarne  il  terzo  tonrietto  de*  miei  AntC" 
ào(t„„  ^  Formarono  poi  invece  un  to.  a  sé  col  titolo  di  Anecdota  greca^ 
che  fu  stampato  a  Padova,  coi  tipi  del  Seminario  nel  1709. 

(3)  Campori,  Epistolario,  II,  419  (lettera  6  febbraio  1700  —  Milano, 

a  Gio.  Francesco  Bergomi)  :  il  M.  parlando  delle  sue  opere  dice  di  aver 

pubblicato  *  due  torneiti  in  quarto  di  opere  che  si  conservano  inedite 

ne*  vari  ms.  di  questa  insigne  biblioteca  (I.  Ambrosiana)  ^^  e  di  avere 

pare  designato  di  stamparne  •  tre  altri  simili.  „ 

(3)  In  data  IV  kal.  sept.  1709  a  Gio.  Alberto  Fabrizio  in  Helmstad 
8cnvcva  appunto  che  ai  primi  due  tomi  di  Anecdota  latina  ne  avrebbe 
voluto  aggiungere  altri  •  duos  aut  tres  ,  •  iam  praelo  paratos,  sed  quibus 

nondum  typographus  est  repertus  ,  (Campori,  op.  cit.,  III,  11 13). 

(4)  11  21  giugno  1709  riferiva  ad  A.   F.  Marmi  in   Firenze  la  buona 
ventura  toccata  ai  suoi  *  Anecdoti  greco-latini,  1,  che  faranno  un  to.  in-4  „ 
Ola  diceva  non  trovare  chi  si  prendesse  la  cura  di  stampare   il  resto 
Qci  suoi  AnécdoH  latini,  *  Così  va  in  Italia.  È  un  miracolo  che  non  ca- 
dano a  tutti  le  braccia.  ,  (Campori,  op.  cit..  Ili,  10921093). 

(5)  Campori,  op,  cit.,  HI,  1166.  lett.  a8  marzo  1710  ad  Ant.  Vallis- 
nicri  in  Pàdova. 


r  al  Seminario  di  Padova 
1  Muratori  si  accinse  tosto 
linare  il  materiale  raccolto 
a  sua  copia  di  Stefanardo 
ree  come  saggio,  sol  poche 
il  codice,  e,  ingannato  dalla 
L  esatta  del  codice  ambro- 
a  la  signatura  che  presen- 
iva  (S.  35)- 
a  probabilità  da  quanto  si 

a  Milano,  aveva  pronto  il 
i  :  riterrei  ciò  come  sicuro, 
esso.  Se  altri  volesse  invece 
e  mani  il  codice  di  Slefa- 
lorìa  nei  suoi  ■  zibaldoni* 
per  averne  copia,  non  po- 
I  a  sostegno  della  sua  tesi, 

sé  un  silenzio  inesplicabile 
ui  si  fa  cenno  di  un  simile 
che  il  M.  in  tal  caso  nella 
almeno  una  parola  al  5uo_ 
una  nota  meno  personale 

Ambrosiana,  ne  diventava 
e  il  Muratori  gli  scriveva 
milmente  mi  rallegro  con 
re  i  mss.  dell'Ambrosiana, 
uo,  e  che  può  ser\ire  a  lei 

èva  aver  pronto  il  suo  ma- 
uindi  essere  stato  dato  prima 
re  del  Muratori  non  sia  ri- 
;?  Eppur  non  era  cosa  da 
dopo  le  diligenze  del  Carn- 
ai non  sarà  fadle  pensare  a 


o^  e  nd  1711  venne  devato 
I,  che  resse  dal  1711  al  1751. 


DEL   LIBER   DE   GESTIS   IN   CIVITATE   MEDIOLANI  I^ 

f  assaissimo  per  aiuto  dei  disegni  già  fatti  e  per  concepirne  dei 
f  nuovi.  Io  pure  ho  maneggiato  e  più  d*una  volta  tutti  cotesti  mss. 
f  avendo  anche  notato  ne'  miei  zibaldoni  ciò  che  riguardava  le  mie 
fidee  letterarie.»  In  quella  circostanza  probabilmente  il  codice  di 
Stefanardo  aveva  mutato  segnatura,  ed  era  stato  contrassegnato 
con  0.  i6i. 

Quando  si  trattò  di  ripubblicare  il  poema  di  Stefanardo  nel 
t  IX  dei  R.  L  SS.,  il  Muratori  pensò  di  ripetere  l'edizione  del  17 13, 
però  l'Argelati,  il  suo  braccio  destro  in  tutti  quei  lavori  che  si  ri- 
feriscono all'opera  immane  dei  Rerum,  il  quale  per  lui  si  era  sta- 
bilito a  Milano  fin  dal  1721,  gli  presentò  come  un  codice  nuovo 
quello  che  in  realtà  era  già  stato  adoperato  per  l'edizione  prece- 
dente, ora  però  contrassegnato  con  O.  161,  della  cui  scoperta  il 
Muratori  attribuiva  il  merito  al  Sassi.  Probabilmente  l'Argelati 
fu  tratto  a  tale  giudizio  dalla  mutata  segnatura  e  dal  confronto 
fra  l'edizione  del  1713  e  O.  161  :  tanto  migliore  e  piti  completa 
gli  pareva  la  lezione  del  suo  codice  !  E  ne  ricavò  aggiunte  o  cor- 
rezioni in  buon  numero,  ma  tutto  questo  miglioramento  rimase 
nelle  note,  che  il  testo  si  conservò  quello  del  17 13.  Forse  l'Argelati 
ebbe  pure  il  torto  di  nulla  dire  al  Muratori  delle  note  ricche  e  co- 
piose che  illustravano  il  codice,  e  il  M.,  nella  sua  nuova  edizione, 
non  credette  neppur  necessario  riprodurre  isolate  le  note  che  aveva 
già  pubblicate  nel  17 13,  contentandosi  di  incorporarle  nelle  sue 
annotazioni  che  appose,  in  generale,  a  tutto  il  poema. 

Da  quanto  ho  detto,  mi  par  dunque  che  nulla  ci  autorizzi  a 
"^^aginarci  una  copia  del  poema  (diversa  dall'attuale  O.  161) 
conservata  un  dì  nell'Ambrosiana,  di  cui  oggi  si  sarebbe  perduta 
ogni  traccia  :  tutto  invece  ci  induce  a  credere  che  i  cod.  S.  35  ed 
^-  ^61  siano  una  cosa  sola. 

Ammesso  ciò,  è  assai  facile  fissare  il  criterio  per  la  nuova  edi- 
zione, a  base  della  quale  deve  esser  posto  il  codice  Ambrosiano 
^-  J6i,  relativamente  antico  (i)  ed  autorevole.-  di  più  l'unico  co- 
^sciuto.  Né  dovranno  esser  trascurate  le  ricche  note  marginali 

il  codice  ci  presenta  a  illustrazione  del  poema  ;  esse  non  pos- 
ano staccarsi  dall'edizione  del  poema  stesso,  di  cui  sono  com- 

y)  Vedremo  a  suo  tempo  che  ardua  questione  sia  fissare  l'età 
P»-ccisa  del  cod. 

^rch  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV.  a 


orse  attribuir  loro  tutta  l'im- 
ler  Egger  nel  supporne  autore 


DEL   POEMA   OLTRE   IL   CODICE 

già  ricordate  del  codice  ambro- 
aiore  per  l'edizione  del  poema, 
lo  conservi,  per  quanto  io  sap- 
emmo, chiamava  il  codice  Am- 
1  ricavare  l'edizione  del  poema, 
contentarsi  di  ricavare  il  testo 
ilmente  trovar  ricordo  di  altri 
ricavarne  confronti  con  quelle 
Imposizione, 

le  cosa  strana,  che  del  poema 
loghi  conservatici  della  biblio- 
Biblioteca  che  per  primo  rac- 
eazzo  II.  ma  che  comprese  pure 
lente  dai  suoi  predecessori  ; 
ovarsi  un  libro  il  quale  nar- 
di un  Visconti,  di  quell'Ottone 
andezza  della  sua  casa,  quegli 
capo  dei  Capitani  e  dei  Val- 
:  pietà  per  i  vinti. 
1  dir  meglio,  io  non  ho  trovato 
ntificare  col  poema  di  Stefa- 
ca  compilato  nel  1426  ed  edito 
o  da  Ser  Facino  da  Fabriano 
i  I  Libri  dell'Ili. mo  S.re  Duca 
la  de  Pavia  a  dì  primo  octobre 
a  dì  s  detto  •  (3). 

:n],  wie    ich   glaube,    von    Autor 

bibliograficht  sulla  libreria  vi- 
:ompilate  ed  illustrate  con  docu- 
G.  D'Adda),  Milano,  1875,  par.  1, 

eodici   della    biblioitca   visconlto- 


DEL   LIBER  DE   GESTIS    IN   CIVITATE  MEDIOLANI 


19 


Chi  invece  lo  ricorda  molto  spesso,  lo  usufruisce  come  fonte, 
e.  quello  che  per  noi  è  più  interessante,  ne  riporta  molti  versi  è  il 
noto  scrittore  di  storia  milanese  Galvano  Fiamma.  Vediamo  in 
quali  opere  di  lui  potremmo  trovar  traccia  del  nostro  poeta,  quali 
codici  ne  cita,  quali  notizie  ci  fornisce  intorno  ai  medesimi. 


*  * 


Il  compianto  prof.  L.  A.  Ferrai  (i)  ha  studiata  nel  suo 
complesso  l'opera  storica  del  Fiamma,  stabilendo  i  rapporti  fra 
le  varie  compilazioni  che  di  lui  ci  restano,  che  come  è  noto,  troppo 
il  Fiamma  si  dilettò,  per  servirci  di  una  energica  frase  del  pro- 
fessor Novati  (2)  per  molt'anni  di  t  sciupare  tempo  ed  inchio- 
stro a  travasare  d'uno  in  altro  zibaldone  sempre  la  stessa  indi- 
gesta congerie  di  notizie  storiche  ».  Veramente  a  noi  ora  questi  rap- 
porti interessano  meno  :  procederemo  quindi  con  quell'ordine  che 
a  noi  converrà  meglio  nell'esame  delle  opere  del  Fiamma  per  rin- 
venirvi le  traccie  del  nostro  poeta  (3). 

Sarà  facile  la  ricerca  per  alcune  di  queste  opere  conservate, 

sforzesca  rtdatio  da  ser  Facino  da  Fabriano  nel  14S9  e  1469,  in  Giornale 
storico  della  Letteratura  Italiana,  i,  1883,  p.  40  e  sgg.  Cfr.  G.  Mazza- 
tinti,  /  mss,  italiani  delle  biblioteche  di  Francia^  I,  Roma,  1886,  p.  LXV, 
e.  Ili;  i  codd.  pavesi  della  biblioteca  di  Biois. 

(i)  Le  cronache  di  G,  Fiamma  e  le  fonti  della  Galvagnana  in  Bull, 
Isf.stor,  ital,^  n.  io,  1891,  p.  93  e  sgg.  Ecco  la  successione  cronologica 
delle  opere  del  Fiamma  che  egli  stabilisce  :  la  Galvagnana^  la  Cronica 
fxtravagans,  la  Cronica  maior  di  cui  è  parte  VOpusculum  de  rebus  gestis 
Aaonis  Vicecomitis.,,,^  la  Politia  novella^  il  Maptipulus  Florum,  Fan  gruppo 
a  sé  la  Chronica  ordinis  praedicatorum,  la  Chronica  ponti ficum  mediala- 
nensium.  Cfr.  Novati,  Bonvicini  de  Rippa  De  magnalibus  urbis  Medio- 
lani,  testo  inedito  del  1288  ricavato  da  un  cod.  madrileno  (in  Bull,  Ist. 
stor,ital.  n.  20,  Roma,  1898),  p.  42-43,  e  p.  44,  n.  3;  p.  46,  n.  2. 

(2)  Novati,  op,  cit.,  p.  35. 

(3)  Versi  di  Stefanardo,  a  quanto  ricordavami  il  prof.  F.  Novati, 
devono  pur  trovarsi  nella  Storia  e  Cronaca  dalle  origini  del  mondo  al 
//27  di  Domenico  Bordigallo  :  voluminosa  compilazione  inedita,  di  cui  il 
prof.  Novati  stesso  ha  parlato  in  Archivio  Veneto,  X,  1880,  p.  5  e  sgg. 
^  P-  327  e  sgg.  Noto  però  che  nell'elenco  dei  "  nomi  degli  autori  latini 
"  citati  dal  Bordigallo  nel  corpo  della  cronaca  »  e  in  quello  di  *  altri 
"  antichi  scrittori  „  (raccolti  dal  Novati  a  p.  27,  n^  2)  non  appare  quello 
di  Stefanardo,  sì  bene  incontriamo  il  nome  del  Fiamma.  Niente  di  im- 
probabile quindi  nel  supporre  che  dal  Fiamma  siano  pur  stati  mutuati 
quei  versi. 


7A  EDIZIONE 

uasi  !  per  altre  la  questione  sarà 

L  noi  troviamo  una  raccolta  di 
inf.  sec.  XIV),  descritta  per  la 
>S.  XI,  533  in  pref.  all'ediz.  del 
ide  :  la  Polilia  novella  (f.  i  r. 
31  r.  60  s),  la  Cronica  maiot 
f.  234  r.  alla  tne  del  codice,  cioè 

:  la  sola  fonte  nota  e  importante 
se  non  possono  più,  a  rigor  di 
s,  devono  però  sempre  esser  stu- 
o  edizioni  (2). 

ioni  son  riferiti  versi  di  Stefa- 
i  di  trovarli  nelle  opere  di  un 
del  sec  XIII,  vissuto  pur  nella 
sta  che  nel  convento  di  S.  Eu- 
:  trovare  i  migliori  sussidi. 
Fiamma,  come  ho  detto,  è  della 
ruasti  han  già  avuto  tempo  di 
r,  olire  quelli  che  devono  impu- 
saito  nel  riportare  Ì  testi  di  cui 
fie  il  Fiamma  manda  avanti  alla 
mpreso  il  nostro  poema,  citato 
metrica!  la  quale  })erò  non  è 
fra  i  libri  che  erano  nell'^Ar- 
«ne  «apud  fratrem  galvaneum 
■nm»,  il  che  non  deve  essere  la 

;rsi  di  Stefanardo  per  adattarli 
quelli  a  cui  aveva  pensato  l'Au- 

iferiti  alle  imprese  di  Lodrìsio, 
.turalmente  alterati  e  di  tanto 

suo  scopo  (3), 


fravagans  ha  pubblicato  dei  brani 
il,  1869  (pp.  50M73;  445-505)  e 
ìUlia  novtila.  UOpuseuiumt  fu  edito 

Mi  (i'cdiEore  dtM'OpmKMlum)  com- 


DEL   LIBER  DE   GESTIS   IN   CIVITATE    MEDIOLANI  21 

Altra  compilazione  del  Fiamma  troviamo  nel  codice  Brai- 
dense  A.  E.  X.  io,  che  forma  un'unità  col  cod.  Ambrosiano  A.  275 
inf.,  dovuti  Tuno  e  l'altro  alla  penna  di  un  Pietro  de  Ghioldis  che 
aveva  compita  Topera  sua  nel  1396.  Il  titolo  del  lavoro  è  :  «Incipit 
tcronicade  antiquitatibus  ciuitatis  mediolanensis  quam  edidit  fra- 
tter  galuaneus  de  la  flama  ordinis  fratrum  predicatorum,  sacre 

•  teologie  lector.  Et  nomen  cronice  et  libri  est  cronica  galuagniana.  • 
E  qui  pure  nell'elenco  (f .  ir.):  «  De  libris  sive  cronicis  ex  quibus 

•  ista  cronica  est  compillata»  troviamo  la  «Cronica  Stephanardi» 
e  precisamente  fra  i  libri  che  «  habentur  in  conventu  fratrum  pre- 

•  dicatorum».  Alla  fine  dell'elenco  si  spiega  anche  meglio:  «Isti 
tXXXI  liber  sunt  in  sancto  eustorgio»  e  probabilmente  in  quel- 
l'i armario»  in  cui  ci  saremmo  aspettati  di  vederci  indicata  una 
copia  del  poema  dalla  Cronica  maior.  Ma  il  codice  braidense  non 
è  il  solo  che  ci  presenti  la  Galvagnana  (i).  Come  è  noto  per  le 
ricerche  del  Ferrai  (2),  la  Galvagnana  forma  la  prima  parte  del 
famoso  «Chronicon  Mediolani  appelato  el  Valison»  che  si  con- 
serva in  cod.  del  sec.  XV  nell'Archivio  del  capitolo  di  Novara, 
pubblicato  dal  Muratori  in  R.  L  SS.  XVI  col  titolo  di  Annales  Me- 
diolanenses,  ommessa  però  la  parte  anteriore  al  1 230.  Mentre  però 
il  Ferrai  mostra  far  poco  conto  del  codice  da  cui  il  compilatore 
del  tValison^  ha  trascritta  la  Galvagnana,  pur  riconoscendo  che 
in  alcuni  punti  ha  dei  vantaggi  sul  codice  braidense  (loc.  cit. 
p.  284-5),  il  Raulich  invece  (3)  rivendica  in  generale  la  bontà  dei 
codici  che  servirono  a  Fabrizio  Marliani  (come  pare  chiamarsi 
quel  compilatore)  e  in  particolare  del  codice  della  Galvagnana. 

Di  ciò  dovremo  pur  tener  conto  nel  nostro  studio. 
Non  ci  interessano  per  il  nostro  scopo  presente  le  due  compi- 
lazioni di  storia  ecclesiastica  :    la  «  Cronicha  vetustissima  Ponti- 

prendeva  pur  i  versi  di  Stefanardo  nel  terribile  giudizio  che  dava  dei 
carmina  che  Galvano  Fiamma  aveva  qua  e  là  disseminati  neiropera 
sua  (/?.  /.  SS,,  XII,  996). 

(1)  Cfr.  NovATi,  op.  cit.,  p.  42,  n.  2.  Nell'Archivio  Storico  Civico  di 
Milano,  mostratami  dal  solerte  direttore  dott.  E.  Verga,  vidi,  in  scrittura 
del  sec.  XVII,  una  copia  della  Galvagnana  che  là  si  conserva.  A  suo 
tempo  ne  farò  parola. 

(2)  Ferrai,  Gii  "  Annaies  medioianenses  „  e  i  cronisii  iombardi  del 
5tc,  Xy  in  q}xcsi' Archivio,  XVII,  2,  1890. 

(3)  La  cronaca  Vaiison  e  il  suo  autore  in  Rivista  storica  italiana. 
Vili,  I,  1891. 


DEL   LIBER   DE    GESTIS   IN   CIVITATE    MEDIOLANI  23 

idum  usus  et  exemplari,  quod  cum  nostro  non  convenit»  (pref. 

pag.  534). 

Partendo  pur  solo  dal  punto  di  vista  che  a  noi  ora  interessa, 
cioè  dal  numero  di  versi  del  poema  riportati,  questa  varietà  TLo 
trovata:  trovai  cioè  in  altri  codici  del  Manipulus  un  numero  di 
versi  tratti  dal  poema  di  Stefanardo,  molto  maggiore  che  non  nel 
testo  Muratori 


4» 
*  * 


Codici  del  M.  F.  della  famiglia  De-Monti.  —  Cerchiamo  nella 
grande  mole  dei  codici  del  Manipulus  differenti  dal  cod.  Sitoni- 
Muratori,  di  distinguere  questo  primo  gruppo.  Nella  primavera 
del  1902  l'illustre  prof.  Novati,  al  quale  son  lieto  poter  affermare 
tutta  la  mia  gratitudine  che  è  grandissima,  ma  non  giungerà  mai 
a  sdebitarmi  di  quanto  gli  debbo  e  per  la  sua  benignità  costante 
verso  di  me  e  per  i  suoi  preziosi  consigli  nel  campo  degli  studi, 
Egli  dico,  favorivami  perchè  lo  studiassi  un  codice  contenente  il 
Manipulus,  non  compreso  in  tutti  quegli  elenchi  che  ho  ricordati, 
da  lui  avuto  in  prestito  da  privata  famiglia.  Il  codice  è  miscel- 
laneo (i),  cartaceo,  del  secolo  XV  e  il  futuro  editore  del  lavoro 
del  Fiamma  dovrà  farne  argomento  di  studio. 

(0  Un  indice  di  mano  moderna  (1825)  registra,  in  capo  al  codice 
*  Scripia  quae  in  volumine  continentur  „  preceduto  da  un  "  Ex  Libris 
"  Karoli  Petri  Villae  1825.  „ 

Lo  riferisco  perchè  spesso  in  codd.  di  questa  famiglia  appariscono 
accanto  al  Manipulus  alcune  delle  medesime  opere  : 

I.  Manipulus  florum  F.  Galvanei  Flammae.  Transcripsit  Presb. 
Joh.  De  Munti;  jussu  Vercellini  Vicecomitis  Ducalis  Commissarii,  Tri- 
tiique  Castellani  (1463  sicì), 

II.  Quinque  folia  res  historicas  praeferentia  ad  a.  1489  ex  alio  vo- 
lumine detracta  (fra  queste  res  historicae  è  un  estratto  della  Cronica 
fnariiniana), 

III.  Diplomata  Venceslai  imperatoris  quibus  Joh.  Galeaz  Vice- 
Comes  Dux  Mediolani  creatur  et  jura  Ducis  explicantur.  Epistola  Grr- 
gorii  de  Azaneìlo  de  inironisOtione  Ducis. 

IV.  Philipp!  Mariae  tertii  LigHrum  Ducis.  P.  Candido  Decembrio 
auctore  (sic/). 

V.  Exequiae  Joh.  Gal.  I,  Ducis  Mediolani  etc. 

VI.  Vitae  Archiepiscoporum    Mediolani    a   Barnaba    ad    Guiduni 
ntonium  Arcimboldum....  1489.  N.  B.  Auctorem  habent  Antonium  Con- 


DEL   LIBER   DE   GESTIS   IN   CIVITATE   MEDIOLANI  25 

I.  Plaiinus  de  puteo  arcis  Tritianae  condito  a  M.co  equite 
aurato  dUo  Vercellino  Vicecomite  tutte  eiusdem  praefecto  : 
Arx  olim  Tritìi  puteo  praeclara  carebat. 

IL  Item  Plaiinus  de  subita  mutatione  fortunae  regis  Al- 
pkonsi  1495. 

Regna  tuebatur,  qui  dux  aliena  triumphans. 

III.  Item  Platinus  de  fortitudine  Isabellae  Aragoniae  olim 
Ducis  (sic)  Mli. 

Quaerit  Aragoniam  Mors  et  Mars  perdere  gentem. 
Infine  due  stemmi. 

Questa  copia  del  1483  merita  tutta  la  nostra  attenzione  per- 
chè è  la  fonte  di  un  buon  numero  di  codici  del  Manipulus  da  me 
visti  nelle  biblioteche  milanesi  : 

Codici  del  M.  F.  della  biblioteca  Ambrosiana,  —  I  tre  codici 
del  Manipulus  che  si  conservano  nella  biblioteca  Ambrosiana  : 

A.    64  inf.    C 

Y.  121  sup.  <  cartacei  del  sec.  XVII. 

P-   177      n     { 

spettano  tutti  e  tre  a  questa  famiglia  (i)  ;  ciò  può  rilevarsi  da 
caratteri  intrinseci,  ma  pur  chiaramente  da  caratteri  estrinseci.  Ri- 
levo fra  questi  che  Y.  121  sup.  e  P.  177  sup.  ripetono  alla  lettera 
la  dichiarazione  che  abbiamo  riferita  dal  cod.  del  sec  XV  in  cui 
il  prete  De  Monti  si  afferma  autore  della  copia.  In  A.  64  inf. 
non  abbiamo  affermazione  sì  esplicita,  ma  nel  verso  di  uno  dei 
fogli  che  precedono  il  codice  v'è  una  nota  che  non  ci  lascia  dubbio 
sulla  sua  provenienza  più  o  meno  diretta  dalla  copia  del  1483  : 
«Haec  historia  adscribitur  Joanni  de  Monte,  fuitque  excripta  de 
cduobus  manuscriptis  codicibus  quorum  alter  est  Illustris  et  M. 

•  R-ti  D.  Hieronymi  Vicecomitis  Praepositi  in  metropolitano  tem- 

•  plo  Mediolani  ;  alter  vero  reperitur  apud  Solam  mercatorem  aro- 

•  matum.  Et  quoniam  in  hac  excriptione  multa  menda  irrepserunt, 

•  idcirco  opere  pretium  est  ut  hoc  exemplar  cum  illis  duobus  co- 

•  dicibus  ad  verbum  conferatur». 

(i)  Naturalmente  non  era  mio  compito  rilevar  tutti  i  caratteri  in- 
tnnseci  che  distinguono  questa  famiglia  :  mi  basterà  ricordar  quindi  che 
ho  guardalo,  per  questo  rispetto,  ai  versi  di  Stefanardo  riferiti,  al  nu- 
mero dei  capitoli  in  cui  l'opera  veniva  divisa,  alle  date  apposte  ad  al- 
cuni di  questi,  ecc. 


DEL   LIBER   DE    GESTIS   IN   CIVITATE   MEDIOLANI  27 


Come  si  vede,  noi  abbiamo  così  potuto  raggruppare  ad  unità 
un  bel  numero  dei  codici  delle  biblioteche  milanesi  e  sgombrare 
il  terreno  da  molti  ostacoli.  Non  ho  avuto  agio  ancora  di  studiare 
il  codice  del  Manipulus  conservato  in  casa  Trotti,  né  quelli  spet- 
tanti alla  Trivulziana,  né  quelli  delle  biblioteche  non  milanesi  o 
forestiere  :  potrò  completare  il  mio  studio  in  periodo  non  lon- 
tano :  per  ora  mi  fermo  a  due  codici  milanesi  che  meritano  la 
nostra  attenzione.  Uno  di  essi  conservasi  nella  ricca  e  preziosa 
libreria  che  con  munificenza  signorile  e  fino  criterio  raccolse  nel 
suo  palazzo  la  famiglia  dei  Marchesi  di  Soragna,  a  cui  devo  viva 
riconoscenza  per  avere  in  tutti  i  modi  agevolato  i  miei  studi  : 
Taltro  é  il  codice  Morbio  55  conservato  nella  Brai dense. 

Sono  entrambi  del  sec  XV  :  membranaceo  e  miscellaneo  il 
primo,  cartaceo  il  secondo.  Né  l'uno  né  l'altro  si  possono  subito 
a  prima  vista  dire  appartenenti  alla  famiglia  cui  spettava  il  cod. 
trascritto  dal  De  Monti.  Pure,  esaminati  i  versi  di  Stefanardo  da 
loro  riportati,  si  vede  che  i  codici  Morbio  e  Soragna  concordano 
non  coll'edizione  Muratori,  ma  precisamente  coi  codici  della  fa- 
miglia De  Monti,  nel  numero  e  spesso  nella  lezione  di  quei  versi, 
senza  che  io  osi  però  ascriverli  ad  essa  sicuramente  (i). 

Riassumendo  il  nostro  ragionamento,  fra  tutta  la  congerie 

partengono  questi  codd.  il  titolo  che  loro  fu  messo  a  capo:  (lo  riferisco  dalla 
copia  del  sec.  XVII,  ma  è  ripetuto  quasi  esattamente  in  quella  del  secolo 
XVIII):  *Fratris  Galvanei  de  la  Fiamma  |  sacrae  Theologie  Doctoris,  ex 
ordine  Patrum  Praedicatorum  in  Conventu  sancti  |  Eustorgii  Mediolani, 
qui  vixit  ab  an.  circ.  1280  ad  an.  circ.  1342  |  Chronicon  minus  |  Civitatis 
Mediolani  |  quod  Manipulus  Florum  appellatur,  continens  gesta  ab  anno 
ante  Christum  |  natum  1932,  ad  annum  post  Christum  1340  |  cui  ac- 
cedunt  |  Continuatio  gestorum  usque  ad  annum  1371  |  CoUectore  Jo- 
hanne  de  Monte  |  Una  cum  descriptione  exequiarum  Job.  Galeatìi  |  Vi- 
cecomitis  primi  Mediolanensium  Ducis  | 

La  data  1371,  il  nome  del  De  Monti,  il  componimento  stesso  ag- 
giunto al  Manipulus  ci  illuminano  sulla   provenienza  di    questo   codice. 

(i)  Quel  cod.  del  Manipulus  Florum  di  cui  si  valse  per  la  sua 
compilazione  chi  pose  insieme  la  "  Cronica  di  Milano  dal  948  al  1487  „ 
edita  dal  Porro  nel  v.  Vili  della  Misceli,  di  Si.  ItaL  si  accosta,  per  i  versi 


DEL   LIBER    DE    GESTIS   IN   CIVITATE    MEDIOLANI  29 

E  ciò  pare  risulti  evidente  da  varie  ragioni  :  in  primo 
luogo  perchè  non  saprei  vedere  il  motivo  di  questa  mutilazione  in 
alcuni  passi  ed  in  altri  no.  E  poi  perchè  la  mancanza  di  quei 
versi  non  è  il  solo  criterio  che  ci  ha  indotto  a  far  un  gruppo  a  sé 
del  codice  Sitoni-Muratori  :  a  questa  mancanza  si  col  legano  altre 
di  quelle  particolarità  a  cui  più  sopra  ho  accennato. 

Vediamo  alcuni  esempi  di  questa  differenza  nel  numero  di 
versi  di  Stefanardo  riportati  nei  due  tipi  di  codici.  Nel  e.  299 
neirediz.  Muratoriana  (i)  leggiamo  versi  di  Stefanardo  :  (tolti 
a  lib.  I  $  VI,  145-154):  mentre  però  il  testo  Muratori  tralascia  il 
brano  Sacris  prefecit  -  Ecclesie  (vv.  148-150),  (unendo  ad  Electis 
del  v.  148  il  resto  del  v.  150)  laltro  gruppo  riporta  per  intero  il 
brano. 

Quale  editore  e  per  quale  scopo  avrebbe  osato  fare  simile 
rabberciamento?  Nel  e  303  della  stessa  edizione  (2)  troviamo 
pur  versi  ricavati  dal  lib.  I  $$  XI-XII  del  poema  di  Stefanardo  : 
son  13  versi  scelti  fra  i  w.  425-460  della  fonte,  dal  discorso  di 
Ottone  arciv.  e  del  proscritto  milanese,  e  che  vengono  amalgamati 
insieme  II  codice  De  Monti  riporta  lo  stesso  numero  di  versi, 
però  vi  aggiunge  un  brano  che  consta  dei  vv.  467-73,  accostato 
senz'altro  al  v.  460  con  cui  finisce  il  brano  Muratoriano. 

Esempi  di  consimili  aggiunte  troviamo  ancora  in  e  304  del 
Manipulus  (3),  ove  son  versi  del  poema  spettanti  a  lib.  I.  $  XIV, 
cioè  581-87  ;  dopo  compiuto  il  v.  587,  che  là  rimane  in  tronco, 
il  cod.  De  Monti  aggiunge  i  vv.  592-93  {eius  loc).  Nello  stesso 
capitolo  l'esempio  si  ripete  altra  volta  per  i  versi  tolti  da  lib.I  $  XV, 
w.  655-666  a  cui  il  cod.  De  Monti  aggiunge  i  vv.  667-73.  P"^ 
parer  piii  curioso  ciò  che  incontriamo  in  cap.  313  (anno  1277)  (4). 

Descritta  la  battaglia  di  Desio  e  la  sconfitta  dei  Torriani,  il 
testo  Muratori  prosegue:  tltaque  genus  Turricinorum  cecidit  in 
*€  Pesto  Sanctae  Agnetis  anno  suprascripto.  Hanc  victorlam  Fra- 
tter  Stephanardus  cecinit»  ma  non  ne  riporta  verso  alcuno.  Il 
cod.  De  Monti,  e  con  esso  gli  altri  due  come  sempre,  leggono  in- 
vece: citaque  genus  turrianorum  cecidit  in  festo  sancte  Agnetis 
€  in  f .  agnetis  »  legge  e.  Morbio)  anno  suprascripto.  Hanc  victoriam 

(i)  R.  L,SS.,  XI,  692;  in  cod.  De  Monti  è  il  cap.  301. 

(2)  /?.  /.  SSv  XI,  696;  in  cod.  De  Monti  è  il  cap.  305. 

(3)  /?.  /.  SS.,  XI,  697. 

(4)  R.  L  SS,  XI,  703-5. 


DEL   LIBER  DE    GESTIS   IN   CIVITATE   MEDIOLANI  3I 

Stefanardo  che  non  ci  appaicino  in  O.  i6i  ?  Come  è  noto,  que- 
st'unico codice  che  ci  conserva  il  poema  è  mutilo.  Stefanardo, 
come  appare  dalla  prefazione  in  prosa  che  precede  i  suoi  esametri, 
intendeva  di  comprendere  nel  suo  secondo  libro  1 1  paragrafi  : 
i  primi  9  riguardanti  il  racconto  storico  che  forma  il  soggetto  del 
suo  canto;  il  io**  e  l'ii®  dovevano  invece  essere  come  la  morale 
di  tutto  il  poema. 

Il  decimo  paragrafo  si  aggira  invero  intorno  a  tquadam 
«exclamatione  contra  instabilitatem  fortune  et  commendatione 
«virtutis,  que  caducis  non  innititur  sed  semper  manet».  Nell'unde- 
cimo  dovevasi  descrivere  t  laus  uirtuosi,  scilicet  Johannis  Baptiste 
«qui  fortune  non  infiitens  sed  uirtuti,  uiuit  adhuc  in  laudabili  me- 
«  moria  hominum,  et  Herodes  habitus  est  reprobus.  Et  hec  de- 
•  scriptio  facta  est  per  metrum  iambicum  quod  maxime  laudi 
«conuenit  Ultimo  imponi  tur  silentium  ipsi  Caliope  ut  desistat 
«et  gracias  Deo  referat  cuius  ope  hoc  opus  est  expletum». 

Ora  a  noi  è  pervenuto  solo  il  io®  paragrafo:  ^II^  scritto 
m  metro  giambico,  o  non  parve  forse-  al  copista  degno  di  esser 
trasaitto  nel  codice  noto,  o  n'è  caduto  coi  fogli  che  lo  conte- 
nevano? (i). 

Non  saprei  certo  che  rispondere  a  simile  domanda,  ma,  per 
ritornare  ai  codici  visti  dal  Fiamma,  dirò  che  non  solo  non  ho 
Daai  incontrato  nelle  opere  di  lui  un  verso  attribuito  a  Stefanardo, 
che  manchi  in  O.  i6i,  ma  di  più,  che  nel  Fiamma  non  mi  occorse 
niai  la  citazione  di  un  verso  tratto  dal  $  io  del  libro  II,  che  anzi, 
secondo  appare  dal  capo  313  del  Manipulus  già  esaminato,  Vexpli- 
^ù  del  suo  codice  doveva  essere  dopo  il  $  9  (2).  E  dico  alla  fine 
del  $  9,  sebbene  in  realtà  la  frase  «  Hic  finiuntur  versus  Stepha- 
«nardi»  i  tre  codici  del  M.  F.,  che  conosciamo  la  pongano  dopo 


(i)  O.  i6i  sup.  finisce  senza  indicazione  di  explicito  altro  simile  ac- 
cenno e  pur  coincidendo  la  fine  del  fase,  colla  fine  della  parte  del  poema 
che  ci  fu  conservata,  non  ci  offre  quei  solili  segni  di  attacco  al  se- 
guente fase,  che  potremmo  aspettarci,  e  che  troviamo  nel  fase,  prece- 
<lente.  Però  nella  nota  marginale  apposta  alla  prima  parola  del  §  io 
^cesi  fra  l'altro  :  . . . .  actor  hic  in  fine  operis  quasi  inuehit  contra  for- 
^unam  ....  et  explicatur  hoc  de  sancto  Johane  baptista....  cuius  etiam 
^us  hic  in  fine  jambicis  canitur  uersibus. 

(2)  Le  parole:  hic  finiuntur  uersus  fratris  Stephanardi  Amen  hanno 
Vero  carattere  di  un  expUcit  di  cod. 


GIANFRANCESCO  GONZAGA 

SIGNORE  DI  MANTOVA 

(1407-I420) 


STUDI  E   RICERCHE. 

(Cont.*  e  fine:  v.  Archivio  Storico  Lombardo,  a.  XXTX,  p.  310-360). 

IV. 


PPIANATE  le  difficoltà  del  concilio,  Sigismondo  si  volse 
a  curare  i  suoi  interessi  politici.  L'importante  per  il  mo- 
Ijj  mento  era  di  battere  Pandolfo  Malatesta,  perchè,  sba- 
razzato il  terreno  da  questa  parte,  si  apriva  facile  la  via  per  il  resto. 
Ma  l'arte  di  guerra  che  aveva  Pandolfo  e  il  suo  coraggio  si  ride- 
vano di  un  nemico  che  non  fosse  più  forte  di  lui.  Per  affrontarlo 
dunque  con  fiducia  di  vittoria  bisognava  assalirlo  ad  un  tempo  con 
tutte  le  forze  di  parte  imperiale,  affinchè  il  leone  colpito  ad  un*ora 
da  più  bande,  nell'incertezza  del  luogo  a  difendersi,  nello  spossa- 
mento del  correre  di  qua  e  di  là,  e  nella  perdita  del  sangue  per  le  fe- 
rite che  riceveva,  perdesse  della  sua  forza  e  della  sua  ferocia,  e  nel- 
l'impari lotta  giacesse  sfinito  e  vinto.  Ma  bisognava  anche  far  pre- 
sto, perchè  pel  cielo  lombardo  andavano  aggirandosi  e  avvicinan- 
dosi fra  loro  brutti  nuvoloni,  che  non  promettevano  nulla  di  buono 
per  l'imperatore.  Infatti  poco  tardò  a  stringersi  contro  di  lui  una 
lega,  nella  quale  entrarono  insieme  con  Pandolfo  la  republica  di 
Genova,  il  marchese  di  Monferrato  e  il  duca  di  Milano  (i). 
E  se  il  far  presto  era  necessario  per  l'imperatore,  anche  più  ne- 
cessario era  per  Cabrino  Fondulo  e  per  gli  altri  seguaci  dell'im- 
pero, perchè  se  Sigismondo  partisse  lasciando  in  tutte  le  sue  forze 

(i)  Muratori,  Annali,  s.  a.  1414. 

Arch.  Stor.  Lomb,,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV.  3 


SIGNORE    DI   MANTOVA  35 

Per  il  conte  da  Prato,  tolto  di  mezzo  il  Malatesta,  era  cosa  da 

nulla  levarsi  dattorno  anche  il  Gonzaga.  Di  tali  sostituzioni  nel 

governo  della  città  in  quegli  anni  se  ne  vedevano  continuamente 

e  un  esempio  eloquente  freschissimo  lo  dava  la  vicina  Cremona, 

dove  Cabrino,  capitano  dei  Cavalcabò,  aveva  imprigionato  il  suo 

signore,  uccisolo  e  fattosi  padrone  del  suo  stato  (i);  e  non  che 

esserne  punito,  ebbe  legittimata   dallo   stesso    imperatore  la  sua 

usurpazione  con  la  nomina  che  gli  diede  di  vicario  imperiale  di 

quella  città.  Anche  papa  Giovanni  XXIII  vedeva  volentieri  quel 

cambiamento  nello  stato  di  Mantova,  per  la  maggior  sicurezza  che 

ne  sarebbe  venuta  alla  sua  parte,  perchè  egli  dubitava  che  il  Gon- 

idigB,  si  lasciasse  indurre  a  riavvicinarsi  allo  zio  Carlo  Malatesta,  e 

quindi  ad  abbandonare  lui  e  seguire  le  parti  di  papa  Gregorio  XII  ; 

e  non  solo  stimolò  il  conte  Carlo  ad  osare,  ma  anche  gli  promise 

aiuto    d'uomini   e   di  denari  (2).   L'anteriore  condotta  di    Gio- 

'  d^-   ,*   Il  fatto  è  ammesso  dallo  stesso  Carlo  nella  sua  deposizione  del 
16  aprile,  e  più  ampiamente  in  quella  del  22  dello  stesso  mese:  *  quod 

*  videbatur  ipsi  domino  Carolo  quod   imperator   mitteret  prò   domino 

*  mantue...,  et  quod  tum  faceret  quod  dictus  dominus  rumperet  guerram, 

*  et  si  dictus  nollet  posset  ipsum  secum  retinere,  et  ipse  dominus  Ca- 

*  rolus  et  Comes  Franciscus  facerent  guerram  cum  gentibus.  „ 

È  ammesso  pure  dal  conte  Stefano  il  13  aprile.  La  proposta  do- 
vette essere  fatta  all'imperatore  nel  tempo  che  frate  Gaspare  si  tro- 
vava presso  di  lui,  ritornatovi,  come  abbiamo  veduto,  dopo  essere  ve- 
nuto da  Lodi  a  Mantova  col  Gonzaga  ;  perchè,  quando  egli  partì,  1*  im- 
peratore gli   disse:    "  Ecce   adhuc   non   est   ordinatum    quomodo    de- 

*  beamus  Brixiam  invadere,  ideo  vellem  ut  dominus  tuus  veniret   Ca- 

*  nedum,  et  ego  veniam  vel  mittam  ad  eum  ut  videamus  de  modo  te- 

•  nendo.  Et  ita  dicas  domino  tuo  mei  parte.  „  Dalla  cit.  Relaa. 

(i)  A.  Campo,  Storia  di  Cremona,  lib.  Ili,  s.  a.  1406. 
(a)  "  Dom.  Karolus  examinatus   die   2   mai   confessus   fuit   quod.... 
■  volebat  capere  dominum  memoratum  et  auferre    ei   statum  cum  au- 

•  xilio  et  favore  pape  qui  ei  pollicitus  fuerat  dare  auxilium  de  lanz.  300 
ac  denarìis  et  aliis  rebus  opportunis  in  presentia  dom.  Nicolai  de  Ro- 

**  bertis  et  de  predictis  omnibus   affirmat  contulisse   cum   Benvegnudo 

"  de  Pegorinìs.  „  Dal  cit.  Processo. 

Infatti  Benvenuto  aveva   deposto  in   questo   senso    nell'esame   del 

14  aprile,  e  in  quello  del  27  maggio  più  esplicitamente  dichiarava  avergli 

detto  il  conte  di  voler  togliere  lo  stato  anche  "  persuasionibus  pape 
dubìtantis  ne  dominus  levaret  sibi  obedientiam  et  reverteretur  ad 
amorem  duorum  de  Malatestis....  et  quod  papa  obtulerat  se  servitù- 
rum  de  gentibus  et  ofnnibus  aliis  que  posset  usque  ad  mitrium.  „ 


cato,  e  la  disperata  ambizione 
dignità  del  papato  contro  il 
;ttono  dì  levare  alcun  dubbio 
lo  stato  di  Mantova  in  mezzo 
va  il  Gonzaga. 
Gonzaga  aveva  mostrato  nel 
Ile  truppe,  la  mostrò  ora  nel 
peratore.  Anzi  fece  intendere 
lio  Pandolfo  e  a  Venezia  (i). 
discusse  di  levarsi  affatto  la 
te  alla  violenza  :  dò  era  di 
izaga  in  casa  del  conte  Fran- 
esimo  tempo  in  palazzo  Paola 
Fatto,  correre  la  città,  gridare 
nperatorc,  e  consegnarla  a 
non  presentava  molto  gravi 
e  Carlo  nello  stato  per  volere 
Enza  sospetto  tutti  gli  ordini 
to  :  il  conte  P"rancesco  aveva 
;  un  corpo  di  lance  raccolto 
'rato  ;  il  castello  era  in  mano 
le  pubbliche  amministrazioni 

:  essere  cuni  miser  Carlo  et 
il  Bosco  in  Venexia  —  per  ri- 
,  Deposizione  di  Benv.  de'  Pe- 
lise  miser  Carlo  :  el  magn.  et 
icescho  dal  boscho  vada  a  Ve- 
esco,...  per  man  del  magn.  sig. 
1  el  conte  Lodovico.  ,   Questa 

nel  suo  esame  del  26  aprile, 
elio  stesso  mese.  E  Benvenuto 
>ose:  '  dominum  Carolum  di- 
ncisco  :  Ego  volo  capere  domi- 
is  com.  Francisci  et  facere  huc 
ilio  et  dictorum  gentium  domini 
,  Et  ad  hoc  perficiendum  gen. 
li  et  favor  pape  et  quod  volebat 
is  cum  domino  reducere  in  ca- 


SIGNORE    DI   MANTOVA  37 

e  in  txitta  la  città  eran  parecchi,  che  dovevano  ai  da  Prato  la  loro 
presente  fortuna,  e  ad  essi  volgevano  la  speranza  di  vederla  mi- 
gliorata nell'avvenire  (i).  Fatto  il  colpo,  Carlo  senza  perder 
tempo  avrebbe  domandato  a  Sigismondo  che  lo  nominasse  suo  vi- 
cario p>er  lo  stato  di  Mantova  (2).  Pare  però  che  sul  modo  di  ar- 
restare il  Gonzaga,  e  la  sua  famiglia  vi  fosse  tra  fratelli  divergenza 
d'opinioni,  e  che  il  conte  Carlo  non  convenisse  con  Francesco  e 
Stefano  di  mettergli  le  mani  addosso  in  casa  di  Francesco  (3). 
Egli  era  ammalato  nel  palazzo  stesso  del  principe,  e  forse  gli  arri- 
deva poco  ridea  di  far  tentare  un  colpo  lontano  di  là,  il  quale 
se  non  riuscisse  alla  prima,  solo  che  destasse  un  poco  di  rumore, 
lasciava  lui  indifeso  alla  mercè  di  Paola  e  del  suo  partito  (4). 
Non  appare  indizio  da  nessuna  parte  quale  tosse  in  particolare 
il  suo  p>ensiero,  ma  probabilmente  egli  voleva  fare  il  colpo  nello 
stesso  palazzo  del  principe. 

Ma.  intanto  che  i  tre  fratelli  discutevano  sul  da  farsi,  la  mano 

Ci)  Nella   deposizione    del  14  aprile   Benvenuto    •  fatetur  illos  de 

*  Prato  fecisse  gentes  armorum  prò  securitate  status  eorum  et  ut  ma- 
g^s.  tirnerentur  in  civitate  et  ne  domini  de  Malatestis  possent  eis  no- 
^^^^^  »  E  il  conte  Francesco  nel  suo  esame  dello  stesso  giorno  :  "  Fa- 
tetur quod  ipsi  fratres  et  Benevenutus  fuerint  simul  in  colloquio  et 
tractaverunt  quod  volebant  tenere  modum  quod  terra  et  rocha  Ho- 
stille  esset  in   manibus   domini   Antonii    de    Nuvolonibus    et   ponere 

*  Guidonem  de  Rippa  prò  Castellano  castri  Mantue,  dicentes  si  venirent 
Malateste  vel  alii  Mantuam  qui  vellent  destruere  eos,  quod  caperent 

*  dominum  et  reducerent  se  in  castrum,  et  quod  non  dubitabant  si  ha- 
berent  dominum  quod  ipse  faceret  quidquid  vellent.  „  Altre  testimo- 
nianze e  confessioni  parlano  delle  rocche  di  Peschiera,  di  Bozzolo,  ecc. 

(2)  **  Item  dixit  [il  conte  Carlo]  quod  intentio  sua  erat  petere   im- 
peratori Mantuam  prò  se  in  vicariatum.  „  Esame  del  29  aprile. 

(3)  Dall'esame   del   conte   Stefano  del   26  aprile,  citato  più  sopra. 

(4)  Che  il  conte  Carlo  fosse  ammalato  nel  palazzo  stesso  del 
pnncipe  è  ripetuto  nel  processo  parecchie  volte.  Era  già  ammalato 
quando  venne  a  Mantova  Giovanni  XXIII,  e  durava  ancora  nella  ma- 
»attia  quando  fu  arrestato.  *  Quum  una  vice  dominus  papa  ivisset  visi- 

tatum  dominum  Carolum  ad  cameram  volte  in  qua  erat  infirmus,  etc.  „ 
altrove  :  «  Dominus  Carolus  examinatus  die  Xlll  aprilis  dixit  ;  Quum 
^orn,  Comes  Franciscus  ad  eum  ivisset  dum   infirmaretur  in   camera 

^  volte  et  habuerat  ei   dicere   quod   dominus   volebat  videre   rationes 

s^as,  etc.  ,  La  camera  della  volta,  così   detta  per   la   sua   struttura, 

ra  nel  palazzo  del  Gonzaga,  come  si   vede   da   moltissimi   documenti 

deU»Archivio,  che  la  ricordano. 


L.. 


SIGNORE   DI    MANTOVA  39 

Ma  di  fronte  al  succedersi  di  siffatte  dimostrazioni  da  parte 
del  Gonzaga,  come  fu  che  i  da  Prato,  non  s'accordando  sul  modo  di 
fare  scoppiare  la  congiura  o  vedendo  di  non  potervi  riuscire , 
come  fu  che  non  pensarono  a  rifugiarsi  in  alcuno  dei  parecchi  luo- 
ghi, come  Bozzolo,  Ostiglia,  Peschiera,  che  avevano  già  preparato 
a  questo  scopo  di  trovarvi  un  asilo  in  caso  d'imminente,  inevita- 
bile pericolo  ?  (i).  Non  videro  l'avanzarsi  pauroso  della  tempesta? 
Non  intesero  che  l'intimazione  ael  rendiconto  era  come  vivissimo 
lampo  che  preannunzia  lo  scoppio  imminente  di  formidabile 
tuono  ?  Videro  e  intesero  ;  ma  il  conte  Carlo,  come  era  stato  l'anima 
della  congiura,  cosi  fu,  parte  per  triste  concorso  di  circostanze,  parte 
per  orgogliosa  sicurezza  di  sua  potenza,  causa  diretta  della  propria 
perdita  e  di  tutti  gli  altri,  fratelli  ed  amici,  che  avevano  consentito 
con  lui.  Egli,  come  abbiamo  veduto,  era  ammalato  nel  palazzo 
stesso  del  Gonzaga.  Quando  il  conte  Francesco  andò  a  parlargli 
della  richiesta  dei  conti  e  gli  disse  le  sue  apprensioni  e  io  esortò  a 
provvedere  ;  egli  si  contentò  di  rispondergli  cosi  :' —  tse  io  posso 

•  levarmi  di  qua,  terrò  modo  che  costoro  i  quali  congiurano  contro 
«  di  noi  non  potraimo  nuocerci  ;  e  sono  sicuro  che  il  principe  mi 
«  scoprirà  tutte  le  mene  loro  ;  e  dove  pure  egli  volesse  nuocerci, 

*  ^0  nieterò'li  moray  chel  non  ce  porà  nosere  n  (2).  — 
Sulle  quali  parole  interrogato  nel  processo,  rispondeva  essere 
stata  sua  intenzione,  quando  non  avesse  potuto  provvedere  altri- 
n^enti,  di  darsi  alla  fuga  o  prendere  il  principe  e  farlo  fare  a  suo 
modo  (3).  E  i  fratelli,  o  per  deferenza  all'autorità  di  lui,  o  forse 

(i)  V.  append.  n.  14. 

(2)  *  Comes   Franciscus  !habuit   dicere   domino   Carolo  :    dom.  Ca- 
role, Dominus  videtur  velie  videre  rationes  suas,  et  si  faciet,  malum 
erit  prò  nobis:  Vos  bene  faceretis  provideri.  Et  dom.  Carolus  dixit; 
f'  ego  bine  possum  me  levare,  ego  tenebo  modum  quod  ipsi  qui  con- 
^rant  contra  nos  non  poterunt  nobis  nocere,  et  non  dubito  quin  niihi 
dominus  dicat  omnia  que  ipsi   tractaverunt   contra   nos....   et  si   pur 
<ioiTiinus  nos  vellet  offendere,  ego  meterò  li  moray  chel  non  ce  porà 
nosere.  „  Deposizione  del  Pegorini  cit.  V.  anche  append.  n.  13  a.  La 
rase  :   «  metero  li  moray  chel  non  ce  porà  nosere  ,  ritorna  più    volte 
nel  processo  anche  dove  la  deposizione,  come  nel  luogo  or  ora  citato,  è 
messa  in  latino.  Quindi  non  è  dubbio  che  queste  furono  le  vere  precise 
parole  pronunziate  dal   conte   Carlo,  Ma   non  sono   riuscito  a  trovare 
a  spiegazione  della  parola  •  moray  „  Forse  sia  da  leggere  "  morsy  1,  ? 
^     v3)  *  Quum  aliter  facere  non  posset  volebat  aut  se  hinc  absentare 
^  et  fugam  arripere  aut  capere  prefatum  dominum  ....  et  facere  ipsum 
oniinum  facere  modo  suo.  „  Esame  del  conte  Carlo,  13  aprile. 


L 


SIGNORE   DI   MANTOVA  41 

Il  due  aprile  una  nuova  grida  intimava  fra  tre  giorni  lo  sfratto 
da  Mantova  e  da  tutto  lo  stato  mcintovano  a  chiunque  fosse  o  si  ri- 
tenesse per  ribelle  della  republica  di  Venezia  (i).  E  l'intimazione 
non  era  superflua  perchè  dal  processo  si  ha  che  il  partito  degli 
Scaligeri  e  dei  Carraresi  faceva  qui  un  gran  lavoro  per  rientrare  in 
Padova  e  Verona  ;  ed  è  naturale  che  il  conte  da  Prato  favorisse 
i  loro  maneggi,  perchè  quanto  erano  maggiori  gl'imbarazzi  di  Ve- 
nezia, tanto  egli  cresceva  in  sicurezza  del  fatto  suo.  Il  14  dello 
stesso  mese  a  chiunque  avesse  licenza  di  portar  arme,  o  godesse 
di  altro  favore  concesso  dal  Gonzaga  e  che  avesse  la  Arma  del 
conte  Carlo  da  Prato,  era  fatto  comando  di  produrre  fra  tre  giorni 
la  licenza  alla  cancelleria  del  principe  ;  altrimenti  ogni  licenza  e 
favore  restava  annullato.  Il  16  era  fatta  uguale  intimazione  a  chi 
nella  stessa  guisa  avesse  ottenuto  il  diritto  di  cittadinanza  o  altra 
grazia  qualsiasi.  Il  18  si  pubblicavano  le  condizioni  sotto  le  quali 
si  dava  il  permesso  ;  ma  si  avvertiva  che  ne  sarebbe  escluso  «  za- 
t  scheduno  lo  qual  sia  et  se  reputi  amigo  de  messer  Carlo  da  Prato 
«  o  de  li  frateli  (2)  ». 

Si  voleva  non  solo  distruggere  tutto  il  passato  di  quest'uomo, 
Daa  quasi  mettere  al  bando  della  società  chiunque  avesse  avuto  un 
qualche  legame  con  lui.  Tanta  era  la  paura  ch'egli  aveva  lasciato 
di  sé,  tanto  lo  zelo  di  rendere  paurosa  a  tutti  qualunque  relazione 
con  lui  !  Nel  maggio  seguente  un'altra  grida  intimava  a  tutti  co- 
loro che  avevano  debiti  con  gli  arrestati,  di  recarsi  a  pagarli  ai 
'^^^i^ustri  delle  entrate  del  principe,  fra  quattro  giorni  quelli  di  città, 
fra  otto  gli  altri  (3).  La  quale  draconiana  intimazione,  degna 
^  tutto  di  un  governo  dispotico,  mentre  dimostra  che  i  Manto- 
vani  avevano  abdicato  nelle  mani  del  Gonzaga  ogni  loro  potere, 
fa  anche  vedere  il  grande  sbigottimento  che  si  era^esso  nella  po- 
polazione per  il  rovescio  così  subitaneo  e  impreveduto  della  po- 
tenza dei  da  Prato,  e  il  levarsi  imperioso  e  furente  della  parte  a 
loro  contraria.  Senza  di  che  riesce  difficile  a  intendere  come  i  cit- 
tadini quietamente  si  lasciassero  imporre  ordini  cosi  contrari  ad 
ogni  norma  di  equità  e  di  giustizia,  come  questo  del  dover  suddi- 
stare  immediate  al  governo  debiti  contratti  liberamente  coi  pri- 

(')  Ib.  ib.  e.  5. 

(a)  Ib.  ib. 

(3)  V.  append.  n.  15. 


42  GIAN  FRANCESCO   GONZAGA 

vati.  Ma  forse  nella  parte  della  grida  divenuta  oggi  illegibile  vi 
erano  provvedimenti  che  ne  mitigavano  la  durezza,  e  mettevano 
in  salvo  i  diritti  dei  debitori. 

Dopo  ciò  il  Gonzaga,  in  segno  di  pieno  riavvicinamento  a 
Venezia,  mandò  oratore  alla  Republica  Francesco  Dal  Bosco  a 
notificare  il  trattato  scoperto,  e  far  sapere  che  presso  gli  arrestati 
si  erano  trovati  120,000  ducati  d'oro  (i).  E  poi  a'  7  del  susse- 
guente maggio  andò  in  persona  a  fare  riverenza  alla  Signoria  ;  e 
«  fu  onorato  >.  Ma  questo  €  onorato  >,  messo  là  asciutto  asciutto,  la- 
scia facilmente  intendere  che  l'accoglienza  non  fu  delle  piìi  cor- 
diali, e  il  giovane  principe  davanti  alle  accigliate  fronti  dei  po- 
tenti patrizi  dovette  certo  sentire  tutto  il  peso  della  sua  passata 
condotta. 

Il  conte  Carlo  per  qualche  tempo  fu  guardato  prigione  nel 
palazzo  del  principe,  dove  era  stato  arrestato,  ma  poi  fu  levato  di 
là,  e  chiuso  lui  pure  in  castello  (2).  Furono  subito  aperti  gli  esami 
e  svolti  con  tutto  Ìl  rigore  della  procedura  di  allora.  Severissimo 
fu  l'isolamento  de'  rei,  severissima  la  prigione,  vietato  ai  carce- 
rieri e  guardiani  di  parlare  col  detenuti.  Un  giorno  il  conte  Ste- 
fano pregò  un  carceriere  a  fare  intendere  per  segni  al  fratello  Carlo 
ch'egli  era  ancor  vìvo  (3).  Un'altra  volta  lo  stesso  Stefano,  per 
levarsi  dallo  spasimo  della  tortura,  accusò  colpe  non  vere  (4). 
Un  tal  Giacomo  da  Riva  di  Trento,  che  era  guardia  nel  castello, 
fu  scoperto  mentre  parlava  col  conte  Carlo  :  fu  subito  tratto  in 
arresto  e  messo  alla  tortura  della  corda  per  cavargli  di  bocca  il 
segreto  di  quel  colloquio.  Ed  egli  tanto  sotto  lo  spasimo  della 
corda  che  a  piede  libero  fece  questo  pietoso  racconto  : 

(1)  Sanuto,  Stor.  l'en.in  op,  cit.,  e.  888,  D.  Mi  sembrano  un  poco 
troppi  iso,ooo  ducati.  Che  debba  leggersi  12,000? 

(2)  "  Prima  de  quindexe  di  in  qua  o  cìrcha.,..  Marco  da  Vernic- 
"  chio....  ebbe  a  dire  verso  a  me  :  lo  saprei  volontfcri  come  sta  mes- 
°  ser  Carlo  1  et  Ìo   gli    rispose....  secondo    se   dice,  l'è   pur   in  quella 

*  volta  della  corte  dov'  el'  è  usato.  Dopo  questo....  el  dito  Francesco.... 
"  mi  disse  io  ho  sentilo  che  messer  Carlo  è  sta  tolto  della  volta  de  corte 
'  et  menato  in  castello.  ,  Deposizione  dì  Boniacomo,  senza  data. 

(3}  ■  Comes  Stefanus  hodie   sibi  dixit    ut  deberet  dicere  sui  parte 

*  domino  Carolo  prò  intersigno  quod  erat  vivus.  .  Deposizione  di  Gia- 

*  corno  da  Riva  di  Trento,  18  marzo  1415 

(4)  *  Dixit....  ulterius  quod  Illa  que  dixerat  die  XXV  aprilis  de 
'  mactando  domìnum  numquam  fuerunt  vera,  sed  ea  dixit  solummodo 
"  timore  tormenti.  ,  Esame  del  26  aprile. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  43 

f  Essendo  andato  nella  camera  del  castello  dove  il  conte  Carlo 
•era  chiuso  gli  disse  che  aveva  il  permesso  di  andare  qualche 
tgiorao  a  casa  sua  ;  ed  allora  il  conte  disse  a  lui  :  —  Se  tu  volessi 

•  mi  potresti  fare  im  gran  servizio.  Io  sono  molto  amico  del  ca- 
tpitano  di  Riva,  perchè  ho  avuto  suo  figlio  in  casa  mia,  e  ho 

•  fatto  a  lui  grande  onore  ed  egli  a  me,  quando  fui  dall'impera- 

•  tore.  Ora  io  vorrei  che  tu  gli  dicessi  in  che  termini  mi  trovo,  e 
«che  sono  qui  chiuso  per  amore  dell'imperatore.  Se  tu  gli  dirai 
«questo,  io  sono  certo  ch*egli  andrà  o  manderà  per  me  dalFimpe- 
«  ratore,  e  a  me  ne  verrà  gran  bene.  —  Rispose  il  soldato  :  —  Non 
imi  dite  altro  perchè  io  lo  direi  s!  miei  superiori  del  castello,  dai 
«quali  ho  ordine  di  non  parlare  a  voi,  e  di  riferire  a  loro  ciò  che 
«voi  mi  dite,  perchè  mi  assicurano  che  altrimenti  il  nostro  magni- 
«fico  signore  mi  farebbe  impiccare.  —  E  il  conte  rispose  -.  —  Non 
«dirò  altro»  (i).  Fin  qui  il  soldato;  ma  il  conte  Carlo,  inter- 
rogato a  sua  volta  su  quel  discorso  aggiunse  che  pregò  il  sol- 
dato di  portargli  almeno  qualche  cosa  per  scrivere  in  una  let- 
tera la  sua  raccomandazione.  Il  soldato  non  rispose  ma  non  gli 
portò  nulla.  E  "allora  egli  avendo  a  mano  un  sudicio  pezzo  di 
carta  qualunque,  si  mise  a  raschiare  sul  mattone,  e  avutone  un 
poco  di  polvere,  Tintrise  con  la  propria  urina,  e  con  quella  spe- 
cie d'inchiostro  scrisse  la  sua  raccomandazione,  ma  la  carta  in- 
zuppatasi gli  si  lacerava  fra  le  mani,  ed  egli  la  gettò  nella  sot- 
tostante fossa  (2).  Confiscati  loro  tutti  gli  averi  mobili  e  im- 
mobili, i  Da  Prato  erano  ridotti  a  non  avere  che  quel  poco  vestito 
che  portavano  indosso  e  il  mangiare  che  serviva  la  prigione  :  e  fa 
pena  leggere  che  il  conte  Carlo  faceva  chiedere  in  prestito  a  un 
suo  nipote  un  fiorino,  e  pare  che  quel  nipote  non  gli  desse  alcuna 
risposta  (3).  Altra  volta,  udendo  lamentarsi  di  sua  povertà  il 
carceriere  che  era  addetto  alla  sua  persona,  per  renderselo  amore- 
vole scrisse  a  un  amico  in  un  pezzo  di  carta  domandandogli  in  pre- 


(i)  Deposizione  del  18  marzo  1415. 

(2)  V.  append.  n.  16. 

(3)  "  Item   dixit   quod   steterat   iam   cum   Jacobo   de  Abbatibus  et 

*  quod  uxor  sua  erat  una  placibilis  domina,  et  quod  d.   Carolus  dixit  : 

*  est  mea  nepiis,  te  rogo  ut  vadas   ad  ipsum  et  dicas  sibi   mei  parte 
ut  volet  michi  mutuare  unum  florenum.  qui  dixit  se  iturus  et  tamen 
nescivit  qualiter  fuerit  quod  nunquam  reddidit  sibi  responsum.  „  De- 
posizione del  conte  Carlo,  del  19  marzo  1415. 


44 


GIANFRANCESCO   GONZAGA 


stito  cinque  fiorini  per  il  detto  carceriere,  o  almeno  tre  sacchi  di 
gTcìno.  E  il  carceriere  che  conosceva  il  tenore  del  biglietto  si  af- 
frettò a  farlo  recapitare  per  mezzo  di  suo  figlio.  Ma  l'amico  non 
volle  ricevere  il  biglietto,  e  mandò  dire  al  carceriere  che  non  si 
impacciasse  di  tali  cose  e  avesse  giudizio.  Onde  il  carceriere  impau- 
rito fece  in  pezzi  il  biglietto  e  lo  gettò  in  un  mondezzaio  (i). 
Era  già  un  anno  che  il  conte  Carlo  giaceva  nella  prigione,  e  nulla 
sapeva  della  sua  sorte,  e  spesso  spesso  al  carceriere  che  portavagli 
mangiare  ripeteva  la  dolorosa  domanda,  se  nulla  sapeva  de'  fatti 
suoi  (2). 

Per  quanto  i  conti  da  Prato  fossero  rei,  di  fronte  alle  attuali 
loro  sofferenze  ogni  animo  gentile  non  può  a  meno  di  provare  una 
dolorosa  impressione  ;  ma  dimostrerebbe  assai  poco  senno  chi  vo- 
lesse far  carico  al  Gonzaga  della  severità  che  usava  contro  di  loro. 
Così  volevano  i  tempi  ;  così  avrebbero  fatto  i  fratelli  da  Prato  al 
Gonzaga  se  si  fossero  invertite  le  parti. 

Come  succede  quasi  sempre  in  tutte  le  congiure,  uno  dei  com- 
plici. Benvenuto  de'  Pegorini,  che  era  stato  intimo  del  conte  Carlo 
ed  era  a  parte  di  tutfi  i  secreti  della  congiura,  fosse  debolezza  o 
viltà  d'animo,  svelò  ogni  cosa  ;  e  agli  altri,  divisi  com'erano,  ignari 
l'uno  delle  parole  dell'altro,  non  rimase  che  confermare  la  con- 
fessione di  lui.  Frate  Gaspare  invece  nella  sua  lunga  deposizione 
scritta  fa  la  propria  difesa  senza  mai  aggravare  di  una  parola  la 
triste  condizione  del  conte  Carlo  o  dei  fratelli.  Tutto  ciò  ch'egli 
narra  aver  detto  o  fatto  per  conto  del  ministro  si  può  sempre  in- 
terpretare come  detto  o  fatto  con  Tintenzìone  di  giovare  al  Gon- 
zaga, sia  che  realmente  egli  agisse  sempre  in  buona  fede,  come 

(i)  *  Item  dixit....  ut  Zenarius  qui  attendebat  sibi  et  conquerebatur 

■  de  inopia  [ui]   causam  haberet  sibi  bene  attendendum  scrìpsit   unam 

■  litteram  in  uno  squarzafolìo  domino  Antonio  de  Nivolonibus  per  quam 

■  rogabat  ut  vellet  mutuare  sibi  florenos  quinque   et  ipsos   dare    dicto 

■  Zenarìo,  vel  saltem  tres  sachos  frumenti....  quara  litteram  asserit  dic- 

■  lum  Zenarium  dedisse  ùlio  ut    ipsara    portaret  dicto   Antonio    et   sic 

■  illam  portavit,  quam  assent   d.    Antonium    noluisse   acceptare    et  di- 

■  xisse  dicto  tìlio  :  dicas  Zenarìo  ut   sibi   caveat  a    talìbus  et  quod    sit 
•  sapiens  et  pv>st:nodum  assent  dictum  Zenarium  proiecisse  dictam  lit- 

■  teram  in  camaroiu-n.  ,  DdWd  Depv^sizìone  cit. 

(2^  •  Dani    portavìsset   si:n    prò    c-Kiiedendo,    interrogavit   eum   si 

■  sentìebat  al;qi:.J  de  ùotis  suis,  ,  Daùa  ciL  deposizione  che  spelta  al 
IO  n  ar;o  1415,  un  ar.:io  dv^po  l'arresto. 


SIGNORE    DI    MANTOVA  45 

sostiene,  o  che  con  la  sua  furberia  abbia  saputo  tenere  la  giu- 
sta misura  che  era  necessaria  al  suo  scopo.  Per  me  però  stento  ad 
ammettere  in  lui  piena  buona  fede  in  corso  così  lungo  di  tanti  se- 
creti maneggi  ;  e  un  lungo  colloquio  da  lui  tenuto  col  conte  Carlo 
^i  conferma  nel  mio  sospetto  (i). 

Quale  esito  avesse  il  processo  non  si  conosce.  Unica  notizia 
che  m'abbia  trovato  è  quella  data  dalla  cronaca  di  Treviso,  la  quale 
i^otando  l'arresto  dei  fratelli  da  Prato  e  loro  complici,  raccoglie 
la  Voce  che  tutti  fossero  morti  in  prigione.  Ma  lo  stesso  cronista 
accenna  all'incertezza  della  notizia  (2).  Però  dal  fatto  che  il 
nome  da  Prato  non  ritoma  mai  pivi  nella  storia  di  Mantova  si  può 
dedurre  con  tutta  certezza,  che,  se  non  furono  uccisi,  certo  furono 
lasciati  finire  nella  prigione  dov'erano  chiusi.  Del  solo  conte  Luigi 
le  parole  di  un  testimonio  possono  far  credere  alla  probabilità  che 
riacquistasse  la  libertà  (3)  ;  e  infatti  nella  parte  del  processo  che 
ci  è  rimasta  non  apparisce  mai  chiaramente  la  sua  complicità. 
Ignota  pure  la  sorte  degli  altri  congiurati,  alFinfuori  di  fra*  Ga- 
spare, di  cui  toccammo  già  (4). 

(i)  "  Quando  fra    Gaspare    reiurnò    mo    /ultima  volta  da  lo  impe- 

•  ratore^  returnato  chel  fu  se  strinse  cum  miser  Carlo  puro  tuti  duj  in 

•  la  guardacamera  deli  aquili  e  Steno  a  parlamento   puro  tuti  duj   per 

•  lo  spatio  da  circha  a  doe  bore,  et  quando  1  fu  infm  dela  dieta  guarda- 

•  camera  e  venuto  in  la  camera   degli   aquili,  me   disse   miser   Carlo  : 

•  non  seti  che  lo  imperatore  manda  a  dire  chel  volle   che   del   tuto  el 

■  se  rompa  guerra  et  volle  chel  magn,  et  excel,  nostro  vada  cum  tute 

•  le  soe  zente  a  Hostiano.  „  E  qui  espone  la  proposta  riferita  alla  nota 
146,  che  l'imperatore  trattenesse  a  forza  il  Gonzaga,  e  intanto  i  da 
Prato  farebbero  guerra  a  Pandolfo. 

Per  dovere  però  di  giustizia  devo  qui  mettere  le  parole,  con  le  quali 
frate  Gaspare  chiude  la  sua  relazione,  perchè  esse  potrebbero  indurre 
nel  lettore  un'  opinione  differente  dalla  mia.  "  Haec  sunt  quae  in  com- 

•  munì  et  in  particulari  occurrerunt  memoriae  meae^super  animam  meam 

•  prò   nunc.    Et  si    aliquìd   occurret   in   ventate  sancii  evangelii  illud 

•  pienissime  dicam. 

"  Et  sum  contentus  stare  in  carceribus  per  tempus  et  tempora 
"  quousque  peroptime  investigetur   si   verbo  si  quo  vel   facto    egi  vel 

•  scivi  quidquid  contra  honorem  status  vel  personam  magnifici  domini 

■  mei,  cui  humillime  me  recomendo.  „ 

(2)  "  qui  carceribus  mortui   dictmtur  omnes  praeter  Carolum,  qui 

•  ut  dicitur  in  compedibus  adhuc  miserabiliter  viVit.  „  1.  e. 

(3)  Un  teste  nella  sua   deposizione  ha  queste  parole:  "  Audiverat 

•  dici  in  Mantua  quod  comes  Lodovicus  cito  rellaxaretur.  „ 

(4)  V.  cap.  II,  in  quest* ArcMvio,  a.  XXIX,  p.  343. 


46  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

Chiudo  il  doloroso  racconto  di  questa  congiura  con  un  aned- 
doto. Qualche  anno  dopo,  dovendo  Paola  rifornire  di  qual- 
che apparato  gli  appartamenti  del  Gonzaga,  da  buona  massaia, 
senza  venire  a  nuove  spese,  fece  trarre  fuori  gli  apparati  che  ave- 
vano servito  alle  case  dei  conti  da  Prato  confiscati  con  ogni  altro 
arredo  loro,  e  fattone  levare  lo  stemma  e  mettervi  quello  del  Gon- 
zaga, se  ne  servi  tranquillamente  pei  bisogni  del  palazzo  del  prin- 
cipe (i). 

V. 

Per  maggior  sicurezza  del  racconto  mi  è  parso  bene  narrare 
tutta  di  seguito  la  congiura  dei  fratelli  da  Prato  e  non  interrom- 
perla con  le  altre  poche  notizie  che  si  hanno  di  questo  tempo.  Ora 
tomo  indietro,  e  raccolgo  e  presento  in  un  fascio  quel  poco  che 
mi  resta  a  dire.  La  prima  notizia  e  la  più  importante  è  la  nascita 
del  primogenito  dei  due  giovani  sposi,  al  quale  fu  imposto  il  nome 
di  Lodovico.  La  più  parte  degli  storici  mantovani  dicono  ch'egli 
nascesse  nel  14 14,  ma  è  un  errore  (2).  La  data  precisa  ci  proviene 
dal  Nerli,  contemporaneo  ai  fatti,  e  testimonio  alle  nozze  di  Paola  : 
Lodovico  nacque  il  5  luglio  del  141 2  (3).  Non  trovo  alcuna  noti- 

(i)  *•  Francischinus  recamator....  creditor....  prò  mercede  sua  re- 
"  camandi  arma  magnifici  domini  nostri  super  apparamentis  illorum  de 
"  Prato  de  quibus  receperat  a  Bonisigna. 

"  Bonisigna  de  Castrobarcho  die  29  decembris  1416  est  factus  cre- 
'*  ditor....  prò  expensis  ....  in  faciendo  extrari  arma  illorum  de  Prato 
"  de  apparamentis  suis  et  recamari  illa  magnifici  domini  nostri....  » 
Appresso  è  notato  il  prezzo  pagato  per  la  fattura  al  detto  Franceschino 
e  a  Giovanni  di  Borsello.  Arch.  Gonz.  D.  XII.  8. 

(2)  **  Nel  14 14  a  5  di  giugno  di  domenica  nacque  a  Gio.  Francesco 
"  Gonzaga  un  figliuolo,  che  nominava  Lodovico,  e  se  ne  fece  gran 
"  festa  „  ;  Gionta,  Fioretto  delle  cronache  di  Mantova,  Mantova,  Ne- 
gretti,  p.  81.  **  Poco  dopo  la  partenza  di  Giovanni  XXIII  da  Mantova 
"  nacque  un  figliuolo  al  sig.  Giovanni  Francesco,  che  al  battesimo  fu 
"  nominato  Lodovico  „  ;  Donesmondi^  op.  cit.,  lib.  V,  p.  36a  Altrettanto 
dicono  il  Tonelli,  il  Volta,  ecc. 

(3)  "  V.  iulii  MCCCCXII  bora  XII  diei  dominicae  Ludovicus  Jo- 
"  hannis  Francisci  primogenitus  mundo  apparuit  ,>  ;  Nerut,  Ckr.  in 
op.  cir.,  e.  1082,  D.  L'esattezza  di  questa  data  trova  conferma  in  una 
lettera  dello  stesso  Lodovico,  il  quale  Tu  dicembre  1463  così  scriveva 
al  marchese  Giacomo  da  Palazzo  *  quando  nui  se  conducessemo    cum 


SIGNORE    DI    MANTOVA  47 

zia  sulla  nascita  degli  altri  figli,  ma  qualcuno  di  loro  certo  seguì  a 
breve  distanza  il  primogenito,  perchè  sul  principio  del  1414  nel 
processo  della  congiura  più  volte  è  ricordata  l'intenzione  che  ave- 
vano i  fratelli  da  Prato  di  arrestare  e  chiudere  nel  castello  di  Man- 
tova Paola  coi  figli  (i). 

Il  28  di  marzo  del  141 3  bruciò  il  palazzo  della  Ragione,  e  in 
quell'incendio  andò  perduto  Tarchivio  della  città,  che  fu  daimo 
incalcolabile  (2).  E  qui  non  posso  a  meno  di  ricordare  ancora 
una  volta  la  mancanza  assoluta  di  critica  imparziale,  che  s'incon- 
tra per  tutto  questo  tempo  negli  storici  mantovani.  Essi  accusano 
di  quest'incendio  Carlo  Malatesta,  il  quale  avrebbe  commesso  que- 
sto delitto,  come  dice  uno  di  essi,  tper  distruggere  tutte  quelle 
«carte  dalle  quali  potevano  risultare  prove  dell'autorità  e  maggio- 
•ranza  del  generale  Consiglio  e  del  corpo  publico  dei  cittadini 
«mantovani  sopra  del  loro  capitano  generale  (3)1.  Contro  la 
quale  stupida  accusa,  o  meglio  calunnia,  basta  ricordare  che  a  que- 
sto tempo  il  Malatesta  era  in  rotta  completa  col  Gonzaga,  e  già 
correva  il  secondo  anno  che  aveva  lasciato  Mantova  per  condurre 
la  guerra  di  Venezia  contro  l'imperatore  Sigismondo.  Lo  storico 
Maffei  invece  per  poco  non  gode  di  quell'incendio,  vedendovi  un 
misterioso  presagio  della  futura  grandezza  di  Giani rancesco  !  (4). 

Nello  stesso  anno  141 3  ebbe  principio  il  bel  campanile  di 
S.  Andrea  per  opera  dell'abate  Giovanni  da  Como  (5). 

Secondo  gli  storici  mantovani  nel  141 4  o  in  quel  torno,  per 

*  la  exc.  sua  [il  duca  di   Milano]   ne   ritrovavemo   de   XXXVIIJ  anni, 

*  hora  habiamo  passati  li  LI.  „  (D.  III.  18).  Ora  dal  1463  sottraendo 
51  si  scende  appunto  all'anno   1412. 

(i)  V.  nota  2  a  p.  36. 

(2)  "  Septimo   anno   [1413]   XXVIII   martii  Palatium  juris  combu- 

*  ritur  I,  ;  Nerli,  Chr,,  in  op.  cit.,  e.  1082,  D. 

(3)  ToNELLi,  Ricerchi  storiche  di  Mantova^  voi.  II,  p.  284. 

(4)  *  S'egli  è  vero  quel  che  piacque   agli   antichi  e   significò   Vir- 

*  gilio  nella  persona  del  giovinetto  figlio  d' Enea,  che  il  foco  tacita- 
'  mente  predice  imperii  e  grandezze,  non  parve  a  certi  ingegni  curiosi 

*  senza  misteri©  e  presagio  del   glorioso   dominio   di   Gio.    Francesco, 

*  che  Tanno  seguente  il  foco  s'accendesse.,.,  nel  Palagio  della  Ragione, 

*  e  nell'Archivio  de'  Pubblici  Istrumenti  „  ;  S.  A.  Maffei,  Annali  di 
Mantova^  lib.  X,  cap.  VII. 

(5)  •  Septimo  anno  [1413]  ....  XI  mali  per  hunc  ipsum  abatem 
'  [Giovanni  da  Como]  campanile  S.  Andreae  initiatur  „  ;  Nerli,  Chron,, 
in  op.  cit.,  e.  1082,  D. 


48  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

spontanea  dedizione  vennero  sotto  il  dominio  dei  Gonzaga 
Ostiano,  Isola  Dovarese  e  Rivarolo  (i).  Riferisco  semplicemente 
la  cosa,  non  avendo  trovato  alcun  documento  né  in  favore  né  con- 
tro la  loro  asserzione. 

Nell'anno  141 5  due  sole  volte  ritrovo  nelle  memorie  del  tempo 
il  nome  di  Gianfrancesco,  una  tra  le  feste  di  Venezia,  l'altra  in 
una  piccola  spedizione  militare.  La  mancanza  di  altre  notizie  mi 
consiglia  a  prender  nota  anche  delle  feste,  tanto  più  che  danno 
prova  sicura  della  piena  pace  ritornata  fra  il  Gonzaga  e  Venezia  ; 
e  per  nulla  togliere  al  colore  locale  del  racconto  lascerò  la  parola 
allo  stesso  cronista  che  ce  lo  ha  treimandato  :  ma  lo  abbrevio  alcun 
poco,  perchè  nella  sua  interezza  diverrebbe  troppo  lungo.  Si  era 
fatto  a  Venezia  nuovo  doge,  e  secondo  l'uso  le  Arti  il  25  aprile 
celebrarono  con  grandi  feste  quell'avvenimento.  A  codeste  feste 
presero  parte  diretta  insieme  il  marchese  di  Ferrara  e  il  signore  di 
Mantova,  t  Quello  di  Ferrara,  dice  il  cronista,  si  presentò  sulla 
€  piazza  di  S.  Marco  con  una  bellissima  compagnia  di  circa  200 
€  cavalli  tutti  coperti  con  divise  e  sopravesti,  e  con  paggi  con  sue 
«divise.  Dall'altra  parte  venne  il  signore  di  Mantova  con  la  sua 
«compagnia  pel  simile  bene  in  punto  di  tutte  le  cose,  che  era  un 
«bel  vedere  tanti  cavalli  sulla  piazza  con  diverse  divise  ed  oma- 
«  menti.  E  questi  di  Mantova  furono  260  cavalli,  i  quali  attomia- 
«rono  tre  volte  la  piazza.  Poi....  incominciarono  il  tomeamento.... 
«con  14  per  parte  bene  armati....  Di  poi  nella  domenica  a  28  di 
«  aprile  fu  fatta  sopra  la  detta  piazza  la  giostra,  la  quale  fu  una 
«  notabil  cosa  da  vedere.  E  massime  venire  questi  signori  in  piazza 
«  colle  loro  compagnie  e  con  diverse  divise  e  di  grande  spesa.  Erano 
«  assaissimi  forestieri  in  Venezia  venuti  perchè  s'approssimava  la 
«Ascensione.  E  fu  stimato  in  quel  giorno  sulla  piaza  da  per- 
«sone  cinquanta  in  sessantamila.  E  le  dorine  stavano  a  vedere 
«su'  solai.  E  a  ore  19  venne  in  campo  il  marchese  di  Mantova  con 
«XI  giostratori  e  con  lui  Bernardo  Morosini  con  assai  nobili  no- 
«stri,  che  l'accompagnarono....  Poi  verme  il  marchese  di  Ferrara 
«  con  quattordici  giostratori,  e  cosi  avendo  attorniato  la  piazza,  fu 
«dato  il  prezzo  della  collana  d'oro....  E  tutti  gli  orefici  e  gioiellieri 
«a  cavallo  bene  in  ordine,  circa  200,  accompagnarono  quello  che 
«ebbe  il  premio  per  la  terra  con  grandi  suoni  (2)». 

(i)  Platina,  op.  cit,  lib.  V,  p.  799.  E  così  gli  altri  storici  mantovani. 
(2)  Sanuto,  op.  cit.,  e.  894-95,  E. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  49 

La  spedizione  militare  portò  alla  conquista  di  Viadana.  Que- 
sta città  fin  dal  secolo  duodecimo  era  stata  tranquillamente  sog- 
getta al  dominio  dei  Cavalcabò  ;  ma  in  questi  ultimi  anni,  resosi 
il  loro  governo  esoso  e  insopportabile  a  tutti,  i  cittadini  fe- 
cero intendere  al  Gonzaga  di  voler  essere  suoi.  Ma  come  la  loro 
volontà  non  bastava  contro  la  forza  dei  signori,  che  li  teneva  ben 
guardati  e  fermi,  Gianfrancesco  d'accordo  con  loro  ebbe  la  città 
di  sorpresa.  Ecco  in  succinto  come  il  fatto  è  raccontato  dal  Pla- 
tina. Correva  il  giorno  i8  di  giugno  e  la  popolazione  secondo 
l'usato  era  uscita  a  un  vicino  santuario  per  solennizzare  una  festa. 
Alla  sorpresa  era  stato  scelto  quel  giorno,  nelPora  in  cui  maggiore 
fosse  il  concorso  attorno  al  santuario.  Il  Gonzaga,  messo  assieme 
il  numero  d'uomini,  che  gli  parve  necessario  al  bisogno,  di  cheto, 
nel  silenzio  della  notte  si  accostò  a  Viadana,  e  appostossi  a  tre  mi- 
glia dalla  città.  Le  cose  erano  bene  acconce  co'  suoi  fautori,  e  la 
popolazione  più  numerosa  del  solito  era  stata  spinta  ad  uscire  verso 
il  santuario,  e  un  solo  pensiero  pareva  dominarla  tutta,  divertirsi 
e  godere  la  festa.  Questa  generale  spensieratezza  e  allegria  rese 
meno  accorti  quelli  che  erano  addetti  alla  guardia  della  città  ; 
cólto  il  momento  i  mantovani  appressatisi  alla  città  si  gettarono 
improvvisi  sulle  porte  e  avutele  in  loro  potere  facilmente  s'impa- 
dronirono di  Viadana  (i). 

Cosi  il  Platina.  L'Equicola  però  scrive  che  la  conquista  fu 
fatta  per  forza  d'arme  (2)  ;  e  il  Parazzi,  nella  storia  che  ha  scritto 
della  sua  città,  rinforza  d'argomenti  questa  seconda  narra- 
zione (3).  A  me  pare  che  le  due  narrazioni  abbiano  ciascuna  solo 
una  parte  di  vero,  e  che  la  verità  intera  s'ottenga  coll'unirle  e  met- 
terle d'accordo  fra  loro.  Il  Gonzaga  ebbe  Viadana  il  giorno  18  lu- 
glio 141 5,  e  subito  il  giorno  dopo  i  capi-famiglia  non  solo  di  Via- 
dana, ma  di  tutto  il  dominio  dei  Cavalcabò,  in  numero  di  oltre  due 
terzi  della  loro  totalità,  si  raccolsero  nella  piazza  maggiore  di 
quella  terra,  per  prestare  al  Gonzaga  il  giuramento  di  fedeltà  ; 
come  è  attestato  da  solenne  atto  notarile,  che  esiste  ancora  nel- 
l'archivio Gonzaga  (4).  Ora    guardando    a    codesto    istrumento 

(i)  Platina,  op.  cit,  e.  799-800,  E. 
(a)  Eqoicola,  op.  cit.,  p.  139. 

(3)  Ant.  Parazzi,  Origini  e  vicende  di  Viadana,  Viadana,  Remagni, 
1893.  voi.  I,  p.  137. 

(4)  Rubn  B.  XVII.5. 

Arch  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV  a 


^  '  GIAN  FRANCESCO  GONZAGA 

io  non  veggo  in  esso  un  atto  di  umiliante  soggezione  del  vinto 
verso  il  vincitore  dopo  la  sua  completa  vittoria  ;  ma  sì  un  lìbero 
atto  di  consciente  risoluzione  che  prende  un  popolo  sulle  proprie 
sorti.  E  invero  di  40  articoli,  quanti  ne  contiene  quell'istrumento. 
non  ve  n'ha  uno  che  apparisca  imposto  dal  vincitore  ai  vinti  ; 
tutti  invece  sono  volti  a  confermare  i  diritti  e  privil^i  dei  Via- 


1 


SIGNORE   DI   MANTOVA  5I 

la  cosa  è  spiegabilissima  se  viene  dai  Viadanesi.  Essi  erano  nati 
e  cresciuti  nelFamore  e  nell'obbedienza  ai  Cavalcabò,  e  se  ora  s'in- 
ducevano  ad  abbandonarli,  era  la  necessità  delle  cose  che  ve  li  co- 
stringeva. Le  passate  sventure  avevano  ridotto  i  Cavalcabò  a  pes- 
simo stato,  ed  essi  per  rialzare  le  loro  sorti  opprimevano  d*incre* 
dibili  gravezze  il  feudo.  Basti  questo  particolare  ricordalo  dal 
Parazzi,  che,  essendo  insorte  fra  loro  gravi  discordie,  il  capo  della 
casa  riscoteva  le  solite  contribuzioni  senza  fame  parte  alcuna  agli 
altri  condomini  ;  e  questi  per  rifarsi  del  danno  invadevano  il  reudo 
per  conto  loro  e  costringevano  a  capriccio  i  sudditi  a  soddisfare 
anche  ad  essi  il  loro  debito  di  contribuzioni  (i).  Da  ciò  la  di- 
sperazione dei  Viadanesi,  e  la  necessità  in  essi,  non  avendo  altro 
scampo,  di  acconciarsi  al  dominio  dei  Gonzaga. 

Tutto  questo  secondo  me  dice  apertamente  e  chiaramente  che 
i  Viadanesi  di  propria  spontanea  volontà  si  diedero  al  Gonzaga  ; 
e  le  condizioni  consacrate  in  publico  istrumento  nell'atto  che  pre- 
stavano il  loro  giuramento  al  nuovo  signore,  erano  i  patti  già  con- 
venuti prima  con  lui,  con  i  quali  essi  accettavano  di  passare  sotto 
il  suo  dominio. 

Ma  queiristrumento  parla  di  guerra,  che  allora  si  combatteva, 
di  prigionieri,  di  bottino,  di  danni  e  di  distruzioni.  Come  va  d'ac- 
cordo con  questo  una  dedizione  spontanea  ?  Ecco,  io  credo  che  la 
guerra  fosse  intimata  dal  Gonzaga  per  mascherare  l'accordo  già 
stretto  coi  capi  del  movimento,  e  per  attirare  fuori  di  Viadana  le 
forze  nemiche,  e  cosi,  indebolendo  la  sua  guarnigione,  rendere  più 
sicuro  e  più  facile  il  colpo  di  mano  che  si  era  preparato.  Né  fa 
ostacolo  a  questo  la  spensierata  allegria  della  popolazione  il  giorno 
della  festa  ;  perchè  è  chiaro  che  era  procurata  ad  arte  per  addor- 
mentare i  signori  ;  né  lo  stato  di  guerra  col  Gonzaga  doveva  far 
ombra,  dovendosi  naturalmente  supporre  che  si  era  indotta  la  per- 
suasione essere  in  quel  momento  tutto  intomo  a  Viadana  piena- 
mente tranquillo  e  sicuro.  Riuscito  il  colpo,  subito  immediatamente 
&^orno  dopo,  prima  che  il  Gonzaga  avesse  tempo  a  consolidarsi 
nuovo  dominio,  i  Viadanesi  vollero  essere  assicurati  per  pu- 
lico  istrumento  delle  condizioni  sotto  le  quali  avevano  pattuito 

u  f      .^  *^rrae  Vitalianae,  et  forensium  repertorum  in   dieta  terra,  et 
•  «•     u^^  Vitalianae,  et  quod  cum  suis  bonis,  et  rebus  generaliter  pos- 
im  libere  facfere,  et  tute  recedere  prò  libito.  „ 
U)  Parazzi,  op.  cit,  p.  137. 


52  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

la  loro  spontanea  dedizione  ;  e  il  Gonzaga  confermò  solennemente 
la  sua  promessa.  Chi  ben  guarda,  anche  il  racconto  dell'Equicola 
si  riduce  a  questa  mia  interpretazione,  perchè  egli  dice  che  tVia- 
cdana  domandò  il  Gonzaga  per  signore,  e  volendolo  i  Cavalcabò 
€  proibire  furono  cacciati  per  forza  d'arme  •.  Infine  non  bisogna 
dimenticare  che  il  racconto  della  dedizione  spontanea  ci  viene  dal 
Platina,  il  quale  nacque  soli  sei  anni  dopo  quell'avvenimento  e 
fu  nativo  di  Piadena  a  pochi  chilometri  da  Viadana  ;  sicché  si  può 
ritenere  per  cosa  quasi  certa  che  il  racconto  di  quel  fatto  egli  lo 
abbia  avuto  a  viva  voce  da  quei  medesimi  che  ne  erano  stati  testi- 
moni e  parte. 

Nell'anno  seguente  1416  trovo  registrata  l'annua  provvisione 
che  si  passava  a  Paola.  Non  conoscendosi  l'esatto  ragguaglio  della 
moneta  di  quei  tempi  con  la  nostra,  non  è  possibile  intenderne  il 
valore  preciso.  Ma  si  può  fare  un  calcolo  approssimativo,  e  tenen- 
doci pur  larghi  bisogna  convenire  che  i  Mantovani  non  avevano 
certo  a  lamentarsi  che  la  loro  signora  spendesse  troppo.  La  pro- 
visione era  di  L.  12,600  annue  (i).  Naturalmente  questa  era  la 
provvisione  personale  normale;  ad  altre  spese  straordinarie  si 
provvedeva  caso  per  caso  secondo  i  bisogni.  Così  ad  esempio  fa- 
cevasi  per  la  cura  dei  bagni,  perchè  Paola  era  di  costituzione  fisica 
poco  felice,  e  ogni  anno  aveva  bisogno  di  andare  a  questo  luogo  di 
bagni  ed  a  quello,  per  domandare  un  sollievo  all'efficacia  delle 
loro  acque  L'anno  corrente  andò  a  Petriolo  in  quel  di  Siena  in 
compagnia  di  suo  padre  Malatesta  (2).  I  figli  avevano  anch'essi 
ciascuno  la  propria  provvisione,  conveniente  all'età.  Cosi  nel  141 8 
trovo  registrata  per  la  piccola  Caterina  una  provvisione  di 
L.  12  (3). 

Nella  prima  metà  di  quest'emno  1416  Gianfrancesco  (non  è 
detto  il  perchè)  andò  nelle  parti  di  Romagna,  che  vuol  dire  pro- 
babilmente Pesaro  secondo  l'espressione  usata  nei  documenti  an- 

(1)  Arch.    Gonz.   Registro  delle   spese,  pacco   II.  D.  XII.  8;    Vedi 
app.  n.  15. 

(2)  ■   Pro  expensis   factis.....    prò   domina    nostra    quando   ivit  ad 
"  balnea  Petrioli  cum....  patre  suo  a  die  XX   februarii  1416  usque  ad 

•  diem  lertium  septeinbris  dicti  anni....  Summam  quae  ascendit  ad  du- 

•  catus  1640....  L.  b.  151,  sol.  2.  parv.  ,  Ib.,  p.  42. 

(3)  "  Item  de  quibus  d.   Caterina  domini  est  facta  creditrix  in  isto 

•  pibro],  car.  60,  prò  ejus  provisione  totius   anni    1418   in   ratione   sol. 

•  XX.  parv.  17  mense  capit.  L.  12.  » 


SIGNORE   DI   MANTOVA  53 

che  quando  andò  in  quella  città  a  sposare  la  Malatesta.  Prendo 
nota  di  questa  assenza  da  Mantova,  non  per  alcuna  importcìnza 
che  avesse,  ma  perchè  ci  mostra  come  l'esperienza  fatta  col  conte 
Carlo  da  Prato  aveva  portato  buon  frutto,  perchè  il  Gonzaga, 
per  provvedere  durante  la  sua  assenza  al  buon  andamento  del  go- 
verno, si  guardò  bene  dall'affidare  a  chicchessia  i  pieni  poteri  della 
luogotenenza  ;  ma  invece  concesse  facoltà  straordinaria  ai  giu- 
dici, massari,  vicari,  capitani,  etc,  a  ciascuno  nella  cerchia  delle 
proprie  attribuzioni  fino  al  giorno  del  suo  ritomo  (i). 

Sul  finir  dell'estate  lo  troviamo  con  le  sue  truppe  in  una  spe- 
dizione militare  contro  Braccio  da  Montone.  Questo  celebre  ca- 
pitano volle  rendersi  signore  di  Perugia,  ma  i  Perugini,  alieni  da 
gettarsi  sul  collo  quel  giogo,  si  prepararono  a  valida  difesa.  E 
come  da  soli  non  avrebbero  potuto  contro  di  Braccio,  assoldarono 
con  buon  nerbo  di  truppa  Malatesta  da  Cesena.  Ma  in  quel  frat- 
tempo egli  cadde  malato,  e  allora  parti  in  sua  vece  in  aiuto  dei 
Perugini  il  fratello  Carlo  (2).  Braccio,  che  già  teneva  assediata 
Perugia,  si  volse  a  impedire  che  le  forze  nemiche  si  congiungessero, 
e  come  sentì  che  Carlo  era  vicino,  levò  prestamente  l'assedio,  corse 
incontro  al  riminese  con  tutto  il  suo  esercito  e  lo  provocò  a  bat- 
taglia. E  Carlo,  o  fosse  soverchia  baldanza  nelle  proprie  forze 
o  necessità  ve  lo  spingesse,  accettò  la  sfida,  quantunque  si  ve- 
desse in  luogo  svantaggioso  e  con  forze  inferiori  al  nemico.  Ven- 
nero alle  mani  il  12  luglio  e  la  battaglia  durò  quasi  otto  ore,  e 
vi  furono  fatte  memorabili  prove  di  valore  da  una  parte  e  dall'al- 
tra. Ma  il  numero  finalmente  die'  causa  vinta  a  Braccio,  e  Carlo 
non  solo  ebbe  rotto  e  sgominato  tutto  il  suo  esercito,  ma  vi  rimase 
prigione  egli  stesso,  e  con  lui  Galeazzo  Malatesta  di  Pesaro,  fra- 
tello di  Paola,  e  la  più  parte  degli  altri  ufficiali  e  dell'esercito. 
Dopo  questa  vittoria  Braccio  ebbe  subito  Perugia,  e  avuta  questa 
si  volse  contro  le  terre  dei  Malatesta  per  fare  sue  vendette  e  al- 
largare il  dominio.  Pandolfo,  com'ebbe  sentito  la  prigionia  di 
Carlo  e  il  pericolo  che  correvano  le  loro  terre,  fece  subito  pace 
col  Visconti  contro  cui  guerreggiava,  e  corse  con  tutti  i  suoi  ad 
arrestare  l'avanzarsi  vittorioso  dei  Bracciani,  e  chiamò  a  raccolta 


(i)  Libro   degli   Statuti,   rubr.  36,   e.  221  v.   Il  decreto   è   in   data 
19  marzo  1416. 

(2)  Cfr.  Chron,  Arimin,  in  Muratori,  /?.  /.  S.,  XV. 


54  GIANFRANCESCX)   GONZAGA 

quanti  aveva  alleati  ed  amici  per  aiutarlo  (i).  Anche  Gianfran- 
Cesco  partì  chiamato  dal  doppio  vincolo  della  parentela  e  della 
gratitudine,  e  traisse  seco  un  corpo  di  Mantovani  tanto  a  pie'  che 
a  cavallo  (2).  Con  questi  prese  parte  all'assalto  di  Rocca  Con- 
trada, e  vi  fece  co'  suoi  belle  prove  di  valore  (3).  Ma  vi  per- 
dette il  migliore  de'  suoi  capitani,  ed  egli  stesso  vi  fu  ferito  in 
una  coscia  (4).  I  Bracciani  però  furono  respinti,  e  il  giovane 
mantovano,  risanato  della  sua  ferita,  fu  dal  Malatesta  lodato  in 
publica  concione  davanti  ai  soldati,  e  donato  del  premio  dei  va- 
lorosi, che  usava  allora,  una  corazza,  un  cavallo,  e  una  spada  (5). 

Il  conte  d'Arco  leva  dei  dubbi  su  questa  parte  attribuita  al 
Gonzaga  nella  spedizione  di  Pandolfo  contro  Braccio,  perchè  non 
ne  trova  fatta  menzione  in  nessuna  memoria  del  tempo  (6).  lo 
ho  dett#  poco  fa  a  proposito  di  Viadana  quello  che  mi  pare  debba 
credersi,  quando  il  racconto  si  aggira  sopra  un  fatto  avvenuto 
sotto  gli  occhi  per  così  dire  di  tutti.  Quello  che  ho  detto  per  Via- 
dana vale  anche  di  più  per  questa  spedizione.  E'  vero  che  nessuna 
storia  del  tempo  ci  parla  dell'intervento  del  Gonzaga;  ma  che 
importanza  aveva  allora  quel  giovinetto  di  fronte  a  un  Pandolfo 
Malatesta?  Le  poche  forze  del  Gonzaga  si  confondevano  fra  le 
molte,  che  traeva  seco  il  famoso  signore  di  Brescia. 

E  mentre  nulla  si  oppone  alla  virisimiglianza  del  fatto, 
tutto  concorre  a  darlo  come  indubitabile.  Il  Gonzaga  con 
la  sua  spensieratezza  aveva  mortalmente  offeso  non  meno  lo  zio 

(i)  Campanus,  Vifa  Brachii  in  Muratori,  R.  L  S.,  XIX,  e.  52  B; 
BoNiNCONTRi,  AnnaleSy  ib.,  to.  XXI,  11 1,  G;  Cronicon  Eugubinum,  ib., 
e.  958,  D. 

(2)  "  Jo.  Franciscus....  lectissimorum  equitum  ac  peditum  centu- 
"  rias  aliquot  et  cohortes  scribit,  quibus  sequenti  anno  (1416)  militiam 
"  et  auspicia  Malatestae,  inclyti  ea  tempestate  ducis,  secutus,  cum  Brac- 
"  chium  ex  agro  Piceno  pellere  conaretur,  virtutis  et  probitatis  magna 
"  indicia  prae  se  tulit  „  ;  Platina,  op.  cit.,  e.  800,  A. 

(3)  Rocca  Contrada,  oggi  Arcevia,  in  provincia  di  Ancona. 

(4)  11  capitano  rimastovi  morto  fu  Paolo  da  Riva,  mantovano.  Vedi 
Volta,  op.  cit.,  lib.  VII,  p.  99. 

(5)  "  Dum  oppugnaretur  Rocha  contrata....  in  sinistrum  crus  grave 
"  vulnus  accepit.  Perductus  deinde  post  sanatum  vulnus  in  concionem 
"  militum,  a  Malatesta.  gravissima  oratione  laudatus  est,  ac  militaribus 
"  muncribus,  thorace,  equo,  ense  donatus  „  ;  Platina^  op.  cit.,  e.  800,  B. 

(6)  D'Arco,  Dei  dominatori  Gonzaga^  ecc.,  voi.  IV,  p.  22. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  55 

Carlo  che  lo  zio  Pcindolfo.  Ora  ch'egli  era  rientrato  nelle  grazie 
di  Venezia  (e  il  torneo  e  la  giostra  a  cui  prese  parte  nella  piazza 
di  S.  Marco  ne  sono  prova  sicura)  con  sollecitudine  non  minore 
doveva  provare  agli  zii  il  cambiamento  avvenuto  nell'animo  suo. 
E  quale  occasione  poteva  desiderare  migliore  di  questa,  di  correre 
in  compagnia  di  uno  di  loro  per  salvare  l'altro?  Aggiungi  che 
fra  i  prigionieri  di  guerra  v'era  Galeazzo  fratello  di  Paola.  Po- 
teva Gianfrancesco  guardare  indifferente  la  disgrazia  del  cognato? 
Ma  v'è  di  più,  che  Braccio  inorgoglito  della  sua  vittoria,  appena 
presa  Perugia,  si  era  volto  contro  i  Malatesti,  e  primi  a  sentir 
l'urto  delle  sue  schiere  vincitrici  furono  appunto  i  Malatesti  di 
Pesaro.  Davanti  al  pericolo  dei  cognati  e  del  suocero  poteva  Gian- 
francesco restarsene  inoperoso  ?  E  dove  pure  l'avesse  potuto,  Paola 
non  sarebbe  riuscita  a  scuoterlo  e  spingerlo  a  difesa  dei  fratelli 
e  del  padre? 

Per  me  dunque  resta  indubitabile  la  spedizione  in  compa- 
gnia di  Pandolfo  contro  Braccio  da  Montone  ;  e  ciò  ammesso,  non 
trovo  motivo  a  mettere  in  dubbio  la  bravura  di  Gianfrancesco  a 
Rocca-Contrada  e  la  sua  ferita,  poco  curandomi  se  lo  storico  abbia 
un  poco  caricato  le  tinte  ad  onore  del  suo  signore  (i). 

Il  141 7  ci  è  avaro  di  qualunque  notizia,  chi  non  voglia  fer- 
marsi  a  raccogliere  i  piccoli  fatti  dell'amministrazione  ordinaria, 
come  ad  esempio  un  decreto  del  7  febbraio,  col  quale  si  ordina  di 
volgere  alla  conservazione  e  riparazione  del  ponte  dei  Molini  e 
di  quello  di  S.  Giorgio  certe  tasse  ed  entrate,  che  prima  si  vol- 
gevano alla  cassa  del  Comune  o  alla  cassa  del  principe  (2).  Fuori 
di  questi  piccoli  fatti  d'amministrazione  non  ho  trovato  altro  che 
meriti  di  essere  ricordato,  se  non  la  morte  dello  storico  Aliprandi, 
€  la  nomina  del  nuovo  vescovo  di  Mantova. 

Il  nuovo  vescovo  fu  Giovanni  degli  liberti  canonico  della 
cattedrale.  Questo  Giovanni,  dal  processo  dei  conti  da  Prato  ap- 

(0  Nel  registro  delle  spese  dei  Gonzaga,  pacco  III,  D.  XII.  8, 
0  la  data  del  9  giugno  1417  è  notata  la  compra  di  32  braccia  di 
uto  azzurro  in  ragione  di  due  ducati  e  un  quarto  per  braccio,  che 
.  ^  ^'egalò  «  Johanni  Galeaz  et  abati  prò  nunciamento  relaxationis 
chM^f  ^^^^^^  Caroli  et  Galeaz  de  MaJatestis.  .  cioè  per  la  notizia 
H*.ii«  ^  "  PO'tata  da  quei  due  che  Carlo  e  Giangaleazzo  erano  usciti 
^<^«a  pngionia  di  Braccio. 

(2)  Libro  degli  Statuti,  rubr.  38,  e.  222. 


L.^ 


56  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

patisce  essere  stato  uno  degli  uomini  più  autorevoli  ed  influenti 
a  persuadere  il  Gonzaga  del  pericolo  che  correva  nella  sua  cieca 
fiducia  pel  conte  Carlo  (i).  E  forse  il  ricordo  delFopera  di  lui 
in  quei  tristi  giorni  contribuì  alla  sua  elevazione  alla  dignità  epi- 
scopale. Secondo  il  giure  ecclesiastico  dì  quel  tempo  la  nomina 
fu  fatta  dai  canonici  del  duomo,  e  quindi  mandata  a!  patriarcato 
di  Aquileia  per  l'approvazione  ;  e  come  il  patriarca  era  assente 
perchè  andato  al  Concilio  di  Costanza,  l'approvazione  fu  data  dal 
Capitolo  patriarcale  (2). 

Il  1418  c'invita  a  nuovo  splendore  di  grandi  feste,  e  ci  mo- 
stra Mantova  divenuta  per  qualche  tempo  la  città  più  frequentata 
di  forestieri  che  avesse  allora  l'Italia.  Ma  qui  mi  è  necessario  ri- 
pigliare le  cose  al  punto  in  cui  le  ho  lasciate,  quando  Giovanni 
XXIII  nel  febbraio  del  1414  si  parti  da  Mantova  e  tornò  a  Bo- 
logna- 
Trattandosi  di  fatto  notissimo  pochi  sommari  cenni  sono  suf- 
ficienti. Riunitosi  il  Concilio  a  Costanza,  esso  deliberava  che  tutti 
e  due  i  papi,  che  si  contendevano  l'altissimo  seggio,  vi  rinunzias- 
sero.  Giovanni  XXIII  fìnse  acconsentire,  ma  colto  il  momento  op- 
portuno, fugg),e  ricoveratosi  in  luogo  sicuro  volle  smentire  le  sue 
concessioni.  Mal  gliene  incolse:  che  l'imperatore  il  fé  prendere  e 
imprigionare.  Questa  caduta  di  Giovanni  XXIII  trasse  con  sé  la 
rinunzia  di  (Jregorìo  XII  :  mentre  Benedetto  XIII  rimaneva  in- 
flessibile Ma  il  vecchio  de  Luna  era  solo  oramai  ;  e  la  sua  oppo- 
sizione non  impedì  che  Martino  V  fosse  l'ii  novembre  1418  eletto 
in  vero  pontefice.  Colla  nomina  del  Colonna  lo  scisma  era  finito  e 
il  Concilio  si  sciolse 

Chiuso  il  Concilio  il  nuovo  papa  si  mise  in  cammino  verso 
l'Italia,  e  Ìl  suo  viaggio  fu  un  continuo  trionfo  per  ti  giubilo  uni- 
versale di  tutti  i  fedeli,  che  finalmente  si  fosse  riusciti  a  togliere 
dalla  Chiesa  lo  scandalo  e  la  sventura  di  quello  scisma.  Fu  a 
Berna,  a  Ginevra,  a  Torino,  a  Milano,  e  da  per  tutto  erano  feste 
e  allegrezze  vivissime. 

(i)  °  Item  UDO  di  me  abate  in  la  camera  onde  'era  malato  mìser 
'  Carlo  et  erige  tuli  soj  fratelli,  et  ave  a  dire....  el  conte  Francescho  :  e 
"  ve  voglio  dire  ci  me  puro  latrato  un  poco  de  suapecto  deli  fati  do 
*  miser  Zoanne  che!  non  abia  menare  qualche  tella.  .  Deposizione  di 
Benvenuto  de'  Pegorini,  senza  data. 

(a)  DoNESMONDi,  op.  cìt.,  lib.  V,  p.  36cv6i> 


SIGNORE   DI   MANTOVA  57 

Lungo  il  cammino,  il  7  settembre,  fu  deciso  che  il  pontefice 
andrebbe  per  il  momento  a  mettere  sua  sede  in  Mantova  (i). 
Egli  era  diretto  a  Roma,  ma  le  condizioni  di  quella  città,  e  di 
tutto  in  genere  lo  stato  pontificio,  lo  consigliarono  a  soprastare 
alcun  poco  per  prendere  gli  opportuni  provvedimenti,  prima  di 
avventurarsi  nella  selva  selvaggia  de'  suoi  stati,  dove  tutto  era 
rivoluzione,  tradimenti  e  guerre.  Le  passioni  del  secolo  vi  avevano 
avuto  materia  speciale  a  divampare  in  incendi  assai  più  che  al- 
trove per  le  condizioni  incerte  e  precarie  di  chiunque  sedeva  sulla 
cattedra  di  S.  Pietro,  e  di  quella  incertezza  avean  saputo  trarre 
profitto  i  principi  e  le  repubbliche  vicine,  i  signorotti  sparsi  per 
lo  stato,  e  i  capitani  di  ventura. 

Ora  Mantova  m^lio  di  qualunque  altra  città  si  presentava 
al  pontefice  come  stanza  comoda  e  sicura  per  una  temporanea  re- 
sidenza, e  quella  che  meglio  rispondeva  a*  suoi  intenti.  Mantova 
godeva  allora  fra  le  città  d'Italia  fama  invidiata  di  pace  e  di  tran- 
quillità. Oltre  a  questo  essa  era  di  una  sicurezza  che  non  aveva 
l'eguale  per  la  forte  sua  posizione,  e  perchè,  posta  in  mezzo  fra 
il  ducato  di  Milano  e  la  republica  di  Venezia,  acquistava  sicurezza 
dal  fatto  stesso  di  quei  due  grossi  vicini,  perchè  ognuno  di  essi 
vegliava  geloso  che  non  l'avesse  l'altro.  Cosi  il  pontefice  vi  po- 
teva trovare  una  libertà  negli  atti  suoi,  che  difiìcilmente  avrebbe 
trovato  altrove,  contro  la  ingerenza  ed  influenza  clje  la  politica  dei 
grandi  stati  nel  lungo  periodo  dello  scisma  si  era  abituata  a  far 
pesare  sul  governo  della  Chiesa.  A  tutto  ciò  si  aggiungeva  che 
questa  città  era  vicina  agli  stati  della  Chiesa,  e  perciò  comodissima 
al  pontefice  per  vegliare  di  qua  sopra  i  loro  bisogni,  e  farvi  quei 
provvedimenti  che  fossero  del  caso. 

Giunto  a  Mantova  l'avviso  della  venuta  del  sommo  ponte- 
fice e  della  lunga  permanenza  che  vi  farebbe,  fu  subito  un  grande 
affaccendarsi  per  preparare  quanto  occorreva.  Una  grida  del  giorno 
20  settembre  annunziava  al  publico  la  nomina  di  una  commissione 
presieduta  dal  vescovo  per  provvedere  gli  alloggi  :  ad  essa  facesse 
la  denunzia  chiunque  aveva  stanze,  alloggiamenti,  ecc.,  per  la 
Corte  pontificia  e  f)er  gli  attesi  forestieri.  Il  giorno  24  una  nuova 
grida  sospendeva  tutte  le  leggi  che  regolavano  l'introduzione  dei 
viveri  e  delle  biade  nella  città,  e  si  annunziavano  inusitate  lar- 

(i)  Pastor,  op.  cit,  voi.  I^  p.  161. 


58  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

ghezze  non  meno  ai  forestieri  che  ai  cittadini,  i  quali  concorres- 
sero a  fornire  la  città  di  grani,  vini,  carni,  fieni  e  di  quanto  poteva 
occorrere  al  mantenimento  della  moltitudine  che  vi  si  aspettava. 
La  grida  incominciava  così  : 

e  Da  parte  del  magnifico  et  excelso  nostro  signore,  etc,  fi  no- 
c  tificado  a  zaschuna  persona,  comò  per  grazia  del  onipotente  Dio 
€  circa  lo  principio  del  mese  de  otobre  proximo  sera  ne  la  dita 
tcitade  de  Mantoa  lo  santissimo  padre  et  signore  nostro  papa 
€  Martino  quinto  lo  quale  per  la  sua  grazia  farà  residentia  ne  la 

•  dita  dtade  per  quello  tempo  che  parerà  ala  sua  sanctitade.  E 

•  azo  che  zascheduno  sapia  quello  che  si  hano  a  fare  in  fomirse 

•  de  vituale  per  poter  ben  sovegnire  ala  corte  de  quello  e  qualun- 

•  que  segua  quella  fi  declarado  che  la  intentione  del  nostro  pre- 

•  fato  signore  si  e....  ecc.  (i)i.  E  qui  seguono  parecchi  articoli  in- 
dicanti le  nuove  larghezze  per  l'introduzione  di  vettovaglia  nella 
città. 

Dell'affannarsi  in  preparativi  nella  casa  del  principe  rimane 
traccia  in  una  nota  di  pagamento  per  alcune  poltrone  ordinate  ap- 
punto per  quella  venuta  (2). 

Martino  V  fece  il  suo  ingresso  in  Mantova  il  giorno  29  ot- 
tobre del  141 8  (3). 

Le  feste  che  abbiamo  veduto  fare  alla  venuta  di  papa  Gio- 
vanni XXIII  mi  dispensano  dal  parlare  di  quelle  che  furono  cele- 
brate per  la  venuta  di  Martino  V.  Solo  vuol  essere  notata  la  grande 
differenza  che  presentavano  i  due  personaggi.  Giovanni  XXIII  era 
si  riconosciuto  dai  Mantovani  e  da  tutti  i  paesi  qui  dattorno  come 
vero  e  legittimo  successore  di  S.  Pietro  ;  ma  altri  due  papi  vanta- 
vano il  medesimo  nome  e  i  medesimi  diritti,  e  avevano  anch'essi 
al  loro  seguito  ferventi  cristiani,  che  ne  sostenevano  e  veneravano 
l'autorità  suprema.  Martino  V  invece  si  presentava  come  pontefice 

(i)  Gridario,  F.  I.  3,  e.  8. 

(2)  "  XXVI  octob.  1418.  M.ro  Jacobino  de  Papia  caligario  prò  fac- 
**  tura  scranearum  quinque  factarum  sive  capertorum  de  veluto  et  dal- 
**  maschino  de  mandato  domine  prò  adventu  sanctissimi  domini  et  aliorum 
**  magnificorum  dominorum,  in  racione  L.  3  prò  qualibet.  „  Arch,  Gonz. 
D.  XII.  8,  pacco  III. 

(3)  *  Duodecimo  anno  [1418]  Marlinus  V  . . . .  Mantuam  maximo 
**  cum  gaudio  XXIX,  octobris  solemniter  inlroivit  „  ;  Neru,  op.  cit., 
e.  1084,  A. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  59 

unico  di  tutta  la  cristianità,  veniva  nunzio  della  sospirata  pace 
universale  della  Chiesa,  trionfatore  della  guerra  atrocissima,  che 
per  tanti  anni  aveva  dilacerato  il  gregge  di  Cristo.  E  però  se 
a*  tempi  di  papa  Giovanni  le  vie  di  Mantova  si  trovarono  strette 
alla  folla  della  minuta  gente  e  della  mezzana,  che  dalle  terre  con- 
finanti erano  accorse  a  vedere  e  venerare  il  pontefice  ;  più  mera- 
viglioso spettacolo  si  vide  con  papa  Martino  nella  quantità  di 
ambasciatori  e  di  principi,  che  qui  vennero  a  riconoscere  e  salutare 
il  padre  comune  di  tutti  i  cristiani  (i). 

Non  è  del  mio  compito  dire  ciò  che  qui  fece  Martino  V  nel- 
l'interesse religioso  della  cristianità  o  in  quello  politico  degli  stati 
della  Chiesa.  Per  quanto  riguarda  la  storia  di  Mantova  non  ho  a 
ricordare  che  due  sole  cose,  l'una,  il  Capitolo  generale,  che  in  quel 
frattempo  si  tenne  a  Mantova  dall'Ordine  Francescano,  del  quale 
il  Gonzaga  volle  liberalmente  sostenere  le  spese  (2)  ;  Taltra,  rac- 
cordo concluso  'della  guerra,  che  ardeva  fierissima  tra  Filippo 
Maria  Visconti  e  Pandolfo  Malatesta.  La  casa  Visconti  per  un 
fortunato  ripetersi  di  favorevoli  circostanze  era  andata  pian  piano 
rialzandosi  dalla  precipitosa  sua  caduta,  e  Filippo  Maria  con  Tarte 
e  con  la  forza  andava  richiamando  e  riunendo  all'avito  dominio 
i  luoghi  che  se  ne  erano  distaccati.  Era  venuta  dunque  anche  la 
volta  di  Pandolfo  Malatesta,  che  di  quel  dominio  aveva  avuto 
Bergamo  e  Brescia.  Pandolfo  lottava  con  tutta  l'arte  e  l'audacia 
di  cui  sapeva  disporre,  ma  troppo  nelle  sue  forze  era  inferiore  a 
quelle  del  Visconti,  perchè  non  dovesse  soccombere.  Martino  V, 
intercedente  il  giovane  Gonzaga,  si  mise  di  mezzo  fra  i  due  guer- 
reggianti,  e  li  condusse  a  questo  accordo  ;  che  Pandolfo  ritenesse 


(1)  *•  Abiens  Mantua  Pontifex,  subsequentibus  omnibus  ferme  Ita- 
■  liae  principibus,  qui  Mautuam  ad  salutandum  hominem  de  more  con- 

*  venerant  „  ;  Platina,  op.  cit,  e.  801.  A.  Di  citazioni  parziali  sul 
gran  concorso  dei  personaggi  che  fu  allora  qui  in  Mantova  ricorderò 
questa  della  cronaca  di  Gubbio  :  "  L'anno  1418  del  mese  di  novembre 

*  partì  da  Urbino  il  sig.  conte  Guido  con  bella  e  gran  compagnia  per 

*  andare  a  Mantova  a  visitare  il  detto  papa  Martino  „  ;  Muratori,  /?.  /.  S., 
XXI,  e.  959,  B. 

(2)  **  Celebrata  sunt  hoc  anno    [1418]    comitia   generalia  in   urbe 

*  mantuana  praesente  pontifice,  sumptus  liberaliter  ministrante  Johanne 
"  Francisco,  urbis  principe.  Quid  hic  factum   aut   decretum   non  liquet 

*  perditis  actis  capituli  „  ;  Wadding,  Annales  mmorum,  to.  V,  p.  121. 


6o  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

liberamente  Bergamo  e  Brescia  ;  ma  alla  sua  morte,  non  avendo 
esso  figli,  le  due  città  tornassero  al  Visconti  (i). 

Martino  parti  da  Mantova  il  2  febbraio  del  1419,  e  nella  sua 
partenza  gli  facevano  splendido  corteggio  i  principi  di  quasi  tutta 
Italia  che  erano  venuti  a  Mantova  a  fargli  riverenza  (2). 

Durante  la  permanenza  sua  in  Mantova  nel  mese  di  decembre 
141 8  mori  al  Gonzaga  una  bimba  di  nome  Caterina  (3).  Ne 
prendo  nota  per  avere  occasione  di  ricordare  i  suoi  figli.  A  questo 
tempo  ne  aveva  quattro,  Lodovico,  Carlo,  Margherita,  Caterina, 
Pare  che  nel  1419  la  moglie  gli  partorisse  un*altra  bimba,  in  cui 
fu  rinnovato  il  nome  della  piccola  morta  ;  ma  anche  questa  do- 
vette morire,  perchè  non  se  ne  trova  più  memoria  (4). 

La  venuta  dei  due  papi  dovette  naturalmente  portare  ai  Gon- 
zaga spese  gravissime,  perchè  il  decoro  della  casa  e  della  città 
volevano  non  si  guardasse  in  tali  occasioni  a  tenersi  stretti.  Ma 
non  può  esser  dubbio  che  se  grandi  furono  le  spese,  corrispondente 
per  lo  meno  dovette  essere  il  guadagno  che  ne  venne  alla  città 
dallo  straordinario  concorso  di  forestieri  e  dal  movimento  conti- 
nuo che  essi  qui  portavano  ;  senza  dire  del  nome  e  dell'onore  che 
Mantova  ne  acquistava  presso  gli  altri  popoli.  Ma  se  qui  Gian- 
francesco  metteva  a  buon  frutto  il  suo  denaro  e  quello  del  suo 
popolo,  in  altre  cose,  munifico  di  natura  e  splendido  come  tutti  i 
Gona^aga,  più  che  non  potevano  le  sue  forze  pare  assecondasse 
lo  spirito  del  suo  secolo,  il  quale,  quando  non  aveva  terre  e  città 
da  disertare  ed  uomini  da  spingere  a  reciproca  strage,  voleva 
feste,  giostre,  tornei  e  sontuosità  di  abiti  e  magnificenza  di  pa- 
lazzi e  di  chiese.  Di  questa  soverchia  facilità  a  spendere  qualche 
storico  mantovano  ha  fatto  a  Gianfrancesco  grave  appunto,  men- 

(i)  CoRio,  Storia  di  Milano ^  par.  IV,  p.  730;  Platina,  op.  cit, 
e.  800,  D. 

(2)  **  Tertiodecimo  anno  [1419]  idem  [Martinus  V]  februarii  II  die 
**  Mantua  recedens  Florentiam  adiit  „  ;  Nerli,  op.  cit.  e.  1084,  A.  Pel 
corteggio  ricorda  il  "  subsequentibus  omnibus  ferme  Italiae  principibus  ^ 
della  nota  210. 

(3)  **  Pro  acubus  emptis  prò  obìtu  magn.  d.  Caterinae  nate  do- 
*  mini  24  decembre  1418.  „  Dal  registro  delle  spese  del  Gonzaga, 
pacco  III.  D.  XII.  8. 

(4)  "  Pro  federando  unam  cameratn  prò  magnìfica  domina  Ca- 
**  terina,  ult.  aprilis  1419.  Ibid.  „  Suppongo  si  tratti  di  una  figlia,  ma 
non  è  escluso  il  caso  che  trattisi  di  altra  signora  di  nome  Caterina. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  6l 

tre  ricorda  con  lode  il  nome  di  Paola,  che  quanto  potè  avrebbe 
cercato  di  fare  argine  alla  soverchia  liberalità  del  marito.  Quan- 
tunque le  accuse  non  si  appoggino  ad  alcuna  prova  di  fatto,  non 
le  credo  lontane  dal  vero,  perchè  le  frequenti  assenze  di  Gian- 
francesco  da  Mantova  lasciano  supporre  moke  spese  ;  e  la  di- 
stretta gravissima  di  denaro  in  cui  si  trovò  lo  stato,  accusa  aper- 
tamente un  dispendio  poco  giudizioso  delle  pubbliche  rendite.  E 
che  Gianfrancesco  peccasse  veramente  di  prodigo  me  lo  fa  cre- 
dere anche  una  sua  letterina  che  ho  trovato  nelParchivio  Gon- 
zaga. Essa  è  diretta  a  Paola,  e  porta  la  data  di  Goito,  25  agosto 
141 8,  quando  Mantova  aveva  pace  da  molti  anni,  né  apparisce  in- 
dizio da  nessuna  parte  che  in  quel  momento  occorresse  denaro  per 
l'urgenza  di  qualche  lavoro.  Come  la  lettera  è  brevissima  la  ri- 
porto nella  sua  integrità  :  t  Paula,  per  Dio  tenete  ogni  bon  modo 
iche  ne  sia  possibele  de  retrovar  quelli  dinari,  perchè,  comò  più 
ice  aguardo  sovra,  tanto  più  ne  par  che  i  siano  de  bixogno,  e 
f  quando  i  ne  mancazeno,  i  seria  el  più  impaciado  omo  del 
«mondo  (i)i.  Forse  io  m'inganno,  ma  da  questa  lettera  mi  pare 
di  scorgere  in  Gianfrancesco  assai  viva  la  passione  dello  spen- 
dere, e  quindi  il  continuo  bisogno  di  denaro,  mentre  Paola,  di- 
venuta cassiera  ed  economa  del  marito,  la  veggo  mettere  avanti 
scuse  e  pretesti  per  resistere  alle  pressanti  richieste  di  denaro  che 
egli  le  andava  facendo.  Del  resto  anche  più  avanti,  quando  Gian- 
francesco sarà  a  capo  di  eserciti,  tutto  assorto  nelle  cure  della 
guerra,  la  sollecitudine  di  provvedere  denaro  per  lui  e  per  le 
tnippe  la  vedremo  sempre  assegnata  a  Paola.  Ma  molto  probabil- 
mente i  tempi  tristissimi  che  vennero  poi,  non  meno  per  la  causa 
del  principe  che  per  tutto  il  suo  popolo,  fecero  parere  e  sentire 
anche  più  grave  il  difetto  dello  spendere  che  aveva  avuto  in  sua 
gioventù  Gianfrancesco,  e  diedero  maggior  risalto  alla  parsimo- 
nia e  previdenza  di  Paola. 

Nel  resto  però  era  tutto  premura  e  zelo  pel  buon  andamento 
dell'amministrazione  e  pel  benessere  del  suo  popolo.  Lo  prova  il 
decreto  che  fece  il  io  maggio  del  1419  sul  Consiglio  maggiore 
della  città.  Facevano  parte  di  questo  Consiglio  quattrocento  cit- 
tadini, e  ad  esso  era  affidato  l'incarico  di  eleggere  gli  ufficiali  del 
comune,  e  provvedere  ai  servizi  più  importanti  dell'amministra- 

(1)  Arch.  Gonz.  F.  II.  6. 


62  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

zione.  Ma  anche  allora,  come  oggi  e  come  sempre,  in  Italia  ed  al- 
trove, quando  si  trattava  di  dover  fare  le  nomine  alle  cariche  pub- 
bliche v*erd  sempre  grande  abbondanza  di  candidati  ;  ma  quando 
si  trattava  di  dover  portare  i  pesi  della  carica  assimta,  i  s^gi  del 
consiglio  si  vedevano  sempre  nella  più  parte  vuoti  ;  e  i  publid 
affari  spesso  subivano  dannosi  ritardi,  più  spesso  ancora  resta- 
vano abbandonati  al  maneggio  di  pochi.  Per  ogni  assenza  era  fis- 
sata nello  statuto  una  multa,  ma  come  era  assai  tenue,  non  aveva 
alcuna  efficacia  a  vincere  la  svogliatezza  dei  consiglieri.  In  vista 
di  ciò  Gianfrancesco  col  decreto  suddetto  portò  la  multa  a  due 
ducati  per  ogni  volta,  piccola  somma  per  un  cittadino  d*oggi,  ma 
per  un  cittadino  di  quei  tempi,  nella  scarsezza  di  denaro  che  si 
aveva  allora,  era  più  che  sufficiente  a  rendersi  sensibile  alla  borsa 
dei  più  (i).  Ed  io  trovo  ch'egli  fece  benissimo,  e  vorrei  che  anche 
le  moderne  legislature  ricorressero  a  tali  mezzi  per  vincere  l'apatia 
di  chi  ha  assunto  publici  impegni,  perchè  se  è  giusto  che  il  cit- 
tadino sia  liberissimo  di  accettare  o  no  una  carica,  è  anche  più 
giusto  che,  una  volta  libersunente  accettata,  non  fugga  dal  disim- 
pegnarne i  doveri. 

Nel  1420  fu  qui  a  predicar  la  quaresima  S.  Bernardino  da 
Siena,  e  il  fatto  segnò  un  avvenimento  nella  città  come  era  dovun- 
que arrivava  quel  santo,  che  tanto  zelo  poneva  nel  condurre  a  con- 
cordia le  città  divise  (2). 

Mantova  non  aveva  alcun  bisogno  di  lui,  perchè  qui  sotto  le 
ali  del  Gonzaga  si  vivea  in  piena  pace  e  trémquillità  ;  ma  Paola, 
donna  piissima,  desiderò  udire  e  far  udire  a'  suoi  mantovani  la 
parola  del  potente  predicatore,  la  cui  fama  empiva  tutta  l'Italia  ; 
ed  egli  accondiscese  all'invito  di  lei,  anche  perchè  un'altra  ra- 
gione, da  quella  della  pace  fra  i  cittadini,  poteva  qui  rendere  uti- 
lissima la  parola  di  lui.  Un  visionario  di  frate  domenicano,  pa- 
dre Manfredi  da  Vercelli,  si  era  messo  in  testa  che  fosse  già  nato 
l'anticristo,  quindi  prossima  la  fine  del  mondo,  perciò  necessario, 
urgentissimo,  non  attendere  più  che  ad  assicurarsi  l'eterna  sa- 
lute. E  come  le  cure  del  mondo  sono  d'impaccio  a  dedicarsi  tutto 


Ci)  Ib.  F.  I.  3.  V.  append.  n.  18. 

(2)  F.  Alessio,  Storia  di  S.  Bernardino  da  Siena  e  del  suo  tempo, 
Mondovi,  Graziano,  1899,  cap.  XV,  p.  164.  Per  la  storia  di  Mantova  vedi 
Donesmondi,  Gionta,  Volta,  ecc. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  63 

al  solo  conseguimento  di  questo  fine,  e  impaccio  gravissimo  sono 
i  I^ami  che  trae  seco  la  vita  matrimoniale,  così  padre  Manfredi, 
che  era  un  misto  di  sempliciotto  e  di  fanatico,  predicava  anche 
questo  che  ai  coniugati  era  lecito  di  separarsi  l'uno  dall'altro,  per 
dedicarsi  unicamente  a  Dio,  quand'anche  l'uno  di  essi  ricusasse 
la  separazione.  E  come  spesso  il  popolo  è  tanto  più  facile  a  cre- 
der^ quanto  più  sono  strane  e  pazze  le  cose  che  gli  vengono  dette, 
cosi  padre  Manfredi  trovò  seguaci  da  ogni  parte  (i).  E  si  ve- 
devano mariti  abbandonare  le  mogli,  e  assai  più  le  mogli  abban- 
donare i  mariti,  per  macerarsi  la  vita  nella  preghiera,  nei  digiuni 
e  nella  penifènza.  S.  Bernardino  nelle  sue  predicazioni  combat- 
teva con  sollecitudine  particolare  gli  errori  del  visionario  dome- 
nicano, e  come  seppe  che  questi  nel  141 9  era  stato  anche  a  Man- 
tova e  sparsovi  i  suoi  errori,  così  fu  premuroso  di  accettare  l'invito 
di  Paola  (2).  Prese  stanza  nel  convento  delle  Grazie  e  di  là  ve- 
niva a  predicare  a  MantovcU  Paola  era  donna  di  una  pietà  e  reli- 
gione molto  al  di  là  del  comune,  e  la  voce  popolare  che  appena 
morta  la  salutò  beata  è  la  più  sicura  conferma  della  sincerità  e 
profondità  della  sua  religione  (3).  E'  facile  quindi  immaginarsi 
l'impressione  che  dovette  ricevere  dalle  prediche  del  senese,  e  come 
sentirsi  vie  più  spinta  nella  via  della  pietà  e  della  religione.  Negli 
annali  dell'Ordine  francescano  vi  sono  di  quest'anno  parecchi  brevi 
pontifici,  che  la  riguardano,  e  tutti  ricordano  il  fervore  della  sua 
pietà  II  primo  è  del  26  novembre,  e  porta  l'autorizzazione  a  fon- 
dare tre  monasteri  di  monache  Clarisse,  e  quattro  conventi  di  Mi- 
nori Osservanti  nelle  diocesi  di  Mantova,  Milano,  Piacenza,  od 
altrove  a  suo  piacere,  col  proprio  denaro  di  lei  e  con  quello  che 
da  altri  fedeli  era  contribuito  (4).  Da  queste  ultime  parole  ar- 
guisco che  Paola  erasi  posta  a  capo  di  una  specie  di  associazione 
per  l'erezione  di  quei  monasteri  e  conventi,  pel  fervore  destato  dalle 
prediche  di  San  Bernardino,  che  metteva  ogni  sua  cura  nell'isti- 


(i)  F.  Alessio,  op.  cit.,  p.  150. 

(2)  Op.  cit.  p.  174. 

(3)  Il  martirologio  dell'  Ordine  Francescano  fa  .memoria  di  lei  col 
tìtolo  di  beata  sotto  il  17  marzo. 

(4)  ^  Tarn  de  proprìis  sibi  a  Deo  collatìs,  quam  aliis  bonis  quae 
■  ad  hoc  ab  aliis  Christi  fìdelìbus  impendentur  et  erogabuntur.  „  V.  co- 
desti divefsi  brevi  pontifici  in  Wadding,  op.  cit.,  appendice  all'a.  1420. 


64  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

tuire  nuovi  conventi  del  suo  ordine  (i).  Del  concorso  di  altri 
fedeli  in  questo  zelo  di  Paola  si  ha  una  prova  nella  fondazione  da 
lei  fatta  della  chiesa  e  del  monastero  del  Corpus  Domini^  per  la 
quale  un  Donesmondi  non  solo  diede  il  luogo  per  la  fabrica  della 
Chiesa,  ma  anche  le  case  vicine  che  erano  necessarie  pel  mona- 
stero (2).  E  così  in  tutte  le  altre  spese  per  chiese  e  conventi,  feste 
religiose,  addobbi,  voti,  che  s'incontrano  in  questi  anni  nei  regi- 
stri della  casa  Gonzaga,  le  più  volte  devesi  intendere  che  il  denaro 
veniva  dalle  mani  di  lei,  ma  era  raccolto  e  messo  insieme  per  le 
oblazioni  dei  fedeli.  Infatti  fra  le  molte  note  di  siffatte  spese  ve 
ne  ha  una  che  porta  questa  dichiarazione  speciale,  che  quella  spesa 
è  stata  fatta  a  tutto  carico  di  Paola  ;  la  quale  dichiarazione  natu- 
ralmente lascia  intendere  che  le  altre  erano  in  comune  con  altre 
persone  (3).  Che  avvenisse  del  progetto,  ricordato  nel  breve  pon- 
tificio, dei  tre  monasteri  di  Clarisse  e  quattro  conventi  di  Minori 
Osservanti,  non  so.  Qui  ne  fu  fondato  uno,  e  questo  merita  par- 
ticolare ricordo  pel  singolare  attaccamento  che  ad  esso  ebbe  Paola 
e  dopo  lei  tutte  le  donne  della  famiglia  Gonzaga,  perchè  una  figlia 
di  Paola  vi  vesti  Fabito  di  Clarissa  e  vi  lasciò  nome  di  beata,  e 
perchè  Paola  stessa  in  un  piccolo  appartamento  vicino  alle  sue 
mura  volle  passare  gli  ultimi  anni  della  vita  e  nella  sua  Chiesa 
volle  riposo  alle  sue  ossa  (4).  Da  tempo  Paola  aveva  incomin- 


(i), Quando  egli  divenne  superiore  generale  degli  Osservanti,  l'Or- 
dine contava  da  trenta  a  quaranta  .conventi  con  circa  200  individui: 
quando  egli  morì  l'Ordine  aveva  circa  300  conventi  e  5000  individui; 
P.  Patini,  Storia  di  S,  Francesco  d* Assisi,  Fuligno^  Tomassini,  1824,  to.  I, 
p.  24^  append.  II,  XVII. 

(2)  Donesmondi,  op.  cit.,  lib.  V,  p.  566. 

(3)  *  Item  [m.r  Lucas   murator]  positus  in  expensis  in   isto  [libro] 

*  carta  57  Omne  facta  per  ipsum  de  mandato  magn.  domine  nostre  suis 
"  omnibus  sumptibus  in  ecclesia  s.ti  Christophori....  in  totum  1.  CCCXXII. 

*  sol.  X.  „  Registro  deUe  spese  D.  XII.  8,  e.  loi. 

(4)  V.  il  mio  opuscolo  Cecilia  Gonzaga  e  Oddanionio  da  Monte* 
feltro,  Mantova,  Mondovì,  1897.  Ma  in  esso  sulla  fede  degli  storici  man- 
tovani, ho  asserito  che  Paola  entrasse  nel  monastero  e  vi  vestisse  l'abito 
monacale  ;  i  documenti  invece  dell'Archivio  Gonzaga  mi  hanno  detto  in 
seguito  che  essa  si  ritirò  in  un  appartamento  vicino  al  monastero,  ed 
ivi  trasse  rìtiratissima  gli  ultimi  anni  deUa  sua  vita.  Probabilmente 
seguì  anche  tutta  l'austerità  della  vita  di  Clarissa,  senza  però  vestirne 
l'abito. 


SIGNORE    DI    MANTOVA  65 

ciato,  nel  luogo  che  oggi  dicesi  la  iieray  un  tempio  ad  onore  della 
santa  del  suo  nome,  Paola  Romana,  e  a  quanto  dicono  i  registri 
delle  spese  negli  anni  141 6- 19  attese  con  la  massima  cura  al  suo 
compimento  (i).  E  accanto  ad  esso  sorse  il  convento  divenuto 
poscia  famoso  (2). 

Sarebbe  non  senza  interesse  uno  studio  speciale  sui  pittori, 
architetti,  ricamatori,  ecc.,  che  s^incontrano  nel  registro  delle  spese 
per  codesta  f abrica  e  per  altri  lavori  di  questo  tempo  ;  interessante 
altresì  mettere  a  confronto  con  i  prezzi  d'oggi  quello  che  si  spen- 
deva allora,  nella  mano  d'opera,  nei  ricami,  tessuti,  miniature,  ecc 
Ma  questo  è  un  lavoro  di  argomento  affatto  speciale,  che  non  può 
entrare  nel  racconto  generale  della  storia  politica  di  Mantova  E' 
notevole  anche  il  numero  d'artisti  non  mantovani  che  vi  s'incon- 
travano, un  Pasio  e  un  Rinaldo  di  Arezzo,  un  Francesco,  un  To- 
maso e  un  Raffaino  da  Cremona,  Guglielmino  e  Zanino  da  Pia- 
cenza, Zanino  e  Jacopino  da  Pavia,  Zanino  di  Francia,  ecc. 

Taccio  di  altre  chiese  e  conventi  che  furono  fabbricati  in  que- 
sto periodo  di  storia  che  ora  trattiamo,  perchè,  tranne  casi  spe- 
ciali per  ragione  di  particolare  culto  religioso  o  di  arte  o  di  qual- 
che ricordo  storico  che  ad  essi  vada  congiunto,  mi  pare  che  deb- 
bano essere  argomento  più  adatto  a  storia  speciale  religiosa  od 
artistica. 

Nella  storia  politica  ho  due  ricordi  da  presentare  al  lettore 
P^  quest'almo.  Il  primo  riguarda  la  popolazione  di  Mantova,  la 
quale  da  un  decreto  del  12  ottobre  di  quest'anno  parrebbe  dovesse 
andare  sensibilmente  diminuendo.  Infatti  la  premura  dei  Gon- 


(0  Arch.  Gonz.,  Registro  delle  sp)ese,  D.  XII.  8. 

(2)  Martino  V  approvò  la  fondazione  del  nuovo  monastero  con 
bolla  al  vescovo  di  Mantova  in  data  del  27  novembre  1420.  Con  altra 
bolla  del  giorno  antecedente  aveva  chiamato  a  dirigere  il  nuovo  mo- 
nastero «  Francischinam  de  Gluxiano  „  del  monastero  di  S.  Orsola  di 
Milano;  V.  in  Wadding,  op.  cit.,  questi  ed  altri  decreti  pontifici  rela- 
tivi a  detto  monastero. 

La  chiesa  invece  di  prendere  il  titolo  di  Santa  Paola,  come  era  stata 
a  prima  intenzione  della  fondatrice,  fu  detta  del  Corpus  Domini^  perchè 
"  ^^  trasferita  la  festa  del  santissimo  corpo  di  Cristo,  che  prima  si 
solennizzava  nella  chiesa  del  Gradaro'—  Donesmondi,  op.  cit.,  lib.  V, 
P-  367-68.  Oggi  il  luogo,  ridotto  ad  uso  ni.ilitare,  ha  ripreso  l'antico 
nome,  e  chiamasi  «  Caserma  di  S.  Paola.  » 

^^^h,  Stor.  Lomb,,  Anno  XXIX.  Fase.  XXXV.  5 


66  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

zaga  parecchie  volte  aveva  proposto  premi  per  allettare  i  maestri 
d*arte  a  venire  a  porre  stanza  nella  loro  città  ;  ma  ciò  mirava  al- 
l'incremento delle  industrie  e  quindi  al  miglioramento  nel  be- 
nessere generale  dei  cittadini.  Il  suddetto  decreto  invece  si  rivolge 
non  solo  ai  maestri  d'arte,  ma  a  chiunque  altro,  forestiere  o  man- 
tovano volontariamente  espatriato,  i  quali,  senza  essere  maestri  di 
arte,  avessero  quattro  bocche  o  da  quattro  in  su.  A  tutti  costoro, 
se  venivano  a  stabilirsi  in  Mantova,  si  prometteva  di  passar  loro 
per  cinque  anni  sulle  rendife  del  comune  un  mezzo  ducato  d'oro  al 
mese  pel  fitto  della  bottega  o  della  casa  (i). 

L'altro  ricordo  è  l'andata  di  Paola  a  Venezia  per  accompa- 
gnarvi la  sorella  Cleofe,  che  andava  sposa  a  Teodoro  despota  della 
Morea,  figlio  di  Emanuele  paleologo  imperatore  d'Oriente  (2). 

E  con  quest'ultimo  lieto  ricordo  chiudo  la  prima  parte  del 
mio  lavoro,  prima  che  la  tromba  di  guerra  tomi  a  risonare  per  le 
quiete  terre  del  Mantovano  e,  chiamando  i  Gonzaga  a  nuove 
guerre  fratricide,  prepari  loro  e  alla  città  giorni  terribili  di  sven- 
tura e  di  pianto. 

F.  TARDUCCI. 


APPENDICE 


N.  I. 

Nos  Johannes  Franciscus  de  Gonzaga  etc.  Vobis  domino  et 
ludici  ad  banchum  datiorum  etc.  committimus  et  mandamus  quatenus 
magistro  Francisco  de  Parma  rectori  scolanim  in  nostra  civitate 
praedicta  contra  quoscumque  suos  debitores  et  de  quibuscumque 
suis  debitoribus  ac  sibi  dare  debentibus  tam  in  magna  pecuniae 
quantitate  quam  parva  occasione  mercedis  sue  prò  disciplina  sco- 
lanim iustitiam  faciatis,  procedentes  in  cognoscendo  et  terminando 
summarie  et  expedite  simpliciter  et  de  plano  etc,  reiectis  cavillatio- 
nibus  et  frivolis  exceptionibus  quibuscumque  et  quoscumque  pre- 


fi)  Gridario,  F.  I.  3.  e.  IV  v.  V.  append.  n.  19. 
(2)  Sanuto,  op.  cit,  e.  936,  A. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  67 

dictos....  magistri  Francisci  veros   debitores  vobis  esse   constiterit 
ad  dandum  et  solvendum  eidem  quidquid  sibi  dari  debebunt. 

Xyilll  od.  1407, 

Lib.  Decreti,  F.  IL  io,  lib.  I,  p.  36. 

N.  a. 

F.  IL  7. 
Domino  Ottoni 

Magnifice  et  potens  domine  tamquam  pater  carissime.  Non 
iramemor  me  bis  diebus  a  Vestra  Magnificentia  recepisse  quoddam 
breve  datum  Parmae  die  XXII*  proxime  elapsi  mensis  Augusti,  ad 
illius  continentiam  quam  pieno  intellectu  collegi,  nunc  duxi  dilucide 
respondendum.  Quod  non  puto  michi  cum  ventate  aliqualiter  obici 
posse  violationem  uUam  promissionum  vigentium  Inter  utramque 
partem  vestri  et  mei,  mei  causa  vel  meo  defectu  quovismodo  pro- 
cessisse.  Unde  nec  vos  potestis  in  hoc  de  me  merito  querelari. 
Et  quamquam  in  teneris  annis  sim,  sicuti  inter  cetera  continentia 
dicti  brevis  videtur  imprimere,  attamen  michi  curae  et  animo  nunc 
usque  fuit.  Sicque  etiam  mores  vestigia  imitaturus  recollende  me- 
nwriae  magnifici  quondam  et  excel,  domini  genitoris  mei  intendo 
•cmpcr,  dum  michi  vita  comes  erit,  inviolabiliter  quantum  ex  me 
fuerit  servare  promissa  quaecumque.  Ad  factum  autem  praedae 
bestiaminura,  quam  fecit  dominus  Jaches  super  territorio  Guastal- 
lae,  transitum  fadens  per  territoria  mea,  certissimam  se  reddat  ma- 
gnifica patemitas  vestra  quod,  prout  per  alias  sibi  rescripsi,  pro- 
cessit  dictus  transitus  me  prorsus  inscio,  et  praeter  mei  omnimodam 
voluntatem etc. 

Mantuae,  dit  tertio  septembris  1408. 

Johannes  Franciscus  de  Gonzaga. 

N.  3. 
F.  IL  7. 
Domino  Pandulfo 

Magnifice  et  ex.  domine  et  pater  mi  honorandissime.  Respon- 
Qens  ad  breve,  quod  magnifica  patemitas  vestra  michi  scripsit  super 
lacto  fortelitii  de  la  plubega  etc.  notifico  me  oportunum  superinde 
colloquiuni  habuisse  cum  magnifico  domino  patre  meo  domino  Ca- 
''oio  antequam  hinc  pridie   discederet  ;   qui  in   eflfectu  conclusit  et 


68  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

ordinavit  quod  praedictum  fortelitium  penitus  demoliretur.  Ita  tamen 
quod  iuxta  promissionem  per  vos  alias  factam  magnifico  recoUende 
memorie  domino  genitori  meo  prius  declarentur  confinia  dicti  for- 
telitii,  terminantia  territorium  Mantuanum  a  territorio  brixiensi.  Ce- 
tera  fiant  que  ex  forma  patentium  litterarum  quas  magnifico  quon- 
dam domino  genitori  meo  fecistis,  et  quarum  copiam  ad  evidentiam 
magnifice  paternitati  vestrae  destino  interclusam.  Utrimque  scilicet 
inter  vos  et  me  peragenda  sunt.  Cum  igitur  paratum  me  oflfero 
exequi  facere  prò  parte  mea  ea  quae  ut  profert  praelibatus  dominus 
pater  meus  dominus  Carolus  conclusit  et  ordinavit,  praestolabor 
avisari  a  magnifica  paternitate  vestra  de  modis  qui  sibi  in  facto 
ipso  faciendi  videantur. 

Daium  Mantuae,  die  X  septembris  1408, 

Johannes. 

N.  4. 

Lettera  del  doge  di  Venezia  in  data  24  aprile  1409 

AI  Rettori  di  Verona. 

Michael  Steno,  Dei  grafia  Dux  Venetiarunt,  Nobilibus  et  sa- 
pientibus  viris  eie,  etc, 

....  Intelleximus  magnificum  dominum  Mantuae  ordinasse  unam 
regatam  in  lacu  Gardae  et  praeparari  facere  unam  ganzaram  et 
aliam  de  novo  facere  fabricari  et  requisivisse  alios  habitantes  super 
lacum  ut  mittant  suas  ganzaras.  Et  quia  comprehendimus  hiinc 
actum  nihil  aliud  importare  nisi  ad  demonstrandum  quod  habeat 
jurisdictionem  in  lacu,  non  sumus  dispositi  quod  talis  actus  ha- 
beat executionem  nec  eflfectum....  Et  ad  inlormationem  vestram 
mittibus  vobis  annotatum  in  folio  praesentibus  intercluso  copiam 
responsionis  quam  fecimus  magnifico  genitori  suo,  dum  viveret 
et  esset  Venetiis  super  jurisdictionem  dicti  lacus;  de  qua  respon- 
sione remansit  contentus.  Et  propterea  vobis  mandamus,  quate- 
nus,...  debeatis  tenere  modum  quod  dieta  regata  vel  aliquis  similis 
actus  non  fiat  in  lacu  sine  licentia  et  consensu  nostro.... 

Dal  Torelli,  Ricerche  storiche  di  Mantova,  voi.  II,  p.  287. 

N.  5, 
Libro  delle  Fattorìe.  B.  33.  9.  p.  233. 

Johannes  Franciscus  de  Gonzaga  efc, 

Concessimus  de  speciali  gratia  egregio  dilecto  nostro  Masio 
de  Maliciis  qui  nos  litteras  docuit  quandam  possessionem  nostram 


SIGNORE    DI    MANTOVA  69 

situatara  in  nostro  Castellani  territorio,  cuius  pecias  terrarum  mit- 
tìmus  descriptas  in  cedula  presentibus  alligata.  Ideo  volumus  et 
tìbi  mandamus  quatenus  eundem  Masium  in  possessionem  et  te- 
nutam  diete  nostre  possessionis  ponas  et  inducas  positumque  ma- 
nuteneas  et  deffendas  faciendo  sibi  de  affictibus  debitis  temporibus 
responderi  per  colonos  tenentes  ad  affictum  et  laborantes  de  dictis 
nostris  terris,  quibus  facias  preceptum  quod  cum  ilio  Masio  se  in- 
tendant  et  de  cetero  sint  concordes  secum.  Cuique  Masio  in  cunctis 
assistas  tuis  auxiliis  et  favoribus,  prout  opus  fuerit  et  duxerit  re- 
quirendum. 

Manine,  2  septembris  1410. 

N.  6. 
Lib.  Statut.  Lib.  XIII.  p.  217.  rubr.  25.3  —  /-/09,  16  lug, 

Exemplura  ab  autentico  relevatum  cuius  tenor  sequitur  in  hac 
forma  :  De  consensu  nostro  : 

Nos  Johannes  Frane,  de  Gonzaga  Mantue  etc.  Non  valentes 
occurrentibus  negotiis  in  civitate  nostra  Mantue  propter  futuram 
absenciam  nostrani  ad  partes  Arimini  personaliter  ad  presens  in- 
tendere, confidentes  maxime  de  fide  precipua  et  prudentia  circum- 
specta  Mag.c*  militis  domini  Caroli  de  Albertinis  comitis  Prati  con- 
socii  nostri  amantissimi,  tenore  presentium  et  omnibus  modis  iure  et 
forma  quibus  melius  possumus  animoque  deliberato  et  nullo  ar- 
guenti errore  iuris  vel  facti,  sed  ex  certa  nostra  scientia  prefatum 
Mag.Q'n  militem  d.  Carolum  in  nostrum  locumtenentem  et  prò  no- 
stro locumtenente  in  d.^«  nostra  civitate  Mantue  omnibusque  terris 
nostro  dominio  suppositis,  donec  a  dieta  nostra  civitate  eiusque  ter- 
ritorio absentes  fuerimus  et  per  totum  absentie  nostre  tempus,  fa- 
cimus,  constituimus  et  creamus,  volentes  et  hoc  nostro  decreto  spe- 
cialiter  edicentes  omnibus  et  singulis  potestati  officialibus  vicariis 
castellanis  stipendiariis  civibus  et  subditis  nostris  quatenus  in  om- 
nibus et  quibuscuraque  nostrum  et  diete  nostre  civitatis  atque  di- 
strictus  statum  utilitatem  atque  proficuum  concernentibus  prefato 
Mag.co  militi  d.  Carolo  eiusque  iussibus  et  mandatis  per  totum  dic- 
tum  tempus  piene  pareant  et  efficaciter  obediant  tanquam  nobis. 
Damus  quoque  atque  huius  nostri  presentis  decreti  tenore  conce- 
dimus  prefato  Mag.co  militi  d.  Carolo  potestatem  bayliam  et  ge- 
neralem  et  specialem  et  liberam  facultatem  omnes  et  singulas  apel- 
lationum  redamationum  et  supplicationum  causas  quas  ad  nos  tam 
de  iure  comuni  quam  ex  forma  statutorum  nostri  comunis  Mantue 


70  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

specialiter  devolvi  continget  per  id  totum  absentie  nostre  tempus 
coraittendi  ac  delegandi  uni  et  pluribus,  secundum  quod  ei  videbitur 
convenire  et  quemadmodum  nos  si  presentes  esseraus  aut  face- 
remus  aut  facere  possemus.  Similiter  et  omnibus  et  quibuscumque 
decretis  quarumcumque  comissionum  sive  iudicialium  sive  extra 
iudicialium  interponendi  autoritatem  suam  et  signandi,  in  hiis  etiam 
que  emanarent  sine  strepitu  et  figura  iudicii,  super  quibus  om- 
nibus et  singulis  concedendis  plenam  eidem  tribuimus  facultatem. 
volentes  atque  decementes  ut  in  omnibus  et  singulis  concedendis 
que  ex  forma  statutorum  nostrorum  Mantue  requirunt  specialem 
signaturam  manus  nostre  per  verba  de  consensu  nostro  vel  equi- 
polencia  et  alia  quecumque,  idem  Mag."*  miles  dnus  Carolus  parem 
nobiscum  habeat  potestatem  per  totum  dictum  assentie  nostre 
tempus.  Nam  ex  nunc  omnia  et  quecumque  que  dicto  absentie  no- 
stre tempore  prefatus  Mag."*  miles  d.  Carolus  duxerit  comittenda 
delleganda  signanda  jubenda  et  quomodolibet  disponenda  rata  ha- 
bentes  et  grata  ea  omnia  et  singula  firma  et  incomutabilia  manere 
et  ab  omnibus  inviolabiliter  observanda  inconcusse  decernimus,  ac 
si  a  nobis  ipsis  immediate  aut  de  speciali  nostro  mandato  manu  no- 
stra signato  procederent  et  ex  nostra  certa  scientia  specialiter  ciu*a- 
verent(?),  non  obstantibus  ad  premissa  vel  aliquid  premissis  aliquibus 
statutis  legibus  decretis  ordinibus  vel  consuetudinibus  nostris  et  co- 
munis  nostri  Mantue,  quibus  et  aliis  que  obstarent  quantum  in  hac 
parte  ex  certa  scientia  et  animo  deliberato  total  iter  derogamus  et 
esse  volumus  derogatum.  In  quorum  testimonium  atque  robur  pre- 
sentes fieri  iussimus  et  registrari  nostrique  sigilli  in  talibus  consueti 
munimine  roborari. 

Dat,  Mani.f  die  sexto  decimo  julii  MCCCQo  homo,  secunda  inditione, 

Christoforus  de  Arivabenis 
pres.ci  Mag.ci  dni  secretarius  eiusdem  mandato  scrìpsit. 

N.  7. 
D.  II.  8.  —  1409,  22  agosto. 

In  nomine  Domini  amen,  anno  Domini  millesimo  quadringente- 
Simo  nono,  tempore  d.  Gregorii  pape  duodecimi,  indictione  secunda 
et  die  vigesimo  secundo  mensis  augusti.  Actum  in  civitate  Pensauri 
et  in  domibus  habitationis  Mag.  et  potentis  d.  nostri  Malateste  de  Ma- 
latestis  infrascripti  et  in  quadam  camera  dictarum  domorum  que 
respicit  versus  curtile  parvum  introitus  dictarum  domorum  et  etiam 
dieta  camera  est  supra  logiam   dicti  introitus   dictarum   domorum, 


SIGNORE    DI   MANTOVA  7I 

que  domus  posite  sunt  in  quarterie  S.^»  Jacobi  civitatis  Pensauri, 
iuxta  vias  publicas  a  tribus  lateribus  et  plateam  magnam  co" 
munis  Pensauri.  Presentibus  strenuo  et  inclito  viro  Francisco  q.™ 
dni  Lovisii  de  Actis  de  Saxof erato,  nobile  viro  Lunardo  q.*"  Roelli 
de  Roellis  et  nobile  viro  Marcialdo  Cesaris  de  Agulantibus  ambobus 
de  Arimino,  testibus  ad  haec  vocatis  et  rogatis  coram  egregio  legum 
doctore  d.  Francisco  de  Scionis  de  Reate  vicario  nobilis  viri  Hen- 
rici  dni  Colutii  de  Salutatis  de  Florentia  hon.  potestatis  civitatis 
Pensauri  prò  Mag.^°  et  potente  dno  nro  Malatesta  de  Malatestis 
Pensauri  etc.  prò  tribunale  sedente  in  quodam  bancho  ligneo  exi- 
stente  in  d.^«  camera  dictarum  domorum  superius  lateratarum  et 
confinatarum,  quem  locum  ob  reverentia  infra J«  Mag.^e  dne  primo 
et  ante  omnia  iuridicum  et  habilem  ad  hunc  actum  et  ad  omnia 
et  singula  infra  dicenda  esse  pronunciavit  Mag.*=«  et  Ex.**  dna.  dna. 
Paula  Agnes  filia  Mag.«^»  et  Ex.»*  dni  Malateste  q.™  recolende  me- 
morie ÌAsLgS'^  et  potentis  dni  dni  Pandulfi  de  Malatestis,  maior  qua- 
tordecira  annorum,  minor  tamen  viginti  quinque  constituta  omni 
modo,  via,  iure  et  forma  quibus  melius  potuit  et  potest  petijt  a  d.*^ 
dno.  vicario  ut  supra  sedente  sibi  in  curatorem  dari  Egregium  vi- 
rum  Gasparum  q.™  recolende  memorie  Mag."  et  Ex.»'  dni  dni  Ga- 
leatij  de  Malatestis  presentem  et  intelligentem  qui  sibi  auctor.  et 
consentiat  ad  infrascriptam  renunciationem,  finem,  cessionem  et 
refutationem,  transationem  et  pactum  de  ulterius  non  succedendo 
nec  petendo  et  omnia  et  singula  infradicenda  quam  facere  intendit 
infras.^o  dno  Pasqualino  de  Pingetis  recipienti  nomine  et  vice  su. 
prad.*'  Mag.c*  dni  nostri  Malateste  sui  patris  et  eius  heredis  et 
Galeazo  et  Galeotto  filiis  prefati  Mag.^»  dni  nostri  Malateste  et  vice 
et  nomine  aliorum  magnificorum  filiorum  ipsius  Mag  ci  dni  nri  Ma- 
lateste fratrum  ipsius  Mag.^®  dne  Paule  agnetis  presentium  et  fu- 
turorum  ac  etiam  vice  et  nomine  heredum  recolende  memorie 
Mag.c«  et  Ex.n«  dne  dne  Isabete  f.  q.  bone  memorie  Mag.'»  et  po- 
tentis dni  dni  Rodulfi  de  varano  et  uxoris  olim  d.*'  Mag.<^>  dni  nri 
Malateste  matris  ipsius  Mag.^e  dne  Paule  Agnetis  de  omnibus  et 
singulis  infra  dicendis  specificandis  et  declarandis.  Et  propterea 
idem  dnus  Franciscus  vicarius  ut  supra  prò  tribunale  sedente  dic- 
tum  Gasparum  ibidem  presentem  et  aceptantem  d.^^  Mag.«  dne 
Paule  Agneti  adulte  curatorem  ad  dictum  actum    constituit   et   de- 

crevit  dicens:  esto  curator 

Pro  quo  curatore  et  eius  presentibus  et  mandatis  Oddo  Thadei 

dni  Raineri]  de  Pensauro  solempniter  extitit  fideiussor 

Post  que    inmediate    et  sine    aliquo   tempus  intervallo  d.^^  Mag.<^* 
dna  dna  Paula  agnes  adulta  in  presentia    d.»  dni  Francisci   vicarij 


72  GIANFRANCESCO   GONZAGA 

ut  supra  prò  tribunale  sedente  constituta  presente  auctoritate  et 
consentiente  sibi  d^^  Gasparo  eìus  curatore  et  presentibus  et  con- 
sentientibus  Mag.*^®  et  Ex.*o  dno  Carulo  q."^  degnissime  recorda- 
tionis  Mag.cJ  et  Ex.»'  d.  d.  Galeatii  de  Malatestis  et  Mag.^o  Ga- 
leotto filio  Mag.ci  d.  Malatestc  de  Malatestis  zesone  (sic)  etc.«  et 
Mag.co  dno  Johane  q."^  Lamberti  de  Malatestis  suis  consanguineis 
dicentibus  et  aftirmantibus  infrascriptam  renunciationem  finem  tran- 
sactionem  refutationem  quietationem,  remissionem  pactum  cessionem 
esse  sibi  Mag."  dne  Paule  Agneti  adulte  utilia  sponte  et  ex  certa 
scicntia  non  vi  non  metu  nec  per  errorera  iuris  vel  facti  primo  di- 
ligenter  informata  per  me  notarium  infras.^"™  de  testamento  dM 
Mag.c^  dne  dTie  Isabetc  q."^  eius  matris  per  se  et  suos  heredes  re- 
nuntiavit,  remisit,  refutavit,  transegit  et  pactum  fecit  de  non  succe- 
dendo et  de  non  petendo  ulterius  vel  agendo  egregio  legum  doctori 
dno  Pasqualino  q."^  Jacobini  de  Pincetis  de  Mutina  generali  vicario 
in  Pensauro  presenti  et  vice  et  nomine  d.^^  Mag.<^'  dni  Malateste 
sui  patris  stipulanti  et  recipienti  et  prò  ipsius  Mag."  dni.  Malateste 
heredibus  ipsi  Mag.^^  ^jnQ  Malateste  ex  testamento  vel  ab  intestato 
succedentibus  ac  d.^^  Mag.^o  Galeazo  ac  d.^^  Mag.  Galeotto  eius 
fratribus  prò  se  et  vice  et  nomine  aliorum  Magnif.^™"™  filiorum  ip. 
sius  Mag.<^'  dni  Malateste  tam  masculorum  quam  feminarum  quos 
ad  presens  habet  vel  in  futurum  habere  contingeret  ipsa  Mag."  dna 
Paula  Agnete  exclusa  si  non  supererei  tempore  mortis  dfi  Mag.<^»  dni 
sui  patris  et  filiorum  d.^'  Mag.^»  dni  Malateste  fratrum  ipsius  Mag." 
dne  Paule  Agnctis  alitcr  non  aparente  de  voluntate  d.^'  Mag.^^  dni 
Malateste  sui  patris  et  dictorum  suorum  fratrum  expressa  verbis 
ipsorum  Mag.<^'  patris  et  dictorum  filiorum  seu  alterius  ipsorum  ri- 
sponentem  ipsam  Mag.»'"  dnam  Paulam  Agnetem  ad  eius  hereditatem 
vel  portioneni  vel  ad  aliquod  aliud  admitti,  quo  casu  solum  ad  illud 
admittatur  et  venire  possit  et  de  hijs  inter  dictum  d.  Pasqualinum 
nomine  dicti  Mag."^'  d.  Malateste  et  dictos  Mag.^*  Galeazum  et  Ga- 
leatum  nominibus  quibus  supra  et  dictam  Mag-^"*  dnam  Paulam 
Agnetem  pacto  inito  et  stipulatione  premissis  in  et  de  liereditatibus 
dicti  Mag.*-'  dui  Malateste  sui  patris  et  Mag.^  dne  dne  Isabete  q.'" 
sue  matris  et  filiorum  d.^'  Mag.<^i  dni  Malateste  fratrum  ipsius  Mag* 
d.  Paule  Agnetis  et  de  omnibus  bonis  paternis  et  maternis  atquo 
fraternis  tam  propriis  quam  emphiteoticis  et  omni  iure  et  actione 
sibi  competenti  et  compctiturc  ex  aliqua  causa  de  presenti  vel  qua- 
cumciue  in  futurum  conipeterct  etiam  ex  causa  ex  qua  de  presenti 
nulla  subcst  spes  in  et  super  bonis  et  ad  bona  paterna  et  materna 
atque  fraterna  quocumque  et  qualitercumque  jus  vel  actio  quoqu»)- 
modo  sibi  compcleret  in  quocumque  casu  vel  competere  posset  ad 


SIGNORE    DI    MANTOVA  73 

eadem  bona  paterna  vel  materna  ac  etiam  fraterna 

Et  hoc  ideo  fecit  prefata  Mag.<^«  dna  Paula  Agnes  quia  confessa  et 
manifeste  contenta  fuit  ad  petit'onem  et  instantiam  dfi  dni  Pa- 
squalini  presentis  et  nominibus  quibus  supra  petentis  ab  ipso  Mag.^° 
d.  Malatesta  eius  patre  suo  nomine  et  dictorum  suorum  heredum 
ac  filiorum  suorum  predictorum  bene  decenter  et  egregie  esse  et 
fuisse  dotatam  in  quantitate  quinquemilium  ducatorum  auri  et  in 
pannis  vestimentis  et  iocalibus  sibi  assignatis  prò  eius  arnisiis  et 
fulcimentis  juxta  et  secundum  conditionem  ipsius  ac  d.*»  sui  geni- 
toris  danda  et  assignanda  a  prefato  Mag.<^o  d.  Malatesta  MagS^  et 
Ex.«>  dno  dno.  Johanni  Francisco  f.  q.™  recolende  memorie  Mag.  ^^ 
et  E3L*^  dni  dni.  Francisci  de  Gonzaga  Mantue  etc*  futuro  sponso 
et  marito  prefate  Mag.c«  d.  Paule  Agnetis  de  voluntate  et  consensu 
prefate  Mag."  dne  Paule  Agnetis.  Quam  quantitatem  quinquemilium 
ducatorum  auri  ipsa  Mag.^  d.  Paula  Agnes  ocaxione  diete  transac- 
tionis  quietationis  ac  pacti  de  ulterius  non  petendo  et  cessionis  ju- 
riura  predictorum  prò  omni  jure  quod  dM  Mag.*^*  d.  Paula  Agnes 
haberet  vel  habere  posset  tam  in  bonis  dicti  sui  patris  quam  in 
bonis  d.*«  Mag."  dne  d.  Isabete  q.">  eius  matris  quam  etiam  dic- 
torum filiorum  d.**'  Mag.^»  dni  Malateste  fratrum  ipsius  Mag.  dne 
Paule  Agnetis  quibuscumque  et  qualitercumque  devolutis,  sive  vi- 
ventibus  dictis  eius  parentibus  sive  post  eorum  et  cuiuslibet  eorum 
mortem  sive  ex  testamento  sive  ab  intestato  sive  in  bonis  propriis 
sive  in  comunibus  vel  emphiteoticis  quocumque  jure  conditione 
causa  vel  modo  in  preteritum  presens  vel  futurum  habuisse  et 
recepisse  contenta  et  confessa  fuit  a  d.^®  Mag.^o  dno  Malatesta  eius 
patre  mediante  p.»  (persona  ?)  pref.^  Mag.^»  et  Ex.^^  d.  d.  Johannis 
Francisci  propter  promissionem  ex  causa  dictarum  dotium  factam 
per  dictum  Mag."'"  dnum  eius  genitorem  prefato  Mag.<^o  et  Ex.^o 
d.  d.  Johanni  Francisco  eius  futuro  viro  de  voluntate  et  consensu 
ipsius  Mag,"  dne  Paule  Agnetis,  ac  etiam  contenta  et  confessa  fuit 
habuisse  et  penes  se  habere  d.*^  iocalia  et  fulcimenta  a  ó.^^  eius 

Mag.co  genitore  data  et  assignata 

Ego  Antonius  q.™  Alberti  Levis  de  Pensauro  imperiali  autori- 
tate  notarius  presens  hiis  omnibus  fui  et  rogatus  scribere  scripsi 
et  publicavi. 

In  simili  forma  est  renuntiatio  q.™  Mag.c«  dne  Tadee,  item  et 
renuntiatio  dne  Cleophes  de  verbo  ed  verbum  nil  addito  vel  di- 
minuito et  per  eundem  notarium. 


L, 


74 


GIANFRANCESCO  GONZAGA 


N.  8. 

Jocalia,  Argenteriae  et  res  donatae 
Inclitae  et  Magnificae  domine  Dotnlnae  PAULE  de  GONZAGA  Martaie  ite. 
in  die  testo  nuptiarum  suarum  celebrato  Maiituae  die  XVUH  Janiarii 

MCCCCXa 


Donata  per  magnifìcum  Do- 
minum  Carolum  de  Malatestis. 


Donatae  per  Magnificam  Do- 
minam  Arìminensem. 


Donatae   per  dominum   Ca- 
rolum de  Prato  et  fratribus. 


Donatae  per  prefatum  domi- 
num Carolum. 

Donata  per  dom.  Guidonem 
de  Gonzagam  Prothonotarium  etc. 

Donatus  per  Magistrum  Mar- 
tin uni  et  Benevenutum  de  Pego" 
rinis  usque  ad  ducatus  LXXX.^'» 

Donatus  per  Benevenutum 
de  Pegorinis. 

Donatus  per  comitem  Ri- 
zardum. 


Donatus  per  Jacobum  de  Gon- 
zaga juniorem. 

Donatus    per    dominam  Ca- 
terinam  de  Gonzaga. 


Primo  Una  colana  ami  cum 
membretis  XXIII,  boUassìs  qtuh 
tuor,  zaffiris  quatuor  et  per&s 
viginti  a  conto. 

Unus  zoiellus  auri  cum  una 
domina  tenente  in  pectore  unum 
ballassum  et  in  summitate  capi- 
tis  unum  smeraldinum  cum  per- 
lis  quinque  a  conto. 

Unus  zoiellus  auri  cum  uno 
zaffiro,  trìbus  adamantibus  et  tri- 
bus  perlis  a  conto. 

Item  unus  annulus  cum  uno 
adamante  cum  cuspide  inferius. 

Una  anchoneta  auri  cum  An- 
nuntiata. 

Unus  zoiellus  auri  cum  uno 
balasso,  tribus  adamantibus  et 
tribus  perlis  a  conto. 

Una  anchoneta  parvula  cum 
pietate  et  duobus  angelis  in  me- 
dio et  cohoperculo  de  cristalo. 

Unus  annulus  auri  cum  gam- 
ba smaltata  et  una  perla  parvula 
a  conto. 

Unus  annulus  auri  cum  gam- 
ba smaltata  albo  et  viridi  cum 
uno  zaffiro. 

Unus  zoielletus  auri  cum  uno 
smeraldo  duobus  adamantinis  et 
duabus  perlulis. 


SIGNORE   DI   MANTOVA 


75 


Donati  per  magnifìcum  do- 
minum  Pandulfum  etc. 


Donatae  per  ambaxiatores 
Dlustris  Ducalis  Domimi  Vene- 
tonim. 


Donata  per   dominum   Fili- 
pum  de  Lamolza. 


Donata  per  dominum  abba- 
tem  sancti  Benedicti. 


Donata  per  dominum  Feltri- 
num  de  Gonzaga  et  consortem. 

Donata   per   dominum  Fili- 
pum  de  Gonzaga. 

Donata  per  dominum  Johan- 
nem  de  Milis  cum  uxore. 


Donata    per    Henricum    de 
Monselice. 

Donata   per    cominum    Ar- 
chipresbiterum. 

Donata  per   comitem   Ugo- 
linum. 

Donatumper  LeonardumDo- 
natum. 


Petia  una  cetanini  vellutati 
in  campo  cremesino  brochata  au- 
ro et  cum  operatione  viridi. 

Petia  una  cetanini  vellutati 
azurini  coloris  brochata  auro. 

Petia  una  cetanini  plani  azu- 
rini coloris  brochata  auro. 

Duae  pellandes  velluti  gra 
nae  fodratae  et  pauciis  [sic:  peli 
ciis?]  vayrorum  et  duo  capucii  fo 
drati  similiter  pauciis  vayrorum 

Unum  bacile  et  unum  bron 
zinum  argenti  ponderis  onz 

LXX.ta 

Unum  Bacile  et  unum  bron- 
zinum  argenti  ponderis  onz.  LX 

Iffl.or 

Bacile  unum  et  unum  bronzi- 
num  argenti  ponderis  onz.   LI. 

Bacile  unum  et  bronzinum 
unum  argenti  ponderis  onz.  XI. 

Bacile  unum  argenti  cum  Ar- 
ma Gonzagae  et  de  Malatestis 
ponderis  onz.  XX. 

Item  una  confecteria  cum 
dictis  armis  ponderis  onz.  X. 

Confecteria  una  argenti  pon- 
deris onz.  XX  IIIJ.o^ 

Confecteria  una  argenti  pon- 
deris onz.  X.  VI. 

Bacile  unum  argenti  ponde- 
ris onz.  XX.  Bronzinum  unum 
argenti  ponderis  onz.  X.  V  quart. 

Bacile  unum  argenti  ponde- 
ris onz.  XX. 


SIGNORE   DI   MANTOVA 


77 


De  Ratione  Volte. 


Donat.  per  dictum  Marchum 
de  Verruculo. 


Donati  per  dominum  Abba- 
tem  sancii  Andrea. 


Donati  per   ser  Ludovicum 
de  Robertis. 

Donati  per  Antonium  de  la 
Pagha. 


Donati    per  Jacobinum    se- 
niorem  de  Gonzaga. 


Donatifper  dom.  Azonem  de 
Gonzaga. 

Donati  per  lohannem  de  Fa- 
lenghis. 

Donati  per  vicecoraitem  Mel- 
larie. 

Donati   per   Bartolinum    de 
Cappo. 


Donati  per  priorem    sancti 
Antonii. 


Donati  per  dominum  Abba- 
tem  sancti  Ruffini. 


Item  ducatus  XXV  prò  uno 
gobelleto  argenti  aurati  cum  arma 
quartilata  habiti  a  Johanne  de 
Barzizia. 

Item  ducatus  LM  prò  uno 
gobelleto  cum  uno  smalto  ad  ra- 
dios  cum  una  turturella  habiti 
ut  supra,  Due.  L.»» 

Item  ducatus  VI  prò  uno 
ciato  cohoperto  habiti  ut  supra. 

Item  ducatus  XVIIII  prò  una 
confecteria  absque  pede  et  ab- 
sque  cohoperculo  habiti  ut  supra. 
Due.  XVIIII. 

It.  ducatus  XXVII  prò  una 
copa  cum  uno  cohoperculo  et 
uno  flore  albo  habiti  ut  supra. 
Due.  XXVII. 

It.  ducatus  XXX  prò  uno  go- 
belleto cum  liliis  et  corona  habiti 
ut  supra  Due.  XXX. 

It.  ducatus  XVII  prò  una 
confecteria  absque  pede  et  coho- 
perculo habiti  ut  supra.  Due.  XVII. 

It.  ducatus  Vili  prò  uno  bo- 
chaleto   varato  habiti   ut  supra. 

Due.  vm. 

Item  ducatus  XlIII^r  prò  uno 
gobelleto  cum  smalto  ad  radium 
cum  turturella  habiti  ut  supra. 

Item  ducatus  X  prò  uno  ciato 
cum  pede  et  cohoperculo  habiti 
ut  supra.  Due.  X. 

It.  ducatus  XVI  prò  una  copa 
cum  cohoperculo  ad  radium  ha- 
biti ut  supra.  Due.  XVI. 


Donati  per  dom.   Antonium 
de  Nuvolonibus. 


Donati  per  dom.  Antonium 
de  Lanf ranchi s. 


Donati  perGuidonem  deGon- 
zaga et  fratres,  filios  quondam 
Febi. 


Donati  per  Carolumde  Nerlis. 


Donati  per  dom.  Bartolum  de 
Gonzaga  seniorem. 


Donati  per  Pili  pari  os. 


Donati  per  dominum  Don: 
tum  De  Pretis. 


Donati   per  dom.  Ruflìnum 
de  Cert 


Donati    per    Antonium    de 

Roscllo. 


It.  ducatus  XXXVIUpro  una 
copa  cum  cohoperculo  a  votìs 
tempestati»  babiti  ut  supra.  Due. 
XXXVIU. 

ìt  ducatus  XX  prò  una  copa 
cum  cohoperculo  cum  flore  albo 
habiti  ut  supra,  due.  XX. 

It  ducatus  XXXII  prò  una 
copa  cum  pede  et  oredello  a  no- 
vera angulis  et  cum  uno  bronzi- 
neto,  habiti  ut  supra  Due.  XXXIL 

Il  ducatus  X  prò  uno  bron- 
zineto  dorato  habiti  ut  supra. 
Due  X. 

It.  ducatus  XV  prò  uno  go- 
belleto  aurato  cum  arma  quarti- 
lato  habiti  ut  supra.   Due.   XV. 

Item  ducatus  XX  prò  uno 
bacirone  aureato  a  parte  exte- 
riore,  habiti  ut  supra.  Due.  XX. 

Item  ducatus  VII.  s.  X  prò 
una  copa  cum  cohoperculo  habiti 
ut  supra-  Due  VII.  s,  X. 

Item  ducatus  XV  prò  una 
copa  simili  illius  domini  Donati. 
Due.  XV. 

Item  ducatus  X  prò  uno 
bronzineto  aurato  a  botis  habiti 
ut  supra.  Due  X. 


Df    R.ATIONT:   CREnESTIE   OLT   SECI-NTIH 


Donati  per  Abra«a  Ebrcum-  II,  ducatus  LX  prò  uno  cal- 

darino  cum  uno  cohoperculo  hft- 


SIGNORE   DI    MANTOVA 


79 


Donati  per  Beniaminum  E-  It.  ducatus  X  prò  uno  bron- 

breum  de  Revere.  zino  parvo  albo  habiti  ut  supra. 

Due.  X. 


Donati  per  Nannum  deNuUis. 


It.  ducatus  X  prò  uno  bron- 
zino rotondo  aurato  habiti  ut 
supra.  Due.  X. 


Donati  per  mercatores  artis  It.  Ducatus  C  prò  uno  bacile, 

lanae.  et  uno  bronzino  magnis  habiti 

ut  supra.  Due.  C. 


Donati  per  dom.  Episcopum 
et  clericatum  Mantue, 


Donati  per  dominum  Marsi- 
lium  de  Torellis. 


Item  per  dom.  Johann em  de 
Gonzaga  seniorem. 


Item  ducatus  C  prò  uno  ba- 
cile et  bronzino  similibus  pre- 
dictis,  habiti  ut  supra.  Due.  C. 

Item  Ducatus  XX  prò  uno 
bronzino  rotondo  varato,  habiti 
ut  supra.  Due.  XX. 

Item  ducatus  XXX  prò  uno 
bocale  paresino  aurato  stricto  in 
summitate  et  largo  in  fundo.  Due. 
XXX. 


N.  9. 
IL  D.  8.  —  1410  2j  A^iii, 

In  Christi  nomine  amen.  Anno  domini  millesimo  quadringen- 
tesimo  decimo,  inditione  tertia,  die  mercurii  vigesimo  tertio  mensis 
aprilis,  in  palatio  residentie  infrascripti  Mag.<^>  dni  dni  Mantue  po- 
sito  in  contrata  acquile  imperialis,  presentibus  spectabile  et  egregio 
milite  dno  Filipo  f.  q.  nobili  viri  dni  Guidoni  de  la  Molza,  qui 
....etc.a  Reve.<*<>  in  Christo  patre  dno  Antonio  de  Nerlis  abbatis 
S.ti  Benedicti  de  padolirone,  Rev.^°  in  Christo  patre  dno  Johane 
de  Cumis  abbatis  S.*»  Andree,  spectabile  et  egregio  comite  Ugolino 
comite  de  Piagnano,  egregijs  legum  doctoribus  dno  Marcho  de 
Veruculo  et  dno  Johanne  de  Miliis,  atque  venerabili  viro  dno  Ber- 
tholomeo  de  Bondiolis  archipresbitero  maioris  ecclesie  Mantue,  spec- 
tabile et  egregio  milite  dno  Karolo  de  Prato,  testibus  ad  hoc  vo- 
catis  et  rogatis. 

Ibi  cum  hoc  sit  quod  per  Magnificura  et  Ex.™®  dnum  :  dnum 
Malatestam  de  Malatestis  Pensauri  etc*  recolende  bone   memorie 


8o  GJANFRANCESCO  GONZAGA 

olim  Mag.^^*'  dno  Francisco  de  Gonzaga  genitori  infras.^  Mag.^  dnl 
dni  Johannis  Francisci  de  Gonzaga  Mantue  etc.^  Imperìalis  vicarìi 
et  dni  general is,  fuerit  promissum  de  dando  et  tradendo  in  dotali 
et  prò  dote  ac  nomine  dotis  Mag."  et  Ex.«  dnè  dne  Paule  Agnetìs 
prelibati  Mag.<^i  dni  Malatesta  nate  legitime  et  naturalis  infras.*^ 
Mag.c^  dni  Johannis  Francisci  tunc  consortis  future  quinque  millia 
ducatos  boni  auri  et  justi  ponderis,  et  hoc  ante  matrimonium  Inter 
prefatum  Mag.^""*  dnum  dnum  Johannis  Francischum  de  Gonzaga 
et  memoratam  Mag.^i"  dnam  dnam  Paulam  Agnetem  contractum,  d 
v^olens  et  intendens  memoratus  Mag.^""  d.  d.  Malatesta  sic  ut  supra 
per  ipsum  promissa  totaliter  adimplere.  Id  circo,  circumspectus  vir 
ser  Redulfus  q.™  Johannis  de  Zachotis  de  Urbino  et  nunc  cive  Pcn- 
sauri  secretano  memorati  Mag.^*  d.  d.  Malatesta,  dedit  sol^t  et  nu- 
meravit  in  presentia  sopradictorum  testium  meique  notarii  ìn- 
fras.^>  prelibato  Mag.^o  d.  d.  Johannis  Francischo  presentì  et  reci- 
pienti quinque  milia  ducatis  boni  auri  et  iusti  ponderis  prò  dote 
et  nomine  dotis  inclite  Mag."  dne  dne  Paule  Agnetìs  ibi  presentis 
prò  se  suisque  heredibus  stipulantis  et  redpientis,  et  sic  memo- 
ratus Mag.u>  d.  d.  Johannes  Franciscus  de  Gonzaga  ad  cautelasi  con- 
tentus  confessus  et  manifestus  fuit  se  habuisse  et  recepisse  dictos 
quinque  millia  ducatis  auri  a  dicto (i)  presente  stipu- 
lante ac  dante  et  solvente  nomine  et  vice  memorato  Mag.^^  dm 
Malatesta  prò  dote  et  nomine  dotis  prelibate  Mag.^^  dne  Paule 
Agnetìs.  Quam  quidem  Mag.»»"  dnam  Paulam  Aagnetem  licet  allias 
desponsatam  prememoratum  Mag.""^  d.  Joannem  Franciscum  iterato 
ad  cautelam  prelibatus  Mag.^u»  d.  d.  Johannes  Francischus  de  Gon- 
zaga in  presentia  supradictorum  testium  meique  notarii  infras.^  de- 
sponsavit  et  in  suam  legitiniam  uxorem  et  consortem  accepit  .  .  . 

Et  hiis  omnibus   sic  ut   supra    agitatis  interfuerunt 

Illus.«*  et  Mag.c  et  Kx.*  d.  d.  Karolus  et  Malatesta  fratres  de  Ma- 
latcstis  prefati  d.  d.  Johannis  Francisci  cognati,  et  spectabiles  et 
egregij    miles    dnus  Feltrinus    et  Jacobus    fratres    de   Gonzaga  et 

strcnuus  vir  Francischus  filius  q.^ antedicti  Mag/*  d.  d. 

Johanis  Francisci  agnati - 

1422  4  Aprile. 

In  nomine  dm  nri  J.  C.  et  eius  pie  matris  virginis  gloriose  sano- 
torumque  gloriosorum  Petri  apostolorum  principis  eximii  doctorisje- 
ronimi  seraphicique  francisci    protectorum   totiusque  celestis  curie 

(1)  Il  posto  per  il  nome  è  lasciato  in  bianco. 


I 


SIGNORE   DI   MANTOVA  8l 

amen ego  Malatesta  filius  q.™  recolende  memorie  de  Malatestis 

per  gratiam  omnipotentìs  dei  sanus  mentis  et  sensu  licet  morbo  pe- 
dragoso  infirmus  dispositionem  omnium  meorum  honorum  per  pre- 
sens  solemne  inscriptis  (?)  testamentum  propria  mea  manu  secundum 
iurem  ordinem  scriptum  et  in  hunc  modum  formam  ordinem  facere 
procuravi.  In  primis  eli  ego  sepulturam  meam  apud  locum  fratrum  mi- 
norum  de  Pisauro  si  pisauri  vitam  meam  finire  contigerit  et  si  in  locis 
circumdantibus  me  migrare  contigerit  ita  quod  abilitas  fuerit  meum 
corpus  ante  coruptionem  pisaurum  deferri.  Similiter  apud  dictum  lo- 
cum sepeliri  mando  hoc  modo,  videlicet  quod  extra  ecclesiam  sepe- 
liatur  in  terram  in  claustro  s.^*  ecclesie  et  in  ilio  loco  ubi  fratribus  tunc 
existentibus  videbitur  et  placebit  iubens  meum  corpus  omnimode  ve- 
stiri  in  habitum  et  vesce  fratrum  minorum  panno  grosso  valoris  de- 
cem  sol.  ad  plus  prò  quolibet  bracchio  et  ea  tamen  exequiarum  solem- 
pnìtate  que  fieri  sol  et  in  funere  fratrum  predictorum.  prò  quibus 
exequiis  fiendis  relinquo  unum  ducat.  auri  et  si  alibi  migrari  con- 
tingerit  et  tanto  longe  a  civitate  Pesauri  quod  possibile  non  foret 
ante  corruptionem  meum  corpus  Pisaurum  conferri  tunc  eo  casu 
iubeo  meum  corpus  sepeliri  debere  in  proximiori  loco  fratrum  mi- 
norum ubi  decessero 

Item  relinquo  iure  institutionis  supradicte  paule  filie  mee  quinque 
milia  ducatos  auri  quos  a  me  habuit  prò  dotibus  suis  prò  matri- 
monio jam  contracto  inter  ipsam  et  Mag."°»  d.  prefatum  d.  Johan- 
nem  Fran.^"»  de  Gonzaga.  Item  reliquo  eidem  dicto  iure  institutionis 

ducatos  decem  et  in  predictis  ipsum  heredem  instituo 

Quod  testamentum  feci  in  castro  Gradarie  in  camera  mea  de  varis 
anno  dni  mill.o  ecce  xxij.^  Ind.«  quintadecima  die  quarta  mensis 
aprilis  tempore  sanct.°^>  dni  nri  d.  Martini  pape  quinti. 

N.  IO. 
F«  II.  IO.  Libro  dei  Decreti,  p.  228,  lib.  I. 

Nos  Johannes  Franciscus  de  Gonzaga  Mantuae  etc.  Inter  cetera 
que  per  humanos  non  parum  attendenda  censemus  est  recognitio 
meritorum,  cum  prestitorum  obsequiorum  retributione  condigna, 
quo  et  sincerorum  cordium  ad  perpetue  fidelitatis  constantiam  con- 
servetur  afifectio,  et  ad  exhibenda  in  futurum  obsequia  de  prom- 
ptis  servitutum  animi  promptiores  reddantur.  Sane  igitur  atten- 
dentes  sincere  caritatis  aflfectum,  pure  fidei  integritatem  et  opera 
fructuosa  strenui  et  spectabilis  viri,  consocii  nostri  carissimi  co- 
mitis  Francisci  nati  nobilis  strenui  quondam   militis  domini  Fran- 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV.  6 


82  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

cisci  de  Albertìnis  comitis  Prati,  quem  si  a  stiis  in  magnificos  do- 
minos  progenitores  nostros  multifarìam  et  ampie  impensa  cogno- 
vimusy  ab  ipso  erga  nos  gerì  et  attentius  ferventioreque  studio 
dietim  exhiberi  inseparabiliter  experìmur,  adeo  ut  nedum  obsequii 
recognoscere,  verum  ad  premii  retrìbutionem  multimodam  teneamur; 
rei  huiusmodi  nec  immemores  nec  ingrati,  partem  saltem  si  noo 
totum  prestitorum  hactenus  et  quae  in  futurum  attendimus  ab  eo- 
dem  recompensare  volentes,  proprio  nostro  motu,  ex  certa  sdentia, 
animoque  deliberato  moti,  per  nos  heredesque  et  successores  nostroB 
pure  libere  simpliciter  et  irrevocabiliter  eidem  corniti  Frandsoo 
petenti  et  acceptanti,  prò  se  suisque  successorìbus  petìam  unam 
terrae  casamentive  positam  in  civitate  Mantuae  et  olim  in  contnUi 
stabili  et  nunc  in  contrata  Falconum  cum  domo  supra  copata  mu- 
rata, solerata,  cum  corte,  orto,  puteo  et  lodia  supra  et  infra  a  parte 
anterìorì  latitudinis,  etc 

14  agosto  1410. 

N.  II. 
Lib.  dei  Decreti  F.  II.  io. 

Nos  Johannes  Franciscus  etc. 

Non  valentes  occurrentibus  negotiis  in  dvìtate  nostra  Man* 
tuae  et  districtu  propter  absentiam  nostram  quam  sepe  facere  nos 
contingit  a  dieta  civitate  nostra  et  aliquando  etiam  a  territorio  et 
aliis  etiam  existentes  Mantue  intenti  negotiis  personaliter  intendere» 
confisi  latissime  et  fide  precipua  et  prudentia  circumspecta  mag. 
mil.  dom.  Caroli  de  Albertinis  comitis  Prati,  consocii  nostri  ama- 
tissimi; tenore  presentium  et  omnibus  modis....  prefatum  magn. 
dom.  Carolura  in  nostrum  locumtenentem  et  prò  nostro  locumte- 
nente  in  dieta  nostra  civitate  Mantue  omnibusque  terris  nostro  do- 
minio suppositis facimus,  constituimus  et  curamus  ;  volentes 

et  hoc  nostro  decreto  ordinantes  omnibus  et  singulis  in  potestate 
officialibus  vicariis  castellariis  stipendiariis  civibus  et  subditis  no- 
stris. . . .  prefato  magn.  dom.  mil.  Carolo  ejus  iussibus  et  man- 
datis  ....  piene  pareant  et  efficaciter  obediant  tamquam  nobis.  Da- 
musque  ....  prefato  magn.  dom.  mil.  Carolo  potestatem  bayliam  et 
generalem  et  specialem  et  liberam  facultatem .... 

Mantue,  die  ultimo  mensis  ianuarii  millesimo  quatriceniesitno  teriio 
decimo, 

Lib.  I.  p.  219,  tergo,  nibr.  30. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  83 

N.  xa. 
Lib.  dei  Decreti,  F.  II.  io.  Lib.  I.  Rubr.  31,  p.  220. 

Nos  lohannes  Franciscus  de  Gonzaga   etc.    confisi    etc 

com.  Stefani  de  Albertinis   comitis  Prati  etc daraus  et  con- 

cedimus  praefato  corniti  Stefano  potestatem  baylam  et  generalem 
spetialem  ac  liberam  facultatem  omnes  et  singulas  appellationum 
declamationum  et  supplicationum  causas  quas  ad  nos  tam  de  jure 
comuni  quam  ex  forma  statutorum  nostre  civitatis  Mantue  specia- 
liter  devolvi  contingat  committendi  et  delegandi  uni  et  pluribus 
secundum  quod  ei  videbitur  convenire  quemadmodum  nos  si  id 
agere  nos  contingeret. 

....  Mantue,  die  X^I  aprilis  MCCCXllL 

N.  13. 
Statuti  di  Mantova,  p.  221,  rubr.  33. 

Nos  lohannes  etc Non  valentes  etc.  (i) .  .  .  .  propter  ab- 

sentiam  nostrani  a  dieta  civitate  Mantue  ad  partes  Bononie  perso- 
naliter  interesse.  Revocantes  et  anullantes  omnem  potestatem  com- 
missionem  et  arbitrium  hic  retro  concessas  tam  magnifico  militi 
dom.  Carolo  de  Albertinis  Gomiti  prati,  consocio  nostro  dilectissimo 
atque  compatri,  quam  spectabili  et  strenuo  viro,  Stefano  de  Al- 
bertinis comiti  Prati  similiter  consocio  nostro,  confixi  per  maxime 
de  fide  precipua  et  prudentia  circumspecta  prefati  magnifici  militis 
domini  Garoli,  eundem  dominum  Garolum  constituimus,  facimus 
et  creamus  nostrum  locumtenentem  in  omnibus  in  civitate  nostra 
Mantue  ac  districtu  ....  dantes  et  concedentes  prefato  domino 
Carolo  soli  tam  per  totum  dictae  nostre  absentie  tempus  quam 
post,  et  etiam  nobis  existentibus  ....  usque  quo  et  donec  aliud 
mandandum  duxerimus  ....  plenam  potestatem  bayliam  generalem 

et  specialem  etc  etc comittendi  ac  delegandi  uni  vel  pluribus 

secundum  quod  ei  videbitur  .  . .  volentes  atque  decretantes  ut  . . . 
idem  dominus  Garolus  parem  habeat  nobiscum  potestatem  tam 
nobis  presentibus  quam  absentibus 

Daium  Mantue,  die  sextodecimo  mensis  ociobris  miilesimo  quatri- 
centesimo  tertio  decimo. 


(1)  Come  al  N.  11. 


84  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

N.  131». 
Breve  di  Giovanni  XXIII.  B.  X.  5. 

Eximie  devotionis  affectus  quem  ad  nos  et  Roraanain  gens 
ecclesiam  nec  non  preclara  servìtiorum  opera  que  nobis  et  eidem 
ecclesie  prò  quorum  statu  cum  nonnullis  armigerorum  copiis  per> 
sonaliter  militare  dinosceris  fìdeliter  et  commendabiliter  imprendisti, 
teque  speramus  in  posterum  auctore  domino  prestitunim,  non  im* 
merito  nos  inducunt  ut  petitionibus  tuis  favorabiliter  annuamus.  • . . 

Omissis, 

Castrum  Hostilie,  nec  non  Vilimpenti  et  Pauleti  ac  Vaiasse  et 
Silvorìs  loca  Veronensis  dioecesis  ....  a  dilecto  filio  abbate .... 
sancti  Zenonis  ....  sub  annuo  censu  quadringentorum  quatuor 
minalium  frumenti  usque  ad  certum  nondum  elapsum  tempus  tìbi 
concessa  obtineas;  Nos  volentes  te  apostolico  communire  favore. . . 
censum  ipsum  ad  ducenta  duntaxat  ex  minalibus  huiusmodiaudo- 
ritate  apostolica  reducimus  tibique  castrum,  loca  et  terras  . .  • .  hu- 
jusmodi  quatenus  illa  ex  concessione  hujusmodi  possides  tibi  prò 
te  ac  heredibus  et  successoribus  tuis  in  perpetuam  sub  ducentonim 
dumtaxat  minalium  frumenti  ....  annuo  censu  ....  eidem  Mona- 
sterio  ....  in  emph3rteosim  perpetuum  ex  nunc  ....  concedimus 
....  etiam  absque  abbatis  et  conventus  dicti  monasterii  aut  aliorum 
quorumcumque  licentia  vel  consensu. 

Dalum  Bononiae    Villi  Kal.  Decembris  pontificatus   nostri  anno 
quarto. 

N.  14. 
Rub.  U.  II.  P.  1414. 

1414,  Die  XIIII  aprilis, 

Comes  Francisctis  de  Prato  examinatus  etc,^ 

dixit:  Quod  dnus  Carolus,  comes  Stefanus,  comes  Luduvicu.s 
ipse  et  texaurarius  fuerunt  pluries  in  ratiocinio,  quod  ultra  forti- 
litias  quas  habebat  dnus  Carolus,  quod  volebant  tenere  modum 
quod  terra  et  rocha  Hostilie  essent  in  manibus  dni  Antonii  de  Nu- 
volonibus  et  ponere  Guidonem  de  Risepa  prò  Castellano  castri 
Mantue,  dicentes  si  venirent  Malatesta  vel  allii  Mantuam  qui  vellent 
destruere  eos,  quod  caperent  dominum  et  reducerent  se  in  castrum 
et  quod  non  dubitabant  si  haberent  dominum,  quod  ipse  faceret 
quicquid  vellent,  quia  dicebat  dnus  Carolus:  si  ego  pur  dominum 


SIGNORE   DI   MANTOVA  85 

in  manibus  meis  habeo,  ego  non  dubito  quin  faciat  quicquid  veliera. 
Et  hoc  dixit  ipse  comes  Franciscus  quia  fuit  interrogatus  quid  vole- 
bant  dicere  illa  verba  que  dixerat  Benevenutus  de  pegorinis  dixisse 
dnum  Carolum  in  presentia  dicti  comitis  Francisci,  videlicet  quia 
dixerat  dnus  Carolus  dum  ratiocinarentur  ad  invicem  :  si  pur  dominus 
vellet  nos  offendere  etc.  Ego  meterò  li  moray  chel  non  porà  nosere 
ben  ch'el  voles.  Interrogatus  dictus  comes  Franciscus  que  fuerit 
vera  eorum  intentio  quando  fecerunt  lanzie  gentium  armorum  et 
ad  quem  fìnem,  respondit  quod  licet  persuaserint  domino  quod 
faceret  propter  timorem  Facini  Cane  tunc  in  Lombardia  intumescentis, 
tamen  vera  eorum  intentio  fuit,  ut  magis  timerentur  in  civitate 
Mantue  et  etiam  eorum  status  esset  securior  et  fortior  si  dni  de 
Malatestis  vel  alij  volentes  reformare  statura  doraini  Mantuara  ve- 
nissent.  dixit  etiam  quod  oranes  fortilitias  quas  habebat  dnus  Ca- 
rolus tenebat  ad  finera  solumraodo  ut  in  ora  nera  casura  necessitatis 
forent  sui  reductus  prò  eorura  tutela  et  raaxirae  Bozolum  et  eius 
rocham  quam  intendebant  bene  fortificare,  et  si  quis  casus  sinister 
occureret  quod  aliquis  ipsorum  fratrura  posset  se  reducere  cura 
gentibus  arraorura  ad  dictas  fortilitias  vel  ad  aliquara  earura. 

N.  15. 
Rub.  F.  I.  3.  Grid.  ms.  —  Fase.  1404  —  1532,  p.  17. 

1414 .  .  •  maggio. 

Pro  debitoribus  MagS^  dni  et  ille  de  Prato  ac  aliorum  etc.^ 

El  fi  fatto  crida  e  coraandaraento  per  parte  del  Mag.^^o  et  Ex.<> 
S/  Misser  Zohan  Francisco  da  Gonzaga  de  Mantoa  etc*  Irap.'  Vi- 
cario et  Sig.^  generale,  che  cadauna  persona  la  qual  debia  dare  e 
sia  obllgada  al  prefato  Sig.r  o  sia  a  MesJ  Carlo  e  ali  soi  fradelli 
da  Prato,  o  sia  M.^  Martino  e  a  Bevegnuto  del  pegorino,  o  sia  a 
Misser  Anthonio  e  ai  figlioli  de  Lanfranchi,  o  sia  Gabrielo  de 
Farono,  o  sia  a  Cressimbeno  da  Castelbarcho  per  zaschuna  raxon 
0  cason,  debia  vegnire  a  pagare  e  avire  pagato  a  li  M."  de  li  in- 
tradi  del  prefato  Sig.  ,  zoè  quelli  che  habita  entro  de  la  citade  e 
di  borgi  de  Mantoa  infra  al  termine  de  quatro  dì,  e  quelli  che 
habita  in  contado  infra  el  termine  de  otto  die,  e  questo  non  falli, 
sapiando  che  passati  i  detti  termini  firà  deputado  uno  exactore  lo 
qual  avrà  a  schodere  da  li  detti  debitori,  e  firali  deputado  per  so 
salario  chel  possa  schodere  da  li  detti  debitori  oltra  la  (i). ,  . 

(i)  11  resto  è  illeggibile  per  macchie  d' inchiostro. 


86  GIANFRANCESCO  GONZAGA 

Facta  et  pubblicata  fuit  suprascrita  grida  per  antedictum  Ft- 
chinum  tubetam  super  plateas  comunis  Mantue  in  locis  consuetis 
die  ... .  1414  (i). 

N.  16. 
U.  IL  P.  —  1414. 

Die  XVIIII  marcij  141S' 

Dnus  Carolus  de  prato  interrogatus  que  verba  habuit  cumjfr» 
cobo   de  Rippa  tridenti   socio  Castellani  castri  Mantue,  respondit, 
quod  dum   dictus  Jacobus  dixisset  dicto   dno  Carolo  se  recepisse 
litteras  a  quadam  sua  sorore  existen.  Rippe  ut  deberet  ad  ipsam 
accedere,  dictus  d.  Carolus  dixit   ego  volo  te  rogare  quod  debeas 
me   recomandare   Petro  Lamberger   capitaneo   Rippe   cuius  sum 
multum  amicus   quod  me   imperatori   recomendatum   mittat  Item 
dixit  quod   ante  dictus  Jacobus  sibi   dixit  una   vice  parte  comitis 
Stefani,    quod  ut   sciret  ipsum   esse  vivum   dabat   sibi   prò  inteir- 
signo,  quod  quando  ipse  d.  Carolus  fuit  ad  imperatorem  dominus 
noster  amplexatus   fuit  eum,  et   quod  ipse   d.  Carolus  et  Beneve- 
nutus  iverunt   simul  Pischeriam   v.   Item  dixit  quod  dixerat  dicto 
Johann!  ut  portare  curaret   sibi  prò  scribendo  quia  volebat  facere 
unam  litteram  quam  sibi  dare  volebat,  et  quod  videns  ipsum  Jacobum 
nichil  sibi  portare   prò  scribendo,  ipse  D.  Carolus   teniit  sive  tri- 
davit  de  madono  rubeo  et  cum  orina  mixta  fecit  ad  modum  senabrii 
et  cum  ilio  scripsit   unam  litteram  imperatori  supra  uno  squarza- 
folio,  que  in  eflfectu  continebat,  qualiter  se  recomendabat  serenitati 
sue  et    rogabat   ipsam  ut   dignaretur   ipsum    fratres   recomandare 
Mag.co  dno  nostro  ac  petere    ipsum  et   fratres  de    gratia   prefato 
dno  et  quando  de  fratribus  fieri  non  posset,  saltem  de  ipso  vellet 
gratiam  petere  et  curare  ipsum  liberare  bine  quia  tenebatur  vigore 
divise  quam  ei  dederat,  et  quando  non  posset  aliter  facere  vellet  sal- 
tem operari  quod  relaxaretur  et  confinaretur  Arimini  vel  pisauri,  et 
quod  facere  dignaretur  per  comitem  Bertoldum  recomandare  ipsum 
D.  Carolo    de  Malatestis   de  Malateste  Pensauri  et  dno  nostro  ac 
domine  et  quod  avisabat    serenitatem  suam  quod   fuerat  bonus  et 
legalis  homo  et   nunquam    erraverat    et  quod    postmodum  dictam 
litteram  que  erat  humida  et  destructa  laceravit  et  proiecit  in  fo- 
veam. 


(i)  La  data  pure  è  illeggibile;  il  giorno  può  essere  il  5  di  maggio. 


SIGNORE   DI   MANTOVA  87 

N.  17. 
Dal  Registro  delle  spese  dei  Gonzaga,  pacco  II.  D.  XII.  8,  a.  14x6. 

Lodovicus  de  Strociis  texaurarius  mag.^»  dni  nri  debet  dare 
mag.«  et  excelse  dne  nostre  dne  Paule  de  Gonzaga  Mantue  etc. 
prò  eius  prò  visione  singulo  mense,  incipiendo  i.  lannuarii  1416,  libr. 
ML,  parvorum,  capit  provisio  prò  mensibus  octo,  videlicet.  Jan. 
Feb.,  Mar.,  Apr.,  Maii,  lunii,  lulii,  et  Aug.*>  1416.  L.  8400. 

Item  prò  provisione  mensium  quatuor,  videlicet:  Septembris, 
Octobris,  Novembris  et  Decembris  1416  in  ratione  prò  mense  ut 
supra  L.  4200:  summa  L.  12600. 

N.  18. 
Gridario  ras.  —  p.  8  tergo. 

I4i9t  IO  Maggio. 

Per  parte  del  Magnifico  et  Ex.^o  Signore  nostro  Zohan  Fran- 
cesco de  Gonzaga,  de  la  cita  de  Mantua  etc*  Imperiale  vi  ario  e 
del  popolo  de  quela  Capitanio  e  segnor  generale  fi  fato  crida  e 
comandamento  che  conzosia  cosa  chel  sia  venuto  a  notizia  al  pre- 
fato Mag.<^o  nostro  S.»"*^,  che  li  citadini  non  veneno  a  li  consegli 
ordinati,  specialmente  al  conseglio  mazore  de  quatrocento,  quando 
se  da  li  sorte  degli  officii  del  comune  de  Mantoa,  per  la  pena 
ch'è  pizola,  zoè  de  soldi  dexe  de  pizoli,  volando  oviare  a  questo 
inconveniente,  da  mo  inanzi  ha  deliberado  la  dita  pena  essere  de 
ducati  duoi,  perchè  la  intencione  del  prefato  Sig.»"*^  è  che  tutti  li 
ofBcii  se  daga  a  la  sorte  al  modo  usato.  Et  per  tanto  fi  fato  crida 
e  comandamento  come  è  dito  de  sopra,  che  zascuno  citadino  el 
qual  sia  over  da  mo  inanzi  sera  del  dito  consegio  mazore,  debia 
andare  a  stare  a  quello  quanti  fiadi  firà  convocado,  comò  è  dito 
de  sopra  segondo  l'ordine  e  la  forma  de  li  statuti  del  comune  di 
Mantua,  soto  la  pena  predita  de  ducati  doi  doro,  da  fir  scosa  senza 
remisione  de  zascuno  chi  non  se  vegnerà  e  per  zascuna  volta. 

Bartholomeus  de  Bonattis 
scripsit  die  X  maij  1419» 

Leda  fuit  et  proclamata  per  Anthoniutn  de  la  Mirandula  et  Betinum 
Tubicensis  in  locis  consuetis  die  XIIII  maii  1419. 


GONZAGA   SIGNORE   DI   MANTOVA 


F.  I.  3  p.  Io  tergo. 

1430,  12  ottobre. 

Per  parte  etc.  fi  fato  crida  e  manifesto  che  zascheduno  magi- 
Stro  de  arte  cosi  citadino  absentado  corno  forestiero,  e  non  rebello 
lo  qual  vcgnirà  de  novo  ad  habìtare  in  la  cìtade  de  Mantoa  cum 
la  soa  famiglia  e  farà  l'arte  soa  in  la  soa  stazone  o  in  la  casa  de 
la  soa  habitatione.  E  cosi  per  lo  simile  zascheduno  altro  che  non 
fosse  magistro  de  arte  che  havesse  quatro  boche  o  da  quatro  in 
suso  cosi  citadino  absentado  corno  forestero  e  non  rebello  lo  qual 
vegnirà  de  novo  ad  habitare  in  la  citade  de  Mantoa  continuamente 
debia  avere  de  provigìone  dal  Comune  de  Mantoa  mezo  ducato  al 
mese  doro  per  lo  fito  de  la  stazone  o  sia  dela  casa,  comenzando 
la  provisione  lo  di  che  luy  vegnirà  cum  la  soa  famìglia  ad  habitare 
in  Mantoa  e  duri  la  provvisione  fino  a  cinque  any  proximi  che  de 
vcgnire. 


■ 


L'invasione  francese  in  Milano  (1796) 

Da  Memorie  inedite  di  don  Francesco  Nava 


LLORA  nacque  la  prima  scintilla  deiralta  ambizione  (i), 
diceva  al  conte  de  Las  Cases  Napoleone,  rinchiuso  ornai 
in  Sant'  Elena,  riportandosi  col  pensiero  alla  conquista 
ciella  Lombardia,  a  quella  metà  del  maggio  1 796,  epoca  per  lui  ra- 
odiosa,  nella  quale  realmente  conobbe  per  la  prima  volta  ed  amò 
l 'ebbrezza  del  trionfo.  E  quando  fu  giunto  in  Milano  e  nelle  sale 
iel  palazzo  che  l'arciduca  Ferdinando  aveva  appena  abbandonato 
non  era  peranco  compita  la  prima  settimana  da  quella  fuga)  s'av- 
^■^ava,  avendo  a  fianco  il  suo  aiutante  Marmont,  a  dare  alle  stanche 
lembra  il  meritato  riposo,  lasciò  libero  il  campo  alla  sconfinata 
ìducia  in  sé  che  lo  possedeva,  accennò  senza  ritegno  a  superbi 
c^^segni  per  Tavvenire.  Il  Marmont  ha  fermato  in  una  pagina  delle 
^^  ^e  memorie  (2)  il  ricordo  di  quella  conversazione  alla  quale  venne 
^  al  seguito  degli  avvenimenti  una  più  vivida  luce  e  che  nemmeno 
ìL  Laurent  de  TArdèche,  neir  implacabile  sua  refuta  delle  memorie 
d  — ^^  eluca  di  Ragusa,  scorge  ragione  di  porre  in  dubbio  (3). 

Orbene  :  che  in  tanto  rifiorire  degli  studi  napoleonici,  nessuno 

afc^^ia  sin  qui  pensato  a  dar  notizia  sufficientemente  esatta  e  com- 

^\    tta  di  questo  primo  sbocciare,  al  sole  del  calendimaggio  italico, 

^^ile  aspirazioni  del  grande  Còrso,  è  cosa  che   a  noi  pare  degna 

di    meraviglia  e  di  rammarico.  Né   pretendiamo  punto  di  riempire 

(i)  Mémorial  de  Sainii  Hélèm^  par  le   comte  de   Las  Cases,  to.  I, 
p.    JC93  delVedizione  del  1823. 

(2)  Métnoires  du  duc  de  Raguse,  to.  I,  p.  178. 

(3)  Rifutation  des  Mémoires  du  maréchal  Marmont  duc  de  Raguse 
pa,^  M.  Laurent  de  l'Ardèche,  lib.  Il,  p.  78^9  e  81. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXFX,  Fase.  XXXV.  6' 


90  l'  invasione  francese   in   MILANO  (1796) 

la  lacuna.  Solo  abbiam  divisato  di  gettare  un  po'  di  novella  hice 
su  di  un  momento  storico  di  cosi  grande  importanza  ed  intomo  al 
quale  tanto  fatica  la  verità  a  farsi  strada.  I  documenti  coi  quali 
poter  arrivare  a  conoscerla  non  sono  oggi  che  in  nùnima  parte 
a  portata  della  mano  degli  studiosi. 

Le  migliori  fonti,  quali  i  diari  del  Minola,  ^Jg^M^otoiiattU  4U^ 
così  prezioso  di  Luca  Peroni,  giaciono  ancora  inediti  ;  le  carte  d 
Pietro  Verri  e  di  Galeazzo  Serbelioni  non  sono  peranco  di  pub- 
blico dominio  ;  quasi  intatti  appaiono  gli  incartamenti  degli  archivi 
cittadini  che  a  questo  periodo  si  riferiscono. 

E,  poiché  trapassi  ereditari  fecero  pervenire  nella  proprietà  di 
uno  di  noi  le  memorie  che  l'ultimo  vicario  di  provvisione,  don  Fran- 
cesco Nava,  scrisse  appena  scacciato  di  seggio  dall'invasione  repub- 
blicana, abbiamo  creduto  opportuno  di  darle  in  parte  alle  stampe^ 
corredandone  il  testo  di  qualche  necessaria  nota  esplicativa  e  penai* 
dogli  via  via  accanto  quei  corrispondenti  passi  delle  fonti  sincrone, 
da'  quali,  o  venisse  chiarita  l'importanza  singolare  che  di  fronte  alla 
critica  delle  fonti  stesse  spetta  a  queste  memorie,  o  ricevesse  mag- 
gior luce  qualche  punto  oscuro  o  controverso  della  storia  di  quel- 
l'anno così  ricco  di  eventi  e  di  prodigi. 

Abbiamo  detto  or  ora  che  a  queste  memorie  attribuiamo  un 
non  scarso  valore  ;  né  ci  sembra  che  ciò  si  possa  impugnare,  se  si 
consideri  T  indole  dell'autore,  di  cui  premetteremo  un  rapido  schizzo 
biografico,  gli  uffici  dei  quali  era  investito  e  che  posero  nelle  sue 
mani,  prima  per  lunghi  anni  la  direzione  del  governo  municipale, 
poi,  durante  cinque  giorni,  tali  da  equivalere  a  cinque  anni  addi- 
rittura, per  consenso  di  tutti  i  contemporanei,  la  somma  di  ogni 
potere  nella  città  nostra. 

Francesco  Nava,  che  scriveva  mentr'  era  ridotto  semplice  cit- 
tadino, senza  speranza  o  desiderio  di  riavere  cariche  ed  onori,  e 
più  per  gli  intimi  suoi  che  per  il  pubblico,  si  palesa  inoltre  spirito 
mite  e  sereno.  Valga  a  dimostrarlo  il  suo  atteggiamento  veramente 
ammirevole  verso  chi,  già  suo  collega  sotto  Tantico  regime,  lo  sbalzò 
di  seggio  e  gli  sottentrò  colKaiuto  delle  armi  straniere  e  col  favore 
dei  clubs  :  verso  Galeazzo  Serbelioni. 

Apparirà  più  innanzi  come  questa  presunzione  di  autorevolezza 
nella  fonte  che  presentiamo,  trovi  ripetuta  conferma.  Là  dove  essa 
si  scosta  dalla  versione  tradizionale  (rimonti  questa  al  Becattini,  o 


'\ 


DA   MEMORIE    INEDITE    DI    DON    FRANCESCO   NAVA  9I 

trovi  un'ultima  espressione  nel  lavoro  così  minuto  e  recente  del 
Bouvier),  le  carte  degli  Archivi  e  le  testimonianze  contemporanee 
più  attendibili  suffragano  la  voce  del  vicario. 

Aggiungiamo  un'  ultima  osservazione.  Queste  memorie  possono 
rivolgersi  con  minor  presunzione  a  quei  lettori  cui  punge  talento 
di  seguire  il  sorgere  del  genio  e  della  potenza  napoleonica.  Ma 
non  è  a  tacersi  che  anche  la  definitiva  ruina  dell'antica  autonomia 
municipale  milanese ,  il  cozzo  di  istituzioni  nate  dal  libero  comune 
repubblicano,  svoltesi  poi  e  mutatesi  per  diuturna  pressione  di  eventi, 
colle  nuove  forme  democratiche  d'oltr'  alpe,  generate,  sulle  tracce 
di  una  previa  elaborazione  teorica,  dalle  esigenze  e  dalle  cupidigie 
di  nuovi  strati  sociali,  tutto  ciò,  fermato  dalla  penna  di  chi  della 
rivoluzione  ebbe  a  sostenere  la  prima  ondata  in  terra  nostra,  co- 
stituisce un  quadro  non  privo  di  interesse. 

Francesco  Nava  (Giovanni,  Francesco,  Gabrio,  Luigi,  Giuseppe, 
Bernardino)  nacque  in  Barzanò  (Brianza),  il  27  gennaio  1755,  da 
don  Nicolò,  capitano  di  cavalleria  (Rittmeister)  e  dalla  nob.  An- 
tonia Gemelli.  Suo  padre  servi  per  30  anni  nell'armata  imperiale 
e  morì  nel  1774  di  87  anni,  lasciando  6  figli  e  6  figlie.  Francesco,  il 
primogenito,  fu  laureato  il  9  giugno  1777  a  Pavia,  dove  era  stato 
alunno  nel  Collegio  Borromeo.  L'anno  seguente  venne  accolto  nel 
collegio  dei  Dottori  a  Milano,  corporazione  ai  membri  della  quale 
erano  per  consuetudine  riservati  gli  uffici  pubblici  del  ducato.  In  quello 
stesso  anno,  ai  26  di  marzo,  chiede  di  venir  accolto  nel  collegio  dei 
Nobili  Giureconsulti  milanesi.  Fece  lunga  pratica  legale  sotto  la  dire- 
zione e  nello  studio  dell'avvocato  don  Michele  De  Villata  in  Milano 
(che  nel  1782  abitava  «  nella  contrada  dei  Quattro  Monasteri,  la  prima 
«  porta  a  dritta  venendo  da  Santa  Caterina  in  Brera  »;  nel  1789, 
in  contrada  del  Monte  di  Pietà,  1597;  è  lo  stesso  domicilio,  d)?e^ 
dia^ho)  e  del  r.  consigliere,  in  allora  avvocato  fiscale.  Tosi,  e  nel 
i*;^  lo  vediamo  patrocinare  coratn  egregio  praetore  Mediolani.  «  Ap- 
«  provato  alle  pubbliche  cariche  »,  fu  compreso  nella  terna  fatta  dal 
collegio  dei  Giurisperiti,  Conti  e  Cavalieri  per  la  provvista  del 
nuovo  consigliere  assessore  del  R.  Tribunale  di  prima  istanza. 

Esercitò  per  due  anni  la  carica  di  protettore  dei  carcerati. 

Nel  1780  ancora  ebbe  l'incarico  di  sindacare  le  RR.  Curie  di 
Fortezza  e  di  Menaggio  ;  nel  1783  quella  di  Pizzighettone.  Nel  sin- 


92  l'  invasione   francese    in    MILANO  (1796) 

dacato  a  Codogno,  trovò,  come  già  a  Menaggio,  ogni  cosa  in  ordine; 
ma  a  Pizzighettone  ebbe  ad  incontrare  il  pericoloso  e  difficile  sin- 
dacato del  conte  Branda  Castiglìoni,  altre  volte  regio  podestà.  Questi 
apparve  essere  stato  pretore  negligente  e  forse  anche  intemperante 
nel  vino. 

Ai  primi  del  1783  è  nominato  avvocato  dei  poveri  per  un 
triennio. 

Nel  1784  quale  assessore  del  Tribunale  di  provvisione  (in  ca- 
rica per  due  mesi  e  con  diritto  di  supplire  il  vicario  in  caso  di  as- 
senza, avendo  a  collega  Ottavio  Pozzo  di  Perego,  ed  essendo  vi- 
cario Benedetto  Arese  Lucino)  fu,  col  collega,  l'ultimo  che  in  virtù 
di  tal  carica  facesse  dipingere  Tarme  sua  gentilizia  sotto  la  vòlta 
dei  portone  che  dalla  via  di  Santa  Margherita  mette  nella  piazza 
dei  Mercanti. 

Nel  1782  abitava  «  alla  Torre  dei  Moriggi,  la  penultima  porta 
«  venendo  dalla  contrada  dei  Corani  »,  e  nel  1783  «  alla  Torre  dei 
u  Moriggi,  la  penultima  porta  alla  dritta  venendo  da  Sant'Orsola.  » 

Nel  1786  fu  ancora  «  sindicatore  delle  RR.  Curie  di  Menaggio 
u  e  Porlezza  e  della  Feudale  di  Valle  d*  Intelvi.  »  A  Porlezza  non 
ebbe  a  sindacare  che  il  R.  podestà  delegato  don  Davide  Piazzoni, 
essendo  il  R.  podestà  d'allora  sospeso  e  sottoposto  a  straordinario 
generale  sindacato. 

Nel  1785  e  fino  al  1789  abitava  nella  canonica  di  S.  Stefano 
Maggiore,  essendone  proposto  il  fratello  Cabrio,  che  passò  poi  a 
S.  Ambrogio. 

Nel  1791  era  uno  dei  «  componenti  l'esecuzione  del  R.  di- 
u  spaccio  20  gennaio  1791  »  ed  a'  io  marzo  di  quell'  anno  venne 
nominato  vicario  di  provvisione,  e  nel  luglio  1795  prorogato  per 
un  biennio. 

Nel  1796  sedeva  nel  •<  Capitolo  dei  nobb.  signori  Deputati  del- 
u  l'Ammiranda  Fabbrica  del  Duomo  di  Milano  »  e  fra  i  u  componenti 
u  la  Congregazione  dei  Conti.  »  In  quell'anno  abitava  in  contrada 
di  S.  Pietro  all'Orto,  892,  e  riceveva,  quale  salario,  dalla  Cassa  civica 
provinciale  lire  milanesi  10,000.  Quale  salario  a  carico  dello  stato, 
riceveva  pure  lire  2000,  sulle  quali,  nell'inverno  1796,  per  la  con- 
tribuzione in  sussidio  alle  spese  di  guerra,  si  fece  la  «  ritenzione  » 
di  lire  240.  Esiliato  a  Nizza,  non  ne  ripartì  che  ai  14  d'ottobre. 

Neil'  «  elenco  di  quelle  persone  che  si  son  dimostrate  naturai- 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI    DON   FRANCESCO    NAVA  93 

«  mente  contrarie  alFattuale  sistema  di  governo,  abitanti  nelle  sotto- 
«  notate  Comuni  di  questo  Distretto  X  della  già  provincia  di  Milano 
-«  ed  ora  Dist.  VII  del  dipartimento  della  Montagna,  beninteso  non 
-■  esservene  alcuno  però  che  siasi  dichiarato  con  fatti  acclatanti  re- 
«  nitente  all'ubbidienza  delle  leggi  »  (5  prat.  a®  VI),  fra  gli  elencati 
di  Barzanò,  il  Nava  è  notato  come,  u  di  talenti,  »  buono,  di  «  stato 
di  famiglia  »  mediocre,  ex-nobile,  di  «  professione,  »  possessore,  ex 
tncario  di  Provvisione,  di  «  età,  »  jo. 

Dopo  le  vittorie  austro-russe  nel  1799,  troviamo  il  Nava  pre- 
fetto e  regio  delegato  della  Congregazione  delegata  che,  divisa  in 
cinque  dipartimenti^  esercitava  l'autorità  municipale. 

Al  ritorno  di  Bonaparte  emigrò  prima  ad  Udine,  poi  a  Ve- 
nezia. Tornato  in  patria  si  dedicò  alla  tutela  dei  minorenni  nipoti 
Lurani  e  morì  la  notte  di  Natale  del  1807. 

G.  Gallavresi. 
F.  Lurani. 


MEMORIE  DI  D.  F.  iNAVA 

SULL'INVASIONE  FRANCESE  IN  MILANO 


Mi  è  occorso  di  sentire,  che  molti  de'  miei  compagni  hanno 
compilato  il  giornale  del  viaggio,  che  tutti  insieme  fummo  obbli- 
gati d'intraprendere  da  Milano  a  Nizza.  Qual  di  essi  immaginò  di 
così  tenere  per  proprio  trattenimento  riunita  la  serie  delle  vicende 
accadute,  e  quale  formolla  espressamente  per  trattenimento  altrui  (i). 

(i)  Già  nella  seduta  serale  13  maggio  1796  del  Consiglio  generale, 
decurione  conte  Pietro  Verri  aveva  presentato  una  sua  proposta 
scritta  (che  si  conserva  autografa  neirArchivio  Civico  dì  S.  Carpoforo, 
^Ppuntamtnti  della  Cameretta)  per  la  compilazione  di  "  un  esatto  gior- 
^  naie  protocollo  di  tutto  ciò  che  verrà  portato  a  sua  [del  Consiglio] 
^  cognizione,  delle  relazioni,  lettere,  e  carte  qualunque  riguardanti  gli 
.  attuali  avvenimenti,  e  delle  disposizioni  e  provvidenze  date  dal  Con- 
^  Sigilo  col  possibile  compendio.  „  «  Si  applaude  l'esecuzione  dell'  ideato 
^  protocollo  alla  cui  prima  direzione  si  oiferì  gentilmente  il  predetto 
^  s»g.  conte  Verri,  coll'opera  di  un  ufficiale,  e  si  dichiararono  pure  disposti 
alin  ssri  decurioni.  „  Di  questo  protocollo  non  abbiamo  notizia. 


94  L*  INVASIONE  FRANCESE    IN   MILANO  (1796) 

Parverai  opportuno  il  pensiero,  e  mi  venne  la  voglia  di  fare  an- 
ch'io lo  stesso.  E  forse  che  io  pure  non  gradirò  d'avere  negli  anni 
avvenire  la  descrizione  di  tutti  gli  avvenimenti  incontrati  in  questa 
occasione,  o  non  troverò  forse  nella  mia  famiglia  chi  gradirà  dj 
leggere  quello,  che  avrò  su  di  essi  scritto,  se  non  altro  per  un 
pascolo  di  curiosità,  o  per  un  sentimento  di  commiserazione?  Ho 
risoluto  senza  più  di  applicarmi  ad  intraprendere,  e  perfezionare 
questo  lavoro.  Se  non  altro  troverò  in  esso  un  mezzo  di  passare 
men  male  il  tempo,  e  di  schivare  la  noia  inseparabile  dall'ozio,  in 
cui  sono,  e  che  riescemi  tanto  più  grave,  perchè  trovomi  già  da 
molt'anni  avvezzo  a  menare  una  vita  attiva  e  sempre  occupata  (i). 
Ma  come  farò?  L'impresa  non  è  così  facile,  dacché  si  tratta  di 
richiamare  le  cose  passate.  Corre  già  il  giorno  15  d'agosto,  e  sono 
già  trascorsi  ben  tre  mesi  e  più,  che  incominciarono,  e  prosegui- 
rono senza  interrompimento  gli  avvenimenti,  sui  quali  dovrei  trat- 
tenermi. Mi  duole  di  non  avervi  pensato  assai  prima,  e  di  non 
trovarmi  già  in  giorno  per  proseguire  la  descrizione  sulle  traccie 
medesime  additatemi  da*  miei  compagni!  Non  voglio  però  abban- 
donare il  pensiero.  Non  mi  obbligherò  all'esattezza,  con  cui  eglino 
avranno  disposte  e  riunite  giornalmente  le  vicende  occorse,  e  mi 
atterrò  solo  ad  accennare  quel,  che  la  memoria  saprà  suggerirmi. 
Mi  lusingo  nonpertanto  di  poter  dire  quanto  basta  per  sommini- 
strare qualche  idea  de'  principali  avvenimenti,  e  fuor  di  dubbio  di 
evidentemente  dimostrare  quanto  grande  ed  amorosa  sia  stata  per 
me,  e  per  gli  altri  miei  compagni  la  cura  della  Divina  Provvidenza. 
Col  finire  del  1795  io  dovea  aver  compiuto  il  periodo  assegnato 
al  mio  impiego,  ch'era  durato  per  quattro  anni,  nove  mesi  e  ventun 
giorni  incominciati  col  io  marzo  del  1791,  in  cui  sopra  sestina  del 
Consìglio  generale  venni  dal  serenissimo  arciduca  governatore  (2) 
eletto  in  vicario  di  provvisione  della  città  e  provincia  di  Milano  (3), 


(i)  Infatti  neiragosto  1796  il  Nava  era  tuttora  ostaggio  a  Nizza 
Marittima. 

(2)  Cesareo  Regio  luogotenente,  governatore  e  capitano  generale 
della  Lombardia  austriaca  era,  dall'ottobre  1781,  l'arciduca  Ferdinando 
(1754-1806),  sposo  nel  1771  a  Maria  Beatrice,  figlia  di  Ercole  IH  Rinaldo 
d'Este,  duca  di  Modena. 

(3)  Verso  la  metà  del  secolo  XIV  (v.  Calvi,  Patriziato  milanese^ 
p.   230,  n.  26),   sorse  la  carica  del  vicario  di   provvisione,  a   capo  del 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI    DON   FRANCESCO   NAVA  95 

ed  in  capo  della  Congregaz.<^  generale  dello  Stato,  carica  abolita 
dall' imperad.«  Giuseppe  II  nel  1786,  e  restituita  dall*  imperad.® 
Leopoldo  II  col  dispaccio  2j  gennaro  1791  (i).  Essendo  però  pia- 
ciuto al  Consiglio  generale  di  rappresentare  a  Sua  Maestà  la  con- 
gruenza ed  il  desiderio  della  mia  conferma  in  ufficio,  ogni  qual- 
volta per  le  circostanze  del  tempo  Le  fusse  parso  di  ordinare  quella 
della  GDngregazione  dello  Stato,  vennimmo  tutti  insieme  prorogati 
ad  un  biennio  con  dispaccio  de*  11  luglio  1795  (2).  Chi  l'avrebbe 
immaginato,  che  un  distintivo  per  me  tanto  onorifico,  e  che  mi 
doleva  di  non  aver  meritato,  dovesse  poi  portarmi  il  complesso  di 
vicende,  che  son  per  annunciare? 

Negli  anni  precedenti  mi  occorsero,  è  vero,  tanti  straordinarj 
ed  inopinati  avvenimenti,  che  mai  liberamente  potei  godere  giorni 
di  quiete  e  di  pace.  Tutti  sanno  (e  gli  Archivi  pieni  di  tanti  miei 
manoscritti  ne  faranno  testimonianza  ai  posteri),  quanto  abbia  do- 
vuto affaticarmi  nel  periodo  di  cinque  e  più  anni.  Appena  fui  eletto 
a  coprire  la  scabrosa  ed  importante  carica,  a  cui  io  era  ben  lontano 
di  aspirare,  e  che  avrei  nel  citato  giorno  io  marzo  1791  decisa- 
mente ricusato  di  accettare,  se  i  miei  fratelli  coll'efficacia  del  loro 
consiglio  da  me  sempre  rispettato  ed  amato,  non  mi  avessero  quasi 
obbligato,  mi  fu  d'uopo  d'applicarmi  seriamente  allo  studio  dei 
mezzi  per  disimpegnarla  men  male  che  mi  fusse  possibile.  Si  trat- 
tava nientemeno  che  di  mettere  in  corso  un  sistema  affatto  nuovo  (3), 
e  di  dividere  per  questo  le  cure  con  persone  tutte  nuove  per  me. 
Fortunatamente  trovai  in  loro  attività  e  premura,  ed    ebbi  la  con- 


tribunale omonimo.  Vedi  intorno  alle  mansioni  di  vicario  nella  seconda 
metà  del  settecento,  il  Compendio  del  Civico  Governo  della  ciltà  di  Mi- 
ianOy  manoscritto  esistente  nell'Archivio  Civico  e  pubblicato  dal  Calvi, 
op.  cit.,  p.  355. 

(i)  Ancora  nel  1796,  troviamo  un  Corpo  civico  sotto  la  denomina- 
zione: "  Componenti  l'esecuzione  del  R.  dispaccio  20  gennaio  1791.  „ 
Già  abbiamo  visto  come  ne  facesse  parte  il  Nava.  (V.  p.  92). 

(2)  Il  Calvi,  Famiglie  notabili  milanesi,  Brivio,  tav.  XIII,  pone  la 
riconierma  dell'assessore  Cesare  Brivio  al  14  dicembre  1795. 

(3)  Veramente  le  innovazioni  leopoldine  nel  governo  locale  erano 
per  la  maggior  parte  un  semplice  ritorno  all'antico,  dopo  le  passeggere 
riforme  giuseppine  ;  v.  Verri,  Storia  dell'Invasione  dei  francesi  repub- 
blicani, p.  385  del  voi.  IV  degli  Sentii  inedili;  Cusani,  Storia  di  Milano, 
voi.  IV,  p.  iia;  TiVARONi,  L'Italia  durante  il  dominio  francese,  I,  88. 


90  l'invasione   francese    in   MILANO   (1796) 

solazione  di  operare  con  soggetti  forniti  abbondevolmente  di  lumi 
e  di  cognizioni,  cosicché  quel,  che  parevami  difficile,  fu  fatto  age- 
volmente. Non  è  mia  intenzione  di  qui  tessere  la  storia  del  mio 
vicariato,  che  riservomi  di  fare  in  tempi  più  tranquilli,  e  soltanto 
credo  opportuno  all'intento  presente  il  toccare  di  volo  alcuni  de* 
principali  avvenimenti  per  dare  una  semplice  idea  delle  varie  gra- 
vosissime  cure,  che  mi  occuparono  in  tutta  la  sua  durata.  Ben  più 
grave  del  principio  fu  il  progresso  dei  mesi  e  degli  anni,  quando 
si  alternarono  mai  sempre  le  vicende  per  rendermi  l'esercizio  della 
carica  vieppiù  critico  e  laborioso. 

La  venuta  dell'  imperad.*  Leopoldo  a  Milano  nel  giugno  del 
1791  (i),  la  sua  morte  seguita  nel  marzo  del  1792,  la  succes- 
sione al  trono  dell'imperadore  Francesco  II,  l'omaggio  e  il  giura- 
mento di  fedeltà  (2)  prestatogli  con  tutta  solennità  nel  settembre  di 
detto  anno  nella  persona  del  r.  arciduca  governatore  munito  di  spe- 
ciale mandato,  e  pienpotere  furono  tutti  avvenimenti  grandi,  che 
mi  portarono  grandi  travaglj.  In  appresso  per  tacere  delle  riforme, 
che  si  sono  immaginate  ed  eseguite  in  qualche  Corpo  civico,  e  che 
mi  hanno  costato  non  poco  e  di  inquietudini,  e  di  fatiche,  e  per 
tacere  altresì  di  altre  grandi  operazioni  laboriosissime,  che  fu  d'uopo 
d'intraprendere  e  perfezionare  pel  bene  generale  dello  Stato,  la 
guerra  sola  cominciò  ad  occuparmi  di  varj  oggetti  sommamente 
importanti.  Le  disposizioni  per  gli  alloggi  delle  truppe,  e  per  gli 
Ospitali,  il  continuo  loro  movimento  dall'uno  all'altro  luogo,  la  ne- 
cessità di  far  loro  somministrare  i  carri  pel  trasporto  degli  equi- 
paggi ed  attrezzi  militari,  de'  viveri,  e  delle  munizioni  da  guerra, 
l'impegno  di  approvvisionarle  di  carni  in  modo  di  non  portarne 
l'anmianco  agli  abitanti  dello  Stato,  la  raccolta  de'  sussidj  volontarj 
e  forzati  per  grandiose  somme,  di  cui  la  R.  Camera  avea  bisogno 
per  sostenere  le  spese  della   guerra  (3),  lo  studio   di    rendere  tali 


(i)  Entrò  in  Milano  il  28  maggio  di  quell'anno. 

(2)  11  vicario  Nava  fu  uno  dei  soggetti  deputati  dal  Consiglio  ge- 
nerale a  prestare  il  **  giuramento  d'omaggio  e  fedeltà  ,.  V.  le  apposite 
cartelle  neirArchivio  di  Stato  di  Milano,  Potenze  sovrane. 

(3)  11  22  luglio  1793  fu  annunciato  un  ^  Dono  Spontaneo  „  offerto 
dallo  Stato  di  Milano  a  S.  M.  Apostolica  in  sussidio  della  guerra  contro 
1  francesi.  La  Congregazione  di  Stato  oflferse  100.000  fiorini  finché  du- 
rasse la  guerra  per  stornare  l'arruolamento  richiesto  per  completare  i 


DA    MEMORIE   INEDITE    DI   DON   FRANCESCO   NAVA  97 

sussidj  meno  gravosi  (i),  che  fosse  possibile  allo  Stato,  ed  ai 
contribuenti,  la  direzione  di  varj  imprestiti  aperti  e  molti  altri  assai 
simili  gravissimi  oggetti  mi  obbligarono  mai  sempre  ad  un  continuo 
non  interrotto  lavoro.  Questo  bene  spesso  fu  ed  amareggiato  e 
reso  ancor  più  pesante  da  non  pochi  incidenti,  e  specialmente  dalla 
frequente  variazione  de*  comandanti  militari,  e  dal  sempre  alternato 
decadimento  e  risorgimento  delle  persone  preposte  al  governo  ed 
alla  direzione  suprema  degli  affari. 

A  viemmaggiormente  tormentarmi  sopravvenne  ai  primi  dello 
scorso  novembre  V  infortunio  d*un  ostinato  e  feroce  male  bovino, 
che  in  breve  tempo  diramossi  in  moltissime  stalle  dello  Stato,  e 
fece  strage  di  una  specie  tanto  necessaria  alla  agricoltura  e  sus- 
sistenza nazionale.  Ed  eccomi  obbligato  da  questo  sgraziato  avve- 
nimento ad  uno  studio  affatto  per  me  nuovo,  giacche  confesso,  che 
poco,  o  nulla  sapevo  e  delle  cautele,  e  dei  rimedj,  ch'era  d*uopo 
proporre  per  metter  riparo  alla  maggiore  propagazione  d'un  mal 
tanto  grande.  Non  posso  ricordarmi  senza  una  specialissima  gra- 
titudine alla  Divina  Provvidenza  di  tutto  quello,  che  mi  è  riuscito 
di  fare  nel  corso  d'un  mese.  Lasciando  a  parte  le  innumerevoli 
disposizioni,  \he  solo  potrei  raccogliere  dagli  atti,  tutti  gli  editti, 
avvisi,  ordini,  circolari,  che  sonosi  stampate  in  quest'occasione, 
furon  da  me  disposte,  e  mi  trovai  più  volte  obbligato  a  far  da  me 
stesso  le  maraviglie  d' aver  potuto  tanto  operare  senza  soffrir 
nella  salute.  11  conforto  di  passar  le  ore  del  pranzo,  e  della  cena 
coi  miei  fratelli  nella  casa  prepositurale  di  S.^  Ambrogio  (2),  dove 

due  reggimenti  italiani  Caprara  e  Bclgioioso.  L'offerta  fU  accolta  con 
dispaccio  9  marzo  1794.  11  15  maggio  1795,  nuovo  prestito  di  4  milioni 
di  lire  milanesi.  Il  13  agosto,  imprestito  a  forma  di  lotteria  per  la  somma 
di  3  milioni  e  mezzo,  da  aprirsi  in  Milano  presso  il  Monte  di  Santa 
Teresa  a  conto  della  Camera  Aulica. 

(i)  Il  vicario,  chiamato  a  consulta  dall'arciduca  il  23  febbraio  1796, 
riesciva,  fra  l'altro,  col  conte  Cavenago  e  col  conte  Rovelli,  assessore 
delia  città  di  Como,  a  stornare  la  minaccia  di  una  nuova  imposta  che 
avrebbe  colpito  anche  gli  enti  fin  qui  rispettati,  quali  i  creditori  del  Monte 
Santa  Teresa,  violando  una  precedente  promessa  di  un  esplicito  reale 
chirografo.  V.  Greppi,  La  rivoluzione  francese  nel  carteggio  di  un  os. 
servatore  italiano ^  voi.  II,  p.  329-330. 

(2)  Monsignor  don  Gabrio  Nava,  poi  santo  vescovo  di  Brescia,  era 
proposto  parroco  di  Sant'Ambrogio.  Nel  1796  egli  era  uno  dei  deputati 
del  L.  P.  Trivulzio. 

Arch,  Sior.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV.  7 


98  l'invasioxe  francese  in  MILANO  (1796) 

àhitBÌ  in  quel  mese,  mi  servi  di  cordiale,  e  mi  sosteime  ^golo- 
samente. Erano  appena  messe  in  corso  non  senza  profitto  le  sa- 
lutari disposizioni,  che  venne  la  nuova  del  rovescio  sofferto  dal- 
l'armata in  Riviera  ai  23  del  mese  (i),  e  mi  richiamò  dall'oggetto 
comecché  interessantissimo  dell'Epizoozia  ad  altre  cure  fìh.  pre- 
murose. Oltre  il  pericolo  d'una  anticipata  invasione  de'  franceà, 
che  svani  in  pochi  ^omi  (a),  convenne  tosto  darsi  moto  p.  fissare  i 
quartieri  d'inverno  alle  truppe,  che  dopo  la  rotta  sofferta  furono 
obbligate  a  ritirarsi  in  Lombardia.  E  non  fu  piccolo  l'impegno^ 
perchè  dal  generale  Wallis  (3),  il  quale  avea  preso  il  comando 
generale  per  l' ignominiosa  dimissione  fattane  dal  generale  De- 
Vinz  (4),   si   volle,   che   tutti  i  battaglioni  fussero   collocati  nelle 

(e)  La  battaglia  di  Loano,  che  veramente  durò  5  giorni:  dal  as  al  a6L 
(3)  La  miseria  di  cui  soffriva  l'esercito   francese,  l'assenza  di  de- 
naro e  di  cavalleria  furono,  secondo  il  Gachot,  La  pnmièrt  imm^agm 
tf  UalU^  p.  33,  le  ragioni  impellenti  che  trattennero  i  repubUtcani  dal- 
l'inseguire  gli  imperiali. 

(3)  Wallis,  generale  d'artiglierìa,  comandava  già  gli  austrìaci  in  se- 
condo, nell'autunno  del  1795,  sotto  gli  ordini  di  de  Vins.  Quando  ques- 
t'ultimo, il  35  novembre»  abbandonò  le  truppe  che  tenevano  la  rivieni 
di  ponente,  alle  porte  di  Genova»  fu  Wallis  che  di  li  le  ricondusse  nella 
valle  del  Po.  11  Cusani,  Storia  di  Milano,  voL  IV,  p.  315^  giadicando 
l'opera  del  Wallis  durante  il  breve  perìodo  in  cui  presiedette  alle  truppe 
imperiali,  lo  dice  troppo  prudente  "  per  tener  testa  ali*  impeto  francese.  « 

(4)  Giuseppe  Freiherr  de  Vins  (nato  in  Mantova  1732,  morto  a 
Vienna  1798),  si  guadagnò  sui  campi  di  battaglia,  specialmente  contro  i 
turchi,  rapide  promozioni  ai  più  alti  gradi  dell'esercito  imperìale.  Feld- 
zeugmeister  nel  1789,  ebbe  nel  1793  il  comando  di  un  corpo  d'annata 
in  Italia  e  nella  primavera  del  1795  fu  posto  a  capo,  con  limitazioni  che 
la  poco  buona  armonia  degli  imperiali  cogli  alleati  rese  molto  gravose, 
di  tutte  le  truppe  austro-sarde  nelle  Alpi  e  negli  Appennini.  Da  tempo 
malato  e  sofferente  pel  peso  degli  anni,  giaceva  in  letto  a  Finale,  quando 
i  francesi,  sotto  Schérer  e  Massena,  iniziavano  contro  le  sue  troppe 
l'azione  complessa  che  riesci  alla  rotta,  fatale  per  gli  austrìaci,  deno- 
minata da  Loano.  De  Vins  non  si  fece  vivo  che  la  sera  del  ^  n<h 
vembre  1795.  con  un  ordine  di  ritirata.  Escito  da  Finale;  egli  fu  visto  il  ^ 
dirigersi  rapidamente  in  carrozza,  con  un  pugno  di  cavalieri,  da  San 
Pier  d'Arena  a  Novi.  Poco  appresso  era  a  Tortona,  abbattuto  nel  corpo 
e  nello  spirito.  Il  marchese  Enrico  Costa  de  Beauregard  scrìsse  allora 
che  de  Vins  era  la  causa  degli  irreparabili  disastri  degli  alleatù  II  go* 
verno  austrìaco  lo  mise  a  riposo  ;  quando  poi  lo  vide  rinfrancato  in 
salute,  lo  nominò  (1797)  ispettore  generale  dei  confini  militarì.  In  tale 
carìca  lo  raggiunse  di  li  a  poco  la  morte. 


j 


DA   MEMORIE    INEDITE   DI   DON    FRANCESCO   NAVA  99 

Provincie  di  Pavia  e  di  Lodi  in  vicinanza  del  Po.  Ebbi  gli  ordini 
ai  primi  di  dicembre,  e  colla  Congregazione  dello  Stato  mi  affrettai 
di  combinare  tutte  le  disposizioni,  che  furono  eseguite  senza  ri- 
tardo, e  le  truppe  fra  il  giorno  di  Natale  e  quello  di  S.^<>  Stefano 
furon  tutte  acquartierate.  Intanto  nei  primi  due  mesi  di  quest'anno 
venivan  sempre  dalla  Germania  nuovi  rinforzi,  che  giornalmente 
mi  obbligarono  a  pensare  a  nuove  disposizioni.  Per  grazia  del  cielo 
pareva  inclinata  al  suo  termine  l'epizoozia,  e  mi  si  erano  alquanto 
scemate  le  occupazioni  ad  essa  relative  (i).  Quando  improvvisa- 
mente un  altro  luttuoso  avvenimento  obbligommi  ad  un  nuovo  tra- 
vaglio. Nel  borgo  di  Castano,  poi  in  quello  di  Besate  manifestossi 
un'epidemia  umana  di  carattere  maligno,  che  fu  giudicata  un  tifo 
contagioso.  Oh  Dio,  quante  vicende  afflissero  mai  la  povera  Milano 
in  poco  tempo  !  Eppure  desse  non  erano  che  foriere  de'  maggiori 
disastri,  a  cui  dovea  essere  presto  soggetta.  Non  tralasciai  quanto 
da  me  potea  dipendere  per  soccorrere  in  un  tempo  i  poveri  infermi 
delle  due  borgate,  e  per  impedire  il  progresso  e  la  dilatazione 
delle  epidemie,  e  so  ben  io  quali  e  quanto  affannose  cure  dovetti 
portare,  e  ringrazio  il  Signore,  che  degnossi  di  benedirle  con  esito 
felice. 

Erano  omai  ridotte  al  loro  termine  le  anzidette  epidemie  al- 
lorché dichiarato  general  comandante  dell'armata  il  vecchio  barone 
Beaulieu  (2)  ordinò  la  partenza  di  tutte  le  truppe  dalla  Lombardia 
per  il  Piemonte,  ed  ecco  aperta  coi  primi  di  aprile  la  quinta  cam- 

(i)  Veramente  il  cronista  Minola  non  registra  che  alla  data  del- 
l'i 1  maggio  il  permesso  del  vicario  di  provvisione  di  riaprire  "  li  so- 
liti mercati  di  bestiame  „  per  essere  cessato  ogni  timore  d'epizoozia, 
ma  il  residente  veneto  in  Milano  Zuanne  Vincenti  Foscarini  già  in  un 
suo  dispaccio  del  16  marzo  scriveva  al  ser.mo  Ppe  constargli  delia  "  quasi 
totale  estinzione  dell'epidemia  ne'  bovini,  „  e  ciò,  non  solo  in  base  a 
*  memoria  del  R.  Governo,  ,  che  il  residente  allega,  ma  anche  ad  un 
biglietto  del  vicario  di  provvisione. 

(2)  Il  barone  Giovaoni  Pietro  di  Beaulieu,  nato  in  Olanda  nel  1726, 
aveva  iniziato  giovanissimo  la  sua  carriera  militare.  Nel  1789  si  segnalò 
nel  domare  l' insurrezione  belga.  Continuamente  sulla  breccia  durante 
le  prime  guerre  della  rivoluzione,  fu  capo  di  stato  maggiore  di  Clerfayt. 
Secondo  il  Werner^  Kaiser  Franz,  p.  99,  la  sua  fedeltà  alla  scuola  guer- 
«esca  messa  in  onore  da  Federico  II  non  era  punto  cieca.  I  Mémoires 
tiris  des  papiers  d'un  homme  d'état  lo  giudicano  molto  favorevolmente 
ed  assicurano  che  la  sua  nomina  fu  suggerita  all'  imperatore  da  Clerfayt. 


lOO  l'  invasione   francese   in    MILANO  (1796) 

pagna,  del  di  cui  esito  io  mi  tenni  sempre  timoroso  ed  incerto  (i). 
Da  quel  momento  in  poi  non  ci  fu  più  quiete,  o  riposo.  Continui 
comandi  di  carri  ed  assai  numerosi,  ed  improvvisi,  ricerche  d'un 
numero  grande  di  buoj,  che  fu  d'uopo  di  far  avvanzare  precipi- 
tosamente da  Mantova  a  Pavia,  e  da  Pavia  nel  Piemonte,  indagini 
di  mezzi  per  trovare  soccorsi  di  danaro,  ed  altrettali  oggetti  con- 
corsero ad  occuparmi  gravemente  in  quel  mese,  mentre  le  angustie 
andavan  crescendo,  ed  era  pure  indispensabile  d'affliggersi  sulla 
imminente  futura  sorte  della  Lombardia.  Né  valsero  punto  a  cal- 
mare l'interno  mio  affanno  le  nuove  de'  primi  fatti  giunte  dal 
quartier  generale  cogli  esagerati  vantaggi  riportati  dall'armata  a 
Voltri  (2).  Conosceva  abbastanza  l' imbecillità  del  vecchio  generale 
Beaulieu,  e  la  sua  totale  ignoranza  dei  posti  del  Piemonte  (3)  per 

Arrivò  a  Milano  il  io  gennaio  (Minola).  Dopo  lo  sgraziato  esito  delia 
campagna  contro  Buonaparte,  lasciò  il  servizio  (fine  di  giugno  1796), 
senza  destare  rimpianti  nei  suoi  subordinati  (Despatches  of  colonel  Gra- 
ham in  EngL  Hist,  Rev.y  january  18^,  p.  117).  Mori  nel  1819. 

(i)  Solo  dopo  aver  constatato  che  Massena  non  aveva  spinto  più 
innanzi  1  suoi  dopo  la  vittoria  di  Loano,  il  Consìglio  aulico  di  Vienna 
si  sarebbe  deciso,,  in  fine  di  gennaio  1796,  ad  apparecchiarsi,  coi  sus- 
sidi inglesi  in  denaro,  ad  una  nuova  campagna.  Almeno  così  pretendeva 
Berthier,  allora  capo  di  stato  maggiore  deiresercito  francese  delle  Alpi 
(Gachot,  La  première  campagne  d' Italie ^  p.  61).  Per  altro  l'Austria  aveva 
già  il  28  settembre  stretto  la  triplice  alleanza  coU'Inghilterra  e  la  Russia. 

(2)  Napoleone  (Oeuvres  de  Napoléon  i«*  à  Sainte-Hélène  —  Campa- 
gnes  d^ Italie,  e.  II,  §  IV)  scrisse  con  amara  ironia:  Dans  le  mime  temps 
(in  cui  i  francesi  schiacciavano  Argenteau)  Beaulieu  se  presentati  à  Vollri, 
mais  il  n'y  trouvait  plus  personne  ;  et  il  s'y  aboucha  sans  ohstacle^  avec 
Nelson,  amirai  anglais.  Veramente  aveva  detto  poche  righe  più  su  che 
Beaulieu  aveva  attaccato  presso  Voltri  il  generale  francese  <ii  brigata 
Cervoni,  che  teneva  quella  località,  sì  che  questi  si  ritirò.  D'altro  canto, 
gli  imperiali  avevano  festeggiato  con  troppa  precipitazione  l'aver  potuto 
sloggiare  alcuni  avamposti  e  toglier  farine  e  cartuccie  ai  repubblicani 
in  Pegli.  Beaulieu,  nel  rapporto  confidenziale  all'imperatore  dopo  la 
prima  rotta  (pubblicato  dal  Gachot,  op.  cit.,  append.  C),  confessa: 
"  Avevo  visto  la  prima  luce  dei  bei  giorni!  „ 

(3)  Dalla  Storia  delVanno  ij^ó  (attribuita  al  Becattini)  appare  come 
r  impressione  lasciata  dal  Beaulieu  in  quanti  lo  avvicinarono  nei  salotti 
milanesi  in  quell'inverno  concordi  con  quella  cosi  crudamente  espressa 
qui  dal  Nava.  Della  sua  troppo  scarsa  conoscenza  del  terreno  delle 
operazioni,  la  stessa  storia  dà  una  prova  molto  significante  là  ove  narra 
che  il  maresciallo,  mentre  già  retrocedeva,  fece   chiedere  alla   Camera 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI   DON   FRANCESCO   NAVA  IDI 

rallegrarmi  di  tai  fatti,  in  cui  a  mio  senso  parevami  di  poter  rav- 
visare apertamente  uno  sbaglio  di  direzione,  e  di  misure,  siccome 
non  ebbi  difficoltà  di  dirlo  con  ingenuità  allo  stesso  r.  arciduca  go- 
vernatore (i),  il  quale  pure  non  sapeva  comprendere  (2),  come 
fusse  caduto  in  pensiero  al  generale  di  portarsi  col  grosso  dell'ar- 
mata di  là  dalla  Bocchetta  sino  sotto  Voltri,  e  lasciare  così  poco 
difesa  la  parte  del  Dego,  dov'era  meno  difficile,  e  più  probabile 
una  irruzione.  Difatti  non  tardò  guari  a  verificarsi  il  mio  prono- 
stico (3).  Verso  la  metà  del  mese  si  sparse  per  la  città  un  sordo 
rumore  d'una  rotta  (4),   che  Tarmata    avea   sofferto   a   Montenotte, 

delle  finanze  una  carta  del  corso  del  Po,  fatta  ai  tempi  del  principe 
Eugenio,  che  avrebbe  pur  dovuto  aver  prima  d'allora  alle  mani.  Invece 
Buonaparte  si  faceva  inviare  di  Francia  la  "  Storia   militare  del   prin- 

*  cipe  Eugenio.  „  11  Werner,  op,  cit.,  p.  99,  ci  descrive  lo  scarso  affiata- 
mento fra  Beaulieu,  che  sentiva  altamente  di  sé,  ed  i  suoi  ufficiali  ;  ma 
dice  pure  con  quale  calore  quel  vecchio  arzillo  si  fosse  accinto  all'ardua 
impresa  di  prendere  la  rivincita  di  Loano.  Il  Lacretelle  poi  (Précis 
historique  de  la  revolution  franfaise.  —  Directoire  exécutif,  I,  2,  p.  161)  loda 
assai  il  contegno  fermo  e  calmo  del  capitano  d'altri  tempi  mentre,  ri- 
cacciato verso  oriente,  contrastava  l'avanzarsi  del  duce  delle  genti 
nuove  I 

(i)  Quanto  dessero  noia  al  Verri  le  opportunità  di  abboccarsi  ^col- 
l'arciduca,  concesse  particolarmente  a  taluni  dei  corpi  civici,  appare 
dall'asprezza  con  cui  ne  rimprovera  l'arciduca,  quasi  che  arbitra- 
riamente desse  una  maggior  importanza  a  questi  suoi  fidi,  grazie  al- 
l'accordato loro  *  accesso  frequente  „  {Storia  dell*  invasione^  p.  385).  Me- 
morie manoscritte,  favoriteci  dal  nob.  A.  Giulinl,  di  don  Francesco  Melzi, 
commendatario  del  S.  M.  O.  di  Malta  (neppur  parente,  crediamo,  del  duca 
di  Lodi),  ci  additano  il  vecchio  conte  Lorenzo  Salazar  come  altro  di 
questi  confidenti  di  Sua  Altezza.  Da  una  lettera  privata  del  vicario, 
scritta,  è  vero,  qualche  tempo  innanzi,  apparirebbe  come  il  Nava,  lungi 
dall'essere  uno  dei  consueti  confidenti  dell'arciduca,  fosse  anzi  da  co- 
storo visto  piuttosto  di  mal  occhio. 

(a)  Quando  poi  il  dilagare  della  ruina  degli  imperiali  lo  costrinse 
a  fuggire,  "  l'arciduca,  non  assuefatto   a  sentire   i  colpi   dell'avversità, 

*  accusava,  piangendo,  non  la  fortuna,  ma,  ^econdochè  si  usa  nelle  di- 

*  sgrazie,  i  cattivi  consigli  di  Beaulieu  „:  Botta,  Storia  d'Italia  dal 
ijSg  al  r8i4i  to.  I,  1.  6.%  p.  222. 

(3)  Uguale  presentimento  aveva  lasciato  dubbioso  il  Verri  dell'op- 
portunità della  spedizione  di  Voltri  ;  v.  la  lettera  al  fratello  Alessandro 
20  aprile  1796  in  Lettere  e  scritti  inediti^  p.  197. 

(4)  V.  notizie  su  quel  primo  panico  e  sui  suoi  elementi  in  Greppi, 
op.  cit.,  II,  p.  334-35- 


I02  l'  invasione   FRANCESK   in   MILANO  (1796) 

e  ben  presto  vennero  i  rapporti  ufficiali  a  confermarne  la  nuova  (i). 
Dopo  di  essa  varj  altri  annunzj  susseguirono,  ed  ogni  giorno  an- 
davano arrivando  nuovi  corrieri  portando  la  ritirata  dell*  armata 
austriaca,  e  Tawanzamento  della  francese.  Sino  a  che  stabilito  ai 
28  d'aprile  l'armistizio  tra  il  comandante  di  essa  general  Bonaparte 
ed  il  generale  Baron  de  la  Tour  e  il  colonnello  marchese  della  Costa 
delegati  dal  re  dì  Sardegna,  il  general  Beaulieu  fu  obbligato  di  ri- 
tirarsi sino  al  Po. 

Dopo  tali  notizie  non  solo  si  rendette  verosimile,  ma  quasi 
sicura  r  invasione  della  Lombardia  (2).  Difatti  il  Governo  austriaco 
non  tardò  a  dare  le  disposizioni  preventive  per  la  probabile  sua 
vicina  partenza  (3).  Non  so  esprimer  quanto  siami  toccato  di  tra- 
vagliare e  '1  dì  e  la  notte  nel  periodo  di  questi  giorni,  e  sempre 
coirangustia  di  vedere  una  guerra  viva  nello  Stato  (4). 

Si  raddoppiarono  le  pubbliche  e  private  preghiere  (5),  che  nel 
decorso  della  guerra  furon  sempre  frequenti  e  divote  (6).  Un  triduo 

(i)  Secondo  Greppi,  op.  cit.,  II,  p.  334,  il  primo  dispaccio  allarmante 
di  Beaulieu  non  giunse  in  Milano  che  la  sera  del  17  aprile. 

("2)  Di  tale  pericolo  voci  ed  anche  scritti  pubblici  (v.  ^sunto  di  uno 
in  Greppi,  op.  cit.,  II,  p.  343,  nota  i)  movevano  aspro  rimbrotto  al  go- 
verno imperiale,  accusandolo  di  averlo  fatto  sorgere  col  non  aver 
guernito  a  sufficienza  di  truppe  la  Lombardia. 

(3)  V.  nell'espresso  del  Foscarini  (a6  aprile,  ore  una  dopo  mezzo- 
giorno) notizia  degli  apparecchi  dell'arciduca. 

(4)  L' inviato  dei  corpi  civici  milanesi  al  campo,  con  missione  di 
tenere  informato  il  vicario  di  provvisione  delle  vicende  della  guerra, 
don  Felice  Astori,  temeva  *  la  guerra  guerreggiata  in  paese  .  solo  nel 
caso  che  rinforzi  giunti  a  Beaulieu  gli  dessero  modo  di  attuare  il  suo 
proposito  di  sostenersi  in  Lombardia.  Altrimenti,  considerando  sovratutto 
l'aiuto  che,  finché  la  lotta  non  si  scostava  da  quel  tratto  del  Po,  veniva 
ai  francesi  dall'alleanza  parmense,  l'Astori  era  indotto  a  credere  che 
gli  orrori  della  guerra  non  desolerebbero  durevolmente  la  Lombardia. 
(Corrispondenze  dai  campo,  nell'Archivio  Civico  milanese,  22,  vicende 
poiitichè). 

(5)  Non  senza  provocare  il  lamento  d'un  ambrosiano  poco  divoto, 
secondo  il  quale,  immersi  nelle  pie  pratiche,  *  No  sem  bon  nò  de  dilla 
"  coi  franzes  „  ;  Db  Castro,  Milano  e  la  repubblica  cisalpina,  p.  46. 

(6)  Notiamo  sovratutto  due  tridui  per  ottenere  la  divina  protezione 
alle  operazioni  di  guerra:  l'uno  degli  ultimi  tre  giorni  del  settembre 
1795,  ordinato  dal  vicario  in  Santa  Maria  presso  S.  Celso,  l'altro  nella 
Metropolitana,  alla  fine  di  marzo,  per  iniziativa  e  con  intervento  della 
Congregazione  dello  Stato. 


DA   MEMORIE    INEDITE   DI   DON   FRANCESCO   NAVA  I03 

si  fece  in  Duomo  ad  istanza  e  coli*  intervento  della  Congregazione 
dello  Stato  e  fu  compiuto  col  finire  di  aprile.  Il  primo  giorno  di 
maggio  fuwi  una  messa  parimenti  in  Duomo  colla  esposizione  del 
SS.™®  Sagramento,  e  colla  benedizione  alla  sera  coli'  intervento  della 
Corte  (i).  E  sulle  istanze  mie  e  del  Consiglio  generale  si  fece  nel 
giorno  sei  alla  mattina  una  solenne  processione  delle  reliquie  dalla 
Chiesa  Metropolitana  a  S.'  Ambrogio  (2),  dove  alla  sera  dello  stesso 
giorno  sei,  e  ne*  successivi  giorni  7  e  8,  vi  fu  V  esposizione  del 
SS.™o  Sagramento  con  altre  pie  funzioni,  alle  quali  intervennero  tutti 
i  Corpi  civici  ripartitamente,  ed  un  affollato  concorso  di  popolo 
co'  sentimenti  della  più  edificante  divozione,  ed  esemplarità  (3). 

Intanto  le  nuove,  che  andavan  sopravenendo  dal  quartier  ge- 
nerale eran  sempre  più  infauste,  e  tutto  collimava  a  far  credere  inevi- 
tabile e  vicinissima  l'invasione  (4).  Io  m'era  coricato  a  letto  la  sera  del 
giorno  otto  qualche  ora  prima  del  solito  non  tanto  per  riposarmi  dalla 
stanchezza,  che  alla  sera  mi  opprimeva  maggiormente  quanto  perchè 
nel  dì  seguente  dovea  alzarmi  più  di  buon'ora  per  recarmi  alla 
prima  processione  delle  rogazioni  triduane.  Non  ostante  il  turba- 
mento interno  presi  tosto  un  placido  sonno,  quando  d'improvviso 


(i)  Anzi,  per  ordine  della  stessa,  secondo  il  Greppi,  op.  cit.,  I!,  p.  338. 
V.  la  descrizione  delle  sacre  cerimonie  di  questo  giorno  nel  Diario  del 
MiNOLA,  alla  data  i.°  maggio.  Questo  cronista  narra  che  si  raccolsero 
allora  elemosine  "  per  le  vedove  e  pupilli  dei  soldati  morti  in  guerra.  „ 

(2)  Il  Minola  descrive  minutamente  la  processione  e  dà  un  lungo 
elenco  degli  ecclesiastici  intervenuti  e  delle  reliquie.  Intervennero  pure 
■  li  sessanta  decurioni  e  nobili  collegi.  „  L'avviso  del  cancelliere  arci- 
vescovile Gambarana,  in  cui  si  diedero  le  disposizioni  per  la  grandiosa 
processione,  recava  la  data  del  1/  maggio. 

(3)  Nell'ultima  sera  del  triduo  intervennero,  *  in  incognito,  „  le 
LL.  AA.  RR.  (Minola). 

(4)  Infatti  le  lettere  di  don  Felice  Astori  al  vicario  Nava  (v.  s.  p.  102) 
nota  4)  da  Pavia  e  da  Borghetto,  annuncianti  che  il  Po  non  era  più  libero, 
che  gli  austriaci  vendevano  in  gran  fretta  i  magazzini  e  si  ritiravano,  per 
evitare  il  pericolo  d'essere  girati,  lasciavano  prevedere  imminente  il  pas- 
saggio del  fiume  per  parte  dei  francesi.  Ed  alle  7  %  pom.  dell'  8  maggio, 
l'Astori  medesimo  doveva  scrivere  da  Lodi  una  lettera  frettolosa  che  così 
comincia:  "  Eccellenza,  —  Il  nemico  ha  passato  il  Po,  e  si  batte  coi 
•  nostri  in  vicinanza  di  Piacenza.  „  Appare,  da  quanto  dicono  più  sotto 
le  memorie  del  Nava,  che  l'Astori  ritornò  in  città  prima  ancora  che 
fosse  pervenuta  al  vicario  l'ultima  sua  lettera. 


I04  L*  INVASIONE   FRANCESE    IN    MILANO  (1796) 

mi  sento  svegliare  dal  secondo  assessore  di  Lodi  (i),  che  di  là 
giunto  portommi  la  nuova  d'essere  i  francesi  penetrati  dalla  parte 
di  Piacenza  in  Lombardia  (2),  e  già  padroni  di  Codogno,  mentre 
l'armata  austrìaca  seguitava  a  ritirarsi  con  precipizio  di  là  dal- 
TAdda.  Non  mi  era  possibile,  né  mi  sarebbe  convenuto  di  dare  in 
quella  stessa  notte  veruna  disposizione,  perciocché  trovavasi  ancora 
il  Governo  in  Milano.  Premessi  pertanto  i  dovuti  ufficj  col  secondo 
assessore,  lo  congedaj,  e  procurai  di  riposarmi,  per  quanto  le  cir- 
costanze del  momento,  e  l'affollamento  dei  pensieri,  che  m' ingom- 
braron  la  mente,  me  lo  permisero.  La  mattina  per  tempo  senza 
mostrarmi  turbato  volli  andare  alla  processione;  e  feci  tutto  il  giro 
sino  a  S.'  Ambrogio,  dove  staccatomi  dal  Corpo  municipale  (3)  mi 


(i)  Occupava  tale  carica,  nel  seno  dell'  Eccellentissima  Congrega- 
zione di  Stato,  don  Felice  Astori,  cui  veniva  pagato  un  salario  di  4000 
lire  milanesi  annue.  L'Astori,  che  aveva  seguito  i  movimenti  delle 
truppe  imperiali  sino  alla  sera  dell' 8,  avanzandosi  con  notevole  spirito 
d*  iniziativa,  ma  solo  "  sin  dove  il  pericolo  consiglierà  a  trattenersi,  » 
fu  rispedito  a  Lodi  il  io  maggio  dal  vicario  di  provvisione  *  per  otte- 
nere più  accertatamente  nuove  ulteriori.  „  (Appuntamenti  della  Cameretta^ 
1796,  neir Archivio  Civico  di  Milano).  L'Astori  in  quei  giorni  fu  sempre 
sulla  breccia  :  lo  vediamo  uno  dei  quattro  delegati  al  campo  francese, 
poi  rappresentante  con  altri  colleghi  la  Congregazione  dello  Stato  al  a 
solenne  entrata  di  Massena  in  Milano.  Nel  pomeriggio  della  Pentecoste 
accompagnò  il  vicario  nella  sua  visita  al  generale  Buonaparte.  Fu  infine 
uno  dei  prescelti  per  V  ispezione  fatta  nel  palazzo  Serbelloni,  quando 
vi  si  volevano  traslocare  gli  uffici  civici. 

(2)  Secondo  il  Bouvier,  Bonaparte  en  Italie,  p.  489,  Lannes,  primo 
dei  francesi,  passò  il  Po  alle  2%  pomeridiane  del  7  maggio  (=z.  18  floreale). 
Come  vedemmo,  l'Astori  non  lo  seppe,  presso  Casalpusterlengo,  che 
alla  sera  dell'  8.  Il  vicario,  informatone,  come  pure  l'arciduca,  in  quella 
notte,  lo  annunciò  alla  mattina  seguente  al  Consiglio  generale  straor- 
dinariamente adunato.  A  ragione  nota  il  Jomini,  Hisioire  crilique  et  mi' 
litaire  des  guerres  de  la  revolution ,  II,  X,  57,  p.  362  :  Chacun  compia nt 
sur  cette  barrière^  reputée  inexpugnable,  perdit  la  téle  à  la  nouvelle  du 
Passage. 

(3)  La  Congregazione  Municipale  nel  i'}96  era  così  composta  :  (vedi 
Cittadino  e  viat^giatore  milanese  pel  1796)  : 

R.  dtlegalo:  conte  Luigi  Trotti 

1)icario  dì  provvisione  :  don  Francesco  Nava 

Assessori  tog-ati:  conte  Nicolò  Visconti,  mirchcsc  Cesare  Brivio 

Decurioni:  marchese  Benigno  Bossi,  marchese  Ferdinando  Cusani 

Fisico  coUegiato:  dott.  Filippo  Sormani 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI   DON   FRANCESCO   NAVA  IO5 

tratenni  per  poco  ad  informare  gli  amatissimi  miei  fratelli  (i) 
dello  stato  delle  cose,  ed  indi  tutto  solo  mi  recai  senza  ritardo  al 
Broletto  (2).  Ahi  quali,  e  quante  cure  mi  hanno  oppresso  in  quel 
giorno!  Giuntovi  appena  trovai  varie  carte  governative,  fra  le  quali 
eravi  Teditto,  con  cui  veniva  avvisata  al  pubblico  la  partenza  del 
governo  (3),  e  l'erezione  d'una  Giunta  interinale  da  esso  lui  dipen- 


Estimati  patrizi  :  marchese  Franc.  Visconti,  don  Lorenzo  Sormani 

»       cittadini:  avv.   don  Giuseppe  Bagatti,  avv.   don   Ignazio    Manzi,   signor 
Pietro  Ballabio,  don  Carlo  Bianchi 

Aggiunti  patrizi  :  don  Giuseppe  Giulini,  marchese  Paolo  Olivazzi 
•       cittadini:  don  Carlo  Rusnati,  don  Ignazio  Cornegliano 

i^indaco  :' don  Pietro  Veoani 

Segretario:  don  Giuseppe  Perabò. 

(i)  Erano  il  già  nominato  proposto,  Federico,  canonico  del  Duomo, 
e  Carlo. 

(a)  Nel  palazzo  dei  Carmagnola,  detto  Broletto  nuovissimo,  avevan 
sede,  come  ognun  sa,  gli  uffici  del  comune. 

(3)  Sembra  che  dapprima  il  governo  abbia  tentato  di  far  credere 
che  il  pericolo  fosse  stornato  da  una  vittoria  austriaca  tra  Codogno  e 
Lodi,  giacché  tale  notizia  fu  raccolta  il  io  maggio  a  Basilea  (attenuata 
dalla  voce,  corsa  colà  in  pari  tempo,  della  rotta  di  Beaulieu)  dal  primo 
segretario  della  legazione  francese,  Bucher,  che  la  comunicò  tosto  al 
ministro  degli  Esteri  a  Parigi  (v.  i  documenti  dell'Archivio  francese 
della  guerra,  citati  dal  Bouvier,  Bonaparte  en  Italie,  p.  512).  Ma,  sotto 
la  pressione  dell'  immediata  necessità,  tosto  dopo  l'arciduca  dovette  de- 
cidersi alla  fuga,  se  non  volea  arrischiare  di  cadere  nelle  mani  dei 
francesi.  Il  9  era  giunta  la  notizia  che  questi,  non  solo  erano  in  Lom- 
bardia, ma  vi  avevano  battuto  gli  imperiali.  Fu  un'eco  di  Fombio  (che, 
secondo  T Agnelli,  Lodi  nella  repubblica  cisalpina  in  Archivio  Storico  Ita- 
tana,  V  serie,  to.  XXIV,  1899,  fu  ben  poca  cosa)?  Il  Foscarini  (dispaccio 
di  quel  giorno,  senza  numero),  lo  comunicava  al  doge  ed  aggiungeva 
che  •  in  forza  „  di  questo  **  fatto,  „  "  hanno  presa  immediata  risolu- 
"  zione  li  RR.  AA.  di  allontanarsi  da  questa  città,  come  momenti  sono 

*  eseguirono.  „  La  Storia  deWanno  lygó  dice  che  la  partenza  avvenne 

*  verso  mezzodì  „  ora  in  cui,  come  udremo  dal  Nava  stesso,  le  truppe 
imperiali  cessarono  di  presidiare  la  città.  Si  può  considerare  come  ac- 
certato che  la  popolazione  assistette  senza  commuoversi  alla  fuga  del- 
l'arciduca; invero  perfino  il  Termometro  politico,  così  fieramente  ostile  al 
fuggente  e  fautore  di  ogni  anche  precipitato  moto  popolare,  non  parla 
(n.  del  7  Messidor  IV  Repub.:  Disposizione  del  popolo  milanese  a  rigenerarsi 
calcolata)  che  di  "  indififerenza  „  e  "  disprezzo  „  mostrati  dal  popolo.  Il 
BouviER,  op.  cit,  p.  573  ;  il  Cantù,  Storia  degli  italiani,  to.  VI,  1.  XVI,  e.  176, 
p.  317;  le  Memorie- Documenti  di  Fr.  Melzi  concordano  nel  dipingere 
l'attitudine  dei   milanesi.  Stettero  *    muti  e   tranquilli,   „    conchiude   il 


Io8  l'  invasione   francese   in    MILANO  (1796) 

nizzata,  e  messa  in  piedi  la  Milizia  urbana  (i).  Pare  impossibile  > 
ma  è  vero,  che  nel  giorno  medesimo  era  già  unito  im  corpo  suf- 
ficiente di  volontari  per  coprire  tutti  i  posti  della  città  (2),  e  verso 

generandosi  una  specie  di  duello  oratorio  fra  lui  ed  il  Melzi,  per  deci- 
dere a  chi  spettasse  il  prender  deliberazioni  d'urgenza,  facoltà  poi  con- 
cessa alla  Congregazione  municipale  ed  allo  Scrutinio  degli  ordini.  Si 
provvide  pure,  auspice  il  Verri,  a  riaffermare  ostensibilmente  la  pro- 
prietà civica  di  grosse  somme  amalgamate  in  modo  troppo  pericoloso 
con  denari  deirerario. 

(i)  Che  la  leva  della  milizia  urbana  dipendesse  dall'editto  gover- 
nativo ordinante  agli  abitanti  di  notificarsi,  lo  riconosce  Io  stesso  Nava, 
invocando  dalla  R.  Conferenza  governativa  tale  editto  (Archivio  civico, 
Milizia  urbana,  Prow.  gener,,  Materie  661).  Ma  è  curioso  che  il  Cusani, 
op.  cit.,  IV,  p.  330,  concordando  coi  Mémoires  de  Massena,  II,  p.  66,  col 
Melzi,  op.  cit.,  p.  143,  col  Botta,  op.  cit.,  t.  I,  1.  6.**  abbia  attribuito  al 
governo  austriaco  il  pensiero  di  convocare  quelle  truppe.  Il  Greppi,  la 
cui  accusa  al  Governo  di  aver  ostacolato  la  leva,  op.  cit.,  p.  336,  non 
appare  per  altro  fondata,  attribuisce  la  prima  idea  dell'opportuna  mi- 
sura al  Melzi,  e  con  verosimiglianza,  che  egli  anche  più  tardi  si  pre- 
occupò di  completare  l'organizzazione  di  quella  milizia  (Appuntamenti 
della  Cameretta,  ij  maggio  sera).  Fu  il  2  maggio  che  una  *  Consulta  » 
dello  scrutinio  suggerì  con  successo  al  Consiglio  generale  di  chiedere 
reditto  per  le  notificazioni,  che  fu  domandato  dal  Nava  il  12  stesso  e 
concesso  dal  Wilczeck  con  lettera  del  6.  Il  Peroni  pertanto  ben  s'ap- 
poneva attribuendo  ai  decurioni  l'ordine  della  leva  (Compendio  sto- 
rico,  ecc.).  Non  so  perchè  il  Bertolini,  Conferenze  di  storia  milanese^  La 
Repubblica  cisalpina  ed  il  Regno  italico,  p.  528,  dica  che  la  leva  fu  *  tu- 
multuaria, 9  Si  provvide  alla  nomina  di  un  pro-auditore  delia  Milizia; 
le  si  destinò  il  quartiere  lasciato  libero  dalle  guardie  del  corpo  dell'ar- 
ciduca nel  soppresso  monastero  di  S.  Ulderico  al  Bocchetto  {Guida  di 
Milano  antico  e  moderno).  Non  si  fecero  nella  leva  distinzioni  di  classe, 
ma,  se  al  Consiglio  generale  il  Regolamento  della  milizia  *  escludente 
•  ogni  disparità  fra  nobili  e  cittadini  „  sembrò  opportuno  e  fu  approvato 
nella  seduta  del  2  maggio,  la  Conferenza  governativa  accolse  pure  i 
suggerimenti  del  vicario,  di  non  armare  cioè  il  basso  popolo  che  non 
avea  proprietà,  adducendo  i  riguardi  imponenti  di  non  turbare  il  lavoro 
di  chi  viveva  del  guadagno  giornaliero.  Così  composta,  non  pare  la  mi- 
lizia assumesse  tosto  un  aspetto  gran  che  marziale  ;  v.  Becattini,  Storia 
del  memorabile  triennale  governo,  ecc.,  lett.  i.';  né  i  ■  remolazzitt  „  affi- 
davano molto  il  poeta  vernacolo  citato  dal  De-Castro,  Milano  e  la  Re- 
pubblica cisalpina,  p.  47. 

(2)  Il  9  medesimo  aveva  il  Consiglio  generale  invitato  vivamente 
i  cittadini  a  notificarsi.  *  Si  calcola  che  duemila  chiedessero  d'arruo- 
"  larsi,  „  Greppi,  op.  cit,  lì,  p.  339.  Poi  ancora  in  quel  giorno  si  ordinò 


DA    MEMORIE    INEDITE    DI   DON   FRANCESCO   NAVA  IO9 

il  mezzodì  all'avviso  giunto  per  parte  del  Castello,  che  si  ritira- 
vano tutte  le  guardie  militari,  che  stavano  alla  Corte  ed  in  altri 
luoghi  della  città  (i),  furon  tosto  sostituiti  da  per  tutto  i  corpi  delle 
milizie  (2).  Dato  tal  provvedimento,  ch'era  il  più  essenziale  per  la 
quiete  e  tranquillità  interna  della  città  furono  nominate  varie  Dele- 


ai  già  notificati  di  presentarsi  per  le  7  pomeridiane  al  Broletto.  Vera- 
mente il  Nava  si  vanta  che  la  sostituzione  delle  sentinelle  avvenisse 
poco  dopo  il  mezzogiorno,  non  si  capisce  bene  in  qual  modo,  data  l'ora 
prefissa  (le  sette  di  sera)  per  la  presentazione.  Certo  però  il  servizio 
fu  prestato  subito  molto  volonterosamente  (Greppi,  op.  cit.,  11,  p.  339- 
340),  sì  da  meritare  che  il  giorno  seguente  (io  maggio)  il  Consiglio 
generale  ne  rendesse  pubblica  testimonianza,  lodando  e  ringraziando 
quei  primi  accorsi  sotto  le  armi  dei  militi  urbani.  Ignoro  perchè  le 
Memorie^Documenii  del  Melzi,  su  cui  si  basa  il  Tivaroni,  asseriscano  che 
la  milizia  "  venne....  meno  ai  dì  della  prova ,,  (I,  p.  143).  Alcuni  degli  uf- 
ficiali rifuggirono  per  altro  in  quel  frangente  dall' esercita  re  il  comando. 
Il  Consiglio  generale  ricevette,  mentre  era  adunato  appunto  il  9  mag- 
gio, le  dimissioni  dei  maestri  di  campo,  conte  "Lorenzo  Salazar  (nona- 
genario I)  e  conte  Galeotto  di  Belgioioso,  pure  molto  vecchio.  Nella  seduta 
pomeridiana  di  quello  stesso  giorno  si  approvarono  le  terne  per  so- 
stituirli e  la  mattina  del  io  la  R.  Giunta  aveva  già  comunicato  ai  de- 
curìoni  la  sua  scelta.  In  tutto  ciò  che  riguardava  la  milizia  urbana,  i 
corpi  civici  procedettero  colla  massima  speditezza. 

(i)  "    ....e  in  manch  de  quella  —  no  gh'è  stàa  pù,  né  Còrt,  né  senti- 

*  nella  „  scrive  il  Pertusati,  ed  é  verosimile  quanto  dice  il  Coppi,  Annali 
d'J/alta,  II,  §  17,  che  l'arciduca  partente  avesse  fatto  ritirare  in  castello 
tutto  il  presidio.  Il  Greppi  non  parla  di  un  tale  richiamo  della  truppa 
austriaca  nella  cittadella  che  alla  sera  del  10  (op.  cit.,  p.  343).  La  notte 
del  9  gli  imperiali  di  Colli  avrebbero  traversato  la  città,  rinforzando 
la  guarnigione  (Bouvier,  op.  cit..  p.  507,  confermato  da:  Appuntamenti 
delia  Cameretta,  io  maggio). 

(2)  L*  afifermazione  del  vicario,  appoggiata  pure  alla  narrazione 
che  fece  la  Gazzetta  di  Milano  del  19  maggio:  ("  bravi  cittadini....  giorno 
■  e  notte  facevano  le  guardie  e  pattuglie  „),  distrugge  Taccusa,  dal  De- 
Castro  mossa  al  Municipio,  d'aver  affidato  l'ordine  pubblico  a  pattuglie 
di  croati.  A  noi  consta  solo  (v.  Appuntamenti  cit.,  io  maggio)  che  il  vi- 
cario chiese   alla  R.   Giunta   di    "  assegnare  le  necessarie  guardie  di 

*  giustizia  ai  due  depositori  della  polvere  in  Lambrate  ed  alla  Bicocca  „, 
e  che  ottenne,  dal  vice-intendente  generale  don  Giacomo  Trecchi,  l'  "  as- 
segno delle  guardie  di  fìnanza  alla  custodia  delle  dogane,  e  degli  effetti 
de'  commercianti  in  esse  esistenti  ,.  Tutte  misure  che  accennano  a  com- 
pletare un  servizio,  non  a  costituirlo. 


no  l'invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

gazioni  per  gli  alloggi  (i)  ed  ospitali  militari  (a),  pei  viveri,  e  per 
le  altre  pubbliche  occorrenze  (3).  Si  trascelsero  i  soggetti  destiniti 
a  recarsi  meco  ai  confini  a  complimentare  il  general  Francese  (4)^ 

(i)  Ai  patrizj  e  cittadini  della  delegazione  nominata  ndla  sednta 
pomeridiana  del  9  "  per  le  attuali  straordinarie  occorrenze  ,  fìi  aflMato 
il  12  maggio  "  ciocché  riguarda  Talloggio  dello  stesso  generale  [Suo* 
**  naparte],  e  del  suo  seguito.  ^  Pressoché  tutti  questi  signori  avevan  gii 
dovuto  occuparsi  dell'oggetto  analogo,  di  ricoverare  gli  abitanti  sloggiiti 
perchè  troppo  esposti  per  la  vicinanza  del  castello.  V.  Raccolta  iigU 
ordini  ed  aiwisi,  del  Veladini.  L'ii  i  delegati  al  campo  francese  scrìssero 
di  apparecchiare  pel  quartier  generale  circa  quaranta  alloggi.  Per  trii* 
tare  di  quest'argomento,  secondo  il  Foscarini,  sarebbero  venuti  il  is 
col  Salvadori  due  commissarii  e  due  ufficiali  subalterni  francesi,  ripartiti 
tosto,  non  sentendosi  sicuri. 

(3)  "  Si  è  fatto  una  delegazione  per  gli  ospedali  dei  franceu.  Al 
'  Governo  di  questi  venne  delegato  Moscati,  il  quale  tosto  accettò  rin- 

*  graziando.  „  (Fontana  a  P.  Greppi,  11  maggio). 

(3)  I  patrizi  eletti  dal  Consiglio  generale  **  per  le  attuali  straor 
**  dinarie  occorrenze  ,,  il  9  furono  :  march.  Luigi  Gagnola,  march.  Giuseppe 
Cono,  conte  G.  Luca  della  Somaglia,  don  Gius.  Gorani,  conte  Giovanni 
Stampa  di  Sonci  no,  don  Carlo  Nava;  i  cittadini:  i  signori  Cario  Grato 
Zanella,  Giuseppe  Mauro,  Alessandro  Belinzaghi,  Giuseppe  Sala,  Gae- 
tano Pensa,  Carlo  Antonio  Strigella.  Vi  furono  però  delle  sostituzioni, 
e  nella  seduta  serale  del  13  maggio  il  Consiglio  aggiunse  altri  meipbrì. 
Fra  le  delegazioni  conferite  in  quei  giorni  è  notevole  quella  affidata  il 

9  *  per  acclamazione,  e  con  applauso,  „  su  proposta  del  Melzi,  a  P.  Verri, 
per  dar  notizie  sulla  città  ai  francesi,  ove  ne  richiedessero  ■  esatta- 
**  mente  senza  pericolo  di  equivoci,  o  pregiudizio  della  causa  pubblica.  « 

(4)  Tostochè,  quella  mattina  del   9,   fu   unito  il  Consiglio  generale, 

10  invitò  il  vicario,  ricordando  le  consuetudini,  a  scegliere  i  delegati, 
che  *  al  caso  di  ulteriore  approssimazione  dei  francesi  si  portino  col 
**  signor  vicario  di  provvisione    ad  incontrare   il   signor  generale  co- 

•  mandante,  fargli  i  dovuti  ossequi  in  nome  della  città,  e  trattare  dd 
"  ricevimento  in  modo  innocuo  alla  stessa.  „  Si  accolse  la  proposta  e, 
derogandosi,  per  Purgenza,  alle  consuete  formalità  della  votazione,  ri- 
sultarono eletti  i  seguenti,  che  nominiamo,  secondo  Tordine  dei  mag- 
giori voti:  conte  Alfonso  Castiglione,  conte  Pietro  Visconti  Borromeo, 
conte  Benedetto  Arese,  marchese  Benigno  Bossi,  conte  Francesco  Mclii, 
conte  Giuseppe  Resta.  Ritroveremo  tutti  gli  altri;  del  conte  Benedetto 
Arese  Lucini  diremo  solo  che  era  dottore  collegiato  e  gentiluomo  di 
camera  di  S.  M.  1.  R.  Apostolica,  e  che  i  colleghi  decurioni  lo  avevano 
pochi  dì  innanzi  incaricato  di  coadiuvare  il  conte  P.  Verri  in  quanto 
egli  allora  oprava  "  a  maggior  cauzione  di  questo  publico,  e  dei  ere- 
"  ditori  del  Banco  S.  Ambrogio.  „  Il  Peroni,  Compendio  storico,  t  qui  ti- 


DA   MEMORIE    INEDITE   DI   DON    FRANCESCO   NAVA  III 

e  si  fecero  i  delegati  per  compilare  le  istruzioni,  che  doveano  a 
noi  servire  di  regolamento  (i).  Tutto  fu  fatto  di  comune  concerto 
di  tutti  i  Corpi  insìem  riuniti. 

Moltissime  altre  provvidenze  furon  date  ed  in  quel  giorno  (2) 
e  dopo  di  esso,  che  troppo  lungo  sarebbe  di  qui  riferire,  e  basterà 
solo  Taccennare  che  esse  hanno  prodotto  i  più  buoni  effetti,  e  quello 


quanto  incompleto  nell*  indicare  la  composizione  della  delegazione  de- 
curionale.  A  questa  la  congregazione  municipale  Io  stesso  giorno  9  uni, 
in  base  a  deliberazione  suggerita  al  Consiglio  generale  dal  Nava,  date 
le  circostanze^  due  cittadini  de*  quali  il  Greppi,  op.  cit.,  Il,  p.  340  (ove 
accenna  ad  una  mozione,  respinta  per  timore  d*un  ritorno  degli  impe- 
riali, di  nominare  altrettanti  delegati  non  patrizi,  cioè  6)  dice  di  non 
aver  potuto  conoscere  il  nome.  Ma  questo  è  indicato  in  carte  dell'Ar- 
chivio Civico,  Ordinazioni  Camereita  —  Tribunali  civici ^  da  cui  appare 
che  furono  scelti  i  due  assessori  cittadini  don  Carlo  Bianchi  ed  avvo- 
cato don  Ignazio  Manzi.  Il  Bianchi  era  pure  membro  della  congregazione 
militare  di  Milano,  l'avvocato  Manzi,  che  sedeva  pure  in  quel  Corpo 
civico  ed  abitava  in  contrada  di  S.  Maria  Porta,  era  col  Bianchi  altro 
degli  estimati  cittadini,  costituenti  uno  dei  più  importanti  elementi  della 
Congregazione  Municipale  (v.  più  sopra,  p.  104,  nota  3).  Il  9  stesso,  nella 
seduta  pomeridiana,  una  **  consulta  della  municipalità  «  era  comunicata 
al  Consiglio  generale,  in  cui  si  notificava  la  scelta  dei  due  cittadini.  Pre- 
ceduta dalla  delegazione  più  ristretta  scelta  poi  nel  suo  seno,  secondo 
vedremo,  l'ambasceria  nominata  in  questo  punto  doveva  incontrarsi  coi 
comandanti  francesi  parecchio  prima  che  entrassero  in  Milano,  ma,  nella 
seduta  del  Consiglio  dell'ii  maggio,  il  vicario  —  che,  appena  radunati 
al  mattino  i  decurioni,  aveva  manifestato  il  proposito  di  attendere  a 
partire  con  quella  che  noi  diremo  la  grande  delegazione,  sinché  non 
avesse  notizia  della  piccola  spedita  innanzi  —  comunicò  che  quei  primi 
inviati  avevano  trovato  ostacoli  per  via  e  si  decise  di  non  muoversi  in 
attesa  di  ulteriori  affidamenti.  U  12  maggio  il  Melzi  e  il  Resta  erano  addi- 
rittura ritornati,  ed  annunciavano  che  *  giungerebbe  qui  il  sig.'  gene- 

*  rale  Massena  con  altri  ufficiali  Francesi   per  stabilire   l'andata   della 

*  delegazione.  „  Giunse  infatti  il  Massena,  ma  il  14,  e  per  prender  defi- 
nitivamente il  possesso  della  città,  sicché  la  solenne  ambasceria  non 
ebbe  più  che  da  recarsi  fuori  porta  Romana. 

(i)  Il  consiglio  generale  diede  facoltà  alla  maggiore  delegazione 
di  compilare  •  le  convenienti  istruzioni  „  fAppuntamenti  del  Consiglio 
generale),  verosimilmente  per  sé  e  per  i  primi  due  inviati  al  campo 
francese. 

(2)  Fra  l'altro  si  pregò  l'arcivescovo  a  limitare  all'annuncio  delle 
messe  l'uso  delle  campane,  si  presero  disposizioni  per  dirigere  ronde 
miranti  a  tutelare  la  pubblica  quiete. 


112  l'invasione  francese  in  melano  (1796) 

singolarmente,  che  fu  il  migliore,  di  conservare  nel  pubblico  una 
costante  non  interrotta  tranquillità  in  tutto  il  tempo  intermecBo  fin 
la  partenza  del  Governo  austriaco,  e  1*  arrivo  del  Governo  fraih 
cese  (i).  Non  posso  rammentare  questi  giorni  senza  sentirmi  ri- 
pieno di  tenerezza  e  consolazione  ricordandomi  l'impegno  frmtemo 
veramente  e  cordiale,  col  quale  tutti  gl'individui  de'  Corpi  dvid 
(nessuno  eccettuato)  si  prestarono  e  coll'opera,  e  col  consiglio  a 
servire  la  patria  (2),  ed  immaginandomi  la  docilità  ed  amorevo 
lezza  del  buon  popolo  milanese  (3),  in  cui  rawisavasi  espressa  . 
mente  il  sentimento  di  gratitudine  e  di  riconoscenza.  Quale  e 
quanto  caro  e  dolce  compenso  io  provai  nelle  mie  fatiche  I  Quanto 


(i)  Che,  pur,  nell'imminenza  di  un  avvenire  cosi  gravido  di  oscuri 
eventi,  la  quiete  sia  stata  ininterrottamente  mantenuta,  è  attestato  daDa 
Gazzetta  di  Milano  del  19  maggio  e  dal  Botta,  op.  cit.,  I,  6^  die  con- 
corda col  Peroni,  Compendio  storico,  nel  riconoscere  la  piena  suffidem 
della  magistratura  municipale  a  garantire  l'ordine.  Invece  P.  Veni 
prevedendo,  nella  lettera  al  fratello  del  23  aprile,  i  giorni  d'intecRgiUN 
non  aveva  sperato  i  decurioni,  da  lui  stimati  persone  di  corta  vedotib 
si  apparecchiassero  a  contenere  le  licenze  della  plebaglia  {iMUrnsaM 
inediti,  IV,  p.  200).  Quanto  poi  narra  il  Tivaroni,  op.  cit,  I»  p.  95f  ^ 
schiamazzi  seguiti  tosto  dopo  la  partenza  dell'arciduca,  non  è  confer- 
mato dai  documenti.  Lo  stesso  passaggio  delle  truppe  di  Colli  nella  notte 
dal  9  al  IO  non  diede  origine  al  menomo  spiacevole  evento. 

(2)  Cfr.    Pkktusati,  Rappresentati  za  de  Meneghin   ai  sciur  franus: 

K  el  Consci  di  sessanta  general, 

K  la  Congrcgazion  de  tutt*el  Stat, 

E  i  assessor  de  la  Minizipal, 

Per  consen'a  'el  bon'orden,  e  i  entra 

Della  zittàa,  del  Banc,  di  Possident 

Han  fàa  vita  de  can  :  si  han  fàa  portent 

(3)  È  curioso  come  le  fonti  che  ci  recano  Tcco  del  mondo  dema- 
gogico, quali  il  Tertnometro  politico  ed,  in  una  certa  misura,  il  Botta, 
suffraghino  incondizionatamente  questo  giudizio  d'un  loro  avversario 
politico,  equanime  nel  riconoscere  le  qualità  di  quel  popolo  che  non 
mostrò  certo  più  tardi  molta  gratitudine  al  regime  decurionale  pei  ser- 
vizi resigli  mentre  già  agonizzava.  Il  Becattini,  op,  cit,  Lett  I,  testi- 
monio oculare,  ed  il  Calvi,  Il  castello  visconieo-sforzesco,  p.  431,  che 
cita  l'opinione  di  superstiti  di  quella  generazione  da  lui  conosciuti,  as- 
seriscono che,  pur  stando  quieta,  la  grande  massa  della  popolazione 
rimpiangeva  il  regime  che  stava  per  fìnire.  £  non  può  bastare  il  Bo(^ 
viER,  op.  cit.  per  farci  credere  che  essa  fosse  d'un  tratto  divenuta  fre- 
netica d'entusiasmo  per  gli  attesi  repubblicani. 


DA   MEMORIE    INEDITE    DI   DON    FRANCESCO   NAVA  II3 

leggiero  parvemi  il  peso,  che  mi  stava  indosso,  ogni  qualvolta 
consideravo  che  l'opera  mia  potesse  essere  ed  utile  e  gradita  ! 

In  seguito  alle  nuove  incerte  e  confuse,  che  venivano  ogni 
momento  di  giorno  e  di  notte  intorno  agli  avvenimenti  delle  due 
armate  (i),  fummo  finalmente  assicurati  che  potevasi  liberamente  e 
senza  pericolo  passare  da  Milano  a  Lodi,  dove  trovavasi  il  Quartier 
generale  francese  (2).  A  tale  annunzio  si  dispose  immediatamente 
la  partenza  per  Lodi  di  quattro    delegati  (3),  i  quali  in   nome  del 

(i)  Il  10  maggio,  nella  mattina,  il   Nava   comunicava   ai   decurioni, 

*  le  notizie  ricevute  d'essere  partito  da  Lodi  il  signor  generale  Beaulieu 

*  con  quel  corpo  d'austriaci....,  d'essere  seguito  un  fatto  d'armi  tra  gli 
"  austriaci,  ed  i  francesi  verso  Malico,  e  Pizzighettone  colla  ritirata  dei 

*  primi  nel  Cremonese.  „  Il  vicario  aveva  spedito  informatori  a  Lodi, 
Pavia,  Tre  viglio  "  ed  altrove.  „  L'  11  il  Foscarini,  n.  loi,  scriveva  di 
voci  di  "  nuovi  sanguinosi....  contrasti  „  presso  Lodi  nei  due  giorni 
precedenti  con  reciproche  perdite,  ma  molto  maggiori  per  gli  imperiali- 

(2)  Veramente  degli  sbandati  tedeschi,  inclini  al  ladroneccio,  infe- 
stavano ancora  le  vie.  Lo  provò  l'assalto  di  cui  fu  vittima  la  staffetta 
dei  primi  quattro  delegati,  al  ponte  della  Muzza.  Espressi  giunti  a  Mi- 
lano la  sera  del  io  dicevano  che  i  francesi  erano  apparsi  presso  Mele- 
gnano  (Greppi,  op.  cit.,  II,  p.  343);  ma,  secondo  le  lettere,  maggiormente 
<legne  di  fede,  dei  delegati  al  vicario,  la  comparsa  di  Kilmaine  in  quelle 
campagne  non  avvenne  che  al  mezzogiorno  dell' 11  maggio,  v.  Archivio 
Civico,  Dicasteri  Governo  22.  Quel  medesimo  11  maggio  "  noi  credevamo  „ 
scrive  la  Gazzetta  di  Milano^  **  che  il  generale  francese  colla  sua  truppa 

*  fosse  per  passare  da  Lodi  in  questa  nostra  città,  ma  seppimo  invece 

*  che  di  là  egli  era  partito  per  vedere  di  raggiungere  diversi  distacca- 

*  menti  di  austriaci.  „  E  il  Fantin  des  Odoards,  Histoire  d'Italie^  to.  8«Je^ 
1-  23,  e.  28,  pone  al  12  maggio  l'entrata  dei  francesi  in  Milano.  Ma  i 
delegati,  ben  informati,  scrivevano  il  12  al  vicario,  appena  conobbero 
l'avvicinarsi  dell'avanguardia  repubblicana:    "    per   oggi   non  arrivano 

*  certo  a  Milano.  „ 

(3)  Allorché,  la  mattina  del  9  maggio,  il  Consìglio  generale  ebbe 
scelti  i  sei  suoi  delegati  per  accompagnare  il  vicario  incontro  al  vinci- 
tore, si  ricordò  la  tradizione  *  in  casi  consimili  di  destinare  due  fra  li 

*  suddetti  delegati  che    all'avvicinarsi   del   sig.'  generale   comandante 
si  rechino  anticipatamente  a  concertare   il   giorno,  e   il  luogo  in  cui 

■  ricevere  tutta  la  delegazione.  „  Il  Consiglio  *  rimise  la  scelta  dei  due 
"  delegati  al  corpo  dell'ora  fatta  delegazione  decurionale  con  facoltà  di 

*  spedirli  quando  e  dove  occorrerà.  „  Narrata  così  dai  verbali  del  Con- 
siglio l'origine  di  questa  sorta  di  sotto-commissione,  mal  si  potrebbe 
sostenere  ciò  che  narra  il  Calvi,  //  castello  visconteo-sforzesco^  p.  432: 

I  nominati  poi  vollero  che  i  soli  ultimi  due  eseguissero  l'odiosa  mis- 

Afch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV.  8 


DA   MEMORIE    INEDITE    DI   DON   FRANCESCO   NAVA  II5 

reno  il  giorno  ii  (i),  e  dopo  aver  pranzato  con  un  generale  di  di- 
visione, che  trovavasi   in    Melegnano  (2),    scortati  da   alcuni   dra- 

—  Tribunali  civici,  giacché  dal  verbale  della  seduta  decurionale  dell'i  i 
maggio  risulta  che  essa  era  destinata  ad  esser  presentata  dalla  grande 
delegazione.  Napoleone  scrisse  poi  (Oeuvres  de  Sainte  Hélène,  Cam- 
pagnis  d'Italie,  p.  123)  che  il  Melzi  ed  i  suoi  compagni  eran  venuti  a 
Lodi  prolester  de  leur  soumission  et  implorer  la  clémence  du  vainqueur. 
Il  NoRviNS,  Histoire  de  Napoléon  ler^  3,  p.  150,  chiama  resa  di  Milano  que- 
st'atto che  ne  era  piuttosto  il  preliminare. 

(i)  Molti  errano  nel  fissare  la  data  dell'andata  a  Lodi.  È  certo  che 
il  vicario  non  si  sbaglia  fissandola  all' 11,  perchè  abbiamo  una 
delle  lettere  dei  delegati  di  Melegnano  di  quella  data  ed,  aperta  appena 
la  seduta  del  Consiglio  generale  quello  stesso  giorno  11,  fu  comunicato  che 
Resta  e  Melzi  erano  già  "  spedili  da  più  ore  verso  Lodi.  „  E  la  Gazzetta 
di  Milano  pone  pure  a  quella  mattina  la  partenza  dell'ambasceria.  Ma 
il  BouviER,  op.  cit.,  p.  560,  nota  i,  dopo  aver  pencolato  fra  il  12,  il  13, 
il  14,  si  decide  per  il  13;  così  pure  il  Gaffarel,  Bonaparte  et  les  républi- 
ques  italiennes,  p.  5.  Il  Diario  del  Minola  e  la  Storia  dell'anno  ly^ó  di- 
cono che  la  deputazione  parti  il  12  e  ritornò  il  dì  seguente.  L'Agnelli, 
Lodi  nella  repubblica  cisalpina^  I,  la  fa  giungere  a  Lodi  il  12. 

(2)  Partiti  di  buon  mattino,  i  quattro  delegati  camminavano  prece- 
duti «  da  4  miglia  circa  „  dal  corriere;  quand'ecco  3  miglia  dopo  Me- 
legnano sulla  strada  di  Lodi  lo  videro  tornare  trafelato  e  spaurito,  per 
essere  stato  derubato  da  soldati  tedeschi  sbandati,  che  gli  lasciarono 
però  la  lettera  che  recava  a  Lodi.  I  delegati  alle  io  %  informavano  di 
ciò  il  vicario,  spedivano  "  a  Lodi  per  traversi  „  e  si  fermavano  a  Mele- 
■gaano  fino  a  nuovo  avviso  e  notizie  più  certe.  „  A  mezzogiorno  si  rimet- 
tevano in  cammino  per  Lodi,  ma,  scontratisi  coU'avanguardia  di  Kilmaine, 

•  che  da  Sant'Angelo  tagliava  longo  il  Lambro  p.  raggiongere  un  corpo 
■  tedesco,  „  (I  delegati  da  Melegnano  al  vicario,  17^.  d.  11  maggio)  interrom- 
pevano il  viaggio.  Secondo  il  Greppi,  op.  cit,  II,  p.  343,  distaccamenti  dì 
cavallerìa  francese  eran  comparsi  già  il  io  in  quelle  vicinanze  (il  che  è 
improbabile,  dato  quanto  occorse  il  mattino  dell'i  i  ai  deputati).  I  Me- 
tnoires  de  Massena,  3,  II,  p.  64,  pongono  infatti  in  quei  giorni  a  Sant'An- 
gelo, il  Kilmaine,  che  secondo  il  Gachot,  La  première  campagne  d'Italie, 
p.  142,  si  spinse  sino  a  Cassano,  per  tagliar  la  strada  da  Milano  a 
Cremona.  Per  altro  sembra  (Bouvier,  op.  cit.,  p.  547  ;  Peroni,  Compendio 
Storico)  che  il  12  i  francesi,  già  giunti  in  Melegnano,  abbiano  ripiegato 

*  per  sostenere  l'armata  che  inseguiva  gli  austriaci  „  (Peroni,  op.  cit.). 
n  13  solo  l'avanguardia  di  Massena,  occupato  stabilmente  Melegnano, 
s'incamminava  verso  Milano.  Intanto  Melegnano  vide  rovinare  dalle 
truppe  che  l'attraversavano  la  sua  storica  rocca  (Calvi,  Famiglie  notabili 
*niìanesi,  Medici  di  Marignano,  tav.  13.).  Nella  Corréspondance  inedite 
9fficielle  et  confidentielle  de  Napoléon,  to.  I,  v'è  traccia  di  quel  movimento 


Il6  l'  invasione  francese  in  HILAlfO  (XTS^ 

goni  (i)  se  ne  andarono  a  Lodi  (2),  ed  eseguita  nel  modo  che  fu  poni* 
bile  la  commissione,  della  quale  erano  incaricati  (3),  fecero  rìtXMrno  h 

di  truppe  in  una  lettera  diretta  a  Buonaparte:  Sur  ia  rouit  ^àum 
lieue  de  Melegtiano,  le  22  floréaL  (=11  maggio)  da  Kilmaine.  Ein 
questi  un  irlandese  quasi  cinquantenne,  atto  a  condurre  le  avangnardie 
e  le  negoziazioni,  cavaliere  elegante,  fino  ad  un  certo  punto  un  super- 
stite ^^}Xancien  regime  francese,  "  uomo  ben  nato,  e  dì  C9stuim  assai 
"  cortesi,  ,  scrisse  Pietro  Verri,  Lettere  e  scritti  inediti^  IV,  p.  217,  die 
l'alloggiò  in  casa  sua.  Questo  generale  fine,  intelligente,  accorto»  poeo 
scrupoloso  anche,  si  diceva,  seppe  cattivarsi  i  delegati  che  scrìssero  al 
Nava  mirabilia  degli  ufSciali  francesi.  Sedettero  con  questi  dunque  a 
lauto  pranzo,  allestito  dall'oste  Luigi  Pastore  e  dal  bottigliere  Francesco 
Negri  (vedine  nell'Archivio  Civico,  Dicasteri  Governo  23  Repubblica  frm¥ 
cese,  i  conti,  che  dovette  poi  pagare  la  municipalità).  La  notizia  di  qo» 
st'arrivo  dei  repubblicani  in  Melegnano  giunse  il  giorno  stesso  in  Mi- 
lano, si  che  il  FoscARiNi,  n.  loi,  la  comunicava  al  doge. 

(i)  La  versione  del  vicario  è  la  più  verosimile.  Secondo  il  Griffo 
op.  cit.,  II,  p.  345,  i  soldati  della  scorta  (di  cavallerìa)  erano  nienteoKiio 
che  80  "  sotto  il  comando  d'un  ofiìciale  di  stato  maggiore.  ^  1  deputati 
scrìvevano  alle  5  di  sera  al  vicario,  senza  precisare  :  *  Partiamo  sco^ 
^  tati  da  una  divisione  loro.  ^ 

(2)  11  Diario  del  Minola,  ì'Agnelli,  op.  cit,  I,  e  Napol£Ons  Booair 
PARTE,  Oeuvres  de  Sainfe-Hélène^  Campagnes  d'Italie,  p.  133,  concor- 
dano col  Nava  e  coi  documenti  dell'Archivio  Civico  neiraffermare  che 
la  deputazione  trovò  Buonaparte  a  Lodi.  Ma  la  tradizione  degli 
storici,  e  fin  delle  più  antiche  fonti  (dispacci  del  presidente  veneto  Fosca- 
rini,  non  però  esplicitamente)  è  stranamente  quasi  unanime  nel  dire  che 
r  incontro  avvenne  a  Melegnano  ;  v.  Melzi,  Memorie- Documenti;  Coppi, 
Annali  d'Italia;  Muoni,  Melzo  e  Gorgonzola;  Bokfadiw,  Milano  nei suot 
momenti  s/oricif  II  ;  ed  il  Bouvikk^  op.  cit.,  per  deferenza  al  Melzi,  igno- 
rando forse  quanta  parte  delle  memorie  di  lui  sia  frutto  delle  ricerche 
personali  del  redattore.  11  Iomlni  poi,  Hisioire  critique  et  militaire  dis 
guerres  de  la  révolutionf  li,  X,  57,  dice  che  fu  a  *  MelezuoUo.  « 

(3)  Le  notizie  politiche  del  18  maggio;  il  Greppi,  ,op.  cit,  II,  p.  344; 
CusANi,  Storia  di  Milano,  IV,  p.  345,  narrano  che  Buonaparte  accolse 
bene  i  delegati  :  le  due  ultime  fonti,  il  Bouvier,  op.  cit,  p.  575  e  le 
Memorie- Documenti  del  Melzi,  I,  p,  144,  aggiungono  che  il  Melzi  piacque 
subito  a  Napoleone.  Le  Me f norie- Documenti  ed  il  dispaccio  #1.  joi  del 
FoscARiNi  affermano  che  i  deputati  recarono  a  Lodi  al  vincitore  le 
chiavi  di  Milano.  Ma  a  provare  che  furono  presentate  a  Massena  ba- 
sterebbe il  conto  del  doratore  Galletti,  conservato  nel  nostro  Gvico 
Archivio,  Dicasteri  Governo  2j  —  Republica  francese.  Si  può  rìawici- 
nare  quest'ambasceria  dei  milanesi  a  quella  inviata  il  la  dal  Senato  di 
Bologna  a  scoprire  "  le  intenzioni  del  Buonaparte  ,  v.  Masi,  Francesco 
Albergati,  p.  455. 


DA  MEMORIE   INEDITE   DI    DON    FRANCESCO    NAVA  II7 

notte  a  Milano,  e  vennero  a  smontare  alla  mia  casa  per  riferirmi 
il  risultato  della  loro  missione,  che  lasciò  luogo  a  meditar  seria- 
mente (i).  Affinchè  la  d.^«  Missione  avesse  buon  effetto  pregai  mon- 
signor arcivescovo  di  ordinare  una  pubblica  divozione,  com*  egli 
fece  disponendo  che  in  tutte  le  chiese  della  città  vi  fusse  per  tutto 
il  dopo  pranzo  l'esposizione  del  SS.»"^  Sagramento  e  la  benedizione 
la  sera. 

Intanto  in  quel  giorno  (2)  giunse  in  Milano  un  certo  Salvadori  (3) 
uomo  torbido,  e  diffamato,  e  che  dopo  alcuni  giorni  fu  per  ordine 
del  generale  Despinoy  tradotto  nelle  carceri  come  sospetto  di  aver 
trufatto  (sic)  una  somma  di  20  luigi.  Egli  accompagnato  d*un  giovine 
assai  di  lui  più  imprudente  (4),    al    primo   ingresso    nella  città  (5) 

(i)  li  generale  Buonaparte  avrebbe  promesso  il  rispetto  alla  reli- 
gione, alle  proprietà  ed  alle  persone,  e  la  libertà  al  popolo  di  scegliersi 
ogni  altro  Governo  che  non  fosse  quello  austriaco  (Cusani,  op.  cit..  IV, 
p.  345  ;  Botta,  op.  cit.,  I,  6  ;  Bouvier,  op.  cit.).  Curiosa,  in  tal  bocca,  la 
nota  ottimista  del  Pertusati  : 

E  s'è  sentùu  eh*  hin  vegnùu  via  coment, 

Che  de  Dia  gh'  ban  promiss  salva  la  Legg, 
I  proprietàa,  i  personn,  i  privilegg. 

(Rappresentanza  de  Meneghin  ai  sciur  /ran^es). 

Nella  seduta  del  12,  come  vedremo  più  innanzi,  i  deputati  riferirono  ai 
colleghi  decurioni  quanto  aveano  udito  dal  Buonaparte  e  dal  Saliceti. 
11  verbale  non  dice  pressoché  nulla  di  questa  relazione. 

(2)  11  Casati,  in  una  nota  a  p.  391  delle  Lettere  e  scritti  inediti  del 
Verri,  voi.  IV,  dice  che  ciò  accadde  il  14,  ma  il  manoscritto,  su  cui  si 
basa  il  Casati,  è  smentito  da  altra  testimonianza  in  questo  caso  più  au- 
torevole, il  Termometro  politico^  nella  cui  redazione  ebbe  mano  il  Sal- 
vador, e  dal  Foscarini,  che  lo  dice  giunto  la  sera  dell'ir  (n.  loi). 

(3)  Carlo  Salvador,  secondo  il  Gaffarel,  op.  cit.,  p.  4,  d'origine 
spagnuola,  dopo  vita  raminga  ed  avventurosa,  tornava  qui,  ovverà 
nato,  colla  triste  fama  d'aver  servito  i  terroristi  come  falso  testimonio, 
ritenuto  ora  segretario  di  Saliceti  (Foscarini).  Il  Coraccini,  Storia  del- 
^amministrazione  del  Regno  d'Italia^  p.  CXXIV,  lo  dice  democratico 
esiziale  al  suo  partito  ed  il  Bonfadini,  op.  cit.,  II,  p.  314,  ce  lo  mostra 
ricattatore  degli  esuli  durante  i  13  mesi  in  cui  gli  austriaci  riebbero 
Milano. 

(4)  Secondo  il  Peroni,  Compendio  Storico,  era  il  Barelle,  che  ri- 
troveremo. 

(5)  "  Marciando  in  una  carrozza  aperta  „  soggiunge  l'autore  del 
libro  /  Francesi  in  Lombardia/  un  "  calesse  „  dice  il  Vasalli,  De  bello 
Insubrico,  citato  dal  Casati;  "  ona  sedia  de  viagg  „  il  Pertusati. 


1 18  l'  invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

incominciò  a  spiegare  il  carattere  di  apostolo  della  libertà  e  dèDa 
eguaglianza,  e  girò  per  varie  contrade  (i)  come  un  fanatico  eoch 
tando  il  popolo  a  sollevarsi,  a  prender  rarmi,  ed  a  recarsi  in  musa 
a  dare  l'assalto  al  Castello  (2).  Ad  ottenere  meglio  il  contemidtto 
intento  di  infondere  nel  popolo  quella  energia,  di  cui  egli  prefi- 
cava  la  necessità,  sparse  varie  coccarde  invitando  tutti  a  portarle  (3^ 
La  sera  poi  un  prete  Corso  (4),  di  cui  non  ricordomi  il  nome^ 
piantò  l'albero  della  libertà  fuori  di  P.  R.  in  vicinanza  al  dazio, 
e  fece  un'unione  di  gente  per  festeggiarne  l'impianto  (5).  Non  era 
ancora  prestato  l'omaggio  alla  superiorità  francese,  e  continuava 
nella  sua  attività  la  Giunta   eretta  dal  Governo  austrìacO|  ed  era 

(i)  Andò  fra  l'altro  alla  casa  sua  patema  e,  sfidando  il  pencolo 
che  sussisteva  per  la  permanenza  degli  imperiali  nella  cittadella,  vi  ri- 
mase a  dormire. 

(a)  Volevasi  rinnovare  **  l'esempio  della  Bastiglia  di  Parigi,  »  {Ttr- 
mometro  politico,  principj  della  rivohtziont  lombarda^  ove  si  accusano 
gli  aristocratici  di  averne  dissuaso  il  popolo).  11  Db  Castro,  op.  dt. 
p.  66;  il  BouviER,  op.  cit.;  il  Pingaud,  L* Italie  in  Histoire  generale.  Vili, 
p«  7^f  dicono  anzi  tentato,  e  respinto  dagli  austrìaci,  l'assalto  al  ca- 
stello. Ma  questo  solo  ci  consta,  che  V  11  il  vicario  rìfeii  ai  decurioni 
come,  lagnandosi  (come  già  il  giorno  precedente)  il  comandante  del  ca* 
stello  di  un  affollamento  sulla  piazza  del  castello,  alcuni  decurioni  si 
recarono  a  sperdere  quei  radunati.  Fu  pure  pubblicato  un  editto  diffi- 
daiorio  e  replicato  il  giorno  13,  che  il  comandante  minacciava  di  far 
fucilare  quella  gente. 

(3)  Becattini,  Storia  del  memorabile  triennale  governo^  lett  1.'; 
P.  Verri,  Lettera  ad  Alessandro  del  14  maggio,  il  Termometro  politico 
{Principj  della  rivoluzione  lombarda  e  Disposizione  del  popolo  miianebé  a 
rigenerarsi  calcolata)  concordano  nel  riconoscere  che  V  invito,  sponta- 
neamente o  per  timore,  fu  da  quasi  tutti  accolto. 

(4)  Forse  era  queir  "  Abb.*  Vivarelli  molto  qui  conosciuto  per  uonao 
"  di  torbido  e  inquieto  genio  „  che  il  Foscarini  scrive  esser  stato  il  primo 
a  dirigere  il  club  nascente.  Già  nel  1792  il  Governo  s'informava  dei 
contegno  dei  preti  còrsi.  (Il  conte  Litta  al  R.  cancelliere  Gallarati 
15  dicembre  1792,.  in  Archivio  Civico,  Dicasteri  Governo  22),  Ma  il  Mah- 
TOVANi^  Diario  politico  ecclesiastico,  t.  I,  narra  che  anche  quelli  che  poi 
più  si  agitavano  pei  francesi,  seppero  fingere  ed  evitare  lo  sfratto  loro 
minacciato. 

(5)  Anche  il  Peroni,  Compendio  Storico,  dice  che  questo  primo  albero 
fu  piantato  il  giorno  11.  Il  Casati  invece,  in  una  nota  a  Verri,  Ldtert 
e  scritti  inediti  IV,  p.  396,  asserisce  che  il  prete  còrso  lo  piantò  *  qmw 
^  sul  limitare  del  dazio..,,  colle  proprie  mani  „,  ma  il  14. 


J 


DA    MEMORIE    INEDITE    DI    DON    FRANCESCO    NAVA  II9 

ben  anche  a  temersi  qualche  sopravento  per  parte  del  Castello  (i). 
Tutti  riflessi,  che  tennero  in  non  poca  agitazione  il  Consiglio  ge- 
nerale, il  quale  però  prudenzialmente  determinò  di  mostrare  l'igno- 
ranza di  d.^'  fatti  (2),  e  sicuro  della  fermezza  del  suo  popolo,  il 
quale  non  lasciossi  sedurre  da  cotesti  inviti  contrarj  al  buon  ordine 
ed  alla  tranquillità  (3),  appigliossi  al  partito  di  non  farne  alcun  caso 
a  risparmio  di  guai  maggiori.  Siccome  però  nella  numerosa  popo- 
lazione vi  eran  purtroppo  quei,  che  da  molto  tempo  andavan  mac 
chinando  grandi  imprese  (4),  ed  aspettavano  il  momento   della  mu- 

(i)  Era  questa  anche  l'opinione  del  Becattini,  op.  cit  lett.  2.*,  che 
pertanto  molto  si  meravigliò  dell'audacia  del  Salvadori.  11  Termometro 
politico,  principj  della  rivoluzione  lombarda^  dice  fu  solo  la  consapevo- 
lezza di  tal  pericolo  che  trattenne  il  popolo  dal  por  le  mani  sull'Arci- 
duca fuggente, 

(2)  Vedemmo  che  il  narratore  dei  Principj  della  rivoluzione  lom» 
barda  accusò  nondimeno  i  decurioni  di  aver  intralciato  le  mene  della 
pane  francese.  Secondo  la  testimonianza  del  Foscarini,  che,  per  quanto 
sappiamo,  è  però  affatto  isolata,  il  Salvadori,  lungi  dal  rimanere  ufficial- 
mente ignorato  dai  corpi  civici  reggenti  la  città,  venne  **  alla  sala  del  Con- 

■  sigilo  della  città  ove,  previo  dovuto  avviso,  introdotto  enunziò  il  pros- 

■  simo  arrivo  de*  Francesi,  assicurò  eh*  essi   non   venivano   che  come 

•  amici  e  fratelli  e  che   avrebbero  esattamente  rispettata  la  religione, 

•  e  le  proprietà,  ed  ha  particolarmente  applaudito  alla  instituzione  della 

•  milizia  urbana  per  la  quiete,   e  buon  ordine   della  città.  Si  ebbe   in 

•  cortesi  modi  aggiustata  risposta,  e  nel  sortir  dal  palazzo   replicò  ad 

•  alta  voce,  che  venivano  li  francesi  come  soltanto   amici,  e  fratelli,  e 

•  ne  ritrasse  le  più  vive  acclamazioni.  » 

(3)  Infatti  il  CusANi,  op.  cit,  IV,  p.  330,  n.  3,  distrugge  l'afferma- 
zione di  F.  Melzi,  Memorie  Documenti i  che  il  popolo  abbia  abbruciato 
allora  un  fantoccio  rappresentante  l'Arciduca.  Pur  conoscendo  la  smen- 
tita del  Cusani,  il  Bouvier,  op.  cit.,  ripete  e  colorisce  la  fiaba.  Del  re- 
sto sembra  che  anche  parecchi  di  quelli  che  schiamazzarono  non  lo  ab- 
biano fatto  che  perchè  pagati  appositamente  ;  v.  /  Francesi  in  Lombardia, 
I  più  acuti  dei  francesi  conoscevano  il  piccolo  numero  dei  loro  fautori 
in  Milano.  Il  Saliceli,  in  un  rapporto  al  Direttorio  intorno  ai  moti  che 
culminarono  a  Pavia,  riportato  dal  Becattini,  op.  cit,  lett.  2.*,  ebbe  a 
scrivere  dei  lombardi:  "  tolta  la  vigesima  parte   appena,   sono  troppo 

•  tutti  affezionati  all'antico  governo.  „ 

(4)  Che  parecchi  fossero  i  rivoluzionari  in  Milano  negli  ultimi  anni 
del  governo  austriaco,  ed  organizzati,  è  sufficientemente  dimostrato  dal 
CusANi,  op  cit  iV,  p.  325.  Tenevano  le  loro  congreghe  segrete  o  in  casa 
Sopransi  od  anche  in  un  granaio  dell'Ospitale  (Becattini,  op.  cit.,  lett.  i.*  e 
2.»;  F.  Melzi,  Memorie-Documenti^  I,  p.  141).  Il  Calvi,  //  Castello  visconteo* 


I30  l'  INVASIONK    FRANCESE    IN    MILANO   (1796) 

tazione  di  dominio  per  tentare  il  cangiamento  della  lor  sorte,  in- 
cominciarono ad  unirsi  in  forma  di  Club,  o  di  Società  popo- 
lare (i),  e  colla  scorta  del  summenzionato  Salvadori  andaron 
disponendo  i  mezzi  per  acquistare  una  positiva  consistenza  (2). 
Ahi,  quanto  aspra  e  crudel  piaga  mi  si  è  fatta  nel  cuore  in  vedendo 

sforzesco^  p.  430,  crede  che  il  malcontento  di  quella  vivace  minoranza 
fosse  suscitato  anche  dalla  *  reazione  leopoldina.  ,  Speranze  d*  un  rin- 
novamento democratico,  poco  attaccamento  agli  austriaci,  desiderio  di 
cambiamenti,  in  cui,  oltre  il  resto,  poteano  i  meno  fortunati  trovar  modo 
di  migliorar  le  loro  sorti,  tutti  questi  elementi  avevano  creato  in  taluni 
spiriti  un  moto  d'attrazione  vèrso  la  Francia  e  le  nuove  forme  di  vita 
che  ormai  vi  prevalevano.  V.  Mémoires  du  duc  de  Raguse,  to.  I,  lib.  Il, 
p.  177.  Sembra  che  lo  Stendhal,  Vie  de  Napoléon,  VII,  abbia  esagerato 
l'attitudine  indipendente  ed  anti-austriaca  delle  alte  classi;  ma  certo  pa- 
trizi, quali  Francesco  Visconti,  incessantemente  cospiravano  (Litta,  Fa- 
ntiglie  celebri iiaiianef  voU  XV,  Visconti  di  Milano,  tav.  IX).  L'additare, 
qual  centro  di  reclutamento  di  quelli  che  poi  primeggiarono  durante 
la  repubblica,  le  loggie  massoniche  (Cantù,  Storia  degli  italiani,  to.  VI, 
1.  XVI,  e.  176,  p.  318)  è  suffragato  da  quanto  narra  la  pressoché  con- 
temporanea Guida  di  Milano  antico  e  moderno^  della  loggia  che  teneva 
da  tempo  le  sue  scerete  riunioni  nel  vicolo  Pusterla.  Con  tutto  ciò  cre- 
diamo giusta  la  conclusione  a  cui  giunge  l'esatto  e  recente  storico  in- 
glese Fyffe,  a  history  of  modem  Europe,  p.  3i,  che  cioè  l'elemento  rivo- 
luzionario locale  preesistente  all'invasione  francese  era  ben  poco. 

(i)  Invero  la  Storia  dell'anno  1796,  non  sappiamo  se   per   ironia  0 
per  prudenza,  scrive,  dei  membri   fondatori   del  Club,   che    *  sebbene 

*  persone  forse  di  sommo  merito,  aveano  la  disgrazia   di   non  godere 

*  nella  loro  patria  tutto  il  buon  concetto  e  la  più  illibata  reputazione.  „ 

*  Certa  gent  „  dicea  senza  ambagi  il  Pertusati,  Rappresentanza  de  Me- 
neghin  ai  sciur  frames,   "  che  pesg  d'insci  —  l'istess   dianzen  no'l  pò- 

*  deva  unilla.  „ 

(2)  Anzitutto  inviarono,  prevenendo,  secondo  il  Peroni,  Compendio 
storico^  quella  del  Consiglio  generale,  una  deputazione  a  Buonaparte, 
mostrandoglisi  devoti  ed  eccitandolo,  se  non  a  permettere,  come  assi- 
cura il  Becattini,  op.  cit,  lett  2.',  e  non  sarebbe  stato  del  resto  che  con- 
forme alla  tradizione  rivoluzionaria,  che  essi  massacrassero  *  tutti  i  più 

*  facoltosi  e  distinti  nobili  milanesi  „  (al  che  Buonaparte  si  sarebbe  ri- 
fiutato), a  distruggere  per  lo  meno  il  regime  decurionale  e  pome  in 
carcere  i  maggiorenti  (Becattini,  loc.  cit.  ;  Bouvier,  op.  cit).  Il  Bouvier, 
che  crede  questa  ambasceria  democratica  sia  giunta  dopo  la  rivale  dei 
corpi  civici  e  la  pone  in  rapporto  con  Saliceti,  indica  come  componenti: 
Salvador,  Porro  e  Rasori.  V.  pure  Principi  della  rivoluzione  lombarda, 
ove  si  parla  degli  affidamenti  che  ottennero  questi  sedicenti  soli  veri 
rappresentanti  del  popolo. 


DA   MEMORIE    INEDITE   DI   DON    FRANCESCO   NAVA  121 

i  principj  della  rovina  dello  Stato  !  Questi  eran  semi  fatali,  che  ben 
presto  avrebbero  germogliato  fiori  e  frutti  venefici,  e  distruggitori 
dell'ordine  e  della  tranquillità  !  L'unica  speranza,  che  rimaner  po- 
teva a  conforto  era  quella,  che  all'arrivo  della  superiorità  francese 
sarebbero  in  breve  estinti,  giacché  sape  vasi,  che  la  suprema  auto- 
rità di  Parigi  avea  da  qualche  tempo  distrutti  e  proibiti  tutti  i 
Qub  di  qualunque  sorta  essi  fussero.  Ma  questa  stessa  speranza 
andò  molto  fallita,  ed  ebbe  soltanto  eifetto,  quando  il  Club  avea 
già  fatto  gran  male,  come  si  vedrà  in  appresso  (i). 

Per  tornare  ora  in  carriera  dopo  la  digressione,  che  non  ho 
potuto  a  meno  di  fare  debbo  ricordare  un  avvenimento  seguito  il 
giorno  12,  che  merita  d'essere  specialm.*«  menzionato.  Stavamo 
tutti  in  Broletto  uniti  e  per  considerare  con  attenzione  le  risposte 
che  i  delegati  tornati  da  Lodi  ebbero  dal  generale  e  dal  commis- 
sario (2),  e  per  dar  passo  ai  tanti  aifari,  che  rimanevano  a  spe- 
dirsi premurosamente  e  per  sentire  alcune  risposte  di  varj  messi 
qua  e  là  inviati.  Erano  benanche  in  Broletto  i  delegati  di  altri 
corpi  (3),  i  quali  aspettavano  di  partire  con  noi  per  Melegnano, 
ogni  qualvolta  fusse  giunto  l'avviso,  che  il  generale  colà  aspettasse 
le  varie  Delegazioni  per  riceverne  gli  opiaggi.  Quando  d'improv- 
viso viene  un'ordinanza  spedita  dal  sovraintend.^  generale  della  Mi- 
lizia urbana  duca   Serbelloni  (4)  colla   nuova,   che   i    tedeschi    si 

(i)  Fu  fatto  chiudere  il  23  maggio  dal  general  Despinoy. 

(2)  Riferirono  intorno   al   "  discorso...   avuto   con   li   ss."  -commis- 

•  sano  Saliceti^  e  supremo  comandante,  generale  Buonaparte  francesi 

•  sopra  gli  oggetti  interessanti  questa  città,  e  la  delegazione   del  Cou- 

•  siglio  generale.  „  {Appuntamenti  del  Consiglio  generale,  12  maggio). 

(3)  Il  Manzi  ed  il  Bianchi,  probabilmente,  nominati,  per  rappre- 
sentarla nella  deputazione,  dalla  Congregazione  municipale,  e  fors'anche 
i  delegati  dei  tribunali,  dei  collegi,  ecc. 

(4)  Il  duca  Giovanni  Galeazzo  Serbelloni,  nato  nel  1744  dal  duca 
Gabrio  e  dalla  duchessa  Maria  Vittoria  nata  Ottoboni,  allievo  del  Parini 
e  di  Pier  Domenico  Soresi,  grande  di  Spagna,  decurione  dal  1777,  gen- 
tiluomo di  camera  di  S.  M.  I.  R.  A.,  ciambellano  della  medesima 
Maestà,  sovrintendente  generale  della  milizia  urbana,  era  nel  1796  altro 
dei  ■  componenti  l'esecuzione  del  R.  dispaccio  20  gennaio  1791  „  e  dei 

•  delegati  sopra  le  pubbliche  occorrenze.  „  Prefetto  della  Confraternita 
di  S.  Giovanni  decollato,  s'era  segnalato  nel  1775  con  vane  generose 
profferte  al  sacrilego  Sala  per  vedere  di  indurlo  a  penitenza  prima 
dell'estremo  supplizio.  Secondo  il  Bouvier,  op.  cit.,  p.  574,  il  Serbelloni 


122  l'invasione    FRANCESE    IN    MILANO   (1796) 

avvanzavano  da  Cassano  verso  Gorgonzola,  e  Milano,  e  che  fra 
poche  ore  sarebbe  sopraggiunto  un  corpo  di  cavallerìa  (i).  Dopo 
quest'avviso  ne  vennero  altri  molti  tutti  per  la  stessa  parte  sino  a 
far  credere  che  la  colonna  d'austriaci  fussesi  avvanzata  di  qua  di 
Crescenzago.  In  appresso  giunse  lo  stesso  sovraintend.*  generale 
tutto  smanioso  ed    ansante,  e    buttando  il    baston  di   comando  sul 


era  a  quest'epoca  mescolato  a  tutte  le  mene  della  parte  francese  più 
accesa,  ed  il  medesimo  Bouvier  a  ragione  fa  notare  come  nondimeno  il 
Consiglio  generale  gli  affidasse  numerosi  incarichi.  V*  è  traccia  d*  un 
discorso  tenuto  dal  Serbelloni  il  7  maggio  nella  seduta  della  Congre- 
gazione militare.  Una  delegazione  più  ristretta,  cui  la  Congregazione 
aveva  deferito  molti  poteri,  si  adunava  in  casa  del  duca.  Era  questi 
invero  molto  largo  neiroffrire  l'uso  dei  suoi  palazzi.  (Egli  è  registrato 
nel  Calendario  ad  uso  del  Foro..,,  pel  fjpó  come  abitante  in  *  strada  di 
"  S.  Damiano,  659  „).  Secondo  un'  inverosimile  notizia  del  Muoni,  Melzo 
e  (gorgonzola,  p.  25,  Buonaparte  avrebbe  abitato  in  casa  Serbelloui  a 
Gorgonzola  prima  d'entrare  in  Milano.  Quivi  fu  certo  ospite  del  duca, 
non  però  così  tosto  come  si  volle  da  alcuni.  Il  Serbelloni  fu  fra  i  digni- 
tari che  recaronsi  il  14  incontro  a  Massena.  II  Verri,  Storia  delf  inva- 
sione dei  francesi  repubblicani  in  Lettere  e  scritti  inediti,  p.  408,  dice 
senz'altro  il  Serbelloni  "  uomo  assolutamente  nullo.  „  11  Bouvier,  op.  cit, 
p.  615,  senza  negare  che  fosse  spirito  di  poca  ampiezza,  vano  ed  am- 
biziosetto,  ne  tenta  una  calorosa  riabilitazione,  basata  sul  suo  disinte- 
resse, sulla  sua  bontà  di  cuore  e  sulla  nobiltà  dei  suoi  ideali  democra- 
tici che  non  crediamo  però  giungessero  sino  ad  intravvedere  t  indipen- 
dance  et  la  rèsurrection  de  tltalie.  Vedremo  più  innanzi  l'opinione  che 
avea  di  lui  il  Nava. 

(i)  Ecco   ciò  che    ne  dicono   due   buone   testimonianze   sincrone: 

*  Quando  all'  improvviso  verso  mezzogiorno  successe  un  falso  allarme 

*  che  messe  in  scompiglio  tutta  la  città,  si  chiusero  le  porte  delle  case 
"  e  le  botteghe,  fuggendo  per  ogni  dove  i  cittadini.  Questo  fu  sul  falso  an- 

*  nuncio  che  arrivassero  ottomila  croati  dalla  parte  di  Pioltello  ,  ;  (Pe- 
roni, Compendio  Storico).  **  Ciocché  sembrò  accreditare  questa  voce  fu  lo 
**  scompiglio  di  tutti  gli    abitanti   delle    circonvicine   campagne   che  coi 

•  loro  cavalli,  e  carri,  carichi  dei  loro  migliori  effetti,  venivano  a  rifu- 
"  giarsi  in  città  per  evitare  il  furore  di  un  numeroso  distaccamento  come 
**  essi  dicevano  di  questi  feroci  soldati,  che  mettevano  tutto  a  ferro  e 
■  fuoco.  Veramente  questo  distaccamento  non  si  poteva  supporre  sortito 

•  dal  castello,  ma  bensì  proveniente  dall'armata  fuggitiva  e  da  lei  tagliato 

•  fuori  „  ;  {Gazzetta  di  Milano,  19  maggio^.  Un  avviso  emanato  il  3  giugno 
seguente  in  nome  della  nuova  municipalità  accusa  i  decurioni  d'aver 
fatto  spargere  ad  arte  quelle  voci.  {Raccolta  degli  ordini  ed  avvisi).  I 
decurioni  si  sarebbero  valsi  all'uopo  di  ufficiali  della  milizia  urbana  I 


DA    MEMORIE    INEDITE   DI    DON   FRANCESCO    NAVA  I23 

tavolo  fece  un  discorso,  dal  quale  parca  doversi  inferire  eh'  era 
mestieri  di  far  armare  tutta  la  milizia  ed  obbligarla  a  mettersi  in 
istato  di  difesa.  Non  si  potè  a  meno  di  riflettere  che  la  città  non 
s'è  mai  imbarazzata  delle  vicende  della  guerra  sussistente  fra  le 
potenze  belligeranti,  e  che  non  sarebbe  mai  convenuto  di  recedere 
da  questo  troppo  savio  partito  (i). 

La  milizia  poi  è  fatta  pel  semplice  scopo  di  mantenere  l'interna 
tranquillità,  mai  per  esporsi  a  sostenere  il  fuoco  colle  truppe  di 
linea  (2).  Il  solo  dubbio  di  fatti  in  quel  momento  avea  portato, 
che  varj  picchetti  deposero  le  armi,  e  ricusarono  di  rimanere  in 
servizio,  e  ci  volle  assai  per   persuaderli   a   riprenderlo  (3).    D'al- 


(i)  Il  BouvY,  Le  comte  Pietro  Verri,  p.  250,  difende  infatti,  contro 
le  censure  del  Quinet,  che  vi  vede  una  prova  di  abbassamento  morale, 
quest'attitudine  dei  milanesi,  posti  fra  il  castello  imminente  ed  i  fran- 
cesi che  si  avanzavano.  Noi  crediamo  che  i  capi  del  governo  munici- 
pale vi  fossero  indotti,  piuttosto  che  da  timore,  dalla  tendenza  a  se- 
guire le  patrie  consuetudini  e  da  una  specie  di  casuistica  legittimista,  che 
aveva  pure  la  sua  ragion  d'essere  ;  e  secondo  la  quale  le  formalità 
simboliche,  quali  per  esempio,  la  consegna  delle  chiavi,  scioglievano 
solo  dall'obbligo  di  sudditanza  ad  un  precedente  Governo.  Secondo  il 
Bertolini,  Conferenze  di  storia  nti/anese,  p.  526,  "  V  inazione  del  po- 
•  polo  aprì  la  via  al  fanatismo  demagogico.  „  Ed  ha  qualche  valore  l'os- 
servazione del  loMiNi,  Hisioire  critique  et  militaire  des  guerres  de  la 
revolution,  to.  II,  1.  io,  e.  57  :  La  guerre  de  la  revolution  n'itait  pas  une 
des  guerres  de  souverain  à  souverain,  dans  les  quelles  on  se  dispute  seu- 
letnent  pour  un  arrondissement  ou  une  démarcation  de  frontière^  et  oii  les 
Piuples  sont  étrangers  aux  résultats, 

(2)  Infatti,  da  un  lato,  la  Congregazione  militare  nella  sua  adu* 
nanza  del  7  maggio,  v.  Archivio  Civico,  Milizia  urbana,  prow,  gener. 
materie  661,  credette  di  poter  chiedere  alla  conferenza  governativa 
di  procurarle,  contro  •  il  dovuto  pronto  pagamento,  la  provvista 
'  dai  magazzini  militari  della  limitata  quantità  di  polvere  d'archibugio 
■  che  il  sig/  soprintend.e  gnle  crederà  necessario.  „  D'altro  lato  poi 
sembra  che  l'erezione  della  milizia  urbana  avesse  *  insospettito  i  fran- 
cesi, j,  V.  Peroni,  Compendio  Storico;  e  nell'  "umilissima  supplica  della 
città  di  Milano  al  supremo  comandante  dell'armata  francese  „  redatta 
fu  maggio  in  nome  del  Consiglio  generale,  s'inserì  l'assicurazione  che 
I.i  milizia  non  era  stata  organizzata  che  per  mantenere  il  buon  ordine 
interno.  Del  resto  ciò  si  era  già  annunciato  nell'  invito  ai  cittadini  a 
notificarsi,  datato  dal  Palazzo  Civico  il  9  maggio. 

(3)  Probabilmente  a  ciò  si  riferiscono  le  Memorie- Documenti  del 
Melzi,  1,  p.  143,  r.  lo-ii. 


124  l'  invasione   francese    in    MILANO  (1796) 

tronde  sotto  quel  momento  sarebbe  stato  un  delitto  di  ribellione  a 
far  fuoco  sui  tedeschi,  perchè  non  era  ancora  sciolto  il  vincolo  del 
giuramento,  che  ci  obbligava  verso  Timperadore.  Mentre  si  stava 
discorrendo  su  queste  notizie  si  solleva  un  rumor  generale  per 
tutta  la  città,  e  corre  la  voce  che  il  castello  abbia  fatta  una  sortita 
di  croati,  che  andavano  già  girando  intomo  armati  a  portarvi  il 
terrore  (i).  Fuggon  tutti,  e  si  chiudono  in  casa,  e  mi  trovo  anch'io 
obbligato  a  far  chiudere  le  porte  del  Broletto,  dove  eravamo  rac- 
colti in  buon  numero  ad  aspettare  quale  potesse  essere  il  nostro 
destino.  Quai  momenti  furon  mai  questi  e  per  noi,  e  per  tutta  la 
città!  Piacque  però  al  Signore  di  liberarci  presto  da  questo  stato 
di  agitazione,  e  vennimo  a  sapere,  che  tutte  le  notizie  divulga- 
tesi erano  insussistenti,   e  senza  fondamento  (2).  M'  affrettai   a  re- 

(i)  La  sola  Gazzetta  di  Milano  del  19  maggio  tratta  la  sortita  dei 
croati  come  semplice  •  voce,  „  quale  la  mostra  il  silenzio  di  tutti  i  do- 
cumenti d'Archivio.  Il  Cubani,  op.  cit.,  IV,  p.  351  ;  il  Calvi,  //  castello 
visconteosforzesco,  p.  433  (ove  è  per  altro  citato  il  Cusani) ;  il  De  Ca- 
stro, Milano  e  la  repubblica  cisalpina^  p.  66;  il  Bouvier,  Bonaparte  en 
Italie,  narrano  tutti  quanti  che  una  pattuglia  di  croati  sparse  il  terrore 
percorrendo  la  città.  L'origine  sospetta  di  questa  liaba  è  probabilmente 
il  numero  del  7  messidoro,  anno  4.',  del  Termometro  politico,  principj 
della  rivoluzione  lombarda, 

(2)  *  Dopo  però  aver  prese  le  dovute  informazioni,  si  riconobbe 
^  che  il  distaccamento   predetto   consisteva    in  soli  5  uomini   sbandati 

*  che  avevano  dififatti  commesse  in  alcun  luogo  delle  gravi  insolenze: 

*  ma  essi  furono  anche  indi  a  poco  arrestati,  e  cosi  videsi  in  ogni  parte 
"  ristabilita  la  prima  tranquillità  „  ;  Gazzetta  di  Milano  del  19  maggio. 

*  Tale  allarme  nacque  da  alcuni  pochi  croati  sbandati  li   quali   entrati 

*  da  Porta  Orientale  avevano  p.  la  fame  rubbato  alcune  cose  mangia- 
"  tive  ad  un  pizzicagnolo  ,  ;  Peroni,  Compendio  Storico  :  "  Sono  da  di- 

*  sertori,  malviventi  e  da  partite  di  soldati  erranti  de'  corpi  vinti  infe- 

*  state  le  strade  all'intorno,  e  furono  ieri  svaligiate  e  spogliate  le  due  staf- 
**  fette  ordinarie  per  Torino  e  Ginevra,  oltre  una  serie  infìnita  di  guasti,  e 

*  danni  nelle  campagne,  e  nelle  case  de'  poveri  villici  ,  ;  Foscarini, 
II  maggio,  n.  loi.  A  queste  testimonianze  fededegne  intomo  ai  fatti 
che  originarono  il  panico,  non  sarà  inutile,  a  chiarire  i  provvedimenti 
presi  per  sedarlo,  porre  accanto  questo  conto  esistente  nell'Archivio 
Civico^  Milizia  urbana, prow.  gener.  materie  661:  •  Specifica  dello  speso 

*  dall'aiutante  di  campo  al  quartiere  di  S.  Barbara  in  Porta  Nuova  p.  ser- 

*  vizio  della  milizia  urbana  :  12  maggio  per  una  cobia  cavaUi  servita 
**  per  andare  all'  istante  del  Tumulto  a  verificare  se  ne'  contomi  di  Lam- 

*  brate,  Pioltello  e  Vignale  i  croati  saccheggiavono  le  robe  di  que'  abi- 
■  tanti,  com'era  stato  vociferato  e  fatto  rapporto  L.  20.  , 


DA   MEMORIE    INEDITE    DI    DON   FRANCESCO    NAVA  I25 

carmi  a  casa  passando  per  le  contrade  più  frequentate  a  piedi, 
onde  gli  abitanti  vedendomi  passeggiar  franco  per  la  città  depo- 
nessero ogni  idea  di  timore,  e  fu  opportuno  il  pensiero.  Arrivato 
a  casa  trovai,  che  l'agitazione  ivi  pure  era  stata  assai  grande,  e  la 
sorella,  ch'era  sul  termine  della  gravidanza,  ne  avea  sofferto,  e 
stava  ritirata.  Quante  vicende,  oh  Dio  I  e  quanto  variate  in  così 
poco  tempo  !  Non  mi  era  possibile  di  trattenermi  molto  in  casa, 
perchè  gli  affari  mi  richiamarono  ben  presto  alla  residenza  (i). 
Ivi  continuamente  venivano  ricorsi,  e  si  presentavano  Delegazioni 
spedite  da  diversi  borghi  e  comunità  della  provincia  (2),  e  dalle 
città  medesime  dello  Stato  per  rappresentare  l'urgenza  di  varj  prov- 
vedimenti, alcuni  dei  quali  si  davan  sul  campo,  ed  altri  dietro  il 
parere  de'  rispettivi  Congressi  stabiliti  a  questo  fine  espressamente. 
La  maggior  parte  delle  domande  era  diretta  ad  ottenere  sussidj  di 
viveri,  e  di  danaro,  senza  cui  non  poteasi  soddisfare  alle  immense 
requisizioni,  che  venivan  fatte  giornalmente  dall'armata.  La  città  di 
Lodi  fu  ridotta  ad  un  assai  brutto  partito,  dopocchè  obbligata  sotto 
la  sua  responsabilità  a  fornire  entro  24  ore  8o|m  porzioni  di  pane 
non  avea  mezzi  di  riunirlo,  e  mancava  non  solo  delle  farine,  ma 
ben  anche  dei  forni  per  cuocere  il  pane  (3).  Vennero  perciò  di  là 
spediti  i  delegati  a  chieder  soccorso  (4)  e  siccome  s'eran  già  prov- 

(i)  Il  Pertusati,  Rappresentanza  de  Meneghin  ai  sciur  frames,  de- 
dica una  strofa  a  questa  continua  operosità  che  era  imposta  al  Nava 
dagli  eventi  : 

L*è  vera  che  el  vicari  in  quj  poch  di, 
E  ghe  voreva  on*  omm  de  quella  sort, 
L'  ha  fàa  della  peli  strìnga,  e  se  po'  di, 
Che  Te  un  miracquel  come  no'  1  sia  mort  ; 
Lu  in  Brovett  noce*  e  di,  lu  al  tavolon, 
Lù  in  consei,  lù  a  scrìw  letter,  lù  in  session. 

(2)  È  appunto  del  12  un  avviso  del  vicario  e  della  Congregazione 
dello  Stato,  abilitante  le  comunità  a  soddisfare  le  richieste  dei  militari 
francesi,  promettendo  compensarle,  alla  presentazione  delle  relative 
quitanze. 

(3)  11  13  I^  municipalità  di  Lodi  si  dichiarò  impotente  a  soddisfare 
tutte  le  requisizioni,  non  riescendo  essa  a  fornire  più  di  10.000  razioni 
di  pane  e  1000  di  vino  quotidiane.  V.  Bouvier,  op.  cit,  p.  357,  n.  3. 

(4)  Gli  appuntamenti  del  consiglio  generale  non  menzionano  altri 
delegati  venuti  in  quei  giorni  da  Lodi  che  i  "  due  commissari  militari 
dell*  armata  francese,  „  venuti  il  12  per  concertare  1'  alloggio  di  Buo- 
naparte. 


126  l'invasione  francese  in  mii^no  (1796) 

visti  abbondantemente  i  prestini  di  Milano  sul  dubbio  che  l'annata 
s'avvanzasse  molto  prima  (i),  fummo  in  grado  di  accordarlo,  e  u 
spedirono  tre  barche  cariche  dì  pane  con  quattro  cavalli  di  posta 
per  ciascuna  (z).  Da  questi  delegati  potemmo  essere  informati  del 
contegno,  che  l'armata  avea  tenuto  e  nell'  ingresso  in  Lodi,  e  nella 
sua  dimora,  e  di  argomentare  così  di  quel  che  dovea  avvenire 
anche  in  Milano  (3).  AI  sentire  la  quantità  delle  requisizioni  di 
ogni  genere  (4),  che  in  tre  giorni  furon  là  fatte  (5),  il  modo 
imponente,  con  cui  la  municipalità  era  continuamente  investita,  e 
minacciata,  se  fusscro  ritardati  i  provvedimenti,  il  sequestro,  e  lo 


(i)  Il  Becattimi,  Storia  del  mtmorabilt  Iritnnalt  governo,  Ictt.  i,', 
dice  che,  al  ritorno  dei  quattro  primi  deputati  da  Lodi,  si  preparò  un 
"  immenso  numero  di  razioni  di  ottimo  pane.  ,  Anche  il  Perom.  Com- 
pendio Storico,  pone  al  pomeriggio  dell'i  1  i  provvedimenii  per  •  appro- 
visionare  la  ciiià  p.  il  ricevimento  dell'armata  francese,  ,  Anche  il  13 
alla  sera  il  vicario  informa  ì  decurioni  d'avere  fatio  ■  provviste  di  grani 
e  generi  di  vitiovaglie  „  (Appunlamenli  del  Consiglio  generate). 

(3)  Secondo  il  Peroni,  op.  cit,,  furono  il  13  spedite  a  Lodi  laooo 
razioni  di  pane.  Il  Foscarini  pone  pure  al  13  l'invio  più  abbondante, 
soggiungendo  che  altro  pane  fu  inviato  la  mattina  seguente,  che  sembra 
abbia  servilo  all'avanguardia  di  Massena  che  s'avanzava  verso  Milano. 

(3)  I  deputati  l'ii  avevano  invece  inviato  da  Melegnano  confortami 
notizie  sul  contegno  delie  truppe  di  Kilmaine.  Anche  il  Gachot,  La 
première  campagne  d'ilalie,  p,  143,  nota,  un  po'  come  un'  eccezione,  che 
la  disciplina  fu  mantenuta  allora  a  Melegnano.  Veramente  a  Lodi  stessa 
il  general  Berthier,  in  una  lettera  a  monsignor  della  Berretta,  vescovo 
locale  (che  trovammo  nell'Archivio  Vescovile  di  Lodi,  Armario  II,  gen- 
tilmente apertoci  dall'attuale  vescovo  mgr.  Rotai,  prometteva  già  il  aa 
floreale  (=1  1 1  maggio)  di  prender  misure  efficaci  per  la  tutela  delle  pro- 
prietà, sopratutto  degli  ecclesiastici.  Rimane  a  vedere  se  gli  ordini  sieno 
stati  rispettati. 


DA   MEMORIE    INEDITE   DI   DON    FRANCESCO   NAVA  I27 

spolio  delle  pubbliche  casse  (i)  non  eccettuata  quella  del  com- 
missario provinciale,  confesso,  che  mi  sono  sentito  a  gelare  il  san- 
gue nelle  vene,  e  mi  sono  dato  per  perduto  intieramente  (2). 
Conveniva  non  pertanto  farsi  coraggio,  e  rimaner  fermo  al  posto 
per  bevere  il  calice  amaro  sino  all'ultima  feccia. 

Erano  già  trascorsi  cinque  giorni  e  cinque  notti  d'interregno, 
e  la  Dio  mercè  la  tranquillità  e  quiete  pubblica,  malgrado  i  varj 
avvenimenti  occorsi  non  s'era  alterata  né  punto  né  poco  (3).  Anzi 
in  tutto  questo  tempo  non  si  era  tampoco  sentito  uno  di  que'  de- 
litti, che  giornalmente  solcano  avvenire  sotto  il  passato  Governo  (4). 
Tanto  doveamo  essere  contenti  della  subordinazione  e  saviezza  del- 
l'amato  popolo   Milanese.  Quando    la   mattina  (5)   del    giorno    14 

(i)  11  BouviER,  op.  cit.,  p.  538,  n.  I,  registra,  in  base  anche  alle 
carte  degli  Archivi  nazionali,  francesi,  Étai general  des  versements :  compie 
du  payeur  general  de  Varméey  il  sequestro  di  cinque  grandi  casse,  non 
chcr  di  verghe,  tolte  dal  Monte  di  Pietà  di  Lodi,  ed  inviate  a  Genova 
al  banchiere  Balbi,  Io  spoglio  di  L.  37.905,  ch'eran  nelle  casse  civiche  e 
la  presa  di  271  oncie  d'argenteria. 

(2)  Tanto  più  che  il  giorno  della  battaglia  del  ponte  si  ebbero  in 
Lodi  scene  di  saccheggio,  v.  Bouvier,  op.  cit.,  p.  528.  Invece  la  Gazzetta 
di  Milano,  pubblicata  però  mentre  già  i  francesi  tenevano  la  città,  dice 
che i  timori  intorno  al  contegno  degli  invasori  s'erano  andati  attenuando. 

(3)  Il  Becattini,^  op.  cit.,  Lettera  I,  dice  però  eh'  era  una  calma 
■  tenebrosa  ed  opaca.  „  Il  Tivaroni,  L'Italia  durante  il  dominio  fran- 
asi, I,  p.  95,  storico  recente  molto  favorevole  ai  francesi,  riconosce 
che  Milano  fu  allora  *  governata  dal  Consiglio  generale  senza  disor- 
dini. , 

(4)  E  per  i  provvidenz  di  nost  patrìzi 

No  gh*è  stàa  crìminal,  rìss,  o  complott; 
Talché  ognid*an  el  restava....  cM  te  stupiva 
Che  andass  tuscoss  come  on  oeuli  d^oliva. 

Pbrtusati,  Rappresentanza  de  Meneghin  ai  sciur  fran{et. 

L'unica  eccezione  pare  fosse  costituita  dal  borgo  degli  Ortolani,  ove 
fuwi  qualche  furto  e  si  temevano  assassini,  per  la  partenza  di  mo  ti 
abitanti  timorosi  del  fuoco  del  vicino  castello.  V.  Archivio  Civico,  Di- 
casteri governo  23  —  Repubblica  francese. 

(5)  Lo  stalo  maggiore,  di  Massena  lasciò  l'albergo  delle  Due  Spade 
di  Melegnano  all'alba,  v.  Gachot,  La  première  campagne  d'Italie,  p.  143. 
«Li primi  pichetti  francesi  arrivarono  fino  dalla  mattina  per  tempo  ap- 
'presso  alle  porte,  e  vi  si  trattennero  in  attenzione  de'  loro  corpi  „  (di- 
spaccio del  Foscarini  del  14  maggio).  Il  13  l'avanguardia  di  Massena  era 
comandata  da  Joubert,  v.  Bouvier,  op.  cit.,  p.  547  ;  lo  fu  pure  il  dì  se- 
^^^  ^'  ^>^EPP',  La  rivoluzione  francese  nel  carteggio  d'un  osservatore 
wmfi^\è^  Ilf  p.  345- 


128  l'invasione   francese   in   MILANO  (1796) 

maggio  (t)  venne  l'avviso,  che  verso  il  mezzogiorno  (2)  sareUe 
giunto  il  generale  Massena  (3)  nativo  di  Levenzo  nel  contado  A 
Nizza  (4)  a  prender  possesso  della  città.  Il  casteHo  ne  die  sih 
bito  (5)  r  indizio  collo  sparo  del  cannone  (6)  segnale  per  ri- 
chiamare al  loro  posto  tutti  1  soldati,  e  per  mettersi  in  istato  <fi 
difesa  (7).  Combinammo  allora  senza  perdita  di  tempo  tutte  le 
disposizioni  per  partire,  e  recarci  incontro  fai  predetto  generale  ^ 
Stavano  già  da  cinque  giorni  pronte  otto  carrozze  per  servirà  in 
questa  occasione  (9).  Non  ci  è   dunque  occorso   di   occuparci  per 

(i)  Il  BouviEK,  op.  ciu,  dedica  tutta  una  nota  a  refutare  l'opi- 
nione che  Massena  sia  entrato  il  13. 

(2)  Abbiamo  veduto  come  i  delegati  ritornati  da  Lodi  [avessero 
annunciato  quest'arrivo  per  il  12.  Massena  arrivò  alle  9  a  Roj^redo 
(Greppi,  op.  cit,  p.  345)  e  giunse  a  Milano  alle  ti  circa  (Bouvier,  op.  dt). 
11  MiNOLA,  Diario  storico  poliiicOf  dice  che  "  entrò  in  Milane.,  poco 
prima  di  mezzogiorno.  „ 

(3)  Andrea  Massena,  nato  il  16  maggio  1756,  sott*ufficiale  in  Francii 
sotto  l'antico  regime,  divenne  ufficiale  alla  rivoluzione  e  fu  promosso 
in  due  anni  da  tenente  a  generale  di  divisione.  Serviva  da  tonpo  con 
tal  grado  nelFesercito  d' Italia  quando  Buonaparte  venne  a  guidario  t 
tante  vittorie.  Immortalatosi,  come  ognun  sa,  a  Zurigo  vincitore»  a  Ge- 
nova vinto,  fece  come  maresciallo  tutte  le  campagne  dell'  impero.  Bo- 
NAPARTE,  Oetivres  de  Sainte  Hélène  —  Campagne  d*  Italie,  p.  199^  ce  Io 
dipinge  tenace,  valoroso,  poco  interessante  altrove  che  sul  campo  di 
battaglia.  Aveva,  dice  il  Bouvif.r,  op.  cit.,  p.  69,  toutes  les  passions  viies 
de  l*htimanìié;  il  aitnait  l'ar^i^ent,  le  faste^  la  débauché,,,, 

(4)  dcs  ériidìis  nssurent..,.  qn  il  [Massena]  ne  naquii  pas  à  Nict^ 
mais  à  Levens,  betctau  de  sa  faniiile.  (Bouvier,  op.  cit.,  p.  666). 

(5)  "  alle  ore  otto  „  dice  il  Peroni^  Compendio  Storico, 

(6)  "  due  uri  „  {Storia  dell'anno  1796), 

(7j  "  Alcuni  dragoni  tedeschi,  qua  e  là  sparsi  pel  corso,  s'avvia- 
vano al  castello  „  (Vasalli,  De  Bello  Insuòrico,  citato  dal  dott.  Casati 
nella  nota  i,  a  p.  391  di  Verri,  Lettere  e  scritti  inediti,  voi.  IV).  Da 
quanto  qui  narra  il  Nava,  è  abbattuta  l'affermazione  del  De  Norvws, 
Histoire  de  Napoléon^  to.  I",  e.  Ili,  p.  155,  che  il  castello  fosse  investito 
dal  13  maggio. 

(8)  Fu  tosto  "  mandata  una  refezione  di  pan  bianco,  carni  e  vino, 
all'avanguardia  dei  francesi  (Peroni,  Compendio  Storico), 

(9)  "  Cinque  carrozze  da  nolo  a  quattro  luoghi,  e  due  cavalli  per 
"  ciascuna  „  furono  adoperati  pei  delegati  municipali  (^/^f#if/aiff<ii/r^ 
Consiglio  generale).  V'è  all'Archivio  Civico,  Dicasteri  governo  ^j  ^  Re- 
pubblica francese^  un  conto  per  "  cobbie,  carrozze,  ed  altro  servito  »  i" 
questa  circostanza  dal  ^  mastro  di  posta  Michele  Vimercati.  » 


DA    MEMORIE   INEDITE   DI   DON   FRANCESCO   NAVA  I29 

quest'oggetto.  Tutto  era  già  disposto,  ed  il  sovrintend.«  Rossi  (i) 
coli' accostumata  sua  diligenza  avea  parimenti  preparate  (2)  le 
diiavi  unite  con  un  nastro  d'oro,  ed  il  bacile,  su  cui  dovean  po- 
sarsi. Mi  metto  tosto  la  toga,  e  scendo  le  scale  (3)  seguito  dagli 
altri  delegati  del  Consiglio  (4),  della  municipalità  (5)  e  dello 
Stato  (6)  e  di  quelli  pure  dell'arcivescovo  (7),  del  supremo  Tri- 
bunale di  giustizia  (8),  del  Collegio  degli  Jurisperiti  (9),  e  del- 
l'altro Collegio  de'  Causidici  (io).  Montammo    tutti  nelle   carrozze 

(i)  11  sovr'  intendente  Carlo  Rossi  segui  con  quattro  portieri  la 
deputazione.  11  Rossi  è  notato  fra  i  salariati  dalla  Cassa  civica  provin- 
ciale, con  L.  2280.  V.  Archivio  Civico,  Dicasteri  governo,  22, 

(2)  V.  nota  I  a  p*  132. 

(3)  *  Verso  le  ore  dodeci  della  mattina  „  (Appuntamenti  del  Con- 
^giio  generale,  14  maggio). 

(4)  L'autore  dei  Principi  della  rivoluzione  lombarda  così  commenta, 
narrando  di  questa  delegazione:  "  L'armata  francese  non  potè  a  rilevare 

*  in  essa  che  la  rappresentazione,  non  già  di  quel  popolo  di  cui  Ella 
'  annunciava  la  ubbidienza,  ma  bensì  dei  suoi  nemici,  che  sotto  il  manto 

*  della  viltà  coprivano  il  veleno  della  loro  perfidia.  „ 

(5)  11  Bianchi  ed  il  Manzi. 

(6)  La  Congregazione  di  Stato  delegò,  oltre  il  vicario  suo  presi- 
dente, gli  assessori  :  conte  Cavenago  per  Milano,  Polini  per  Pavia,  don 
Baldassarre  Molossi  per  Casalmaggiore,  conte  Alessandro  Schinchinelli 
per  Cremona,  marchese  Giuseppe  Rovelli  per  Como,  don  Felice  Astori 
per  Lodi.  V.  Notizie  politiche,  18  maggio;  Calvi,  Castello  visconteo  sf or- 
^esco,  p.  432,  nota  i. 

(7)  Il  Peroni,  Compendio  Storico,  dice  che  v'era  monsignor  Ro- 
salcs  arciprete  della  Metropolitana,  "  con  altri  ordinari  in  nome  del- 
l'arcivescovo. ,  V.  nella  vita  di  mons.  vescovo  Nava  l'accenno  alla  pre- 
senza di  esso,  allora  proposto.  Anche  il  Foscarini  parla  come  se  l'arcive- 
scovo —  allora  monsignor  Filippo  Visconti  che  il  Bouvier  (op.  cit.),  dice 
aver  ospitato  poi  Huonaparte  ed  esserne  stato  cattivato  —  non  fosse  pre- 
sente. A  torto  dunque  il  Lee,  Campaigns  0/  Napoleon,  e.  V,  p.  87,  narra 
che  Farcivescovo  era  alla  testa  della  deputazione  che  ricevette  Massena. 

(8)  Furono  i  "  Regi  consiglieri  aulici  attuali  „  don  Carl'Antonio 
Pedroli,  abitante  nella  contrada  de*  Borromei  1851  e  don  Luigi  Villa, 
abitante  in  borgo  di  Monforte  275,  col  R.  segretario  aulico  don  Pietro 
Tieffen  (contrada  de'  Meravigli  2375).  La  scelta  ne  fu  comunicata  al  vi- 
cario dal  presidente  del  supremo,  Biondi,  dal  9  maggio,  v.  Arch,  Civico. 

(9)  Erano  due;  v.  Cusani,  op.  cit.,  IV,  p.  345;  Verri,  Storia  deU 
^invasione,  p.  391. 

(10)  Era  pure  presente  il  sovrintendente  generale  duca  Serbelloni 
(Peroni,  Compendio  Storico). 

Areh  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX.  Fase.  XXXV.  9 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI    DON    FRANCESCO   NAVA  I3I 

che  furon  da  me  presentati,  e  nominati.  Il  generale  rispose  a  tutti 
pulitamente,  e  promise  in  nome  della  Repubblica  Francese  la  si- 
curezza delle  persone  e  proprietà,  la  conservazione  del  pubblico 
culto,  e  la  protezion  de'  ministri,  la  tutela  delle  leggi  e  costumanze 
del  paese  (i),  e  conchiuse  dichiarando,  eh'  erano  mantenute  in  at- 
tività tutte  le  autorità  costituite.  Prima  di  tutto  però  fece  precedere 
un  energico,  e  vivo  discorso,  col  quale  volle  dimostrare,  ch'egli  era 
venuto  per  far  la  guerra  al  Governo  passato,  non  già  al  popolo, 
cui  portava  pace  ed  amicizia,  salute  e  fraternità,  libertà  ed  egua- 
glianza (2).  Ogni  tratto  andava  frammischiando  qualche  segno  di 
giubilo  per  eccitare  gli  applausi,  e  gli  evviva  del  popolo  (3),  che 
era  accorso  spettatore  della  funzione,  e  che  non   era  in   gran  nu- 

nominato  dall' imperatore  Giuseppe  II  il  primo  settembre  1783,  preco- 
nizzato in  concistoro  dal  pontefice  Pio  VI  il  25  giugno  1784.  Prese 
possesso  il  31  luglio  1784. 

(i)  *  ed  i  privilegi  de'  popoli,  „  aggiunge  l'autore  di  7  francesi 
in  Lombardia.  Il  Consiglio  generale,  apprestandosi  a  giurare  solenne- 
mente fedeltà  alla  repubblica,  il  15  maggio  richiamava  queste  promesse, 
quasi  presupposti  del  giuramento  e  chiedeva  "  tale  dichiarazione  in 
■  scrìtto  onde  renderla  nota  al  pubblico  per  comune  notizia  e  quiete.  „ 
(Appuntamenti  del  Consiglio  generale,  15  maggio). 

(2)  "  Nous  ne  faisons  pas  la  guerre  aux  peuples,  mais  aux  gouver- 
nements.  Queste  sono  le  proposizioni  marcate  del  generale  Massena, 
airatto  che  gli  presentarono  le  chiavi  „  Verri,  14  maggio  al  fratello 
Alessandro,  in  lettere  e  scritti  inediti,  IV,  p.  209;  Cfr.  Proclamation  aux 
peuples  de  la  Lombardie  in  Correspondance  de  NapoUon  ler^  voi.  I,  n.  453. 
Cfr.  pure  il  preteso  discorso  di  Salvadori  ai  decurioni,  v.  Foscarim,  n.  loi. 

(3)  Massena  scrive  a  Buonaparte  il  14  stesso  :  J'ai  ite  re^u  dnns 
ia  ville,  aux  plus  vives  acclamations;  on  en tendali  de  toutes  parts  crier  : 
Vive  la  ripublique!  Haine  aux  tyrans  !  la  liberti  !  la  liberti!  v.  Corre- 
spondance inedite  officielle  et  confidentielle  de  Napoléon,  Italie,  to.  I«r, 
p.  165.  Cfr.  pure  i  Uimoires  de  Massena,  lì,  p.  t:6  che  dicono  le  stesse 
cose.  E.  Marmont,  Mimoires  du  due  de  Raguse^  II,  p.  322,  il  15  scrisse 
a  suo  padre  :  Hier  nous  avons  fall  notre  entrée  triomphale,..,  il  est  im- 
possible  d'exprimer  toutes  les  marques  d'attachement  qu*ils  [i  milanesi] 
nous  ont  données.  Il  Bouvjer,  op.  cit.,  arriva  a  dire  :  Ce  fui  un  ve- 
ritable  dilire.  Ma  anche  una  lettera  di  Fontana  a  Greppi,  in  Greppi,  op. 
^^»  I^  P-  345»  n.  I,  parla  di  "  gioja  e....  tripudio  che  vedesi  in  tutte  le 

*  persone  di  ogni  età  e  di  ogni  sesso.  „  Ed  il  Foscarini  dice  :  "  pres- 
'  sochè  generale  l'espressione  del  buon  godimento  con  applausi,  e  bat- 

*  timani  corrisposti  in  cortesi,  e  decenti  forme  dal  pred.'*  generale,   e 

*  dagli  uffli.  „ 


132  l'  invasione  francese   in   MILANO  (1796) 

mero  (i).  Finiti  i  succennati  discorsi,  e  scemato  il  rumore  dcgK 
applausi  io  ripresi  il  parlare,  e  manifestando  le  speranze  concepute 
in  vista  delle  graziose  espressioni  e  promesse  del  generale,  gli  pre- 
sentai Tomaggio  per  parte  della  città,  di  cui  lo  feci  padrone  colla 
presentazione  delle  chiavi,  che  il  sovrintend.*  Rossi  a  me  vicino 
teneva  disposte  sopra  un  bacile  d'argento  (2).  Egli  le  ricevette, 
ed  alzate  le  mani  mostrolle  al  popolo  (3)  con  efiusione  di  giubilo, 
ed  allegrezza,  e  ripetendo  le  promesse  e  dichiarazioni  già  fatte  le 
ritenne  (4),  e  fra  gli  applausi  chinando  la  itesta  'in  atto  di  conge- 
darci con  volto  ridente  sì,  ma  sempre  maestoso  pose  fine  a  quel- 
Tatto  solenne  (5).  Ed  eccoci  in  queir  istante,  sciolti  dal  giuramento 
di  fedeltà  e  sommessione  al  passato  Sovrano,  ed  impegnati  ad  ul>- 

(i)  Forse  il  Nava  non  intende  parlare  che  dei  presenti  alla  Ca- 
scina Colombara,  che  tutte  le  testimonianze:  Maìttow  ani.  Diario  politico 
ecclesiastico,  to.  I  ;  Gazzetta  di  Milano^  19  maggio  ;  Mémoires  de  Masseha, 
II,  p.  66;  Appuntamenti  del  Consiglio  generale,  14  maggio,  afifermaDO 
che  r  ingresso  in  città  avvenne  tra  gran  concorso  di  popolo,  maggiore 
di  quello  che  si  ebbe  il  dì  dopo  (Becattini,  Storia  del  memoraòile  trien- 
nale governo,  Lett.  I),  ma  più  esclusivamente  composto  di  giacobini 
(BouviER,  op.  cit.). 

(2)  Il  Melzi,  Memorie-Documenti,  I,  p.  143;  i  Mémoires  deMASSESA, 
If,  p.  67;  il  Gachot,  La  premitre  campagne  d'Italie^  p.  145;  il  BoumeRi 
op.  cit.,  p.  560  e  575,  dicono  che  le  chiavi  furono  inviate  a  Buonaparle 
colla  prima  ambasceria  ;  il  Bouvier  dice  però  altrove  che  il  Nava  le  pre- 
sentò a  Massena  alla  Colombara.  Quest'ultima  versione,  che  è  quella  delle 
nostre  memorie,  deve  ritenersi  la  vera,  essendo  sostenuta  dal  Fo- 
scarini;  dal  Peroni,  Compendio  Storico;  dal  Cusani,  op.  cit,  IV,  p.  345; 
dal  Verri,  Lettere  e  scritti  inediti,  IV,  p.  209,  ed  in  ultimo  dal  conto  del 
doratore  delle  chiavi,  Galletii,  v.  Archivio  Civico^  Dicasteri  Governo  2) 
—  Repubblica  francese. 

(3)  Ciò  è  confermato  dagli  Appuntamenti  del  Consiglio  generali, 
14  maggio,  ove  e  detto  che  Massena  ripetè  Tatto  quando  raggiunse, 
come  vedremo,  la  deputazione  sul  corso  di  Porta  Romana.  Secondo  fl 
Foscarini,  entrando  in  città,  precorreva  un  ufficiale  recante  visibilmente 
le  chiavi. 

(4)  Disse  fra  l'altro:  Je  prends  les  clvfs  en  bon  républicain,  et ji 
me  flatte  de  les  rcudre  un  jour  à  un  peuple  qui  ait  les  yeux  ouverts  sur 
ses  vrais  iniércls.  Verri,  op.  cit.,  IV,  p.  208,  confermato  da  CusAMi  op. 
cit,  IV,  p   345. 

(5)  De  Castro,  Milano  e  la  repubblica  cisalpina,  p.  67,  conclude: 
"  la  rappresentanza  cittadina  accolse  dignitosamente  il  vincitore,  senza 
**  smanie,  senza  viltà,  mentre  i  demagoghi   spalancavano   le  braccia.  * 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI    DON    FRANCESCO   NAVA  I33 

bidire  alla  Repubblica  francese  (i).  Un  nuovo  ordine  di  cose  mi 
s'affacciò  tosto  alla  mente,  ed  occupommi  talmente  lo  spirito  che 
dovetti  far  violenza  a  me  stesso  per  trattenermi  dal  farne  con  qualche 
atto  di  debolezza  pubblica  mostra.  Vedeva  io  bene  il  vasto  mar 
burrascoso,  che  mi  conveniva  solcare,  e  mi  pareva  già  di  travedere 
nell'avvenire  l'ammasso  delle  vicende,  che  mi  dovean  tormentare. 
Ma  la  religion  mi  sostenne  col  richiamarmi  alla  mente  il  dovere 
di  ubbidire  a  quelle  superiorità,  che  sono  poste  da  Dio  a  gover- 
narci, comunque  disgustose  e  pesanti  possano  essere  le  loro  leggi. 
Fattomi  cuore  su  tai  riflessi  mi  volgo  ai  compagni,  e  tutti  chiamo 
a  seguirmi.  Rimontiamo  nelle  nostre  carrozze,  e  ci  avviamo  al 
Broletto  (2)  per  render  conto  agli  altri  di  quanto  aveamo  ope- 
rato, e  per  dare  le  disposizioni  analoghe  all'uopo.  Eravamo  ar- 
rivati in  faccia  a  casa  Pertusati  (3)  sul  corso  di  P.  R.  (4),  quando 
fummo  raggiunti  dal  generale,  il  quale  accompagnato  da  venti- 
quattro dragoni  fece  un  giro  intorno  alle  carrozze  per  darci  un 
attestato  del  suo  gradimento  (5),  ed    indi    ritornossene  fuori   della 

(i)  Un  più  solenne  giuramento  fu  però  prestato  per  iscritto,  a 
richiesta  del  generale  Despinoy,  il  15  e  17  maggio  (il  15  fu  sottoscritto, 
il  17  fu  •  rassegnato  „)  dal  vicario  rappresentante  i  Corpi  civici  (^Ap- 
puntamenti del  Consiglio  generale), 

(2)  Ove   vedemmo   che    i   decurioni   stavano   aspettando,   adunati 

*  in  forma  permanente.  „ 

(3)  N.  4553  (4453  secondo  la  Guida  di  Milano  antico  e  moderno^ 
che  è  però  del  1802),  abitazione  dal  primogenito  della  casata,  Francesco^ 
dal  De  Castro,  op.  cit,  p.  35,  definito  come  una  sorta  di  pio,  bonario 
e  ghibellinesco  fautore  deirantico  regime.  Il  Pertusati,  che  era  nel  1796 
gentfluomo  di  camera  di  S.  M.  I.  R.  A.  decurione,  aggiunto  allo  Scru- 
tinio degli  ordini,  uno  dei  "  delegati  sopra  le  pubbliche  occorrenze,  „ 
deputato  del  L.  P.  Trivulzi,  deputato  al  governo  dell'Ospitai  Maggiore, 
oltre  a  molte  altre  operette,  scrisse  il  Meneghin  solfai  frames  di  cui 
sovratutto  la  parte  intitolata  Rappresentanza  de  Meneghin  ai  sciur  fran- 
zes  è  preziosa  fonte  per  la  storia  del  momento   storico   che   studiamo. 

(4)  Quando  Massena  s'avanzò  lungo  il  corso  affollato,  '^  di  tanto 
"  in  tanto  udivansi  de'   battimani  mischiati  di   alcuni  pochi   evviva  ed 

*  applausi,  interrotti  da  lunghe  pause  di  silenzio  „  (Becattini,  op.  cit., 
Lett.  I,  da  cui  toglie  il  Bouvier  integralmente  quel  punto  della  sua 
narrazione.  Lo  stesso  aveva  fatto  prima  il  Cusani,  op.  cit.,  IV,  p.  345). 

(5)  Il  vicario,  narrano  gli  Appuntamenti  del  Consiglio  generale,  in 
base  alla  relazione  verbale  immediata  del  Nava  ai  colleghì,  fu  *^  sopra- 
"  giunto   dal  sig.r  generale   Massena  con  altri  ufficiali    e  soldati  a   ca- 


134  l'invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

porta  (i).  Noi  frattanto  proseguimmo  il  nostro  cammino  sino  al  Bro- 
letto, dove  giunti  informammo  i  compagni  di  tutto  quello,  ch'era  pas- 
sato in  adempimento  della  nostra  Delegazione,  ed  ebbimo  il  piacere 
di  incontrare  la  comune  loro  approvazione.  Ciò  eseguito  fu  assentato 
di  renderne  inteso  il  pubblico  con  un  avviso,  che  venne  immedia- 
tamente  stampato,  affisso,  e  diramato  per  tutta  la  provincia  (a). 
Mentre  stavamo  per  discioglierci,  di  che  ne  aveo  gran  bisogno,  e 
per  prendere  qualche  ristoro  al  corpo  illanguidito  dal  digiuno,  e 
per  rinfrescarmi  gli  occhi,  che  mi  si  erano  infiammati  per  una  na- 
scente flussione  cagionata  dal  sole  e  dalla  polvere  (3),  arriva  in 
Broletto  il  generale  preceduto,  e  susseguito  da  uno  squadrone  di  ca- 
valleria (4),  e  dalle  bande  militari.  Ed  eccomi  obbligato  a  diferire 
ed  il  cibo  ed  il  rinfrescamento,  che  mi  era  tanto  necessario.  M'avviai 
tosto  alle  scale  per  incontrare  il  generale  (5),  che  venne  di  sopra, 

**  vallo  che....  accompagnò  il  sig.r  vicario  in  segno  d'onore  sino  di 
"  fronte  alla  Commenda  ed  ivi  salutatolo  uscì  nuovamente  fuori  di 
"  città  „  cfr.  CusANi,  op,  cit.,  IV,  p.  345:  **  prima  del  mezzogiorno  cn- 
"  trarono  da  Porta  Romana  400  circa  soldati  a  cavallo  „;  Notizie  poìt 
iichey  18  maggio  :  [Massena]  "  ....  preceduto..-  dai  trombettieri  francesi  e 
/*  da  un  distaccamento  di  cavalleria  entrò  nella  città  „  ;  Greppi,  op.  dt,  II, 
P«  345-  **  ^^  cavalleria  avendo  in  testa  il  generale  Joubert  fu  la  prima 
"  a  passare  sotto  Tarco  di  Porta  Romana  „  ;  Gazzetta  di  Miiano,  19  mag- 
gio: "  In  seguito  egli  [Massena]  spedì  innanzi  un  picchetto  di  cavalleria 
"  che  perlustrando  la  città,  portava  in  trionfo  le  ricevute  chiavi  dorate. 
'*  Il  picchetto  non  tardò  a  retrocedere.  „ 

(i)  Rientrò,  secondo  il  Peroni,  Compendio  Storico,  in  città  con  ■*  500 
"  soldati  a  cavallo,  e  poche  truppe  pedestri  tutte  però  in  cattivo  arnese.  ^ 
Mentre  prima,  secondo  lo  stesso  Peroni,  gli  si  era  preparato  rallogeioin 
Casa  Borromeo,  scese  in  Casa  di  Mellerio  (che  il  Bouvierpone  con  Melii 
fra  i  "  moderati  „).  Non  so  donde  il  Bouvier,  op.  cit.,  abbia  tratto  gii 
elementi  per  informarci  dei  giri  di  jMassena,  appena  entrato  per  Milano, 
e  del  suo  contegno.  Secondo  il  Foscarini,  le  truppe  francesi  "comincia- 
rono a  comparire  „  in  città  verso  le  "  due  dopo  il  mezzogiorno.  , 

(2)  Vedilo  nella  Raccolta  degii  ordini  ed  avvi  si ^  p.  7. 

(3Ì  "  Arrivò  poco  dopo  il  sig.r  generale  Massena,  scortato  dal- 
"  V  ufficialità  e  dalla  cavalleria  entrando  per  la  porta  del  Mercato  e 
"  sfilando  lungo  i  due  cortili  per  l'altra  nobile,  „  dice  il  verbale  della 
seduta  decurionale  del  14,  di  mano  del  Perabò. 

(4)  Quei  primi  cavalli  dei  francesi  visti  in  città  parvero  *  assai  magri 
"  e  deboli  per  la  scarsezza  forse  del  cibo  „  (Becattini,  op.  cit.,  lett  i.'). 

(5)  Ciò  e  pure  narrato  dal  sovracitato  verbale,  che  aggiunge  che 
il  vicario   era  accompagnato  "  dagli  altri  individui  adunati.  „ 


DA   MEMORIE    INEDITE    DI    DON    FRANCESCO   NAVA  I35 

entrò  nella  sala  (i),  e  si  trattenne  parlando  meco  per  qualche 
tempo.  Due  oggetti  principalmente  prese  di  mira  nel  suo  discorso. 
Primamente  per  mezzo  di  varie  interrogazioni,  cui  io  ho  risposto 
con  tutta  franchezza  ed  ingenuità,  volle  esser  cerziorato,  se  potea 
fidarsi  del  popolo  ad  entrare  e  trattenersi  in  città.  Egli  mi  sembrò 
assai  diffidente  (2),  e  parvemi,  che  temesse  qualche  improvvisa 
sorpresa  (3),  su  di  che  io  V  ho  assicurato  sulla  mia  responsa- 
bilità, che  non  c'era  a  temere,  che  il  popolo  era  docile  ed  ub- 
bidiente alle  superiorità,  e  che  ben  diretto  e  trattato  si  affezionava 
fadlraente  ai  capi,  che  lo  guidavano  (4).  In  secondo  luogo  ei 
volle  raccogliere  tutta  le  notizie  possibili  relativamente  al  Ca- 
stello (5),    alle   sue  fortificazioni,  ed  alle  opere,    che   recentemente 

(i)  "  Montò  per  lo  scalone,  e  si  rese  nell'aula  del  Consiglio,  ove 
'  salutati  tutti  ritirossi  in  disparte  a  parlare  col  signor  vicario  per  circa 
•  un  quarto  d'ora  ,  {Appuntamenti  del  Consiglio  generale). 

(2)  Cfr.  Fontana  a  Paolo  Greppi  (Milano,  30  aprile  1796)  in  Greppi, 
op.  cit,  II,  p.  337,  n.  I  :  *  Sarà  di  sorpresa  anche  per  i  francesi  la 
"  calma,  colla  quale  essi  sono  attesi.  Se  è  vero  che  si  aspettano  la 
'  diffidenza,  saranno  soddisfatti  della  confidenza  dei  milanesi.  „ 

(3)  Gachot,  La  première   campagne  d' Italie ^  p.  144:  Les  régimenis 

furent,  d'après  les  instructions  de  Massena,  répartis  sur  divers  points  que 

*^s  autrichiens  ou  leurs  partisans  —  car  Thugut  avait  des  créatures  — 

Pouvaienl  inopinément  attaquer.  Les  troupes  furent  ainsi  posties  :  lere  et 

y  demi-brigades ,   vis-a-vis   la  porte  de   secours  de  la  cittadelle;  le  2^ 

i\\(xss%wrs  en  soutien  de  e  et  te  brigade;  la  84^  le  long  du  Naviglio  grande^ 

en  seconde  tigne;   le   jer   àataillon  de   la  2ie  au   cotwent   des    carmes; 

le  ae  au  bastion  del  Portello;  le  je  aux  Portes  Romaines  et  Par  lini  {?); 

k  ^  ti  le  se  dragonSy   à   la  Mouliasse.   (Rapport  de  l' adjudant-général 

Mounier,  Corresp,  Arch,  Guerre). 

(4)  Il  Becattini,   op.    cit.,    lett.  2.',  non  immune  qui  da  sospetto 
"'  malignità  partigiana,  scrisse,  sì  da  far  credere  Massena  si  fosse  dav- 
vero rassicurato  :  «  Bonaparte  la  mattina  del  suo  ingresso  per  la  Porta 
Romana  si  meravigliò  assai  di  trovarsi  in  mezzo  a  una  città  cotanto 
popolata  con  poche  forze  e  più  consistenti  in  parole  che  in  fatti  ;  onde 
nvolto  a  Massena,  che  stava  a  cavallo  accanto  a  lui,  gli  domandò  se 
^ra  sicuro,  al  che  l'altro  rispose  :  non  temete,  mio  generale,  e  vivete 
ranquiiiQ.  vi  è  più  che  bastante  numero   d' insensati  a  Milano  per 
raderci  gente  da  bene  e  persone  oneste.  „ 
^^    (5)  l\  Becattini,  op.  cit.,  lett.  1.',  il  Bouvier,  op.  cit,  IV,  p.  346,  393, 
concordi  nell'affermare  che  un'audace  sortita  del  castello  avrebbe 
nat    **  "P'"€ndere    agevolmente   Milano ,   coi  suoi  pochi    nuovi    domi- 


136  l'invasione    francese    in   MILANO  (1796) 

erano  state  eseguite,  alla  qualità  e  quantità  delle  truppe  (i),  che  vi 
vi  stavan  dentro  riunite,  e  dei  viveri,  e  delle  munizioni  disposte  per 
sostener  l'assedio  (2).  Gli  ho  dato  conto  di  tutto,  per  quanto  potea 
essere  a  mia  notizia,  e  conchiusi  accennando  il  privilegio  della  cittài 
in  vigor  del  quale  nessuna  Potenza  assediante  fece  mai  le  breccie,  e 
le  trincee  in  modo  da  metterla  in  pericolo  di  soffrire  danno  da  un 

(i)  Beaulieu  si  lagnava  la  settimana  seguente,  v.  Despatckes  of 
Colonel  Graham,  22  may,  che  Liptay  avesse  lasciato  una  cosi  piccola 
guarnigione  nel  castello.  Secondo  il  Greppi,  op.  cit.,  II,  p.  344,  non  vi 
eran  dapprima  che  "  poche  centinaia  «  di  uomini  di  truppa  ;  ma  il  geo. 
Colli  quando,  da  Bofialora  venne  per  un  momento  a  Milano  la  notte 
dal  9  al  IO  (il  9  v'erano  tedeschi  a  Boffalora  ed  a  Abbiategrasso,  vedi 
Archivio  Civico,  Corrispondenze  dal  campo),  avrebbe  rafforzato  la  guar- 
nigione, V.  BouviER,  op.  cit,  p.  507  ;  JoHiNi,  op.  cit.,  II,  X,  LVII,  ^  da 
portarla,  secondo  il  Bouvier,  a  2000  uomini,  di  cui  solo  1800  validi.  Il 
Cubani,  op.  cit.,  IV,  p.  391,  dice  che  ammontava  quel  presidio  a  3000 
uomini,  ed  anche  più  dovevano  esservene  secondo  le  voci  raccolte  dal 
Foscarini  (14  maggio).  2800  è  la  cifra  indicata  dal  Coppi,  Annali  d'iUiOa^ 
II,  §  17.  Ma  la  valutazione  più  documentata  sembra  quella  del  Gachot, 
op.  cit.,  p.  145,  che  Testrasse  dal  rapporto  all'arciduca  Ferdinando,  che 
è  all'Archivio  di  Guerra  a  Vienna.  Secondo  questo  rapporto  gli  assediati 
erano:  il  i.*  battaglione  del  Corpo  Gyulay,  il  ifi  della  Legione  lom- 
barda, 150  artiglieri  e  9  dragoni,  in  tutto  1600  uomini,  il  che  non  si 
scosta  dal  calcolo  del  Becattini,  op.  cit.,  lett.  i.'  :  "  1500  o  2000  uomini 
al  più  „,  da  quello  del  Jomini  loc.  cit.  :  1800  al  più,  che  riteneva  insuf- 
ficienti pour  une  enceinte  anssi  étendue  e  da  quello  dello  stesso  Mas- 
sena.  Questi  scriveva  il  14  al  Buonaparte,  appena  giunto,  non  cre- 
dersi in  forze  per  investire  il  castello,  che  riteneva  occupato  da  1500  a 
1800  uomini  e  2  à  joo.,..  de  cava/erte. 

(2)  Il  Foscarini  (n.  100)  già  il  4  maggio  informava  il  doge  che 
"  in  questo  castello  si  vanno  compiendo  tanto  in  lavori  come  in  Dept»- 
"  siti  li  necessarj  approntamenti  „  eTii  aggiungeva  (n.  loi):  "  Si  vanno 
"  compiendo  i  trasporti  delle  munizioni  e  provigioni  in  questo  castello, 
"  ove  tu  to  è  disposto  per  opporre  e  sostenere  una  resistenza  alle  armi 
"  francesi.  „  Infine  il  14  :  "  Tutto  vi  è  qdi  approntato  per  conto  di  pro- 
"  vigioni,  e  munizioni  —  e  montata  tutt*air  intorno  Tartiglieria  coi  ne- 
"  cessarj  servizj  e  le  miccic  accese.  „  Secondo  il  Bouvier,  op.  cit,  Lamy 
aveva  152  bocche  da  fuoco,  mandrie  di  buoi,  3000  quintali  di  polvere. 
Il  MiNoLA,  Diario  storico-fio/itico,  narra  che  il  14  stesso  Massena  bloccò 
il  castello,  ponendo  guardie  all'  imboccatura  delle  strade  che  vi  condu- 
cevano. Non  è  pertanto  il  caso  di  dire  eh'  egli  conciti/  avec  le  com' 
mandant  atilrichien  de  la  cittadelle  une  convention  par  laquelle  la  gar- 
nison  s*  engageait  à  ne  pas  prendre  l*  initiaiive  des  hostìlités.  {Pricis  des 
campagties  de  779^  et  de  7797). 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI    DON    FRANCESCO   NAVA  I37 

bombardamento  (i).  Varie  altre  cose  gli  dissi  su  tal  proposito,  e 
finito  il  discorso  il  generale  si  congedò,  e  ci  lasciò  tutti  in  libertà  (2). 
Mi  recai  tosto  a  casa,  e  mi  ci  trattenni  appena  abbastanza  per  ri- 
storarmi e  dopo  ritornai  nuovamente    in  Broletto  (3),    dove  trovai 

(i)  Già  Tu  maggio  aveva  il  Consiglio  generale  pregato  il  Lamy 
di  risparmiare  la  città,  domanda  di  cui  furono  incaricati  i  decurioni 
conte  Angelo  Serponte  e  conte  D.  Alfonso  Castiglione;  ma  gli  inviati 
ebbero  risposta  che  i  tedeschi  avrebbero  fatto  quanto  loro  si  chiedeva 
"  purché  il  nemico  s'astenga  di  tirare....  dalla  parte  della  città,  al  qual 
"  effetto  converrà  che  il  Consiglio  dirigga  le  sue  istanze  ai  Comando 
*•  francese  „  (Appuntamenti  del  Consiglio  generale).  Lo  stesso  giorno  scri- 
veano  i  deputati  da  Melegnano,  sotto  V  incanto  di  Kilmaine,  che  i  fran- 
cesi "  nel  caso  d'assedio  si  dichiarano  disposti  ad  intimare  alla  guarni- 

*  gione  che  se  tira  un  sol  colpo  sulla  città,  non  gli  si  farà  quartiere.  „ 
La  convenienza,  la  quasi  necessità  di  seguire  la  tradizione,  opportu- 
namente ricordata  dal  vicario,  non  era  contestabile.  La  cinta  del  1730, 
è  scritto  nei  Mémoires  de  Massena,  II,  p.  68,  avait  j  fronts  quij  etani 
complètement  masqués  par  les  bàtiments  de  la  ville,  paraissaient  plus  fa- 
cilement  attaquables;  mais,  bien  que  celle  circonstance  permit  d'établir 
une  sorte  de  Iroisième  parallèle  dès  la  première  nuil,  il  ne  pouvait  en- 
trer  dans  les  vues  du  general  en  chef  d*en  profiter^  car  il  aurati  attiré 
tous  les  feux  de  la  citadelle  sur  Milan.  Ed  il  Foscarini,  tutto  atterrito, 
scriveva  il  giorno  dell'entrata  dì  Massena  :  **  è  vivamente  a  desiderarsi, 
"  che  questo  [l'attacco]  non  avvenga  dal  lato  che  guarda  direttamente 

*  la  città,  (come  ragionevolm.te  si  crede  possa  essere  convenuto),  poiché 
"  ne  seguirebbe  certam.te  una  ben  grande  rovina  a  molte  fabbriche,  ed 

*  abitazioni,  non  esente  questa  med.m*  che  serve  d'alloggio  all'umiLma 

*  mia  persona.  Per  altro  il  t6  maggio  i  francesi  commisero  al  loro  co- 

*  mandante  del  genio  di  ouvrir,,,,  la  franchie  devant  le  chàteau  de  fagon 

*  àie  resserrer  le  plus  possible  et  à  nepas  en  è  tre  éloigné  de  plus  de  600  toises  „ 
(BouviER,  op.  cit,  p.  589).  Il  14  sera  del  resto  il  Consiglio  generale 
pensava  già  a  traslocare  gli  uffici  civici  in  luogo  meno  vicino  al  ca- 
stello :  il  duca  Serbelloni  aveva  offerto  il  suo  palazzo.  Per  fortuna  il  18 
Buonaparte  fece  scrivere  da  Berthier  al  tenente  colonnello  Lamy  che 
accettava  la  sua  proposta  de  respeeter  la  ville  de  Milan  et  de  ne  com* 
metire  aucun  ade  cPhostilitl  de  ce  coté,  Les  frangais,  proseguiva,  ne  feront 
également  aucune  attaque  de  ce  coté.  (Correspondance  de  Napoléon  /^, 
to,  I,  n.  448). 

(2)  Secondo  il  Becattini,  op.  cit.  lett  2.',  Massena  ricevette  allora, 
nel  palazzo  Mellerìo,  la  rumorosa  visita  di  demagoghi,  che,  dal  balcone 
del  palazzo,  proclamarono  minacciosamente  la  guerra  ai  nobili  ed  ai 
preti. 

(3)  Vi  si  posero  in  quel  giorno  guardie  francesi  e  vi  si  innalzarono, 
il  dì  seguente,  ■  bandiere  a  tre  colori  „  (Minola,  op.  cit.,  X). 


L 


138  l'  invasione   francese    in   MILANO  (1796) 

un  flusso  e  riflusso  di  gente,  che  mi  s'accostava  a  chieder  provvi- 
denze. 

Molti  mercanti  vennero  ad  esporre  le  lor  doglianze  per  essere 
stati  defraudati  del  pagamento  delle  merci,  che  varj  soldati  presero 
a  forza  rilasciando  quitanze  od  assegnati,  che  non  aveano  corso 
né  valore  (i).  Fu  d'uopo  informarne  sul  momento  il  generale,  col 
di  cui  assenso  si  pubblicò  un  editto  diffidatorio  su  quest'articolo, 
e  si  abilitarono  i  mercanti  a  ricorrere  al  più  vicino  Corpo  di  guardia, 
e  riclamare  da  esso  l'arresto  di  que'  soldati  che  ardissero  mettere 
in  corso  assegnati  (2).  La  folla  degli  uffìciali,  commissarj,  ed  altri 
impiegati  militari,  che  presentossi  a  domandare  l'alloggio,  fu  grande 
per  tutta  la  giornata,  e  la  Delegazione  a  questo  fine  destinata  co- 
mecché fusse  composta  d'un  grosso  numero  di  soggetti  tutti  abili 
ed  attivi  ebbe  ad   occuparsi   notabilmente  (3).   Incominciarono  poi 


(i)  A  Melegnano,  ove  decisamente  si  ebbe  la  luna  di  miele  franco- 
milanese,  per  gettare  un  po'  di  polvere  negli  occhi,  ■  un  soldato  volle 
"  comprare  del  panno....  pagando  assegnati;  fu  sgridato  in  presenza 
"  nostra,  e  rilasciato  il  panno  al  mercante.  „  (I  deputati  al  vicario).  A 
Milano  sembra  gli  inconvenienti  di  tal  sorta  siano  accaduti  su  ben  più 
vasta  scala;  v.  del  resto  ciò  che  il  Gachot,  op.  cit.,  p.  147,  scrive  del- 
r  indisciplina  dei  soldati  francesi  in  quel  periodo.  Il  Pertusati,  Rappre- 
sentanza de  Meneghin  ai  scittr  franzes^  così  descrive  le  delizie  di  quel 
primo  giorno  : 

Che  pinnol  desgustòs  !  Che  bulardée 
Per  el  vicari,  e  per  la  Camaretla  ! 
Allo  sciuri  aascssor,  corrn\  f^uardee 
Che  sia  servii  i /ran^cs  :  no  fih'  è  pii  mitta. 
Vreslinée,  mj^jolar,  mcrcant  de  vin^ 
Foeugh,  e  fiamma  ai  botleg/i,  e  ai  botteghin. 

L'uso  degli  assegnati  era  stato  proibito  in  Lombardia  con   decreto  del 
marzo  1795. 

(2)  V.  Raccolta  degli  ordini  ed  atmisi,  p.  7.  Per  quel  pomeriggio, 
poiché  intanto  "  si  fece  ogni  sforzo,  di  esitare  gli  assegnati....  p.  tu* 
"  gliere  qualunque  inconveniente  si  fece  spargere  voce  d*  immediata- 
"  mente  chiudere  t'jtte  le  botteghe,  siccome  fu  fatto  „  (Minola,  op.  cit,  X). 

(3)  "  L'ufficialità  si  fece  allogsjiare  nelle  case  de'  nobili  e  di  altri 
"  cittadini  agiati  (il  Minola,  op.  cit.  aggiunge  :  "  e  nei  conventi  ^)  ove 
fu  loro  usata  la  più  generosa  ospitalità  „  (/  francesi  in  Lombardia). 
Degli  inconvenienti  degli  alloggi  si  lagna  il  Becattini,  op.  cit.,  lett.  i.*, 
acremente;  e  il  Pertusati,  op.  cit.,  più  bonariamente,  li  dipinge: 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI   DON  FRANCESCO   NAVA 


139 


in  quel  giorno  medesimo  (i)  le  requisizioni  d'ogni  genere,  cui  si 
procurò  di  dar  passo  con  ogni  prontezza.  La  più  interessante  e 
gravosa  fu  quella  di  tutti  i  cavalli  da  sella  colle  loro  bardature,  che 
dovettero  farsi  trovare  nella  Corte  del  palazzo  altre  volte  arcidu- 
cale, nella  mattina  del  dì  susseguente.  Egli  è  facDe  immaginarsi 
quanto  siasi  travagliato  e  '1  giorno  e  la  notte  per  dare  le  dispo- 
sizioni in  modo  che  fusse  fatto  prontamente  il   servizio  (2).  E    sì 


£  i  allogg  militar  in  di  nost  cà 
In  cà,  giura  brio  Bacche  de  chissessia 
L'  è  ona  nespola  brusca  de  biassà, 
L'è  on  tantinett  d'ona  superciarìa; 
E  pur  besogna  mett  la  berta  in  sen, 
Fa  de  loch,  e  ciappà  quel  che  ven  ven. 

£1  pesg  1*  è  che  i  padron  n*  hin  pù  padron 
De  desponn  in  cà  soa  dì  stanz,  di  lece, 
E  ghe  tocca  a  scratciass*  in  d'on  canton 
£  se  ghe  pias  el  cold,  han  de  sta  al  frecc; 
l*och  paroll....  faccia  franca  ...  e  meneman 
Se  se  voeur  dì  qnai  cos....  artn  alla  man. 

Per  gli  alloggi  v.  pure:  Raccolta  degli  ordini  ed  avvisi,  p.  8  e  9. 

Ci)  Anzitutto,  oltre  ali*  aver  ordinato  la  requisizione  dei  cavalli 
<ia  sella,  di  cui  vedremo  tosto,  Massena  si  fece  verser  le  contenu  de  la 
caiss€  de  Voctroi,  encore  un  demi-million;  Bouvier,  op.  cit.,  concordante 
con  CusANi,  Storia  di  Milano,  IV,  p.  38. 

(p)  Anzitutto  il  Consiglio  generale  diede  ordine  alla  milizia  ur- 
bana perchè  non  lasciasse  passare  alle  porte  cavalli  *  senza  licenza 
dell'uflScio  commissariato,  eccettuati  quelli  dell'armata  francese  „  (Ar- 
chivio Civico,  Milizia  urbana,  —  Prow,  gener.  materie  661).  Secondo 
a  asaetta  di  Milano  del  19  maggio,  in  cambio  dei  cavalli,  i  prò- 
\q  "  "^^vettero  *  quitanze  per  il  rimborso  del  corrispondente  va- 
^^'  ."  ^  ^^^  tenore  dell'ordine  del  Consiglio  generale  {Raccolta  degli 
si  lasc'^t  ^'^^^^'f  P*  S)/  nonché  dal  Peroni,  Epitome  Storico^  appare  che 
Wi/ano  *^^'"^'*e  il  rimborso.  1  cavalli  che  i  francesi  condussero  il  14  a 
cattivi      -.  ^-^^^  ^^  Verri,  Lettere  e  scritti  inediti,  IV,  p,  393:  *  smunti  e 


»   e  si 


•ww/  /^s  ^ia  '    ^^'^^^^^  P^r  sostituirli  cogli  excellents  chevaux  que  foumis- 
l  2,  p.  iQ^\    ^  ^^  ^^  jLombardie  (Lacretelle,  Directoire  exècutif,  to.  I, 
/as  fr-fHéZfe  r  n  ^^  ''   3ouvier,  op.  cit.,  p.  629,   assicura   che  on    n'avait 


Calia 


^s  *Het//et4      ^   ^^^     ^  maggio)  que  peu  et  d'asses   médiocres  chevaux, 

tions  ou  peu/  -   ^®^^"^^S^>   ètaient  sans   doute  soustraits    aux  investiga- 

gemente,    ^^  '^'y  vo/és^  La  seconda  ipotesi  deve  essersi  realizzata  lar- 

*  diiemijQ  ^  Vki^R-i,   op.  cit,   p.  213 ,  assicura   che   furono  requisiti 

esempio  delj^    ^^^^'  "  ^^"^   poche  ore  di  tempo.  „  Lo  stesso  (p.  231)  cita  un 

donò  due  su    ^^'^^^^^    olie  prendevano  i  cavalli  :  Despinoy  alla  sua  bella 

^erf)2  o^AiTalli  the  prese  in  requisizione  dal  conte  Ciceri.  „ 


140  l'  invasione   francese   in   MILANO  (1796) 

che  trattavasi  di  misure  affatto  nuove  ed  inusitate,  e  che  dovean 
riuscire  dispiacevoli,  e  gravose  ai  proprietarj,  cui  s'ingiungeva 
l'obbligo  di  fare  il  sagrifizio  delle  sue  proprietà  (i).  Ma  questo 
era  il  principio.  Ben  altri  assai  più  costosi  sagrifizj  conveniva  pre- 
pararsi a  subire,  come  conseguenze  necessarie  della  guerra,  di  cui 
si  trattava.  La  mia  flussion  d'occhi  intanto  andava  aggravandosi  (2) 
e  mi  tormentava  sensibilmente. 

fCofttinua,) 


V,  pure  la  lettera  di  Buonaparte  a  Faipoult:  Vi?  vous  choistrai  tUux 
beaux  chevaux  panni  ceux  que  nous  requerrons  à  Milan  ;  ils  serviront 
à  vous  dissiper  des  ennuis  et  des  étiquettes  du  pays  où  vous  étes;  Cor' 
respondance  de  Napoìéon  /*'',  to.  I,  n.  476. 

(i)  Il  francofilo  Verri,  op.cit.,  p.  392,  ed  il  Becatiini,  op.  cit.,  lett  i.', 
avvicinano  questa  violazione  della  proprietà  alle  promesse  di  poche  ore 
prima.  Ed  il  Botta,  Storia  d'Italia  dal  /7<?p  al  1814^  to.  I,  l.  6.  •,  risolve 
la  contraddizione  narrando  che  **  essendo  i  padroni,  come  si  diceva,  ari- 
stocrati,  pareva  la  roba  loro  fosse  divenuta  quella  d'altrui.  „  In  ogni 
modo  il  Consiglio  generale  incaricò  quella  sera  stessa  i  decurioni  don 
Antonio  Vitali  e  conte  Carlo  Burini  "  per  assistere  alle  stime  ,  e  rila- 
sciare certificati  ai  proprietari. 

(2)  Pare  che  soffiasse  quel  giorno  "  molto  vento,  „  se  almeno  va 
presa  seriamente  l'afférmazione  del  Becattini,  op.  cit,  lete  i.*.  Le  ef- 
femeridi di  Brera  (osservazioni  pel  1796  del  padre  Frane.  Reggio),  cor- 
tesemente mostrateci  dal  dott.  M.  Rajna,  recano  per  il  giorno  14  maggio 
le  seguenti  indicazioni  : 

Mane 


Alt.  Bar. 

Alt.  therm. 

Status  coeli 

37,08 

12.6 
Ve  spere. 

0   ser. 

27.93 

17,3 

NO,  ser. 

VARIETÀ 


La  famiglia  di  Pinamonte  da  Vimercate 
secondo  nuovi  documenti. 


|i  quel  Pinamonte  da  Vimercate,  che  Tiscrizione  dell'arco 
di  porta  Romana  ricordava  come  console  di  Milano  al 
momento  della  riedificazione  (1171)  della  città  dopo  Tec- 
cidio  compiutone  dal  Barbarossa;  che  compariva  quale  podestà  di 
Bologna  negli  atti  di  Venezia  (11 77)  e  sottoscriveva  la  pace  di  Co- 
stanza (1183)  ^^  i^  trattato  di  Reggio  (1185)  come  rappresentante 
di  Milano,  la  tradizione  aveva  raccontato  molte  cose,  dicendolo 
autore  ed  anima  della  Lega  Lombarda,  oratore  a  Pontida,  riedifi- 
catore della  città  e  quasi  secondo  padre  di  essa,  come  Camillo  di 
Roma.  In  un  mio  breve  lavoro  (i),  raccogliendo  le  varie  fila  di 
codesta  narrazione,  ho  potuto  sceverare  quanto  di  vero  e  di  falso 
vi  si  contenga.  Pinamonte  nei  primi  atti  della  Lega,  come  risulta 
dai  vari  documenti  pubblicati  dal  Vignati,  non  ha  parte  veruna; 
probabilmente  non  fu  neppure  a  Pontida  o,  qualora  vi  sia  stato, 
non  pronunziò  certo  l'orazione,  remotissima  dalle  idee  di  quel  tempo, 
che  gli  vorrebbe  mettere  in  bocca  il  Corio. 

Della  famiglia  e  di  Pinamonte  uomo  privato  però  poche  cose 
io  avevo  potuto  dire,  e  anche  queste  non  nuove.  Dubitava  della 
sua  pretesa  nascita  a  Vimercate  :  dubitava  della  sua  dimora  in  Ci- 
sano  Val  San  Martino,  a  preparare  il  convegno  di  Pontida,  come 
scrisse  il  Dozio,  quando,  inaspettatamente,  un  documento  da  me 
rinvenuto  nell'Archivio  di  Stato  di  Milano,  è  uscito  fuori  a  spargere 
nuova  luce  sulla  vita  di  lui,  sulla  sua  parentela  ed  indirettamente 
sulle  condizioni  politiche  della  casata  sua. 

U  documento  è  del  1147  e  consiste  in  un  atto   di  vendita  dei 

(i)  E.  RiBOLDi,  Pinamonte  da  Vimercate,  Vimercate,  G.  Stucchi,  1901. 


142  LA  FAMIGLIA  DI  PINAMONTE   DA  VIMERCATE 

beni  di  Cisano  e  di  Caprino  fatta  dal  padre,  dal  fratello  di  Pina- 
monte  e  da  lui  medesimo. 

Padre  di  Pinamonte  fu  quell'Alcherio  da  Vimercate,  che  a 
capo  de'  milanesi  a  Cassano  d'Adda  (1158),  e  dopo  aver  combattuto 
valorosamente,  fatto  prigioniero,  perdette  la  vita.  Non  poche  cose 
la  tradizione  ricamò  anche  attorno  a  questo  personaggio  e  a  questo 
fatto,  i  quali  d'altra  parte  ci  attestano  quanto  elevata  fosse  la  con- 
dizione della  famiglia  di  Pinamonte  in  Milano  e  come  l'aureola  del 
martirio,  fin  dall'inizio  delle  ostilità  col  Barbarossa,  ne  coronasse 
il  nome.  Questi  precedenti  danno  facile  spiegazione  a  quanto  la  tra- 
dizione disse  poi  di  Pinamonte,  partecipe  della  nobiltà,  della  gloria 
e  della  simpatia  di  cui  era  già  circondato  il  nome  del  padre. 

Resta  poi  definitivametne  accertato  che  fin  dal  1147  i  beni  di 
Cisano  Val  San  Martino  non  appartevano  più  ai  Vimercati  e  che 
Pinamonte  non  potè  quindi  nel  borgo  donde  i  suoi  erano  deriviti 
lavorare  pel  Congresso  di  Pontida. 

Il  documento  inoltre  menziona  il  padre  di  Alcherio,  Teudaldo, 
del  quale  sappiamo,  grazie  ad  un  altro  documento  inedito  (i),  die 
era  figlio  di  Umberto  e  che  sino  dal  giugno  1095  dimorava  in  Mi- 
lano presso  la  chiesa  di  San  Fedele,  cui  donava  i  suoi  beni  di 
Agrate.  Il  medesimo  nel  1104  insieme  ad  un  altro  figlio  Teudaldo 
e  ad  un  Alcherio  di  Obizzone,  pure  dimorante  in  Milano,  facea 
dono  ai  canonici  della  pievana  di  Vimercate  de'  beni  ch'essi  quivi 
possedevano  (2);  e  da  questo  risulta  che  la  famiglia  dei  Vimercati 
già  viveva  in  Milano  e  non  aveva  più  beni  a  Vimercate. 

Infuna  carta  del  1059  pubblicata  dal  Lupi  compare  poi  come  figlio 
di  Obizzone,  Attone  da  Vimercate,  vescovo  di  Bergamo  ;  per  cui  rac- 
cogliendo insieme  queste  sparse  notizie,  possiamo  formare  della 
casata  l'albero  genealogico  che  segue: 


I  I 

Obizzone  Umbkkto 

I 


I  I 

Attone  Alcherio  Teudaldo 

Vescovo  di  *Berg-amo  tp.  Giala  I 

I  I 

Teudaldo  Alcherio 

sp.  Adelasia 


Pinamonte  Ospinklu» 

sp.  Baldina  sp.  Pere  fina 

(i)  Carta  del  Monastero  di  Santa  Redegonda  giugno  Z095,  ind.  Ili, 
nell'Archivio  di  Stato  di  Milano. 

(2)  Dozio,  Cartolario  Briantino,  Milano,  1858,  p.  65  e  sg. 


SECONDO   NUOVI   DOCUMENTI  I43 


*  * 


Vengo  ora  al  documento,  da  me  rinvenuto  : 

1147  maggio  X.  Alcherio  del  fa  Teudaldo  da  Vimercate,  Adelaide 
sua  moglie,  Pinamonte  e  Baldina  loro  figlio  e  nuora,  professanti  la  legge 
longobarda,  vendono  a  Pietro  del  fu  Guglielmo  e  a  Moscardino  del  fu 
Vitardo,  abitanti  in  Imbersago,  i  loro  averi  nella  villa  e  castello  di  Ci- 
sano  e  Caprino. 

Sulla  stessa  pergamena  e  di  seguito: 

1147  maggio  X.  Ospinello,  figlio  del  prenominato  Alcherio,  e  Pere- 
gina  sua  moglie,  professanti  la  legge  longobarda,  in  presenza  di  Gè- 
zone,  messo  di  Pietro  e  Moscardino,  consentono  alla  medesima  vendita 
nelle  stesse  condizioni.  Questo  secondo  strumento,  identico  al  primo, 
non  ho  creduto  necessario  pubblicarlo. 

Manca  in  entrambi  gli  atti  il  giorno. 

Originale  in  pergamena,  di  cm.  38  x  34,  in  buon  stato,  tra  le  carte  del 
convento  di  S.  Giacomo  di  Ponti  da  nell'Archivio  di  Stato  di  Milano. 

Scrittura  di  una  sola  mano,  abbastanza  chiara,  minuscola  corsiva 
con  aste  allungate  nella  prima  linea  dei  due  strumenti:  numerose  ab* 
breviature  e  molte  lettere  aggiunte  superiormente  alle  parole.  I  carat- 
teri del  primo  atto  sono  pallidi,  quelli  del  secondo  neri,  su  linee  irre- 
golari tirate  con  la  punta  a  secco  in  numero  di  35  (19  pel  primo,  16 
pel  secondo  strumento). 

S'avvertono  chiaramente  molte  cassature.  Nell'atto  primo  in  fine 
della  sesta  linea,  nella  settima,  nella  undecima  e  dodicesima:  nel  se- 
condo alla  quarta  linea  e  due  aggiunte  interlineari  della  stessa  mano 
alla  terza  e  quarta. 

Identici  i  due  notai,  i  segni  del  tabellionato  ed  autografe  le  firme 
del  messo  regio  :  la  prima  è  coperta  in  fine  da  una  macchia  oscura.  La 
punteggiatura  è  abbastanza  corretta;  incerta  invece  l'ortografia.  In  fine 
poi  in  luogo  di  iestium  è  scritto  iesiiuorufHf  certo  per  trascorso  di  penna. 

Il  nome  Pinamonte  è  scritto  Spinamente.  Abbiamo  qui  un  esempio 
di  s  prostetico,  aggiunto  **  quasi  per  afiettazione  plebea  ^  talvolta  a  voci 
letterarie:  cfr.  cosi  StijBÌan=z  Tiziano  in  friulano  {Arch,  Giotto/.,  I,  415). 

A  tergo  della  pergamena,  di  mano  antica,  forse  eguale,  a  caratteri 
majuscoli  allungati  con  inserta  qualche  lettera  minuscola  e  con  abbre- 
viature caratteristiche,  è  scritto  tra  due  righe  tirate  con  la  punta  a 
secco:  Carta  Petri  et  Moscardino  (sic)  de  Amberiiago  quamfecit  Alcherius 
de  Vicomercato  de  sorte  una  in  loco  Cixano  que  laborabatur  per  Andream 
^nagistrum.  —  Un'altra  mano  più  recente  aggiunse  al  di  sopra,  in  senso 
inverso,  segnature  d'archivio. 

Regesto:  Musasum  diplomaticum  ms«  nell'Archivio  stesso,  voL  III, 
monastero  di  San  Giacomo  in  Pontida. 

Ezio  Riboldi. 


L_,      _ 


144  ^^   FAMIGLIA   DI   PINAMONTE   DA  VIMERCATE 


DOCUMENTO 


In  cristi  nomine  Anno  ab  Incamatione  domini  nostri  Ihcsu  cristi 
Millesimo  centesimo  quadragesimo  septimo  mense  madii  indictione  d^ 
cima  :  Constat  nos  Alcherium  fìlium  quondam  teudaldi  de  uico  mercato 
et  adelaziam  jugalem.  et  spinamontem  fìlium  infrascrìpti  alcheriL  et 
baldinam  iugalem.  qui  professi  sumus  nos  lege  uiuere  longobardonun. 
michi  que  supra  adelasie  consentìente  infrascrìpto  alcherio  uiro  et 
mondoaldo  meo.  et  michi  qui  supra  spinamonte  consentìente  (su)  in- 
frascrìpto alcherio  genitore  meo  et  michi  que  supra  baldine  consen* 
dente  infrascrìpto  spinamonte  uiro  et  mondoaldo  meo.  et  ut  legis 
habet  auctorìtas  una  cum  noticia  domini  bertram  missi  domini  lotarii 
regis  a  quo  interrogate  et  inquisite  sumus  nos  que  supra  adeiasia 
et  baldina  si  ullam  pateremu^  uiolentiam  ab  ìpsis  uirìs  et  mondoaldis 
nostris  uel  ab  alio  homine  nec  ne.  Quidem  et  nos  que  supra  ade- 
iasia et  baldina  coram  ipso  misso  et  coram  testibus  certam  facimus 
professionem  et  manifestationem  quod  nulla  patimus  uiolentiam  ab  ipsìs 
uirìs  nostris  nec  ab  aliquo  homine.  sed  nostra  bona  et  spontanea  uo- 
luntate  hanc  cartam  uendictionis  facere  uise  sumus.  Accepisse  siculi 
et  in  presentia  testium  manifesti  sumus  quod  accepimus  insimul  a  te 
petro  fìlio  quondam  uillelmi  a  moscardino  fìlio  uitardi  habitatoribus  in 
loco  amt>ertiago.  argenti  denariorum  honorum  mediolani  ueteris  monete 
libras  duodecim.  Finito  pretio  sic  inter  nos  conuenìmus  prò  contis  casis 
et  omnibus  rebus  terrìtorìis  tam  communis  quamque  diuisis  tam  sedi- 
minibus  cum  edifìciis  casarum  siue  in  uilla  siue  in  castro  de  cixano.  et 
insuper  campis.  pratis.  ueneis.  siluis.  castaneis.  stellariis  ac  roboreis 
pasculis  communantiis.  rìpis.  rupinis  et  omnia  quam  andreas  maister 
de  isto  loco  cixano  et  de  caurìno  (i)  et  in  eisdem  terrìtorìis.  cum  om- 
nibus honorìbus  usibus  et  conditionibus  et  distrìcto  atque  integrìtate  ad 
ipsam  tenudam  pertinentibus  in  integrimi.  Quas  autem  res  superius 
dictas  qualiter  superius  uel  cum  superìorìbus  et  inferìorìbus  seu  cum 
fìnibus  et  accessionibus  suarum  in  integnim  ab  a.^..  die  uobis  qui  supra 
petro  et  moscardino  prò  infrascrìpto  pretio  vendimus  tradimus  manci- 
pamus  et  faciatis  exinde  uos  uestrìque  heredes  et  cui  uos  dederitis  iure 
proprietarìo  siue  liuellarìo  nomine  quidquid  uoluerìtis  sine  omni  nostra 
et  heredium  nostrorum  contradictione.  Quidem  spondimus  atque  prò- 
mittimus  nos  qui  supra  uenditores  una  cum  nostris  heredibus  uobis  qui 
supra  petro  et  moscardino  uestrìque  heredibus  seu  cui  uos  dederitis 
predictas  res  omnes  qualiter  superìus  vel  in  integrum:  omni  tempore 
ab  omni  contradicente  homine  defensare,  quod  si  defendere  non  potue- 
rimus  aut  si  contra  hanc  cartam  agere  quesierìmus  tunc  infrascriptas 

(i)  Caprino,  luogo  vicino  a  Cisano  in  Val  San  Martino. 


SECONDO  NUOVI   DOCUBIENTI  I45 

res  uobis  in  duplum  resti  tu  amus  sicut  prò  tempore  fuerìnt  meliorate 
aut  uoluerìt  sub  extimatione  in  consìmillibus  locis.  Quia  sic  inter  nos 
conuenimus.  Actum  insta  ecclesiam  sancti  ambrosii  de  bribio. 

Signum  manum  infrascriptorum  alcherii  et  adelaxie  iugalium.  et 
spinamons  et  baldine  iugalium  qui  hanc  cartam  uendictionis  ut  supra 
fieri  rogauerunt  et  ipse,  alcherius  eidem  uxori  sue  consensit  et  fìlio  et 
ipse  spinamonte  eidem  uxori  sue  consensit  ut  supra. 

Signum  manum  gezonis  de  cixano  et  beguzii  de  leuco  et  gandulfì 
de  marentio  et  uital  carongia  de  uelate  et  iohannis  et  uital  de  cazulino 
et  iohannis  mura  testiuorum. 

Ego  betram  (sic)  missus  dompni  tertii  lothari  imperatoris  istas  fem- 
minas.». 

Ego  uitalis  notarius  et  causidicus  scrìpsi  post  traditam  compleui 
et  dedi. 


Di  chi  fu  figlio  Giovanni  da  Oleggio? 


|resso  gli  storici  moderni  (i)  comunemente  si  rinvien 
scritto  che  Giovanni  da  Òleggio  fu  figlio  naturale 
deirarcivescovo  Giovanni  Visconti  di  Milano  ;  ma  tale 
opinione  non  è  confermata  da  alcuna  prova  manifesta  all'infuori 
della  testimonianza  di  cronisti,  la  maggior  parte  dei  quali  non 
sono  contemporanei. 

Ma  neppure  fra  costoro  esiste  pieno  accordo  in  proposito, 
Piegando  Pietro  Azario  questa  paternità  (2),  che  altri  afferma  più 
0  meno  recisamente. 

Perchè  alla  versione  dell'Azario,  che  per  varie  ragioni  po- 
teva sembrare  più  prossima  al  vero,  prevalse  Taltra  che  pure  an- 
dava incontro  a  parecchie  difficoltà? 

Anche  ammettendo  che  Giovanni  da  Oleggio  fosse  figlio  na- 
turale dell'arcivescovo,  come  si  giustifica  la  presenza  dei  due  lo- 
cativi, coi  quali  egli  è  conosciuto  presso  i  più  autorevoli  cronisti? 

Infatti  il  Villola,  cronista  contemporaneo  bolognese,  par- 
lando di  Giovanni  da  Oleggio,  aggiunge  il  qualificativo  t  dei  Ve- 
«schonti  de  Millano»  (3);  ed  in  tale  maniera  è  denominato  in 
quasi  tutte  le  croniche  bolognesi. 

(0  P.  Orsi,  Signorie  e  Principati,  Milano,  Vallardi,  p.  113;  L.  Frati, 
documenti  Per  la  storia  del  dominio  visconteo  in  Bologna,  in  quest'air- 
^^wo  ser.  II,  voi.  VI,  1889,  p.  537- 

(a)  P.  AzARn,  Chronicon,  in  Muratori,  /?.  L  S.,  XVI,  328. 

13)  Villola,  Cron.  in  Bibl.  Univers.  di  Bologna  ms.  1456,  anno  1351. 

^'v*  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV. 


IO 


146  DI  CHI  FU  FIGLIO  GIOVANNI   DA  OLEGGIO? 

E'  possibile  che  con  questa  espressione  il  cronista  volesse 
alludere  all'incerta  o  creduta  origine  di  lui  ;  ma  essa  è  cosi  vaga 
ed  indeterminata,  che  più  naturale  riesce  il  credw^  che,  col  primo 
aggiunto,  abbia  voluto  indicare  il  luogo  di  nascita  e,  coH'altro  la 
famiglia  cui  apparteneva. 

Ma  la  famiglia  dei  Visconti  da  molto  tempo  erasi  divisa 
in  vari  rami,  che  traevano  la  denominazione  dal  luogo  principale 
della  loro  dimora. 

Già  fin  dal  secolo  XI  afiFerma  il  Giulini  di  aver  ritrovato  due 
linee  dei  Visconti,  le  quali  in  seguito  diedero  origine  a  parecchie 
altre  (i). 

Pietro  Azario  osserva  che  quando  nacque  il  grande  Matteo, 
e  poi  venendo  innanzi  fino  al  tempo  in  cui  Ottone,  suo  prozio, 
diventò  arcivescovo  di  Milano,  la  loro  famiglia  non  aveva  molto 
grande  patrimonio,  perchè  allora  non  possedeva  che  le  terre  di 
Invorio  inferiore  e  di  Oleggio  Castello  colle  loro  pertinenze,  ed 
altri  beni  in  Masino  ed  alcuni  luoghi  del  Vergante  (2). 

Il  Giulini  inoltre  cita,  togliendolo  da  Galvano  Fiamma,  un 
documaito  dell'anno  1277,  nel  quale,  per  ordine  di  Ottone  arci- 
vescovo, sono  registrate  tutte  le  famiglie  nobili  della  città  e  con- 
tado di  Milano,  tra  cui  dovevano  scegliersi  gli  ordinari  della 
Metropolitana. 

In  questo  documento  trovansi  annoverate  sei  famiglie  di  Vi- 
sconti, due  delle  quali  distinte  coll'aggiunto  di  t  Oleggio  •  e  di 
€  Oleggio  Castello»  (3). 

Paolo  Giovio,  scrittore  di  età  posteriore,  ricorda  im  solo  ramo 
dei  Visconti  da  Oleggio  (4),  forse  perchè  l'altro  al  tempo  suo  si 
era  estinto. 

Ora,  poiché  veramente  esistette  una  famiglia  tda  Oleggio», 
unita  in  parentela  coi  Visconti  di  Milano,  sembra  inverosimile  il 
fatto  che,  contro  tutte  le  consuetudini  antiche  e  moderne,  un  figlio 
naturale  potesse  assumere  un  nome  che  non  gli  spettava  ed  en- 
trare in  ima  famiglia  a  cui  non  apparteneva. 

Ciò  sarebbe  forse  stato  possibile  soltanto  nel  caso  in  cui  non 
fossero  esistite  altre  famiglie  collo  stesso  aggiunto.  Un'ultima 
considerazione  si  deve  fare  intomo  all'età  di  Giovanni  da  Oleggio 
e  dell'arcivescovo.   Non  è  noto  l'anno  preciso  in  cui  nacque  il 

(i)  Giulini,  MtmorU  della  città  €  campagna  di  Mi/a$to,  Milano»  1854, 
Tol.  IV,  p.  45a 

(2)  AzARio,  Op.  cit.,  e.  301,  B. 

(3)  Giulini,  op.  e  loc.  cit,  p.  456». 

(4)  P.  Giovio,  Viic  dei  dodici  Visconti,   Venezia,  1549^  lib.  I,  p.  7. 


DI  CHI  FU  FIGLIO   GIOVANNI  DA   OLEGGIO?  I47 

primo,  ma,  per  testimonianza  deirAzario,  si  sa  che  egli  abbandonò 
la  carriera  ecclesiastica  a  trentadue  anni  e  che  in  seguito  si  diede 
a  coprire  pubblici  uffici.  Il  Litta  dice  che  prima  divenne  podestà 
di  Novara,  poi  di  Asti  nel  1340  (i). 

Se  in  quell'anno  aveva  oltrepassato  l'età  accennata  dall'Azario, 
è  chiaro  che  dovette  nascere  verso  il  1307.  Ma  per  coprire  l'ufficio 
di  podestà  gli  statuti  richiedevano  almeno  i  trentacinque  anni  ; 
cosi  che  Giovanni  da  Oleggio  verosimilmente  nacque  nel  1304, 
nel  qual'aimo  l'arcivescovo  entrava  nel  quattordicesimo  di  sua  età 
essendo  nato  nel  1290.  Non  può  quindi  esser  creduto  padre  in  così 
tenera  età. 

A  quale  delle  due  famiglie  denominate  tda  Oleggio»  appar- 
tenga Giovanni,  risulterà  più  innanzi  dalla  testimonianza  dello 
stesso  Azario  e  da  altri  documenti. 

Ora  credo  opportuno  occuparmi  a  rintracciare  brevemente  la 
origine  e  la  causa  per  la  quale  si  rese  possibile  il  sorgere  ed  il 
divulgarsi  dell'errore  intomo  alla  paternità  di  luL 

Quasi  subito  dopo  l'acquisto  di  Bologna,  Giovanni  da  Oleg- 
gio venne  quivi  mandato  dall'arcivescovo  in  qualità  di  capitano 
del  popolo  e  suo  luogotenente  per  governare  l'importante  città. 

E'  noto  ch'egli  rimase  in  tale  ufficio  sino  alla  morte  dell'am- 
bizioso prelato  e  che,  essendogli  succeduti  i  nipoti,  pochi  mesi 
dopo  usurpò  il  governo  della  città  e  vi  fondò  la  propria  domi- 
nazione. 

Giova  quindi  vedere  quali  notizie  contengano  in  proposito 
k  croniche  bolognesi. 

Notevole  è  il  fatto  che  neppur  una  delle  croniche,  dal  Sor- 
belli  giudicate  contemporanee  (2),  reca  particolari  indicazioni  a 
proposito  della  paternità  ;  onde  si  può  credere  che  la  diceria  in 
quel  tempo  fosse  ignota  ai  Bolognesi,  oppure  che  i  cronisti  per  ra- 
gioni loro  speciali  non  stimassero  conveniente  farne  il  minimo 
cenno. 

Escuse  perciò  le  croniche  contemporanee,  prendo  in  esame 
le  rimanenti  senza  occuparmi  del  tempo  in  cui  sono  state  com- 
poste. 

Per  il  loro  numero  considerevole  e  per  la  varietà  del  conte- 
nuto le  divido  in  gruppi,  secondo  la  forma  colla  quale  è  registrata 
la  diceria. 

Il  primo  gruppo  è  formato    dalle    croniche    contenute    nei 

(i)  Litta,  Famiglie  celebri  italiane^  Visconti,  tav.  IIL 
(2)  SoRBELU,  Le  croniche  bolognesi  del  secolo  XI V^  Bologna,  Zani- 
chelli, 1900,  p.  61  e  sgg. 


148  DI  CHI  FU  FIGLIO  GIOVANNI  DA  OLEGGIO? 

codd.  430,  1409,  141  o,  1843,  ^90,  della  Biblioteca  Universitaria 
di  Bologna  e  da  quelle  dei  codd.  G,  I,  12,  G,  I,  29,  G,  I,  34,  ddh 
Municipale. 

In  quasi  tutte  le  croniche  indicate  trovasi  ripetuta  la  notizia 
della  paternità  delFOIeggio  press'a  poco  colle  stesse  parole  (i). 

Il  secondo  gruppo  è  compreso  dalle  croniche  dei  codd.  408, 
1065,  1327,  deirUniversitaria  e  dei  codd.  G,  I,  16,  K,  I,  38,  K,  II, 
68  della  Municipale,  le  quali,  abbandonando  la  prima  forma  du- 
bitativa, affermano  la  paternità  come  fatto  certo. 

Faimo  parte  del  terzo  gruppo  i  due  codd.  582,  585,  deirUni- 
versitaria,  nei  quali  Giovanni  da  Oleggio  è  detto  nipote  bastardo 
dell'arcivescovo  di  Milano. 

Finalmente  il  quarto  gruppo  è  formato  dai  codd.  1438,  1439^ 
1971,  437,  9C*  deirUniversitaria  e  dal  codice  Hercolani  70,  della 
Municipale. 

Quest'ultimo  gruppo  è  interamente  composto  dalle  cronicbe 
dal  Sorbelli  chiamate  cFileneei,  perchè,  o  furono  compilate  da 
Fileno  dalla  Tuata,  o  direttamente  da  lui  derivano.  Esse  vanno 
distinte  dalle  precedenti  per  ima  notizia,  della  quale  non  mi  è 
stato  possibile  trovare  la  fonte.  I  fratelli  Matteo,  Galeazzo  e  Ber- 
nabò Visconti  sono  detti  figli  dell'arcivescovo  e  Giovarmi  da  Oleg- 
gio loro  fratello  bastardo. 

Tutte  le  croniche  citate  contenenti  indicazioni  sulla  paternità 
di  Giovanni  da  Oleggio,  secondo  i  risultati  del  Sorbelli,  (2)  fu- 
rono scritte  dopo  la  seconda  metà  del  secolo  XVI. 

Ora  non  trovandosi  alcuna  traccia  della  diceria  prima  di 
questo  tempo,  è  necessario  ammettere  che  i  cronisti  bolognesi  po- 
steriori abbiano  attinto  ad  altra  fonte  la  notizia  che  in  qualdic 
modo  riguardava  la  loro  città. 

Ma  essa  era  diretta  specialmente  a  colpire  i  Visconti  e  perdo 
dobbiamo  cercarne  gli  autori  fra  i  nemici  dei  potenti  Signori  di 
Milano. 

Nella  lotta  che,  le  città  ancora  rette  a  libero  reggimento  nel 
secolo  XIV,  ebbero  a  sostenere  contro  le  Signorie  tendenti  ad  af- 
fermarsi ed  a  stabilire  solidamente  uno  Stato,  i  Visconti  lunga- 
mente ed  aspramente  contesero  colla  repubblica  fiorentina.  Essi 
dopo  aver  attraversato  un  lungo  periodo  di  fortunose  vicende  po- 

(i)  Cito  alcune  varianti:  Cod.  430,  anno  1354:  "  el  quale  [Giovanni 
da  Oleggio]  se  tegniva  che  fusse  suo  fìolo  bastardo.  ^  Cod.  1409:  '  se 
•  dixea  eh'  iera  s.  f.  b.  „  Cod.  1410:  "  se  tignea  et  era  s.  f.b.  ,  Cod.  1843: 
"  e  si  dixea  che  l'era  „  etc. 

(2)  Bordelli,  op.  e  loc.  cit. 


DI  CHI  FU   FIGLIO   GIOVANNI    DA   OLEGGIO?  I49 

litiche,  avevano  saputo  trovare  il  modo  di  erigersi  a  principali 
rappresentanti  delle  idee  e  degli  interessi  ghibellini  in  Lombardia, 
ed  in  seguito  di  estendere  colla  potenza  e  colla  gloria  rapida- 
mente acquistata  il  loro  dominio  in  molte  città. 

La  fortuna  ed  il  favore  che  ogni  giorno  andavano  trovando 
presso  il  popolo  le  Signorie,  e  specialmente  la  potenza  crescente 
dei  Visconti,  destò  un  grande  spavento  negli  Stati  vicini,  che, 
essendo  deboli  e  divisi,  sentivano  seriamente  minacciato  il  loro  av- 
venire e  la  loro  libertà. 

Fra  le  città  direttamente  prese  di  mira  dall'aggressiva  poli- 
tica viscontea,  quella  che  più  aveva  a  temere  per  la  propria  inte- 
grità era  Firenze,  la  cittadella  dei  guelfi  in  Toscana,  che  con  ogni 
mezzo  cercava  d'impedire  ai  Visconti  ogni  intervento  ed  ogni  im- 
presa dannosa  ai  proprii  interessi  ed  al  proprio  sviluppo. 

Giovanni  Villani,  nella  sua  Cronica,  parlando  della  guerra 
contro  i  Pisani  per  il  possesso  di  Lucca  ed  accennando  agli  aiuti 
che  Luchino  Visconti  mandò  contro  i  Fiorentini,  seriamente  im- 
pegnati nella  difesa  di  quella  città,  dice  che  l'esercito  milanese  era 
condotto  da  Giovanni  da  Oleggio  suo  nipote  (i). 

Quasi  colle  stesse  parole  si  trova  pure  registrata  la  notizia 
nella  Cronica  di  Pisa  sotto  l'anno  1341,  nel  quale,  com'è  noto,  av- 
venne l'accennata  guerra  (2). 

Nella  battaglia  avvenuta  presso  la  Ghiaia,  nella  quale  rifulse 
la  fortuna  delle  armi  fiorentine,  Giovanni  da  Oleggio  essendo  ri- 
masto prigioniero,  era  stato  condotto  a  Firenze,  e,  poco  dopo,  aveva 
ottenuta  la  libertà  sopratutto  per  l'intervento  del  duca  d'Atene. 

Qualche  tempo  dopo  Giovanni  da  Oleggio  aveva  tentato  di 
stabilire  in  Pisa  la  sua  Signoria  ;  ma  scoperta  la  trama,  era  stato 
costretto  a  fuggirsene  ;  ed  a  nulla  valsero  gli  aiuti  mandatigli 
dal  Signore  di  Milano  perchè  riuscisse  il  fallito  disegno. 

Matteo  Villani,  venendo  a  parlare  della  guerra  che  nel  1351 
l'arcivescovo,  divenuto  Signore  di  Milano,  portò  contro  Firenze, 
nota  che  questi  fece  capitano  dell'esercito  milanese  lo  stesso  Gio- 
vanni da  Oleggio,  t  il  quale  per  fama  si  tenea  essere  suo  figliuo- 
lo! (3).  Questo  passo  è  sopratutto  notevole  perchè  con  qualche 
leggerissima  variante  trovasi  riprodotto  e  riportato  nelle  croniche 
bolognesi  del  primo  gruppo. 

Né  si  può  dubitare  che  i  cronisti  bolognesi  non  abbiano  at- 

(1)  Giovanni  Villani,  Historie,  lib.  II,  cap.  CXXX. 

(2)  Ranieri  Sardo,  Cronica  di  Pisa,  in  Muratori,  R.  I,  S.,  v.  XV, 
cap.  LXXIX. 

(3)  Matteo  Villani,  Historie,  lib.  II,  cap.  V. 


Z50  DI  CHI  FU  FIGUO  GIOVANNI  DA  OLEGGIO? 

tinto  dal  Villani,  perchè  in  nessun  altro  cronista  fiorentino  o  to- 
scano trovasi  accenno  che  si  riferisca  all'Oleggio  nella  fomia 
citata. 

Questo  fatto  è  più  che  sufficiente  per  stabilire  il  tempo  ed  il 
luogo  in  cui  nacque  e  si  divulgò  la  diceria,  la  quale,  come  dicemmo, 
fu  prodotta  sopratutto  dal  profondo  odio  politico  dei  Fiotentim 
contro  i  Visconti,  e  particolarmente  contro  l'arcivescovo  e  oontio 
Giovanni  da  Oleggio,  per  la  parte  importantissima  che  questi  dibe 
in  ogni  impresa  viscontea  a  danno  della  Toscana.  Scomparsa  la 
causa  che  aveva  prodotto  quest'odio,  anche  il  ricordo  della  diceria 
si  dileguò  ;  cosi  nelle  croniche  posteriori  non  vi  fu  ragione  di 
fame  cenno. 

Ho  detto  che  le  croniche  bolognesi  contenenti  indicazìcmi 
sulla  paternità  dell'Oleggio,  secondo  il  Sorbelli,  appartengono 
alla  seconda  metà  del  secolo  XVI. 

Considerando  che  la  prima  edizione  della  Cronica  di  Gio- 
varmi Villani  venne  alla  luce  Tanno  1537  e  che  parecchie  alte 
comparvero  a  pochi  anni  di  distanza  (i),  nessuna  cronica  bolo- 
gnese contenente  indicazioni  sulla  paternità  delTOleg^o  essendo 
anteriore  all'accennata  edizione,  è  necessario  concludere  che  i  cro- 
nisti bolognesi  trassero  quella  notizia  dai  fiorentini,  ai  quali  ri- 
sale l'origine  e  la  fonte  di  essa. 

Trovata  cosi  la  fonte  e  veduto  il  modo  col  quale  la  notizia 
si  divulgò  attraverso  quasi  tutti  i  cronisti  bolognesi,  restano  ad 
esaminarsi  le  croniche  milanesi  contemporanee  che  ho  potuto  ve- 
dere. 

Prima  però  accennerò  ad  un  documento  che,  sebbene  per  la 
nostra  questione  abbia  pochissima  importanza,  ser\'e  tuttavia  a 
dare  un'idea  dell'oscurità  in  cui  era  avvolta  l'origine  di  Giovanni 
da  Oleggio  e  dei  mezzi  di  cui  si  serviva  un  nemico  per  denigrare 
l'avversario. 

Nel  20  marzo  1356  il  podestà  di  Milano  per  ordine  di  Ga- 
leazzo Visconti  intentò  un  processo  di  tradimento  contro  Giovanni 
da  Oleggio,  per  l'usurpazione  del  governo  di  Bologna  e  per  l'uc- 
cisione di  alcuni  partigiani,  i  quali,  stando  nella  città  come  uffi- 
ciali del  Signore  di  Milano,  avevano  congiurato  per  uccidere 
l'usurpatore  (2). 

Nell'atto  di  accusa  ad  arte  si  evita  di  chiamarlo  un  Visconti 

(i)  Bkunet,  Manuel  du  libraire^  lo,  V,  p.  1225. 

(2)  Il  processo  per  intero  fu  fatto  inserire  per  ordine  di  Galeazzo, 
negli  Statuti  delle  città  a  lui  soggette.  Cfr.  Mon,  Hist.  ad  Prov.  Pwr- 
mensent  et  Placentinatfty  voi.  Ili,  p.  332  e  sgg. 


m  CHI  FU  FIGLIO   GIOVANNI   DA   OLEGGIO?  I5I 

per  aver  modo  di  applicargli  fra  gli  altri  epiteti  ingiuriosi  anche 
quello  di  cspurius»,  col  quale  Galeazzo  pubblicamente  intendeva 
di  confermare  la  fama  intomo  alla  nascita  di  lui. 

Ma  basta  notare  che  la  testimonianza  di  cronisti  contempo- 
ranci  autorevoli,  fra  i  quali  TAzario,  toglie  ogni  valore  all'asser- 
zione di  Galeazzo,  senza  considerare  che  la  mortale  inimicizia  fra 
i  due  Visconti  spingeva  Tuno  a  dir  scientemente  il  falso  per  dan- 
neggiare l'altro. 

Galeazzo  meglio  di  qualunque  altro  era  in  grado  di  conoscere 
la  vera  origline  di  Giovanni  da  Oleggio. 

Due  sono  le  croniche  lombarde  che  prendo  in  esame. 

Il  Chronicon  Placentinum  riferendo  il  fatto  dell'usurpazione 
del  governo  di  Bologna  in  daimo  di  Matteo  Visconti  aggiunge 
che  avvenne  per  opera  di  un  certo  suo  parente  di  nome  Giovarmi 
da  Oleggio  (i). 

Ma  la  sola  cronica  in  cui  si  trovano  riferite  importanti  notizie, 
è  quella  di  Pietro  Azario.  In  essa  egli  attesta  che  fu  amico  dei 
Visconti,  dei  quali  scrisse,  com'è  noto,  con  molta  fedeltà  le  vite 
mettendo  in  chiaro  i  grandi  meriti  e  le  eccellenti  attitudini  di  go- 
verno da  essi  possedute.  Nell'anno  135 1  venne  mandato  a  Bo- 
logna dall'arcivescovo  in  qualità  di  notaio  degli  stipendiaci  e 
segui  Giovanni  da  Oleggio  nella  spedizione  contro  Firenze.  Ter- 
minata la  guerra  egli  rimase  in  Bologna  collo  stesso  ufficio  fino  a 
pochi  mesi  dopo  la  morte  dell'arcivescovo  (2). 

L'Azario  oltre  a  dare  spiegazioni  intomo  al  modo  ed  alla 
causa  per  la  quale  nacque  e  trovò  credito  la  diceria,  quasi  a  per- 
suadere gli  avversari  dei  Visconti  e  particolarmente  i  Fiorentini, 
presso  i  quali  indubbiamente  la  trovò  divulgata  al  tempo  della 
sua  dimora  in  Toscana,  racconta  un  fatto  del  quale  fino  ad  ora 
non  fu  tenuto  conto  ;  ma  che,  dopo  ciò  che  abbiamo  detto,  acquista 
importanza  e  valore  storico. 

Scrivendo  la  vita  di  Giovanni  Visconti  da  Oleggio,  l'Azario 
narra  che  questi  era  stato  sollevato  dalla  povertà  e  dalla  miseria 
in  cui  era  nato,  per  opera  sopratutto  dell'arcivescovo  Giovarmi,  il 
quale  ammirando  l'ingegno  e  la  virtù  del  giovane,  lo  aveva  av- 
viato per  la  carriera  ecclesiastica  ;  e  prima  lo  fece  suo  t  domi- 
cello»,  poi  cimiliarca  della  Metropolitana.  Ma  l'arcivescovo,  al 
quale  la  dignità  ecclesiastica  non  impediva  di  essere  ambizioso  e 
di  desiderare  i  beni  mondani,  «aveva  bisógno  di  un  uomo  fedele 
e  devoto  che  sapesse  interpretare  e  mettere  in  opera  i  suoi  disegni 

(1)  Chronicon  Piacenttnum,  in  Muratori,  R,  L  S.,  XVI,  e.  500, 1.  C. 
(a)  AzARio,  op.  cit.,  e.  328,  £. 


DI   CHI   FU  FIGLIO   GIOVANNI    DA   OLEGGIO?  I53 

l'importante  racconto  ricordandoci  altresì  il  nome  del  padre  di 
Giovanni  da  Oleggio.  Forse  il  lungo  periodo  di  tempo  trascorso 
dall'avvenimento  al  quale  accennava  soltanto  per  incidenza,  fu 
causa  della  sua  dimenticanza  (i). 

Mentre  io  stava  attendendo  alla  ricerca  di  documenti  per  un 
lavoro  che  ho  intrapreso  sulla  storia  del  dominio  di  Giovanni  da 
Oleggio  in  Bologna,  mi  vennero  sott'occhio  parecchi  documenti, 
i  quali  compiono  le  notizie  dell'Azario  e  risolvono  la  questione. 

Alcuni  di  questi  documenti  verranno  pubblicati  quando  ap- 
parirà in  luce  il  lavoro  accennato  ;  per  ora  mi  limito  a  riportarne 
quattro  brevissimi  che  appartengono  ai  libri  dei  Memoriali  di  Cam- 
pagna esistenti  nel  R.  Archivio  di  Stato  di  Bologna. 

Il  primo  è  un  atto  di  procura  fatta  t  per  Magnificum  et  excel- 

•  sum  dominum  dominum  lohannem  Vicecomitem  de  Olegio  ge- 

•  neralem  gubematorem  et  dominum  civitatis  Bononie,  filium  con- 
tdam  domini  phylipi  Vicecomitis  de  Olegio  in  discretum  virum 
fzanotum  condam  domini  tomaxy  de  Bocha  diocesis  novariensis 

•  ad  contenta  in  Instrumento  hodie  facto  bononie  in  camara  chu- 

•  bicullaria  prefati  domini  constituentis  denunciato  per  partes  et 
cnotarium  qui  notam  dimixit»  (2). 

Da  questo  documento  risulta  dunque  che  Giovanni  da  Oleg- 
gio non  fu  figlio  dell'arcivescovo  Giovanni  Visconti  di  Milano, 
ma  di  Filippo  Visconti  da  Oleggio,  senza  dubbio  di  colui  che, 
come  accenna  l'Azario,  era  stato  ucciso  nel  castello  di  Oleggio  du- 
rante una  delle  numerose  fazioni  di  guerra  tra  guelfi  e  ghibellini 
in  Lombardia  al  principio  del  secolo  XIV.  Tutti  i  documenti  da 
me  veduti  coll'indicazione  della  paternità  di  Giovanni  da  Oleggio, 
concordano  nel  nome  del  padre  suo  ;  il  che  toglie  qualunque  dub- 
bio in  proposito. 

Nei  Memoriali  si  trovano  inoltre  accennate  le  paternità  di 
parecchi  nipoti  dell'Oleggio,  alcuni  dei  quali  sono  nominati  dal- 
TAzario. 

Cosi  Giovanni  da  Oleggio  è  zio  paterno  di  Giacomino  figlio 
di  Giovannolo  da  Oleggio  (3),  è  zio  di  Ubertino  figlio  di  Si- 
mone (4),  di  Franco,  Oliviero  e  Rolando  figli  di  Maffeo  (5). 

(i)  La  cronica  dell' Azario   finisce  nell'anno  1370.   La   distruzione 
del  castello  di  Oleggio  risale  intorno  all'anno  1320. 

(2)  Archivio  di  Stato  di  Bologna,  Memoriali  di  Campagna,  l'j  ot- 
tobre 1358. 

(3)  V.  append.,  doc.  I. 

(4)  V.  append.,  doc.  IL 

(5)  V.  append.,  doc.  Ili  e  IV,  ove  diamo  un   albcretto  de'  Visconti 
d'Oleggio  vissuti  sugli  inizi  del  sec.  XIV. 


154  DI  CHI  FU  HGUO  GIOVANNI  DA  OLEGGIO? 

Questi  ed  altri  nipoti,  venuti  a  Bologna,  tenevano  importanti 
uffici  ed  aiutavano  Io  zio  nel  governo  della  città.  Così  ho  dimo- 
strata l'origine  legittima  di  Giovanni  Visconti  da  Oleggìo,  risa- 
lendo alle  cause  che  fecero  sorgere  la  dicerìa  della  sua  paternità 
è  indicando  il  modo  col  quale  si  divulgò  e  passò  nei  cronisti  bo- 
lognesi e  di  poi  negli  storici  moderni. 

Giovanni  da  Oleggio  restava  al  governo  di  Bologna  non  per- 
chè fosse  figlio  naturale  dell'arcivescovo,  ma  perchè  era  l'uomo 
adatto  all'importantissimo  ufficio  di  reggere  quella  città,  costata 
ai  Visconti  tanto  denaro  e  tante  fatiche,  che  minacciosa  proten- 
deva i  suoi  confini  verso  il  territorio  fiorentino,  servendo  come 
base  d'operazione  per  future  conquiste. 

Lino  Sighinolfl 


APPENDICE 


I. 

Memoriali  di  Campagna,  j  agosto  IJJ4.  Prowisore  di  Sr 

GNORELLO   DE*  SiGNORELLI. 

(Archivio  di  Stato  di  Bologna). 

Nicolaus  condam  Jacobi  de  canonicis concessionis  et  tras- 

slationis  et  cessionis.... 
facte  per  albergiptum  qui  dicitur  bighittus  condam  tuzoli  domini 
liazary  de  liazarys  Jacobino  cui  dicitur  cuminus  filius  domini  jo- 
hannoli  Vicecomitis  de  Olegio  de  omnibus  singulis  usufructibus 
redditibus  comodys  et  obventionibus  naturalibus  et  industriallibus 
qui  ipse  albergiptus  per  quod  cumque  tempus  habere  et  spectare 
posset  de  omnibus  rebus  possessionibus  allys  contentis  in  Instru- 
mento  ad  hospitale  Sancti  Jacobi  pontis  ydicis  et  hoc  quantum  est 
prò  tercia  parte  ad  ipsum  albergiptum  spectante  et  dictus  cuminus 
promisit  agnoscere  omnia  honera  et  cum  allys  conventis  in  Instru- 
mento  hodie  facto  bononie  in  domo  dicti  bergipti  denunciato  per 
partes  et  notarium  qui  notam  dimissit  (i). 

(i)  Nota  marginale  a  sinistra  rìferentesi  alla  quota  di  registrazione 
dell'atto:  "  nichil  quia  nepos  domini  capitanei.  « 


.  ».j_  iv. 


DI  CHI  FU  FIGLIO  GIOVANNI   DA   ©LEGGIO?  155 


n. 

Memoriali  di  Campagna,  /p  ottobre  ijj8.  Provvisore  di  Fi- 
uppo  DE*  Alberghi. 

I  (Archivio  di  Stato  di  Bologna). 


i 


Die  vcneris  XVIIII  mensis  ociubris 

georgiolus  domini  beltrami  de  carpanis. . . .  procurationis....  facte 
per  Nobillem  virum  Ubertinum  condam  domini  Simonis  Vicecomitis 
de  Ollegio  et  ad  presens  morantem  bononie  in  Curia  Magnifici 
domini  nostri  Johannis  Vicecomitis  de  Olegio  domini  civitatis  bo- 
nonie patrui  prefati  libertini  in  discretum  virum  zanotum  filium 
condam  domini  tomaxy  de  Bocha  diocesìs  novariensis  ad  contenta 
in  Instrumento  hodie  facto  bononie  in  curia  prefati  domini  nostri 
sub  porticu  habitationis  predicti  libertini  denunciato  per  partes  et 
notarium  qui  notam  dimixit  (i). 


ffl. 

Memoriali  di  Cabipagna,  /p  maggio  ijjg.  Provvisore  di  Fi- 
lippo Alberghl 

(Archivio  di  Stato  di  Bologna). 

Die  vemeris  XVII  mensis  may 

(Sovranus  Jacobini  de  argelata) venditionis  facte  per 

Auliverìum  Vicecomitem  de  Ollegio  filium  condam  domini  Maphey 
vicecomitis  de  Ollegio  et  francischinum  condam  dini  de  La  Man- 
dma  Mateo  condam  Chalderini  de  Chaldararia  de  una  pecia  terre 
^torie  et  prative  centum  bebulcharum  ad  bebulcam  terre  manco- 
um  et  ad  tornaturam  comunis  bononie  centum  quadragintaseptem 
tornaturarum  et  treginta  duarum  tabularum  cum  una  domo  cupata 
^  columbaria  et  allis  superestantibus  posita  in  curia  manzolini  in 
loco  dicto  Ronchaie  sive  Chasteleto.  Item  de  una  pecia  terre  ara- 
one  decem  et  octo  bebulcarum  ad  bebulcam  terre  sancti  Johannis 
^persiceto  et  ad  tornaturam  comunis  bononie  vigintiquinque  tor- 

V)  Nota  marginale  a  sinistra  :  *  nichii  quia  est  dominus  bononie.  „ 


156  DI  CHI  FU  FIGUO  GIOVANNI  DA  OLEGGIO? 

naturarum  posita  in  curia  sancii  Johaimis  in  persizeto  in  supradido 
loco  prety  in  summa  Mille  libranim  bononinorum.  Hodie  facto 
bononie  ad  scaraniam  denunciato  per  partes  et  notarium  qui  notam 
dimixit  (i). 

Doc.  IV. 
Visconti  da  Oleggio  nel  secolo  XIV. 


FILIPPO 

! 

I  I  I  I  I  I 

Giovanni    Giovannolo   Simone  Maffeo  ?  ? 

I  I  I — r — p       Giovannino  di  Lctia  Giovanni  di  Aram 

Giacomino    Ubertino  o    *^    ^ 

-<      9      •> 

3^8- 


Le  prime  notizie  di  una  scuola  pubblica 

in  Vigevano. 


N  un  interessante  studio  intomo  a  Bianca  Visconti  di  Set- 
\voia  (3),  Alessandro  Colombo  credette,  frale  altre  cose, 
di  recare  «  il  primo  accenno  storico  della  esistenza  dì 
«  una  scuola  elementare  e  secondaria  »  in  Vigevano,  ma,  come 
anche  altrove,  nonostante  la  ben  nota  diligenza  e  circospezione 
con  cui  egli  suol  lavorare,  è  riuscito  qui  non  esatto  ;  anzi,  prima 
di  venir  a  trattare  de'  maestri,  non  sarà  forse  inopportuno  che  tali 
inesattezze  notiamo  quanto  più  brevemente  è  possibile,  senza  en- 
trare a  discutere  alcune  ipotesi  ed  asserzioni  dubbie,  bensì  restrin- 

(i)  Nota  marginale  a  sinistra  per  la  tassa  di  registrazione  :  '  qiut- 
"  tuordecim  solidos.  „ 

(2)  Secondo  Pietro  Azario,  Franco  Visconti  era  figlio  legittimo, 
mentre  gli  altri  due  erano  bastardi.  Giovannino  di  Lesia  e  Giovanni  di 
Arona,  erano  figli  di  due  sorelle  di  Giovanni  da  Oleggio.  (Chron,  e  341* 
342).  Il  Villola  ed  il  cod.  431  (Testo  vulgato)  riferiscono  che  Antonio  de' 
Cattani  di  Savona,  podestà  di  Bologna  nel  1358,  era  nipote  di  Giovanni 
da  Oleggio,  ma  non  credo  che  esistano  di  ciò  documenti. 

(3)  A.  Colombo,  Bianca  Visconti  di  Savoia  e  la  sua  signoria  di  Vi- 
gevano, in  Bollettino  della  Società  Pavese  di  S,  P.,  Anno  I,  fase.  IV. 


j 


IN  VIGEVANO  157 

gendoci  ai  fatti  per  i  quali  ci  è  lecito  confortare  le  nostre  parole 
con  l'autorità  dei  documenti. 

Dopo  aver  riassunto  alcuni  capitoli  tra  Bianca  di  Savoia  e 
Vigevano,  il  Colombo,  dichiarando  che  «  noi  possiamo  da'  capitoli 
u  stessi  aver  un'  idea  abbastanza  chiara  del  modo  con  cui  funzio- 
«  nava,  in  quell'età  [fine  del  secolo  XIV],  il  Comune  vigevanese,  » 
s'accinge  ad  esporre  tale  idea.  Ma  egli  dà  notizie  che  in  quel- 
l'unico documento  non  si  trovano,  onde  pensiamo  abbia  approfittato 
anche  dei  pochi  e  frammentari  convocati  del  Consiglio  generale  di 
quel  tempo,  e  dei  vecchi  statuti.  Ora  qui  più  d'una  asserzione  va 
corretta.  «  Nel  seno  de'  XII  sapienti  venivano  scelti  generalmente  i 
«  due  consoli  »  ;  si  legge  a  p.  19.  Donde  l'A.  ha  cavato  simile  rag- 
guaglio? Non  dai  capitoli  e  non  dagli  statuti  (i);  quanto  ai  convocati 
del  Consiglio,  sia  negli  ultimi  anni  del  secolo  XIV  che  nei  primi 
del  XV,  essi  lo  smentiscono  in  modo  quasi  assoluto,  tanto  che  se 
alcuno  volesse  arrischiarsi  a  trarre  dal  confronto  tra  i  nomi  dei  XII 
sapienti  e  quello  dei  consoli  una  regola  sulle  elezioni,  dovrebbe 
dire  che  solo  talvolta  si  trova  che  qualche  console  faceva  parte 
del  Consiglio  di  provvisione. 

Più  giù  l'A.  informa  che  i  servitori  erano  «  due,  ed  eletti  di 
«  sei  in  sei  mesi.  »  In  questo  caso  dev'essere  senz'altro  intervenuto 
un  errore  di  trascrizione  :  essi  erano  tre.  «  Item  statutum  est  quod 
«  servitores  tantum  tres  in  festo  sancti  martini  eligantur  ad  sortes, 
«  et  non  aliter  aliquo  modo  seu  ingenio....  »  dicono  gli  statuti  an- 
tichi (2),  e  non  possiamo  credere  che  l'A.  abbia  scritto  «  due  »,  perchè 
qualche  rarissimo  convocato  del  Consiglio  ne  conferma  (3)  o  ne 
elegge  due  (4):  questi  casi  sono  così  sporadici,  che  possiamo  ben 
dire  che  anche  i  convocati  registrano  sempre  l'elezione  di  tre  ser- 
vitori. Né  tali  eccezioni  sono  assolutamente  strane  :  non  sempre  le 


(i)  Ecco  il  paragrafo  degli  statuti  antichi,  f.  io  :  "  Gap.  de  consullbus 

*  et  procuratoribus  eligendis  ad  sortes.  —  Item  statum  est  quod  consuUes 

*  et  procuratores  eligantur  ad  sortes  et  dentur  solummodo  ad  mense 

*  sex  „  (questo  sex  esce,  dalla  linea,  nel  margine  ;  prima  stava  scritto 
sex  ireSf  cancellati)  "  Et  qui  fuit  consul  et  procurator  per  sex  menses 

*  non  possit  esse  infra  annum  incipiendo  a  die  qua  exiverit  de  officio.  „ 
Gli  statuti  nuovi  poi  prescrivono  quasi  il  contrario,  cioè  che  i  consoli 
di  un  trimestre  fossero  dei  XII  del  trimestre  successiso. 

(2)  f.  8,  cap.  de  servitoribus  eligendis. 

(3)  Convocati  Consiglio  generate,   a   1375-1380,  Consiglio  31   dicem- 
bre 1379. 

(4)  C.  C.  G,,  a.  1409-1423,  dopo  il  Consiglio  25  marzo  1410. 


IS8  LE  PRIME  NOTIZIE  DI  UNA  SCUOLA  PUBBUCA 

prescrizioni  degli  statuti  venivano  osservate.  In  questo  nostra  stesso 
ai^omento  troviamo,  per  esempio,  che  mentre  nel  Consiglio  dd 
dicembre  1379  si  confermano  due  servitori  «  usque  ad  sex  menses 
«  prox.  more  solito,  n  quelli  nominati  la  fine  di  marzo  dello  stesso 
anno,  nella  seduta  del  4  aprile  successivo  domandano  ed  ottengono 
di  restar  in  carica  nove  mesi.  Cosi  pure  né  il  numero  era  sempre 
di  tre,  bensì  talvolta  di  quattro  (i),  né  la  nomina  doveva  awoiire 
rigorosamente  ogni  sei  mesi  (a)  :  anzi,  dal  luglio  1409  in  poi,  si  (eoe 
sempre  ogni  tre.  Per  recare  un  esempio  diverso,  i  notai  dovevano 
essere  due,  invece  nel  dicembre  1378  se  ne  elesse  uno  di  più. 

E  ancora,  riguardo  pure  ai  servitori,  troppo  redsa  è  Tafier- 
mazione  che  gli  ufficiali  del  Comune,  i  quali  duravano  in  carica 
sei  mesi,  «  potevano  sempre  essere  riconfermati.  »  Intanto  i  capì- 
toli lo  dicono..,,  solo  quando  proprio  si  voglia  farlo  lor  dire;  ma 
gli  statuti  contengono  queste  due  chiarissime  disposizioni;  « ....  et 
«  qui  fuit  servitor  per  sex  menses  non  possit  esse  servitor  per  alios 
«  sex  menses  a  die  depositi  ofBtij  »  (3);  «....et  qui  fuerint  [estima* 
«  tores]  per  menses  sex  non  possint  esse  infra  unum  arninm,—  «  {/^y 
Vero  è;  da  ciò  unicamente  è  giustificato  TA.,  il  quale  forse  non  se 
lo  aspetta  nemmeno;  che  i  convocati  segnano  delle  riconferme  im- 
mediate. 

In  terzo  luogo,  l'A.  scrìve:  «  La  nomina  di  tutte  le  cariche 
«  si  faceva,  per  tutto  Tanno,  nella  prima  seduta  del  Cansilùm 
u  novum;  ecco  perchè,  nell'articolo  4.^  de'  capitoli  concordati  tra 
«  Bianca  e  Vigevano,  si  parla  di  36  ex  hominibus  Viglevani  ma- 
«  ioris  facultatis,  qui  fatiant  offitia  communis.  »  E  difatti,  se  noi 
comprendiamo  fra  le  cariche  maggiori  ricordate  in  quell'articolo, 
anche  i  XII  sapienti  e  i  quattro  estimatori,  abbiamo  precisamente: 

Sapienti  o  Presidenti N.  12 

Consoli «    8 

Procuratori  o  Sindaci „    4 

Canevari  o  Tesorieri ,4 

Razionatori .    .    .     „    4 

Estimatori «    4 

Totale  N.  36 

(i)  C.  C  G.f  a.  i375-'8o.  Consiglio  29  settembre  1376. 

(2)  Per  esempio,  nelle  elezioni  del  giugno  1578  i  servitori  non  si 
trovano. 

(3)  f.  8,  cap.  de  servitoribus  eligendis. 

(4)  f.  II,  cap.  de  extimatoribus  eligendis. 


IN   VIGEVANO  159 

tf  I  notai  dunque,  e  quindi  anche  il  notaio  de'  maleficii,  i  se- 
«  grestani  e  i  servitori  pubblici  non  erano  compresi  fra  le  cariche 
tf  maggiori;  tuttavia  erano  sempre  eletti  dal  Consiglio  generale.  » 
n  conto  potrebbe  anche  esser  giusto,  e  diciamo  così  perchè  non 
sappiamo  farlo  tornare  in  altro  modo,  ma  criticamente  ci  pare  che 
non  regga.  Se  non  c'inganniamo,  qui,  per  dirla  in  breve,  TA., 
avendo  fermato  una  premessa  inesatta,  è  dovuto,  quasi,  scendere 
d'errore  in  errore,  se  pure  non  ha  fermato  la  premessa  per  trovar 
poi  la  spiegazione  di  quel  36.  Ma  come  mai  ha  potuto  asserire 
co^  risolutamente  che  la  nomina  di  tutte  le  cariche  si  faceva,  per 
tutto  Tanno,  nella  prima  seduta  del  Consilium  novum  ?  Né  gli  sta- 
tuti né  i  capitoli  di  Bianca  prescrìvono  ciò  ;  i  convocati  del  Con- 
siglio poi  mostrano  in  un  modo  che  non  può  lasciar  il  minimo 
dubbio,  che  i  varì  offitiales  venivano  eletti  via  via  che  scadevano 
i  precedenti  ;  quindi  i  consoli  ogni  trìmestre,  ogni  trimestre  il  pro- 
curatore, il  canevarìo,  ecc  È  vero  (i)  che  nella  seduta  8  aprile  1381 
i  consiglierì  «  eligerunt  caneparìos,  qui  sint  usque  ad  annum  unum,  » 
ma  assolutamente  non  si  può  da  quest'unico  caso  trarre  una  regola 
generalissima  :  stanno  contro  tutte  le  testimonianze,  salvo  che  TÀ. 
non  voglia  limitare  tal  modo  di  elezione  ai  soli  anni  della  signoria 
di  Bianca,  per  cui,  non  avendosi  più  il  controllo  degli  atti  consi- 
gliari,  si  può,  quasi,  credere  ciò  che  si  vuole.  Né  per  questo  solo 
riguardo  TA.  ha  esagerato  l'importanza  di  quel  frammento  di  se- 
duta. Che,  per  esempio,  esso  attesti  «  formalmente  l'esistenza  di 
«  statuti  anteriori  a  quelli  noti  del  1392,  »  si  potrebbe  mettere  in 
dubbio.  Nella  frase  «  non  obstante  aliquod  statutum  in  contrarium  » 
la  parola  statutum,  se  ammette  V  interpretazione  voluta  da  lui,  am- 
mette anche  l'altra  di  deliberazione  presa  o  di  condizione  stabilita 
isolatamente,  magari  dal  Consiglio  stesso,  il  quale,  se,  in  seguito, 
avesse  voluto  abolire  la  pena,  poteva  benissimo  ripetere,  riferen- 
dosi a  questa  seduta  8  aprile  «  non  obstante  aliquod  statutum  in 
«  contrarium.  »  Che  pensa  il  Colombo  delle  parole  di  G.  Galeazzo, 
nella  lettera  da  noi  altrove  riferita  «  Decretum....  mittimus....  man- 
«  dantes  vobis  quatenus....  in  voluminis  (sic)  statutórum  nostrorum 
«  inseri  faciatis  ?  »  Che,  anche  meglio,  delle  altre,  chiarissime,  del- 
l'atto consigliare  2  maggio  1378  «  In  primis  propositum  fuit  per 
«  dictum  dominum  vicarium  in  dicto  Consilio  quid  placet  vobis 
«  providere  et  ordinare  de  inventarijs  mutandis  secundum  formam 
«  statutórum  comunis  Viglevani  an  deferendo....  »  (2),  ripetute  in 


(i)  Colombo^  op.  cit.,  p.  23. 
(a)  C.  C.  G.,  a.  i375-'8a 


IN   VIGEVANO  l6l 

siglieri.  Per  curiosità  ricorderemo  che  nel  resoconto  della  seduta 
<lel  consiglio  generale  22  gennaio  1376  (i)  si  leggono  queste  parole 
riassumenti  una  proposta  crediamo  del  vicario  :  «  Item  quid  placet 
«  vobis  providere  et  ordinare  quod  decetero  officiales  comunis 
^  Viglevani  qui  eligentur  ad  sortes  et  qui  habent  alìquod  officium 

*  in  comune  de  quo   habent  salarium  vel  non   seu  de  quo  redeat 

*  salarium  comuni,  non  possit  esse  off.  infra  annum  a  die  deposti 
•«  offici,  et  officiales  predicti  intelligantur  consules  procuratores  se- 
^  grestani  notarij  et  canevarij  dum  modo  non  habeat  (sic)  dictum 
«  oifitium  ad  incantum,  et  si  haberet  ad  incantum  eis  non  noceat,  » 
le  quali  designazioni  sono  ripetute  nel  f.  successivo  due  volte.  Ma 
un  altro  guaio  sta  poi  qui,  che  V  A.  computa  nel  numero  annuale 
di  tutti  gli  altri  ufficiali  quello  trimestrale  dei  Sapienti,  i  quali  soli, 
in  un  anno,  sarebbero  stati  48.  Scusi  l'amico  Colombo,  ma  simile 
aritmetica  ci  persuade  poco  poco.  Ne  risulta  infine  che  la  conse- 
guenza ultima  dalFA.,  pare  quasi  contro  una  sua  precedente  opi- 
nione, dedotta  sui  notai,  sagrestani  e  servitori,  sarà  anche  vera, 
ma  non  è  legittima. 

Ancora  un'avvertenza  sulla  durata  della  signoria,  avvertenza, 
non  correzione  basata  su  documenti  :  e  ce  la  permettiamo,  contro 
il  nostro  proposito,  grazie  all'importanza  della  questione.  Dopo 
avere,  intitolando  il  lavoro,  limitata  detta  signoria  al  1383,  l'A.  nel- 
Tultimo  paragrafo  mette  innanzi  come  «  lecito  »  il  sospetto  che  essa 
possa  invece  essere  durata  fino  alla  morte  di  Bianca,  «  sebbene,  n 
scrive,  u  la  mancanza  di  espliciti  documenti  non  ci  autorizzi  ad  af- 

*  fermare  nulla  di  preciso  su  questo  particolare.  »  Lodevolissima 
tanta  circospezione  ;  solo  non  troviamo  nessun  argomento  che 
possa  render  u  lecito  »»  il  sospetto,  se  non  quello  che,  poiché  glieFavea 
fatto,  il  conte  di  Virtù  avrà  lasciato  il  dono  alla  madre  sino  alla 
morte.  Probabilmente  quest'incertezza  è  causata  dalla  lacuna  del 
volume  degli  statuti  e  dei  convocati  :  nelle  pagine  mancanti  avremmo 
forse  potuto  trovare  i  mezzi  di  eliminarla;  ma  probabilmente, 
anche,  essa  almeno  sarebbe  minore,  se  V  A.  avesse  pensato  a  sta- 
bilire in  quali  rapporti  di  dipendenza  veniva  a  trovarsi  Vigevano, 
fatta  la  donazione,  con  Bianca  e  con  G.  Galeazzo,  o  se  V  avesse 
potuto.  Il  Colombo,  ricordando,  molto  opportunamente,  che  esistono 
tre  lettere  del  conte  di  Virtù  nelle  quali  si  danno  ordini  a  Vige- 
vano, osserva   che  esse  «  non    provano   a  rigore    che  Bianca  più 

*  non  avesse  il  possesso    di  Vigevano,  trattandosi   di  disposizioni 

*  di  ordine  generale,  che  si  estendevano  a  tutto  lo  Stato.  »  E  può 

(0  C  C.  G.,  a.  i375.*8o. 

^'ch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX.  Fase.  XXXV.  ii 


l62  LE    PRIME    NOTIZIE    DI    UNA    SCUOLA    PUBBLICA 

anche  andar  bene.  Ma  noi  osserviamo  anche,  non  dimenticando 
però  la  lacuna  sopra  avvertita,  che  tali  lettere  e  una  quarta  (i), 
dall'A.  non  riportata,  sono  tutte  posteriori  all'ultimo  documento 
di  Bianca;  che  il  duca  ne  indirizza  una  «  vicario  nostro  Viglevani  ^ 
e  in  essa  cita  «  terram  nostram  Viglevani  aliasque  terras  districtus 

(i)  Statuii  antichi t  f.  34: 

Dominus  Mediolani,  eie. 
Imperialis  vicarius  generalis 

•  Decretum  per  nos  nuper  conditum  vobis  mittimus  presentibus 
"  introclusum,  mandantes  vobis  quatenus  per  terram  nostram  Viglevani 
"  aliasque  terras  districtus  nostri  Viglevani  vobis  supposìtas  publice 
^  proclamari  faciatis  et  in  voluminis  statutorum  nostrorum  inserì  faciatis. 

*  Datum  papié  die  XXIIIp  septembris  MCCCLXXXIU.   Sapienti  viro 

*  vicario  nostro  Viglevani. 

"  Quod  si  aliquis  conducet  sallem  aliquem  per  terras  vel  per  terri- 
"  torìum  magnifici  domini  domini  nostri,  qui  non  sit  de  salle  prefati 
"  domini,  amitat  sallem,  bestias,  et  vaxa  quelibet  instrumenta  cum 
"  quibus  ipsum  salem  conducet  sive   ipsum   salem  conduxerit  in  navi 

*  sive  in  plaustro,  vel  aliter  quocunque  modo  ultra  ius   condempnetur 

*  in  fior,  quinquaginta  prò  quolibet  stano  sallis  qui   repertus  fuerìt  ut 

*  prefertur.  Et  hoc  prò  prima  vice  qua   reperiretur  premissis  centra- 

*  fecisse.  Si  quis  vero  repertus  fuerìt  prò  secunda  vice  contrafecisse,  du- 
"  plìcetur  pene  predicte  et  ultra  hoc  amputetur  sibi  una  aurìcula.  Et  si 
"  quis  tertia  vice  reperiretur  contrafecisse  suspendatur  per  gullam  ita 
"  quod  moriatur,  et  quilibet  possit  ca(>ere,  et   acusare  contrafatientes, 

*  et  medietatem  penarum  pecunianim  haberet  ille  qui  ceperìt  contraia- 
"  tientem,  et  alia  medietas  camere  domini  aplicetur,  tertia  pars  dictaniro 

*  penarum  pecunianim  detur  acuxatorì  probanti  acusam,  et  due  partes 
"  aplicentur  camere  prefati  domini. 

*  Item  quod  nullus  audeat  de  territorìo  prefati  domini  nostrì  ad 
"  terras  inimicorum  ipsius  domini  nostri   conducere  biada   nec  aliqua 

*  alia  victualia.  Et  si   quis   contrafecerit   suspendatur  per   gullam  sic 

*  quod  moriatur.  Si  quis  vero  de  territorio  prefati  domini  nostrì  ad 
"  aliquas  terras  non  subiectas  prefato  domino  et  non  munitas  seu  re- 

*  belles  ipsi  domino  nostro  frumentum,  et  alia  biada  conducere  repertus 

*  fuerìt  amitat  ipsum  fnimentum»  et  biada  et  bestias,  et  instnimenta  cum 
"  quibus  illa  duxerìL  Et  ultra  condempnetur  in  fior,  quinquaginta  prò 
"  quolibet  modio,  et  quilibet  possit  acusare,  cuius  pene  tertia  pars  sit 

*  acusatoris,  et  due  partes  camere  prefati  domini  aplicentur,  prò  seconda 

*  vero  vice  qua  contrafecerit  duplicentur  sibi  pene  predicte,  et  ulffa 
"  hoc  amputetur  contrafatienti  una  auricula.  Et  prò  tertia  qua  contra- 

*  facerit  suspendantur  per  gulam  contrafatientes  sic  quod  moriantur.  * 


IN   VIGEVANO  l53 

«  nostri  Viglevani  »  (i);  una  seconda  «  sapienti  viro  Vicario  et 
«  Consilio  nostri  Viglevani  »  (2)  ;  e  le  altre  due  presumibilmente, 
t  per  ipotesi  del  Colombo  medesimo,  anch'  esse  «  Vicario  nostro 
«  Viglevani.  »  Noi  intendiamo  bene  in  qual  senso  lato  possano  anche 
prendersi  tanti  nostro,  ma  V  A.  forse  sapeva  dirci  in  quale  debbano. 
E  torniamo  finalmente  al  nostro  propòsito. 


*  * 


Come  abbiamo  avvertito,  1*  A.,  affermando  che  il  primo  ac- 
cenno storico  dell'esistenza  di  una  scuola  pubblica  in  Vigevano, 
sia  pure  nel  senso  di  «  prima  notizia  sicura  del  modo  come  detta 
«  scuola  funzionava  da  noi  »  ci  viene  dal  deliberato  consigliare  15 
luglio  1380,  non  è  esatto.  Notizie  altrettanto  precise  e  sicure  si 
trovano  anche  qualche  anno  innanzi,  e  proprio  nei  resoconti  delle 
sedute  consigliari  2^  novembre  1377  e  11  aprile  1378.  Ecco,  di 
quello  del  '77,  la  parte  che  interessa  ora  a  noi. 

Item  fata  propoxìcione  et  poxito  partito  de  sedendo  et  alevando 
de  negocio  infrascrìpto  in  q.**  partito  nemo  fuit  discrepans  nisi  Antonius 
collus  mene  extitit  deliveratum  per  dictum  Consilium  et  per  communi* 
tate  Viglevani  debeat  actendij  et  observarij  infrascrìpta  pacta  et  arbi- 
tramenta  ac  convenciones  fate  inter  dominum  magistrum  Barlholameum 
Ocinalcho  qui  venit  Viglevanum  causa  docendij  scolariorum  terre  Vi- 
glevani ex  una  parte  et  guidetum  de  parona  nomine  comunis  ex  altera 
quod  infrascrìpta  pacta  et  convenciones  osservari  debeant  etc.  ac  etiam 
volgarizate  et  lete  in  dicto  Consilio,  etc. 

Imprimis  actum  et  per  pactum  expressum  fuit  quod  quilibet  scola- 
riorum intrancium  banche  mayores  in  solidum  teneantur  solvere  prò 
quolibet  anno  flor.  unum  aurij  etc. 

Item  quod  quilibet  in  solidum  aliorum  intrancium  teneantur  solvere 
sol.  XXIII J*  imper.  in  anno  etc. 

Item  quod  quilibet  donatum  videlicet  minores  non  intrantes  teneantur 
solvere  omni  anno  sol.  XVJ  imper. 

Item  quod  alij  legentes  alphabetum  et  quaternum  teneantur  solvere 
sol.  XI  imper.  in  anno  et  habentes  repetitorem  (?)  teneantur  solvere 
sol  XI J. 

Item  quod  omnes  scolarìj  tam  intrantes  quam  non  intrantes  te- 
neantur solvere  solucionem  quatuor  mensium  in  quattuor  mensses  usque 
ad  annum. 

Item  quod  possit  [il  maestro]  capere  libro  scolaribus....  de  salario 
non  satisfacto  in  principio  illorum  quatuor  menssium  et  quod  duodecim 

(i)  V.  nota  precedente. 
(2)  Colombo,  op.  cit«,  p.  71. 


164  LE    PRIME    NOTIZIE    DI    UNA   SCUOLA    PUBBLICA 

sapientes  teneantur  exigere  salarium  et  quod  vicarius  possit  detinere 
parentes  scolar,  occaxione  predìcte  solucionis. 

Item  quod  commune  Viglevani  tenealur  dare  dicto  domino  magistro 
domum  unam  prò  habitatione  ìpsius  et  scolariorum  expensa  communis 
prout  fatum  fuit  alijs  magistrìjs  et  comunitas  teneatur  Tacere  reptarìj  et 
cuperij  expensa  communis. 

Item  quod  ego  [il  maestro]  fìam  exemptus  ab  omnibus  onerìbus 
prò  quolibet  tam  realibus  quam  personalibus  poxitis  sive  ponendìs. 

Item  audivi  quod  aliqui  existentes  in  scollis  in  hyeme  non  venerint 
in  estate;  nichilominus  ita  vacabo  viginti  scolaribus...  propter  quod  intendo 
quod  quilibet  veniens  in  hyeme  si  non  venerit  in  estate  teneatur  solvere 
prò  anno  completo  me  ibidem  permanente. 

Item  quod  Rolandus  de  croxio  procurator  communis  una  cum  gui- 
deto  de  parona  et  Jac.  madio  procuratori  (?)  communis  Viglevani  habeant 
bayliam  accipiendij  sedimem  unum  prò  uxu  dicti  domini  magistrj  et 
scholariorum  utsupra  prout  sibi  videbitur  prò  meliorj  et  predicti  dixe- 
runt  quod  aprenderint  quodam  sedimem  hn.  quondam  prevosti  de  forno 
usque  ad  annum  unum  proximum  futurum  inceptum  XVIII  mensis  no- 
vembris  prò  precio  flor.  quinque  aurij  in  anno  et  solvendo  preciam 
dicti  sediminis  de  tribus  menssibus  in  trìbus  menssibus  et  quod  percomu- 
nitatem  Viglevani  fìat  sibi  boletam  et  solucionem  ut  supra  et  sic  obtentum 
et  reformatum  fuit  per  dictum  consilium  nemine  discrepante  nixi  Anto- 
nius  collus  suprascrìptus  etc.  „ 

Rileviamo  in  particolare  l'espressione  «  ut  fatum  fuit  alijs  ma- 

*  gistrijs  n,  che  ci  assicura  esserci  già  state  tra  noi,  prima  di  questa, 
altre  scuole  pubbliche. 

11  maestro  Ocinalco  tuttavia  non  deve  essersi  trovato  bene  a 
Vigevano,  o  forse  anch'  egli  era  in  preda  a  quella  curiosa  smania 
di  viaggiare,  onde  appaiono  agitati  i  suoi  col  leghi  d'allora,  per 
cui  si  direbbe  che  fossero  costretti  da  una  segreta  forza  invin- 
cibile a  cambiar  dimora  quasi  ogni  anno. 

Infatti  già  il  14  febbraio  1378  il  Consiglio  delibera  di  mandar 
a  cercare  qualche  «  sufficientem  magistnim  a  scolis  »  che  voglia 
venire  nel  nostro  comune  a  insegnare  (i).  La  bisogna  non  si  tra- 
scinò molto  |>er  le  lunghe,  e  chi  conosce  in  quali  condizioni  finan- 
ziarie i  nostri  padri  allora  versavano  non  può  non  esser  loro  ri- 
conoscente j>er  la  cura  che  avevano  deiristnizione  pubblica,  cura 
che  si  mostra  non    inferiore  a   quella,  per  vero   notevole,  di  altri 

(i)  Cd  G^  a.  i375-*8o:  ■  Item  ordinatum  et  deliberatum  fuit  quod 

*  d  vicarius  et  consules  et  XII  sapientes  comunis  predicti  habeant 
'  bayliam  expendendi  de  here  communis  causa  mittendi  ad  inveniendani 

*  aliquem  sufficientem  magistnim  a  scolis  qui  velit  venire  ad  tenendum 
"  scolas  in  Viglevano.  , 


IN   VIGEVANO  165 

luoghi.  Subito  Tu  aprile  dello  stesso  anno  il  Consiglio  approva 
i  patti  stabiliti  col  maestro  Antonio  da  Chieri,  pressoché  identici  a 
quelli  con  Ocinalco,  come  si  vede  dal  resoconto  che  qui  riferiamo. 

die  xj  aprilis 

Convocato  et  congregato  conscilio  generalli  communis  Vìglevani 
sonno  campane  et  voce  preconìa  more  solito  et  de  mandato  et  impoxi- 
lione  dominj  Stefeni  de  formagiarijs  vicarij  terre  Vìglevani  prò  ma- 
gnifico et  excelsso  domino  domino  Galleaz  vicecomite  Mediolani  Vìgle- 
vani etc.  imperìalli  vicario  generale  etc.  prò  infrascriptis  negocijs  pera- 
gendis  et  termìnandis.  In  quo  quidem  conscìllio  interfuerunt  plus  quam 
due  partes  dictorum  consciliariorum. 

Item  propoxuit  [dominus  vicarius]  in  dicto  Consilio  quid  placet  eis 
providere  et  ordinare  super  magistrum  scolarium,  et  si  placet  eis  ipsum 
obtinere  prò  infrascriptis  pactis  sibi  obtinendis  et  observandis. 

Partecipano  alla  discussione  molti  consiglieri  :  uno  solo,  Gio- 
vanni degr  Ingarami  accetta  il  maestro,  ma  vorrebbe  che  il  Comune 
non  si  vincolasse;  gli  altri,  Antonio  Collo  Mene,  Giacomo  Madio, 
Ambrogio  de'  Quaglia,  Nicola  Cocco,  Ambrogio  Rodolfo  Gore,  Se- 
rafino da  Parona,  Turco  Tocco  acconsentono  anche  ai  patti. 

Et  sic  facto  partito  de  sendendo  ad  levandum  nemine  discrepante 
cxcepto  leonardo  collo  et  d.  lohane  de  Ingaramis  obtentum  fuit  per 
predictum  consilium  quod  dictus  magister  obtineatur  facto  eciam  partito 
ad  bussolas  et  balottas  reperiver.  et  obtiner.  omnes  quod  magister 
predictus  obtineatur  exceptis  duobus  predictis  cum  pactis  infrascriptis 
sibi  atendendis  et  observandis  videlicet 

In  primis  quod  quibet  scolarium  intrancium  banche  maiores  teneatur 
et  debeat  solvere  dicto  d.  magistro  fior,  unum  auri  prò  quolibet  anno. 

Item  quod  quibet  aliorum  intrancium  teneatur  et  debeat  solvere 
predicto  domino  magistro  sol.  vigintiquatuor  prò  quolibet  anno. 

Item  quod  quilibet  legentium  donatum  videlicet  minores  non  intrantes 
teneatur  solvere  dicto  magistro  sol.  sedecim  imper.  prò  singulo  anno. 

Item  quod  alij  legentes  alphabetum  et  quaternum  teneatur  solvere 
umni  anno  sol.  undecim  imper. 

Item  quod  omnes  tam  intrantes  quam  non  intrantes  teneantur  sol- 
vere solut  trium  menssium  in  principio  illor.  trium  menssium  et  sic  de 
trìum  in  tres  menses  usque  ad  annum. 

Item  quod  liceat  et  posit  dicto  d.  magistro  accipere  libros  scolaribus 
non  sibi  satisfacientibus  de  salario  suo  in  principio  ilorum  trium  me- 
ssium  et  quod  procurator  communis  predicti  teneatur  exigere  salarium 
ac  quod  Vicarius  posit  et  debeat  detinere  patres  et  gubernatores  sco- 
larìorum  ocaxione  predicte  solutionis,  etc. 


l66  LE    PRIMK    NOTIZIE   DI    UNA    SCUOLA   PUBBLICA 

Item  quod  commune  Viglevani  teneatur  dare  magistro  antescrìpto 
florenos  septem  auri  ocaxione  cuiusdam  domus  prò  habitatione  ipsìus 
et  scolarium  prò  pensione  ipsius  domus  expensa  dicti  communis. 

Item  quod  commune  Viglevani  teneatur  sibi  solvere  plaustra  duo 
ocaxione  conducendi  suas  res  Viglevanum. 

Item  quod  dictum  Commune  teneatur  relevare  dictum  magistrum 
ab  omnibus  oneribus  impositis  seu  ponendis  tam  realibus  quam  perso> 
naiibus  per  dictum  commune  salvo  inbotatura  et  sale. 

Item  quod  quilibet  scolaris  existens  in  scolis  per  unum  mensem 
unius  annj  teneatur  solvere  predicto  d.  magistro  de  completa  soludone 
totius  annj  quia  magister  dieta  (sic)  vacat  ocaxione,  vìginti  scolarum 
quam  centum  (sic). 

Item  quia  dictus  magister  non  est  exemptus  inbotatura  vinj  et  salle 
quod  quilibet  scolaris  intrantium  teneatur  solvere  in  festo  sancti  Mar- 
tin] proximi  venturi  annuatim  dieta  ocaxione  soldos  duos,  et  quilibet 
alius  scolaris  solduni  unum  ut  supra. 

£a  predicta  omnia  et  singula  inteligantur  esse  firma  et  durare  a 
calendis  madij  proximi  venturi  usque  ad  annos  quatuor  proximos  ven- 
turos  et  iterum  nulus  magister  possit  seu  valeat  tenere  scolas  in  terra 
Viglevani  et  si  venerit  et  dieta  ocaxione  aliqui  scolarcs  vadant  ad  ipsias 
scolas  (?),  propter  quod  dictus  magister  Antonius  de  cherio  aliquos  sco- 
lares  perdat  seu  de  numero  scolarium  quod  tales  scolares  eccedentes  a 
scolis  ipsius  seu  ipsorum  patres  et  gubernatores  teneantur  solvere  ipsi 
magistro  Antonio  prout  si  irent  ad  scolas  ipsius. 

Intcrfuere  testcs :  seguono  i  nomi. 

Perche  potesse  trasportare  a  Vigevano  tutte  le  sue  cose,  il 
comune  aveva  dunque  deliberato  di  pagare  al  maestro,  che  allora 
doveva  trovarsi  a  Trecate,  due  carri  ;  e  infatti  gli  mandò  due  fio- 
rini ;  ma  non  bastarono,  onde  quegli  domandò  ed  ottenne  altri 
50  soldi  imperiali  (1). 

Qui  avremmo  finito,  se  dalla  nostra  nota  si  potesse  passare 
alla  esposizione  del  Colombo  senza  incertezze.  Invece  il  Colombo 
ricorda  (2)  che  il  consiglio    nella  seduta  9    dicembre    1378,   ordinò 

(i)  C  6.  G.,  a.  i375'-8o,  Consiglio  13  maggio  1378:  **  Imprimis  prò- 
"  positum  fuit  per  predictos  dominum  lohannem  et  dardani  consulem 
"  locum  tenentem  quid  placet  vobis  providere  et  ordinare  de  facto 
"  magistri  scolarium  qui  dicit  non  posse  venire  seu  conducere  suas 
"  res  a  Tricate  Viglevanum  ex  duobus  fior,  si  iam  transmissis  ni  ader. 
"  sol.  quinquaginta  imper.... 

"  Super  qua  quidem  proposta  obtcntum  et  deliberatum  fuit  per  dictos 
**  consciliarios  facto  partito  de  levando  ad  sedenduni  quod  complacciur 
"  ei  et  dentur  ei  dictos  solidos  quinquaginta  imper.  nemine  discrepante.  , 

(2)  (>i).  cit.,  p.  22. 


IN   VIGEVANO 


167 


n 


<ii  pagare  il  maestro   lacobino  de*  Giorgi   chiamato  da   Genova   a 
tener  scuola  in  Vigevano.  Per  spiegare  la  sua  presenza  nel  nostro 
comune,  noi  non   sappiamo  metter  innanzi    altra  ipotesi  da  quella 
infuori,  che  il  consiglio,  andatosene  Ocinalco,  abbia  chiamato  subito 
n   Giorgi,  e  che  questi   accettasse  provvisoriamente    fino  a  che  si 
losse  trovato  un    altro  maestro  :   infatti  durante  il  suo  ufficio  egli 
avrebbe  proposto  Antonio  da  Chieri,  col  quale  il  comune  avrebbe 
Concluso  i  noti  patti.  Così  si  conoscerebbe  anche  V  «  altro  maestro  » 
ai  cui  parla  il  Colombo,   appunto  Antonio  da  Chieri.  Ma  allora  il 
Colombo  vorrà  sapere  da  noi  chi  è  il  maestro  per  la  cui  partenza 
''  Consiglio,  nel   1380,  delibera  di  mandare  «  prò  magistro  Antonio 
**   de  Cherio,  »  tanto  più  che  l'accordo  di  questo  doveva  durare  per 
quattro  anni,  dal  '78  all'  '82.  Non  abbiamo  che  due  ipotesi  da  sot- 
toporre alla  sua  scelta:  o  Antonio,  per  le  stesse  ragioni  supposte 
'1  el  caso  d*  Ocinalco,  rimase  molto  meno  dei  quattro  anni  a  Vige- 
ano,  e  il  comune,  dopo  aver  provato  qualche  altro  maestro,  pago 
»  quello,    lo  invitò   un'altra  volta;    o    il   Consiglio,  dopo  aver  la- 
^  ^lato  partire  il  da  Chieri,  lo  mandò  a  chiamar  di  nuovo,  forse  soddi- 
acendo  a  qualche  suo  desiderio  :  simile  andirivieni  di  uno  stesso 
segnante  si  riscontra  anche  in  altri  luoghi. 

^1  potrebbero  fare  ancora  nuove  supposizioni,  ma  ce  ne  aste- 
o,  perchè    non  abbiamo   nessun    documento,    il  quale  almeno 


•'^da 


questa  più  probabile  che  quella. 


Fki.ice  Fossati. 


Foscolo  e  Borsìeri 

<nel  cinquantenario  delia  morte  di  Pietro  Borslerl). 


^p^'^f  ^'AMENTE  a  quanto  ci    offre    VEpistolario  di   Silvio 
Jco    intorno    ai   rapporti  d'amicizia  che  corsero    tra 
^^ì   U^^^^  porsierì  e  Fautore  delle  Mie  Prigioni  (i),  VEpi- 
^     quanto     vT       ^^^^^^  ^*    sventuratamente,    al    tutto  manchevole 
toTt    dei  S  /»  /     '     '^  re/azioni  che  lo  stesso  Borsieri  ebbe  col  can- 
cm^geio  F        ^^^  '^ulia  essendo  fino  ad   oggi   venuto  in  luce  del 

ITn  ^   ^^^^^^^^Borsieri. 
^0  credo    ]a  ?  contributo  alla  storia  di  cotesta  relazione  ci  porge. 


fiW, 

'  numeri 


iett 
(0  Si  vedan 


^^^  che  qui   si    pubblica  la  prima  volta,  scritta    da 


'»  Firenze,  LeM^^^'^^'^^"^^"^'^  ^'  "^'^^'^  ^^'^'^^  pubblicato  dallo 
^^cri  icis    r-o      ^'^'''cr,  1836,   le  lettere  che   portano  rispettivam 


Ste- 

rispettivamentc 
'^,  167,   180,    188,   196,  211,  231,  233,  333. 


l68  ?'OSCOLO    E   BORSIERI 

Ugo  Foscolo  il  5  maggio  del  1809  airamico  suo,  allora  poco  più 
che  ventenne.  Essa  ci  è  stata  conservata  da  una  trascrizione  che 
Luigi  Pellico  (fratello  di  Silvio),  tenuto  sempre  dal  Foscolo  in  mol- 
tissima stima  (i),  trasmise,  il  28  maggio  di  quell'anno,  all'amico  suo 
Stanislao  Marchisio  (2),  giustamente  compiacendosi  dell'elogio  che 
in  essa  in  Foscolo  faceva  di  lui  ;  ma  non,  com'egli  diceva,  «  per 
u  farne  pompa,  »»  bensì  «  per  obbligarsi  anche  »  col  Marchisio  n  a  non 
u  ismentire  le  buone  speranze  che  essi  avevano  sulla  sua  riu- 
u  scita  n  (3). 

Ora  ecco  la  lettera  di  Luigi  Pellico  (4). 

[Milafio,]  28  nuiggio  \i8o<^\  (5)- 

**....  Foscolo  è  venuto  giovedì  scorso  in  Milano,  e  parte  domat- 
tina per  restituirsi  in  Pavia.  A  proposito,  poiché  tu  non  discordi  total- 
mente di  parere  con  questo  mio  degno  amico  sul  mio  conto,  piaccmi 
trascriverti  uno  squarcio  di  lettera  diretta  ad  un  giovane  di  grandi  spe- 
ranze, d'uguale  età  e  d'uguali  sentimenti  di  me,  Pietro  Borsicri  :  te  la 
trascrivo,  in  verità,  non  per  far  pompa  di    un    elogio    accordatomi,  ma 

(i)  Fu  egli  che  presentò  al  Foscolo  il  fratello  Silvio,  il  quale  scri- 
veva il  21  ottobre  1809  al  Marchisio  :  "  A  Ugo  Foscolo  sono  stato  prc- 
"  sentato  da  Luigi  ;  ho  fatto  al  dì  dopo  la  conoscenza  di  Vincenzo 
"  Monti  „  ;  (Cfr.  N.  Bianchi,  Cnriosiià  e  ricerche  di  storia  subalpina,  I, 
184).  E  Ugo  Foscolo  scriveva  il  13  giugno  1810  a  V.  Monti  :  ■  ... .  faccio 
"  ricopiare  la  mia  minuta....  da  Luigi  Pellico,  mio  vero  e  fidatissinu» 
"  amico,  e  amico  vostro  rispettoso  e  disinteressato.  „  Epistolario  di  L'^o 
Foscolo,  Firenze,  Le  Mounier,  1884,  voi.  I,  p.  368. 

(2)  Stanislao  Marchisio  (1773-1859)  fu,  subito  dopo  Alberto  Nota,  al- 
meno in  Pieuicnte,  uno  dei  più  rinomali  commediografi  del  primo  tren- 
tennio del  sec.  XIX.  Cfr.  N.  Bianchi,  Curiosità  e  ricerche  cit,,  I,  180: 
Giuseppe  Flechia,;6^«  amico  di  Carlo  Botla^  in  Gazzetta  del  Popolo  ci 
Torino,  supplem.  del  i.*  febbraio  1902. 

(3)  "  Lunga  promessa  coll'attender  corto.  „  Son  note  le  scappale 
di  Luigi  Pellico,  che  amareggiarono  la  giovinezza  di  Silvio  e  quasi  com- 
promisero Tonoratezza  della  sua  famiglia.  Vedasi  in  proposito  I.  Rinieuu 
Della  vita  e  delle  opcìe  di  Silvio  Pellico,  voi.  I,  Torino,  1898,  pp.  72  e  148; 
e  DoM.  Chiattone  in    Piccolo  Archivio  Storico  Saluzsese,  I,  pp.   139*144- 

(4)  L'autografo  fa  parte  d'una  raccolta  di  198  lettere  inedite,  scriiic 
da  Luigi  Pellico  al  Marchisio,  le  quali,  donate  dal  Marchisio  stesso  a 
Giovanni  Flechia,  sono  ora  possedute  dallo  scrivente.  Di  questa  lettera 
si  pubblica  qui  solo  quel  tanto  che  si  riferisce  alTargoniento. 

(5)  La  data  viene  integrata  in  base  alle  seguenti  parole,  scritte  dì 
pugno  del  Marchisio:  "  ricevuta  il  30  maggio  1809,  risposto  il  23 giugno 
"  suddetto 


w 


/ 


tf  1» 


(nel   cinquantenario  della    morte   di   PIETRO   BORSIERl)         169 

per  obbligarmi  anche  teco  vieppiù  a  non  ismentire  le  vostre  buone  spe- 
ranze sulla  mia  riuscita,  se  così  Fortuna  e  Amore  concedono. 

*  Da  Pavia,  venerdì  /  maggio,  —  ....  infin  del  conto  questa  lettera 
"  non  è  scritta  per  te,  bensì  perchè  tu  vada  ambasciatore  da  Pellico 
'^  e  lo  ringrazi  in  nome  mio  ch'ei  m'abbia  mandato  l'articolo  (i)«  £  dopo 
"  le  grazie  che  tu  riferirai  con  quanta  schiettissima  gentilezza  possiedi, 
"  lodalo  dello  stile,  della  filosofìa,  e  delle  nobiltà  di  quelle  sue  pagine, 
"  e  benché  io  sappia  che  a  lui  basta  la  mia  lode  da  me  non  prodigata 

*  mai,  aggiungi  come  per  zucchero  su  le  fragole  l'approvazione  di  molti 
'  schizzinosi,  e  di  alcuni  valenti  ed  ingenui.  —  £  gli  siano  stimolo  a 
"  studiare  ed  a  valersi  di  questi  anni  (2),  che  dopo  i  trenta  quel  che 
'  si  è  fatto  si  è  fatto  ;  sino  a  questa  età  possiamo  temperare   e   aguz- 

*  zare  e  correggere  gli  strumenti  dell'  ingegno  —  dopo  se  ne  usa  ;  e  pas- 
'  sati  i  trent'anni  si  legge  e  si  scrive  assai  più,  ma  non  si  può  miglio- 
"  rare  l'istromento  ed  è  forza  tenerselo  tal  quale  fu  prima  apprestato, 
"  e  non  è  poco  s'ei  non  peggiora.  Leggendo  quietamente  l'articolo,  ho 
"  emessi  dall'animo  prosperi  vaticinj,  com'  io  feci  alla  lettura  del  tuo  Tu- 

*  ramini  (3).  Voi  fate  dunque  ch'io  non  esca  profeta  bugiardo;  e  se  studie- 
rete  insieme,  e  se  ciarlerete  e  conviverete,  uno  ripulirà  la  rozzezza  del- 
l'altro —  ed  aguzzandovi  insieme»  come  spade,  riescirete  più  taglientf, 

'  più  acuti  e  più  luminosi.  -  Questi  consigli  sieno  bevuti  e  digeriti  più 
"  da  te  che  da  Pellico;  bench'ei  sorga  albero  lento  e  tortuoso,  ha  non 

*  pertanto  radici  profonde  e  metterà  frondi  di  bel  verde-cupo  e  rami 
"*  succosi,  e  il  vento  e  la  tempesta  lo  nutriranno  quanto  la  rugiada  e 
**  il  sole.  Tu   se'  invece  cresciuto,   e  spiri  colore   e   calore  e   odore  di 

primavera  di  maggio,  ma  temo   che  l'impazienza  e  le  passioncelle  e 

*  gli  impieghi  ti  sieno  grandine  sì  che  l'autunno  non  goda  delle  tue 
frutta  :  esempio  frequente  tra'  milanesi,  quod  oculis  nosiris  perspeximus 

*  et  manus  nostrae  conirectaveruni:  così  incomincia  V Epistola  di  S.  Giov, 

*  e  così  io  fìnisco  la  mia.  Finita  la   predica,   tu    fa   l'elemosina.   Saluta 

*  dunque,  ecc,  ecc,  „ 

Che  Pietro  Borsieri  fosse  tenuto  in  pregio  non  solo  dal  Fo- 
scolo, ma  anche  dal  Monti  e  dal  Manzoni,  Io  dice  Silvio  Pellico 
in  un  frammento  di  lettera  (4)  che  mette  conto  riferire,  anche  perchè, 

(i)  Sulla  vita  e  gli  scritti  di  Luigi  Pellico  v.  G.  Briano,  Delta  vita  e 
delle  opere  di  Silvio  Pellico,  Torino,  1854,  pp.  7374;  Rinieri,  op.  e  voi.  cit., 
pp.  X,  72  e  148;   F.  Gabotto,  in  Piccolo  Archivio  cit.,  I,  p.  274. 

(2)  Luigi  aveva  allora  21  anni,  essendo  nato  il  13  gennaio  del  1788. 
Pietro  Borsieri  era,  come  si  esprime  il  Pellico  e  come  vedremo  in  se- 
guito, •  d'uguale  etè.  „ 

(3)  Sugli  scritti  del  Borsieri  vedasi  G.  Pikrgiu,  //  *  Foglio  azzurro  » 
t  I  priwit  romantici,  in  Nuova  Antologia,  3.*  serie,  voi.  V,  pp.  19-20  ;  e 
G.  De  Castro,  in  qwtsl* Archivio,  XV,  942. 

(4)  Cfr.  G.^  Briano,  op.  cit.,  pp.  70-72;  Pellico,  Epistolario,  ed.  cit., 
p.  466-68.  Ne  cita  un  piccolo  brano,  senza  però  indicarne  la  fonte,  Ce- 
sare Cantù  nel  suo  lib.  //  Conciliatore  e  i  Carbonari,  Milano,  1878,  p.  42. 


lyo  KOSCOLO   E   BORSIERI 

oltre  all'esser  poco  conosciuta,  essa  ci  cifre,  per  cosi  dire,  il  me- 
daglione del  Borsieri,  e  soprattutto  perchè,  scritta  dopo  la  morte 
dì  questo  avvenuta  nel  1852,  ossia  alla  distanza  di  circa  mezzo 
secolo  dalla  data  della  lettera  da  noi  alleata,  mostra  quanto  fos- 
sero fondati  i  timori  del  Foscolo  allorché  scriveva  :  «  temo  che 
«  r  impazienza  e  le  passioncelle  e  gli  impieghi  ti  sìeno  grandine  si 
"  che  l'autunno  non  goda  delle  tue  frutta.  " 

Le  note,  che  appongo  alla  lettera  del  Pellico,  varranno  a  com- 
pletare le  notizie  che  essa  ci  porge  intorno  a  Pietro  Borsieri. 

*  Quand'io  dì  Francia  venni  a  Milano,  ìn  età  d'anni  31  (i)>  trovai, 
"  fra  i  giovani  d'ingegno,  Pietro  Borsieri,   d'anni  23   o    24  (a).  Avevi 

"  fatto  con  onore  i  suoi  studi  all'Università  di  Pavia,  ed  uscitone,  venne 
"  iinpìcfcato  al  Ministero  della  Giustizia  (3).  Scriveva  bene  in  prosa  ed 
"  in  poesia  (4),  ragionava  con  eloquenza,  si  nodriva  di  molte  letture,  il 
"  suo  intelletto  gustava  sopratutto  le  indagini  fìloso6che  e  le  scienze  del 
"  bello.  Era  tenuto  in  pregio  da  Monti,  da  Foscolo,  da  Manzoni,  da 
'  ogni  uomo  che  Io  conoscesse;  ed  in  luì  amavano  non  solo  il  notule 
'  ingegno,  ma  le  sode  qualità  dell'animo.  Non  ti  so  dire  quasi  altro 
'  di  Pietro  Borsieri,  se  non  che  ci  vedevamo  ogni  giorno  come  amid 
"  allegri,  studiosi,  sempre  in  buona  armonia,,  Ei  faceva  progetti  di  libri 
'  d'ogni  genere,  ordiva  drammi  storici,  e  non  s'affrettava  a  compiere 
'  nulla;  onde  non  diede  pressoché  niente  alle  stampe.  Pubblicò  sol 
tanto  opuscoli  d'occasione,  brevi  poesie,  cose  poco  notevoli;  collaborò 
'  nel  Concilia/ore  (^). 

*  Quando  fui  carcerato,  non  si  recò  veruna  molestia  a  Borsieri,  ma 


(nel  cinquantenario   della    morte   di    PIETRO   BORSIERl)         I7I 

circa  un  anno  dopo  si  trovò  involto  nel  processo  di  Gonfalonieri  (i),  con 
molti  altri  (2).  Io  ero  già  allo  Spielberg,  allorché  furono  condannati  Bor- 
sieri,  G>nfalonieri,  ecc.  (3),  e  tutti  vennero  a  raggiungermi  nella  fatale 
fortezza  (4).  Io  uscii  di  là  nel  1830,  per  grazia  fattami  ancora  da  Fran- 
cesco I.  —  Borsierì  e  gli  altri  furono  poi  graziati  da  Ferdinando,  ma 
non  lasciati  in  Europa  :  una  nave  austriaca  li  portò  in  America.  Dopo 
alcuni  mesi  di  soggiorno  negli  Stati  Uniti,  Borsieri  venne  in  Francia  e 
prese  dimora  a  Parigi,  ove  stette  finché  più  tardi  il  Governo  austriaco 
permise  a  tutti  quegli  esuli  di  ritornare  alle  loro  case  (5).  Borsieri 
visse  tranquillo  e  stimato  in  patria,  e  si  tenne  lontano  dalle  passioni 
politiche.  Le  ultime  nostre  vicende  non  gli  ispirarono  fìducia. 

*  Stette  allora  qualche  tempo  in  Torino.  Pacificatesi  le  cose,  ritornò 
di  nuovo  a  Milano.  La  sua  salute  declinò.  £i  si  recò  in  luglio  a  Bei- 
girate,  sperando  vantaggio  da  quell'aere,  e  pensava  quindi  d'andare 
alla  Spezia.  Preso  da  straordinario  indebolimento,  mori  il  6  d'ago- 
sto 1852.  Era  uomo  d'animo  rettissimo,  pieno  d'amore  per  tutto  ciò 
che  è  bello,  per  tutto  ciò  che  è  virtù. 

*  Perchè  con  tante  cognizioni  e  con  segnalato  ingegno  non  lasciò 
egli  un'opera  letteraria  notevole?  Mutava  troppo  spesso  progetti, 
s'annoiava  dei  lunghi  lavori  (6),  e  più  lo  dilettava  il  leggere,  pensare 
e  discorrere,  che  acquistar  fama  d'autore.  In  gioventù  ei  diceva  :  *  è 
troppo  presto  „  ;  in  vecchiaia  disse  :  '  è  troppo  tardi.  „ 

*  Bench'io  sappia  che  bisogna  rassegnarsi  a  qualunque  perdita,  la 
morte  di  Borsierì  mi  ha  profondamente  addolorato.  Qui  in  Torino  egli 
era  fresco,  animato,  vivissimo;  non  avrei  mai  pensato  che  toccava  a 
me,  C09Ì  travagliato  da  infermità,  di  sopravvivergli!  „ 

Diciassette  mesi  dopo  Borsieri,  il  31  gennajo  1854,  anche  Silvio 
Pellico  esalava  lo  spirito  travagliato. 

Giuseppe  Fi.echia. 


(i)  Cfr.  A.  Vannucci,  /  mar/tri  della  libertà,  ecc.,  voi.  I,  pp.  282-83; 
A.  D'Ancona,  Federico  CoftfalonierifMWanOf  iSg^,  passim.;  A.  LvziOy  An- 
tonio Salvotti  e  i  processi  del  ventuno,  Roma,  1901,  passim. 

(2)  Il  marchese  Giorgio  Pallavicino,  l'avvocato  Castiglia,  ecc. 

(3)  Vedasi  la  sentenza  di  condanna  alla  pena  di  morte  (9  ottobre 
1823)  e  poi  (17  dicembre  1823)  di  commutazione  nella  pena  del  carcere 
duro  "  a  Borsieri,  Pallavicino  e  Castiglia  per  venti  anni  „  presso  Ce- 
sare Cantù,  Cronistoria  della  indipendenza  italiana^  Torino,  1873,  vo- 
lume II,  p.  210. 

(4)  Alla  fine  di  febbraio  del  1824,  Borsieri  cogli  altri  condannati 
giungevano  alla  rocca  *  ove  da  due  anni  languiva  il  povero  Pellico.  „ 
Cfr.  A.  VANNUca,  op.  cit.,  voi.  1,  p.  283. 

(5)  Borsieri  riebbe  la  libertà  e  la  patria  soltanto  nel  '4a  Cfr.  Ber- 
toldi e  Mazzatinti,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  109. 

(6)  Ecco  r  ■  abulia  „  (come  la  chiamano  i  moderni),  che  faceva 
trarre  al  Foscolo  i  pronostici  che  conosciamo  sull'avvenire  del  Borsieri. 


1 


BIBLIOGRAFIA 


H.  SlMONSFELD.  —  Mailànder  Brieje  zur  tayerischen  und  faUgemeinen 
Geschichte  des  16  JahrhundertSy  (aus  den  Abhandlungen  der  K.  ba- 
yer.  Akademie  der  Wiss.,  Ili,  CI.  XXII,  Bd.  Ili,  Abth.  Mtìn- 
chen  1902,  I,  p.  233-480;  II,  p.  482-575. 

Al  dott.  Simonsfeld  segnalava  un  giorno  l'ing.  Motta  un  codice 
trivulziano  contenente  molti  regesti  di  lettere  scritte  da  un  cittadino  mi- 
lanese, Prospero  Visconti,  ai  duchi  di  Baviera  e  specialmente  a  Gu- 
glielmo V,  tra  il  1569  e  il  1579:  regesti  ch'egli  a  buon  diritto  giudicava 
assai  importanti  per  la  storia  della  cultura  italiana  nel  cinquecento.  Il 
chiaro  professore  bavarese  iniziò  allora  negli  archivi  della  patria  sua 
pazienti  indagini  per  rintracciare  gli  originali,  le  risposte  e  tutti  quei 
dati  che  valessero  ad  illustrarli,  e  riusci  a  raccogliere  questo  episto- 
lario, che  è  una  miniera  di  notizie  non  solo  per  la  vita  intellettuale  della 
corte  bavarese  in  quell'epoca,  ma  anche  e  principalmente  per  la  storia 
delle  arti,  dei  mestieri,  delle  industrie,  del  costume,  dei  prezzi  in  Mi- 
lano nella  seconda  metà  del  sec.  XVI.  Si  tratta  di  una  corrispondenza 
di  due  nobili  milanesi,  Prispero  e  Gasparo  Visconti,  con  Alberto  e  Gu- 
glielmo V  di  Baviera,  che  va  dal  1568  al  1592  e  riguarda  per  lo  più  gli 
acquisti  d'oggetti  d'ogni  genere  che  i  duchi  per  mezzo  dei  due  Visconti 
facevano  a  Milano  :  oggetti  destinati  in  parte  a  corredo  e  servigio  della 
casa  ducale,  in  parte  a  formare  i  primi  nuclei  dei  famosi  musei  di 
Monaco,  i  quali  furono  com'è  noto  creazione  di  quei  principi. 


Prospero  Visconti  discendeva  dalla  famìglia  ducale.  Suo  nonno 
Giangaspero,  ciambellano  del  Moro,  era  morto  alla  battaglia  di  Novara; 
il  padre,  dice  il  Simonsfeld,  riferendosi  all'Argelati,  era  stato  dei  sessanU 
senatori  di  Milano  ;  voleva  dire  dei  sessanta  decurioni  componenti  il  Con- 
siglio generale  della  città,  nel  quale  entrò  infatti  il  io  novembre  1561 
in  luogo  del  fratello  Carlo  (i).  Prosperò  era  nato  nel  1543  o  44  ed  edu- 

(i)  Archivio  storico  civico  di  Milano;  elenchi  dei  Decurioni.  Que- 
sta notizia  autentica  toglie  il  dubbio  del  Simonsfeld  che  FArgelati  faccia 
confusione  col  figlio  Prospero. 


BIBLIOGRAFIA  173 

cato  a  buoni  studi  artistici  e  letterari  :  spirito  arguto,  ingegno  versatile, 
cultura  varia,  molteplice  e  geniale;  era  ad  un  tempo  buon  poeta 
latino,  buon  matematico  e  buon  astronomo,  intelligente  di  musica  e 
bibliofilo,  raccoglitore  di  manoscritti  e  di  antichità  greche  e  romane, 
che  con  grande  amore  andava  disponendo  nel  suo  palazzo  di  via  Lan- 
zone,  oggi  appartenente  ai  conti  Lurani.  Per  mezzo  del  cugino  Gaspare 
conobbe  nel  1 569  il  duca  Guglielmo  V  ;  due  suoi  viaggi  in  Baviera  nel 
'72  e  nel  '7$  strinsero  vie  più  i  legami  coirintelligentissimo  principe,  e 
ad  accrescergli  favore  contribuì  il  suo  matrimonio  con  Giustina  Garofola, 
parente  del  giovane  cavaliere  Giovanni  Guidoboni,  che  occupava  uffici 
eminenti  alla  corte  bavarese  ed  era  stato  creato  feudatario  di  Lichtem- 
berg  (l).  La  vita  di  Prospero  fu  quieta  e  tutta  piena  di  soddisfazioni  in- 
tellettuali :  poche  cariche  pubbliche  :  priore  delPospedal  maggiore  nel 
1577:  nel  1578  concorse  ad  uno  dei  posti  vacanti  per  la  morte  del  conte 
Sforza  Morone  (a)  quello  di  Commissario  generale  dello  Stato,  e  quello 
àÀ  senatore  cavaliere,  cioè  onorario,  senza  impegno  d'ufficio;  nel  1583 
entrò  nel  Consiglio  dei  Decurioni  :  nei  citati  elenchi  dell'Archivio  sto- 
rico civico  figura  eletto  il  31  agosto  di  quell'anno  in  luogo  di  Bergonzo 
Botta:  nel  1582-84  e  1590-91  fu  deputato  alla  Fabbrica  del  Duomo  alla 
quale  consacrò  una  parte  dei  redditi  dei  suoi  possessi  di  Breme;  morì 
compianto  da  tutti  a  quarantanove  anni,  ritornando  da  Roma  ove  erasi 
recato  col  cugino  arcivescovo. 

Gaspare  era  figlio  di  Camillo,  agente  diplomatico  di  Francesco  II 
Sforza.  Fu  molte  volte  in  Baviera,  e  alla  corte  mandava  or  l'uno  or  l'altro 
de'  suoi  numerosi  figliuoli  ;  fu  fatto  conte  palatino  e  cavaliere  di  Santo 
Stefano,  onori  non  pari  ai  suoi  meriti  mediocri.  I  due  cugini  eran  molto 
diversi  per  carattere,  per  animo,  per  cultura  e  per  attitudini.  Prospero 

(1)  Poiché  intorno  al  Guidoboni  e  specialmente  intorno  al  suo  feudo 
il  Simonsfeld  espone  molte  notizie,  mi  piace  segnalargli  un  documento 
che  ho  trovato  nell'Archivio  storico  civico  di  Milano.  E'  un  istrumento 
rodato  dal  notaio  Osvaldo  Stadler,  in  casa  del  nob.  sig.  Ilario  Pyrckmayr 
{sic),  dottore  e  consigliere  del  principe  di  Baviera,  e  sottoscritto  dal  Se- 
nato e  Consoli  della  città  di  Monaco,  de'  quali  porta  il  sigillo.  In  esso 
istrumento  la  nobil  donna  Cristierna  de  Vergi,  madre  e  tutrice  di  Gu- 
glielmo e  Alberto  Nicola  fratelli  de  Guidobonis,  figli  di  lei  e  del  fu 
cav.  G.  Francesco  Guidobono  Cavalchino,  ed  eredi  ab  intestato  del  fu 
G.  B.  Guidobono  Cavalchino,  barone  di  Lichtembcrg  loro  zio,  assicura 
alla  signora  Anna  Guidobona  Cavalchina,  vedova  del  defunto  barone, 
il  pieno  godimento  per  sé  ed  eredi  dell'annuo  censo  di  840  fiorini  ger- 
manici, pari  a  lire  milanesi  3360,  dal  predetto  barone  comperato  nel  1597 
presso  il  comune  di  Milano,  collo  sborso  di  8000  coronati  (lire  milanesi 
48.000)  e  quindi  assegnato  alla  moglie  in  un  istrumento  di  divisione  di 
beni. 

Il  documento  porta  la  data  del  28  febbraio  1604  :  ma  è  allegato 
alla  deliberazione  9  agosto  1597,  colla  quale  il  Consiglio  di  Milano  ac- 
cettava la  proposta  del  barone  di  Lichtemberg  di  impiegare  40.000  scudi 
in  tanti  reoditi  della  città. 

(2)  Su  questo  personaggio  vedi  le  notizie  da  me  date  nel  mio  la- 
voro: Il  municipio  di  Afilano  e  Vlnquisisione  di  Spagna,  in  questo  Ar- 
chivio ^  voi.  VII,  1897,  p.  86. 


174  BIBLIOGRAFIA 

scrittore  elegante  tanto  in  italiano  che  in  latino  :  Gaspare  trasandato, 
scorretto  e  spesso  oscuro  :  l'uno  sempre  sereno  ed  equanime  nei  gradili, 
modesto  nel  parlar  di  sé  :  Taltro  bisbetico  e  non  alieno  da  vanterìe  spa- 
gnolesche. La  devozione  di  Prospero  verso  i  duchi  di  Baviera  era  più 
profondamente  sentita  e  contraccambiata  quindi  da  una  confidenza  senza 
limiti  :  Gaspare  sembra  servir  que'  principi  più  per  vanto  che  per  affetto. 
Né  Puno  né  l'altro  erano  agenti  propriamente  detti  ;  la  loro  parte  era 
quella  di  amici  e  di  corrispondenti  artistici  :  i  duchi  si  servivano  di  loro, 
e  specialmente  di  Prospero,  abilissimo  nel  comperare  a  buon  patto,  pei 
loro  acquisti  in  quel  grande  emporio  d'arti  ed  industrie  che  era  allora 
Milano,  e  li  ricompensavano,  non  con  danaro,  ma  con  regali  che  eraii 
piuttosto  ricambio  di  altri  doni  ricevuti  che  non  compenso  di  servigi. 

Que'  regali  eran  talora  una  bella  prova  dell'animo  eletto  e  dell'in- 
telligenza geniale  del  donatore.  A  Prospero,  che  sapeva  appassionato  per 
l'astronomia,  il  duca  Guglielmo  donò  nel  1576  un  istrumento  matematico, 
detto  torguero,  ideato  e  costrutto  dal  famoso  artefice  Ulrico  Schniep  di 
Monaco  ;  istrumento  che  procurò  al  suo  possessore  altre  belle  soddisfa- 
zioni :  il  duca  Emanuele  Filiberto  di  Savoia  se  ne  invaghi,  incaricò  il 
suo  architetto  Giacomo  Soldati  (i)  di  chiederlo,  almeno  a  prestito,  al 
gentiluomo  milanese,  ed  egli  stesso  gli  scrisse  una  amabilissima  lettera 
riportata  dal  Simonsfeld. 


La  maggior  parte  dogli  oggetti  che  così  prende van  la  via  delle 
.\lpi,  proveniva  da  Prospero,  il  quale  s'era  fatto  come  una  missione  non 
solo  di  accontentare,  ma  di  prevenire  i  desideri  dei  duchi.  Noi  passeremo 
in  rassegna  le  cose  principali  menzionate  in  questo  epistolario,  seguendo 
in  massima  la  divisione  fatta  dal  Simonsfeld  nella  tliligentissima  e  dotta 
illustrazione  che  occupa  il  secondo  volume  dell'opera. 

\.  Antichità^  viedagliey  monete.  —  Nel  1569  riuscì  Prospero  ad 
ottenere  dal  giureconsulto  Caradosso  Foppa,  intelligente  raccoglitore, 
nove  antichi  e  bellissimi  busti  di  imperatori  romani  ;  il  Simonsfeld  crede 
di  averli  identificati  nel  museo  di  Monaco.  Si  parla  in  seguito  d'una 
statua  di  Bacco  in  bronzo,  lavoro  moderno  romano,  d'un  antichissimo  sa- 
tiro, di  una  «  testa  antica  »,  d'un  Apollo  di  marmo,  di  una  mirabile  tavola 
marmorea  con  un  grande  bassorilievo  di  Bacco,  d'una  testa  di  Cupido, 
di  due  busti  antichi  di  Giove  e  di  Mercurio,  d'una  testa  di  Dionisio  in 
bronzo,  d'un  piccolo  Giove  di  bronzo.  Parecchie  monete  antiche  sono 
pur  state  identificate  nel  suddetto  Museo,  come  pure  qualche  cammeo: 
una  moneta  rarissima  dell'imperator  Claudio  e  mandata  in  regalo  da 
Prospero  il  quale  promette  di  adoperar  ogni  mezzo  per  ottenere  tutta  0 

(i)  Sullarch.   Soldati,  perfezionatore,  s^  non  inventore,  della  bocca 
magistrale  milane>e,  ha  pubblicato  or  non  è  molto  interessanti  notizie  il 
chiaro  ing.   EMILIO  Bign.ami-Sormam,   Un  ingegnere  idraulico  dimentì 
calo    nel  rolttrcniro,  aprile  i8()(). 


BIBLIOGRAFIA  I75 

in  parte  la  raccolta  del  veneziano  Sebastiano  Efizzo  o  quella  del  Calestano 
di  Parma.  Infine  entrano  in  questa  categoria  alcune  di  quelle  medaglie 
che  i  duchi  di  Milano  davano  col  proprio  ritratto  in  dono  agli  amici 
fedeli  per  ricordo  e  che  Prospero  aveva  fatto  riprodurre  di  su  i  ponzoni 
conservati  dai  maestri  della  Zecca  e  passati  in  proprietà  d  una  persona 
di  sua  conoscenza. 

II.  Oggetti  artistici  di  metalli  preziosi  e  gemme,  —  Avute  dal  car- 
dinal Carlo  Borromeo  alcune  bullae  Jesus,  medagliette  col  nome  di  Gesù, 
e  alcuni  di  quegli  agnus  dei  così  in  voga  nel  cinquecento,  Gaspare  si 
affretta  a  mandarli  ai  principi.  Prospero  invece,  con  finissimo  fiuto,  scopre 
ì  più  squisiti  gioielli  di  cui  sian  fomite  le  botteghe  degli  orefici  milanesi 
e  specialmente  quella  di  Cesare  Binago  :  un  Nettuno  d'oro  sopra  un  del- 
fino di  madreperla;  un  Pegaso  d'oro  e  d'argento;  una  testa  di  Sibilla 
gemmata,  un  San  Giorgio  inciso  nel  diamante  ;  pendenti  da  orecchie  per 
Renata,  di  corno,  raffiguranti  leoni  e  tortorelle;  collane  di  perle  e  d'oro 
raffiguranti  cavalli  marini  e  sfingi  ;  un  bellissimo  e  prezioso  centauro  ; 
molte  di  quelle  medaglie  per  berretta  cosi  in  voga  nel  secolo  XVI  ; 
un  Cristo  in  croce  d'ebano  e  d'avorio,  su  disegno  dell'insigne  artista  mi- 
lanese G.  B.  Pozzo,  tre  collane  con  figure  di  amorini,  di  arpie,  di  navi  ; 
braccialetti,  pettini,  fibbie,  lampade,  statuette  di  bronzo  e  lapislazzuli  e 
molti  altri  oggetti  di  minor  mole  e  valore. 

III.  Oggetti  di  vetro  e  cristallo.  —  E'  noto  come  la  moda  diffon- 
desse straordinariamente  nel  cinquecento  l'uso  del  cristallo  anche  come 
ornamento  delle  vesti  (i);  le  lettere  dei  Visconti  ce  ne  dimostrano  fio- 
rentissima  l'industria  in  Milano,  la  quale  era  in  grado  di  fare  una  seria 
concorrenza  a  Venezia.  Incontriamo  frequentissime  spedizioni  di  puntali 
e  bottoni  a  centinaia  per  volta,  fiori  di  vetro  per  conciatura  di  testa  fem- 
minile, collane  di  cristallo  con  legature  d'oro,  cristalli  miniati.  L'artefice 
più  spesso  nominato  è  Francesco  Trezzo,  famoso  per  la  fabbrica  di  vasi, 
bacili  e  boccali  di  gran  pregio  :  altri  sono  Giacomo  Trezzo,  Gerolamo 
Messerano,  Stefano  Carono,  Gerolamo  Va  ver,  G.  B.  Isac  e  alcuni  membri 
della  famiglia  Saracco  :  di  parecchi  si  leggono  elogi  anche  nella  Nobiltà 
ii  Milano  del  nostro  Morigia. 

IV.  Abiti  e  tessuti.  —  Si  può  dire  senza  tema  di  andar  molto  lon- 
tani dal  vero  che  i  duchi  di  Baviera  e  le  loro  famiglie  si  vestivano  quasi 
interamente  a  Milano.  Prospero  con  gusto  finissimo  sceglieva  i  tessuti 
migliori,  specialmente  quando  si  trattava  di  accontentare  Renata  di  Lo- 
rena e  seguiva  con  attento  occhio  l'avvicendarsi  della  moda.  Così  eran 
frequentissime  le  spedizioni  di  stoffe  e  di  oggetti  di  vestiario,  accompa- 
gnate sempre  dall'elenco  dei  rispettivi  prezzi,  i  quali  son  per  sé  stessi 
documenti  di  grande  valore  :  telerie  bianche  e  colorate,  specialmente  la- 
vorate con  oro  e  argento,  tele   d'oro  e  d'argento,  tessuti  per  mantelli, 

(i)  V.  il  mio  lavoro.  Le  leggi  suntuarie  e  la  decadenza  dell  industria 
in  Milano,  in  quest^ Are hii'io,  voi.  XIII,  1900,  p.  70. 


176  BIBLIOGRAFIA 

panni  d'ogni  genere,  denominati  con  ricchissima  e  preziosa  nomenclatura, 
buratti,  velluti,  spediti  a  centinaia  di  braccia  per  volta,  taffetà,  rasi,  broc- 
cati, damaschi,  abiti  fatti  e  loro  accessori  ;  calze,  cappelli  e  cuffie  d'oro, 
argento  e  perle,  nastri,  guarnizioni,  passamani,  veli,  cinture,  guanti  pro- 
fumati, ventagli,  parasoli;  tutto  fabbricato  in  quel  grande  centro  del- 
l'industria tessile  che  era  Milano.  Qui  da  ogni  parte  si  ricorreva  nelle 
grandi  occasioni;  nel  1573,  per  recare  un  esempio,  un  agente  del  ve- 
scovo di  Lesgna  si  trovava  a  Milano  a  far  provvista  di  stoffe  per  Tinco- 
ronazione  del  re  di  Polonia,  Enrico  III. 

V.  Armi  ed  affini.  —  In  questa  famosa  industria  milanese  di- 
stinguevasi  allora  Ferrante  Bellini  de  la  Lima,  lodato  dal  Morigia  e  dal 
Lomazzo,  non  menzionato  dal  Bòheim.  Di  lui  Prospero  servivasi  a  pre- 
ferenza quantunque  si  facesse  pagar  caro  e  fosse  lento  nel  lavoro.  Fre- 
quenti sono  le  spedizioni  di  spade,  pugnali  e  d'armature  complete. 

VI.  Libri,  quadri,  ritraili.  —  Libri  non  molti  :  un  «  Libro  degli 
(c  Abbiti»  mandato  da  Prospero  (forse  il  Vecellio  o  il  Bestelli?),  un  pre- 
zioso manoscritto  dell'opera  sulla  guerra  di  Roberto  Valturio,  identi- 
ficato dal  Simonsfeld  nella  Nazionale  di  Monaco.  Una  volta  Prospero 
dà  notizia  al  duca  Guglielmo  di  una  raccolta  di  manoscritti  di  straordi- 
nario valore  posseduta  da  Pagano  Doria,  che  l'aveva  avuta  in  regalo  da 
un  re  africano,  nella  quale  si  trovavano  un  Livio  e  un  Cesare,  piii  com- 
pleti delle  solite  edizioni,  scritti  m  lingua  «africana»,  e  gli  suggeriva 
di  chiederli  ad  Andrea  Doria,  crede  della  libreria.  La  notizia  è  impor- 
tante per  la  storia  della  fortuna  dei  due  autori  latini.  Un  libro,  del 
quale  non  s'indica  il  titolo,  spiacque  perchè  licenzioso  :  «  paulo  immo- 
«  destius  »,  come  scrive  il  duca  Guglielmo  a  Prospei-o.  Un  tal  giudizio  non 
poteva  prevedere  un  italiano  del  Cinquecento.  Nel  1580  spediva  un'opera 
di  F.  Perigone,  sulla  casa  di  Savoia,  le  canzoni  di  Gerolamo  Conversi 
e  le  composizioni  musicali  dell'organista  veneziano  Bellavere,  indirizzate 
al  musicista  Orlando  di  Lasso,  che  si  trovava  in  Baviera  ai  ser- 
vigi dei  duchi.  Tra  i  quadri  :  una  Giuditta  od  Erodiade  degli  sco- 
lari del  Tiziano,  corretta  dal  maestro,  pagata  40  scudi;  un  quadretto 
del  Correggio,  con  molte  figure,  comperato  per  20.  Di  molto  interesse 
son  le  notizie  di  una  serie  di  ritratti  che  Prospero  faceva  eseguire  pel 
duca  Guglielmo,  in  parte  originali,  in  parte  copie  di  quelli  raccolti  nel 
famoso  musco  di  Paolo  Giovio  a  Como  :  essi  costituiscono,  almeno  in 
parte,  il  primo  nucleo  delle  collezioni  dell'arciduca  Ferdinando  del  Ti- 
rolo  e  del  duca  Alberto  V.  Si  trattava  di  copie  in  miniatura,  chiuse  in 
scatolini  d'avorio,  eseguite  dal  pittore  lombardo  G.  B.  Pozzo,  e  alcune 
da  Augusto  Decio.  Si  ricostituisce  così  intera  la  serie  dei  ritratti  dei  papi 
e  cardinali  del  musco  Gioviano.  Fra  gli  originali  c'è  quello  di  S.  Carlo 
fatto  alla  meglio  dal  Pozzo,  di  su  un  vecchio  ritratto,  perchè  non  si 
potè  indurre  il  Borromeo  a  posare  :  gli  altri  son  per  lo  più  di  cardinali 
e  prelati  allora  viventi.  Nel  '73  Prospero  mandava  un  esemplare  d'un'arte 
affatto  nuova  ;  il  ritratto  del  governatore  di  Milano,  Requesens,  eseguito 
in  cera,  in  bassorilievo,  a  mo'  di  medaglione,  e  colorato  da  Anteo  Lotclli, 


BIBLIOGRAFIA  I^^ 

inventore  di  quesf  arte  ;  seguirono  i  medaglioni  coH'effigie  delPAyamonte, 
<ii  Don  Giovanni  d'Austria,  pagati  quattro  scudi  al  pezzo.  Anteo  piacque 
molto  a  Corte  e  vi  si  recò  più  volte  a  presentarvi  i  suoi  lavori. 

VII.  Piante  ed  animali  rari  che  Prospero  con  gran  cura  cercava 
dovunque,  e  per  lo  più  faceva  venire  da  Genova,  pei  giardini  ducali; 
palme  di  S.  Remo  e  Bordighera,  semi  di  fiori  da  serra,  frutta,  limoni, 
aranci,  olive,  carciofi  ;  tra  Taltro  il  seme  di  a  una  herba  portata  dalle 
<c  Indie  occidentali  chiamata  tabac,  la  quale  ha  infinite  virtù  et  massima- 
«  mente  di  sanare  le  ferite  »  :  tra  gli  animali  :  struzzi,  pappagalli,  scim- 
mie, e  persino  si  parla  di  una  leonessa. 

Vili.  Giuochi  e  oggetti  d'uso.  —  Ferri  da  tornitore  per  diletto 
del  duca,  palle  e  martelli  pel  giuoco  del  pallone,  fatti  venir  da  Napoli, 
perchè  qui,  andato  il  giuoco  in  disuso,  non  si  fabbricavan  più,  tavolieri 
per  gli  scacchi,  uno  scrittoio  del  valore  di  1500  scudi,  scopini  col  ma- 
nico d'oro  e  d'argento  ed  altri  utensili  domestici,  carta  dorata  di  for- 
mato grande  e  persino  parecchie  migliaia  di  spilli. 

IX.  Artisti,  cantori j  operai.  —  Spesso  Prospero  mandava  l'artista 
coll'opera,  fornendolo  talora  del  suo  di  cavalcatura  e  di  viatico.  Così 
vanno  più  volte  in  Baviera  :  Francesco  Trczzo,  l'artefice  di  cristalli,  l'ore- 
fice A.  M.  Parozio,  lo  scultore  Anteo  Lotclli,  il  valentissimo  ebanista, 
lodato  dal  Morigia,  G.  Ambrogio  Maggiore,  l'armaiuolo  Cesare  De  Rosi 
per  prender  la  misura  di  venti  armature  per  giostra.  Altre  volte  curavasi 
di  ingaggiare  agli  stipendi  dei  duchi,  virtuosi  di  vario  genere  come  il 
contrappuntista  Giosquino  Salem,  un  Francesco,  cantor  veneziano  di 
grido,  l'organista  del  Duomo  di  Milano  Giuseppe  Caimi,  che  non  potè 
lasciar  la  città  sua  per  ragioni  di  famiglia,  il  violoncellista  Giuseppe 
Parochianino,  che  pure  dovette  rifiutar  l'invito  per  impegni  presi  con  una 
Accademia  musicale  dei  «  Cavalieri  del  Sole  »  in  Pavia,  l'eunuco  spa- 
gnuolo  Filippo  della  Croce,  e  parecchi  ecclesiastici  esperti  nella  musica. 
Poiché  alcuni  oggetti  o  Gaspare  o  Prospero  mandavano  in  esame 
e  non  si  sa  con  certezza  se  siano  stati  o  no  trattenuti,  non  è  possibile 
un  conto  esatto  delle  spese  fatte  in  Milano  dalla  corte  bavarese  :  tuttavia 
il  Simonsfeld  non  trascura  di  dare  anche  su  questo  argomento  le  notizie 
che  ha  potuto  raccogliere  e  vagliare.  Esaminate  tutte  le  cifre  che  ri- 
corron  nell'epistolario,  egli  conclude  essersi,  nel  periodo  da  quello  com- 
preso, pagati  scudi  3624  a  Gaspare,  4560  a  Prospero  e  3640  ad  altri  mila- 
nesi, alle  quali  somme  ne  vanno  aggiunte  altre  che  non  figuran  tra  le 
lettere,  ma  son  registrate  nei  libri  di  corte.  I  pagamenti  facevansi  in 
contanti  o  in  cambiali  per  mezzo  dell'agente  in  Milano  della  famosa 
casa  commerciale  augustese  dei  Fugger  (i).  Le  spedizioni  avcvan  luogo 

(i)  Sui  Fugger  studiatissimi  dalla  moderna  scuola  storico-economica 
tedesca,  veggan si  le  pagine  dello  Schulte,  Geschichtc  des  mittelalter lichen 
Haniels  und  Verkehrs  swischen  W estdeutschland  und  Italien,  (ved.  in- 
dice) e  Cfr.  Habler  C,  Die  Geschichte  des  ^uf^gers  'schen  Handlung 
in  Spanien  in  Zeitschr.  fiir  social-und  Wirths.  Gesch.j  Weimar,  1897. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXV.  12 


1 78  BIBLIOGRAFIA 

o  per  la  posta  o  per  mezzo  di  persone  fidate,  spesso  servitori  di  Prospero. 
Son  frequenti  le  querele  per  mancanza  di  puntualità  nella  Posta  delle 
lettere  organizzata  dai  Tassis,  onde  Prospero  era  talora  costretto  a  ri- 
correre ai  duplicati.  La  via  era  quella  di  Chiavenna,  Coirà,  Lindau. 
Tra  Milano  e  Landshut  residenza  della  corte  bavarese,  11  o  12  gionu 
nella  buona  stagione,  18  nella  cattiva. 

Nell'intraprendere  la  lettura  di  questa  egregia  pubblicazione  io  mi 
aspettavo,  a  dir  vero,  di  veder  identificata  nei  musei  di  Monaco  la  maggior 
parte  degli  oggetti  artistici  menzionati  nelle  lettere.  Su  questo  punto  la 
mia  aspettativa  fu  delusa,  e  non  è  possibile  ancora  pur  troppo  deter- 
minare in  qual  misura  Milano  abbia  contribuito  alla  formazione  di  quelle 
raccolte.  Solo  pochissime  cose  ha  il  Simonsfeld  riconosciute  ;  ma  io  non 
so  se  questo  scarso  risultato  attesti  l'impossibilità  di  arrivare  più  oltre  o 
dipenda  dal  non  aver  egli  per  ora  creduto  di  allargare  le  sue  indagai 
sulla  sorte  di  quegli  oggetti;  indagini  che  son  sempre  molto  ardue,  ed 
avrebbero,  con  esito  dubbio,  ritardato  la  pubblicazione  del  suo  lavoro. 

L'epistolario  dei  Visconti  è  anche  fonte  non  trascurabile  per  notizie 
d'altro  genere.  Prospero  veniva  incaricato  di  missioni  di  varia  natura 
dalla  corte  bavarese  :  mandato  nel  15S1  al  nuovo  duca  di  Savoia,  intomo 
al  quale  egli  narra  molti  e  interessanti  particolari,  a  Firenze  nel  1590, 
dove  si  portò  così  bene  che  il  duca  ne  fu  complimentato,  al  governatore 
d'Ayamonte  nel  Monferrato.  Inoltre,  a  cominciare  dal  1575,  ogni  otto 
giorni,  mandava  ragguagli  sui  principali  avvenimenti,  scritti  sovente  con 
cifrari  di  sua  invenzione  che  il  Simonsfeld  è  riuscito  a  decifrare  ;  giacché 
spesso  trattavasi  di  cose  molto  delicate  come  la  sterilità  del  duca  di  Fer- 
rara, gli  amori  e  le  avventure  piccanti  di  Don  Giovanni  d'Austria  a  Mi- 
lano ed  altrettali.  Così  possiam  nelle  lettere  di  lui  spigolare  intorno  alla 
peste  di  Milano  del  157Ó,  per  la  quale  il  buon  duca  Guglielmo  mandava 
a  Prospero  rimedi  creduti  infallibili,  intorno  alle  famose  contese  di 
S.  Carlo  col  Governatore  per  la  giurisdizione  ecclesiastica  (i);  sul  viag- 
gio di  Enrico  III  attraverso  l'Italia  settentrionale,  sui  vari  atteggiamenti 
della  politica  italiana,  sulla  duchessa  madre  Cristierna,  vedova  di  Fran- 
cesco Sforza  II,  e  infine  su  vari  costumi  del  tempo,  specialmente  sui  car- 
telli di  sfida  che  già  cominciavano  a  scambiarsi  con  funesta  frequenza 
i  nobili  spagnoleggianti  :  il  nostro  buon  Prospero  riferisce  qualche  esem- 
pio di  tali  cartelli  e  dimostra  in  fondo  la  medesima  opinione  del  padre 
Cristoforo. 

Ho  voluto  dar  conto  con  una  certa  ampiezza  dell'opera  del  Simons- 
feld perche  essa,  colla  dissertazione  che  le  va  unita  e  colTindice  copioso 
e  perfetto,  sarà  d'or  innanzi  una  fonte  indispensabile  di  consultazione  per 
gli  studiosi  della  Kulturgeschichte  lombarda.  E  mi  piace  concludere  di- 
chiarando che,  ^e  molta  lode  va  data  a  chi  Tha  compiuta,  una  bella  parte 
ne  spetta  a  chi  l'ha  suggerita. 

Ettore  Verga. 
(l)  Sulle  quali  l'Archivio  storico  civico  conserva  parecchi  documenti. 


BIBLIOGRAFIA  I79 


Guido  Muoni.  —  Ludovico  di  Breme  e  ie  prime  polemiche  intorno  a  ma- 
dama di  Stail  ed  al  romanticismo  in  Italia  (1816),  Milano,  Società 
editrice  libraria,  1902,  p.  102,  in-8. 

Questa  monografìa  fu  presentata  proprio  così,  già  beli' e  stampata, 
nel  luglio  ora  scorso,  come  tesi  di  laurea  all'Accademia  Scientifìco-Let- 
terarìa  di  Milano.  Essa  è  ricca  di  fatti  e  di  notizie,  ricercate  quasi 
sempre,  e  sempre  che  s'è  potuto,  di  prima  mano;  in  non  piccola  parte 
inedite;  vagliate  con  buon  senso  e  buon  criterio;  giustamente  giudicate 
e  apprezzate;  lucidamente,  e  qualche  volta  pur  argutamente  ed  elegan- 
temente esposte. 

La  ricerca  riesce  molto  interessante,  poiché  apporta  nuova  luce  su 
quel  perìodo  letterario,  che  può  dirsi  più  propriamente  milanese,  in  cui 
ferve  la  lotta  fra  lo  stracco  classicismo  e  il  baldo  romanticismo,  che  qui 
era,  allora  appunto,  importato.  Nel  trambusto,  compaiono,  ora  in  iscor- 
ciò  ora  di  profilo,  le  figure  dei  maggiori  letterati  del  tempo:  il  Byron^ 
il  Sismondi,  il  Di  Broglie,  Vincenzo  Monti,  Carlo  Botta,  Silvio  Pellico, 
la  Diodata  Saluzzo,  lo  Stendhal,  Ugo  Foscolo.  Nel  fondo  del  quadro 
ancor  grandeggia,  curiosa  contradizione,  la  statua  di  Vittorio  Alfieri; 
la  quale  getta  la  sua  ombra  protettrice  sulla  contessa  d'Albany,  fiera, 
anzi  vana,  delle  assuntesi  funzioni  di  vestale  —  non  molto  candida,  a 
dir  vero  —  di  quel  sacro  e  tragico  culto.  E  s'affacciano  di  lontano,  quasi 
aurora  promettitrice  d'un  giorno  molto  luminoso,  Alessandro  Manzoni  e 
Giacomo  Leopardi. 

La  prima  volta  che  del  genere  romantico  giunse  notizia  diretta  in 
Italia,  fu  in  grazia  della  traduzione  italiana  dt\\* Allemagne  di  madama 
di  Staél  (Milano,  Silvestri,  1814).  Ma  i  letterati  nostri  non  vi  badarono 
subito.  Sennonché,  due  anni  dopo,  nel  18 16,  comparve  nel  primo  fasci- 
colo della  Biblioteca  Italiana  un  vivace  articolo  della  Staél  medesima. 
Di  f  esprit  des  traductions,  che  parve,  ed  era,  una  sfida.  *  La  littéra- 
^  ture  italienne  „,  vi  si  diceva,  '  est  partagée  maintenant  entre  les  éru- 
'  dits  qui  sassent  et  ressassent  les  cendres  du  passe,  pour  tàcher 
'  d'y  retrouver  encore  quelques  paillettes  d'or,  et  les  écrivains  qui  se 
"  fient  à  l'harmonie  de  leur  langue  pour  faire  des  accords  sans  idées, 
'  pour  mettre  ensemble  des  exclamations,  des  déclamations,  des  invo* 
*  cations  où  il  n'y  a  pas  un  mot  qui  parte  du  coeur  et  qui  y  arrive.  „ 
K  chiedeva:  "  Ne  serait-il  donc  pas  possible  qu'une  émulation  active, 
'  celle  des  succés  au  théàtre,  ramenàt  par  degrés  l'orìginalité  d'esprit 
"  et  la  vérité  de  style,  sans  lesquelles  il  n'y  a  point  de  littérature,  ni 
'  peut-étre  méme  aucune  des  qualités  qu'il  faudrait  pour  en  avoir 
'  une?  ^  Apriti  cielo  I  Le  varie  Riviste  italiane  si  scagliarono  contro 
'  la  Pitonessa  »  ;  e  il  Saurau  si  vide  costretto  a  pregare  il  Gherardini  di 
gettare,  con  una  sua  risposta  all'articolo  di  lei,  un  po'  d'acqua  sul  fuoco. 

A  difender  strenuamente  la  Staél  dalle  accuse  e  dalle  insinuazioni 
che,  manco  a  dirlo,  eran  trascese  presto  in  volgarità  e  in  personalità 


l8o  BIBLIOGRAFIA 

villane,  sorse  l'abate  Di  Breme  ;  il  quale  mandò  il  suo  scritto  alla  stessa 
Biblioteca  Italiana,  Ma  l'Acerbi  non  volle  pubblicarvelo.  E  allora  l'abate 
diede  alle  stampe  un  opuscolo,  che  forse  risultò  di  quell'artìcolo  ampliato, 
col  titolo:  Discorso  intorno  ali* ingiustizia  di  alcuni giudiaii italiani.  Prece- 
deva una  lettera  al  padre,  con  la  data  i.*  giugno  1816,  nella  quale  ei  di- 
chiarava di  liberamente  ragionare,  nel  suo  libercolo,  •  contro  quella 
**  specie  di  volgare  e  pernicioso  entusiasmo  delle  patrie  lettere,  che  in 
"  luogo  di  rendersi  con  opere  contemporanee  esemplare  alle  vicine  na- 
^  zioni,  preferisce  sfogarsi  in  ciance  biliose,  e  fa  pompa  di  antichi  fasti 
"  e  si  soccorre  di  calunniose  imputazioni,  onde  spregiare  nella  nostra  terra 
"  i  nomi  più  illustri  di  tutta  Europa  „,  Confidava  in  un  prossimo  ■  risor- 
"  gimento  d'idee  „,  per  opera  sopratutto  di  *  quella  valorosa  gioventù, 
"  che  si  sta  accolta  meditando  e  silenziosa,  e  adulta  si  fa  ad  un  tempo 
"  con  una  più  robusta  e  più  vasta  filosofìa  „. 

La  Staél,  in  un  brano  d'un  secondo  articolo  che  mandò  alla  Bii^liO' 
teca,  si  lodava  molto  del  suo  paladino;  ma  quel  passo  appunto  fu,  per 
un  atto  di  deferenza  dell'Acerbi  verso  il  barone  Sardagna  che  non  nu- 
triva nessuna  simpatia  pel  Di  Breme,  mutilato.  Del  che  l'abate,  come 
era  naturale,  si  lamentò  fortemente;  anzi  non  rifece  la  pace  con  lo 
scortese  direttore,  e  solo  nelle  apparenze  (i),  se  non  più  tardi/ e  per 
interposizione  della  Staél  in  persona. 

Intanto,  nelle  *  frivole  colonne  del  Corriere  delle  dame  „,  giomalu- 
colo  futile  in  tutto  salvo  che  nel  servilismo  verso  i  padroni  felicemente 
regnanti,  comparvero  due  Articoli  italiani,  firmati  71  C,  eh'  erano  un 
nuovo  e  violento  attacco  contro  madama.  In  una  lettera  del  Giordani 
al  Monti  si  narra:  '  A  proposito  di  verità:  il  signor  contino  T.  Cf 
"  che  si  chiama  anche  alitilogo  e  scrive  lettere  dal  Tempio  della  Verità, 

*  e  tutto  improvviso  diventò  letterato^  e  gran  difensore  della  lettera- 
"  tura  italiana,  e  grande  nemico  di  madama  di  Staél,  e  fierissimo  ne- 
"  mico  della  Biblioteca  Italiana,  e  fu  il  primo  a  farle  rumor  contro; 
"  ebbe  a  sì  magnanime  ire  questa  vera  e  sola  cagione.  Egli  aveva  tra- 
*^  dotto  il  discorso  di  madama  di  Staél  da  inserirsi  nella  Biblioteca,  Te- 
"  metterò  i  compilatori  che  quella  traduzione  del  signor  contino  T.  C 
"  potesse   parer  ridicola,  ed  essendogli  amici  e   volendogli   evitare  le 

*  pubbliche  derisioni,    ordinarono    un'altra    traduzione.    Quindi    tutti  i 

*  furori  del  sig.  contino  T.  C:  miserie  miserabilissime  di  un  povero 
"  amor  proprio  I  ,,  E  il  nome  vero  di  codesto  contino  bizzoso  è  poi 
svelato  da  un'altra  lettera^  del  Monti  all'Acerbi  :  •  Ciò  ch'egli  [il  Gior- 

(i)  Da  un*  altra  dissertazione  di  laurea  presentata  quest'  anno,  del 
signor  Giulio  Zùccoli,  intorno  a  Giovita  Scalvini,  tolgo  questo  brano  di 
lettera  dell'Acerbi  allo  Seal  vini:  «  Il  Conciliatore  è  ormai  a  terra  e  non 
e  ne  può  più.  Que'  barbassori  hanno  creduto  facile  cosa  fare  un  buon 
«  giornale;  ma  con  quelle  teste  non  si  fa  nulla  di  buono  in  nessun  gè- 
e  nere.  Di  Breme  e  Kasori  bastano  soli  a  guastare  ogni  cosa  ».  La  let- 
tera è  posteriore  all'agosto  1818;  e  mostra  come  il  malumore  dell'A- 
cerbi verso  il  romantico  abate  non  fosse  mai  venuto  meno. 


BIBLIOGRAFIA  l8l 

*  dani]   mi   scrive   di   Caleppio^  noi    posso   credere  :    sarebbe   troppo 

*  sleale.  Tuttavolta  gli  amici  de' nostri  giorni  sono  sì  perfidi  1  ^  Non 
si  tratta  dunque  che  di  Caleppio  Trussardo,  commissario  di  polizia,  il 
quale  faceva  allora  le  sue  prime  armi  I  Più  tardi,  costui  fu  redattore 
étW Accattabrighe,  il  •  famigerato  e  bilioso  foglietto,  sorto  all'unico 
scopo  di  contrastare  in  ogni  cosa,  perfino  nel  titolo  e  nel  colore  della 
carta,  il  liberale  e  romantico   Concitiatore  „. 

Alle  ingiurie  del  Corriere  delle  dame  rispose,  nella  Biblioteca,  il 
Monti,  col  Dialogo  fra  Matteo  giornalista,  Taddeo  suo  compare^  Pa^ 
squale  servitore  e  ser  Magrino  pedante;  che  fu  pubblicato  anonimo.  •  Mi 

*  sa  male  „  concludeva  Taddeo,  *  che  il  signor  T.  C.  siasi  aggiunto  per 

*  cattivi  consigli  alla  banda  dei  suoi  [della  Staèl]  malevoli.  Di  lui  tut- 
"  t'altro  mi  prometterà  la  sua   creanza,   il  suo  garbo,   la  sua  -  virtù  ;  e 

*  ripugna  il  cuore  a  pensarlo  nostro  amico.  Ma  s'egli  ha  potuto  get- 
"  tarsi  dopo  le  spalle  i  riguardi  invocati  dalle  dolci  rimembranze  di 
"  un'amicizia  a  cui  nessuno  di  noi  fu  infedele,  non  vo'  che  il  suo  esempio 

*  ci  sia  pretesto  a  imitarlo  „.  Ma  in  soccorso  del  Corriere  venne  lo 
Spettatore,  quella  rivista  che  al  Leopardi  era  sempre  parsa  *  un  mucchio 
"  di  letame  „,  con  un'articolessa  ambiziosa  e  in  mala  fede:  Z.a^/orf  atta- 
liana  vendicata  dalle  imputazioni  della  signora  baronessa  di  Staél-Hot- 
Stein,  C  in  quello  stesso  anno  furon  pubblicati,  a  Milano,  un  opuscolo 
di  C.  G.  Londonio,  avversario  ma,  come  lo  dichiarò  poi  il  fìorsieri, 
'  critico  educato  ^  :  Risposta  di  un  Italiano  ai  due  discorsi  di  madama 
di  Staèl  inseriti  netta  Biblioteca  Italiana;  e  a  Firenze,  nel  Giornale  di 
letteratura  e  di  bette  arti,  *  la  più  sgangherata  delle  stoltizie  che  si  lan- 
'  ciarono  contro  madama  di  Staél  „,  cioè  La  Romanticomania^  dialogo 
fra  Madonna»  messer  lo  Giornalista  e  il  Cavaliere,  che  può  servir  d*  anti- 
doto alla  Lettera  inserita  nella  Biblioteca  Italiana  e  al  libro  di  monsieur 
De  Breme  intitolato  Discorso  ecc.,  trovato  dopo  la  morte  di  detto  Mes- 
sere fra  gli  altri  suoi  manoscritti  [?"|. 

A  dire  il  fatto  loro  a  tutti  codesti  fogliettisti,  il  19  settembre  dello 
stesso  anno  1816  venivan  fuori,  anonime,  le  Avventure  letterarie  di  un 
giorno  o  consigli  di  un  galantuomo  a  varii  scrittori»  Dalle  lettere  del 
Pellico  e  del  Breme  si  apprende  esserne  autore  Pietro  Borsieri.  *  Me- 
■  glio  che  il  Discorso  del  Breme,  scritto  apologetico  composto  di  furia, 
'  questa  satira  del  Borsieri,  piacevole  ed  arguta,  può  darci  ampia  testi- 
*  monianza  del  pensiero  e  degli  ideali  della  gioventù  liberale  e  roman- 
*^  tica  dei  suoi  tempi  ^,  Ma  essa  ferì  e  istigò,  non  sbaragliò  i  criticonzoli 
stipendiati  dal  governo  austriaco,  divenuto  —  strane  vicende  del  caso  I 
—  un  pugnace  custode  e  vindice  della  classicità  !  E  il  Corriere  delle 
dame  del  21  settembre  pubblicò,  annunziandola  quasi  come  un  singo- 
lare avvenimento  letterario,  una  scempiata  favola  in  versi  del  noto 
T.  C,  Le  fiere  e  il  moscerino;  e  l' i.  r.  Gazzetta  di  Milano,  nel  numero 
del  aQj  un  resoconto  sprezzante  del  libro  del  Borsieri.  S' intende  come 
codesta  autorizzata  recensione  non  fosse  firmata;  ma  par  sicuramente 
opera  di  quel  Pezzi,   che  fino  il   mitissimo    Pellico    qualificava  di  •  vi* 


l82  BIBLIOGRAFIA 

*^  lissinio  insetto  ,,.  Ed  è  curioso  notare  come  una  siffatta  polemica  riu- 
scisse ad  appassionare  sin  anche  il  povero  romito  di  Recanati;  che 
mandò  alla  Biblioteca  pur  un  suo  articoletto  in  risposta  a  quello  di 
madama,  '*  mosso  ad  ira  ,,,  com'  egli  ebbe  poi  a  scrivere  airAcerbi, 
^  non  tanto  dalle  opinioni  della  dama,  quanto  dalla  miseria  dei  suoi  ne- 
"  mici  M-  Ma  l'articolo  gli  fu  cestinato  (i). 

Gli  storici  della  nostra  letteratura  e  i  biografi  del  Berchet  mostrano, 
in  generale,  d' ignorare  tutte  codeste  lotte,  e  non  sanno  rimontare,  per 
l' introduzione  del  romanticismo  in  Italia,  più  su  del  Berchet  e  della  sua 
Lettera  semiseria  di  Crisostomo,  Eppure  in  questa  c'è  un'evidente  allusione 
al  Discorso  del  Breme:  '  Una  persona  che  aveva  l'aria  di  uomo  non  doz- 
"  zinale,  e  non  l'era  davvero,  parlava  della  poesia  Romantica  con  Sua  Re- 
^  verenza...  Ad  un  tratto  il  panegirista  usci  fuori  con  un  voto,  perchè  al- 
**  cuno  in  Italia  pigliasse  a  scrivere  una  Poetica  Romantica.  Che  Poetiche 
"  di  Dio!,  gridò  allora  il  buon  curato  di  Monte  Atino...  Domando  mille 
"  scuse  :  ho  gridato  fuori  d'ogni  creanza,  ma  sappia  Vossignoria  che  io  non 
"  l'aveva  con  lei.  A  Lei  io  ho  data  tutta  la  mia  stima.  Capperi  !  Vossignorìa 
"  ha  detto  pel  primo  in  Italia  cose  che  non  tutti  sanno  dire,  o  che  tutti 
"  qui  s'ostinano  a  non  voler  dire.  Da  bravo  !  stia  fermo,  e  non  si  lasd 
"  atterrire  da  chi,  senza  entrare  in  ragionamenti,  le  abbaia  dietro  dei 
"  mali  motteggi  e  delle  insipide  satire.  Siamo  cristiani  e  sacerdoti  en- 
"  trambi;  perdoniamo  adunque  di  buona  volontà  agl'insolenti...  \  filo- 
"  soft  estetici  io  non  li  confondo  cogli  scrittori  di  Poetiche  „.  Or  è  evi- 


(i)  Al  Luzio,  che  felicemente  rintracciò  Taltro  articoletto  leopardiano 
sulle  traduzioni  dal  greco  perpetrate  da  Bernardo  Bellini  (cfr.  Un  arti- 
colo cestinato  di  G.  L,,  nella  Miscellanea  nuziale  Rossi-Teiss^  p.  65  sgg.). 
non  era  riuscito  di  sapere  dove  fosse  andato  a  finire  questo,  mtorno 
alla  Staél.  11  Muoni,  dopo  averlo  invano  cercato  nella  biblioteca  di  Re- 
canati, lo  ha  rinvenuto  tra  le  famose  Carte  napoletane  che  ora  sono 
alla  Casanatense;  ma  la  gelosa  Commissione  governativa  (che  pur  di- 
cono esista,  e  che  pubblichi  a  nome  e  per  conto  dello  Stato  I)  non  ha  per- 
messo eh'  ei  ne  prendesse  copia.  Lo  vedremo,  gli  han  fatto  sapere,  pub- 
blicato fra  breve:  Dio  sa  poi  in  quale  volume  di  quale  dei  regi  com- 
niissarii!  —  Dall'Epistolario  s'apprende  anche  avere  il  Leopardi  man- 
dato allo  Stella,  per  lo  Spettatore  (e  non  all'Acerbi  per  la  Biblioteca 
Jiaiiana^  come  erroneamente  scrive  il  Muoni,  p.  30  n.),  il  27  marzo  1818, 
im  suo  Discorso  sopra  le  osservazioni  del  cavaiier  Di  Breme  intorno  alla 
poesia  moderna.  Gliene  spediva  la  sola  prima  parte,  perchè,  diceva, 
a  Ella  che  bene  intende,  vede  che  per  trattare  queste  materie  profon- 
«  damente  come  ha  fatto  il  cavaliere,  e  non  superficialmente  come 
«  fanno  i  più,  i  quali  perciò  riescono  facilmente  a  scrivere  e  stampare 
«  in  un  istante,  è  necessario  del  tempo  ».  S'aspettava  un  cenno  di  gra- 
dimento, per  inviare  la  seconda  parte  ;  ma  il  cenno  forse  non  venne, 
e  ad  ogni  modo  il  Discorso  non  fu  pubblicato.  —  Nello  Zibaldone,  ora 
messo  a  stampa,  son  molte  preziose  osservazioni  sul  Romanticismo  e 
sulle  opinioni  espresse  dal  Di  Breme  {Pensieri  divaria  lei  ter  atura  ^tcc^ 
voi.  I,  pp.  94-105,  ecc.).  E  in  verità  sarebbe  stato  utile  che  il  Muoni  non 
sì  fosse  contentato  sol  di  additarle,  ma  le  avesse  accuratamente  esposte 
ed  esaminate. 


BIBLIOGRAFIA  183 

dente  che  il  sacerdote  e  filosofo,  che  s'era  chiamato  addosso  mali  mot- 
ttsigi  e  insipide  salire^  non  può  essere  che  il  Di  Breme;  il  quale,  nel 
suo  Discorso,  aveva  per  l'appunto  scritto  :  *  Che  la  Romantica  sia  per 
^  sé  un  solenne  genere  di  letteratura,  non  è'  più  da  porsi  in  dubbio  ; 
**  resta  da  desiderarsi  tuttavia  una  più  completa  e  meglio  definita  Poe- 
'  tica  di  esso  genere.  Io  credo  che  questa  sia  opera  da  tentarsi  con 
'  maggior  successo  in  Italia  che  altrove  „.  Precursore  dunque  del  Ber- 
chet  il  Di  Breme  ;  e  non  lui  solo,  bensì  anche,  come  s'  è  visto,  il  Bor- 
sieri. 

In  un  ultimo  capitolo,  il  Muoni  tocca  rapidamente  delle  *  amicizie 
*  ed  ammirazioni  letterarie  „  dell'abate.  Premesso  qualche  cenno  della 
vita  anteriore  di  lui  (nacque  a  Torino  nel  1781;  fu  discepolo  dell'abate 
Caluso,  l'amico  insigne  dell'Alfieri;  si  consacrò  alla  prelatura,  onde  fu 
nominato  elemosiniere  del  viceré  prìncipe  Eugenio;  ma,  tornati  nel  '14 
gli  Austriaci,  si  era  ritirato  a  vita  privata),  vi  si  discorre  della  devota 
amicizia  ch'ei  consacrò  alla  contessa  d'Albany,  da  cui  ottenne  una  com- 
mendatizia per  la  Staél;  della  prima  e  seconda  visita  che  questa  ce- 
lebre baronessa  fece  a  Milano,  nel  1815  e  nel  '16;  della  dimora  sua  a 
Coppet,  ospite  della  venerata  signora,  nell'estate  del  '16;  del  ritorno 
a  Milano,  dove  conobbe  lo  Stendhal  intimamente,  e  dove  rivide,  e  ac- 
colse coi  dovuti  onori,  il  Byron,  già  da  lui  avvicinato  a  Coppet  ;  dei 
suoi  rapporti  col  Monti  e  col  Botta;  col  Foscolo,  eh'  ei  giudicava  con 
giusta  severità,  severamente  e  amaramente  ricambiato;  col  Pellico  e 
col  Borsieri,  ch'egli  amava,  riamato,  fraternamente  e  che  fraternamente 
assisteva.  Son  pagine  ricche  di  particolari,  se  non  sempre  nuovi  o  nuovi 
del  tutto,  sempre  interessanti;  le  quali  si  leggono  molto  volentieri,  in 
grazia  della  lucida  e  garbata  esposizione. 

M.    SCHERILLO. 


G.  Mazzoni.  —  Due  articoli  di  Giovanni  Berchet.  Firenze,  Barbera,  1902 
in-8,  pp.  20  (Nozze  Guidotti-Della  Torre). 

A  solennizzare  una  fausta  occasione,  il  chiaro  professore  del  R.  Isti- 
tuto di  studi  superiori  in  Firenze  ha  voluto  rimettere  in  luce  due  arti- 
coli che  il  Berchet  aveva  inseriti  nel  Conciliatore  del  1818,  ma  che  il  più 
recente  editore  delle  sue  Opere  edite  ed  tnedite,  Francesco  Cusant,  per 
ragioni  che  ignoriamo  ebbe  ad  escludere  dalla  raccolta  edita  a  Milano 
per  i  tipi  del  Pirotta  nel  1863.  Il  primo  articolo  sotto  forma  di  lettera 
scrìtta  da  Crisostomo  "  al  molto  reverendo  sig.  Canonico  don  Ruffino,  1, 
vuol  essere  una  satirica  rimenata  contro  il  Tiraboschi,  al  quale  si  fa 
rimprovero  di  aver  mancato  del  tutto  di  *  filosofia,  „  d'  essersi  smar- 
rito nelle  ricerche  minuziose  d'una  pedantesca  erudizione,  senza  assor- 
gere mai  ad  idee  generali,  a  quelle  idee,  onde  abbondavano  invece  i 
libri  di  Madame  de  Stael,  della  quale  sotto  colore  di  spregiarne  il  '  pie- 


184  BIBLIOGRAFIA 

"  eolissimo  intellettuzzo,  ^  Crisostomo,  a  tutte  spese  del  dotto  bibliotecario 
Estense,  tesse  un  ampolloso  elogio.  L'articolo,  sebbene  manchi  di  misura 
nella  critica  contro  il  Tiraboschi,  non  è  però  senza  importanza;  i  difetti 
che  il  Berchet  rilevava  liell'opera  monumentale  dell'abbate  modenese 
sono  reali  ;  ma  egli  esagerava,  trascinato  dalla  foga  polemica,  le  sue  cri- 
tiche contro  quel  *  genio  freddo  „  (per  servirci  d'una  espressione  fosco- 
liana), e  diveniva  ingiusto.  Ad  ogni  modo  quest' obbliatò  scritto  giova 
a  lumeggiare  meglio  la  condizione  in  cui  versavano  gli  spiriti  italiani 
in  quel  momento  in  cui  così  aspramente  sì  battagliava  intorno  al  Ro- 
manticismo ed  alla  sua  profetessa  madama  di  Staél.  Il  secondo  articolo, 
meno  importante,  è  la  recensione  di  un  discorso  *  dell'orìgine  e  delle 
"  vicende  delle  lettere,  scienze  ed  arti  e  della  loro  influenza  sullo  stato 
'  presente  della  Società,  «  recitato  a  Liverpool  da  G.  Roscoe  l'anno  1817,. 
e  pubblicato  a  Londra  l'anno  appresso.  Pieno  di  rispetto  per  l'autore 
della  Storia  di  Lorenzo  il  Magnifico  e  della  Vita  €  pontificato  di  Leone  X, 
il  Berchet  non  rinunzia  però  ad  esercitare  l'ufficio  della  critica  sulla  sait- 
tura  del  dotto  inglese  di  cui  loda  bensì  la  "  intenzione  santissima,  * 
ma  stima  degne  di  biasimo  talune  parti,  ingombre  di  "  certa  superfi- 
*  ciale  declamazione,  che  non  contenta  pienamente  il  pensatore  «  (p.f8). 
Troppe  idee  generali  dunque!  Oh  com'è  difficile  stare  nel  giusto  mezzo! 

X. 


Giuseppe  Bonelli.  —  /  nomi  degli  Uccelli  nei  dialetti  lombardi.  Roma, 
Loescher,  1902,  in-8,  pp.  100. 

Benché  il  lavoro  del  dott.  Bonelli,  comparso  testé  alla  luce  in  quel- 
l'autorevole raccolta  di  monografìe  glottologiche  e  letterarie  che  forma 
gli  Studi  di  Filologia  Romanza  (v.  IX),  esca  per  la  natura  sua  dai  limiti 
dentro  i  quali  suole  restringere  il  nosir* Archivio  per  costante  regola  le 
proprie  ricerche,  pure  non  ci  sembrerebbe  davvero  opportuno  passarlo 
sotto  silenzio,  come  quello  che  reca  un  contributo  pregevolissimo  alla 
cognizione  della  storia  naturale  e  delle  parlate  di  Lombardia.  Diciamo 
dunque  brevemente  che  il  Bonelli,  studioso  e  valente  giovine  bresciano, 
uscito  dalla  nostr' Accademia  scientifìco-letteraria,  s'è  proposto  in  questo 
suo  saggio  di  mettere  in  chiaro  l'origine  dei  nomi,  onde  le  popolazioni 
della  Lombardia,  e  più  particolarmente  poi  i  Bergamaschi  ed  i  Bresciani, 
notissimi  per  la  loro  venatoria  passione,  sogliono  distinguere  le  une 
dalle  altre  le  varie  specie  d'  uccelli.  Intraprendendo  le  sue  indagini  il 
Bonelli  non  ha  tardato  ad  accorgersi  come  l'onomastica  degli  uccelli 
non  traesse  vita  da  criteri  fìssi  ed  immutabili,  bensì  rampollasse  da  una 
quantità  non  ben  defìnibile  di  cause;  pur  inspirandosi  essenzialmente  alle 
impressioni  che  un  dato  uccello  aveva  prodotto  sulla  psiche  popolare. 
Fermato  questo  principio,  egli  ha  diviso  quindi  i  nomi  degli  uccelli  nei 
volgari  lombardi  in  due  categorie:  gli  •  oggettivi  „:   quelli,  cioè,  delle 


BIBLIOGRAFIA  185 

Specie  che  traggono  la  denominazione  loro  dal  colore  o  dalla  disposi- 
zione di  tutto  il  corpo  o  di  parte  di  esso,  dalla  forma  del  becco,  dal 
cibo  preferito,  dal  canto,  da  particolari  moti  o  abitudini  peculiari,  dai 
luoghi  di  preferenza  abitati  ;  ed  in  '^  soggettivi  „,  accrescitivi  o  diminu- 
tivi, dedotti  da  base  latina,  francese  o  tedesca,  ovvero  provocati  da 
giudizi  ironici  o  scherzosi  sovra  gli  animali  stessi.  Questo  il  contenuto 
della  prima  parte  dello  studio  condotto  con  accuratezza  e  solidità  di 
metodo.  Nella  seconda  parte  poi  l'Autore  si  è  particolarmente  occupato 
di  chiarire  con  finezza  d'indagine  come  in  alquanti  nomi  bergamaschi 
e  bresciani  la  denominazione  femminile  sia  riserbata  agli  uccelli  de'  quali 
non  si  rileva  il  sesso  o  per  lo  meno  si  rileva  con  difficoltà;  la  maschile 
agli  altri,  per  cui  tale  difficoltà  non  esiste.  Questo  fatto,  sin  qui  inos- 
servato, è  messo  in  luce  con  molta  dottrina,  e  ci  pare  oramai  provato 
in  guisa  da  non  concedere  adito  a  dubbio  veruno. 

Alle  due  parti  che  abbiamo  così  rapidamente  riassunte,  segue  un'Ap- 
pendice nella  quale  il  Bonelli  si  è  piaciuto  trattare  vari  argomenti  che, 
pure  riferendosi  al  tema  da  lui  svolto,  non  potevano  entrare  direttamente 
nel  testo.  Noi  troviamo  qui  alcune  riflessioni  sulla  importanza  grande 
che  alla  caccia  si  è  sempre  dato  in  Lombardia  (una  nota  a  p.  68  già 
toccava  delle  antiche  consuetudini  venatorie  nel  Bresciano);  sovra  la 
scarsa  conoscenza  dell'avifauna  in  Sicilia  ed  in  Sardegna  rivelata  dai 
nomi  ornitologici  (p.  85):  sulla  timidità  del  passero  in  Italia  (p.  85): 
sovra  i  nomignoli  di  merlo  e  cuco  (p.  86);  sulle  otto  voci  del  fringuello 
e  sulle  interpretazioni  del  suo  canto  d'amore  (p.  90);  sull'epiteto  di 
*  compare  „  dato  al  rigogolo  (p.  92);  sulla  facilità  con  cui  i  Francesi 
hanno  ritratto  gorgheggi  e  abitudini  di  uccelli  (p.  93);  sovra  il  tordo 
ed  il  suo  chioccolìo  (p.  95).  Naturalmente  intorno  a  parecchi  dei  sog- 
getti trattati  e  talvolta  accennati  soltanto  dal  Bonelli  in  queste  note 
d'Appendice,  molto  si  potrebbe  aggiungere  da  chi  volesse  spigolare  con 
maggiore  larghezza  nel  campo  del  Folklore  non  solo  lombardo  ed  ita- 
liano, ma  anche  europeo.  Così,  per  cagione  d'esempio,  colà  dove  a  pro- 
posito dell'usignuolo,  il  B.  emette  l'opinione  che  in  Italia  non  siasi 
tentato  mai  dal  popolo  di  spiegare  il  fatto  singolare  che,  *^  quasi  unica 
'  eccezione,  mentre  tutti  gli  uccelli  dormono,  „  l'usignuolo  solo  rompa 
colla  potente  voce  il  silenzio  notturno;  si  potrebbe  rispondergli  che  la 
cosa  sta  altrimenti  che  egli  non  pensi,  giacché  in  Caprese  (Toscana)  i 
contadini  dicono  che  il  rosignolo  canta  così: 

Se  la  vita  *an  mi  legasse, 
Se  la  serpe  'un  m^incaniasse, 
Vorre'  dormi*  fin  al  di 
Chiaro,  chiaro  (i); 


(i)  F.  Cor  AZZINI,  Mazzetto  di  poesie  popolari  di  Caprese^  Sansepolcro, 
tip.  Biturgense,  1883  (Nozze  Pellegrini-Marchesini),  p.  7.  •  Vita  »  sta 
per  ■  vite  ^. 


l86  BIBLIOGRAFIA 

dove  ci  appaiono  fuse  insieme  cosi  la  tradizione,  viva  pur  sempre  nella 
Francia  meridionale  (i))Sul  brutto  tiro  giocato  dalla  vitalba  all'addormen- 
tato cantore,  come  la  leggenda  ancor  ricordata  nell'onomatopea  bre- 
sciana, in  cui  all'usignuolo  si  fa  dire  :  Dormarés  ontéra,  ma  go  póra  di 
bis,  bis,  bis  (**  dormirei  volentieri,  ma  ho  paura  delle  biscie  «). 

Abbiamo  voluto  far  quest'osservazione  non  già  per  muovere  rimpro- 
vero al  valente  dott.  Bonelli  di  non  essersi  allargato  di  più  sopra  cosiffatti 
temi,  che  non  toccavano  direttamente  (già  Io  dicemmo)  il  soggetto  da 
lui  preso  a  trattare;  ma  solo  per  ricordare  agli  studiosi  italiani  come 
il  campo  delle  leggende  popolari  concernenti  alla  vita  ed  ai  costumi 
degli  animali,  sia  quasi  ancora  inesplorato  ed  attenda  chi  con  alacrità 
e  con  competenza  si  accinga  a  dissodarlo. 


(i)  Il  canto  dell'usignolo  ha  dato,  del  resto,  motivi  a  più  altri  ten- 
tativi onomatopeici  nella  Francia.  Per  tacere  qui  della  frase  rudimentale 
inserita  nel  Méraugis  de  Portlesguez^  dove  è  interessante  l'allusione 
all'effetto  *  magico  „,  che  avrebbe  prodotto  su  gli  ascoltatori  il  canto 
stesso  (cfr.  Histoirt  litilrairt  de  la  trance^  XXIa,  497),  allegherò  qui  a 
titolo  di  curiosità  un  brano  del  componimento  dettato  dal  Pasquier 
sopra  i  trilli  dell'usignolo,  e  da  lui  inserito  nelle  sue  Recherchés  de  la 
France,  lib.  Vili,  p.  635: 

Il  me  calesse  tantost 

D' un  tu  tu^  puis  aussy  tost 

Un  tot  tot  il  me  begaye  : 

Ain«i  d*  amour  mal  mene 

Le  Rossignol  obstiné 

Dedans  son  torment  s*  esgaye. 


Jc  te  requiers  un  seul  don  : 
Tu'  tu'  tu'  moy,  Cupìdon  ; 
Tost,  tost,  tost,    que  jc  m'  en  aillc. 


Una  trascrizione,  oggi  ancora  ripetuta  del  canto  dell'  n^ienolo  nella 
Bassa  Brettagna,  è  poi  la  seguente,  che  si  legge  riprodotta  in  KPTIITAAIA, 
Recueil  de  documents  pour  servir  à  tètude  des  tradii.  poPnL,  Heilbronn, 

gwd 
,  fou- 
louillek. 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


I  Feliciìì  Calvi.  —  Mosso  da  pietoso  e  gentile  | 
1  nob.  dotL  Gerolamo  Calvi  ha  voluto  raccogl 
in  un  volume  di  6g  pagine  ia-4  gr.,  elegantemente  impresso  dalla  I 
grafia  Cogliati,  i  discorsi  e  le  comraemorajtioni,  cui  diede  argoment 
deplorata  morte  dell'egregio  suo  congiunto  D.  Felice  Calvi.  Nel  voli 
noi  leggiamo  così  le  parole  pronunziate  in  nome  delia  Società  nostra 
suo  Vice-presidente  nob.  avv.  E.  Greppi  sulla  bara  del  Calvi,  e  quelli 
Iresl  che,  come  rappresentante  della  Commissione  Araldica,  proffe 
conte  L.  Pullè,  nonché  gli  addii  dati  all'amico  dal  conte  E.  Barbian 
Belgioioso.  Seguono  quindi  la  commemorazione  dettata  dal  Greppi 
desimo  ed  inserita  in  quest'Archivio  (a.  XXVIIl),  il  discorso  pronunc 
a  Parigi  dinanzi  alla  Sociéti  d'histoire  diplomalique  dal  marchese  di  Bai 
Montfcrral,  quello  detto  nell'assemblea  generale  della  Società  Sto 
Lombarda  dal  presidente  prof.  F.  Novali;  infine,  quello  recitato  din. 
al  R.  Istituto  Lombardo  di  Scienze  e  Lettere  dall'arch.  L.  Beltrami,  £ 
somma  un  volumetto  degno  d'interesse,  perchè  la  figura  del  compii 
Uomo  vi  appare  lumeggiata  sotto  i  vari  suoi  aspetti  con  calore  d'aff 
e  di  stima  da  più  valorosi.  Cresce  pregio  al  libro  un  finissimo  ritr 
rotocalcografico  del  Calvi. 

.*,  La  Chiesa  di  Pescarenico.  —  La  chiesetta  di  Pescarenico, 
l'arte  immortale  d'Alessandro  Manzoni  ha  reso  nota  a  tutti  ed  a  ' 
cara,  facendone  la  scena  d'un  toccante  episodio  dei  Promessi  S 
(cap.  Vili),  dovrebbe  essere  in  omaggio  alle  brame  dì  non  sappi, 
quali  pii  vandali,  distrutta,  per  cedere  il  luogo  ad  un  pomposetto 
flcio  di  stile  composito  tra  il  bizantino  ed  il  lombardo.  Contro  qu 
manomissione  del  modesto  monumento  è  insorto  con  calda  parol 
un  numero  della  Ltga  Lombarda  (25-26  luglio  1902)  il  valente  eh 
cela  sotto  il  nome  di  C.  D'Apricorta,  nome  assai  conosciuto  oggidì 
trechè  per  altre  cause,  per  lo  zelo  con  cui  chi  lo  porta  attende  a  I 
lare  le  memorie  del  nostro  passato  contro  gli  assalti  dell' ignoranz 
della  barbarie  presente.  Noi  ci  uniamo  volentieri  all'egregio  direi 
della  Lega  Lombarda  per  protestare  contro  l'inconsulto  progetto, 
priverebbe  il  grazioso  paesello  di  Lucia  di  gran  parte  del  profumo  | 
tico  che  tuttora  lo  circonda. 


l88  APPUNTI    E    NOTIZIE 


/^  Lncino  e  la  sua  Pieve  non  appartengono  a  quei  paesi  che  sono  beati, 
secondo  un  famoso  paradossista,  perchè  non  hanno  storia;  basta  ricordare 
la  vittoria  riportata  dai  milanesi  contro  il  Barbarossa  tra  Carcano  e  Tas- 
serà per  escluderli  da  quella  categoria.  Ben  fece  dunque  il  rev.  cano- 
nico Venanzio  Meroni  a  raccogliere  le  sparse  file  della  storia  incinese 
in  un  elegante  volumetto  che  pubblica  l'editore  Sandron  {La  pieve  d'In- 
aino o  mandaminto  (TErba^  Memorie  storiche  pel  canonico  Venanzio  Me- 
roni, con  illustrazioni,  Milano,  Sandron,  1902).  Precede  un  rapido  cenno 
riassuntivo  esteso  a  tutta  la  regione  briantea,  scritto  con  garbo  come 
del  resto  tutto  il  libretto,  ma  non  arricchito  di  notizie  o  documenti 
nuovi;  qua  e  là  si  accenna,  ma  solo  di  volo  ad  argomenti  importanti, 
tra*  quali  l'antica  corografìa  e  la  toponomastica.  Seguono  le  notìzie 
storiche  e  statistiche  sulle  varie  parrocchie  della  Pieve,  che  solo  con 
S.  Carlo  cominciano  ad  essere  frequenti  e  sicure;  specialmente  interes- 
santi i  dati  relativi  alle  chiese  e  ai  monasteri.  Parecchi  documenti  in  una 
appendice  d'importanza  esclusivamente  locale:  visite  pastorali,  prospetti 
del  clero,  statistiche  varie. 

.\  Un  viaggiatore  sconosciuto  del  secolo  xv  ?  —  Il  Rohricht  nella 
sua  Bibliotheca  geographica  Palestinae  (i)  non  fa  parola  di  un  tal  Gio- 
vanni di  Chateaubriand,  che  si  dice  fratello  del  vescovo  di  Chartres  e 
signore  di  Montpezat  in  Francia,  il  quale,  negli  anni  1456*62,  intrapren- 
deva un  viaggio  al  Santo  Sepolcro.  I  motivi  e  le  peripezie  di  tale  viag- 
gio sono  narrate  nel  memoriale  che  qui  riportiamo,  dettato  dal  viag- 
giatore stesso  in  una  sua  sosta  a  Pavia,  perchè  fosse  letto  al  duca  di 
Milano.  Trattasi  di  un  viaggiatore  autentico  o  di  un  avventuriero  cui 
devesi  prestar  poca  fede?  È  ciò  che  non  sapremmo  dire:  ma  il  documenta 
è  curiosissimo  e  merita,  in  ogni  modo,  di  essere  conosciuto. 

«  Die  XVIIIJ  junij  1462, 

e  Memoria  de  enarrare  a  lo  nostro  Illustrìssimo  duca  de  Milano  el 
«  viagio  ha  facto  monsignore  Johanne  de  Castelo  briante  signore  de 
«(  Monpesat  in  Cresi  et  la  sua  condicione. 

e  Dice  prima  de  essere  Signore  del  dicto  Montepesat  et  de  castelo 
«  Longevica  in  Pranza^  de  Zampigij  Castelo  in  Pranza,  item  de  Casti- 
<  hon  sul  Logno  flumen. 

e  Item  dice  che  luy  se  partì  de  Monpesate  sarano  anni  tri  questo 
(c  augosto  et  alora  era  a  li  servicij  del  Signore  Dalfìm,  il  quale  era 
«e  tunc  in  desensione  cum  lo  Re  de  Pranza  suo  padre  (2),  et  per  la  dieta 

(i)  Chronologisches  Verzeichniss  der  auf  die  Geographie  dcs  hei- 
ligen  Landes  bezùglichen  Literatur  von  333  bis  1878,  etc,  Berlin,  1890, 

(2)  Dei  gravi  dissensi  che  corsero  tra  il  re  di  Francia  e  il  Delfino 
trattò  diffusamente  il  De  Beaucourt,  Histoire  de  Charles  VII,  Paris, 
1881-91. 


APPUNTI    E    NOTIZIE  189 

desensione  la  magestà  del  Re  reputava  esso  Monsignore  Johanne 
essere  suo  inimico,  et  per  questo  gli  tolse  tuto  quanto  teniva  nel 
Reamo  de  Pranza  et  Io  fece  presone  et  feceli  pagare  scudi  vij  milia 
dove  luy  ritorna  dal  duca  di  Borgogna,  et  gli  donò  ij  milia  rides 
d'oro  et  cum  quelli  dinari,  si  corno  desperato  se  ritornò  a  Monpesate 
da  Madona  sua  madre  et  de  lì  se  parti  cum  cavali  vij  cum  disposi- 
cione  de  andare  al  Santo  Sepulcro,  et  essendo  zonto  in  Lombardia 
andò  ad  visitare  il  fratello  a  Mantua  che  fu  facto  Episcopo  de  Ciatres 
per  le  mane  del  sancto  padre  chi  era  lì.  Et  presentando  che  il  figliolo 
del  duca  de  Savolia  (i)  andava  in  Cipri  per  farse  re  de  Cipri,  per  la 
via  de  Verona,  per  ritrovarlo  a  Vinecia,  se  mise  in  nave  a  Mantoa 
faciando  la  via  de  Ferara  dove  hebe  grande  honore  da  quello  Si- 
gnore et  andò  a  Vinecia,  lasando  li  cavali  a  Mantova  al  predicto  suo 
fratello,  et  li  in  Vineda  se  conzonse  cum  il  dicto  figliolo  del  duca  de 
Savoglia  che  andava  per  essere  re  de  Cipri,  et  li  zonso  del  mese  de 
octubre  a  di  xviij  dove  stete  in  compagnia  del  dicto  Re  perfìn  a  xx 
di  de  febrare,  et  poy  cum  li  ambasatori  del  dicto  re  li  quali  andase- 
veno  al  gran  soldano  per  la  confìrmacione  del  reame,  andò  prima  a 
Rodes  et  poy  in  Alexandria  et  poy  al  Cayro  dovè  era  il  gram  Sol- 
dano, et  hebeno  dal  gran  Soldano  pocha  recoglientia  et  mancho  au- 
dientia  per  lo  bastardo  del  olim  re  de  Cipri  perchè  lo  bastardo  dete 
ad  intendere  al  dicto  gram  Soldano  che  questuy  che  se  faceva  re  era 
gram  signore  in  Italia  et  luy  cum  li  compagni  erano  grandi  signori 
li  quali  erano  più  tosto  venuti  per  avisare  il  suo  payese  per  tolierge 
el  suo  reamo  che  per  altra  cagione.  Et  poy  lasando  li  ambasadori  per 
andare  al  suo  viazo  se  ne  andò  cum  altri  peregrini  a  monte  Sinay 
ad  visitare  el  corpo  de  sancta  Caterina  et  de  li  ritornò  al  Cayro  dove 
ritrovò  li  dicti  Ambasatori  morti  de  peste,  et  de  lì  ritorno  in  Alisan- 
dna  et  de  lì  in  Cipri.  Et  de  lì  sentando  che  l'era  gionta  la  galea  de 
peregrini  se  ne  andò  a  Sancto  Sepulcro  cum  li  altri  peregrini,  et  de 
lì  aadono  a  Damaso  et  poy  a  Baruti  et  ritornono  in  Cipri,  et  per 
tua  li  soprascrìpti  viazi  consumò  mesi  vj  et  in  el  dicto  loco  de  Cipri 
stete  per  spacio  de  mesi  uj  et  disponendosse  di  fare  guerra  cum  molti 
altri  al  Turcho  se  misse  su  la  galea  de  Rodes  acompagnata  da  molte 
altre  galee.  Et  arivando  in  Turchia  desendando  in  terra  per  fare  una 
coraria  dice  che  fu  preso  et  fu  venduto  due  fìate,  Tuna  per  centose- 
xanta  ducati,  l'altra  per  ducentovinti  e  stette  cossi  vinduto  per  spacio 
de  mesi  vji. 

«  Et  passato  el  dicto  tempo  fu  contracambiato  in  uno  altro  cava- 
lero  turcho  chi  era  presone  ne  le  mane  de  miser  fra  Johanne  Al- 
leila Maniscalcho  de  Rodes,  il  quale  sapeva  de  la  presalia  del  dicto 
monsignore  Johanne  perchè  era  ìii  compagnia  in  una  altra  galea 
quando  fu  preso. 


(i)  Cioè  Lodovico  di  Savoia  che  fu  poi  re  di  Cipro. 


190  APPUNTI   E    NOTIZIE 

«  Et  essendo  facto  il  contracambio  sene  vene  a  Rodeses  et  de  li 
<K  ritornò  in  Cipri  dove  ritrovò  il  re  essere  reduto  a  Sibalon  per  la 
(c  guerra  del  bastardo  de  Cipri,  et  de  li  se  ne  reduse  cum  el  dicto  re 
ce  a  Ghiarines  dove  stete  continuamente  cum  el  dicto  re  perfìn  a  dì 
«  xxvj  del  mese  de  mazo  passato,  e  poy  passando  per  lì  una  galea  de 
«  Catelani  habiando  già  habuto  novella  dal  dicto  Signore  Dalfino  corno 
a  era  facto  re,  et  che  lo  haveva  facto  primo  Magistro  de  cassa  secundo 
((  le  promisse  gli  haveva  facto  essendo  Dalfino,  se  deliberò  de  montare 
f<  sulla  dieta  galea  per  repatriare,  et  essendo  su  la  dieta  galea  ritornò 
«  a  Rodes  et  cum  bonaza  del  mare  venene  a  Ortonamare  dove  descse 
(c  in  terra  a  di  xv  de  mazo  dove  ritrovò  il  signore  Matheo  da  Capaa 
a  chi  gli  prestò  li  cavali  per  fi m  a  le  terre  del  conte  Antonio  Caldore 
s  et  li  tolse  a  postura  uno  cavallo  cum  guida  perfìn  a  PAquilla  dove 
ce  stete  giorni  iiij^,  et  essendo  lì  il  di  de  Sancto  Bernardino  dice  che 
«  viste  il  populo  tuto  in  arme  cum  alcune  bandere  et  Gridando  viva  il 
«  re  Raynero,  et  li  comprò  uno  cavalo  per  ducati  xxvij  et  se  ne  vene 
a  a  Riete.  Et  partandosse  da  Rieti  per  vegnire  a  Roma  fu  spoliato  per 
«  camino  da  soldati  cum  duy  soy  compagni  perfìn  in  camisa  dove  gli 
a  fu  robato  il  valsente  de  ducati  CL  et  habiando  ricorso  in  Roma  dal 
a  duca  de  Urbino  non  poti  bavere  altro  de  la  roba  sua,  et  lì  da  uno  seri* 
a  vam  francese  hebe  in  presto  ducati  mj**  d*  oro  et  se  ne  vene  a  Viterbo 
a  dove  era  la  sanctitate  del  Sancto  Padre,  dove  stete  giorni  vnj,  et  quj 
«  visitò  lo  reverendissimo  monsignore  cardinale  da  Rovane  cum  il  quale 
<t  rasonando  comprese  che  era  molto  turbato  cum  la  Magiestà  del  re  de 
«  Pranza  perchè  gli  aveva  tolto  quatri  boni  benefìci]  cioè  la  Abbadia  de 
(t  Monte  Sancto  Michelo  chi  ha  de  portatis  v  milia  ducati,  la  Abbadia 
<K  de  Sancto  Germano,  la  Abbadia  de  San  Ciò,  la  Abbadia  de  Sancto 
e  Martino,  le  qualle  tute  havevano  de  portatis  ducati  xii  milia.  De  inde 
a  sentì  dal  dicto  monsiore  lo  Cardenale,  et  gli  mostrò  littera,  corno  il 
<  Cardinale  Trabatensis  era  molto  desdignato  cum  la  Magestà  del  dicto 
cr  re  et  anchora  cum  il  duca  de  Bergogna  perchè  se  reputaveno  essi 
<c  Signori  bavere  recente  molte  truffe  vergognose  dal  dicto  Cardenalc. 
«  Et  poy  se  partì  de  li  et  vine  a  Sena  et  da  Sena  a  Pisa  per  trovare 
a  le  galeaze  de  Venesia  per  andare  per  aqua  ad  Aiguamorta  in  Pranza, 
«  ma  non  ritrovando  convene  vegnire  per  terra.  Et  li  in  Pisa  vesitò  lo 
«  ordene  de  Sancto  Prancesco  et  prese  cognosanza  cum  uno  frato  fran- 
«  cese  chi  è  guardiano  del  loco  de  Preda  Sancta,  et  il  quale  gli  de  in 
a  compagnia  uno  frato  converso  il  qualle  continuamente  è  venuto  cum 
<t  luy  in  compagnia  per  fìn  a  Pavia.  Et  dice  che  lì  a  Pisa  gli  fu  impre- 
a  stato  dal  dicto  frate  converso  suo  compagno  ducati  xij,  et  cum  dicti 
(c  denari  è  zonto  perfìn  qui  in  Pavia,  faziando  il  cammino  per  le  mon- 
a  tagne  de  Modeneso  et  transitò  per  Parma  per  Piasenza  et  per  Pavia 
(t  dove  se  ritrova,  dicando  che  a  Pisa  recevi  lo  abito  de  Sancto  Pranci- 
a  SCO  per  conservare  la  persona  sua  et  per  Consilio  dil  guardiano,  per 
<c  tutella  de  la  sua  persona^  digando  et  affìrmando  per  suo  sacramento 
a  che  lui  non  è  altramente  messangiero  de  alcuno  Signore,  ne  per  altra 
«  cagione  se  no  comò  ha  dicto  de  supra  9. 


APPUNTI  E    NOTIZIE  I9I 

Il  documento  conservasi  nel   nostro  Archivio   di  Stato,  Carteggio 

Sforzesco,  1462,  giugno.  Nessuu'altra  notizia  del  Chateaubriand  ci  riuscì 

rinvenire  nel  carteggio  stesso. 

A.  Cappelli. 

,%  Il  diluvio  universale  profetizzato  per  il  1524.  —  A  tutti  gli 
altri  malanni  che  nel  1524  infestarono  il  territorio  cremonese  (le  altre 
parti  del  ducato,  il  milanese  compreso,  non  stavano  meglio  davvero),  si 
unirono  durante  il  mese  di  febbraio  piogge  così  torrenziali  ed  insistenti 
che  le  acque  del  Po  crebbero  oltre  misura  e  buona  parte  de'  terreni 
che  circondavano  la  città  rimase  allagata.  Le  piogge  ristettero  quindi  per 
breve  tempo  ;  ma  il  21  di  maggio  ripresero  con  intensità  anche  mag- 
giore e  non  s'arrestarono  mai  fino  al  24,  conservando  sempre  apparenza 
di  pauroso  uragano.  E  di  nuovo  il  Po  ebbe  ad  uscire  dal  suo  vastissimo 
letto,  innondando  le  campagne  vicine  (i). 

Ad  accrescere  il  terrore  degli  abitanti,  già  sgomentati  da  ogni  sorta 
di  paurosi  prodigi  (2),  alcuni  astronomi  sparsero  allora  la  voce  che 
quelle  piogge  altro  non  fossero  che  i  prodromi  d'un  nuovo  diluvio  uni- 
versale, di  cui  stabilirono,  poggiandosi  a  non  sappiamo  quali  calcoli  e 
quali  autorità  astrologiche,  l' immancabile  effettuazione  dentro  un  nu- 
mero di  giorni  determinato  (3).  Ma,  come  troppo  spesso  succede  ai  prò- 


(i)  Vedi  su  di  ciò  la  testimonianza  sincrona  di  D.  Bordigallo,  Chro- 
nica  inedita  in  ms.  Pallavicino  (ora  Resta),  e.  371  a.  E  v.  altresì  Cavi- 
TiLu  Ludovici  P.  C.  Annales,  Cremonae,  MDLXXXVIII,  f.  283  a. 

A.  Campi»  Cremona  fedelissima^  Cremona,  MDLXXXV,  non  parla  né 
punto  né  poco  de'  nubifragi  del  1524;  ed  invece  sotto  l'anno  1527, 
narrata  la  partenza  da  Cremona,  ov  era  rimasto  per  otto  mesi  continui, 
del  duca  Francesco  II,  avvenuta  il  15  giugno,  continua:  ''  L'istesso 
'  giorno  che  partì  il  Duca,  cessò  la  pioggia  che  era  incominciata  fino 
'  al  principio  del  maggio  precedente,  per  la  quale  il  Po  crebbe  più 
'^  che  si  facesse  mai  a  memoria  d'huomini,  e  cagionò  grandissimo  danno 
"  per  tutto  questo  Paese  ;  uscirono  anche  de'  loro  vasi  l'Adda  et  l' Ollio, 
"  et  in  somma  tanta  fu  l'innondatione  dell'acque,  che  osarono  alcuni 
'  imperiti  professori  dell'Astrologia   publicare   che  havea  a  venire   di 

*  nuovo  il  diluvio  „,  (Op.  cit.,  e.  150).  Il  vedere  ricordate  qui  le  pro- 
fezie che  il  Bordigallo,  teste  ben  altrimenti  fededegno,  ascrìve  nel  1524, 
ed  il  silenzio  che  anche  il  Cavitelli  serba  sulle  «pretese  alluvioni  del 
1527,  ci  fanno  nascere  fondato  sospetto  che  il  Campi  abbia  commessa 
qualche  solenne  confusione,  e  mescolati  insieme  fatti  accaduti  nel  1527 
con  altri  ben  più  gravi  verificatisi  tre  anni  prima. 

f2Ì  Cfr.  Cavitelli,  op.  cit,,  e.  278  b,  283  a,  ecc. 

(3)  Ecco  quel  che  in  proposito  scrive  il  Bordigallo  :  **  De  hoc  mense 
'  februarìi  nonnulli  Astronomi  insensati,  fìrmiter  tenentes  eorum  iu- 
"  dicium  aquarum  de  diluvio  in  terris  venturo  certis  diebus  limitatis, 
"  sexdecim  ex  siderìbus  insimul  regnantibus  hoc  mense  secundum  ali- 
'  quorum  doctorum  non  bene  intellectorum  dieta,  in  urbe  et  de  malis 
'  diversis  hoc  mense  venturis  multaque   alia   predicaverunt  ;  in   quo 

*  profecto  vehementer  erraverunt  ;  eorumque  stulticias  apud  sapientes, 
"  temporibus  mutatis  venientibus  contrariis,  demonstrantes,  ilusi  reman- 

*  serunt  etc.  „  Chron,  cit.,  e.  371  b. 


192  APPUNTI   E    NOTIZIE 

feti....  anche  moderni,  il  termine  fissato  passò  senza  che  la  minacciata 
catastrofe  avesse  luogo.  Come  si  capisce,  passata  la  paura,  i  begli 
umori,  che  non  mancavano  nemmeno  in  que'  tristissimi  momenti,  vol- 
lero divertirsi  alle  spese  degli  scornati  Tolomei,  degli  Alfagrani  da 
strapazzo  ;  ed  uno  di  loro  diede  fuori  sull'argomento  tre  vivaci  sonetti, 
i  quali  piacquero  così  al  buon  notaio  e  storico  cremonese  Domenico 
Bordigallo,  ch'ei  si  affrettò  a  trascriverli  nelle  gravi  pagine  della  sua 
Cronaca  universale.  Da  essa  vogliamo  esumarli  oggi,  che  pur  troppo 
cataclismi  più  gravi  e  spaventosi  hanno  pòrto  occasione  ad  altri  suc- 
cessori de'  vecchi  astrologhi  non  più  di  loro  felici  ne'  paurosi  pronostid 
di  sfoggiare  una  scienza  altrettanto  vana.  I  Falb  ed  i  Flammarion  pos- 
sono però  consolarsi  dei  disinganni  incontrati,  riflettendo  che  la  vita  è 
stata  sempre  dura  per  i  profeti  ! 

Ma  non  più  parole.  Ecco  i  sonetti: 

I. 

Sonetus  in  Astronomos  insensatos  (i). 

O  erigite  caputa  viri  christtaniì 

O  gran  sentenza,  devia  Tacuino! 
O  ve'  che  noi  levanio  il  capo  al  vino, 
4.  Como  fan  per  le  stufTe  i  Lancemani  ì 

Chi  possedè  ora  il  ciel,  spirti  inhumani  ? 
Svila,  Mario,  Mesenzio  e  Saturnino? 
Donche  non  ha  più  il  regno  alto  e  divino 
8.  Et  più  non  rege  Chrìsto  i  corsi  umani  ? 

Ponete  in  del  dui  gambari,  un  montone, 
Un  becco,  un'urna,  un  arco,  una  saetta, 
Una  bilanza,  un  ludo,  un  scorpione  ; 
12.     Perchè  non  gli  agiongiete  una  civetta 
E  un  barbagiani,  pazzi  da  bastone, 
Anzi  da  ceppi,  da  cateiu  et  celta  / 

Ch'yn  ciel  fatte  una  setta 
16.  Di  stelle,  ladri,  et  volete  ch'i  segni 

Sian  dodesi  per  far  vostri  disegni. 

Et  sete  de  error  pr^[ni. 
Che  son  s^;nati  in  li  statuti  hebrd 
20.  Dodece  niillia  et  non  due  volte  sei. 

Et  son  beati  et  dd, 
Non  falsi  ingannator,  corno  voy  sed, 
Che'l  cxeX  de  errori  e  il  mondo  pieno  aveti. 

(i)  •  Igitur  contra  hos  de  diluvio  astronomos  errantes  et  sccrcU 
■  Dei  perquirentes  predicereque  ut  profete  et  arioli  volentes  et  atem- 

*  ptantes,  soneta  infrascripta  seu  Carmen  (sic)  in   ipsos   factos  capias, 

•  mi  lector.  ^  Chron.  cit,  loc.  cit. 

I.  I.  Questa  frase  era  forse  il  principio  della  Profezia  dì  cm  si 
burla  PA,  a.  Gx/.  devini.  3.  Cod.  Ove  noi  che.  4.  Lancemani  =  1 1^^ 
5.  Cod,  spiriti.  14.  et  cctta    r  et  caetera.  22.  Cod,  siete. 


APPUNTI   E   NOTIZIE 


In  Msdem  Astronomos  sgnetnm  ut  saprà, 

Son  cODgr^ati  tutti  li  Pianeti 

Per  far  l'Europa  et  l'Asya  in  gelatìna; 
Chi  v'ha  insegnato  quest'alta  doctrìna, 
4.  E  fatto  più  bugiardi  che  i  poeti  ? 

Astrologi  voi  sete  et  non  propheti. 

È  forse  in  ciel  Cethego  et  Catclina, 
Che  siano  intenti  al  sangue  et  a  rapina, 
8.  All'avaritia,  al  or,  corno  voy  seti  ? 

11  Sol  dà  luce  et  vita  ;  Vener  beila 

Col  suo  Tilal  calor  salda  la  terra  ; 
Giove  è  benigna  et  gratiosa  stella. 
II.     Mane  fa  corpi  excelsi  e  arditi  io  guerra, 
Mercurio  ha  la  eloquenda  per  sorella. 
La  Luna  guida  l'acque  unde  vaga  erra  : 
^pre  Saturno  et  serra 
16.  La  porca  di  consiglio  et  dì  prudenza 

Et  di  senno,  valore,  virtù,  scienza. 

Qfiesta  è  vera  sentenza  : 
In  del  non  son  discordie,  liti  e  mali  : 

10.  Ma  son  tutti  i  sue»  lumi  almi  e  vitali. 

Ponetevi  gli  occhiali. 
Et  guardate  la  nocte  il  mappamondo 
Et  vedcrete  perchè  l'o  è  ronondo. 

III. 
In  eosdem  Astronomos  sonetun. 

Caccio I  questo  t  il  diluvio  universale! 

La  pitela  et  grandri,  i  venti  e  le  procelle, 

Gli  terremoti  che  quassan  le  stelle 
4.  Minaccian  morte  a  ogni  homo,  ogni  animale. 

O  capì  scemi,  e  zuche  senza  sale  1 

Qjiesti  vostri  Astrolabi  son  patelle  ; 

Le  sfere  balle  da  far  magatelle, 
8.  Il  quadrante  è  una  pentola,  un  bochale. 

Le  tavole  son  mense  apparecchiate 

Ove  voi  vi  calcali  i  buon  bocconi. 

Formando  le  figure  in  le  frittate, 

11.  Poi  demonstrati  a  certi  farfalloni 

Rose  net  ghiaccio,  il  ghiaccio  nell'estate, 
I  giorni  sfortunati,  i  lieti  et  boni. 
Cuius,  cuia,  cojoni, 

II.  4,   Cod.  bugiardo.  7.    Coti,  omelie  a.  8.  Cod.   al  ori.    9.   Co 
Te.  IO.  Cod.  calore.  19.  Cod.  liti  né  mali.  23.  Cod,  vedrete. 
IlL  IO.  Cod.  omelie  voi.  11.  Cod.  frittade.  13.  Cod.  nel  gìacio. 

Arch.  Star.  Lomh,,  Anno  XKIX,  F»»c.  XXXV. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  195 

TÌamo  di  pubblicare  in  successivo  fascicolo  maggiori  notizie,  con  l'elenco 
delle  sezioni  e  dei  temi:  avvertiamo  intanto  che  le  iscrizioni  sono  riaperte 
in  Roma  presso  la  Segreteria  del  Congresso  (Via  dei  Greci,  i8). 

/^  Concorso  a  Premio.  —  La  Società  Bibliografica  Italiana,  dopo  il 
grave  lutto  che  la  colpi  con  la  perdita  del  suo  amatissimo  e  benemerito 
presidente  sen.  Pietro  Brambilla,  mancato  ai  vivi  il  a8  maggio  1900,  vo- 
lendo onorarne  la  memoria  in  forma  durevole  e  degna  di  lui  e  della  So- 
cietà, aprì  un  Concorso  a  premio  per  un'opera  bibliografica.  Nessuno  dei 
lavori  presentati  alla  prima  gara,  che  scadeva  il  io  novembre  1901,  parve 
meritevole  del  premio;  perciò  la  Società  rinnova,  con  più  largo  pro- 
gramma, il  concorso,  al  quale  potrà  prendere  parte  chiunque  presenti  : 

a)  una  monografia  inedita  intorno  ad  una  cospicua  collezione  pub- 
blica 0  privata  (ma  in  questo  caso  però  accessibile  allo  studioso)  di  codici 
manoscritti/  ovvero 

b)  una  monografia  inedita  che  descriva  una  collezione  non  meno 
importante  di  stampati  antichi,  siano  questi  collegati  insieme  dal  vincolo 
della  comunanza  del  soggetto  che  trattano  o  da  quello  delf  identità  d'ori* 
gine  tipografica;  oppure 

e)  una  monografia  inedita  destinata  a  recar  esatta  notizia  di  quanti 
scritti  illustrino  la  vita  e  le  opere  d'un  grande  poeta  o  prosatore  italiano 
fiorito  in  età  anteriore  al  sècolo  XIX, 

U  premio  è  di  Lire  Cinquecento)  e  sar4  conferito  sul  giudizio  di  una 
commissione  nominata  dalla  Presidenza,  la  quale  riferirà  entro  il  mese 
di  settembre  1903. 

I  manoscritti  dovranno  giungere,  franchi  di  spesa,  alla  Presidenza 
della  Società  Bibliografica  Italiana,  presso  la  Biblioteca  di  Brera  in  Mi- 
lano, non  più  tardi  del  31  luglio  1903. 

II  premio  sarà  pagato  al  vincitore  del  concorso  dopo  la  consegna 
di  sei  esemplari  a  stampa  dell'opera.  Ma  il  volume  dovrà  accogliere  a 
stampa,  dopo  il  frontespizio,  una  breve  commemorazione  dell'Illustre 
Uomo  al  cui  nome  è  intitolato  il  concorso,  ornata  del  ritratto  di  lui  a 
cura  della  Presidenza  della  Società. 


196  APPUNTI    E    NOTIZIE 


NECROLOGIO 


Il  giorno  9  di  luglio  s'è  *  finalmente  „  spento  in  Verona  Luigi 
Alberto  Ferraj,  eh*  era  stato  un  tempo  tra  i  più  attivi  e  benemeriti 
membri,  onde  la  Società  nostra  si  pregiasse»  uno  de'  più  autorevoli  ed 
indefessi  collaboratori  dGÌV  Archivio.  Abbiamo  detto  *  finalmente  s'è 
"  spento  „,  giacché,  da  anni  parecchi.  Egli  non  era  pur  troppo  più  che 
un  tronco  il  quale  sentiva  e  penava,  ma  da  cui  la  favilla  animatrice 
erasi  sventuramente  involata.  Così,  in  maniera  di  cui  non  si  può  fuori 
di  dubbio  immaginare  la  più  dolorosa  per  uomo  avvezzo  alle  battaglie 
dell'idea.  Egli  ha  lasciato  l'esistenza,  esistenza  divenuta  oramai  penosa, 
inutile,  intollerabile^  poiché  nulla  più  cooperava  a  lenirne  lo  scorrere 
increscioso. 

Povero  Luigi  !  Chi  scrive  l' aveva  conosciuto  poco  più  che  ventenne, 
in  quegli  anni  ne'  quali  dopo  avere  compiuto  il  corso  degli  studi  uni- 
versitari e  conseguita  con  onore  la  laurea  in  lettere  e  filosofia  in 
quell'Ateneo  padovano,  dove  risuonava  calda  e  sonora  da  più  lustri  la 
voce  di  suo  padre  Eugenio,  celebrato  ellenista.  Egli  si  accingeva  calmo 
e  fiducioso  alla  conquista  dell'avvenire,  che  gli  si  presentava  lieto 
delle  più  allettatrici  promesse.  Giovine  d'elegante  presenza,  di  linea- 
menti regolari,  con  occhi  neri  e  penetranti,  da  cui  traspariva  la  viva- 
cità dell'ingegno,  di  modi  squisitamente  cortesi,  mite,  benevolo,  egli  si 
guadagnava  subito  le  simpatie:  appena  ci  si  conobbe,  si  fu  amici.  Sco- 
laro del  De  Leva  e  ben  determinato  fin  d'allora  a  dedicarsi  tutto  alle 
discipline  storiche,  Egli  aveva  presentato  come  tesi  di  laurea  al  vene- 
rato maestro  uno  studio  sovra  il  principato  di  Cosimo  I  de'  Medici,  che, 
lievemente  ritoccato,  venne  quasi  subito  dato  alla  luce  dall'editore 
Zanichelli;  e  di  questa  sua  prima  fatica,  condotta  coli' aiuto  de'  docu- 
menti contenuti  negli  archivi  fiorentini,  la  critica  s'era  occupata  con 
molta  benevolenza,  non  tacendone  i  difetti,  soprattutto  formali,  ma  lo- 
dandone insieme  con  rara  serenità  i  pregi,  e  bene  auspicando  al  gio- 


APPUNTI   E    NOTIZIE  197 

vine  studioso.  Di  questa  benignità  che  altri  giovini  non  esperimenta- 
rono agli  inizi  loro,  £i  si  sentiva  felice.  Furon  quelli,  torno  a  dirlo,  i 
suoi  be'  tempi;  i  soli  veramente  avventurati  e  tranquilli.  Richiamato, 
dopo  un  breve  esilio  a  Lucerà,  nell'Italia  superiore,  destinato  al  Liceo 
di  Cremona,  egli  vi  trascorse  anni  non  pochi  studiando  col  solito  amore, 
mentre  pur  attendeva  con  sollecito  zelo  all'insegnamento,  i  soggetti 
che  più  l'attiravano  :  la  storia  fiorentina  del  cinquecento  e  le  vicende 
cosi  poco  chiare  in  allora  del  movimento  riformistico  nella  penisola. 
Fra  i  campioni  dell'eresia  uno  soprattutto  s'  era  conciliato  il  suo  inte- 
resse: il  capodistriano  P.  P.  Vergerio,  figura  complicata,  personaggio 
ambiguo  e  misterioso,  di  cui  il  Ferra j  s'era  proposto  di  raccontare  le  tra- 
versie; il  che  fece  in  una  pregevole  monografìa  accolta  ncìV Archivio  sto- 
rico itaiiano;  ed  illuminare  i  riposti  penetrali  dell'animo  esagitato.  £d 
accanto  al  riformatore,  divenuto  libellista,  amò  studiare  un  altro  ribelle  : 
quel  Lorenzino  de'  Medici,  frutto  putrido  della  pianta  tanto  rigogliosa  in 
vista  per  amenità  di  fronde  e  di  fiori  dell'  italica  Rinascita,  che  oscillò  a 
lungo  tra  Armodio  ed  Alcibiade,  e  non  seppe  essere  né  l'uno  né  l'altro. 
Preparato  con  lunga  fatica,  il  volume  sopra  l'uccisore  del  duca  Alessandro 
uscì  fuori  nel  1891  per  cura  del  nostro  Hoepli,  a  cui  già  tanto  debbono 
gli  studi  e  da  cui  tanto  sperano  ancora;  e  fu  libro  solido  ed  elegante, 
insieme;  quadro  geniale  e  rigorosamente  fedele  ad  un  punto  della  vita 
italiana  in  quel  periodo  che  vide  la  virtù  ed  il  vizio  elevarsi  contempo- 
raneamente ad  altezze  che  nel  mondo  cristiano  non  avevano  mai  prima 
d'allora  raggiunte,  né  raggiungeranno  più  mai. 

L'apparizione  della  geniale  e  nudrita  opera  sovra  Lorenzino  de' 
Medici  giovò  efficacemente  a  dischiudere  al  Ferraj  la  via  all'insegna- 
mento superiore,  cui  Egli,  quasi  per  gentile  ossequio  a  nobile  tradizione 
familiare,  aspirava  con  tutto  l'ardore.  Apertosi  difatti  nel  1892  il  con- 
corso per  la  cattedra  di  storia  moderna  nell'università  di  Messina,  £i 
vi  prese  parte  e  ne  uscì  vincitore.  A  tener  degnamente  l'ufficio  erasi 
del  resto  Luigi  venuto  preparando  anche  con  studi  più  severi  e  in  ap- 
parenza più  aridi  di  quelli  fin  qui  rammentati.  Cedendo  alle  amorevoli 
istanze  di  qualche  amico  fidato,  Egli  aveva  di  fatti  riconosciuta  la  ne- 
cessità di  non  restringere  l'ambito  delle  proprie  ricerche  ad  un  solo 
perìodo  storico,  per  quanto  questo  fosse  rilevantissimo,  ma  di  sforzarsi 
altresì  a  penetrare  meglio  che  non  avesse  fatto  fin  allora  dentro  l'età 
medievale  e  di  cimentarsi  all'opera  faticosa  ma  salutare  di  pubblicare 
ed  illustrare  testi  antichi.  Invitato  dalla  Società  nostra  a  mettere  mano 
per  i  Fonti  della  storia  d'Italia^  di  cui,  auspice  V  Istituto  Storico  Italiano, 
s'era  da  poco  iniziata  la  stampa,  ad  una  seconda  edizione  della  Hi' 
storia  di  Giovanni  da  Cermenate,  il  Ferraj  s'accinse  con  ogni  zelo  a 
questo  lavoro,  che  doveva  essere  l'indizio  d'una  nuova  orientazione  dei 
suoi  studi.  La  necessità  di  conoscere  davvicino  il  mezzo  in  cui  aveva 
fiorìto  il  notaio  milanese,  emulo  di  Albertino  Mussato,  obbligò  difatti  il 
suo  novello  Editore  ad  esplorare  con  cura  il  campo  fin  allora  tanto 
mal  conosciuto  dell'istoriografìa  milanese  de'  sec.  XIII  e  XIV.  Le  prime 


igS  APPUNTI   E    NOTIZIE 

indagini  da  lui  tentate  bastarono  a  infondergli  la  persuasione  che  quel 
terreno,  quasi  abbandonato,  poteva,  ove  una  mano  esperta  ed  amorosa 
s'accingesse  a  coltivarlo,  recare  una  messe  non  meno  doviziosa  che  ina- 
spettata :  di  qui  le  monografie,  accolte  con  favore  dagli  studiosi,  che  il 
Ferraj  diede  successivamente  alla  luce  sovra  gli  Annales  MediolantnstSf 
Benzo  d'Alessandria,  ed  infine  su  Galvano  Fiamma.  Ma  qui  £i  non  doveva 
arrestarsi.  Datosi  a  ricercare  le  fonti,  delle  quali  il  frate  domenicano  s'era 
giovato  per  mettere  insieme  i  suoi  storici  zibaldoni,  ammasso  di  sabbie 
dove  non  mancano  però  le  pagliuzze  d'oro;  l'acuto  indagatore  vide 
aprirsi  dinanzi  un  altro  campo  non  meno  attraente  e  poco  o  ponto 
percorso  da  studiosi  recenti:  quello  cioè  de'  testi  donde  deriva  la  co- 
gnizione del  periodo  più  agitato  ed  oscuro  della  storia  milanese  nel- 
l'alto medio  evo.  Tale  fu  l'origine  dei  saggi  che  il  Ferraj  andò  pub- 
blicando tra  il  1893  ^^  >1 1^  nel  BulUttino  dell'Istituto  Storico  Italiano  ed 
anche  altrove;  saggi  ne'  quali  forse  il  nostro  compianto  Amico  s'affidò 
talvolta  con  confidenza  forse  eccessiva  al  suo  critico  acume.  Essi  hanno 
per  vero  dato  materia  a  vivaci  polemiche;  e  ciò  ben  si  capisce.  Trattare 
della  storia  ecclesiastica  e  civile  di  secoli  tanto  remoti  ed  oscuri  quali 
sono  il  X  e  1'  XI,  è  impresa  che  esige  un  apparato  di  scienza  diploma- 
tica, filologica,  paleografica,  e  vorrei  aggiungere  giuridica  e  teologica,  ad- 
dirittura gigantesco.  Mille  problemi  s'affacciano,  pullulano,  s' intrecciano, 
a  sciogliere  i  quali  nemmeno  basta  la  dottrina;  occorre  anche  intui- 
zione somma  disposata  a  singolare  cautela.  Di  niun  terreno  come  di 
questo  si  può  dire  col  vecchio  Orazio  che  chi  vi  s'avventura  vede 
sprizzar  improvvisa  la  fiamma  sotto  le  ceneri  ingannatrici.  Non  sempre, 
se  crediamo  a  taluni,  il  Ferraj  fu  cauto  abbastanza;  a  scusarlo  valga 
però  l'onestà  sua  scientifica,  superiore  ad  ogni  sospetto,  e  quell'amore 
disinteressato  del  vero  che  rende  perdouabiU  anche  gli  errori. 

Sparito  sul  cadere  del  1895  ^^^^  glorioso  campione  degli  studi  sto- 
rici italiani  ch'era  stato  Giuseppe  De  Leva,  parve  agli  illustri  coUegfai 
suoi  deiruniversità  dì  Padova,  che  niuno  potesse  succedere  più  degna- 
mente a  lui  che  il  Ferraj  non  fosse;  il  Ferraj,  dopo  Carlo  Cipolla,  es- 
sendo il  più  valoroso  discepolo  uscito  dalla  scuola  storica  padovana. 
Così  Luigi  Alberto  fu  chiamato  a  coprire  il  seggio  del  compianto  Mae- 
stro. Quanta  compiacenza  destasse  in  lui  l'attestato  solenne  di  stima 
datogli  dalla  Facoltà  patavina,  non  è  agevole  dire.  £i  ritornava,  grazie 
ad  esso,  rivestito  del  più  nobile  ufficio  nella  città  dove  aveva  vissuto 
tanciullo,  tra  coloro  che  gli  erano  stati  maestri  e  compagni,  accanto  agli 
amici  più  fidi,  nel  seno  della  famiglia  che  adorava.  Egli  era  giunto  in- 
somma al  colmo  de'  suoi  voti,  quando  scoppiò  repentino  il  turbine  che 
doveva  annientare  la  felicità  sua,  distruggere  con  cieca  ferocia  l'edifizio 
tanto  faticosamente  innalzato. 

Sorvoliamo  su  questo  tristissimo  episodio.  Colpito  da  crisi  nervosa 
che  gii  tolse  per  qualche  tempo  la  signoria  di  sé  stesso,  il  povero  Ferraj 
parve  dopo  lunghi  mesi,  nel  corso  de'  quali  suo  padre,  mal  reggendo 
a  lo  strai  io  provato,  aveva  dovuto  soccombere,  ricuperare  colla  salute 


APPUNTI   E    NOTIZIE  I99 

la  lucidità  dèli'  intelletto.  Ma  era  miglioramento  apparente,  passeggero. 
Pur  troppo,  ben  presto  le  sue  forze  tornarono  a  declinare,  V  intelligenza 
sua  ad  oscurarsi.  Egli  dovette  abbandonare  definitivamente  la  scuola. 
Questi  ultimi  anni  passarono  così,  nel  silenzio,  nell'obblìo.  E  la  morte, 
che  ora  l'ha  definitivamente  tolto  ai  suoi  cari,  non  può  essere  lamen- 
tata. Giammai  Thanatos  è  apparso  sotto  sembianza  più  divina,  il  solo, 
vero  e  grande  consolatore  (i). 

Povero  amico  !  La  tua  sorte  è  stata  ben  tragicamente  triste.  Chi  ti 
ha  conosciuto  in  altri  tempi,  bello,  buono,  gagliardo,  chi  fu  tuo  amico, 
chi  condivise  i  tuoi  sogni  e  assentì  alle  tue  speranze,  chi  t' incorò  a 
procedere  franco  per  il  cammino  che  ti  eri  prefisso,  ad  onta  delle  spine, 
dei  sassi  che  non  mancavano  d' insanguinarti  e  ferirti  il  piede  ;  ora  che 
ti  scorge  caduto,  mentr'egli  avanza  triste  e  solo  oramai  per  la  via  se- 
gnatagli dal  destino,  non  può  che  inviare  un  addio  doloroso  alla  tua' 
memoria,  un  addio  in  cui  rivive  tutto  l'affetto  antico,  ed  in  cui  palpita 

un  segreto  senso  d'invidia.... 

F.  N. 


SCRITTI  A  STAMPA  DI  L.  A.  FERRAJ 


1.  Cosimo  ài  Medici  duca  di  Firen{e,  Saggio,  Bologna,  Zanichelli,   1882,  in-8, 

PP-  552. 

2.  Dilla  supposta  calunnia  del   Vergerlo  contro   il  duca  di  Castro  in  Archivio 

storico  per  Trieste,  f  Istria  e  il  Trentino,  voi.  I,  fase.  5,  1882. 

3.  La  giov.ni{ia  di  Loren{tno  di  Medici  in  Giornale  storico  della  letteratura  ita- 

liana, voi.  II,  1885,  79-112. 

4.  Pier  Paolo   Vergerio  a   Padova  in    Archivio  storico  per   Trieste,    T Istria  e  il 

Tftntino,  voi.  II,  fase.  1,  1885. 

5.  Recensione  dell'opera  :  P.  Villari,  N.  Machiavelli  e  i  suoi  tempi  in  Giornale 

storico  della  letteratura  italiana,  voi.  I,  1885,  1 12-120. 


(i)  I  funerali  del  compianto  Ferraj  ebbero  luogo  in  Padova  il  12  lu- 
glio, e  furono  onorati  dall'intervento  del  Rettore  dell'università  e  di 
molti  professori.  Sulla  bara  pronunziarono  commoventi  parole  il  profes- 
sore E.  Teza,  in  nome  della  Facoltà  di  filosofia  e  lettere^  il  prof.  Po- 
lacco ed  uno  studente.  I  discorsi  loro  si  leggono  riprodotti  nel  giornale 
li  Veneto^  corriere  di  Padova,  a.  XV^  n.  190,  12  luglio  1892.  Un'affettuosa 
commemorazione  dell'Estinto  ha  pur  mserita  ncìV Archivio  storico  italiano^ 
Serie  V,  to.  XXIX,  Disp.  II,  l'illustre  prof.  Nino  Tamassia,  amico  no- 
stro carissimo.  Ed  un  cenno  non  meno  affettuoso  è  apparso  anonimo 
nel  Giornale  storico  della  letteratura  italiana,  XL,  1902,  288. 


200  APPUNTI   E   NOTIZIE 

6.  P.  P.  V$rgmo  al  TrihunaU  dilla  5.  Inquisiiiom,  Nuovi  documenti  ilhtsttad, 

Cremont,  Groppi,  1884,  pp.  iS.  [Saggio,  tirato  a  pochi  esempiirì,  di  on 
lavoro  in  prq>arazione  sui  Vergerio,  del  quale  si  reca  l'indice]. 

7.  Littifi  di   Ccrtigiam   del  sec.   XVI,   Prato,  Giacchetti,  1884,   in-S,  pp.  85 

(Disp.  9  delle  OpirttU  inedite  0  rare  pubblicate  dalla  Libreria  Dante  w 
Firenze), 

8.  Documenti  relativi  al  processo  di  Pier  'Paolo  Vergerio  in  ^Archivio  storico  ita- 

liano, to.  XVI,  Disp.  V  del  1885. 

9.  Lettere  inedite  di  Donato  Giannotti  in  Atti  del  %.    Istituto  veneto  di  sciM{t^ 

lettere  ed  arti,  Serie  VI,  to.  Ili,  Venezia,  1885. 

IO.  Lettere  inedite  di  Vincenzo  Monti  a  Fortunata  Sulgher  Fantastici  in  Giornali 
storico  della  letteratura  italiana,  voi.  V,  1885,  570-402. 

IX.  Margherita  di  Navarro  e   madama   d'Etampes  in  Nuova  Antologia^  voi.  VI, 
fase.  XXIV,  Roma,  1886. 

12.  Vincenzo  ^onti  e  D,  Sigismondo  Chigi   in  Giornale  storico   della  letteratura 
italiana,  voi.  Vili,  1886,  259-267. 

15.  Lettere  inedite  di  Gian  Domenico  Stratico  a  Fortunata  Sulgher  Fantastici,  Pa- 
dova, Salmin,  1887,  Nozze  Amadei-Porro. 

14.  Recensione  dell'opera:  A.  von  Druffel,  Monumenta    Tridentina,  Mùnchen, 

1887,  in  Archivio  storico  italiano,  Serie  V,  to.  1,  Disp.  I  del  1888. 

15.  La  Istoriografia  Italiana  e  la  Società  del  Rinascimento,  Prelezione  ad  un  corsa 

libero  di  storia  moderna  tenuta  nella  R.  Università  di   Padova  il  giorno 
25  febbraio  1888,  Milano,  Bortolotti,  1888,  pp.  28. 

x6.  Recensione  dell'opera  :  A.  Medin,  La  resa  di  Treviso  e  la  morte  di  Cangrande  ! 
della  Scala  in  Giornale  storico  della  letteratura  italiana,  voi.  X,  1888, 254-58. 

17.  Historia  Johannis  de  Germinate  notarii  Mtdiolanensis,   ecc.  Nuova  edizione, 

Roma,  tip.  del  Senato,  1889,  in  8  gr.,  pp.  XLv-165  in  Fonti  per  la  storia 
d'Italia,  Scrittori,  sec  XIV. 

18.  'Benio  d'Alessandria  e  i  Cronisti  milanesi  del  sec.  XIV  in  Bullettino  delt Istituti 

Storico  Italiano,  n.  7,  Roma,  1889. 

19.  Bentii  Alexakdrini  di  Mediolano  Civiiate  Opusculum  ex  Cbronico  eiusdem  a- 

corptum  in  Bullettino  delV  Istituto  Storico  Italiano,  n.  9.  Roma,  1889. 

20.  GU  ultimi  studii  sui   Carmagnola   in   Archivio  storico  lombardo,  a.  XVI,  fa- 

scicolo IV,  1889. 

21.  Le  Cronache  di  Galvano  Fiamma  e  le  Fonti  della   Gahagnana  in  Bullettino 

delf  Istituto  Storico  Italiano,  n.  io,  Roms,  1890. 

22.  GH  «  Annales  Mediolananses  »  e  i  Cronisti  Lombardi  del  sec.  XIV  in  Ar-   * 

cbivio  storico  lombardo,  a.  XVII.  fase  II.  1890. 


APPUNTI    E   NOTIZIE  20I 

2}.  Eurico  VII  di  Lussemburgo  i  la  Repukhlica  Vtmta  in  Rivista  storica  italiana^ 
yol.  Vn,  fase.  IV,  1890. 

24.  Recensione  dell'opera  :  A.  Gabrielu,  Epistolario  di  Cola  di  Rienzo  in  Gior- 

nale storico  dilla  letteratura  ilaliana,  voi.  XVI,  1890,  401-406. 

25.  Recensione  delFopera  ;  F.  T.  Perrbns,  Histoire  de  Florence,  depuis  la  domina- 

tion  des  Midicis  jusqu'à  la  chute  de  la  République  (14} 4-1^^1)  to.  Ili,  1890, 
in  Archivio  storico  italiano,  Strìt  V,  to.  VII,  1891,  Disp.  III. 

26.  Recensione  dell'opera  :  B.  Fontana,  Renata  di  Francia  duchessa  di  Ferrara, 

Roma,  Forzanì,  1889  in  Rivista  storica  italiana,  voi.  VII,  fase.  I,  1890. 

27.  Loren^ino  de'  Medici  e  la  Società  Cortigiana  del  Cinquecento  con  le  Rime  e  le  Let- 

tere di  Lorenxino  e  un'appendice  dì  documenti,  Milano,  Hoepli,  1891, 
pp.  xvi-485. 

28.  Rime  Storiche  del  sec.  XVI  in  Nuovo  archivio  veneto,  to.  I,  pane  I,  Venezia, 

1891.  [In  collaborazione  con  A.  Medin]. 

29.  Recensione  dell'opera:   G.   Sommerfeldt,   Zur  Lebensgesehichle  des   loh.    de 

Certnenate.  Freiburg.  1891  in  ^Rivista  storica  italiana,  voi.  Vili,  fase.  III, 
1891. 

)o.  //  «  De  Situ  urbis  Mediolanensis  n  e   la   Chiesa    ambrosiana  nel  sec,    X,  in 
'Bullettino  delP  Istituto  Storico  Italiano,  n.  11,  Roma,   1892. 

31.  Gli  annali  di  Da^io  e  i  Patarini  in  Archivio  storico   lontbardo,  a.    XIX,  fa- 

scicolo III,  1892. 

32.  Studii  Storici,  Padova- Verona,  Drucker,  1892,  in-8,  pp.  370. 

Contiene:  I.  Enrico  VII  di  Lussemburgo  e  la  Repubblica  Veneta,  II.  Gii 
ultimi  studi  sul  Carmagnola.  III.  Per  la  storia  della  Riforma  in  Italia  : 
a)  P.  P,  Vergerlo  e  P.  L.  Farnese  ;  b)  //  processo  di  P.  P.  Vergerio  ;  e)  Gli 
eretici  di  Capodistria  ;  d)  Bern,  Tomitano  e  ì*  Inquisizione.  IV.  Nicolò  Ma- 
chiavelli e  i  suoi  tempi  di  P.  Villari.  V.  La  democrazia  fiorentina  e  Nicolò 
Machiavelli,  VI.  Margherita  di  Navarra  e  madama  d'Etampes,  VII.  Di  al- 
cuni appunti  di  A.  Curlier  a   •  La  démocratie  en  Amérique  »  del  Tocqueville, 

33'^  patrimjnii  delle  Chiese  di  Ravenna   e   di  Milano  in   Sicilia,   Nola-Messina, 
tip.  d'Amico,  1895.  pp.  24. 

34-  //  Processo  storico  della  Chiesa  Romana  nel  Medio  Evo,  Prelezione  tenuta  nella 

R.  Università  di  Messina  il  giorno  17  gennaio  1894,  Roma,  tip.  del  Se- 
nato. 1894,  pp.  27. 

35-  I  fonti  di  Landolfo  Seniore  in  'Bnllettino  dell'Istituto  Storico  Italiano,  n.    14, 

Roma,  1894. 

36.  Lt  «  Vitae  Pontificum  Mediolanensium  »    ed   una    «  sylloge  »  epigrafica   del 
sec.  X  in  Bullettino  dell*  Istituto  Storico  Italiano,  n.  16,  Roma,  1895. 


Q02  APPUNTI  E  NOTIZIE 

37.  Per  una  raccolta  di   «  Mùnumcnia  Mcdiolammla  auiiquiisimm  ■,   Rdarioie 

al  vice-presidente  deiU  Società  Storica  Lombarda.  La  noooHu,  di  ari  fi 
si  ragiona,  era  stata  approvata  e  già  s'era  dato  mano  a  pubblicacla»  ^naodp 
la  malattia  del  F.  venne  a  scompigliar  ogni  cosa  :  in  BulleiHma  ifJf/sfìMIi 
Storico  Italiano,  n.  14,  Roma,  1895. 

38.  Al  critico  degli  «  Analtcta   Bollandiana  »   in   'BulUttino  ddF  IstUmU  Slrnm 

Italiano^  n.  16,  Roma.  1895, 

39.  Recensione  dell'opera  :  G.  D2,  Lbva,  Storia  documimiata  di  Cork  V,  ia  c&h 

relazione  air  Italia,  voi.  V,  Bologna,  1894  in  Archivia  stoHea  itoMana,  Se- 
rie V,  to.  XIII,  Disp.  II  del  1895. 

40.  Commcmoraiiom  del  prof,  Giuseppe  De  Leva  letta  nell'aula  magna  deUa  Re|ii 

Università  di  Padova  il  giorno  20  gennaio  1896,  Padova»  tip.  Baiufi,  189^ 
pp.  38. 

41.  Lettere  inedite  di  Lesbia  Cidonia  a  Fortunata  Sulgber  Fantastici^  Padova,  di- 

lina,  1896,  Nozze  Tamassia-Centazzo. 


42.  Recensione  dell'opera  :  P.  Villari,  N.  Macbiavedli  e  i  suoi  tempi,  2.* 

in  Giornale  storico  della  letteratura  italiana,  voi.  XXIX,  1897,  477-481. 


Il    x>^^>^<^^X>^ 


Non  può  essere  scritto  davanti  ai  nostri  soci  il  nome  di  questa 
famiglia  patrizia  senza  suscitare  una  folla  di  ricordi  che  le  danno  un 
posto  a  parte,  anche  in  mezzo  ad  altre,  pur  nostre,  e  pur  celebri.  La 
famiglia  Trivulzio  è  fra  le  più  illustri  d'Italia,  potendo  essa  vantarsi  di 
aver  fornito  alla  patria  numerosi  e  celebri  personaggi,  valenti  in  armi, 
in  diplomazia,  in  scienze,  in  lettere,  in  arti,  in  religione,  che  fin  dal 
secolo  XII  si  vedono  figurare  come  membri  dei  Consigli  generali  e 
prendere  parte  attivissima  alTamministrazione  della  cosa  pubblica  mi- 
lanese. 

Mescolata,  specialmente  nei  secoli  XV  e  XVI,  in  tutte  le  gueire 
che  afflissero  l'Italia  ebbe  gran  numero  di  guerrieri,  condottieri  e  ca|^- 
tani,  dando  in  Gian  Giacomo  e  Teodoro  due  marescialli  alla  Frauda. 
Forni  alla  Chiesa  quattro  cardinali,  molti  vescovi,  moltissimi  prelati 
Benemerita  altresì  la  famiglia  per  le   sue    beneficenze  :    il   Luogo  Pio 


APPUNTI   E   NOTIZIE  203 

Trìvulzio  ne  è  splendida  prova.  Nota  per  il  suo  patriottismo;  il  nome 
della  principessa  Cristina  Trivulzio  Belgioioso  s'impone  da  sé  solo. 

Questa  famiglia  ebbe  mai  sempre  culto  speciale  per  le  lettere  e 
per  le  arti;  prescindendo  dagli  Sforza  un  solo  nome  ricorre  costante- 
mente nella  storia  dell'arte  milanese,  quello  dei  Trivulzio,  loro  nemici  (i). 

A  porre  in  sodo  quest'amore  tradizionale  pei  libri  ed  i  lette- 
rati non  mancano  documenti,  ed  i  fatti  parlano  abbastanza  eloquente- 
mente. Conosciamo  gl'inventari  dei  libri  di  Carlo,  Gaspare  e  Renato  I 
Trivulzio  degli  anni  1480-1498.  Il  grande  maresciallo  «  qui  nunquam 
«  quievit  »,  come  dice  l'epigrafe  in  S.  Nazzaro,  trovava  in  mezzo  allo 
strepito  delle  armi  il  tempo  di  raccogliere  libri  e  proteggere  artisti  quali 
Leonardo  da  Vinci,  il  Bramantino.  Passando  per  Renato  II  che  chiamava 
quei  meravigliosi  frescanti  che  furono  i  Campi  a  dipingere  le  sale  del 
suo  castello  di  Formigara  (2),  per  il  marchese  Teodoro  Alessandro, 
capo  della  Società  palatina,  alla  cui  saggezza  l' Italia  va  debitrice  se  l'im- 
presa stampa  degli  scrittori  delle  cose  sue  giunse  a  compimento  (3),  ed 
il  suo  fratello,  l'abate  Carlo,  raccoglitore  indefesso  di  codici,  di  libri,  di 
smaltì,  di  avori,  di  vetri  (fra'  quali  il  celebre  diatrete),  di  monete,  di 
armi,  di  quadri,  di  stampe  e  d'ogni  genere  di  preziosità,  fino  al  marchese 
Gian  Giacomo,  filologo  e  dantista  insigne  che  in  Milano  nel  principio 
del  secolo  XIX  non  ebbe  pari  nel  dar  favore  ai  letterati;  giungiamo  al 
marchese  Giorgio,  padre  del  gentiluomo  di  cui  deploriamo  la  perdita  ; 
tutti  intenti  ad  accrescere  questa  dovizia  di  cimeli  preziosa  per  l'arte, 
preziosa  per  la  storia,   preziosa  per  Milano  e  V  Italia. 


*  » 


Gian  Giacomo  Trivulzio  nacque  in  Milano  I'8  giugno  1839  dal  mar- 
chese Giorgio  Teodoro  Trivulzio  (1803-1856)  e  dalla  marchesa  Marianna 
Rinuccini  (1813-1S80).  Il  padre,  non  indegno  della  valorosa  falange  del 
patriziato  lombardo,  che  a'  tempi  dell'odiosa  dominazione  austriaca  aveva 
prestato  braccia  e  ricchezze  alla  generosa  causa  del  risorgimento  nazio- 
nale, col  popolo  e  pel  popolo  fu  al  suo  posto  nelle  memorabili  Cinque 
Giornate.  Capitano  della  Guardia  Nazionale  della  parrocchia  di  S.  Ales- 
sandro, da  lui  organizzata  assumendosi  volonterosamente  sacrifici  in- 
genti, nell'accompagnarc  sino  alle  barricate  di  S.  Celso  il  parlamentario 
austriaco  onde  liberare  dal  Collegio  di  S.  Luca  gli  alunni  ivi  rinchiusi, 
veniva  a  tradimento  colpito  da  una  palla  di  fucile  nella  coscia  sinistra; 
«  ferito  all'austriaca  »,  cioè  a  tradimento,  come  sinceramente  condolen- 
dosene gliene  scriveva  da  Londra  ai  25  aprile  1848  Antonio  Panizzi,  il 
patriota  modenese,  ben  conosciuto,    il  dotto  direttore    del    Hritish    Mu- 

(lì  Muntz  E.,  Varie  italiana  del  qualtrocento^   Milano,  1894,  p.  179. 
(2;  Cfr.  G.  Porro,  Catalogo  dei  codici  mss,  della    Trivulstana,  To- 
rino, 1884;  E.  Motta,  Libri  dt  casa  Trivulzio  nel  secolo  XV,  Como,  1890. 
(3)  L.  Vischi,  La  Società  Palatina,  in  quest'archi vio,   a.  VII,    1880. 


APPUNTI    E    NOTIZIE  205 


Dopo  d'aver  cosi  servito  la  patria,  essendosi  anche  distinto  nelle 
guerre  contro  il  brigantaggio  che  infestava  il  Napoletano,  smessa  la 
brillante  uniforme  dell'ufficiale  di  cavalleria,  il  Trivulzio,  rientrato 
nella  sua  Milano  potè  dedicarsi  con  tutto  Pamore  alle  tradizioni  fami- 
gliari, colla  passione  di  gentiluomo  di  squisito  gusto  artistico,  secon- 
dato in  questo  dalla  madre  ancora  vivente.  «  Qui  »  —  come  ben  disse  il 
senatore  Negri,  che  co^ì  tragicamente  doveva  seguirlo  a  breve  di- 
stanza :  «  egli  è  stato  propriamente  un  continuatore  delle  più  belle  tra- 
«  dizioni  italiane.  Dagli  avi  egli  aveva  ricevuto  un  Museo  d'arte  che 
«sta  fra  le  più  preziose  raccolte  private  del  nostro  paese,  ed  una  bi- 
«bliotecache  è  famosa  in  Europa.  Ora,  non  solo  egli  volle  conservare 
«  il  tesoro  inestimabile  che  gli  era  stato  trasmesso,  ma  seppe,  con  gravi 
«sacrìficii,  arricchirlo  e  completarlo  con  l'intelligenza  sicura  che  viene 
«dal  gusto  quando  è  affinato  dall'amore  delle  cose  belle  e  dalla  con- 
«tinua,  e,  direi  quasi,  famigliare  convivenza  con  esse.  Il  Trivulzio 
«  amava  tanto  gli  oggetti  preziosi  raccolti  nelle  sue  sale,  quegli  oggetti 
<(che  gli  parlavano  degli  splendori  del  Rinascimento  italiano  che  egli 
«  ci  viveva  in  mezzo,  ed  aveva  fatto  del  suo  museo  la  sua  casa,  la  sua 
«dimora  prediletta  (i)  ». 

All'incremento  della  sua  biblioteca  notevolmente  contribuì  con  nu- 
merosi acquisti  di  libri,  tra  cui  le  rarissime  edizioni  della  Divina  Com- 
media per  cui  si  può  oggi  dire  forse  unica  ad  avere  la  raccolta  completa 
degli  incunaboli  danteschi,  l'ordinamento  con  fine  gusto  eseguito  del- 
Vappartamento  che  vi  accede,  in  questo  egregiamente  coadiuvato  dal- 
l'amico suo  ing.  E.  Allemagna,  il  concentramento  in  S.  Alessandro  di 
tutta  la  preziosa  libreria  Belgioioso,  pervenuta  in  famiglia  pel  suo  ma- 
trimonio colla  principessa  Giulia  di  Barbiano  di  Belgioioso  (1864)  che 
gli  sopravvive  in  tristissime  condizioni  di  salute.  Alla  Biblioteca,  che 
andava  sempre  più  attirando  l'attenzione  degli  studiosi  nostri  e  stranieri, 
egli  volle  assicurare  l'assistenza  di  un  conservatore  che  facilitasse  gli 
studi  e  le  ricerche  :  il  conte  G.  Porro  Lambertcnghi  dapprima,  poi  dopo 
la  morte  di  questi,  lo  scrivente,  volle  il  principe  G.  G.  Trivulzio  de- 
stinare a  tale  compito.  Fece  opera  altamente  protettrice  degli  studi  col- 
l'aver  resa  la  Trivulziana,  si  può  dire  giornalmente  accessibile  agli  stu- 
diosi che  soggiogava  coU'accoglienza  ch'egli  personalmente  con  quel  suo 
fare  di  gentiluomo  squisitamente  cortese  lor  faceva.  Dei  Mss.  volle  il 
Catalogo  a  stampa,  edito  nel  1884  per  opera  del  conte  Pòrro  e  sotto  gli 
auspici  della  R.  Deputazione  di  storia  patria  di  Torino,  come  preludio 
all'apertura  quasi  regolare  della  Trivulziana.  E  della  Deputazione  fu 
socio  corrispondente,  come  socio  d'onore  della  R.  Accademia  di  Belle 

(i)  Discorso  pronunziato  sul  feretro  del  principe  Gian  Giacomo  Tri- 
vulzio in  Perseveranea,  12  luglio  1902. 


ao6  APPUNTI  E  NOTIZIE 

Arti,  membro  della  Commissione  araldica  lombarda,  e  le  principali  as- 
sociazioni, quali,  oltre  la  nostra,  la  Società  Dantesca,  la  Società  Bi- 
bliografica e  altre  ancora,  non  mancarono  di  fregiare  del  suo  nome,  il 
proprio  album. 

Né  mancò  in  questo  stesso  Archivio  un  suo  contributo,  colla  staii^ 

di  un  interessante  elenco  delle  Gioie  di  Lodovico  il  Moro^  messe  é  fé- 
gno   (i). 

Non  è  possibile  dHndicare  tutti  i  letterati  de'  quali,  egli,  colla  lii|a 
liberalità  di  questi  ultimi  anni  agevolò  gli  studi.  I  più  bei  nomi  in 
fatto  di  lettere  e  di  arti  sono  registrati  nell'album  dei  visitatori  E  dei 
giudizi  loro  faceva  tesoro  e  modestamente  affermava  d'aver  imparato  kb- 
pre  qualche  cosa  di  nuovo,  lui  che  coll'aver  visitato  i  principali  muet 
d'  Europa  e  aver  avuto  Tinvidiabile  fortuna  di  accedere  alle  oollezioDi 
private  più  gelosamente  custodite  s'era  acquistato  in  fatto  d*arte  ma 
straordinaria  sicurezza  di  giudizio  (2). 

Altre  opere  di  biblioteca  erano  in  progetto  di  quest'ultimi  tempi 
Aveva  in  vista  la  sistemazione  del  ricco  fondo  delle  incisioni *e  stampe; 
e  del  tanto  desiderato  catalogo  delle  flaquettes^  di  cui  è  doviziosa  U 
Trivulziana,  il  principe  aveva  discorso  ancora  poche  settimane  prima 
della  sua  dipartita,  col  principe  d'  Essling,  il  conoscitore  sovrano  della 
silografia  veneziana. 


* 


Ed  ora  ancora  del  cittadino.  Non  istarò  ad  enumerare  tutti  i  titoU 
tramandatigli  dai  suoi  antenati  ;  i  curiosi  di  araldica  possono  rintraodarii 
facilmente  nM^ Almanacco  di  Gotha  e  n^W Annuario  della  Nobiltà  ita- 
liana. Né  a  lui  mancarono  le  alte  cariche  e  le  onorificenze  frutto  del  li- 
gnaggio e  dei  suoi  meriti  personali.  Ben  altri,  già  si  è  provato,  sono  i 
titoli  che  lo  raccomandano  alla  stima  dei  posteri. 

Per  nulla  disdegnoso  della  evoluzione  democratica  della  società, 
egli,  ispirato  dall'amore  della  sua  Milano,  aveva  preso  parte  attiva  alle 
iniziative  più  vaste  e  più  importanti,  fra  cui  le  esposizioni  d'arte  antia 
del  1871  e  del  1874  e  quella  Nazionale  del  1881.  Nominato  presidente 
del  Comitato  delle  Esposizioni  riunite,  che  si  tennero  nel  1894,  mostrò 
in  queiroccasione  che  ne  aveva  tutte  le  attitudini,  onde  si  conquistò  le 
generali  simpatie. 

Senatore  del  Regno  dal  25  ottobre  1896;  sedette  nei  Consigli  del 
Comune  per  qualche  anno  :  fu  membro  di  diverse  altre  commissioni,  do- 
vunque portando  uno  spirito  pratico  e  conciliante.  Per  lungo  tempo  pre- 
sidente della  Società  Lombarda  per  le  corse  dei  cavalli,  appassionads- 

(i)  A.  I.,  1876,  p.  530  sgg. 

(2)  Non  è  qui  il  posto  per  una  bibliografìa  trivulziana.  Forse  ultimo 
lavoro  comparso  intorno  al  museo  Trivulzio  è  quello  del  dott.  RoDouo 
Bber,  Bei  Fùrsi  Trivuleio  in  Neues  Wiener  Journal^  5  e  la  agosto  1897, 
dove  è  a  leggersi  una  simpaticissima  caratteristica  del  defunto. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  207 

Simo  come  era  dello  sport,  egli  portava  alle  riunioni  di  S.  Siro  la  nota 
della  più  squisita  eleganza  e  della  più  fine  cortesia. 

Alto  di  statura,  lunga  barba,  dalle  forme  armoniche,  a  larghe  linee, 
dalla  testa  che  pareva  staccata  da  un  dipinto  del  cinquecento,  Gian  Gia- 
como Trìvulzio  era  una  figura  tipica  della  nostra  Milano. 

«  Ma,  —  al  dire  scultorio  del  Negri,  —  «  se  il  cittadino,  nel  prin- 
c(  dpe  Trìvulzio,  era  meritevole  di  alta  stima,  Tuomo  era  in  lui  ben  dc- 
«  gno  di  affetto  e  di  simpatia,  poiché  alla  eleganza  squisita  ed  impecca- 
«bile  del  contegno  egli  univa  una  cosi  spontanea  naturalezza  ed  una 
((  cosi  modesta  affabilità  che  ne  veniva  fuori  una  persona  singolarmente 
c<  originale  che  viveva  circondata  da  una  generale  irresistibile  simpatia. 
((  E'  che  il  Trivulzio  era  profondamente  buono.  Nessun  rancore,  nessun 
(c  sentimento  acerbo  si  annidava  in  quello  spirito  generoso  e  sereno  che 
t<  traboccava  di  cortesia  e  di  bontà  ». 

£  fu  una  voce  unanime  nei  giornali  d'ogni  colore  e  partiti  a  com- 
piargene  la  perdita. 


Era  ritornato  ai  primi  di  maggio  da  Roma,  dove  di  consueto,  non 
solo  per  frequentare  palazzo  Madama,  ma  ben  anche  per  consiglio  dei  me- 
dici passava  da  alcuni  anni  la  stagione  invernale  a  sollevarsi  dal  male 
che  l'affliggeva  —  un'affezione  cardiaca,  tormentosa  e  crudele,  aggra- 
vatasi vieppiù  pel  dolore  della  morte  del  figlio  primogenito,  marchese 
Giorgio,  perduto  nel  pieno  vigore  della  giovinezza  nel  marzo  1898.  Sem- 
brava di  assai  rimesso,  e  appena  ridata  luce  ai  suoi  prediletti  oggetti 
d'arte,  collocati  gli  ultimi  due  arazzi  del  Bramantino,  fatti  ristaurare 
in  Roma,  sali  regolarmente  la  scala  che  «  per  angusta  ad  augusta  » 
conduce  alla  biblioteca,  onde  rivedere  i  suoi  libri  e  trascorrervi  gior- 
nalmente ore  e  ore.  Gli  ultimi  libri  ch'ebbe  a  ripassare  con  vera  pas- 
sione furono  i  numerosi  cantari  del  quattrocento  che  vi  si  conser- 
vano in  quantità.  £  i  parecchi  studiosi  che  di  questi  ultimi  mesi  eb- 
bero a  frequentare  la  Trivulziana,  sempre  da  lui  accolti  con  spontanea 
affabilità,  non  s'immaginavano  certamente  di  perderlo  cosi  presto.  Ma 
pur  troppo  ai  primi  di  luglio  la  malattia  improvvisamente  lo  riassali  e 
crebbe  rapidamente,  sempre  più.  Ne  affrontò  i  patimenti  con  calma  ras- 
segnata, indizio  dell'anima  sua  forte,  ma  e  il  male  stesso,  e  i  calori 
eccessivi  del  luglio  lo  ebbero  ad  ancor  più  abbattere. 

Gli  ultimi  giorni,  malgrado  atroci  sofferenze  che  per  notti  intiere 
non  gli  concedevano  il  benché  minimo  riposo,  non  rinunciò  mai  alla  sua 
biblioteca,  e  ancora  l'antivigilia  della  sua  morte  fece  personalmente  gli 
onori  del  suo  Museo  agli  ultimi  visitatori,  miss  Cruttwell  che  s'interes- 
sava delle  terre  cotte  dei  Della  Robbia  e  il  conte  Durrieu  alle  minia- 
ture dello  splendido  messale  del  duca  di  Berry. 

Ancora  la  sera  dell'  8  luglio,  aveva  voluto  uscire  all'aperto  in  car- 
rozza. E  nell'ultimo  giro  fatto  al  parco,  intorno  al  castello,  egli  forse 


208  APPUNTI  E   NOTIZIE 

ripensò  a  quattro  secoli  fa,  quando  l'antenato  suo  G.  G.  Trìyulào  alla 
testa  delle  annate  di  Francia,  scendeva  in  Italia,  entrava  vittorioso  nelle 
mura  di  quel  medesimo  castello,  oggi  divenuto  centro  inradiante  di  col- 
tura per  la  sapiente  disposizione  dei  suoi  musei  collocati  in  sede  eoa 
genialmente  ristorata  dal  Beltrami,  e  mandò  un  ultimo  saluto  alle  torri 
merlate  dell'antica  ròcca  sforzesca,  rientrando  in  città. 

Tornato  a  casa  gli  parve  di  sentirsi  meglio  e  si  coricò  per  non  pia 
svegliarsi.  Alle  ore  4  '/,  antimeridiane  del  9  luglio  era  spirato. 

E  la  Società  Storica  Lombarda,  che  Tebbe  sodo  fondatore,  rende  alli 
sua  memoria,  per  bocca  troppo  incompetente,  un  doveroso  tributo  di 
mirarione  e  di  compianto. 

A  tutti  gli  studiosi  che  nella  Trivulriana  trovarono  larga 
sia  di  conforto  il  pensiero  che  nel  giovane  figlio,  principe  Luigi  Alberico, 
troveranno  continuata  sempre  l'uguale  liberale  accoglienza,  nò  egli  man- 
cherà, grazie  all'amore  a  più  riprese  già  dimostrato  per  le  glorie  pitto- 
riche lombarde,  di  aumentare  il  ricchissimo  patrimonio  artistico  e  lette- 
rario come  degno  erede  del  nome  e  delle  tradizioni  del  Genitore. 

E.  M. 


Agli  altri  lutti  che  hanno   funestato  negli  ultimi  tempi    la  Società 
nostra,  uno  grave  ed  acerbo  oltre  ogni  dire  si  è  venuto  ad  aggiungere 
coli'  improvvisa  scomparsa  del  senatore  Gaetano  Negri,  l' illustre  e  ge- 
niale pensatore,  precipitato  il   31   luglio  giù  da  una  balza    mentre  ag- 
giravasi  coi  suoi  cari  tra  le  ridenti   colline  che   incoronano  la  riva  di 
Varazze.  La  perdita  di  quest'Uomo  insigne,  che  onorava   tanto  Milano 
e  r  Italia  se  ha  sollevato  dovunque  uno  schietto  e  profondo  rimpianto, 
è  davvero  un  lutto  di  famiglia  per  la  Società  Storica  Lombarda,  a  cui 
l' illustre  Estinto  era  largo  di  calda  simpatia.  Ma  del  Negri  e  de'  meriti 
suoi,  preclarissimi  anche  nel  campo  degli  studi  storici,  ci  riserbiamo  di 
fare  con  miglior  agio  più  degno  ricordo.  Valgano  adesso  queste  poche 
parole  ad  esprimere  alla  famiglia  orbata  del  suo  capo  veneratole  caro 
la  intensità  cordiale  del  nostro  cordoglio^   la   profonda  amarezza  del 
nostro  rimpianto. 

La  Presidenza. 


pervenute  alla  Biblioteca  Sociale  nel  III  trimestre  del  ipoa 


Alessandri  P.  A.,  V.  Cenni. 

Ambrosou  Solone,  Alcuni  acquisti  del  R.  Gabinetto  Numismatico  di  Brera, 
Milano,  1902  (d.  d.  A.). 

Beltrami  Luca,  Leonardo  e  la  Sala  delle  u  Asse  ».  Milano,  1902. 

Bulletin  historique  du  Diocèse  de  Lyon,  2.*-3.*  année,  Lyon,  1901-1902 
(d.  d.  s.  Motta). 

Borghi  F.,  Venticinque  secoli  di  storia  milanese,  Milano,  Hoepli,  1902 
(d.  d.  Editore). 

Calvi  Felice.  Discorsi  e  commemorazioni  in  sua  memoria,  Milano,  tip.  ed. 
L.  F.  Cogliati,  1902. 

Carnevau  Luigi,  L'Accademia  Virgiliana  di  Mantova  nel  secolo  XIX, 
Mantova,  Mondovi,  1902  (d.  d.  A.). 

Cavatio  Carlo  Girolamo,  Alleggia  nenio  dello  Stato  di  Milano,  per  le  Im- 
poste, e  loro  Ripartimenti,  Milano,  Malatesta,  1653  (d.  d.  s.  cav.  Luini). 

Cenni  Giovanbattista,  Diario  delle  cerimonie  e  feste  fatte  in  Siena  nella 
creatione  del  Santissimo  vicario  di  Cristo  papa  Alessandro  Settimo. 
Ed.  sac.  Pier  Agamennone  Alessandri  per  nozze  Chigi-Zondadari- 
Colonna.  Siena,  S.  d.  t,  1900  (d.  d.  s.  Motta). 

Colombo  Giuseppe,  Documenti  dell'Archivio  Comunale  di  Vercelli  relativi 
ad  Ivrea,  Pinerolo,  1901  (d.  d.  s.  E.  Motta). 

Cosa  Antonio  —  Savorini  Vittorio,  Bologna  e  la  Lega  Lombarda.  Bo- 
logna, Zanichelli,  1876  (d.  d.  s.  Motta). 

CuccoLi  Ercole,  M.  Antonio  Flaminio,  con  documenti  inediti,  Bologna, 
Zanichelli,  1897  i^-  ^-  '^•)- 

pLECfflA  Giuseppe,  Poesie  giovanili  inedite  del  prof  Giovanni  Flec/tia,  To- 
rino, Baglione  &  Brajotto,  1901  (d.  d.  Editori). 

Gmecchi  Ercole,  Falsificazioni  di  monete  italiane,  Milano,  tip.  ed.  L.  F. 
Cogliati,  1902  (d.  d.  A.). 

Lippi  Silvio,  Inventari  del  R.  Archivio  di  Stato  di  Cagliari  e  notizie  delle 
carte  conservate  nei  piti  notevoli  archivi  comunali,  vescovili  e  capitolari 
della  Sardegna,  Cagliari,  Valdès,  1992  (d.  d.  A.). 

Malaguzzi- Valeri  Ippolito,  Gonzaga  contro  Guerrieri  (Storia  d'una  ver- 
tenza araldica),  Mantova,  Ed.  Segna,  1902. 


SUI  DOMINI 


DI 

REGINA  DELLA  SCALA  E  DEI  SUOI  FIGLI 


INDAGINI  CRITICHE. 


N  tutti  gli  e  antichi  regimi  »  il  potere  ha  carattere  per- 
sonale e,  specialmente  nei  primi  tempi  della  loro 
storia,  molte  delle  norme  che  regolano  Tacquisto  e 
l'esercizio  di  esso,  vengono  esemplate  sul  diritto  privato  (i). 
Questo  modo  di  concepire  l'autorità  ed  il  diritto  pubblico  fa  si 
che  non  sempre  sia  agevole,  nel  giudicare  gli  atti  di  quei  governi, 
di  distinguere  le  ragioni  di  Stato  che  li  determinarono,  dai  mo- 
venti di  carattere  puramente  personale  ;  cosicché  ci  si  trova  con- 
dotti dalle  proprie  simpatie  o  tendenze  mentali  a  dare  preponde- 
ranza ora  a  quelle  ed  ora  a  questi,  ed  in  generale  piuttosto  ai  mo- 
venti personali  che  non  alle  ragioni  di  Stato.  Questo  accade  in 
particolar  modo,  quando  si  tratta  di  atti  dei  Signori  italiani,  perchè 
la  vera  vita  politica  ed  amministrativa  degli  Stati  signorili  non 
è  ancora  abbastanza  intimamente  conosciuta.  Troppo  spesso  il  re- 
gime signorile  ci  appare  come  il  governo  d'un  egoista  (2),  del  quale 


(i)  Anche  nel  noto  trattato  di  Bartolo  sulla  Tirannia,  molto  inte- 
ressante per  la  storia  delle  Signorie,  s' incontrano  curiose  assimilazioni 
tra  il  diritto  pubblico  ed  il  privato.  Per  es.,  il  popolo  che  obbedisce  per 
timore  ad  un  tiranno,  è  da  lui  assimilato  ad  un  minorenne  e  tali  egli 
considera  quindi  anche  i  singoli  nei  loro  rapporti  col  tiranno.  (Bartoli, 
Opera  omnia,  Venezia,  1570,  fol.  121  r.,  col.  t). 

(2)  Tale  è  l'immagine  del  signore  che  si  ritrae,  per  es.,  dal  §  52 
della  Storia  del  diritto  italiano  del  Fertile. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  14 


212  SUI   DOMINI    DI   REGINA   DELLA   SCALA 

la  Storia  debba  indagare  se  fece  il  proprio  interesse  con  mezzi 
buoni  o  cattivi  ;  e  per  conseguenza  gli  atti  dei  governi  signorili 
acquistano  ai  nostri  occhi  un  rilievo  ed  un  colore  che,  se  fossero 
invece  collocati  sul  loro  vero  sfondo  storico,  forse  o  non  avreb- 
bero o  avrebbero  diverso.  E'  dunque  necessario  che  gli  studiosi  di 
questo  periodo  indaghino  minuziosamente,  col  gettare  le  basi  di 
una  storia  critica  dell'amministrazione  signorile,  le  intenzioni  vere 
ed  il  vero  carattere  degli  atti  dei  signori  ;  ed  ogni  piccolo  contri- 
buto di  nuovi  fatti  che  si  rechi  a  quest'opera,  sarà  una  pietra  che 
servirà  a  costruire  un  edificio,  il  quale  indubbiamente  è  destinato 
a  riuscire  bello  e  grande. 

Le  presenti  indagini  critiche  aspirano  a  portare  uno  di  tali 
contributi,  gettando  qualche  luce  sopra  un  argomento  non  bene 
chiarito,  cioè  le  assegnazioni  di  città  e  di  terre  che  Bernabò  Vi- 
sconti fece  ripetute  volte  alla  moglie  Regina  della  Scala  ed  ai 
figli  ;  ma  oltre  quel  tanto  che  possono  avere  di  originale,  si  ri- 
collegano anche,  parzialmente,  con  una  ricerca  già  iniziata  dal 
dal  dottor  Ettore  Verga  nella  sua  breve  appendice  allo  scritto 
Una  condanna  a  morte  contro  Carlo  Visconti  (i). 

Alcuni  storici  raccontano  che  Bernabò  Visconti  divise  tra  i 
suoi  figli  le  città  che  componevano  la  sua  signoria.  Il  dott.  Verga, 
valendosi  d'una  lettera  del  3  aprile  1379,  posteriore  a  tale  divisione, 
nella  quale  Carlo  Visconti,  figliuolo  di  Bernabò,  si  dichiara  sem- 
plicemente €locumtenens  prefati  domini  [Bernabovis^^,  ha  fatta 
la  seguente  osservazione  :  t  Carlo  si  firma  luogotenente  e  l'aver  man- 
dato i  propri  figli  a  governare  le  province  qome  semplici  gover- 
natori o  luogotenenti  del  principe,  è  ben  altra  cosa  che  l'aver  fatte 
cinque  stati  di  un  solo,  come  opina  il  Giulini  interpretando  le  pa- 
role del  Corio,  e  come  pure  lascerebbe  intendere  l'espressione  del 
cronista  parmense»  (2).  E  non  vi  sarà  certamente  nessuno,  il  quale 

(1)  V.  quesf  ^rrA.,  ^.  XXIX,  1902.  p.  387  e  sgg.  •  ''-^^  '  ^V/"; 

(2)  Il  cronista,  da  cui  è  derivata  una  parte  degli  Annales  meàiolan., 
dice:  "  die  IV  Martii  D.  Bernabos  Vicecomes  posuit  D.  Carolum  filium 
**  eiiis  ih  tenuiam  et  possessionem  civitatis  Parmae  ,.  Muratori, /?./.  S., 
XVI,  772  E.  Negli  Addiiamenta  alla  storia  parmense  del  Cornazzaki,  è 
detto  che  *  Carlo  Visconte..^  il  quale  stava  in  Parma,^.  ne  era  signore  ». 
Muratori,  R.  I,  S ,  XII,  751,  D,  anno  1385.  Le  parole  degli  Addiia- 
menta, che  sono  del  sec.  XVI,  non  avrebbero  per  sé  stesse  molta  au- 
torità; ma  vi  sono,  come  vedremo,  altre  fonti  più  autorevoli  che  si 
esprimono  in  modo  simile. 


E    DEI   SUOI    FIGLI  213 

voglia  sostenere  che  in  materia  di  questo  genere  l'autorità  di  cro- 
nisti, che  non  eran  troppo  usi  a  badare  al  valore  giuridico  e  poli- 
tico delle  parole  che  usavano,  possa  infirmare  la  testimonianza  di 
documenti  ufficiali  ;  tanto  più  quando  il  documento  invocato  è 
una  lettera  ad  un  principe  forestiero,  in  cui,  accennando  alla  pro- 
pria presa  di  possesso,  Carlo  Visconti  aveva  il  massimo  interesse 
di  dire  con.  precisione  se  egli  pure  era  un  principe  od  un  semplice 
luogotenente.  Però,  a  mio  credere,  né  questo  documento  addotto 
dal  Verga,  né  gli  altri  consimili  che  già  si  conoscevano  (i),  risol- 
vono la  sottile  quistione  ;  essi  gettano  solamente  un  raggio  di  luce, 
ma  lasciano  ancora  da  diradare  una  parte  di  quelle  tenebre,  bran- 
colando nelle  quali,  alcuni  storici  vennero  poi  a  quegl'in fondati 
giudizi  che  giustamente  il  Verga  loro  rimprovera.  Questo  pro- 
blema, che  già  da  tempo  aveva  fermata  l'attenzione  di  qualche 
raro  studioso  (2),  non  verrà  avviato  a  sicura  soluzione  se  non 
con  l'esaminare  prima  di  tutto  fino  a  qual  punto  possiamo  cre- 
derci bene  informati  intomo  agli  atti  di  donazione  di  Bernabò  in 
favore  delle  persone  della  sua  famiglia,  agli  atti  di  condoìninio 
e  di  giurisdizione  che  egli  concesse  loro  d'esercitare.  Indagata  la 
credibilità  delle  notizie  relative  ed  il  significato  vero  dei  docu- 
menti (che,  come  vedremo,  fu  spesso  frainteso),  resta  da  vedere  la 
ragione  giuridica  degli  atti  ;  la  quale  é  da  ricercarsi,  per  quanto 
è  possibile,  in  base  a  testimonianze  documentate  affine  di  non  so- 
stituire i  nostri  concetti  giuridici  a  quelli  che  erano  propri  di 
quei  tempi.  Con  tal  metodo  verremo  esaminando  criticamente  in 
questo  scritto  alcune  fra  le  notizie  ed  i  documenti  relativi  alla  fa- 
miglia di  Bernabò  Visconti,  nell'intento  di  contribuire  ad  illu- 
strare l'indole  e  le  forme  dell'amministrazione  viscontea  al  tempo 
di  questo  Signore. 


(i)  L'Affò  diede  alla  stampa,  ed  il  Pezzana  discusse,  un  documento 
di  Carlo  Visconti,  pure  del  1379,  in  cui  questi  si  qualifica  luogotenente. 
Storia  di  Parma  del  Pezzana,  I,  131,  nota  63  (il  testo  è  dell'Affò,  le 
'  note  segnate  P.  sono  del  Pezzana).  Altri  documenti  a  stampa  col  me- 
desimo titolo  trovansi  in  Osio,  Doc.  Diplom,,  I,  201,  209, 219,  nn,  CXXX  V, 
CXLII,  CHLIV,  CLIV,  CLVF,  e  sono  di  Carlo  e  Lodovico  Visconti. 
Altro  documento  di  Lodovico  Visconti,  inedito,  vedi  in  calce  a  questa 
memoria,  doc.  III. 

(2)  Affò  e  Pezzana,  già  ricordati,  nel  luogo  citato  ed  anche  a 
pp.  80-81. 


2X4  SUI  DOiaNI  DI  REGINA  DELLA  SCALA 


I. 

Sulla  natura  del  potere  esercitato  dalla  famiglia  di 
Bernabò. 

L'affidare  una  delle  sue  terre  a  persona  della  famiglia  era, 
da  parte  del  Signore,  atto  perfettamente  r^olare.  Non  parliamo 
dei  diritti  che  poteva  avere  come  vicario  imperiale,  quando  Io  era  ; 
non  parliamo  nemmeno  del  diritto  di  investire  i  suoi  di  terre  feu- 
dali, che  egli  naturalmente  aveva  piena  facoltà  di  dare  a  loro» 
come  le  avrebbe  potute  dare  ad  altri  ;  e  nemmeno  della  facoltà 
che  aveva  di  investire  qualcuno  di  terre  sottoposte  alla  dipendenza 
di  un  Comune  precisamente  come  i  Comuni  medesimi,  quand'erano 
pienamente  liberi,  disponevano  di  queste  terre  soggette  a  loro 
talento.  A  parte  tutto  questo,  il  signore  di  più  Comuni  poteva 
dame  uno  a  persona  della  famiglia  per  due  ragioni  In  primo  luogo 
perchè  ciò  non  implicava  menomamente  una  modificazione  nella 
costituzione  territoriale  dello  Stato  od  una  divisione  del  mede^ 
simo,  come  oggi  s'intende  :  infatti  lo  Stato  era  un  fascio  di  Co- 
muni, ed  il  signore  doveva  rispettare  il  Comune  e  non  avrebbe 
potuto  dividerlo  in  modo  da  fame  due  o  più  Comuni  (i)  ;  loa  i 
molti  Comuni  da  lui  dipendenti  poteva  benissimo  distribuire  fra 
le  persone  della  famiglia.  E  queste  persone  (ecco  la  seconda  ra- 
gione che  legittimava  tale  usanza)  potevano  governare  legittima- 
mente le  terre  loro  ciffidate  ;  non  solo  perchè  il  signore  in  forza 
dei  suoi  pieni  poteri  aveva  decretato  così,  ma,  e  sopratutto,  perchè 
il  caso  era  preveduto  e  legittimato  nell'atto  stesso  di  creazione  della 
signoria.  Per  esempio,  ambedue  gli  atti  di  conferimento  delle  si- 
gnorie di  Brescia  e  di  Reggio  nell'Emilia  a  Bernabò  Visconti, 
quasi  con  le  identiche  parole,  concedono  a  Bernabò  di  usare  ed 
esercitare  {uti  et  exercere)  il  suo  potere  per  se,  cui  vel  quibus  co- 
ìniserit  (2)  ;  e  nello  statuto  reggiano  poi  è  già  ammesso  che  gli 

(lì  Se  Milano  fu  più  volte  posseduta  per  condominio  da  più  Signon, 
uno  fu  sempre  Tente  Comune,  anche  quando  i  diritti  furono  divisi  a 
fine  pratico  tra  i  due  Signori. 

(2)  Statuti  di  Brescia  del  ijjs  (ms.  della  Bibl.  Queriniana),  e.  2  r.; 
cfr.  Valentini,  Gii  Statuii  di  Brescia,  estr.  dal  Nuovo  arch,  veneto,  XV, 
pp.  66  67  deirestratto.  —  Statuti  di  Reggio  del  ijji  (ms.  dell*  Arch.  di 
stato  di  Reggio  E.),  e.  3  t.:  "  ipse  dominus  Bernabos  prò  se  et  in  so* 


E    DEI   SUOI   FIGLI 


215 


eredi  maschi  legittimi  siano  inoltre  virtualmente  compartecipi 
in  solidum  delFaulorità  signorile,  forse  perchè  tale  statuto  fu  fatto 
nel  1371,  sedici  anni  dopo  quello  bresciano  e  quando  già  da  molto 
tempio  i  figli  di  Bernabò  partecipavano  al  governo  delle  altre 
città  dello  Stato,  a  cui  in  queiranno  Reggio  veniva  ad  aggiun- 
gersi Era  dunque  cosa  al  tutto  legittima,  e  non  inattesa,  che  Brescia 
venisse  affidata  al  figlio  di  Bernabò,  Marco  Visconti,  od  alla  mo- 
glie Regina  della  Scala  ;  e  che  Reggio  venisse  pure  affidata  a 
Regina  per  quasi  tutta  la  durata  della  vita  di  lei.  E  poiché  di- 
sposizioni consimili  dovevano  trovarsi,  e  si  trovavano  di  fatto, 
in  altri  atti  di  conferimento  di  signorie  (i),  non  v*è  ragione  di  con- 
siderar quei  fatti  come  arbitrari  o  come  semplici  conseguenze  della 
latitudine  del  potere  signorile,  e  peggio  ancora  d'affermare  (come 
fece  il  Fertile)  che  l'esercizio  del  potere  signorile  per  parte  delle 
donne  fosse  una  t  usurpazione  »  (2).  Né  si  deve  credere  che  le  de- 
legazioni di  potere  fatte  dal  Signore  a  prò'  dei  membri  della  sua 
famiglia  siano  nate  dal  concetto  che  la  signoria  fosse  un  diritto 
della  famiglia  trasmissibile,  cedibile  e  divisibile  ;  poiché  è  pro- 
vato che  awerme  il  contrario,  cioè  che  il  diritto  ereditario  ha  po- 
tuto nascere  in  grazia  del  principio  della  cedibilità  dei  poteri  si- 
gnorili di  gran  lunga  preesistente  all'ereditarietà  delle  signorie 
stesse  (3).  E  come  Bernabò  medesimo  non  anteponesse  menoma- 
mente i  diritti  dei  figli  al  principio  della  libera  delegazione  del 
potere  da  parte  del  Signore,  lo  dimostra  il  fatto  che  proprio  a 
Reggio,  dove  lo  statuto  riconosceva  in  solidum  con  i  suoi  i  diritti 
dei  figli,  egli  nominava  invece  a  governare  il  Comune  la  moglie 
e  non  i  figli. 

La  ragione  del  diritto  di  delegare  ad  altri  l'amministrazione 
d'una  città  è  palese.  S-e  nominalmente  tutte  le  amministrazioni  co- 
munali erano  presiedute  e  dirette  dal  signore  comune  di  più  città, 
di  fatto  egli  non  poteva  dirigerle  singolarmente  se  non  a  stento  ; 


"  lidum  et   eius  heredibus  masculis    legiptimis procreatis   et  pro- 

"  creandis sit  et  esse  intellìgatur  perpetuus  et  generalis   dominus 

*  et  sint  et  esse  intelligantur  perpetui   et  generales  domini domi- 

*  nium...  perpetuo  possi t  prefatus  Dominus  et  eius  heredes  et  succes- 

*  sores  per  se  et  cui  vel  quibus  dederit  seu  comiserit  uti  et  exercere  „. 

(i)  Salzer,  Anfàngt  der  Signorie ^  Berlin,  1900,  pp.  226,  327. 

(2)  Fertile,  op.  cit.,  2.*  ed.^  II,  par.  1,  §  52,  p.  231. 

(3)  Salzer,  op.  cit.,  in  tutto  il  §  i  del  cap.  II  e  specialmente  p.  226. 


ai6  SUI   DOMINI   DI  REGINA  DELLA  SCALA 

e  perciò,  mentre  in  altri  tempi,  in  cui  il  concetto  dell'ente  Stato  ha 
preso  uno  sviluppo  così  grande  e  cosi  indipendente  dalla  perso- 
nalità del  prìncipe,  si  sono  creati  con  leggi  fondamentali  organi- 
smi politici  ed  amministrativi  accentratori,  allora  il  signore  de- 
l^ava,  se  credeva,  ad  un  suo  incaricato  il  suo  potere,  come  fa  un 
privato  che  non  può  attendere  personalmente  ad  a£Fari  lontani 
Questo  dettato  di  che  qualità  propriamente  rìtenevasi  dotato? 

Veramente  la  moglie  ed  i  &gli  di  Bernabò  Visconti,  quando 
amministravano  una  città  loro  affidata,  la  chiamavano  «terra  jì^ 
j/f^B  e  gli  cuciali  di  quella  si  chiamavano  «officiali  della  signora 
Regina,  del  signor  Carlo  »  e  via  dicendo.  Diedi  già  alcuni  esempi 
di  quest'uso,  riguardanti  il  governo  di  Reggio,  delegato  da  Ber- 
nabò a  Regina  nel  1373  (i).  Per  addurre  altri  esempi^  a  Brescia 
R^ina  e  Marco  scrivono  in  una  loro  lettera  collettiva  :  si  de  ce- 
'  tero  coniinget  aliquam  robariam  fieri  in  episcopatu  nostro  Brixie 
(3  gennaio  1375)  ;  Regina  in  altra  lettera  dice:  audientes  guodin 
civitate  nostra  Brixie  etc  (18  ottobre  1380),  e  la  stessa  formola 
usa  in  altre  lettere  dal  1380  al  1384  (2).  Federico  Gonzaga»  che  nel 
1369  era  podestà  di  Brescia,  s'intitolava  come  segue  :  Nos  F.  de  G, 
potestas  civitatis  Brixie  prò  magnifico  et  excelso  domino  domino 
Bernabove  Vicecomite  Mediolani,  Brixie  etc.  imperiali  zncario  ge- 
nerali eiusque  pri  via  genito  magnifico  domino  domino  MarcAo  Vi- 
cecomite (3).  Similmente  nel  1370  un  podestà  di  Parma  si  diceva 
tale  per  Carlo  Visconti  (4).  Queste  espressioni  di  documenti  uf- 
ficiali sono  sufficienti  per  farci  comprendere  come  i  cronisti  dices- 
sero alla  buona  che  Regina,  Marco,  Carlo  Visconti  erano  signori 
in  una  determinata  città  ;  i  poteri  che  essi  esercitavano,  erano  po- 
teri signorili,  ma  altri  documenti  ci  apprendono  però  a  qual  titolo 
veramente  li  esercitassero,  e  in  parte  anzi  ce  lo  dicono  i  documenti 
stessi  succitati.  Il  podestà  di  Brescia  si  dice  podestà  per  Marco 
Visconti,  ma  si  dice  prima  di  tutto  officiale  di  Bernabò.  Regina 

(i)  Arc/i,  stor,  lomb.y  XXVII,  1900,  pp.  153-157. 

(2)  Tutti  questi  documenti  nello  Statuto  bresciano  del  1355  a  ce  290 r. 
e  225227  t.  —  Altro  documento  del  1384  in  Arch.  di  Stato  in  Brescia, 
Cancell,  prefettizia  superiore,  Coufini  tirolesi,  reg.  A,  foL  16.  —  È  da  no- 
tarsi che  Brescia  è  molto  povera  di  carte  viscontee. 

(3)  Statuto  cit.,  223  r,  Cfr.  pure  Antiqua  decreta^  p.  33. 

(4)  Pezzana,  op.  cit.,  I,  93.  nota  118.  Naturalmente  Regina  ed  i  figli 
nominavano  i' podestà  e  gli  altri  officiali  delle  città  loro  affidate,  come 
provano  molti  documenti. 


J 


E   DEI  SUOI  FIGU  217 

della  Scala,  molt*anni  dopo,  confermando  una  serie  di  diplomi  di 
immunità  concessi  alla  terra  di  Lonato  nel  Bresciano  da  Azzone, 
Luchino,  Giovanni  e  Marco  Visconti,  dice  testualmente  che  questi 
ultimi  diplomi  erano  stati  concessi  da  Bernabò  in  persona  di  suo 
figlio  Marco  (i),  esjmmendo  così  con  una  formola  felicissima  — 
e  della  quale  mi  pare  che,  nella  deficenza  d'altri  documenti,  sia 
da  tenere  gran  conto,  tanto  piii  perchè  è  usata  in  un  atto  in  cui 
l'esattezza  delle   formole  era   di    molta    importanza  —  il  fatto 
che  Marco,  quando  governava  Brescia,  èra  un  rappresentante  del 
padre  ;   non  di  più  né  di  meno.  Regina  medesima  esercitò  larghi 
poteri  in  Reggio  per  incarico  avutone  dal  marito,  come  risulta  da 
documento  ;  ed  il  cronista  reggiano  contemporaneo  Pietro  della 
Gazzata,  la  chiamò  domina  Rkegij  (2).  Ma  oltreché  Tappella- 
tivo  di  domina  sarebbe  convenuto  a  Regina  anche  per  il  semplice 
fatto  che  era  moglie  del  dominus,  i  documenti  dimostrano  che 
essa  non  faceva  uso  del  titolo  di  domina  Rhegij  in  carte  ufficiali  ; 
né  per  Brescia,  per  quanto  anche  là  si  trovino  documenti  che  la 
chiamano  domina  nostra  (3),  essa  intestò  mai  le  sue  lettere  altri- 
menti di  quel  che  faceva  per  Reggio,  cioè  col  semplice  titolo  di 
consors  magnifici  domini  Bernabovis,  L'importanza  del  quale  for- 
mulario è  resa  evidente  anche  di  più  dal  paragone  con  un  docu- 
mento di  Bianca  di  Savoia,  la  quale  invece  s'intitola  espressa- 
mente :  BL  de  Sab.  Abbìatis  Crassi  domina  generalis  (4),  affer- 
mandosi così  essa  medesima  vera  signora  della  città.  Regina  in- 
vece non  ebbe  mai  in  Reggio  diritti  suoi  esclusivi  ;  poiché  quella 
vendita  di  terre  reggiane,  che  secondo  una  oscura  notizia  del  Co- 
rio  (5),  le  avrebbe  fatta  il  marito  nel  1383,  non  comprendeva  cer- 
tamente il  comune  di  Reggio.  Bernabò,  dopo  l'incarico  dato  a 

(i)  Arch.  di  Stato  in  Brescia,  Ufficio  del  Territorio^  mazzo  XLV, 
n.  5  (Processo  di  Lonato).  Altra  copia  nell'Arch.  stor.  Municip.,  lib.  E.  IX, 
1088,  p.  195.  Le  parole  testuali  sono  "  Visis  literis...  D.D,  Consortis  no- 

*  stri  conceptis  in  personam  bone  memorie. .  nati  nostri  Marci  viceco- 

•  mitis  ,,  Segue  poi  il  testo  del  privilegio  elargito  da  Marco,  che  in- 
comincia: Marcus  ^icecomés,  etc. 

(2)  ChroH,  reg,  in  Muratori,  R,  L  S,,  XVIII,  95  C. 

(3)  V.  Odorici,  Storie  bresciane^  VII,  213,  nota  i. 

(4)  Antiqua  ducum  Med.  decreta,  p.  245.  Si  badi  che  si  trova  inserto 
in  due  decreti  di  data  molto  posteriore,  mentre  il  decreto  di  Bianca  è 
del  1373. 

(5)  CoRio,  Bistorta  di  Milano,  Padova,  1646,  p.  503. 


2l8  SUI   DOMINI   DI  REGINA  DELLA   SCALA 

Regina  d'amministrare  questo  comune,  non  mandava  frequente- 
mente lettere  sue,  ma  pur  ne  mandava  ;  ed  una  di  queste,  assai 
ciuiosa,  potrà  vedersi  nell'appendice  (i).  In  essa  egli  qualifica 
rettori  ed  officiali  suoi  in  Reggio  quei  medesimi  che  altri  docu- 
menti qualificano  qualche  volta  come  officiali  di  Regina,  e  dispone 
sopra  un  modesto  argomento  relativo  all'amministrazione,  non  so- 
pra un  eccezionale  o  capitale  affare  di  Stato  di  sua  particolare 
competenza.  Si  tratta  infatti  della  insequestrabilità  degli  stipendi 
degli  impiegati  E  considerando  appunto  il  fatto  che  gli  atti 
diretti  di  Bernabò,  legislativi  ed  anmiinistrativi,  s'intrammezzano 
con  gli  atti  dei  figli  e  della  moglie  ;  e  tenendo  presente  la  formola 
sopraccennata  relativa  ai  privilegi  di  Lonato,  sembra  potersi  af- 
fermare che  le  facoltà  di  cui  solevano  investirsi  questi  incaricati  del 
governo  delle  città,  fossero  quelle  di  mandatari  o  procuratori 
generali  ;  poiché,  mentre  da  un  lato  il  mandato  generale  investe 
il  mandatario  delle  facoltà  del  mandante,  dall'altro  lato  non  priva 
questo  della  facoltà  di  fare  anche  direttamente  tutto  quello  che 
il  suo  mandatario  può  fare,  ed  in  alcuni  casi  anche  di  più. 

Perchè  però  non  si  oscuri  il  concetto,  che  dobbiamo  formarci 
della  natura  del  potere  esercitato  dalla  famiglia  di  Bernabò,  non 
bisogna  esser  troppo  facili,  com'erano  ima  volta  gli  storici,  ed  at- 
tribuire città  e  domini  particolari  ai  membri  della  famiglia  di 
Bernabò  Visconti.  Correggeremo  qui  alcuni  errori  in  proposito. 

Due  volte,  almeno,  il  Giulini  precipitosamente  afferma,  in 
base  a  documenti  di  pivi  che  incerta  interpretazione,  che  i  figli  e 
la  moglie  di  Bernabò  avevano  particolar  dominio  in  una  città. 

Il  27  dicembre  1365  (=  1364  s.  e)  Marco,  Lodovico,  Carlo  e 
Rodolfo  Visconti  indirizzavano  un  decreto,  o  regolamento,  al  po- 
destà di  Parma  (2)  ;  donde  il  Giulini  conchiude  che  Bernabò  cai 
quattro  suddetti  personaggi  aveva  affidato  il  dominio  della  città 
di  Pannai  (3).  Ma  il  decreto  o  regolamento  in  quistione  non  ri- 

(i)  Append.  n.  4.  Una  disposizione  di  Bernabò  trovasi  andhe  in  Osio, 
Cod.  dipi.  Fise,  I,  240,  a.  CLXXXl,  ed  è  precisamente  del  1383. 

(2)  Antiqua  decreta,  pp.  32-33.  L'età  estremamente  giovanile  dei 
quattro  figli  di  Bernabò  (che  s'era  sposato  con  la  loro  madre  nel  1350} 
rende  improbabile  che  questo  decreto  emani  veramente  da  essi;  ma 
di  ciò  dovremo  parlare  in  seguito.  Qui  dobbiamo  cercare  solamente  se 
e  quali  erano  i  loro  diritti;  se  poi  li  esercitassero  personalmente,  o  no, 
questa  è  un'altra  questione. 

(3)  Giulini,  Mem.  delia  ciiià,  ecc.,  i.*  ed.  a.  1364,  lib.  LXX,  p.  14H. 


E    DEI   SUOI  FIGLI  219 

guarda  solamente  Parma  ;  esso  contiene  Vordo  servandus  de  cae- 
tero  in  syndicatibus  fiendis  in  qualunque  città  del  dominio,  e  nulla 
Ve  di  speciale  che  riguardi  Parma.  E*  un  puro  caso  se,  delle  molte 
e  molte  copie  che  certamente  ne  furono  diramate,  si  è  proprio  con- 
servata quella  che  è  indirizzata  al  podestà  di  Parma.  Quanto  al- 
l'esservi in  testa  al  decreto  i  quattro  nomi,  è  cosa  che  si  può  va- 
riamente spiegare,  sia  supponendo  che  ai  quattro  figli  Bernabò 
avesse  collettivamente  assegnato  quel  ramo  dell'amministrazione  ; 
sia  che  già  fino  da  quel  tempo,  almeno  per  certi  interessi  ammini- 
strativi, le  città  fossero  distribuite  fra  i  quattro  figli,  i  quali  poi 
s'accordassero  tra  loro  per  certi  ordini  comuni.  Ma  finché  al  do- 
cumento del  27  dicembre  1364  non  se  ne  aggiungono  altri  pivi 
espliciti,  non  abbiamo  ragioni  decisive  per  preferire  l'una  all'altra 
delle  due  spiegazioni.  Se  mai,  la  natura  del  documento  in  quistione 
escluderebbe  piuttosto  che  Parma  fosse  un  dominio  particolare  dei 
quattro  figli  ;  in  primo  luogo,  perchè  l'ordine  da  loro  emanato  è 
generale  ;  in  secondo  luogo,  perchè  pare  strano  che  una  sola  città 
fosse  data  a  tutt'e  quattro  i  figli  in  una  volta  (i). 

Questa  quistione  fu  presa  in  esame,  dopo  il  Giulini,  dall'Affò 
e  dal  Pezzana  ;  i  quali,  sempre  partendo  dal  falso  presupposto 
che  i  quattro  figli  di  Bernabò  con  l'atto  del  27  dicembre  1364  or- 
dinassero di  sindacare  il  podestà  di  Parma  (cosa  di  cui  propria- 
mente il  documento  non  dice  verbo),  e  trovando  poi  una  lettera  di 
poco  posteriore  inviata  dal  solo  Rodolfo  al  podestà  di  Parma, 
formularono  l'ipotesi  che  Bernabò,  prima  desse  incarichi  collettivi 
ai  figli,  e  poi,  comprendendo  che  non  era  bene  che  esercitassero 
insieme  certi  atti  di  giurisdizione,  dividesse  loro  le  cure  e  le 
città  (2).  Ma  come  accettare  un'ipotesi  fondata  sopra  una  falsa 
interpretazione  del  documento  che  le  serve  di  base?  E  j)oi,  se  am- 
mettessimo che  Bernabò  avesse  introdotto  nel  1365  questa  inno- 
vazione nel  sistema  amministrativo  dei  suoi  domini,  come  potrem- 
mo allora  spiegare  il  fatto  che  posteriormente  si  trovano  ancora 
documenti  intestati  coi  nomi  di  più  persone  della  sua  famiglia?  (3) 

(i)  Il  quinto,  che  fu  Mastino,  nacque  molti  anni  dopo.  Cfr.  questo 
Arch.,  XXIX,  1902,  pp.,  395-399- 

(2)  Pezzana,  op.  cit,  I,  80-81.  Sono  del  Pezzana  solamente  le  note. 

(3)  '373»  '  novembre.  Carlo  e  Regina  (Arch.  di  Stato  di  Reggio  E. 
Provvigioni  dei  deputati  sulle  entrate  ijj2'iS7Tt  e.  57  t.)  ;  1375,  gennaio 
Marco  e  Regina  al  podestà  di  Brescia  (sopracitato). 


SUI   DOMINI   DI  REGINA   DELLA   SCALA 

Non  meno  precipitosa  è  Filiazione  del  Giulini,  quando  dalla 
notizia,  conservata  nel  Ckron.  regiense  (i),  di  un  precetto  fatto 
neirottobre  del  1372  al  clero  reggiano  in  esecuzione  d'un  ordine 
di  Bernabò  e  di  R^ina,  inferisce  che  questa  avesse  in  Reggio  t  par- 
ticolar  signoria!  (2).  Infatti,  è  in  primo  luogo  da  notarsi  che  nel 
passo  in  quistione  la  lettera  di  Regina  non  è  riferita.  Quantun- 
que il  Chron,  dica  :  [Bernabos^  misit  literas  talis  tenorisy  realmente 
ciò  che  segue  è  un  ordine  del  referendario  Giorgio  de  Mudrignano 
e  non  la  lettera  dei  signori  ;  quindi  non  è  possibile  d'immaginare  a 
che  titolo  ed  in  che  modo  il  nome  di  Regina  entrasse  nella  lettera 
originale,  sebbene  sia  da  notarsi  che  il  referendario  la  qualifica, 
come  al  solito,  Consors  magnifici  etc  e  non  domina  Rhegij  od  al- 
trimenti. In  secondo  luogo  è  da  osservarsi  che  nell'ordine  del  refe- 
rendario è  sempre  menzionato  prima  Bernabò,  aggiungendo  poi  aut 
domina  (3).  In  terzo  luogo  poi  il  precetto  da  farsi  al  clero  era  che 
tutti  quei  dignitari  ecclesiastici,  a  cui  spettava  diritto  di  collazione, 
presentazione  o  conferma  di  benefici,  non  osassero  d'ora  innanzi 
fare  alcuno  di  tali  atti  senza  licenza  speciale.  Ora  di  quest'ordine 
non  c'era  necessità  speciale  per  la  diocesi  reggiana  ;  essa  era  una 
di  quelle  misure  di  j)olitica  ecclesiastica  che  i  Visconti  adotta- 
vano dovunque,  e  perciò  non  è  detto  che  l'originale  del  decreto 
parlasse  in  particolar  modo  di  Reggio,  di  cui  doveva  parlare 
naturalmente  il  referendario,  alla  cui  sorveglianza  era  affidato 
questo  comune,  nella  comunicazione  destinata  alle  autorità  locali. 
Del  resto,  a  parte  ogni  altro  argomento,  la  lettera  del  20  lu- 
glio 1373,  da  me  data  alla  luce,  prova  all'evidenza  che  fino  a  quella 
data  Reggio  non  era  affidata  alle  cure  particolari  di  Regina  (4). 

E'  poi  da  avvertire  che  i  documenti  in  cui  ci  andiamo  imbat- 
tendo, nei  quali  si  trovano  i  nomi  di  persone  della  famiglia  di 
Bernabò,  sono  frequentemente,  come  s'è  veduto,  documenti  col- 
lettivi. Ora,  in  tesi  generale  il  documento  collettivo  fa  supporre 
che  una  delle  persone  da  cui  emana,  non  potesse  da  sola  emanarlo  ; 
e  quando  una  delle  due  è  Bernabò,  naturalmente  è  l'altra  persona 


(i)  Mqratori,  R,  1.  S.,  XVIII,  78  C-D. 

(2)  GiuLiNi,  op.  cit,  a.  1373,  lib.  LXVI,  p.  228. 

(3)  •  sub  poena  arbitrio   praefati  Domini  exigenda,  aut  Dominae; 
..  absque  speciali  licentia  Domini  praefati,  aut  Dominae  «. 

(4)  V.  quesf^rcA.,  XXVII,  p.  154. 


E   DEI   SUOI   FIGLI  221 

quella  la  cui  autorità  è  imperfetta.  Bianca  Visconti,  signora  d'Ab- 
biategrasso,  intesta  da  sola  (come  s*è  detto)  il  suo  documento  qua- 
lificandosi domina;  Regina  della  Scala,  pur  dopo  aver  avuto  in 
dono  S.  Angelo  dal  marito,  volendo  assolvere  dal  bando  gli 
Schiaffinati  di  Pavia  che  il  suo  vicario  in  S.  Angelo  aveva  con- 
dannati, unisce  il  suo  nome  a  quello  di  Bernabò  in  un  atto  col- 
lettivo di  grazia  (i). 

Dal  fin  qui  detto  appare  il  legale  e  regolare  svolgimento  del- 
l'autorità goduta  dalle  persone  della  famiglia  di  Bernabò.  Forse 
alcuno  troverà  poco  opportuna  l'indagine  della  legalità  e  della 
figura  giuridica  degli  atti  d'un  uomo  creduto  di  poco  scrupolosa 
coscienzcL,  come  Bernabò  Visconti.  Ma  la  natura  di  quest'uomo  era 
assai  complessa.  Sebbene  per  certi  rispetti  egli  fosse  al  di  sotto 
del  nostro  moderno  senso  morale,  non  era  affatto  né  una  mente 
volgare,  né  un  rozzo  prepotente.  Non  solamente  fu  sagace  l^i- 
slatore,  ma  fu  nutrito  di  studi  giuridici  ed  ebbe  fama  d'espertis- 
simo canonista  (2).  La  tradizione  ricordò  volontieri  la  tragicomica 
prepotenza  del  ponte  del  Lambro  ;  ma  sarebbe  meglio  che  ricor- 
dasse i  ragionamenti  con  cui  Bernabò  volle  cercar  subito  di  con- 
vincere i  suoi  nuovi  sudditi  reggiani  del  suo  buon  diruto  nella 
lotta  contro  il  Papa  ;  ragionamenti  tanto  efficaci  che  l'abate  di 
S.  Prospero,  conservando  memoria  del  fatto  in  una  cronaca,  in  cui 
non  aveva  alcuna  ragione  di  mentire,  aggiungeva  questa  frase,  no- 
tevole per  essere  uscita  dalla  penna  d'un  ecclesiastico:  €  multa 
dixit,  in  quibus  videbatur  ius  Aaberei^  (3).  Diverse  cronache,  del 
resto,  lo  mostrano  amante  della  retta  giustizia  (4),  e  il  Giulini  già 
notò,  con  un  certo  suo  stupore,  che  Bernabò  si  lasciava  dar  torto 
dai  tribunali,  proprio  come  un  principe  illuminato  del  sette- 
cento (5). 

(i)  Osio,  op.  cit.,  I,  234-235,  n.  CLXXVIII. 

(2)  ■  Dominus  Bernabos  erat  doctissimus  et  presertim  in  Decreta- 
■  libus;  nam  studuerat  ab  adolescentia  per  multum  tempus  in  Decre- 
•  talibus  ,.  ^nn.  Medioian,,  in  Muratori,  R.  I,  S,  XVI,  801,  CD. 

(3)  Muratori,  /?.  /.  S.,  XVIII,  77,  DE. 

(4)  Ann.  Medioian.,  ed  Azario,  Chr.,  in  Muratori,  R.  L  S.,  XVI,  385. 
.   Su  Bernabò  rappresentato  come  T"  avvocato  dei  deboli  „  v.  le  interes- 
santi pagine  del  Vitali,  Bernabò  V,  nella  novella  e  nella  cronaca  contem- 
poranea in  <\\\QS^Arch.f  XXVIII,  1901,  pp.  272-275. 

(5)  Giulini,  op.  cit.,  a.  1358,  lib.  LXVIII,  pp.  66-67.  Dì  fronte  alla 
Chiesa   non  rispettò  sentenze  di   giudici,  com'ebbe  a  notare  PAgnelli, 


222  SUI   DOMINI   DI   REGINA   DELLA   SCALA 

Ad  Ogni  modo,  o  per  istinto  naturale  o  per  semplice  conve- 
nienza politica,  il  sistema  di  Bernabò  era  regolare  ;  ma  interesse- 
rebbe di  conoscere  perchè  egli  si  attenesse  a  questo  e  non  ad  altri 
possibili  sistemi  ;  ciò  che  meglio  determinerebbe  il  significato  sto- 
rico del  sistema  da  lui  seguito. 

Bernabò  nel  1364  aveva  già  investito  di  poteri  i  figli,  ancora 
giovanissimi,  da  cui  allora  non  gli  doveva  venire  aiuto  alcuno. 
Dicono  che  ciò  facesse  per  assegnare  loro  un  apannaggio  (i)  ;  del 
quale  però,  in  quell'età  giovanile,  non  dovevano  veramente  sen- 
tire il  bisogno.  Che  pensasse  di  limga  mano  alla  propria  succes- 
sione, è  possibile  ;  ma  non  si  può  erigere  questo  ad  unico  e  princi- 
palissimo  suo  movente  ;  perchè,  oltre  tutto,  considerando  che  diede 
potere  ai  figli  or  qua  or  là  (a  Rodolfo  in  Parma  poi  in  Bergamo  ; 
a  Marco  in  Brescia  poi  in  Milano,  ecc)  e  che  l'ultima  distribuzione 
delle  città  la  fece  nel  1379,  ed  allora  soltanto  mandò  solennemente 
ciascimo  a  risiedere  nella  città  assegnatagli,  è  difficile  anmiettere 
che  sempre,  quando  assegnava  ad  uno  dei  figliuoli  una  terra,  pen- 
sasse alla  propria  successione.  Bernabò  avrebbe  passato  gran  parte 
della  vita  a  pensare  alla  propria  morte  !,  a  fare  e  disfare  prepara- 
tivi per  la  successione.  Quali  rapporti  inoltre  può  avere  l'idea  della 
successione  con  gl'incarichi  dati  alla  moglie  Regina  della  Scala, 
i  quali  tuttavia  sono  della  stessa  natura  di  quelli  che  Bernabò 
dava  ai  suoi  figli  ?  E  si  consideri  poi  che  una  sola  di  queste  asse- 
gnazioni di  città  consta  che  venisse  seguita  da  im  atto  testamen- 
tario per  regolare  la  successione  ;  e  fu  (come  vedremo^  quella  del 
1379.  Non  si  dovrebbe  dunque  credere  che  le  assegnazioni  antece- 
denti avessero  diverso  carattere? 


Vertenze  dei  Visconti  con  la  mensa  vescovile  di  Lodi  in  quest* ^rcAivio, 
XXVIII,  1901,  pp.  266  e  sgg.  Ma  la  politica  aggressiva  contro  le  chiese  era 
comune  a  tutti  i  governi  in  queirepoca.  Del  resto  poi  Bernabò  tolse 
alle  chiese  con  una  mano,  ma  donò  largamente  con  l'altra,  come  notò 
il  GiULiNi,  op.  cit.,  a.  1373,  lib.  LXXI,  p.  239.  Che  poi,  come  dice  l'Agnelli, 
Bernabò  "  levasse  il  pane  di  bocca  ai  poveri  Lodigiani  ,  (loc  cit,  p.  266) 
non  è  esatto;  perchè  il  luogo  dell' Azario,  tradotto  dal  Verri,  che  l'Agnelli 
cita,  non  si  riferisce  a  Bernabò  bensì  a  Matteo.  Anzi  l'Azario  ed  il  Verri 
un  po'  più  oltre  riferiscono  le  Iodi  che  di  Bernabò  fece  il  contadino,  il  quale 
lo  accusa  di  ferocia,  ma  lo  loda  per  l'amore  della  giustizia.  Verri,  Storia 
di  Milano,  Firenze,  1890,  I,  319  ;  Azario  in  Muratori,  R,  L  S.,  XVI,  394  E. 
(i)  Per  es.  Litta,  Fam.  cel.  ital.,  Visconti,  tav.  V,  dov'è  descritta  la 
famiglia  di  Bernabò. 


E   DEI   SUOI   FIGLI  2*3 

Io  credo  che  da  quel  che  fecero  i  figli,  quando  furono  cre- 
sciuti, debba  giudicarsi  quel  che  erano  destinati  e,  dirò  anche,  eser- 
citati a  fare  fin  da  quando  erano  giovinetti  I  poteri  che  allora  eser- 
citavano certo  nominalmente,  dovevano,  crescendo  negli  anni,  as- 
sumerli di  fatto  ;  cosicché  essi  erano  destinati  a  diventare  i  prin- 
cipali ausiliari  del  padre,  che  di  lunga  mano  andò  preparando  il 
suo  piano.  E'  un  lato  dell'amministrazione  di  Bernabò,  su  cui  giova 
di  insistere  alquanto. 

A  quanto  ci  dicono  i  contemporanei,  Bernabò  amava  di  tener 
piccola  corte.  Aveva  stabilmente  presso  di  sé  due  vicari  e  tre  con- 
siglieri soltanto  ;  e  siccome  di  questi  consiglieri  ci  vengono  detti 
i  nomi  (Uberto  da  Monza,  Airone  Spinola  e  Giavazzo  Reina),  ciò 
dimostra  che  non  erano  già  tre  per  turno  i  consiglieri  ammessi  a 
corte,  ma  che  tre  consiglieri  solamente  costituivano  il  consiglio  in- 
fimo (i  ).  Bernabò  doveva  dunque  attendere  personalmente  a  molti 
affari  di  Stato  e  (gli  aneddoti  che  lo  riguardano,  lo  provano)  ve- 
nire direttamente  in  rapporto  con  molte  persone,  com'è  proprio  dei 
magistrati  più  che  dei  principi  ;  o  com'era  proprio  dei  principi  pri- 
mitivi, degl'imperatori  romani  nel  periodo  de'  Cesari,  ecc  La  fa- 
cilità di  dare  sfogo  palesemente,  nel  trattar  gli  affari,  ai  suoi  tre- 
mendi accessi  d'ira  deve  aver  contribuito  a  creargli  la  mala  fama 
che  ancora  lo  persegue.  Nei  suoi  documenti,  per  quanto  finora  si 
può  vedere,  non  par  che  si  trovino  quelle  segnature  dei  ministri,  che 
compaiono  nei  documenti  di  suo  fratello  Galeazzo  II  (2)  e  sono 
indizio  (come  già  ebbi  occasione  di  dimostrare)  della  relativa  au- 
tonomia che  andavano  gradatamente  acquistando  certi  dica- 
steri (  3).  Par  dunque  che  Bernabò,  per  quanto  fosse  un  buon  am- 
ministratore, intento  ad  ordinare  e  disciplinare  la  bassa  t  buro- 
crazia! (4),  mancasse  invece,  riguardo  all'ordinamento  superiore 
dello  Stato,  di  quello  spirito  più  moderno,  ed  a  volte  anche  ge- 
niale, di  cui  si  mostrarono  dotati  il  fratello  ed  il  nipote,  Galeaz- 


(i)  Tutto  ciò  dall'AzARio,  op.  cit,  XVI,  397  B. 

(2)  Le  prime  segnature  in  calce  (lasciando  dunque  da  parte  quelle 
apposte  sotto  i  sigilli,  che  sono  d'altra  natura)  tra  i  documenti  deirOsio 
appaiono  al  n.  CXXl  (I,  179)  e  tra  gli  Antiqua  decreta  a  p.  46.  L'uno  e 
Taliro  atto  sono  di  Galeazzo  II.  1  documenti  di  Bernabò  e  delle  persone 
di  sua  famiglia  non  hanno  segnatura. 

(3)  Usi  cancellereschi  viscontei  in  K\Mts\!  Are h,,  XXVII,  1902,  394  e  sgg. 

(4)  AzARio,  op.  cit,  e.  398  AC. 


224  ^^I    DOMINI   DI   REGINA   DELLA   SCALA 

zo  II  e  Qiangaleazzo.  Questi  infatti,  a  differenza  di  lui  (ed  il  con- 
trapposto fu  notato  dai  contemporanei  stessi,  per  esempio  dal- 
TAzario  [i]),  vivevano  ritirati  e  poco  accessibili,  affidando  una  gran 
parte  degli  affciri  a  regolari  dicasteri  retti  da  numerosi  ministri 
con  ampie  delegazioni  di  poteri  e  di  firma  ;  talché  Galeazzo  II 
venne  accusato  d'essersi  lasciato  raggirare  dai  ministri,  di  cui  si 
diceva  che  facevano  e  disfacevano  tutto  a  loro  capriccio  (2).  Il 
rimprovero  fatto  a  Bernabò  d'aver  ceduto  ad  impulsi  o  capricd 
personali,  non  è  mosso  a  Galeazzo  ed  a  Giangaleazzo,  il  primo  dei 
quali  è  piire  lodato  per  essersi  mantenuto  affatto  estraneo  anche 
all'amministrazione  della  giustizia  (3).  L'alta  amministrazione 
dello  Stato  andò  insomma  sviluppandosi  sotto  il  governo  di  Ga- 
leazzo (4).  Invece  la  mente,  diremo  così,  più  medievale  di  Ber- 
nabò vedeva  ancora  in  questa  una  funzione  personale  del  Signore, 
da  esercitarsi,  finché  le  forze  bastavano  e  l'importanza  delle  cose 
lo  esigeva,  da  lui  stesso  ;  e,  dove  non  poteva,  o  non  era  necessario, 
dalle  persone  più  strettamente  congiunte  con  la  sua,  cioè  dalle 
persone  di  casa  col  minor  concorso  possibile  di  estranei.  La  moglie 
Regina  fu  quindi  la  sua  più  fedele  ed  ascoltata  consigliera.  Da- 
vanti a  questa  donna  che  egli  amò  e  rese  madre  di  molti  figli  (ma 
cui  non  fu  mai  fedele  !),  egli  non  osava  neppure  sfogare  la  sua  ter- 
ribile ira  ;  si  disse  quindi  che  essa  lo  dominasse  come  facevano  i 
ministri  di  Galeazzo  II,  e  di  ciò  fu  lodata  e  vituperata  (5).  I  figli 
dovevano  naturalmente  essere  i  suoi  ausiliari  ;  e  ne  aveva  tanti 
fra  legittimi  ed  illegittimi  che  c'era  da  formare  un  sufficiente  stato 
maggiore  !  Così,  a  mio  credere,  la  concessione  alla  moglie  ed  ai 
figli  del  mandato  di  governare  qualcuna  delle  sue  terre  doveva 
apparire  a  Bernabò  quale  complemento  necessario  del  suo  sistema 
di  governo  (6). 

(i)  È  facile  vedere  la  differenza  tra  quanto  rAzario  dice  e  pensa 
di  Bernabò,  e  quanto  dice  e  pensa  di  Galeazzo;  e  mentre  di  Bernabò 
parla  con  benevolenza,  verso  Galeazzo  è  anche  assai  malevolo. 

(2)  AzARio,  op.  cit.,  403  C,  404  C. 

(3)  GiuLiNi,  op.  cit,  a.  1362,  lib.  LXIX,  p.  124. 

(4)  V.  alcune  buone  osservazioni  in  proposito  nel  Rovelli,  Sioria 
dì  Como,  Como,  1802,  III,  i,  pp.  14-17. 

(5)  AzARio,  op.  cit.,  397  C;  AnnaL  medioL,  777  D.;  che  la  lodano; 
CoRio,  op.  cit.,  a.  1384,  che  ne  dice  molto  male. 

(6)  Non  vogliamo  trascurare,  sebbene  abbia  meno  rapporti  con 
questo  soggetto,  una  osservazione   del   Giulini  a  proposito  di  Bernabò 


E    DEI   SUOI   FIGLI  225 

L'intromissione  insomma  della  famiglia  di  Bernabò  nel  go- 
verno avrebbe  carattere  simile  all'intromissione  della  gente  di  casa 
dei  primi  imperatori  romani  nell'amministrazione  dell'  impero  ; 
paragone  assai  appropriato,  perchè  già  è  stato  riconosciuto  avere 
l'impero  e  la  Signoria  per  altri  rispetti  molti  punti  di  contatto 
fra  di  loro  (i).  La  casa  dell'imperatore  non  cominciò  già  ad  avere 
parte  preponderante  nell'amministrazione  col  tramutarsi  dell'im- 
pero in  monarchia  burocratica  ;  ma  la  ebbe  invece  grandissima  da 
principio,  quando  l't  impero  i  era  considerato  come  im  potere  fidu- 
ciario che  l'imperatore  esercitava  per  mezzo  dei  suoi  fidi,  e  per- 
fino i  liberti  imperiali  misero  mano  negli  affari  di  Stato  (2). 
Dopo  di  questo  venne  il  periodo  in  cui  fu  organizzata  una  vera  e 


e  Galeazzo.  Galeazzo  demoliva  le  rocche  dei  contadi,  arnesi  più  peri- 
colosi pel  governo  che  pei  nemici;  Bernabò  voleva  averne  il  maggior 
numero  possibile  nelle  sue  mani  e  sempre  ne  fabbricava  di  nuove  (Giulini, 
op.  cit.,  a.  1370,  lib.  LXX,  p.  211).  Anche  in  questo  Bernabò  dimostre- 
rebbe idee  più  antiquate.  Potrebbe  darsi  che  il  Giulini  avesse  un  po' 
esagerato,  perchè  anche  di  Bernabò  è  detto  che  ordinò  di  distruggere 
certi  castelli  (AzARio,'op.  cit.,  402  B.);  però  dal  passo  stesso  del  cronista  che 
narra  il  fatto,  si  potrebbe  dedurre  che  in  quel  caso  Bernabò  agisse  per 
momentanea  necessità,  mentre  la  sua  smania  d'aver  troppi  castelli  e 
troppi  presidi  sembrerebbe  provata  dalla  circostanza  che  il  suo  succes- 
sore Giangaleazzo,  appena  assunto  il  governo  delle  terre  tolte  allo  zio, 
pensava  di  diminuire  le  grosse  spese  che  queste  superflue  difese  co- 
stavano. Cfr.  /  denari  per  la  dote,  ecc.  in  qyi^st'  Arch,,  XXVIII,  1901,  p.  57. 

È  da  avvertirsi  che  quelle  disposizioni  contro  i  fortilizi,  le  quali  fu- 
rono poi  ripetute  molte  volte  da  Giangaleazzo  (Antiqua  decreta,  173,  207, 
211,  236),  trovansi  la  prima  volta  nell'ultimo  capoverso  d'un  decreto  di 
Galeazzo  II  contenente  disposizioni  su  materie  diverse  {Antiqua  de- 
creta, 39-40). 

(i)  Il  paragone  rimonta,  credo,  al  Muratori,  Antichità  italiane  (edi- 
zione italiana),  dissert.  LIV,  Milano,  1751,  111,-194.  Lo  ripetono  molti; 
p.  es.  Fertile,  op.  cit.,  §  52,  p.  225. 

(2)  Su  questo  argomento,  oltre  i  libri  di  storia  e  di  diritto  pubblico, 
v.  il  vivo  quadro  della  corte  imperiale  nella  nota  opera  del  Friedlander. 
Cfr.  pure  una  osservazione  del  Marquardt,  Organisation  de  ^empire 
romain,  1897,  II,  582,  sopra  una  parte  dell'  amministrazione  imperiale 
nelle  provincie.  Dal  medesimo  Marquardt,  op.  cit.,  II,  5'y3,  apprendiamo 
che  anche  gli  storici  romani,  di  tanto  più  valenti  dei  cronisti  medievali, 
non  sempre  coglievano  il  vero  carattere  delle  magistrature  imperiali  e 
sbagliavano  nell'uso  dei  termini  tecnici.  Dovremo  dunque  andare  con 
cautela  nel  valerci  dei  luoghi  di  cronisti  che  accennano  ad  uffici  nuovi. 


226  SUI   DOMINI   DI   REGINA    DELLA   SCALA 

propria  amministrazione  pubblica  non  piìi  confusa  con  la  casa 
imperiale,  per  giungere  poi  più  tardi  ad  una  monarchia  dispotica 
e  cortigiana,  la  quale  esce  dall'ambito  del  nostro  paragone. 

Tale  confronto,  oltreché  illustrare  la  tesi  fin  qui  sostenuta, 
varrà  pure  a  chiarire  ancora,  con  Teflicacia  dell'esempio,  che  non 
vi  è  menomamente  un  rapporto  necessario  fra  Fintromissione  della 
famiglia  del  Signore  nell'amministrazione  e  l'idea  che  lo  Stato  sia 
assolutamente  un  patrimonio  familiare.  Anche  consfderando  il  po- 
tere come  una  magistratura  (com'era  pei  primi  tempi  l'autorità  im- 
periale romana),  è  possibile  che  se  ne  facciano  partecipi  le  persone 
di  casa.  L'amministrazione  per  mezzo  d'estranei,  nel  trapasso  dagli 
antichi  governi  repubblicani  agli  antichi  governi  monarchici,  è  una 
forma  (come  oggi  si  dice)  più  evoluta  che  non  Tamministrazione 
per  mezzo  di  persone  di  famiglia. 

Ed  all'ultima  obbiezione  che  ci  si  potrebbe  muovere,  cioè  che 
in  fin  dei  conti  Bernabò  divise  la  signoria  tra  i  figli  e  quindi  è 
forse  fantastico  ogni,  per  quanto  inorganico,  piano  amministra- 
tivo che  gli  si  attribuisca,  risponderò  indicando  l'esempio  di  Gian- 
galeazzo.  Se  vi  fu  un  principe  che  desse  opera  ad  t organizzare» 
lo  Stato  fu  lui  ;  eppure  divise  le  terre  tra  i  figli,  come  gli  altri 
Visconti  le  avevano  divise  tra  gli  eredi.  Ciò  dimostra  che  nella 
loro  mente  le  due  cose  potevano  accoppiarsi,  mentre  noi  le  tro- 
viamo contradditorie. 

Resterebbe  ora  da  esaminare  se  i  poteri  affidati  ai  figli  di 
Bernabò  furono  sempre  esattamente  gli  stessi,  ma  questa  indagine 
è  da  posporsi  alla  risoluzione  d'alcuni  dubbi  sulla  distribuzione 
della  città  avvenuta  nel  1 379. 

IL 
Sulla  distribuzione  delle  città  nel  1379. 

La  distribuzione  delle  città  nel  1379  non  riproduce  fedel- 
mente le  assegnazioni  antecedenti.  P.  es.  Marco  Visconti  negli  anni 
anteriori  ebbe  a  reggere  Brescia,  la  quale  invece  nel  1379  venne 
assegnata  al  quintogenito  Mastino,  ancora  infante.  Oltre  di  ciò 
venne  predisposta  avanti  il  marzo  del  1379,  a  detta  del  Cono; 
ed  ebbe  in  quel  mese  esecuzione  accompagnata  da  una  certa  solen- 
nità, come  attesta,  non  solamente  il  racconto  del  Corio  (i),  ma 

(i)  Il  CoRto,  op.  cit.,  dice  :  •  ciascheduno  di  quelli  con  nobile  comitiva 
"  mandò  ai  suoi  domini  „. 


E   DEI   SUOI   FIGU 


227 


anche  la  lettera,  edita  dal  Verga,  con  là  quale  Carlo  Visconti  par- 
tecipava la  sua  presa  di  possesso  al  conte  di  Savoici,  facendo  men- 
zione della  Corte  che  ivi  lo  aveva  accompagnato  {cum  tota  no- 
stra comitiva  in  Fatma  vigemus).  Finalmente  ci  consta  che  nella 
seconda  metà  di  quelFaimo  medesimo  (16  novembre  1379)  Ber- 
nabò fece  un  testamento,  nel  quale  la  divisione  ^"à.  compiuta  viene 
esplicitamente  confermata,  disponendo  che  i  cinque  maschi  nati  da 
Regina  della  Scala  €sint^  et  esse  debeant,  heredes  et  successores 
in  infrascfiptis  cruitatibus,  tetris^  bonis  et  juribus  eisdem  assi- 
gnatis  vel  assignandis  9,  con  manifesta  allusione  alla  distribuzione 
già  avvenuta,  la  quale  è  riprodotta  nei  successivi  periodi  del  te- 
stamento (i).  Il  testamento  dispone  che  i  cinque  eredi  avranno 
pieno  libero  ed  assoluto  dominio  nelle  terre  che  loro  toccheranno. 

Questo  complesso  di  circostanze  dimostra  che  tra  la  distri- 
buzione del  1379  e  le  antecedenti  assegnazioni  appare,  almeno 
allo  stato  attuale  dei  documenti,  ima  differenza,  I  documenti  po- 
steriori al  marzo  1379  in  cui  i  figli  si  chiamano  luogotenenti,  sono 
di  tale  autorità  che  non  può  sostenersi  che  luogotenenti  non  fos- 
sero ;  non  sarebbe  nemmeno  sostenibile  la  tesi  che  Bernabò  si  sfa- 
gliasse delle  terre  date  ai  figli  ;  ma  la  luogotenenza  dojK)  il  1379 
preparava  evidentemente  anche  la  successione. 

Si  domanda  però  se  questi  luogotenenti  predestinati  alla  suc- 
cessione avevano  più  ampli  f)oteri  di  quel  che  non  avessero  prima 
della  distribuzione  del  1379. 

La  quistione  non  è  nuova.  Parma  essendo  stata  una  delle 
città  più  a  lungo  affidate  ai  figli  di  Bernabò,  discussero  tale  que- 
sito TAffò  ed  il  Pezzana.  Il  primo  opinava  che  i  poteri  concessi 
da  Bernabò  ai  figli  fossero  in  origine  molto  limitati  ;  egli  li  cre- 
deva poco  più  che  esecutori  degli  ordini  paterni,  quasi  magistrati 
esecutivi  nelle  province.  Il  Pezzana  lo  confutava,  adducendo  a  dir 
vero  documenti  notevoli,  fra  cui  un  decreto  del  1366,  in  cui  s: 
vieta  di  pronunciare  i  nomi  delle  fazioni  guelfa,  ghibellina  e  mal- 
traversa,  il  quale  venne  pubblicato  in  Parma  col  nome  di  Ro- 
dolfo Visconti,  non  solo,  ma  anche  con  qualche  clausola  diversa 
da  quelle  che  trovavansi  nel  decreto  di  Bernabò  per  Milano    (2), 

(i)  Trovasi  in  Trivulziana.  Lo  indicò  il  Romano  in  questMrcA.,  XXII  . 
1897,  pp.  21-22;  mi  fornì  questo  estratto  il  cortese  bibliotecario  signor 
Motta. 

(2)  Pezzana,  op.  cit,  I,  &aS^  (testo  dell' Aflfò,  note  del  Pezzana). 

Areh.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Ftsc.  XXXVI.  »  5 


238  SUI    DOMINI   DI  REGINA  DELLA   SCALA 

ciò  che  implicava  che  Rodolfo  venisse  ccHisiderato  come  investito 
anche  della  facoltà  di  l^ferare.  Onde  il  Pezzana  conchiudeva 
che  Bernabò,  e  riserbatosi  il  diritto  di  far  la  guerra  e  la  pace,  il 
supremo  dominio  e  fors'andie  un  titolo  di  superiorità,  nel  resto 
lasciasse  ai  hgli  ogni  facoltà  governativa»  (i).  Ma  è  strano  che 
il  Pezzana  si  trovi  poi  d'accordo  con  l'Affò  quando  questi  afferma 
che  i  poteri  dei  figli  aumentarono  con  l'andar  del  tempo  e  raggiun- 
sero il  massimo  dopo  il  1379  (a).  Se  i  poteri  dei  figli  di  Bernabò 
erano  già  nel  1366  quali  il  Pezzana  li  descrive,  di  che  cosa  mai 
potevano  aumentarsi  senza  intaccare  la  sovranità  di  Bernabò?  Nel 
passo  in  quistione  i  due  storici  di  Parma  adducono,  a  prova  del- 
l'aumentato potere  di  Carlo  Visconti,  il  fatto  che  Bernabò  a  Ro- 
lando Rossi,  che  chiedeva  il  suo  intervento  in  una  causa,  rispose  : 
«  Vadas  ad  Karolum  natum  nostrum,  quod  de  quaestionibus  ext- 
stentibus  in  tetris  natorum  nostrorum  nolumus  nos  intromit- 
tere  »  (3).  Ciò  proverdDbe  che  a  Carlo  Visconti  era  stata  data  piena 
balia  nelle  cose  giudiziarie  ;  ma  le  cose  giudiziarie  erano  d'indole 
essenzialmente  locale  e  quindi  dovettero  essere  le  prime,  a  mio 
credere,  e  non  le  ultime  affidate  alle  cure  dei  luogotenenti  locali  ; 
ed  era  cosa  abbastanza  evidente  che  Bernabò,  se  voleva  che  le  luo- 
gotenenze potessero  funzionare  autorevolmente,  non  doveva  pre- 
starsi a  distrarre  le  cause  e  gli  affari  locali  da  questi  loro  giudici 
ed  amministratori  naturali.  Perciò  Bernabò  diceva  di  non  volere 
occuparsene  ;  non  diceva  di  non  potere. 

Toma  poi  il  dissenso  tra  l'Affò  ed  il  Pezzana,  quando  questo 
secondo  sostiene  che  dal  marzo  1379  Caurlo  Visconti  ebbe  in  Parma 
vera  signorìa;  mentre  l'altro  lo  negava.  La  prova  addotta  dal 
Pezzana  è  che  il  vescovo  di  Parma  in  un  documento  del  5  novem- 
bre 1379,  documento  solenne,  lo  chiama  esplicitamente  signore  di 
Parma  (4).  Non  ignorava  però  il  Pezzana  (come  s'è  detto  in  prin- 
cipio di  questo  scrìtto)  che  il  Visconti  nei  suoi  documenti  diia- 
mava  sé  stesso  luogotenente  e  non  signore  ;  quindi  crede  che,  pur 
essendo  veramente  signore,  per  semplice  riguardo  verso  il  padre 
continuasse  a  chiamarsi  luogotenente.  Ma  qui  si  tratta  di  docu- 
menti officiali,  non  di  rapporti  prìvati  ;  o  Carlo  era  signore  e  così 

(i)  Op.  cit».  I,  83,  nota  105. 

(2)  Op.  cii^  131. 

(3)  V,  Pezzana,  op.  cit,,  I,  131, 

(4)  Pezzana,  op.  ciu  I,  132;  ed  in  «ppend..  p^  58. 


E   DEI   SUOI  FIGLI  229 

si  sarebbe  chiamato  ;  o  non  si  chiamava  così  e  vuol  dire  che  non 
lo  era.  Il  documento  del  vescovo  di  Parma  che  nomina  incidental- 
mente Carlo,  può  essere  stato  scritto  seguendo  l'andazzo  che,  come 
vedemmo,  seguirono  i  cronisti  (i)  ;  ma  i  documenti  della  cancel- 
leria di  Carlo  devono  per  necessità  essere  esatti. 

Se  Tufficio  che  i  figli  e  la  moglie  di  Bernabò  esercitao'ono,  fu, 
come  sembra,  non  già  di  esecutori  ma  di  mandatari  generali, 
non  mi  pare  che  la  ricerca  intomo  ai  limiti  della  loro  autorità  nelle 
viarie  epoche  debba  condursi  con  questo  metodo.  Se  i  figli  erano 
suoi  mandatari,  potevano  far  leggi  (ed  ecco  il  decreto  di  cui  sopra, 
del  1366,  intestato  col  nome  di  Rodolfo  e  diverso  da  quello  di 
Bernabò  relativo  a  Milano)  ;  e  viceversa  Bernabò  poteva  fare  que- 
gli atti  d'autorità  che  voleva,  nelle  terre  a  loro  soggette.  Infatti 
nel  dicembre  del  1364  i  figli  di  Bernabò  danno  ordini  relativa- 
mente alla  sindacazione  degli  officiali  e  il  25  agosto  dell'anno  suc- 
cessivo Bernabò  manda  un  suo  decreto  relativo  alle  immunità  esi- 
stenti nelle  terre  del  Parmigiano  (2)  ;  è  un  intrammezzarsi  di  atti 
(come  già  s'è  notato)  che  sembrano  provare  ora  una  cosa  ed  ora 
un'altra,  perchè  legalmente  le  attribuzioni  sono  le  stesse  e  limiti 
prestabiliti  non  ne  esistono.  Ma  saranno  state  le  stesse  nel  tatto  ? 
In  primo  luogo  il  mandatario  deve  rispettare  il  suo  mandante  e 
gli  interessi  di  lui  ;  in  secondo  luogo  l'ossequio  filiale,  l'uso,  il 
buonsenso,  accordi  presi  od  ordini  dati  secondo  le  circostanze  pe- 
culiari (e  che  per  la  loro  naturale  variabilità  sfuggono  al  nostro 
controllo),  avranno  contenuto  entro  limiti  più  o  meno  lati  le  fa- 
coltà di  Regina  e  dei  suoi  figli.  Ma  non  dimentichiamoci  mai  che 
per  testimonianza  esplicita  del  documento  lonatense  la  persona 
del  padre  s'era  legalmente  trasferita  nei  figli  anche  prima  del  1379. 

Quanto  invece  all'esercizio  effettivo  dei  loro  ampli  poteri,  è 
ovvio  che  i  figli  di  Bernabò  non  possono  essersi  continuamente 
trovati  nelle  stesse  condizioni;  perchè  nel  1364  erano  giovanis- 
simi, mentre  nel  1379  erano  giovani  fiorenti  e  nel  1385,  quando 
cadde  la  loro  signoria,  i  superstiti  (poiché  Marco  era  morto)  erano 
tutti,  eccettuato  il  quintogenito  Mastino,  in  grado  di  dare  aiuto 
efficace  al  padre.  Non  credo  che  si  sappia  in  che  modo  si  provvide 

(i)  Per  meglio  giustificare  la  possibilità  di  consimili  errori  ricordiamo 
Tesempio  tratto  dal  Marquart,  op.  cit.,  II,  573,  citato  nella  nota  a 
della  p.  225. 

(2)  Pezzana,  op.  cit.,  I,  82,  nota  103. 


330  SUI  DOMINI  DI  REGINA  DELLA  SCALA 

nei  primi  aumi  airesercizio  della  loro  evidentemente  nominale  au- 
torità ;  più  tardo  essi  la  esercitarono  di  fatto,  e  si  può  andie  sup- 
porre che  Bernabò  glie  ne  lasciasse  esercitare  una  parte  sempre  più 
grande  e  che  nel  1379,  mandandoli  solennemente  alle  loro  ótà, 
intendesse  in  certo  modo  di  lasciarli  finalmente  liberi  d'esercitarla 
in  tutta  la  sua  ampiezza. 

IIL 
Sui  beni  di  Regina  della  Scala. 

Nella  divisione  del  marzo  1379  Regina  della  Scala  è  menzio- 
nata solamente  per  la  reggenza  che  doveva  tenere  a  Brescia,  a 
nome  del  minorenne  Mastino.  Reggio  d' Emilia,  su  cui  essa  eser- 
citava, &n  dal  1373,  i  poteri  di  cui  sopra  s'è  parlato,  non  è  meo- 
zionata  in  quella  divisione  ;  poiché  Regina  continuò  ad  eseratanà 
gli  stessi  poteri  fino  alla  sua  morte  (i). 

L'autorità  di  Regina  non  si  limitò  ai  due  soli  comuni  di  Bie- 
scia  e  Reggio  ;  è  certo  che  essa  esercitò  diritti  di  diverso  genone 
su  molti  luoghi  e  terre  dello  Stato.  Quali  fossero  ed  a  che  titolo^ 
non  è  sempre  facile  di  determinare  bene  ;  tanta  è  la  confusione 
delle  notizie. 

Per  maggior  chiarezza  del  nostro  esame  critico  sarà  bene  per- 
mettere che  dai  documenti  viscontei  e  da  quanto  finora  siamo  an- 


(i)  Non  risulta  a  chi  fosse  data  Reggio,  quando  Regina  morì.  G)nsu 
che  il  podestà  Guidone  da  Settimo  dei  Visconti   (1384-85)    si   chiamava 
podestà  per  Bernabò  Visconti  ;  ma  ciò  prova  poco  (Arch.  di  Reggio  L, 
Dazi,    Gabelle,   ecc.  Froiocollo  del  notaio   Lanzi   1385    e.   88   t,).   Scar- 
seggiano molto  i  documenti  di  questo  periodo  nell'Arch.  reggiano.  Fra 
questi  ve  n'è  uno  il  quale  può  trarre  in  inganno,  ed  è  il  documento  di 
Lodovico  Visconti,  luogotenente  in  Lodi  e  Cremona,  già  sopra  menzio- 
nato, che  stampo  sotto  il  doc.  III.  Con  esso  Lodovico  Visconti  concede 
grazia  ad  un  prete  reggiano,  suo  cappellano;  ma  ciò  non  deve  far  credere 
che  Lodovico  avesse  il  governo  di  Reggio.  Come  "  familiare  ,  di  corte  il 
prete  in  questione  aveva  diritto  di  godere  privilegi    speciali,  e  quindi 
fece  trascrivere  dal  magistrato  delle   Entrate  (ne'  cui  libri  si  trova  la 
copia)  il  documento  che  attestava  tale  sua  qualità  in  Reggio  dove,  come 
nativo,  avrebbe  dovuto  pagare  le  tasse.  —  Quando  Carlo  Visconti  fuggi, 
dopo  la  cattura  del   padre,  venne  a  Reggio  {Chron,    reg.  in  R,  L  i 
XVIII,  92,  C)  e  vuotò  le  casse  pubbliche  (Arch.  di  Reggio  E.  Minuta  di  let- 
tera nel  Carteggio  del  Regg.  isSft).  Che  avesse  qui  autorità  particolare? 


E   DEI   SUOI  FIGLI  23 1 

dati  esponendo,  risulta  che  le  persone  di  famiglia  di  un  signore 
visconteo  potevano  avere 

terre  in  pieno  dominio, 

tenre  iji  cui  rappresentavano  il  signore, 

beni  privati  con  o  senza  diritti  feudali,  immunità,  ecc. 
Quindi  i  loro  atti  potevano  essere  di  dominio  o  di  rappresentanza  ; 
ai  quali  s'aggiungono  atti  del  genere  di  quelli  collettivi  di  Bernabò 
e  Regina,  in  cui,  sebbene  concorrano  più  parsone,  evidentemente 
una  ha  un'autorità  propria  e  l'altra  derivata.  Avvertasi  però  che, 
anche  dove  troviamo  atti  di  pieno  dominio,  non  credo  si  possa 
supporre  che  il  signore  che  aveva  concesso  quel  dominio,  inten- 
desse di  renderlo  proprio  indipendente. 

Non  risulta  che  atti  di  pieno  dominio  Regina  della  Scala  ne 
compisse  in  alcuno  dei  grandi  comuni  soggetti  a  Bernabò  :  la  sua 
autorità  in  Brescia  ed  in  Reggio  d' Emilia  si  riduce  al  solito  ufficio 
di  rappresentanza  (i).  Ma  è  certo  che  essa  ebbe  anche,  ne'  contadi, 
terre  sue  proprie,  da  lei  ricevute  per  donazione  oppure  acquistate 
col  suo  denaro  dotale  o  con  altro  denaro  ;  e  che  sopra  queste  terre 
esercitò  a  volte  amplissima  autorità.  Il  Corio,  fonte  principale 
(purtroppo!)  delle  informazioni  in  proposito,  ci  fa  sapere  le  più 
strane  e  contradditorie  cose  del  mondo  ;  mentre  alcuni  documenti 
vengono  a  dar  torto  al  Corio  anche  là  dove  questi  non  si  contrad- 
dice da  sé. 

Nel  1380,  il  21  dicembre,  secondo  il  Corio,  Bernabò  avrebbe 
donato  a  Regina  Roccaf ranca  (nel  Bresciano?),  Cassano  d'Adda, 
Pizzobellasio  (Pizabrasa  in  pieve  di  Locate,  secondo  il  Giulini), 
Cugnolo,  Sarzana,  e  T aitano  (Tabiano)  nel  territorio  parmense  (2). 
Ma,  quanto  a  Sarzana,  un  documento  autentico  edito  dall'Osio, 
prova  che  fu  invece  donata  10  anni  prima  (3)  ;  quanto  a  Tabiano, 
il  Corio  medesimo  aveva  detto  altrove  che  Regina  ne  era  entrata 
in  possesso  fino  dal  1374  (4)  ;  e  quanto  a  Roccaf  ranca  bresciana 
(presso  l'Oglio),  vedremo  che  un  documento  dimostra  che  Regina 
la  possedette  dal  1366  ed  anche  prima  (5). 

(i)  Ebbe  ragione  il  Corio  (op.  cit.,  a.  1384  p.  505)  quando,  nel  par- 
lare di  lei,  disse:  *  questa  in  gran  parte  resse  Timpero  del  suo 
marito  „  evitando  d'usare  la  parola  possedette  ed  usando  invece  la 
parola  resse. 

(2)  Corio,  op.  cit.,  p.  500. 

(3)  Osto,  op.  cit.,  I,  145,  n.  LXXX. 

(4)  CoRio,  op.  cit.,  p.  487. 

(5)  Cfr.  Odoricì.  Storie  bresciane,  VII,  200  e  il  nostro  doc.  I. 


33^  SUI    DOMINI    DI  REGINA    DELLA   SCALA 

Sotto  Tanno  1383  il  Corio  poi  c'informa  che  Regina  avrebbe 
comprate  dal  marito  coi  denari  della  sua  dote  e  pel  prezzo  di  fio- 
rini 250.000  d*oro  il  castello  di  Cassano,  Set  tesano  ^  il  vicariato  di 
Cugnolo,  Metono,  Pizzobellasio,  Roccafranca,  Castel  S.  Angelo, 
la  Somalia,  Monte  Oldrado,  Castelnuovo,  Roncalia  lodigiana,fcon 
tutte  le  ragioni  delle  possessioni  et  acque  in  quello  di  Brescia  le 
quali  furono  già  de  i  ribelli  et  tenute  per  Simone  da  Lisca •,  più 
Sarzana,  Avenza,  S.  Stefano  e  molte  altre  terre  in  quel  di  Reg- 
gio (i).  Notizia  questa  veramente  stravagantissima,  secondo  la 
quale  Regina,  donna  di  ben  molta  esperienza,  avrebbe  impiegati  i 
denari  della  sua  dote  nel  comperare  dal  marito  le  terre  che  il 
marito  medesimo  molt'anni  prima  le  aveva  donate,  a  detta,  come 
s'è  veduto,  del  Corio  medesimo  (quali  erano  Sarzana,  Roccafranca, 
Pizzobellasio  ecc.)  o  per  testimonianza  di  documenti  irrefraga- 
bili (Avenza,  Carrara)  (2).  Alcune  delle  terre  poi  che  figurano  com- 
perate nel  1383,  Regina  le  aveva  bensì  comperate,  ma  parecchi 
anni  prima  e  da  altri  ;  e  ciò  risulta  da  documenti  dello  stesso  Ber- 
nabò Visconti  di  cui  dovremo  discorrere  più  avanti  ed  uno  dei 
quali  si  troverà  nell'appendice  n.  i.  Queste  terre  erano  quelle  si- 
tuate lungo  rOglio,  ed  i  diritti  sulle  acque  di  questo  fiume  appar- 
tenevano a  Regina  per  gratuito  dono  del  marito  dal  1366.  Aggiun- 
gasi poi  che  poche  pagine  prima,  sotto  l'anno  1379,  il  Corio  narra 
pure  d'un'allra  donazione  fatta  da  Bernabò  a  Regina,  la  quale 
comprende  alcune  terre  non  menzionate  ed  altre  menzionate  fra 
quelle  che  poi  dice  comperate  da  Regina  ;  e  cioè  la  Somalia,  Ca- 
stelnovo,  Roncalia,  Monte  Oldrado  e  S.  Angelo  (3).  Cosicché,  de- 
traendo dalle  terre  che  il  Corio  dice  comperate  nel  1383  tutte  quelle 
di  cui  Regina  era  in  possesso  anche  prima,  non  si  vede  più  quali 
siano  i  nuovi  acquisti  da  lei  fatti  nel  1383  degni  della  vistosissima 
somma  di  250.000  fiorini  d'oro. 

Rimettere  un  poco  d'ordine,  col  solo  aiuto  di  un  esame  critico 
dei  passi  del  Corio,  in  questo  garbuglio  è  cosa  quasi  impossi- 
bile (4).  11  Corio  però  (è  cosa  nota)  lavorava  sopra  documenti  at- 

(i)  Curio,  op.  cit,  p.  503. 

(2)  Osio,  op.  cit,  doc.  cit.,  n.  LXXX. 

(3)  Corio,  op.  cit,  p.  449. 

(4)  Anche  il  Giulini  s*è  limitato  a  registrare  le  notizie  del  Corio  e 
ad  identificare  alcuni  luoghi.  All'anno  1379  (lib.  LXXII,  p.  315)  ed  al- 
l'anno 1383  (Uh.  LXXII,  p.  352)  registra  i  due  atti  contradditori  senza 
nemmeno  rilevare  la  contraddizione  tra  la  donazione  e  la  vendita- 


E  DEI  SUOI  FIGU  333 

tendibili.  9d>beiie  ne  facesse  un  uso  pessimo  ;  quindi  se  le  sue 
notizie  sono  confuse  e  frequenti  gli  equivoci,  non  si  può  tuttavia 
accusarlo  facilmente  di  dar  notizie  infondate.  Ai  tempi  di  Ber- 
nabò non  era  cosa  rara  che  le  donazioni  come  altri  atti,  quali  le 
infeudazioni,  i  privilegi  d'immunità,  ecc,  venissero  ripetute  più 
volte  a  titolo  di  conferma.  Il  Corio  può  aver  scambiate  le  conferme 
per  nuove  donazioni,  non  aver  saputo  distinguere  bene  in  un  me- 
desimo atto  le  diverse  stipulazioni  ;  quindi  le  sue  notizie  ci  pre- 
sentano un  garbuglio  cronologico  che  i  soli  documenti  originali 
potrebbero  dipanare  compiutamente,  ma  ci  offrono  un  complesso  di 
nomi  di  terre  che,  essendo  ripetuti  con  insistenza,  o  non  avendosi 
ragioni  per  escluderli,  possono  tenersi  per  sicuri  o  quasi  sicuri 
(malgrado  la  relativa  difi^oltà  d*identificare  qualcheduno)(i).  Que- 
sti nomi  sarebbero  quelli  d'alcuni  luoghi  di  Lunigiana  (2),  quelli 
della  Somalia,  Castclnuovo,  Roncalia  Lodigiana,  Maiano,  Monte 
Oldrado,  S.  Angelo  (o  Castel  S.  Angelo)  e  Merlino  nel  Lodigiano, 
Roccafranca,  Cassano  d'Adda,  Pizzobellasio,  Cugnolo  col  suo  vi- 
cariato, Tabiano  nel  Parmigiano,  Settezano,  Metono,  Salvanecio, 
le  ragioni  e  possessioni  d'acque  nel  Bresciano,  e  terre  su  quel  di 
Reggio  (3). 

Però  a  queste  notizie  poco  ben  definite  siamo  in  grado  d'ag- 
giungerne alcune  assai  più  precise,  in  grazia  di  alcuni  doctmienti 
che  si  conservano  nella  Biblioteca  e  nei  due  Archivi  di  Brescia, 
relativi  ai  possedimenti  che  Regina  ebbe  in  quel  territorio  ed  in 
qualcuno  dei  contermini.  Di  questi  documenti  ebbe  notizia  lo  sto- 
rico di  Brescia,  Odorici  ;  il  quale  però  ne  diede  cenno  in  modo, 
come  vedremo,  più  adatto  a  fuorviare  che  ad  illuminare  gli  stu- 
diosi (4). 

Il  12  febbraio  1366  Bernabò  Visconti,  considerando  che  non 

(1)  Per  identificare  un  certo  numero  di  codesti  luoghi,  d'alcuni  de 
quali  oggi  il  nome  è  fuori  d'uso,  vedansi  le  note  del  citato  articolo  del- 
TAgnelli,   Vertenze,  ecc. 

(2)  Vedere  l'enumerazione  nel  documento  delFOsio. 

(3)  La  maggior  parte  di  questi  nomi  li  abbiamo  incontrati  più  sopra. 
Quanto  ai  nuovi,  Maiano  e  Merlino  risultano  dal  Corio,  op,  cit,a.  1379. 
p.  499.  Riguardo  a  S.  Angelo,  abbiamo  anche  il  sopraccennato  atto  di 
grazia  di  Bernabò  e  Regina  a  prò'  degli  Schiaffinatì.  Osio,  op.  cit.,  I,  234. 

(4)  Odorici,  op.  cit.,  VII,  aoo-201,  212-213.  I  documenti  dovevano 
pubblicarsi  per  intero  nel  Codice  diplomatico,  che  poi  V  Odorici  inter- 
ruppe a  metà.  Pubblico  in  appendice  il  principale  ed  un  estratto  d'un 
altro;  e  dei  residui  si  farà  cenno  nelle  note. 


234  ^^^    DOMINI   DI  REGINA   DELLA    SCALA 

poche  terre,  situate  sui  confini  tra  il  Bresciano  e  le  contermini  giu- 
risdizioni, lungo  il  fiume  Oglio,  erano  ridotte  per  le  guerre  e  ru- 
berie in  condizioni  tali  che  nessuno  poteva  abitarle  e  nemmeno 
passarvi  senza  pericolo  grave,  e  che  nulla  se  ne  ritraeva  ;  conside- 
rando pure  che  sua  moglie  Regina  aveva  acquistato  anteriormente 
non  poche  possessioni  in  diversi  luoghi  dei  territori  medesimi,  volle 
13rovvedere  al  bene  di  quelle  terre  e  faxe  insieme  grazia  speciale 
a  Regina,  trasmettendole  i  diritti  che  a  lui  spettavano,  tanto  a  ti- 
tolo d'allodio,  quanto  di  signoria  e  di  vicariato  imperiale^  sui  pre- 
detti territori  e  sulle  rive  delFOglio  da  Cividate  (i)  fino  a  Fio- 
rano ed  a  Roccaf ranca  :  e  questa  trasmissione  fece  con  decreto 
solenne  (2)  Dieci  anni  dopo,  cioè  il  9  dicembre  1376,  Regina  tro- 
vava necessario  di  richiamare  il  decreto  del  1366  alla  memoria 
degli  officiali,  che  non  lo  rispettavano  (e  qui  si  vede,  sia  detto  di 
sfuggita,  che  per  quei  tempi  non  bisogna  commisurare  l'effetto  pra- 
tico con  l'ampiezza  delle  formole  di  concessione)  ;  e  quindi  con 
suo  proprio  diploma  solennemente  affermava  i  poteri  speciali  af- 
fidatile dal  marito  sopra  Calcio,  Urago  e  Pumenengo,  in  conse- 
guenza dei  quali  queste  terre  erano  immuni  dalla  giurisdizione  di 
qualsiasi  altro  ufficiale  di  Bernabò  (3).  Il  9  ottobre  1380  Bernabò 
Visconti,  avuta  notizia  (dice  Tatto)  che  Regina  aveva  acquistate 
ancora  de  eius  pecunia  et  ad  eam  pertinente  possessioni  e  beni  in 
Oriano  ed  altre  terre  in  territorio  di  Brescia  (sempre  nella  Bre- 
sciana bassa,  come  le  precedenti),  in  Alzano  superiore  (territorio 
di  Bergamo),  Calcio,  Pumenengo  e  Fiorano  sul  distretto  di  Cre- 
mona, in  Gazano  sul  territorio  di  Milano  ed  in  Milano  stessa,  ed 
altri  beni  ancora  intendeva  di  comprare  col  proprio  denaro,  rico- 
nosce tutti  codesti  beni  per  libera  proprietà  di  Regina,  rinunciando 
a  qualunque  diritto  gli  Statuti  milanesi  lasciassero  al  marito  sui 
beni  della  consorte  (4).  Però  l'anno  medesimo  Regina,  dopo  aver 
sp)eso  somme  piuttosto  considerevoli  per  migliorar  le  terre  a  lei 
affidale,  senza  poterle  ricuperare  (5).  faceva  cessione  di  una  parte 


(i)  Cividate  "  in   piano  „,   s'intende,  e   non    Cividate   «  in    Val  Ca- 
monica  „. 

f2)  V.  dee.  I. 

(3)  V.  dee.  II. 

(4)  Arch.  di  Stato  di  Brescia,  Territorio^  Registrum  Carbonij,  fol.  1 1 

(5)  Vi  è  traccia  del  fatto    nel  documento   del    succitato  Registrum 
Carbonij,  e.  2  r. 


J 


E   DEI   SUOI   PIGLI  335 

di  esse  a  Prevosto  da  Martinengo  (i)  e  d'un  altra  parte  faceva  do- 
nazione a  Giovannolo  da  Casate,  personaggio  molto  considerato 
nelle  due  corti  tìi  Bernabò  e  di  Giangaleazzo  (2).  In  quest'ultima 
donazione  cedeva  Regina  i  diritti  che  essa  godeva  sulle  terre 
donate  ;  diritti  molto  più  limitati  di  quelli  che  aveva  su  le  altre 
sue  terre  (3),  perchè  le  possessioni  cedute  al  Casate  erano  tra  quelle 
acquistate  da  Regina  dopo  Tanno  1 366  e  ad  esse  non  si  era  estesa 
l'immunità,  eccezionalmente  ampia,  concessa  da  Bernabò  nel  1366 
per  cause  eccezionali  a  quei  possedimenti  che  Regina  aveva  al- 
lora nelle  terre  desolate  delTOglio.  Più  tardi  però  anche  Gio- 
vannolo cedette  questi  beni  ai  Martinengo,  i  quali  li  riunirono  a 
quelli  acquistati  direttamente  da  Regina  e  cercarono  di  estendere 
le  immunità  parziali  a  tutto  questo  complesso  di  beni,  che  era 
cosi  vasto  da  fonnare  una  specie  di  piccolo  principato  che  sten- 
devasi  sulle  due  rive  dell'Oglio  nel  Cremonese,  nel  Bresciano,  nel 
Bergamasco  per  molte  diecine  di  chilometri  (4).  Le  pretese  dei 
Martinengo,  essendo  evidentemente  assai,  dannose  ai  vicini  co- 
muni ed  allo  Stato,  questi  fecero  del  loro  meglio  per  opporvisi,  e 
le  cause,  nelle  quali  fu  sempre  immischiato  il  nome  di  Regina  e 
furono  discussi  i  documenti,  di  cui  parliamo,  si  protrassero  fino 
alla  metà  del  secolo  XVII  (5). 

Dal  complesso  di  questi  documenti  si  deduce  in  primo  luogo 
la  lista  seguente,  che  può  presumersi  molto  esatta,  dei  beni  di 
Regina  siti  sul  Bresciano  e  territori  contermini  : 

nel  1366  :  Roccafranca,  Urago  d'Oglio  ;  terre  site  in  Cal- 
dana superiori  a  Fossato  pergamasco  versus  montent;  terre  in 
Caldana  inferiori,  Pumenengo,  Gazolo,  Fiorano  (6),  Galignano, 
ogni  diritto  sull'Oglio  da  Cividate  in  piano  fino  a  Roccafranca  ; 
più  il  governo  di  Rudiano  e  del  resto  del  territorio  di  Calcio  : 

nel  1380:   le  predette  terre  più  altri  beni  in  Oriano,  Castel- 

(i)  ODORicf,  op.  cit,  VII,  212. 

(2)  Cfr.  p.  es.  GiULiNi,  op.  cit.,  a.  1381  e  1382,  lib.  LXXII,  pp.  341  e  346. 

(3)  1380,  novembre,  14.  In  copia  nel  cit.  Registrum  Carbonij\  ce.  i-2- 

(4)  Una  piccola  parte  di  questi  beni  è  valutata  in  uno  degli  atti  che 
li  riguardano,  per  la  estensione  di  2418  J>iò  (Il  piò  z=  are  32,55).  Regi- 
strum Caròonij  di,  ce  6  e  sgg.,  confermato  parzialmente  da  un  doc.  edito 
in  Mazzucchelli,  Raccolta  di  privilegi  concernenti  la  città  e  provincia  di 
Brescia,  Brescia,  1732,  p.  437. 

(5)  V.  il  Registrum  Carbonij  ed  il  Mazzucchelli,  op.  cit.,  pp.  256-437. 

(6)  È  un  luogo  di  non    facile   identificazione,   perchè  i  Fiorano  più 
conosciuti  distano  troppo  dall'Oglio, 


236  SUI    DOMINI   DI   REGINA   DELLA   SCALA 

letto,  Monticelli  (o  le  Mottelle?  [i]),  Paderaello,  Quinzano  ed 
Urago,  tutti  in  territorio  di  Brescia  :  in  Alzano  superiore  in  ter- 
ritorio di  Bergamo  ;  in  Calcio,  Pumenengo  e  Fiorano,  distretto 
di  Cremona,  in  Gazano,  territorio  di  Milano,  ed  in  Milano  mede- 
sima. Ai  beni  di  Quinzano  andava  unito  Mezulum  cioè  la  cascina 
Mezzullo  presso  TOglio  (2).  Sono  poi  da  aggiungere  i  beni  di 
Pedergnaga  (3). 

Qui  non  si  può  proceder  oltre  a  studiare  più  intimamente  il 
fatto  di  cui  abbiamo  dati  i  particolari,  essendo  indispensabile  una 
disgressione  sopra  un  dubbio  non  indifferente.  Una  vecchia  tra- 
dizione voleva  che  fin  dal  1348  (e  quindi  due  anni  prima  del  ma- 
trimonio con  Bernabò  Visconti)  Regina  della  Scala  esercitasse  do- 
minio personale  nella  Riviera  di  Salò  sul  lago  di  Garda.  L'ultimo 
dotto  storico  della  Riviera  ha  dimostrato  che  la  tradizione  non 
ha  fondamento  e  che  la  Riviera  passò  sotto  il  dominio  dei  Vi- 
sconti nel  1351  in  modo  e  per  ragioni  finora  sconosciute  (4).  Però 
gli  atti  di  padronanza  da  Regina  compiuti,  durante  la  guerra 
contro  gli  Scaligeri,  fra  il  1377  ed  il  1378,  nella  Riviera  di  Salò 
fanno  supporre  al  Bettoni  cKe  Bernabò  avesse  infeudata  o  ceduta 
allora  la  Riviera  alla  moglie  (5).  Noi  abbiamo  già  veduto  però 
che  nessuna  infeudazione  o  cessione  fu  necessaria  perchè  Regina 
esercitasse  in  diverse  terre  del  marito,  come  Brescia  e  Reggio, 
amplissimi  poteri  ;  nel  caso  speciale  poi  è  da  notarsi  che  R^^ina 
venne  nel  Bresciano  e  compì  atti  di  governo  nella  Riviera  in  tempo 
di  guerra,  quand'era  anche  naturale  che  i  suoi  poteri  fossero  più 
ampli  del  solito,  come  si  conviene  a  chi  dirige  gli  affari  sul  teatro 
della  guerra  ;  ciò  che  però  non  vuol  dire  che  essa  avesse  la  si- 
gnoria della  Riviera.  Osserx^eremo  finalmente  che  nella  distri- 
buzione delle  città,  nel  1379,  la  Riviera  di  Salò  venne  assegnata 

(i)  I  documenti  del  Registrum  Carhonij  danno  ora  la  lezione  Mon- 
ticelli, ora  la  lezione  Mottelle.  Vi  sono  due  Monticelli,  uno  presso  Pon- 
tevico  (ci re.  di  Verolanuova)  e  Taltro  detto  Monticello  d'  Urago  (Chiari). 
Le  Mottelle  si  trovano  invece  verso  Pedergnaga  ed  Orìano  (Chiari). 

(2)  Registrum  Carboni],  e.  6  e  sgg. 

(3)  Pedergnaga  ed  Orlano  sono  menzionati  nel  privilegio  che  Gio- 
vannolo  da  Casate  ottenne  da  Giangaleazzo  Visconti,  concernente  i  beni 
donatigli  da  Regina  della  Scala.  Registrum  Carbonij,  e.  73. 

(4)  Bettoni,  Storia  della  Riviera  di  Salò,  Brescia,  1880,  voi.  H, 
pp.  47-50. 

(5)  BETroNi,  op.  cit,  If,  56-60. 


E   DEI   SUOI   FIGLI  337 

a  Mastino,  quintogenito  di  Bernabò,  e  che  il  testamento  conferma 
rassegnazione  ;  ciò  che  rende  ancor  più  difficile  d*ammettere  che 
due  anni  prima  Bernabò  ne  avesse  già  disposto  in  favore  della 
madre,  dandogliela  in  feudo  od  in  piena  signoria.  Conchiudiamo 
dunque  che  anche  la  signoria  di  Regina  in  Riviera  nel  1377-78, 
ammessa  dal  Bettoni,  è  molto  dubbia. 

Tornando  ora  ai  fatti,  di  cui  i  documenti  sopra  riferiti  ci 
danno  sicura  ed  esatta  notizia,  si  deduce  da  essi  qual  genere  di 
poteri  esercitasse  Regina  nelle  sue  terre  :  proprietaria  privilegiata 
in  alcune,  govematrice  in  altre  (e  ciò  dice  espressamente  per  la 
terra  Bresciana  di  Rudiano  il  documento  del  1366),  era  finalmente 
in  alcune  altre,  in  via  di  straordinaria  eccezione,  proprietaria  con 
delegazione  di  tutti  i  poteri  del  Signore.  Questi  ultimi  beni,  i 
quali  costituiscono  la  massima  parte  delle  terre  menzionate  nel 
documento  del  1366  (di  questi  soli,  si  badi  bene  ;  non  la  massima 
parte  del  patrimonio  di  Regina)  richiamano  particolarmente  la 
nostra  attenzione,  in  primo  luogo  per  quanto  inesatlamente  ne  fu 
detto  dairOdorici,  in  secondo  luogo'  per  il  significato  d'alcune 
delle  notizie  che  abbiamo  intomo  ad  essi. 

L'Odorici  scrive  che  i  tenimenti  che  Regina  aveva  in  Cai- 
ciana,  Urago  e  Roccaf ranca  nel  1366,  le  erano  stati  donati  dal 
marito  (i)  ;  ma  questo  è  un  error  grave,  perchè  il  documento  prova 
che  invece  erano  stati  diversamente  acquistati.  Dice  ancora  l'Odo- 
rici (2)  che  Bernabò  fece  cessione  di  Urago,  ecc  ;  il  che,  nella 
forma  in  cui  s'esprime  l'Odorici,  è  falso,  perchè  Bernabò  cedette 
i  diritti  di  giurisdizione  su  terre  già  possedute  da  Regina  (fra 
le  quali  era  Urago)  e  vi  aggiunse  solamente  i  diritti  di  giurisdi- 
zione su  alcune  terre  contermini,  perchè  Regina  esercitasse  senz'im- 
barazzi i  diritti  concessile  sopra  un  territorio  senz'interruzione,  le 
interruzioni  essendo  causa  di  conflitti  d'autorità.  Finalmente  l'Odo- 
rici afferma  che  l'atto  di  Regina  in  data  del  dicembre  1376  t  eso- 
nerava» Urago  dalla  dipendenza  del  podestà  di  Brescia  (3); 
mentre  invece  l'esonero  datava  dal  1 366  e  lo  concesse  il  marito,  e 
non  riguardava  solamente  Urago. 

Nel  Bresciano  le  cose  andarono  molto  diversamente  da  quanto 
lo  storico  di  Brescia  aveva  creduto.  Regina  acquistò  successiva- 

(i)  Odorici,  op.  cit.;  VII,  200. 
{2)  Odorici,  op.  cit.,  VII,  213. 

(3)    pDORia,   op.   cit.,    VII,  21^. 


238  SUI  DOMINI   DI   REGINA   DELLA   SCALA 

mente  con  denaro  proprio,  in  distretti  e  giurisdizioni  diverse  ma 
contermini,  una  quantità  considerevolissima  di  terre,  tra  le  più 
desolate  e  deprezzate.  Bernabò,  legittimando  tali  acquisti,  aedette 
opportuno  di  raccogliere  tutta  la  riviera  deirOglio,  bisognosa  di 
una  mano  forte  ed  esperta  che  ne  rialzasse  le  sorti,  sotto  il  go- 
verno di  Regina,  che  già  era  immensamente  interessata  a  far  rifio- 
rire nel  suo  stesso  vantaggio  la  desolata  regione.  Non  grassi  appan- 
naggi venivano  donati  ;  ma  territori,  e  da  cui  (dice  testualmente 
il  diploma)  non  si  cavava  nulla»,  venivano  riuniti  ed  affidati  ad 
un  regime  eccezionale  sotto  la  direzione  di  codesta  donna  indub- 
biamente operosissima  (i).  E  che  Bernabò  non  mentisse  dicendo 
che  quelle  terre  costavano  sacrifici  più  che  non  portassero  rendite, 
lo  prova  il  fatto  che,  quando  Regina  cedette  alcune  di  codeste 
possessioni  al  da-Casate  dovette  riservarsi  espressamente  nell'atto 
di  donazione  il  credito  di  700  fiorini  da  lei  dati  t  in  principio  vel 
circa  prò  adiutorio  laborerij  dictarum  possessionum  »  (2).  E'  dun- 
que evidente  che  l'investitura  data  da  Bernabò  alla  moglie  non 
era  davvero  un  mezzo  di  farle  godere  senz'imbarazzi  laute  rendite  ; 
era  un  espediente  per  veder  di  trame  qualche  cosa.  Notisi  bene  che 
Regina  non  signoreggiava  alcuna  grossa  e  fiorente  borgata,  e  nes- 
sun comune  considerevole  perdeva  per  le  concessioni  fatte  a  lei 
alcuna  delle  migliori  sue  terre.  Accadde  sempre  così?  Furono  cioè 
le  altre  donazioni  egualmente  onerose  e  le  altre  speculazioni  di  Re- 
gina egualmente  difficili?  E'  una  domanda,  a  cui  non  credo  si 
possa  dare  una  risposta  generale  ;  ma  intanto  è  certo  che,  dopo 
l'esempio  addotto,  le  parole  vendita  e  donazione,  che  spesso  ri- 
corrono nel  Corio,  non  devono  produrre  sull'animo  nostro  l'impres- 
sione che  abitualmente  tali  vocaboli  producono  :  ricevere  tm  dono 
e  comperare  non  erano  davvero  sempre  sinonimi  per  Regina  di 
procurarsi  una  rendita  da  godere  tranquillamente. 

Sarebbe  anche  bello  di  sapere  donde  provenivano  i  denari, 
di  cui  Regina  si  valeva  in  quei  suoi  tentativi.  I  documenti  ed  il 
Corio  lo  dicono  denaro  suo  ;  ed  infatti  Regina  aveva  avuto  fio- 
rini 250.000  di  dote  e  400.000  ne  avrebbe  dovuti  ricevere  dai  fra- 
telli, dopo  la  guerra  mossa  loro  da  Bernabò  nell'interesse  della 


(i)  Avvertasi  però  che  FOdorici  non  nega,  quantunque  le  sia  osti- 
lissimo,  alcuni  benefici  di  Regina. 

(2)  Registrum  Carboni j  cit.,  e.  2  r. 


K    DEI   SUOI   FIGLI  339 

moglie,  per  patto  conchiuso  nell'aprile  1379  (i).  Il  Corio  vuole 
x;ome  s'è  visto  che  negli  acquisti  dell'anno  1383  essa  investisse  il 
denaro  dotale  ;  ma  oltre  che  è  un  po'  strano  che  essa  pensasse 
ad  investire  la  dote  solamente  nel  1383,  s'è  già  dimostrato  che 
una  parte  almeno  di  quelle  terre  erano  state  comperate  prima. 
Forse  nel  1 383  Regina  investì  una  parte  del  denaro  pagatole  dai 
fratelli.  Quel  che  importa  si  è  che,  fino  a  prova  contraria,  non 
appare  che  Regina  spendesse  il  denaro  dello  Stato;  ed  è  cosa 
degna  di  nota  in  quei  tempi  e  per  quegli  uomini. 

IV. 
Sui  fini  politici  di  Regina  e  dei  suoi  figli. 

Fino  a  questo  punto  abbiamo  cercato  di  sceverare  dalle  cause 
personali  e  private  degli  atti  di  Bernabò  quelle  ragioni  di  Stato 
che  ci  parvero  indicate  dai  documenti  ;  ma  ci  siamo  occupati  più 
dei  fini  suoi  che  di  quelli  delle  persone  di  famiglia,  di  cui  si 
valeva.  Parlando  però  di  Regina  abbiamo  incominciato,  per  ne- 
cessità di  cose,  ad  accennare  anche  ai  fini  particolari  di  lei  ;  e 
qui  per  ultimo  considereremo  il  nostro  argomento  da  tal  punto 
di  vista. 

Ai  figli  giovinetti  Bernabò  diede,  naturalmente,  per  sua  spon- 
tanea volontà  o  per  suggerimento  di  Regina  ;  i  figli  poi  cresciuti 
in  età  possono  benissimo  aver  caldeggiato  la  distribuzione  delle 
città.  Essi  e  la  madre  indubbiamente  avevano  per  fine  di  assi- 
curare la  successione  futura.  Se  avessero  altri  fini  i  figli,  è  cosa 
che  il  materiale  qui  preso  in  esame  non  permette  di  affermare. 

Regina  invece  sicuramente  fu  mossa  da  molte  cause,  che  non 
tutte  pretendo  di  riassumere,  ma  tra  le  quali  credo  che  fossero,  e 
non  ultime,  le  seguenti. 

La  quistione  della  successione  aveva  per  lei  un  interesse  tutto 
speciale.  Nulla  induce  a  credere  che  essa  volesse  formarsi,  o  un 
principato  suo  personale  a  danno  del  marito,  o  un  principato  au- 
tonomo da  godere  liberamente  in  caso  di  vedovanza.  A  questo 
proposito  non  è  male  di  notare  che,  per  quanto  larghe  fossero  le 
immunità  concesse  da  Bernabò  a  Regina,  i  legisti  non  considera- 
rono quelle  terre  immuni,  da  lei  possedute  nel  Bresciano,  se  non 

(i)  Corio,  op.  cit.,  p.  498. 


940  SUI   DOMINI   DI  REGINA   DELLA   SCALA 

come  un  feudo  (i).  Ma  le  donazioni  di  Bernabò  Finteressavano 
immensamente  come  madre  ;  perchè,  a  quanto  ci  viene  narrato, 
Bernabò  donava  larghissimamente  anche  ai  figli  illegittimi,  di  cui 
aveva  abbondanza.  Non  mi  pare  privo  d'importanza  il  fatto  che, 
quando  Bernabò  donò  a  Regina,  donò  anche  a  qualche  concubina  ; 
e  quando  nel  1379  distribuì  le  città  ai  figli,  ci  vien  detto  che  donò 
altre  terre  agli  illegittimi.  Così  nel  1377  si  registrano  donazioni 
a  Regina  e  nel  medesimo  tempo  donazioni  a  Donnina  de*  Porri, 
e  lo  stesso  fatto  si  ripete  nel  1379  (2).  Uno  storico,  al  quale  non 
fu  ignoto  l'archivio  visconteo  (di  cui  ci  parla  egli  medesimo),  dice 
che  nel  1379  Bernabò  distribuì  le  città  ai  figli  legittimi  tctdm  to- 
tidem  ex  damnato  coitu  susceptis  latifundìa  et  domos  honestosque 
reditus,  donationis  iure  tribuissei^  (3).  Alle  concubine  ed  agli  il- 
legittimi Bernabò  era  affezionatissimo  (4)  ;  ma  Donnina  de*  Poni 
amò  a  tal  s^^o  che,  poco  dopo  la  morte  di  Regina,  o  la  sposò  o 
tutto  dispose  per  sposarla  (5).  Il  contegno  di  Regina  fu  d'una  tol- 
leranza tale  verso  l'infedele  marito  e  la  sua  complice,  che  non  è 
possibile  credere  fosse  suggerita  altro  che  da  im  calcolo  politico 
superiore  alle  ferite  dell'amor  proprio.  Infatti  Regina  giungeva 
al  punto  da  regalare  le  figlie  illegittime  di  Bernabò  che  andavano 
a  marito  :  e  ciò  risulta  da  testimonianze  irrefragabili  (6)  !  Biso- 
gna dire  che  Regina  volesse  con  astuzia,  come  compartecipe  del 
governo  e  come  madre,  non  affrontare  ma  tenere  al  dovuto  segno 
la  forse  molto  ambiziosa  Donnina,  ed  assicurare  contro  la  genero 
sita  sconfinata  del  marito  verso  gli  illegittimi  gli  interessi  dei  figli 
legittimi,  cercando  di  non  perdere  mai  l'ciscendente  che  godeva 
sull'animo  del  marito  ed  approfittandone  per  chiedere  ed  accet- 
tare donazioni  ed  acquistare  terre,  nelle  quali  cessasse  ogni  diritto 
di  Bernabò  di  dare  disposizioni  a  favore  dei  figli  non  legittimi. 
La  disposizione  esplicita  che  certi  beni  passassa*o  agli  eredi  di 

(i)  V.  la  sentenza  del  1687  nel  Mazzucchelu,  op.  cit,  p.  437. 
^2)  GiULiNi,  op.  cit,  a.  1377,  lib.  LXXI.  p.  292;   a.  1379,  lib.  LXXII. 
U)  J<>vii,  Vitae  duodec,  Vicecomit,  in  Bernabò;  v.  Graevii,  Thesaur. 
an/ìgtiìL  iialìc.  III,  par.  I.  col.  317.  Riguardo  airarchivio,  ibid.,  32a 

(4)  AzARio,  op.  cit.,  XVI,  398. 

(5)  Siccome  nel  notissimo  processo  contro  di  lui  riferito  dagli  Ah- 
nales  medioL  è  detto  che  *  ipsam  desponsavit,  nihiloniinus  non  potest 
*  esse  uxor  sua  , ,  si  potrebbe  forse  supporre  che  si  fossero  celebrali 
i  soli  sponsali,  che  allora  erano  ancora  un  atto  di  grande  importanza. 

(6)  Osio,  op.  cit.,  I,  192,  n.  CXXIX. 


E   DEI   SUOI   FIGU  24I 

teiera  forse  superflua,  e  pur  si  trova  nel  decreto  del  febbraio  1366. 
La  dichiarazione  di  Bernabò  che  egli  rinuncia  ad  ogni  diritto  per- 
sonale, concesso  dalla  legge,  su  certi  beni  acquistati  dalla  mo- 
glie (i),  non  pare  priva  di  significato. 

Potrebbe  opporsi  a  questa  ipotesi  un  documento  che  d  ap- 
prende come  Bernabò  Visconti  dopo  la  morte  di  Regina  disponeva 
della  possessione,  varie  volte  sopra  ricordata,  di  Pizzobellasio^ 
col  fame  dono  alla  chiesa  e  canonica  della  Scala  in  Milano  (2)  ; 
ma  è  da  notarsi  che  questi  beni  furono  destinati  a  pio  scopo,  ad 
uso  di  chiesa  fondata  da  Regina  e  forse  per  disposizione  orale 
lasciata  da  lei.  Ad  ogni  modo  i  diritti  dei  figli  di  Regina  anche 
su  questa  possessione  erano  certamente  ben  conosciuti  ;  perchè  dopo 
la  caduta  di  Bernabò  fu  chiesta  la  conferma  della  predetta  do- 
nazione a  prò'  della  chiesa  della  Scala  non  a  Giangaleazzo,  suo 
successore,  ma  alla  moglie  di  lui  Caterina  (3),  figlia  di  Regina 
della  Scala  ed  unica  rappresentante  delle  ragioni  dell'eredità  ma- 
tema,  essendo  gli  altri  figli  di  Regina  in  carcere  od  in  esiglio, 
ed  i  loro  beni  confiscati 

Fra  i  veri  e  propri  motivi  politici,  per  cui  Regina  assunse  vo- 
lontieri  il  governo  od  acquistò  volontieri  la  proprietà  di  certe 
terre,  porrei  i  seguenti,  tutti  conciliabili  fra  di  loro. 

Regina  amava  di  farsi  confidare  le  terre  e  le  città  di  recente 
acquisto  (4),  le  città  e  le  terre  di  confine,  le  terre  più  specialmente 
desolate  dalle  guerre  incessanti.  Poco  dopo  l'axiquisto  di  Reggio, 
che  fu  nel  1371,  Regina  visitava  quella  città  insieme  col  marito; 
ed  il  cronista,  che  fu  testimonio  oculare  del  fatto,  ci  racconta  : 
€D.  Bernabos  cum  eius  uxore  venti  Rhegìum  hora  vigesima  et 
equitavit  circum  muros,  quos  cum  portis  eius  plurimum  admira- 
tus  propter  robur  eius  ;  sed  cum  per  civitatem  equitavit,  valde  con- 
doluit  de  domorum  vastatione  et  magis  eius  uxor.  Cives  illum  ve- 
spere  visitarunt,  quos  benigne  suscepit,  sed  ccdmiratus  est  pauci- 
iatem  kominum,  quod  vix  credere  posset  nist  de  paucitate  perqui- 


sì) Diploma  9  ottobre  1380. 

(2)  GiuuNi,  op.  cit.,  a.  1385,  lib.  LXXII,  pp.  375  e  639. 

(3)  GiULiNi,  op.  cit,  a.  1387,  lib.   LXXIII^  p.   461    (doc.  del  24  mag- 
gio 1387). 

(4)  Sarzana  si  sottomise  a  Bernabò  nel    1369  e   fu   data  a   Regina 

nel  1370  (Osio,  op.  e  doc.  cit.,  n.  LXXX).  Reggio  fu  sottomessa  nel  1371 
ed  afl5data  a  Regina  nel  1373 


242  SUI   DOMINI   DI  REGINA    DELLA    SCALA 

sivisset^  (i).  Non  ignorava  dunque  Regina  le  miserie  di  R^gio 
ed  anzi  (è  notevole  questa  caratteristica  espressione  del" Cronista) 
se  ne  mostrò  ancor  più  rattristata  del  marito.  Vide  la  città  deso- 
lata da  oltre  mezzo  secolo  di  lotte  atrocissime  che  avevano  ridotto 
da  8000  a  soli  700  gli  uomini  atti  alle  armi  (2),  e  reso  impossibile 
per  la  scarsezza  delle  cause  penali  di  pagare  al  podestà  il  quarto 
del  suo  stipendio  coi  proventi  delle  multe,  e  per  il  numero  troppo 
esiguo  dei  dottorati  in  diritto  resa  difficile  la  trattazione  delle  cause 
civili  !  (3)  Questa  è  la  città  di  cui  Regina  assimieva  ramministra- 
zione  nel  1373  ;  ed  abbiamo  veduto  che  non  dissimili,  fors'anche 
peggiori,  erano  le  condizioni  delle  terre  sulFOglio.  Non  siamo  in 
grado  di  offrire  per  Sarzana  cosi  minute  notizie  ;  ma  la  domina- 
zione viscontea  in  Lunigiana  fu  preceduta  da  lotte  non  meno 
lunghe  e  funeste  di  quelle  che  desolarono  il  territorio  e  la  città 
di  Reggio  d*  Emilia  (4)  ;  e  si  può  bene  affermare  che  se  Bernabò 
voleva  offrire  un  migliore  t  spillatico  1  (a  questo  titolo  fu  donata 
Sarzana)  alla  consorte,  non  glie  ne  mancavano  certo  in  Lombar- 
dia! Il  dono  e  Tincarico  di  governare  simili  terre,  piuttosto  die 
un  puro  atto  di  generosità  maritale,  dovettero  essere  una  con- 
seguenza della  parte  importantissima  che  per  la  sua  energia  e  la 
sua  intelligenza  Regina  era  chiconata  ad  esercitare  nelFammini- 
strazione  dello  Stato.  Questa  donna,  che  perfino  marciò  con  un 
esercito  nella  guerra  contro  i  fratelli,  doveva  credersi  ed  es- 
sere creduta  la  persona  di  famiglia  più  adatta  ad  amministrare  le 
terre  difficili. 

Regina  ebbe  poi  in  mira  la  signoria  Scaligera  che  non  voleva 
lasciarsi  sfuggire.  Veramente  i  rapporti  fra  Bernabò  e  gli  Scali- 
geri furono  d'ordinario  abbastanza  buoni  :  tuttavia  una  guerra 
avA'enne  per  la  rivendicazione  di  diritti  della  moglie,  che  furono 
poi  convertiti  nei  ricordati  400,ocx)  fiorini  Al  suo  quintogenito, 
nato  appunto  nel  periodo  delle  contese  vìsconteo-scaligere  (5), 
Regina  impose  il  nome  scaligero  di  Mastino  (caso  unico,  se  non 


(1)  Chron,  reg.  cit,  XVIII  77  C. 

(2>  C/tron,  rfg,  cit.,  70  C. 

l^3^  Arch.  di  Reggo  E.,   Girtri^gio  del  Reggimento,   1386^  agosto  4. 

(4)  CtV.  Repetti,  DisioftiìHo  geografico,  fisico,  storico  della  Toscana. 
to,  V,  184- 185. 

(5)  Sul  controverso  anno  di  nascita  dì   Mastino  v.  <^es^ Archivto, 
XXIX,  pp.  305-400. 


E    DEI   SUOI   FIGLI  243 

erro,  nella  famiglia  Visconti)  ;  e  questi,  fanciul letto  ancora,  venne 
promesso  sposo  ad  una  Scaligera  e  poi  nella  distribuzione  delle 
città  gli  venne  assegnata  Brescia  con  la  Riviera. di  Salò,  vale  a 
dire  il  territorio  più  prossimo  alla  signoria  scaligera,  ponendolo 
sotto  la  tutela  di  Regina.  Naturalmente  il  testamento  del  dicem- 
bre 1379  conferma  questa  assegnazione.  Regina  tenendo  fino  alla 
morte  il  governo  di  Lunigiana,  Reggio,  Brescia  e  Riviera  di  Salò, 
guardava  così  tutta  la  frontiera  orientale  dello  Stato  ;  dell'occi- 
dentale non  pare  che  si  prendesse  cura  diretta  e  tanto  può  essere 
vero,  come  non  vero,  che  proprio  lei  pensasse  (come  afferma  il 
processo  contro  Bernabò)  a  detronizzare  Giangaleazzo.  Certa- 
mente per  Reggio,  Brescia  e  Salò,  e  con  l'aiuto  della  corte  di  Man- 
tova con  cui  attivamente  corrispondeva  (i).  Regina  sorvegliava 
bene  il  giuoco  in  quello  scacchiere  politico  da  cui  dipendevano 
le  sorti  della  signoria  scaligera.  Vincolo  d'unione  tra  le  due  case 
dei  Visconti  e  della  Scala,  com'essa  fu  molte  volte,  nutriva  però 
nell'animo  la  speranza  d'unire  in  uno  dei  suoi  discendenti  tutta  o 
parte  della  signoria  scaligera  con  una  parte  dei  domini  viscontei? 
Questa  politica  a  doppio  taglio  non  sarebbe  disforme  dai  costumi 
dell'epoca  ;  e  lo  stesso  Bernabò,  dopo  il  trattato  del  1379,  seb- 
bene amico  degli  Scaligeri,  non  aveva  abbandonato  il  pensiero  di 
farsi  padrone  di  Verona  e  di  Vicenza  (2).  D'altronde  la  signoria 
di  Bernabò  era  predestinata  ad  andar  divisa  ;  meglio  era  quindi 
(questo  forse  fu  il  concetto  di  Regina)  che  uno  almeno  degli  eredi, 
unendo  Verona  a  Brescia  e  forse  ad  altre  terre,  costituisse  per  sé 
una  signoria  potente  e  ben  situata.  E  l'esecuzione  di  questo  di- 
segno forse  Regina  volle  per  maggior  sicurezza  riservato  a  sé 
stessa  ;  e  perciò  Brescia  venne  assegnata  al  giovinetto  Mastino 
e  la  reggenza  a  lei.  Ma  la  morte  che  la  colse  nel  1384.  venne  a  ren- 
dere inutile  l'avvedimento  dell'operosa  donna. 

Conclusione. 

Così  abbiamo  raccolta  ed  esaminata,  col  metodo  critico  che 
ci  eravamo  proposto,  una  serie,  ben  lungi  sicuramente  dall'essere 
compiuta,  di  notizie  offerteci  da  alcune  fonti  storiche  intomo  ai 

(i)  V.  molti  documenti  delFOsio  appartenenti  a  questi  anni. 

(2)  Cipolla,  Storia  delle  Signorie,  pp.  222-223;  Compendio  della  storia 
di  Verona,  Verona,  1900,  p.  261,  264,  272;  Romano,  //  primo  matrimonio 
di  Lucia  Visconti,  in  (\utst^ Arch,,  XX,  1893,  p.  591. 

Areh   Slor.  Lomb.,  Anno  XX fX.  Fase.  XXXVI.  16 


344  S>^'   DOMINI   DI   REGINA    DELLA   SCALA 

beni  ed  ai  domini  di  Regina  della  Scala  e  dei  suoi  figli.  Volendo 
compendiare  i  risultati  di  carattere  generale  a  cui  siamo  pervenuti, 
credo  che  si  possa  dire  che  il  fatto  ha  dimostrato  con  quanti  av- 
vedimenti si  debba  procedere  prima  di  pronunciarsi  intomo  ai 

Hnmmt    A^Ua    fnmmlin    Hi   npmuVin  •     rhp  U  aiinni    Ai    Remahn  f- 


E   DEI   SUOI    FIGLI  245 

quod  nec  fructus  percipi,  nec  per  partes  predictas  habitari,  nec 
transirì  poterat  in  multis  partibus  absque  gravi  periculo  rerum  et 
personarum  ;  et  quod  illustris  Consors  nostra  domina  Regina  della 
Scalla  quamplurima  bona,  possessiones  et  terras  quesivit  (i),  habet 
et  tenet  et  possidet  in  locis  et  territorijs  et  partibus  Rochefranchae 
et  Uradj  sitorum  in  territorio  Brixiae,  et  in  Caldana  superiori  a 
Fossato  pergamasco  versus  montem  et  in  contratis  Calcianae  infe- 
rioris,  Piumenengi,  Gazolli,  Florani  et  Galegnani,  et  locis  et  partibus, 
et  (sic)  circumstantibus,  et  quatenus  comprehenditur  in  dictis  locis 
et  territorijs  et  partibus  circumstantibus,  et  hoc  cum  omnibus  suis 
juribus  et  pertinentijs  ;  —  volentes  in  praedictis  de  opportuno  re* 
medio  providere,  ac  prefatae  Illustri  consorti  nostrae,  et  cui  ve^ 
quibus  dederit,  vel  concesserit,  gratiam  facere  spetialem  ;  et  prae- 
dicta  et  infradicta  bona  res  vel  jura  cum  omni  jurisdictione  eorura 
ad  praefatam  illustrem  Dominam  dominam  Reginam  et  ejus  suc- 
cessores  pertinere  pieno  jure  ipsas  terras,  loca,  castrum  et  territoria, 
aquas  et  aquaeductus,  fìctationem  (a),  venationem,  pascua  et  flumen 
Olij  cum  rippis  (sic)  ejus  ab  utraque  parte  a  terra  et  territorio  Ci* 
vedati  inclusive  usque  ad  fines  territoriorium  de  Fiorano  et  Roche- 
franchae inclusive  cum  omnibus  eorum  juribus  et  pertinentijs;  — 
eidem  consorti  nostrae  damus,  concedimus  et  traddimus  (sic)  quic- 
quid  ad  nos,  sive  tamquam  nostrum  ahodum,  sive  jure  domina- 
tìonis  (3)  dignitatis  vel  vìcariatus  pertinet,  sive  etiam  ad  aliquas 
civitates  et  terras  vel  loca  nostro  dominio  subiecta  vel  ad  impe- 
rialem  celsitudinem,  cuius  vices  gerimus  in  partibus  istis;  commit- 
tentes  et  concedentes  etiam  in  praedictis  et  super  praedictis,  et 
quolibet  praedictorum,  merum  et  mixtum  imperium  et  gladij  pote- 
statem  et  omnia  regalia,  sive  in  aqua,  sive  in  terra,  quae  ad  nos 
vel  imperium  vel  civitates,  terras,  castra  et  loca  nobis  subiecta  per- 
tinere dinoscuntur;  et  ita  quod  in  eis  possit  per  se  etiam  per  eum 
seu  eos,  cui  vel  quibus  commiserit,  et  etiam  per  substitutos  ab  eis 
vel  altero  eorum,  praedicta  omnia  et  singula  exercere  et  omnia  fa- 
cere  quae  nos  possumus  vel  potuissemus  ante  praesentem  conces- 
sionem;  ac  etiam  in  eis  vel  altero  eorum  statuta  et  ordinamenta 
facere  leges  condere,  penas  datia  pedagia  tollonea  onera  realia 
et  personalia  et  mixta  imponere  et  exigi  facere,  mutare  addere  et 
minuere  prout  eidem  placuerit:  —  Mandantes  insuper  omnibus  ci- 

(i)  Cosi  le  due  copie;  ma  il  senso  e  la   formola  notarile   abituale 
vorrebbero  acquisivif. 

(a)  Cosi  ambedue  le  copie;  ma  congetturerei  pisccUiontm, 
(3)  Gagliardi:  donationìs^  che  non  dà  senso. 


246  SUI    DOMINI    DI   REGINA   DELLA    SCALA 

vitatibus,  terrìs,  castrìs,  locis  et  potestatibus,  officialibus,  communi- 
tatibus  et  singularibus  personis  nostro  dominio  subiectis  quatenus 
de  praedictis  vel  aliquorum  dictorum  per  nos  eidem,  ut  praemittitur, 
concessis,  et  hominibus  et  habitatoribus  aliqualiter  praesentibus  et 
futuris,  se  non  inipediant  nec  intromittere  debeant  sine  praefatae 
Dominae  licentia  spetiali.  Volumus  insuper,  dicimus  et  mandamus 
de  plenitudine  nostrae  potestatis  hanc  nostram  concessionem,  do- 
nationem  et  dispositionem  valere  et  tenere  et  perpetuum  servali 
debere,  etiam  si  (i)  oninis  solemnitas  juris  et  statutonim  interve- 
nisset,  ac  si  foret  legitime  insinuata,  supplentes  etiam  omnera  de- 
fectum  qui  repperirentur  in  praedictis;  et  hoc  etiam  non  obstantibus 
aliquibus  statutis,  provisionibus,  juribus,  rationibus  et  municipalibus 
et  alijs  quibuscumque  in  contrarijs  loquentibus  praesentibus  vel  fu- 
turis ;  quibus  omnibus  et  singulis  ex  certa  scientia  derogamus, 
etiam  si  talia  forent  de  quibus  oporteret  mentionem  facerc  spe- 
tialem  ;  et  volentes  et  decementes  quod  perinde  habeatur  et  dero 
gatum  sit,  ac  si  de  verbo  ad  verbum  facta  foret  mentio  spetialis.  - 
Insuper  committimus  et  concedimus  praefatae  Dominae  gubema- 
tionem  terrae  de  Rudiano  ac  territorijs  eiusdem  et  ressiduum  (sic) 
totius  Plebanatus  Calcij  (2)  ;  et  eidem  concedimus  quod  possit 
vicarios  et  rectores  in  dictis  terrìs  et  eorum  hominibus,  incolis  et 
habitatoribus,  quarum  gubemationem  eidem  concessimus,  constituere 
et  deputare  prout  hactenus  per  nos  solitum  est  constitui  et  deputari; 
et  prout  nos  possumus,  in  praedictis  et  singulis  et  dependentibus 
ab  eis  disponere  et  ordinare.  —  In  quorum  testimonium  praesentes 
fieri  iussimus  et  registrari,  nostrìque  sigilli  munimine  roborari. 

Daf.  Medioiani  anno  mìiitsimo  tercentesinto  sexagesimo  sexto,  die 
xij  febructrij,  quarta  indictione. 

Segue  rautenticazione  della  copia  per  Benedetto  Alzano  notaio  e 
1*  indicazione  che  Tatto  trovavasi  nel  Uber  priviiegiorum  et  exemptionum 
ol.  88  t. 

11.  —  137^*  dtcanbre  9.  Milano. 

Diploma  di  Reglna  della  Scala  a  favore  di  Calcio,  Urago 
e  pumenengo  (3). 

(Omissis),  Cum  in  dictis  nostris  terris  habeamus  vicarium  no- 
strum habentem  merum  et  mixtum  imperium,  sub  cuius  regimine  et 

(i)  11  senso  vorrebbe  come  se^  non  già  quantunque, 
(2)  Gagliardi  :  resstduum  in  territorio  Cateti» 

^3)  Di  questo  docuniento,  che  rechiamo  solo  in  parte,  esistono  due 
copie,  come  del  precedente,  negli  stessi  luoghi. 


E   DEI   SUOI  FIGLI  247 

gubematione  existunt  habitatores  terrarum  nostrarum  praedictarum  ; 
sintque  dieta  nostra  territoria  et  homines  habitantes  in  eis  secundum 
litteras  et  decreta  Magnifici  consortis  nostri  praefati  libera  et  nobis 
inunediate  subiecta,  nec  de  eis  aliqui  rectores  vel  officiales  seu 
coraunia  vel  universitates  se  habeant  intromittere  sine  nostra  spe- 
ciali licentia,  et  in  ipsa  possessione  seu   quasi  fuimus  et   stetimus 

per  longum  tempus..... 

(Omissis). 

III.  —  ^J^S*  febbraio  20.  Milano, 

Diploma  di  Lodovico  Visconti  a  favore  del  prete  Giovanni 
DEI  Lanzi  suo  cappellano  e  familiare  (i). 

Nos  Ludovicus  natus  Magnifici  et  excelsi  domini  Domini  Me- 
diolani  etc,  Cremona  (sicj^  Laude  etc.  prefati  domini  locumtenens  ; 
Volentes  cum  dompno  Johane  de  Lanzis  Canonico  Ecclesie  Re- 
giensis  in  sacerdotali  ordine  constituto,  exigentibus  ipsius  mentis, 
gratiam  nostram  dispensare,  eundem  tenore  presentium  in  nostrum 
carum,  et  precipuum  familiarem  atque  cappelanum  acceptamus. 
Et  volentes  ipsum  quibuscumque  gratiis  prerogatiuis  et  beneficiis 
nostris  gaudere  et  potiri  quibus  et  prout  gaudent  et  potiuntur  alii 
nostri  cari  et  precipui  familiares  commensales,  mandamus  universis 
et  singulis  Rectoribus  offitialibus  et  subditis  ad  quos  presentes 
pervenerint  quatenus  eundem  dompnum  Johanem  ubilibet  prò  no- 
stro caro  et  precipuo  familiare  (sic)  et  capellano  pertractetur  et 
fauorabiliter  suscipiatur  recomissum  ;  presentibus  in  premissorum 
testimonium  registratis,  et  munimine  nostri  sigilli  roboratis. 

Date  Mediolani  Mccclxxxv,  die  vigesimo  mensis  februarii^  viij  in- 
dictione. 

IV.  —  i37Sp  g^^it^aio  7.  Milano, 
Bernabò  vieta  di  far  credito  ai  suoi  officiali  (2). 

Dominus  MeJiolani  etc, 
Imperialis  vicarius  generalis. 

Nostre  intentionis  est  et  mandamus  quod  nemini  ex  Rectoribus 
et  officialibus  nostris  Regij   detur  aliquid  in  credentia;   et  si  qui- 

(x)  Arch.  di  Reggio,  Consigli^  Prowig.  dei  deputati  sulle  entrate  Jj82- 
ijSóf  e.  53  r.  La  lettera  è  molto  scorretta,  forse  in  parte  per  colpa  del 
copista  che  la  registrò  nelle  provvigioni. 

(2)  Arch.  di  Reggio,  Provvigioni  cit.^  1372-75,  e.  105  r. 


248 


SUI   DOMINI   DI   REGINA   DELLA   SCALA   E  DEI   SUOI  FIGU 


squam  contra  hanc  nostrani  intentionem  aliqualiter  fecerit,  quod 
sibi  non  fiat  aliqua  ratio  vel  executio  contra  dictos  nostros  Rec- 
tores  et  officiales:  et  de  predictis  faciatis  vos,  deputati,  fieri  pu- 
blicam  proclamationem  in  Civitate  et  districtu  nostris  Regìj.  Re- 
scribatisque  nobis  inter  quatuor  dies  a  presentatione  presentiura 
quid  feceritis  in  premissis. 

Dai.  Senagi  vij  Januarij  Mccclxxv. 

A  tergo  :  Deputatis  super  entratis  ac  hominibus  et  Comuni  Civitatis 
nostre  Regìj. 


Lodovico  Sforza,  detto  il  Moro, 

E 

LA    REPUBBLICA   DI   VENEZIA 

dall'autunno    1494  ALLA  PRIMAVERA   I495 


CAPITOLO  PRIMO. 

La  calata  di  Carlo  Vili. 

Sommario. 

I.  La  gioventù  di  Lodovico.  Sue  colpe  ed  attenuanti.  I  preliminari  della  calata 
di  Carlo  Vili  e  la  Repubblica  di  Venezia  —  II.  Le  responsabilità  della  Se- 
renissima ncir  invasione  francese.  Relazioni  d*essa  col  Moro  durante  l'estate 
del  1494.  Finta  incredulità  di  Venezia  nella  calata  del  re.  —  IIL  Neutralità 
ed  astensione  della  Repubblica  durante  i  primi  tempi  deli*  invasione.  Solle- 
citazioni dei  principi  italiani,  specie  del  Moro.  Malcontento  di  Lodovico 
contro  il  re  di  Francia.  Prime  aperture  della  Spagna  a  Venezia.  Lodovico 
duca  di  Milano.  I  progressi  del  re  francese  in  Lunigiana.  Venezia  esce  dal 
suo  riserbo,  —  IV.  L^ambasciata  di  Sebastiano  Badoer  e  di  Benedetto  Tre- 
visan  a  Milano.  Prime  manifestazioni  del  Moro.  Pratiche  di  Lodovico  con 
Carlo  Vili,  specialmente  per  mezzo  del  cardinale  Ascanio  Sforza.  Dubbi 
gravi  di  papa  Alessandro  VI.  Arresto  di  Ascanio  e  giustificazione  del  papa. 
Le  furie  del  Moro  che  ritoma  alle  pratiche  col  re  francese.  —  V.  Lunghi  uffici 
della  Signorìa  e  degli  ambasciatori  veneti  per  calmare  Lodovico.  Carlo  Vili 
assume  le  difese  di  Ascanio.  Alfonso  II  raccomanda  al  papa  la  liberazione  del 
cardinale.  Liberazione  di  Ascanio.  Carlo  Vili  entra  a  Roma. 


I. 


RA  le  figure  del  rinascimento  più  singolari  e  attraenti 
v'ha  certo  quella  di  Lodovico  il  Moro.  Nato  il  19  ago- 
sto 145 1  da  Francesco  Sforza  e  da  Bianca  Visconti, 
trascorse  Lodovico  i  primi  sedici  anni  di  sua  vita  nella  corte  del 
padre,  educato  ed  ammaestrato  ampiamente  negli  studi  classici  (1). 

(i)  Tolgo  queste  notizie  dallo  studio  di  A.  Dina,  Lodovico  il  Moro 
prima  della  sua  venuta  al  governo  (Arch.  stor.  lomb,,  1886,  voi.   XIII). 


250  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

Più  attento  e  più  svegliato  d'ingegno  dei  suoi  fratelli  egli  appro- 
fittò meglio  di  essi  degrinsegnamenti  che  gli  uomini  e  le  cose  gli 
porgevano.  Giovanni  Simonetta  lo  disse  di  ottima  indole  giova- 
nile; aflferma  che  il  padre  aveva  concepito  di  lui  «  ingentem  spem, 
u  certa  quadam,  ut  ipse  dicebat,  coniectura  motus  »  (i).  Prova  della 
stima  patema  ebbe  Lodovico  nel  1464,  quando  in  età  di  soli  13  anni 
fu  eletto  comandante  di  un  corpo  di  3000  uomini  che  Francesco 
fingeva  di  voler  mandare  a  Pio  II,  per  addolcire  il  rifiuto  fatto  nel 
tempo  stesso  di  assumere  il  comando  supremo  della  crociata  contro  il 
Turco  (2).  Quattro  mesi  soli  durò  il  comando,  perchè  Francesco  lon 
inviò  poi  mai  le  genti  al  papa.  Nella  primavera  del  1465  essendo 
andato  a  Milano  Federigo  d'Aragona,  secondogenito  del  re  di  Na- 
poli, Ferdinando  I,  a  sposare  per  conio  del  fratello  Alfonso,  Ippo- 
lita Sforza  (3),  Lodovico,  che  coi  fratelli  si  recò  ad  incontrarlo  di 
là  del  Po,  ebbe  occasione  di  conoscere  un  altro  giovane  che  accom- 
pagnava l'Aragonese  e  che  esercitò  in  seguito  su  di  lui  grandis- 
sima influenza,  Lorenzo  de'  Medici. 

Morto  Francesco  Sforza  (1466),  fu  Lodovico  dal  fratello  Ga- 
leazzo Maria  creato  vice-governatore  di  Genova,  e  mandato  poi  in 
visita  alla  repubblica  di  Venezia,  che  lo  ricevette  con  grandi  onori. 
Nel  14  71  rivide  a  Firenze  Lorenzo  de'  Medici  e  potè  conoscere  i 
migliori  ingegni  di  quella  città.  Fu  accusato  di  congiura  d'accordo 
con  Sforza  Maria,  altro  suo  fratello,  contro  il  Duca,  nel  1476,  ma 
l'accusa  non  era  fondata  su  basi  salde.  E  noto  che  mentre  collo 
stesso  Sforza  Maria  stava  in  Francia,  sopravvenne  la  morte  di 
Galeazzo  Maria  (4),  e  quindi  la  reggenza  di  Bona  di  Savoja,  la 
vedova  duchessa.  Tornato  in  Lombardia,  dopo  alcune  vicissitudini, 
il  Moro  nel  1480  riuscì  a  strappare  il  reggimento  di  mano  alla  co- 

(i)  Gio.  Simonetta,  Historia  de  rebus  gesiis  Francisci  primi  Sforiiae 
Vicecomitis  Mediolanensium  ducifi,  in'MuRATORi,  Rerum  Ualicarum  Scrip- 
tores,  XXI,  col.  761. 

(2)  Pastor,  Geschichie  der  Pàpsie  seit  dem  Avsgang  des  Mi/feiaiierSf 
voi.  II,  Freiburg  i.  B.;  Herder'sche   Verlasghandlung,  1894,  PP-  ^5'"5^ 

(3)  V.  per  le  trattative  preliminari  del  matrimonio:  Canetta,  Lì 
sponsalie  di  casa  Sforza  con  casa  d'Aragona  (giugno-ottobre  1455)  *" 
Arch.  stor,  lomò.^  IX,  1882,  p.  136-44. 

(4)  V.  fra  l'altro  suiruccisione  dello  Sforza  i  documenti  pubblicati 
dal  Casanova,  Duccisione  di  Galeazzo  Maria  Sforza  e  alcuni  documenti 
fiorentini  in  Arch   stor.  ital.^  serie  5.',  XXVI,  1899,  p.  299  e  sgg. 


E    LA   REPUBBLICA    DI  VENEZIA  25 1 

gnata.  L'usurpazione  del  governo  a  danno  di  Gian  Galeazzo,  suo 
nipote  e  nuovo  duca,  genero  di  Alfonso,  duca  di  Calabria,  eh* era 
primogenito  del  vecchio  re  di  Napoli,  gli  procurò  Todio  degli 
Aragonesi,  contro  i  quali  dal  1484  in  poi  fu  rivolta  tutta  la  sua 
politica. 

Più  volte  la  guerra  fu  sul  punto  di  scoppiare:  solo  la  prudenza 
di  Lorenzo  de'  Medici  valse  ad  impedire  le  ostilità  aperte.  11  Moro 
inoltre  si  sentiva  odiato,  sapeva  che  il  suo  nome  in  Italia  suonava 
come  sinonimo  di  malafede,  quindi  viveva  in  una  diffidenza  con- 
tinua, che  doveva  trascinarlo  in  quei  numerosi  intrighi,  i  quali 
riuscirono  a  rovina  sua  e  d'Italia  (i). 

Gli  scrittori  di  cose  italiane  negli  ultimi  del  quattrocento  si 
dividono  riguardo  al  Moro  in  due  campi:  gli  uni,  la  maggior  parte, 
sono  a  lui  sfavorevoli,  gli  altri,  non  immeritevoli  di  ascolto,  incli- 
nano a  scusarlo  e  fargli  elogi.  Gli  uni  lo  respingono  con  sdegno, 
gli  altri  lo  alzano  ai  cieli.  Maestro  Ambrogio  da  Paullo,  suo  con- 
temporaneo, lo  incolpa  di  maltrattamenti  verso  i  sudditi,  gli  getta 
in  viso  la  chiamata  di  Carlo  Vili  in  Italia,  aggiunge  che  nel  dì 
dell'assunzione  al  ducato  di  Milano  «  non.  fu....  omo  che  Gridasse: 
u  duca,  duca,  né  Moro,  Moro,  salvo  li  suoi  favoriti,  et  ogni  dì  faceva 
«  far  festa,  perchè  stessero  di  buona  voglia,  che  seriano  ben  trat- 
ti tati;  ma  fu  al  contrario,  che  non  passò  molto  tempo  che  comenzò 
«  a  metter  li  prestidi  a  tutti  li  gentilluomini  et  altri  populi,  che  fu 
«  poi  la  causa  di  ogni  sua  rovina  »  (2).  11  Prato  dopo  aver  nar- 
rato la  fine  del  Moro,  riassunse  le  colpe  tutte  e  così  inesorabil- 
mente si  espresse:  «  Il  duca  Ludovico  Sforza  fece  avvelenare  il 
«  duca  Gian  Galeazzo,  suo  nipote,  per  sé  indebitamente  la  signoria 
«  di  Milano  usurpandosi  ;  poi  tirò  re  Carlo  in  Italia  alla  desfacione 
«  di  Ferdinando,  re  di  Napoli,  suo  nipote;  le  quali  cose  commesse 
«  lo  hanno  fatto  degno,  per  divina  giustizia,  di  perpetuo  carcere;  che 
«  io  (avenga  che  fanciullo  fossi)  mi  ricordo,  che  essendo  alla  predica 
«  de  uno  cieco...  che  a  esso  duca  predicava  ne  la  piazza  del  castello, 
«  nel  tempo  che  il  re  Carlo  doveva  passare  in  Italia,  dirli  in  pulpito  : 
«  Signore,  non  li  mostrar  la  via,  perchè  tu  te  ne  pentirai  »,  e  così 


(i)  Dina,  op.  cit,  p.  764  e  sgg. 

(2)  Cronaca  milanese  dal  ijfjó  al  ijiSf  ed.  A.  Ceruti,  in  Miscellanea 
di  storia  italiana,  voi.  XIII,  p.  102. 


353  LODOVICO  SFORZAI  DETTO  IL  MORO, 

«  invano  poi  se  ne  pentì  con  danno  di  tutta  l'Italia  •  (t).  Le  accuse 

del  Prato  sono  in  particolare  gravissime.  Ma  è  ben  noto  che,  quanto 

C  *J/iirawelenamento   del   nipote,  sul   quale   anche  non   ha   dubbi  9 

4^     '     Friuli  (2),  e  che  il  Malipiero  invece  accenna  con  semplice  sospetto  (3} 

4/yy^  ai  giorni  nostri  la  crìtica  tende  a  scolpare  il  Moro.  Certo  Taocusa 

ì^!Pi^  *  *  ^*«^*  ******  Carlo  VÌ&Til  ^e-aSinte  la  calata  congnnde 
*     «f^     insistenza  volle  recarsi  al  letto  di  Gian  Galeazzo  (4),  fece  sua  la 

^'^  voce  o  meglio  il  sospetto  pubblico,  e  gettò  al  Moro  in  viso  l'aocusa 

di  aver  tolto  oltre  alla  libertà  anche  la  vita  allo  sventurato  duca, 
n  Moro  si  difese  e  protestò  «  nepotem  adversa  valetudine  labo- 
«  rasse,  et  ei  non  modo  ademptam  libertatem  fuisae,  ut  Carohu 
«  rex  scribit,  sed  summo  honore....  habitum  et  cultum  esse  »  {s)i  È 
provato  veramente  che  le  relazioni  esteriori  fra  zio  e  nipote  non 
furono  cattive,  pur  essendo  non  dubbio  che  il  primo  trasse  gru 
profitto  dalla  debolezza  del  secondo.  Pare  che  solo  sul  Ietto  <i 
morte  Gian  Galeazzo  abbia  sospettato  dell'infedeltà  di  Lodofico^ 
chiedendo  ingenuamente  ad  un  favorito  del  Moro,  che  lo  visitagli 
se  lo  zio  gli  portasse  affetto.  Alle  proteste  del  corti(^ano  lo  sfo^ 
turato  giovane  s'acquietò. 

In  altra  lettera  diretta  al  papa  Alessandro  VI,  il  Moro  respinse 
nuovamente  raccusa'(6),  dicendo  essere  stato  del  tutto  alieno  dal  pen- 
sare M  non  modo...  in  morte  illustrìssimi  nepotis  nostri,  quem  semper 
u  paterna  charitate  complexi  sumus,  sed  nec  in  morte  eorum  quos 
«  scimus  odio  capitali  nos  prosequi.  Processit  egrìtudo,  nec  mediò 

(i)  Storia  di  Ali/ano  in  Àrch.  stor.   lomb.,   serie  i.*,  voi.  HI,  p.  agi. 

(2)  De  Belio  Gallico  sive  De  rebus  in  Italia  gestis  a  Carolo  Vili,  ecc. 
in  Rer,  Ital.  Script.,  XXIV,  col.  7  e  x  i  (ed.  dal  Muratorì  come  opera  (ti 
Manno  Sanuto). 

(3)  Domenico  Malipiero,  Annali  veneti  in  Arch,  stor,  itaL,  serie  i.\ 
tom.  VII,  p.  320. 

(4)  Sulla  visita  di  Carlo  Vili  a  Gio.  Galeazzo,  v.  per  tutti  CipolUi 
Storia  delle  Signorie  Italiane  dal  ijij  al  ijj^t  Milano,  Vailardi,  1881, 
p.  702,  e  Magenta,  /  Visconti  e  gli  Sforza  nel  castello  di  Pavia,  Pavii» 
1883,  voi.  I,  p.  531,  —  Circa  le  insistenze  di  Carlo  Vili  per  visitare  Gian 
Galeazzo,  v.  Pélissier,  Sur  quelques  épisodes  de  fexpédition  de  Ckaries  VIIJ 
en  Italie,  doc.  i.°,  in  Revue  historique,  1900,  voi.  I,  pp.  293-2194. 

(5)  Canestrini,  Lettera  di  Ludovico  il  Moro  all'imperatore  Massim 
liano  (1495)  in  Arch.  stor.  ital.,  appendice  III,  1846,  p.  laa 

(6>  Magenta,  /  Visconti  e  gli  Sforza  nel  castello  di  Pavia,  Pavia,  iflB^ 
voi.  II,  p.  469,  doc.  46. 


E   LA   REPUBBLICA   DI  VENEZIA  253 

«(  salutem  eius  desperarunt  nisi  per  unum  diem,  quam  e  vita  mi* 
«  graret  ».  E  qui  non  pare  che  il  Moro  abbia  mentito:  i  documenti 
pubblicati  con  giuste  osservazioni  dal  Magenta  sono  all'ambizioso 
principe  molto  favorevoli  (i).  Solo  noterò  che  nel  parlare  d'Isabella, 
l'infelice  vedova,  quand'essa,  il  6  dicembre,  lasciò  il  castello  di  Pavia 
per  recarsi  a  Milano,  il  Magenta  narra  che  Beatrice  andatale  incontro 
«  di  cuore  abbracciò  e  pianse  insieme  colla  desolata  rivale  »  (2)  e 
cita  un  documento  da  lui  edito  () .  Se  il  documento  realmente  di- 
cesse quanto  assevera  il  Magenta,  riuscirebbe  forse  esso  un  buon 
argomento  a  vantaggio  del  Moro.  Sembra  infatti  che  difficilmente 
Isabella  avrebbe  ricevuto  senza  qualche  atto  di  sdegno  l'abbraccio 
di  Beatrice,  quando  avesse  creduto  Lodovico  avvelenatore  ma- 
teriale dello  spento  consorte.  Ma  il  documento  non  parla  af- 
fatto di  carezze  fra  le  due  principesse,  e  narra  solamente  che 
Beatrice  ascese  il  cocchio  d'  Isabella.  Piuttosto  un  particolare, 
finora  inosservato,  eppur  degno  di  nota,  a  difesa  del  Moro,  ci 
fornisce  un  documento  edito  dal  dott.  Teodoro  di  Liebenau  (4). 
Quando  Luigi  d'Orléans,  il  nemico  acerrimo  del  Moro,  minac- 
ciato in  Asti  dalle  milizie  sforzesche,  nel  giugno  1495,  mandò 
alla  dieta  svizzera  di  Lucerna  a  chiedere  milizie  di  quel  paese  con 
ampie  promesse,  il  suo  inviato,  un  astigiano,  il  dottor  Gian  Gia- 
como de  Ferrari,  giudice  in  Asti,  per  raggiungere  meglio  lo  scopo 
della  missione,  pronunziò  alla  dieta  una  vera  requisitoria  contro 
il  Moro.  Narrò  che  Lodovico  «  olim  gubernatoris,  nunc  ducis  Me- 
•  diolanì  vice  gerens  »,  aveva  istigato  Carlo  Vili  a  scendere  nella 
penisola,  a  conquistare  Napoli,  mentre  nella  realtà  s'era  servito  di 
quel  mezzo  per  ascendere  il  trono  di  Milano.  E  poi  «  eo  tempore 
«  quo  decessit  gubernatus  ducis  Mediolani  vice  gerens  »  (pel  de  Fer- 
rari il  duca  di  Milano  era  Luigi  d'Orléans),  trovandosi  il  re  già  a 
Firenze  con  tanta  potenza  che  l'Italia  tutta  era  stata  atterrita,  non 
aveva  mantenuto  la  fede,  ma  ordito  invece  lega  contro  la  Francia. 

(i)  Magenta,  op.  cit,  I,  535-36. 

(2)  Magenta,  op.  cit,  I,  546. 

(3)  Magenta,  op.  cit.,  II,  465,  doc.  CCCCLVII,  n.  7. 

(4)  //  duca  €i*0rléans  e  gli  Svitfgeri  nelfanno  149S  in  Arch,  storico 
lomb.,  voi.  XVI,  1889,  pp.  6x4  e  sgg.  Su  questa  missione  v.  qualche 
altro  documento  in  Rott,  Histotre  de  la  représentation  diplomatique  de  la 
France  auprès  des  cantons  suisses,  de  leurs  alliis  et  de  leurs  con/idirés, 
voi.  I,  (1430-1559),  Berne-Paris,  1900,  p.  87-88. 


25+  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

Orbene  quale  miglior  occasione  al  de  Ferrari  per  accusare  il 
Moro  anche  d'avvelenamento?  Eppure  non  una  parola  a  tal  ri- 
guardo. Ed  il  de  Ferrari  era  certamente  presso  l'Orléans,  cioè  in 
Asti,  quando  Gian  Galeazzo  spirò,  né  poteva  ignorare  le  voci  pub- 
bliche, se  queste  erano  veramente  accusatrici.  Il  silenzio  del  giu- 
dice astigiano  è  un  buon  argomento,  sebbene  non  decisivo,  per 
r  innocenza  del  Moro.  Infine  è  notorio  che  Lodovico  in  fondo 
rifuggiva  dal  sangue  e  da  quei  delitti  che  macchiarono  molti  prin- 
cipi dell'età  umanistica.  Si  noti  pure  che,  ove  il  Moro  avesse  pre- 
veduto con  certezza  la  fine  del  nipote,  conoscendo  la  sua  impo- 
polarità a  Milano,  non  sarebbe  rimasto  presso  Carlo  Vili  fin  quando 
Gian  Galeazzo  entrò  in  agonia  1 

Non  voglio  certo  tergere  la  condotta  del  Moro  dalle  colpe  <::he 
la  macchiano.    Nessuno  può   scusare  Lodovico    pel   suo    contegno 
subdolo  ed  antipatico  verso  il  nipote.  Anche  i  contemporanei,  av- 
vezzi ad  ogni  specie  d'immoralità,  all'annunzio  che  Gian  Galeazzo 
era  spirato,  provarono  compassione  pel  misero  defunto  ed  in  ispecie 
per    l'infelicissima  vedova,  Isabella.  Giacomo  de  Adria  scrisse  al 
marchese    di  Mantova,   Francesco  Gonzaga,  il   23  ottobre,  da  Ve- 
nezia (i):  «  Questa  matina  è  venuta  qua  la  infelicissima  nova  de  la 
«  immatura  et  crudelissima  morte  del  duca  di  Milano,  la  quale  merita 
«  che  ne  piglij  dolore  tutto  il  mondo:  et  perchè  io  estimo  che  V.  Ex. 
u  ne  habia  quello  extremo  dolor  et  affano  che  sij  possibile  ad  caper 
u  in  mente  humana,  pigho  ancora  io  dolor  dil  suo  dispiacer  et  anche 
«  particularmente  peri  aflfectione  naturale  chio  gli  portava.  Ma  molto 
u  più  è  digna  de  compassione  quella  sventurata  sopra  ogni  altra  de 
u  M.™a  duchessa:  la   quale    mai  hebe  una  hora  de  bon  tempo:  et 
u  sempre  ha  magnato  più  lachrime  che  pane:  dio  dagha  megliore 
«  fortuna  alli  figlioli  suoy  ».  Ma  Lodovico  ha  già  responsabilità  ben 
tristi  nella  storia  dell'età  sua,  perchè   senza  prove  assolute  lo  vo- 
gliamo ancora  incolpare  d'uno  dei  delitti  umani  più  abbominevoli. 

La  fama  del  Moro  era  pessima  ed  essa,  come  spiega  l'ecces- 
siva prevenzione  del  pubblico  a  suo  riguardo  nella  morte  di  Gian 
Galeazzo,  giustifica  non  meno  l'accusa,  anch'essa  eccessiva,  di  aver 
chiamato  il  re  francese  nella  penisola.  Lodovico  ebbe  certo  parte  no- 


(i)  Arch.  stor.  Gonz.  (in  Arch,  di  Stato  di  Mantova),  £  es/erm  n.  XLV, 
n.  3  busta  1434  (a.  1493-94). 


E    LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  255 

tevole  nel  favorire  il  disegno  della  calata  (i),  ma  gli  stessi  scrittori 
veneziani  punto  benigni  verso  di  lui,  convengono  che  ad  altri  prin- 
cipi spetta  grande  e  forse  maggiore  responsabilità.  Il  Malipiero 
assevera  che  «  el  duca  Hercule  [d'EsteJ,  de  comuno  consegio  (s'in- 
«  tende  con  Lodovico),  chiamò  francesi  in  Italia  per  stabilir  el  stato 
u  de  Ludovico  e  per  debelar  il  re  de  Napoli  (2)  n.  Il  Sanuto  dice  che 
il  re  di  Francia  era  stato  ancora  «  da  alcuni  signori  italiani  vehe- 
«  menter  esortato  et  maxime  da  Hercule  di  la  cha  di  Este  da  Fer- 
«  rara,  nimicissimo  de  Venetiani  per  le  guerre  tra  loro  seguite,  cu- 
«  pido  di  nove  cose  w.  E  veramente  Ercole,  una  delle  figure  politiche 
più  fosche  di  quell'età,  aveva  persino  messo  al  soldo  del  re  il  suo 
secondogenito,  Ferrante  (3).  Il  medesimo  scrisse  Francesco  Guic- 
ciardini, il  quale  affermò  che  il  consiglio  disgraziatissimo  di  chia- 
mare Carlo  Vili  in  Italia  aveva  dato  al  Moro  Ercole,  suocero  del 
medesimo  (4).  Ma  v'ha  di  più.  11  vero  periodo  delle  insistenze  per 
la  calata  del  re  da  parte  di  Lodovico  può  dirsi  chiuso  colla  morte 
di  Ferdinando  I  d'Aragona,  che  Lodovico  temeva  grandemente. 
Anzi  già  nel  novembre  1493,  due  mesi  prima  che  il  vecchio  re  di 
Napoli   spirasse,  era    notorio   che    il   Moro   cercava    di   trattenere 

(i)  V.,  oltre  al  voi.  Ili  del  Codice  aragonese  del  Trincherà,  Villari, 
La  storia  di  Girolamo  Savonarola  e  dei  suoi  tempi,  voi.  1,  Firenze,  succes- 
sori Le  Monnier.  Documento  XVII  ;  v.  in  Foucard,  Proposta  di  pubbli- 
casione  di  carteggio  diplomatico  i492'^4-^s  in  Arch,  storico  per  le  Provincie 
napoletane,  voi.  IV  1879,  777-78  **  Giacomo  Trotto  al  duca  di  Ferrara  „ 
Milano  26  aprile  1493;  le  minaccie  del  Moro  contro  Ferdinando.  — 
Circa  le  pratiche  del  Moro  col  re  di  Francia  e  col  re  dei  Romani  per 
amicare  questi  due  sovrani  insieme  e  rendere  facile  la  calata  di  Carlo  Vili, 
cfr.  i  doc.  editi  dal  Calvi,  Bianca  Maria  S/oraa- Visconti,  regina  dei 
Romani,  imperatrice  germanica,  e  gli  ambasciatori  di  Lodovico  il  Moro 
alla  corte  cesarea  secondo  nuovi  documenti^  Milano,  Vallardi,  1888,  p.  56 
e  sg.  Lettere  di  Erasmo  Brasca.  —  Le  sollecitazioni  dirette  a  Carlo  Vili 
incominciano  col  1492,  quando  Gio.  Francesco  di  S.  Severino,  conte  di 
Caiazzo,  il  conte  Carlo  di  Belgioioso,  Girolamo  Tuttavilla  ed  altri  am- 
basciatori sforzeschi  si  recarono  a  Parigi  per  congratularsi  del  matri- 
monio di  Carlo.  V.  Sakuto,  La  spedizione  di  Carlo  Vili  in  Italia  edita  da 
R.  Fulin,  Venezia,  1873,  p.  30;  Gabotto,  Girolamo  Tuttavilla,  uomo 
d'arme  con  lettere  del  sec,  XV  in  Arch,  storico  per  le  Provincie  napole- 
tane, XIV,  1889,  P*  411-ia. 

(2)  Annali  veneti,  pp.  319-20. 

(3)  Op.  cit.,  pp.  30-31. 

(4)  F.  GincciARDiNi,  Storia  d'Italia^  lib.  I,  cap.  II. 


aS^  LODOVICO  SFORZA.  DETTO  IL  MORO, 

Carlo  Vili  (j).  Egli  voleva  bensì  diminuire  la  potenza  dq;li  An* 
gonesi,  non  abbatterla  per  sostituire  a  Napoli  la  dominatone  fiiu^ 
cese.  Lodovico  era  troppo  intelligente  per  non  comprendere  che 
il  pie'  fermo  di  Carlo  Vili  nella  penisola  sarebbe  stato  un  ccmtiniio 
pericolo  per  il  ducato  lombardo,  tant'è  che  prima  della  calata 
volle  attirare  il  re  dei  Romani,  Massimiliano  I,  nella  pemaola, 
per  bilanciare  meglio  l'azione  francese.  E  nel  suo  disegno  s*iii* 
fervorò  tanto,  che  comprendendo  essere  Venezia  contraria  al- 
Tintromissione  francese,  e  sospettandola  disposta  ad  aiutare  segre> 
tamente  il  re  Alfonso  II,  successore  di  Ferdinando,  invitò  il  re  dei 
Romani  ad  agire  contro  la  repubblica  per  ridurla  al  voler  suo  (a). 
Il  Moro  dunque  si  può  dire  che  voleva  e  non  voleva  ad  un  tempo 
il  re  francese  nella  penisola  :  lo  voleva  per  abbassare  la  potenza  di 
Alfonso,  non  lo  voleva  per  abbattere  la  dominazione  aragcmese  a 
Napoli.  Come  mezzo  ad  ottenere  lo  strano  e  doppio  scopo  pensava 
al  re  dei  Romani.  Egli  sperava  o  cercava  di  persuadersi  che  fosse 
possibile  impedire  a  Carlo  Vili,  quando  fosse  disceso,  di  staUlirri 
saldamente  nella  penisola.  U  re  francese,  in  una  parola,  non  avrebbe 
dovuto  che  eseguire  quanto  conveniva  agli  interessi  di  Lodovico: 
il  giorno  in  cui  avesse  creduto  di  agire  per  suo  profitto  dovevi 
attendersi  un  voltafaccia  dalla  corte  di  Milano. 

Ripeto,  il  Moro  conosceva  e  s' impensieriva  specialmente  dd- 
rawersione  che  la  repubblica  di  Venezia  mostrava  alle  calate  de- 
gli stranieri  fin  da  tempo  antico.  Nel  1459  infatti  già  la  Serenissima 
a  Giovanni  de  Chambes  ed  agli  ambasciatori  che  in  nome  di 
Carlo  VII  di  Francia,  esploravano  la  mente  sua  circa  l'occupazione 
di  Genova  fatta  allora  dai  francesi,  e  chiedevano  quale  sarebbe  stato 
il  contegno  di  Venezia  il  giorno  in  cui  Renato  d'Angiò  fosse  disceso 
ad  occupare  il  r  ame  di  Napoli,  aveva  risposto  in  modo  tale  che 
ben  mostrava  la  sua  ripugnanza,  né  erasi  impegnato  a  soccorsi  di 
qualunque   genere  (3).    E  quando   nel  1485,    Innocenzo  Vili,  nella 

(i)  V.  Arch.  stor.  Gonz.,  loc.  cit,  Gio.  Carlo  Scalona  al  marchete 
di  Mantova,  Venezia,  12  novembre  1493. 

(2)  Delaborde.  L'expédition  de  Charles  Vili  en  Italie^  Paris«  Firmili* 
Didot  et  C,  1888,  p.  338. 

(3)  Perret,  L'ambassade  de  Jean  de  Chamber  à  Venisé  {14/9),  éfafrtf 
des  doctonents  venitiens  in  Bibliothèque  de  PElcole  des  Charles^  voi.  L  i88ft 
e  Histoire  des  relatìons  de  la  France  avec  Denise  du  Xlll^  siede  à  tavent 
meni  de  Charles  Vili,  Paris,  Welter,  1896,  voi.  I,  pp.  3aa>a7. 


E   LA  REPUBBLICA   DI  VENEZIA  257 

guerra  contro  Ferdinando  I,  aveva  invitato  Renato  d'Angiò  a 
scendere  in  Italia,  promettendogli  appoggio  per  la  conquista  di 
Napoli,  i  Veneziani  «  per  non  voler  »,  scrisse  il  Guicciardini  (i), 
«  oltramontani  in  Italia,  si  accostarono  al  re  di  Napoli,  sicché  per 
«  non  averli  nemici  fu  fatta  pace  ». 

Quindi  appena  la  repubblica  ebbe  veduto  Carlo  Vili,  uscito  di 
tutela,  manifestare  pubblicamente  le  sue  intenzioni  di  conquista,  fece 
dai  suoi  ambasciatori  in  Francia,  Zaccaria  Contarini  e  Francesco 
Cappello,  comprendere  l'astensione  sua  innanzi  a  qualunque  im- 
presa regia.  Anzi  essa  ideò  fra  le  potenze  italiane  una  lega,  di  cui 
Venezia  fosse  il  centro,  e  che  valesse  a  tutelare  la  penisola  contro 
ogni  invasore.  Ma  il  Moro,  che  in  quei  giorni  temeva  più  di  tutto 
le  armi  aragonesi,  fece  il  possibile  perchè  invece  si  formasse  una 
lega  parziale  tra  Milano,  Roma  e  Venezia  conti-o  Napoli  (2).  Non 
ostante  le  esitazioni  di  Venezia  i  suoi  sforzi  furono  "coronati  da 
successo:  il  22  aprile  1493  Venezia  cedette  e  l'alleanza,  a  cui 
aderirono  Mantova  e  Ferrara,  venne  sancita  (3).  Sperò  allora  il 
Moro  di  essersi  guarentito  dai  perìcoli,  quando  Carlo  Vili  nel 
novembre  1493,  dopo  avergli  chiesto  il  passo  in  Italia,  ne  fece 
domanda  anche  a  Venezia,  e  questa  con  decisione  che  doveva  pur- 
troppo contribuire  alle  sventure  della  penisola,  dichiarò  che  non 
avrebbe  impedito  il  passo  alle  armi  francesi,  ma  sarebbe  rimasta 
in  assoluta  neutralità  (4). 

(i)  V.  GuicaARDiNi,  Storia  fiorentina  in  Opere  inedite,  voi.  III,  p.  68, 
ed.  Canestrini. 

(2)  RoMANiN,  Storia  documentata  di  l^enesia^  voi.  V,  Venezia,  Nara- 
tovich,  1856,  pp.  21-22. 

(3)  Sanuto,  Vite  dei  duchi  di  Venezia  in  Muratori,  Rer.  itai  Script., 
XXII,  col.  1250  ;  Cipolla,  Storia^  ecc.,  p.  676  ;  Thuasne,  Diarium  Bur^ 
chardi,  voi.  Il,  1492-99,  Paris,  Leroux,  1884,  p.  636;  Delaborde,  L'éxpe- 
dition,  ecc.  p.  262.  Il  Moro  ebbe  tale  contento  dell'alleanza  che  fece  ca- 
valiere Torator  veneto,  non  pretermettendo  cura  alcuna  per  convincere 
Venezia  della  sua  amicizia.  Foucard,  p.  779-80;  Trotto,  dispaccio  cit. 
■  D  Sig.  Ludovico  honora  questo  suo  ambassatore   molto  più   che  sei 

•  fosse  la  propria  persona  del  duca  Francesco,  et  lui  se  li  piglia  sencia 

•  alcuna  contracditione,  parendo  essere  Sig.  del  tuto  ,. 

(4)  Arch.  stor.  Gonz.,  Ictt.  cit.  dello  stesso  Scalena^  che  pubblicherò 
per  intiero  : 

**  III."*®  S/  mio.  Scio  che  V.  Ex.  debbe  haver  inteso  per  littere  de 

•  Antonio  Salimbeno  come  è  facta  liga  tra  la  M.tà  de  re  de  romani  e 


258  LODOVICO   SFORZA,    DETTO   IL   MORO, 

Le  ansie  del  Moro  si  rifecero  vivissime,  e  s'accrebbero  ancora, 
quando,  morto  Ferdinando  I,  Alessandro  VI  ed  il  nuovo  re  di  Napoli, 
Alfonso  II,  strinsero  legami  politici  e  di  famiglia.  Sono  quelli  i  giorni, 
nei  quali,  con  spavalderia  che  nascondeva  i  tumulti  dell*  animo, 
Lodovico  osava  affermare  a  Pietro  Alamanni,  oratore  fiorentino  alla 

"  franza^  e  che  in  essa  liga  è  noiiiinato  lo  S/  re  e  questo  gli  ha  dicto 

*  il  M.co  ambasciatore  suo  qua.  Questo  benché  li  intervenga  tal  testi- 
"  inonio,  e  lo  respecto  della  affinità,  che  dà  pur  colore  assai  a  tal 
"  lama^  da  persone  che  intendeno  più  ultra  non  se  affirma  cussi,  anci 
"  dicono  il  contrario,  perchè  Pranza  apertamente  se  dimostra  volere 
**  venire  a  limpresa  contra  lo  regno,  come  quella  che  vole  recuperar  le 

*  le  cose  tenute  indebitamente,  e  tra  le  altre  cose  che  se  iniendeno 
"  un  manifesto  signo  è  che  la  M.t^  de  franza  ha  dimandato  instantc- 
"  mente  il  passo  a  Milano,  quale  benché  a  principio,  come  che  ricordo 
"  haver  dicto  a  V.  Ex.tJ»,  gè  Thavesse  offerto,  cum  spexa  de  dece  galee, 

*  et  due  nave  grosse,  e  havesse  divuljrato  ala  preseniia  de  ambasciatori 
"  esser  buona  intelligentia  cum  la  M.tà  de  franza,  adesso,  come  pentito, 
**  e  che  forsi  se  voria  retirare  sei   puotesse,    dice   non    esser   in   total 

*  sua  facultà  a  darli  passo,  ma  esser  necessario  che  li  concorra  il 
**  consentimento    di    colligati,  cioè   dela   SM  del   papa   et   potissime  de 

*  questa  Si.na,  ala  quale  si  riporta  d*ogni   suo   pensiere.  E   cussi  essa 

*  M.t«  de  franza  ha  scritto  qua  opportunamente  circa  tal   resposta  da 

*  Milano,  facendoli  intendere  tra  le  altre  cose  come  Iha   presso  sé  un 

*  Capitulo  antiquo,  per   lo    quale    questa   Si."*   è    obligaia   a   prestarli 

*  adiuto  ogni  volta  che  sua  M.A  se  dispona  volere  fare  impresa  contra 

*  chi  li  occupasse  indebitamente  il    suo.  Questi  Si."  sonno  resolti  cum 

*  gran  Consilio  cum  la  usata  prudentia,  e  respondeno  chel  passo  è  in 

*  libertà  de  chi  gè  lo  può  dare  et  a  chi  lo  domanda  sua  M.^*  e  non 
"  negano  che  non  sia  tal  Capitulo  antiquo,  il  quale  sempre  se  dispone- 

*  rano,  dummodo  non  se  confacia  a  Colligati,  Siche  vengono  esser  se. 

*  curi  dala  impresa  con  colligati,  perchè  sua  M.i*  vole  convenire  al  re 

*  Questo  non  se  cura  perhò  el  S.^c  L.^o^  f  se  tiene  qua  che  non  sia  un 

*  principio  delia  sua  rovina  per  chel  respecto  chel  fa  retirare  da  le  promesse 

*  /ade  a  Franza  è  chel  lente  del  duca  de  Orliens,  guai  se  intende  esser  unito 
"  in  questa  impresa,  e  voler  venir  cum  Franza^  et  perhò  dubita  che  non  se 

*  atachi  s-ìtto  questo  prefexto  la  ro^na  ale  spalle.  Franza  se  duole  bene 

*  chel  è  illusa  dal  Si.  L.^o-  non  sciò  come  succederà,  sei  se  bavera  go- 
■  vernato  manco  considerato^  come  qua  si  dice,  perchè  intende  chel  ha 
"  facto.  Ho  vogliuto  per  mio  debito  significare  tal    adviso  a   V.  Ex.^*, 

*  remettendoine  al  prudentissimo  Judicio  suo.  Raccomandome  m  sua 
"  buona  gratia,  et  illa  bene  vaUat. 

*    l'enetijs,  12  ncrcembris  14Q}, 
•  Ex.'  V.  S  *  Jo.  Ca.  Scalona.  , 


E    LA  REPUBBLICA   DI  VENEZIA  259 

sua  corte,  che  nei  mali  sovrastanti  alla  penisola  gli  bastava  aver 
trovato  «  la  securità  sua  e  delle  cose  sue  »  (i).  Al  nuovo  oratore  di 
Firenze,  Angelo  Niccolini,  egli  chiese  tuttavia  formalmente  consiglio 
per  trarsi  d'impiccio.  Ma  allora  gli  avvenne  quel  che  di  solito 
accade  ai  mentitori.  Non  fu  creduto,  neanche  quando  parlò  since- 
ramente. Il  Niccolini,  riferendo  la  domanda  del  Moro  alla  Signorìa 
di  Firenze,  raccomandò  non  si  prestasse  fede  alle  parole,  dubitando 
fosse  tutta  arte  «  per  addormentar  lo  compagno  »  (2).  Eppure,  ri- 
peto, il  Moro  in  quei  giorni  parlava  sinceramente.  Egli  aveva  ben 
ragione  d'essere  preoccupato.  Il  7  marzo  1494,  Carlo  Vili,  da  Lione 
dove  stava  preparando  la  sua  spedizione,  gl'indirizzava  una  lettera, 
nella  quale,  annunziando  l'imminente  calata,  chiedeva  in  tono  più 
imperioso  che  amichevole  le  forze  milanesi  in  aiuto,  colla  promessa 
baldanzosa  di  condurre  a  termine  senza  fallo  l'impresa.  «  Et  vous 
«  évertuez  de  m'aider  gaillardement  en  ceste  entreprise,  et  je  vous 
«  asseure  que  tant  par  mer,  que  par  terre  je  la  porteray  jusques  au 
«  bout  »  (3).  L'alleato  parlava  da  signore,  l'ambizioso  conquistatore 
prometteva  non  compensi  materiali  a  colui  dal  quale  voleva  aiuti, 
ma  di  condurre  invece  a  compimento  l'impresa  nell'interesse  suo 
personale.  Il  giorno  in  cui  ricevette  la  lettera  regia,  al  Moro  do- 
vette più  che  mai  balenare  in  mente  la  visione  della  non  lontana 
sua  rovina,  dovette  sentire  più  forti  i  palpiti  del  suo  cuore  e  ce- 
dere alla  paura  il  dominio  assoluto  dell'animo  suo. 

IL 

Per  giudicare  le  azioni  umane  e  dare  all'individuo  tutta  e  sola 
la  responsabilità  che  ad  esso  spetta,  è  buon  metodo  investigare 
prima  il  carattere  ed  i  sentimenti  del  medesimo,  spogliati  d'ogni 
loro  parvenza  esteriore.  Chi  esamina  bene  addentro  la  vita  e  le  opere 
del  Moro  s'accorge  di  avere  innanzi  un  uomo  in  condizioni  anor- 
mali. V'è  in  lui  l'irrequietezza  continua  dello  squilibrato,  Tambi- 
zione  di  primeggiare,  il  bisogno  continuo  di  fare  e  disfare,  e,  sen- 
timento predominante,  la  paura.    La  paura   è  la  spinta   più  forte, 

(i)  Dejardins,  Négociaiions  diplomaliques  de  la  France  avec  la  Toscane, 
voi.  I,  Paris,  Imp.  Imperiale,  1859,  p.  556. 

(2)  Id.  pp.  555-61. 

(3)  Charavay,  Revue  des  documents  hitioriques,  voi.  II,  1875,  p.  174. 

Arch  Stor.  Lomb,,  Anno  XXIX,  Fttc.  XXXVI.  17 


26o  LODOVICO  SFORZA,   DETTO  IL  MORO, 

dopo  Tambizione,  che  il  Moro  avrà  in  tutte  le  sue  azioni.  La  paura 
come  fa  scorgere  talora  a  Lodovico  le  conseguenze  anche  lontane 
degli  avvenimenti,  gli  ottenebra  spesso  non  meno  Tintelletto  e  lo 
trae  in  errore.  Il  Burckhardt  rileva  nel  Moro  la  mancanza  del  senso 
di  responsabilità  morale  (i),  ma  narra  qualche  aneddoto  che  prova 
la  tesi  da  noi  sostenuta,  essere  la  paura  il  sentimento  dominante 
nell'animo  di  Lodovico,  e  non  penetra,  sembraci,  a  fondo  nell'animo 
di  quel  principe,  che  non  era  privo  di  senso  morale  (2).  Basterebbe  il 
sentimento  profondo  di  famiglia  a  provare  che,  se  molte  tenebre 
oscuravano  l'animo  di  Lodovico,  non  mancavano  gli  sprazzi  di 
luce.  Di  più  il  Moro  aveva  realmente  alcune  delle  doti  che  formano 
i  grandi  uomini  di  stato.  Il  Burckhardt  non  pare  trovi  giustificata 
la  «  venerazione  quasi  favolosa  che  gì'  italiani  mostravano  per 
la  sua  abilità  politica  ».  Premetto  che  non  è  il  caso  di  parlare  di 
venerazione.  11  Moro  in  generale  godeva  pessima  stima,  quanto  a 
carattere,  e  veniva  stimato  fors'anche  meno  moralmente  di  quel  che 
valesse  nella  realtà.  Ma  anche  intendendo  la  parola  venerazione  in 
senso  di  semplice  considerazione,  niun  dubbio  che  in  Lodovico  vi 
fossero  qualità  politiche  tali  da  meravigliare  gl'italiani.  Lo  stesso 
bisogno  di  fare  e  disfare  provava  l'esistenza  nel  Moro  della  qualità 
fondamentale  per  un  uomo  di  stato,  la  prontezza  nelle  risoluzioni 
Spesso  questa  prontezza  in  Lodovico  divenne  precipitazione,  come 
quando  per  timore  degli  Aragonesi  si  gettò  in  braccio  a  Carlo  Vili, 
senza  meditare  alle  conseguenze  :  talora  anche  venne  meno,  quando 
più  sarebbe  stata  utile.  Egli  tuttavia,  quando  si  accorse  che  la  ca- 
lata riusciva  ai  suoi  interessi  nefasta,  avrebbe  senz'altro  alzato 
le  armi,  se  Venezia  lo  avesse  sèguito:  ed  il  suo  voltafaccia  quando 

(i)  La  civiltà  del  Rinascimento  in  Italia,  traduzione  italiana  del 
prof.  D.  Valbusa,  nuova  ed.  accresciuta  per  cura  di  G.  Zippel,  Firenze, 
Sansoni,  1899,  voi.  I,  pp.  45-47. 

(2)  Per  mostrare  l'assenza  di  senso  morale  in  Lodovico,  si  è  ripe- 
tuto spesso  la  celebre  frase  da  lui  detta  a  Pietro  Alamanni  :  *  Ma  voi 
'  mi  parlate  di  questa  Italia  et  io  non  la  vidi  mai  in  viso  ,;  ViixARif 
Nicolò  Machiavelli  ed  i  suoi  tempi  (2.*  ed.),  Milano,  Hoepli,  1895,  voL  I, 
p.  535.  —  Si  consideri  che  quella  frase  è  una  semplice  spavalderia,  una 
delle  tante  che  uscirono  dalla  bocca  del  Moro,  e  colle  quali  egli  cercava 
di  nascondere  l'angoscia  dell'animo  suo.  La  lettera  dell'Alamanni  è  del 
30  marzo  1495,  pochi  giorni  dopo  l'arrivo  a  Milano  di  quella  scritta  da 
Carlo  Vili,  della  quale  parlammo.  Quanta  agitazione,  quante  paure  non 
dovevano  regnare  allora  nell'animo  di  Lodovico  1 


E    LA   REPUBBLICA   DI  VENEZIA  SÓI 

il  re  era  ancora  ai  piedi  delle  Alpi  o  già  nell'Italia  centrale,  sarebbe 
stato  quasi  certamente  profittevole  all'Italia.  Peccato  che  le  doti  del 
Moro  siano  state  offuscate  da  gravi  difetti  di  carattere  e  d' animo  I 
Bernardo  Bellincione,  uno  dei  poeti  cortigiani  di  Lodovico,  cantò 
che  «  D  Moro  ha  della  volpe  e  del  lione  E  non  tende  alle  mosche 
«  mai  la  rete  »  (i).  A  parte  l'adulazione  di  queste  parole,  il  Bellin- 
doni  non  esagerava  troppo.  Lodovico  poteva  ricordare  nella  sua 
prontezza  il  salto  del  leone  e,  nelle  intricate  vie  tenebrose,  di  cui 
si  serviva  per  raggiungere  la  corona  ducale,  la  volpe. 

Conchiudo:  Lodovico  il  Moro  ha  colpa  di  aver  incoraggiato  la 
calata  del  re,  unitamente,  o  spinto  da  Ercole  I  di  Ferrara,  per  usur- 
pare la  corona  ducale,  ma  non  ha  tutta  la  responsabilità  della  me 
desima.    Molta   parte,   moltissima   anzi,  spetta   alla  repubblica   di 
Venezia. 

Siamo  noi  usi  ad  esaltare  la  saggezza  politica  della  Serenis- 
sima nel  secolo  XV.  Studi  esaurienti  e  complessivi  sulla  politica 
di  Venezia  in  tale  periodo  mancano  tuttora,  sebbene  esistano  pre- 
gevolissime monografìe  parziali.  Nel  periodo  aureo  del  dogato  di 
Francesco  Foscari,  grande  uomo  di  azione,  la  Repubblica  ebbe  una 
grandiosa  politica  per  quanto  ispirata  sempre  a  criteri  egoistici  e 
ad  avidità  di  dominio,  che  le  attirarono  l' odio  universale.  Ma 
dopo  la  pace  di  Lodi,  dopo  i  rovesci  sofferti  per  le  armi  di  Fran- 
cesco Sforza,  dopo  la  caduta  di  Costantinopoli  e  la  strapotenza 
dei  Turchi  in  Europa,  infine  dopo  la  guerra  di  Ferrara,  la  Se- 
renissima, come  stanca  ed  umiliata  o  rattenuta  almeno  dalle  scon- 
fitte, iniziò  una  politica  indecisa,  lenta  di  azione,  che  è  in  asso- 
luto contrasto  colla  storia  sua  degli  anni  precedenti.  La  calata 
del  re  francese  la  sorprese  sul  punto  culminante  di  tale  politica 
nefasta.  Essa,  diciamolo  subito,  si  lasciò  sfuggire  l'occasione  di 
tener  lontano  il  re  dalla  penisola  con  altre  arti  che  non  quelle 
della  persuasione,  e  divise  col  Moro  la  responsabilità  delle  con- 
seguenze. Dopo  Fornovo  essa  riprenderà  l'antica  politica  attiva  con 
disegni  ciechi  di  espansione,  ma  non  favorita  dalle  condizioni  dei 
tempi,  commetterà  errori  gravissimi,  condurrà  i  francesi  a  Milano 
e   sé  stessa   sull'orlo  della   rovina.  Noi   la  sapienza   della  grande 


(i)  Dina,  Lodovico  Sforza  detto  il  Moro  e  Gio.  GaleasMo  Sforza  nel 
canzoniere  di  Bernardo  Bellincione  in  quest'  Arch.^  voi.  XI,  1884,  p.  723. 


202  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

Repubblica  non  è  provata  dai  fatti  che  si  succedono  tra  il  1494  ed 
il  1509!  (i). 

Nel  1493  Venezia  aveva  tenuto  contegno  prudentissimo.  Aveva 
resistito  a  lungo  contro  il  progetto  di  lega  accarezzato  dal  Moro,  con 
Milano  e  con  Roma,  solo  erasi  arresa  quando,  forse,  aveva  temuto 
rifiutando  di  gettare  lo  Sforza  tutto  in  braccio  al  re  di  Francia.  Ma 
nel  1494  la  sua  condotta  assunse  un  riserbo  eccessivo  (2).  Il  Moro, 
che  teneva  a  Venezia,  come  rappresentante  del  ducato  lombardo, 
Taddeo  Vimercato,  comunicava  alla  Signoria  quanto  gli  perveniva 
di  notizie  francesi,  ma  non  traeva  che  blande  parole  di  ringrazia- 
mento ed  espressioni  vuote  di  significato  (3).  Era  morto  Ferdi- 
nando I,  ed  il  pontefice,  Alessandro  VI,  inquieto  ed  imbarazzato 
sulla  condotta  da  tenere  verso  il  nuovo  re  di  Napoli,  Alfonso  li, 
ed  il  re  di  Francia,  chiese  consiglio  ai  suoi  collegati,  al  Moro  cioè 
ed  a  Venezia  Lodovico,  che  voleva  realmente  seguire  in  tutto  le 
orme  della  Repubblica,  a  sua  volta  interpellò  la  Signorìa  in  pro- 
posito. Al  Vimercato  il  doge  rispose  che  «  non  sapeva  più  que 
«  consigliare  né  dire  in  questa  materia  de  Franza,  ma  stare  a  vedere, 
u  et  secundo  quello  seguiria  et  più  ultra  se  intenderia  poi  consigliare 

(i)  Ducimi  di  non  condividere  Topinione  ottimista  del  Rambaldi, 
A//a  vigilia  di  un  fatto  grande,  (L'ambascieria  di  Zaccaria  Contarini  e 
Gerolamo  Leon,  inviati  straordinari  della  Repubblica  di  Venezia  a  MaS" 
similiano  I)  novembre  I4^j  •  marzo  1494^  Mantova,  Mondo  vi  e  fig.,  1901, 
p.  15.  L' egregio  professore  crede  ingiusta  l'accusa  "  di  indifferenza 
**  egoistica  ,  attribuita  a  Venezia  prima  e  durante  la  calata  di  Carlo  VIIL 
I  documenti  che  divulgherò  confermano,  come  si  vedrà,  il  severo  giu- 
dico. Sull'indole  della  politica  veneta  v.  qualche  utile  osservazione  in 
Pélissier,  Comment  a  grandi  Denise,  Montpellier,  Imprimerie  centrale 
du  Midi,  1901. 

(a)  Nel  febbraio  1493,  l'orator  fiorentino  a  Roma,  Filippo  Valori, 
dichiarava  che  Venezia  non  avrebbe  fatto  la  lega  "  per  non  alterare 
^  le  condictioni  d' Italia  »,  per  quanto  essa  assicurasse  il  pontefice  che 

•  mai  non  era  per  mancare  a  quella  Sancta  Sede,  né  comportare  che 
in  una  minima  parte  fussi  offesa  „.  Il  a8  febbraio  però  il  Valori  stesso 
avvertiva  :  •  Torator  veneto  significò  al  papa  come  la  Sua  IIL™*  Signoria, 
^  dopo  molte  consulte,  s'era  risoluta  al  Consiglio  de'  Pregadi  di  venir  alla 
**  lega  con  questa  sancta  sede,  et  ancora  era  contenta  che  in  questa  lega 

*  vi  intervenisse  lo  Stato  di  Milano  ,.  Questi  dispacci  furono  editi  dal 
Thuasne,  Diarium  Burcardi,  il,  pp.  630,  636  (appendice).  Sul  trattato 
v.  Sanitto,  Vite  dei  duchi,  ecc.,  fol.   125. 

(3)  Così  appare  dall'  interessante  carteggio  del  Vimercato,  v.  Ar- 
chivio di  Stato  di  Milano.  Potenze  estere,  Venezia,  I494-95. 


E   LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  263 

M  e  dire  :  subiungendo  che  forse  che  adesso  chel  re  Ferrando  è  man- 
u  chato,  le  cose  prenderiano  qualche  meliore  forma  ».  Non  era  ri 
sposta  che  appagasse,  ma  il  doge,  desideroso  assolutamente  di  non 
compromettersi,  continuò  divagando  sulle  bellezze  d'Italia,  sulla 
felice  posizione  che  metteva  la  penisola  al  riparo  per  terra  e  per 
mare,  finché  dovendo  conchiudere  disse  nettamente  al  Vimercato 
tt  che  in  queste  cose  de  Pranza  il  Moro  melio  la  saperia  consi- 
«  gliare  cha  loro,  per  intenderle  anche  melio,  et  bavere  presso  quello 
u  Chr."»**  re  soi  oratori  ».  Ritenere  la  Serenissima  che  tutti  i  principi 
italiani  fossero  unanimi  nel  desiderio  di  pace  —  «  Certo  »  replicò  il 
Vimercato,  «  Lodovico  è  deciso  a  voler  tranquilla  Italia  pur  che  la 
tt  potesse  cum  salutatione  del  stato  suo;  sapendo  questa  Ill.^a  S."*  la 
«  gran  comodità  ha  el  re  de  Francia  de  turbarlo,  quando  essa  V.  Ex. 
u  se  gli  volesse  opponere  e  demonstrarseli  contra  »  (i).  Ma  non  fu 
possibile  trar  altro.  Il  Moro  era  in  quei  giorni  inquieto  sulle  inten- 
zioni di  Alfonso  II,  parendogli  che  a  Napoli  si  ostentassero  legami 
con  Venezia  e  con  Firenze  ostili  a  suo  riguardo.  Alle  osservazioni 
del  Vimercato  il  doge  «  cum  una  cera  prompta  et  molto  alegra, 
essendosi  quasi  in  pedes  elevato  verso  l'oratore  (2),  dise  le  formale 
parole:  Ambasciatore,  quando  questa  Signoria  promette  una  cosa 
è  stabile  et  firmissima,  né  cum  arte  et  altre  trovate  se  pò  infrin- 
gere,  né  removere.  La  S.*^  de  N.  S.  el  stado  de  Milano,  Questa 
S."*,  la  quale  ha  lo  111.™°  S.^*  Ludovico  S.»"«  vostro  per  fiolo  Car.*"® 
sono  insiema  coniuncti  de  tale  benivolentia,  Confederatione  et  vin- 
culo,  che  homo  del  mondo  non  li  potria  solvere,  né  arte  umana 
li  porla  seminare  non  solo  discordia,  ma  neanche  una  minima 
suspitione,  né  de  questo  bixogna  dubitare,  trovaseno  pur  quale 
arte  se  voliano  ».  E  ripetè  le  speranze  di  pace  e  la  fiducia  che 
la  tranquillità  della  penisola  non  venisse  meno.  Eppure  gli  avve- 
nimenti seguivano  il  loro  corso.  Carlo  Vili  chiedeva  a  Firenze 
300  lancie,  1000  fanti  e  6  galere  per  la  sua  spedizione  italica.  11 
Moro,  nemico  di  Pietro  de'  Medici,  all'  oratore  di  Firenze  che  gli 
chiedeva  consìglio,  si  trincerò  dietro  assoluto  silenzio  (3),  non  es- 
sendo certo  che  la  sua  risposta  positiva  o,  come  pare  avrebbe  de- 

(i)  Id.  Vimercato  a  Lodovico.  Venezia,  7  febbraio  1494. 

(2)  Id.  altra  lettera  dello  stesso  giorno. 

(3)  Id.  Lodovico  al  Vimercato,  Vigevano,  13  febbraio  1494.  Cioè  ri- 
spose che  •  ce  pareria  usare  tropo  presumptione  et  tore  tropo  carico 
*  quando  li  volessimo  dare  Consilio  ^, 


E  LA  REPUBBLICA  DI  VENEZIA  265 

giorni,  il  Moro,  spaventato  dalla  lega  del  papa  col  re  Alfonso, 
aveva  invitato  Carlo  Vili  a  mandare  innanzi  le  sue  truppe  (i). 
Era  una  sventura  che  in  quei  momenti  in  cui  tutte  le  forze  italiche 
avrebbero  dovuto  concorrere  all'allontanamento  del  pericolo  comune, 
i  principi  della  penisola  facessero,  ognuno  dal  canto  suo,  il  possi- 
bile per  rovinare  la  patria  comune.  Si  spargeva  anche  la  voce  che 
il  marchese  di  Mantova,  Francesco  Gonzaga,  il  quale  stava  agli  sti- 
pendi della  Serenissima,  andasse  a  Napoli,  con  licenza  di  Venezia, 
per  servire  il  re  aragonese.  Questa  notizia,  per  quanto  priva  di 
fondamento  (2),  e  che  traeva  sola  base  dall'invito  che  il  re  Alfonso 
aveva  rivolto  al  Gonzaga  d'intervenire  alla  sua  incoronazione  (3), 
contribuì  certo  ad  alterare  Lodovico  (4).  Alfonso  armava  e  Lodo- 
vico faceva  ancor  esso  preparativi  guerreschi.  N'avvertì  però  la 
Signoria  veneta,  ed  il  doge  per  tutta  risposta  disse  al  Vimercato 
che  tali  avvenimenti  gli  piacevano  «  perchè  questa  111."»*  S."*  per 
«  la  mutua  amicicia,  benivolentia  et  confederatione  teneva  per  firmo 
«  de  possersene  così  valere  in  uno  suo  proposito  et  bisogno,  come 
«  de  le  proprie  »  (5). 

Qualche  apparecchio  fece  pure  la  Signoria  (6),  ma  di  scarsa 
entità,  ed  in  conclusione,  per  quanto  il  Moro  insistesse  sull'immi- 
nente calata,  sulle  ostilità  del  papa  a  suo  riguardo,  il  doge  ripetè 
sempre  che  la  Repubblica  badava  a  conservar  la  pace  e  che  sapeva 
avere  il  pontefice  uguali  sentimenti  (7).  Allora  voci  strane  e  sug- 
gestive circolarono  :  si  disse  che  Venezia  aveva  promesso  soccorso 
al  re  di  Napoli  (8),  le  genti  del  quale  movevansi  apertamente  con- 


(i)  Delaborde,  op.  cit.,  p.  308. 

(2)  V.  Arch.  di   Stato   di   Milano,   Potenze  estere,  Venezia   1494-95, 
Vimercato  al  Moro.  Venezia,  3,  5  e  15  aprile  1494. 

(3)  Arch.  stor.  Gonz.,  E,  Esterni^  n.  XXIV,  n.  3,  b.  807  (1491-98),  Stanga 
aJ  Marchese,  Napoli,  11  aprile  1494;  v.  sull* incoronazione  di  Alfonso  II, 
SuMMONTE,  Istoria  di  Napoli,  libro  VI,  cap,  1  ;  Percopo,  Notizie  della  co- 
ronazione d'Alfonso  II  d'Aragona  in  Arch,  storico  per  le  Provincie  Na- 
poletane, XIV,  1889,  p.  140-43. 

(4)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  loc.  cit,  Lodovico  al  Vimercato,  Mi- 
lano, 30  marzo,  i494- 

(5)  Id.  Vimercato  a  Lodovico,  Venezia  2  aprile  1494. 

(6)  Id.  Venezia,  3  aprile  1494. 

(7)  Id.  Venezia,  5  aprile  X494. 

(8;  Id.  Venezia,  5  aprile  1494  (altra). 


266  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

tro  Lodovico.  £  questi  non  contento  di  reclamare  dalla  Signoria 
smentita  alle  voci,  temendo  che  le  genti  del  re  di  Francia  fossero 
più  tarde  delle  napoletane,  chiese  quali  soccorsi  gli  avrebbe  Ve- 
nezia accordato  ove  Alfonso  dalla  minaccia  fosse  passato  all'azione. 
La  Repubblica  era  unita,  come  vedemmo,  fin  dal  1493,  in  lega  col 
Moro  e  col  Papa,  né  si  poteva  schermire.  Sicché  il  doge  promise 
al  Vimercato  che  in  caso  di  pericolo  le  genti  venete  sarebbero 
accorse  a  difesa  della  Lombardia  (i).  Ma  Tassicurazione  giungeva 
tarda  e  non  accompagnata  da  provvedimenti  che  persuadessero. 
Le  vive  insistenze  del  re  francese  perché  Lodovico  mandasse  alla 
corte  Galeazzo  di  Sanseverino  ed  aderisse  in  modo  definitivo  alla 
politica  francese  (2),  la  lega  tra  il  papa  ed  Alfonso  dall'altra,  che 
fece  aumentare  la  paura  al  Moro  (3),  decisero  questo  al  passo 
supremo.  Galeazzo,  dopo  lunghi  indugi,  fu  inviato  alla  corte  di 
Francia  (4):  Lodovico  fu  avvinto  completamente  al  re  ambizioso 
e  potentissimo.  Si  sarebbe  detto  che-  la  fatalità  volesse  assoluta- 
mente imperversare  sulla  nostra  sventurata  patria!  Non  pare  in- 
fatti che  il  re  Alfonso  nei  legami  stretti  col  papa  avesse  in- 
tenzioni materialmente  ostili  contro  Lodovico.  Egli  ed  il  Fontano 
dicevano  agli  oratori  di  Pietro  de'  Medici,  che,  com'è  noto,  seguiva 
la  politica  del  padre  suo,  il  Magnifico,  di  concordia  ed  amicizia 
cogli  Aragonesi,  essere  bene  «  fare  ogni  opera  e  usare  ogni  dili- 
genza di  non  lasciare  venire  il  signor  Lodovico  in  desperatione  -. 
Ed  il  Moro  infatti,  prima  che  si  firmasse  la  lega,  aveva  lasciato 
sperare    a    Napoli    che  le  difficoltà   da    parte    sua    non    sarebbero 


(i)  Id.  "  ....  che,  benché  male  se  potesseno  persuadere  chel  S.«  re 
"  di  Napoli  havesse  tale  animo,  nò  volesse  venire  a  tali  effetti,  che  non- 
"  dimeno,  come  recercava  la  coniunctione  indissolubile,  amicicia  et  liga, 
"  le  quale  haveno  cum  el  Stato  de  Milano  et  la  Ex.  V.,  quando  pur  el 
"  caso  occu  resse  non  erano  per  fnanchare  de  omne  succorso  opportuno  verso 
"  epso  Stalo  de  Milano  et  la  persona  in  spetie  de  la  Ex.  V.,  la  quale  hanno 
•  sempre  amata  et  ameno,  comò  bono  fiolo  ;  estendendosi  cum  parole  ci 
'*  termini  tanto  ampli  et  gaiardi,  che  più  non  mi  pare  posseseno  dire, 
"  dicendo  apresso  chel  medesimo  fariano  per  la  Ex.  V.  senza  liga  per  la 
"  coniunctione  hanno  cum  lei  „. 

(2)  Delaborde,  op.  cit.,  p.  310. 

(3)  Id.,  p.  341. 

(4)  Id.,  p.  341,  Archivio  di  Stato  di  Milano,  Potenze  estere,  Venezia, 
loc.  cit.,  Vimercato  a  Lodovico,  Venezia,  9  aprile  1494. 


1 

j 


E   LA   REPUBBLICA    DI   VENEZIA  267 

mancate  alla  calata  francese  (i).  Ogni  speranza  di  pace  invece 
svaniva  ed  Alfonso,  convinto  essergli  ostile,  senza  ritegno  alcuno, 
il  duca  di  Bari,  si  lasciava  andare  alla  manifestazione  pubblica 
del  suo  sdegno  (2).  U  esercito  napoletano,  avviato  verso  V  Italia 
superiore,  non  nascondeva  che  il  piano  di  guerra  doveva  consistere 
neir  occupazione  della  Lombardia. 

Allora  dopo  si  lunga  dimostrazione  di  neutralità,  dopo,  tanta 
rìtenutezza,  la  Republica  veneta,  che  respingeva  in  quei  giorni 
con  bella  forma  le  grandiose  profferte  del  signor  di  Cytain,  amba- 
sciatore francese  (3),  mentre  scendevano  truppe  al  di  qua  delle 
Alpi,  fece  al  Vimercato  solenne  invito  perchè  distogliesse  il  Moro 
dalle  pratiche  con  Carlo  Vili,  e  così  venisse  meno  la  temuta  inva- 
sione. In  risposta  il  Moro  declinò  ogni  responsabilità.  Avere  egli 
comunicato  sempre  ogni  cosa  alla  Signoria:  eppure  mai  essere 
stato  creduto.  Ora  le  genti  francesi  calavano.  Quale  colpa  era  la 
sua,  se  la  duchessa  di  Savoia,  Bianca  di  Monferrato,  ed  i  marchesi 
di  Monferrato  e  di  Saluzzo  lasciavano  aperte  le  vie  di  qua  delle  Alpi? 
«  Non  sapemo  al  presente  »  scriveva  (4)  «  che  remedio  li  possiamo 
«  portar,  quando  non  se  volessemo  mettere  in  manifestissimo  peri- 
«  colo,  perchè  havendoli  questi  signori,  quali  confinano  con  questo 
«  stato,  dato  passo  et  stantie,  demostrando  esser  tuti  del  X.™®  re,  si 
«  tirariamo  alle  «palle  nostre  questo  poco,  elquale  tanto  più  ne  seria 
«  periculoso,  quanto  che  in  la  corte  de  la  M.^^  sua  se  li  ritrovano 
«  de  queli  che  ne  sono  inimici  et  desiderarìano  che  fosse  mossa  guerra 


(i)  Desjjirdins,  Nigoc,  diplom,  de  la  France  avec  la  Toscane,  I,  449-50* 
Dionigi  Pucci,  Angelo  Nìccolini  e  Pierfilippo  Pandolfini  a  Pietro  de*  Me- 
dici, Napoli,  II  aprile  1494. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Potenze  estere,  Venezia,  loc.  cit.  Lo- 
dovico al  Vimercato.  Vigevano,  3  giugno  1494.  Re  Alfonso,  per  mostrare 
la  sua  ostilità,  ha  imposto  al  conte  di  Caiazzo,  che  è  a  nostro  servizio, 
di  rientrare  nel  reame  senza  indugio.  ^  11  Vimercato  a  Lodpvico.  Ve- 
nezia, 14  luglio  1494.  Ha  comunicato  alla  signoria  le  ostilità  del  re  coll'in- 
tercettare  di  continuo  la  corrispondenza  indirizzata  al  Moro  da  Roma. 

(3)  De  Ch£Rrier,  Histoire  de  Charles  yill  rat  de  France^  voi.  I, 
Paris,  Didier  et  C,  j868,  p.  400-401;  Delaborde,  p.  301.  Sul  de  Cytain 
a  Venezia  v,  Arch.  di  stato  di  Milano,  loc  cit.,  Vimercato  a  Lodovico, 
Venezia,  3,  4  maggio  1494  e  Lodovico  al  Vimercato,  i  maggio  1494, 
7  giugno  1494. 

(4)  Id.,  Lodovico  al  Vimercato.  Vigevano,  28  maggio  1494. 


a68  LODOVICO  sforza,  detto  il  iIoro, 

«  centra  noi.  Gli  è  anchora  un  altra  cosa,  alla  quale  bisogna  che  ad- 
ii vertiamo,  che  la  M.^^  sua  per  la  vicinità  et  oportunità  quale  ha 
Il  de  Proventia,  ne  poterìa  anche  portar  grande  travaglio  alle  cose 
u  de  Genova,  et  meterle  in  manifestissimo  periculo.  Si  che  non  ve- 
«  demo  che  se  possi  dir  questo  zoso  noi,  essendo  già  stato  da  noi 
«  antiveduto  et  pensato  a  quello  se  gli  posseva  remediar,  corno  se 
«  persuaderne  che  anche  quella  I11.<b*  S.^*  per  la  singolare  sapientia 
«  sua  et  per  lamore  paterno  che  la  ce  porta  judicava  die  noi  al 
«  presente  se  potessemo  governar  altremente,  cum  la  qual  ricercando 
u  però  con  la  observation  nostra  figliale  siamo  molto  contenti  de  oon- 
«  sigliarse  in  questo  caso,  corno  voressimo  anche  far  in  tutte  le  altre 
«  cose  if.  E  certo  data  la  situazione  d'allora  il  ragionamento  del  Moro 
non  faceva  una  grinza!  Il  Vimercato,  conforme  agli  ordini,  eaegid 
l'ambasciata  «  chiedendo  la  Signorìa  desse  consiglio  »  e  n'ebbe  ri- 
rìsposta  uguale  alle  precedenti  con  un'  aggiunta  che  pur  suonava 
rimprovero.  Il  doge  cioè,  dopo  essersi  schermito  drca  il  consi- 
gliare, osservò  sorrìdendo  che  «  quando  el  medico  prudente  et 
M  pratico  vede  lo  Infirmo  grave,  cum  qualche  diversione  sa  ali- 
li quando  liberare  »,  e  ch'egli  vedeva  dall'invasione  francese  sorgere 
infiniti  guai  per  l'Italia.  «  Consigliateci  dunque!  »  esdamò  per 
la  centesima  volta  il  Vimercato.  «  Al  che  subito  Sua  sublimità  re- 
tt  spose  che  dio  ne  ha  lassato  el  libero  arbitrìo,  accignando  die  è 
«  in  dispositione  de  li  S/»  del  mondo  de  trovare  asseto  a  queste 
u  cose,  la  cui  M.^^  pregava  a  mettere  in  core  a  ciaschuno  de  fare 
«  quello  fosse  per  el  melio  »  (i).  Ma  Lodovico  pareva  volesse  met- 
tere al  punto  la  Signoria.  Ogni  mossa  del  re  francese  egli  comu- 
nicava a  Venezia;  T  arrivo  a  Lione  del  turbolento  cardinale  di  San 
Pietro  in  Vincoli,  Giuliano  della  Rovere,  le  accoglienze  prìncipe- 
sche  del  re  al  porporato  ribelle  verso  il  capo  della  crìstianità  (s), 
i  preparativi  regi  in  Italia  (3),  il  viaggio  disegnato  di  Carlo  in  Bor- 

(i)  Id.,  Il  Vimercato  a  Lodovico.  Venezia,  3  giugno  1494.  —  Lodo- 
vico al  Vimercato.  Vigevano,  6  giugno  1494. 

(2)  Id.,  Venezia,  16  giugno  1494.  —  Sull'accoglienza  del  cardinale 
in  Francia  e  nelle  vicende  romane  in  quei  giorni,  v.  Delaborde,  op.  dlL, 
p.  347  e  sgg.  ma  specialmente  Pastor,  op.  cit.,  Ili,  334-26. 

(3)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  loc.  cit,  Lodovico  al  Vimercato,  Vìg^ 
vano,  7  giugno  1494.  Dite  alla  Signoria  che  il  re  ha  fatto  pagare  fl 
conte  di  Caiazzo,  il  s/  Rodolfo  Gonzaga,  Gio.  Francesco  Gonzaga  ed  ii 
s.'  Galeotto  per  500  uomini  d'arme  che  voleva  in  pronto  per  suo  servizio. 


E   LA  REPUBBLICA  DI  VENEZIA  269 

gogna  (i),  r  arrivo  in  Italia  ed  il  viaggio  del  duca  d' Oriéans  a 
Genova  (2).  Sicché  il  Doge,  stretto  dall'evidenza  dei  fatti,  non 
trovò  più  altro  argomento  che  insistere  sulle  intenzioni  pacifiche 
del  re  Alfonso  verso  Lodovico  (3).  Alfonso  dal  canto  suo  implo- 
rava daUa  Signoria  una  dichiarazione  in  favor  suo  quando  fossero 
calati  i  francesi  (4).  Venezia  durava  fatica  a  trincerarsi  nell'  in- 
credulità e  nelle  semplici  dichiarazioni  di  nessuna  conseguenza. 
Quando  ai  primi  di  luglio  l'esercito  francese,  notevole  di  numero 
si  concentrava  in  Asti  ed  il  re  annunziava  imminente  il  suo  arrivo, 
i  freddi  diplomatici  veneziani  non  nascosero  il  loro  malcontento 
verso  Lodovico,  a  cui  attribuivano  gran  parte  nella  decisione  regia. 
Il  Vimercato  scusava  coi  soliti  argomenti  il  suo  signore.  Poteva  il 
Moro,  osservava  egli,  fronteggiare  il  re  od  esporsi  senza  difesa 
air  invasione  dei  napoletani?  «  Ben  »  esclamava,  «  posito  che  lo 
u  Ill."o  Sj^  mio,  quale  ha  forse  et  senza  forse  recevuti  molti  dispia- 
«  ceri  dal  re  Alfonso  et  da  altri, ....  facesse  qualche  cosa  contra  loro 
u  [Francesi],  za  che  per  questo  non  fa  dispiacere,  né  danno  a  questa 
«  S."*,  ne  manca  del  filiale  amore  chel  li  porta  »?  Ed  al  solito  i  Ve- 
neziani non  lo  seguivano,  né  rispondevano  ai  suoi  argomenti  troppo 
incalzanti  (5).  Non  era  per  amore  di  Alfonso  che  Venezia  mostrava 
ripugnanza  alla  calata,  ma  il  timore  che  all'invasione  francese  se- 
guissero conseguenze  di  ben  maggiore  entità,  che  non  avesse  la 
calata  regia  in  sé  stessa  (6). 

Tutti  questi  fatti  ci  guidano  a  conclusioni  assai  sfavorevoli  per 
la  potente  Repubblica.  Se  Venezia  esteriormente  mostrava  di  non 
credere  alla  calata  (7),  i  documenti  provano  che  al  contrario  essa 


(i)  Id.  Il  Vimercato  a  Lodovico,  Venezia,  16  giugno  1494* 

(2)  Id.  Venezia,  25  giugno  1494. 

(3)  Id.  * essendo  [il  Doge]  poi  restato  cum  qualche  admiratione 

cum  li  ochij  fìxi  ne  lì  savij  grandi.  » 

(4)  Id.  Lodovico  al  Vimercato,  Vigevano,  26  giugno  1494, 

(5)  Id.  Il  Vimercato  a  Lodovico,  Venezia,  io  luglio  1494. 

(6)  Desjardins,  op.  cit.,  I,  501.   Gio.  Battista  Ridolfì   e  Paolo  An- 
tonio Soderini  a  Pietro  de  Medici,  Venezia,  5  agosto  1494. 

(7)  Ed  in  ciò  ingannò  bene  il  pubblico*  —  Malipiero,  Annali cìt.,  p.  328: 

•  La  Signoria  non  ha  mai  vogiù  creder  che  francesi  vegnìsse  in  Italia, 

•  e  '1  consegio  de  pregai  era  si  fisso  che  il  re  non  dovesse  calar,  che  '1 

•  no  voleva  dar  fede  a  ì  avisi  de  quel  regno,  e  non  voleva  creder  né 

•  aldir  quei  che,  consegiando  la  terra,  mostrava  de  crederlo  „;  Sanuto, 


270  LODOVICO   SFORZA,   DETTO  IL   MORO, 

non  poteva,  dalla  primavera  del  1494,  averne  dubbio.  Ed  allora 
perchè  simulare  incredulità?  Perchè  lo  scetticismo  nell*  invasione 
era  buon  argomento  per  respingere  le  domande  suggestive  di  al- 
leanza che  da  Milano,  da  Napoli,  da  Roma,  dalla  Francia  le  perve- 
nivano. Per  conservare  le  mani  libere  era  conveniente  mostrarsi 
increduli,  e  Venezia  fu  abilissima  in  questa  linea  di  condotta.  Il 
pubblico  prestò  fede  alla  sua  incredulità,  ma  gli  avvenimenti  sto- 
rici dimostrano  che  fu  una  politica  nefasta,  ed  il  partito  egoistico 
che  dopo  Fornovo  la  Repubblica  trasse  dalle  sventure  italiane  po- 
trebbe generare  il  sospetto  che  fin  da  quei  giorni  Venezia  non  di- 
sperasse di  trar  vantaggio  dalle  conseguenze  della  calata. 

Anche  il  re  Alfonso  ostentava  di  non  credere  alla  calata.  Esso 
ancora  neir  aprile  del  1494,  invitando  il  marchese  di  Mantova  alle 
feste  della  sua  incoronazione,  diceva  ridendo  all'oratore  mantovano, 
Girolamo  Stanga,  essere  bene  che  il  marchese  andasse  senza  indugi 
«  a  vedere  e  godersi  quel  regno  qualche  mese  prima  che  franzosi 
u  lo  gazassero  »  (i).  E  non  era  solo  nello  scetticismo  il  re  napoletano! 


La  spedizione,  ecc.,  p.  57,  "  ....  Tamen  non  era  creto  mai  el  re  in  per- 
"  sona  venir  dovesse  »;  Desjardins,  op.  cit,  I,  500,  503-5.  Ridolfi  e  Sode- 
rini  aPietro  de  Medici.  Venezia,  5  e  12  agosto   1494.   —    È   certo  che 
prima  deiraprile  1494  molti  della  Signoria  realmente  dubitarono  della  ca- 
lata, sebbene  altri  già  nei  primi  delPanno  fossero  convinti  della  cosa.  V. 
Archivio  di  stato  di  Milano,  loc.  cit.,  Venezia,  11  febbraio  1494.  Antonio 
Valier,  senatore  di  grande  autorità,  al  cancelliere  del  Vimercato  in  se- 
nato disse  in  un  orecchio:  "  La  niagiore  parte  de  li  nostri  non  credeno 
"  che  le  cosse  de  Francia  de  venire  in  Italia  debeno  andare  inante.  Io 
"  le  strecrcdo;  et  poria  adure  molte  rasone,  perchè  anderano  inante;  né 
"  obsta  che  fin  qui  non  sijno  facti  alcuni  preparamenti,  perchè  non  passa 
"  el  tempo  et  se  farano  presto;  ma  procedendo  el  stato  de  Milano  cum 
"  questa  S.ria  cum  bona  et  vera  Intelligentia  come  fano,  pocho  havemo 
"  a  dubitare.  „  Tuttavia  Girolamo  Zorzi,  già  oratore  in  Francia,  circa  i 
preparativi  della  calata  diceva  "  chel  metteria  la  testa    che    non  ande- 
"  rieno  hiante  et  che  se  resolverieno  al  fine  in  fumé.  „  Ma  lo  scetticismo 
veneto  di  cui  parlò  Antonio  Salimbene,  sei  mesi    dopo  era,  non   v*ha 
dubbio,  solo  più  una  finzione  (Arch.  storico  Gonzaga,  loc.  cit.,  Venezia, 
4  agosto  1494). 

(i)  Arch.  stor.  Gonzaga,  E,  esterni,  n.  XXIV,  n.  3,  b.  807  (1494-98). 
Stanga  al  marchese,  Napoh',  11  aprile  1494.  Questo  invito  generò  la 
voce  che  il  marchese  volesse  andare  ai  servizi  di  Alfonso  (v.  p.  9-10). 
Suir  incoronazione  di  re  Alfonso  fatta  poi  a  Napoli  il  dì  8  maggio  dal 
card.  Giovanni  Borgia,  v.  Pastor,  op.  cit.,  Ili,  324. 


E   LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  27I 

Della  venuta  in  persona  del  re  di  Francia  T  universale  dubitava 
sinceramente  e  forse  dubitavano  anche  Lodovico  il  Moro,  che  cer- 
cava, in  apparenza  almeno,  di  togliere  le  possibili  difficoltà  alla 
calata  (i),  ed  il  re  dei  Romani  Massimiliano,  che  prometteva  nel 
giugno  di  quell'anno,  agli  ambasciatori  francesi  «  de  non  impedirli 
ne  la  impresa  del  Reame  »  (2).  I  Napoletani,  persistettero  neirin- 
credulità  finché  il  re,  si  può  dire,  non  fu  giunto  in  Lombardia. 
Il  duca  di  Calabria,  Ferdinando,  che  nell'autunno  del  1494  scara- 
mucciava coll'esercito  francese  in  Romagna,  il  4  ottobre,  dopo  uno 
scontro  fortunato  (3),  ad  un  barone  francese,  caduto  prigioniero 
chiese  ancora  se  Carlo  Vili  era  proprio  al  di  di  qua  delle  Alpi. 
11  barone  rispose  non  esservi  dubbio,  e  che  il  re  di  giorno  in  giorno 
doveva  apparire  in  Lombardia  (4).  Ed  infatti  Carlo  Vili  da  circa  un 
mese  era  giunto  ad  Asti  !  Tanto  tarde  ed  incerte  pervenivano  al- 
lora le  notizie  !  Finalmente  la  venuta  del  re  si  propagò  con  mera- 


(i)  Calvi,  Bianca  Maria  Sforza  Visconti  e  gli  ambasciatori  di  Lodovico 
il  Moro  alla  corte  cesarea,  p.  56-58.  Lettere  del  Brasca  e  del  Belgìoioso. 

(2)  Calvi,  op.  cit,  p.  65;  Ulmann,  Kaiser  Maximilian  1  auf  urkundlicher 
Grundlage  dar  gestellt,  voi.  I,  Stuttgart,  1884,  p.  270;  Di-laborde,  op.  cit, 
pp.  266-67. 

{3)  Di  questo  successo  fecero  gran  caso  i  napoletani.  In  realtà  si 
trattava  di  una  scaramuccia  di  minima  importanza,  v.  Desjardins,  op.  cit, 
I,  452,  Filippo  Valori  a  Pietro  de'  Medici.  Napoli,  4  ottobre  1494.  p.  516. 
Soderini  a  Pietro.  Venezia,  27  settembre  1494. 

(4)  Pasolini,  Caterina  Sforza,  voi.  1,  Roma,  1893,  p.  341-45.  —  Fi- 
renze, assai  bene  informata  delle  novità  d'oltr'Alpe,  non  aveva  mai 
dubitato  della  calata.  Anzi  Pietro  de*  Medici  coU'instare  di  continuo  per- 
chè il  Moro  non  facesse  più  intrighi  col  re  di  Francia,  se  Tera  del  tutto 
im'micato.  Curioso  il  rimprovero  ed  il  consiglio  che  da  Tours  il  vescovo 
d'Arezzo,  Gentile  Becchi,  ambasciatore  in  Francia,  non  risparmiava  al 
suo  signore,  il  23  gennaio  1494  (Desjardins,  I,  359).  "  Che  state  voi  ad 
avvertire  il  signor  Lodovico  del  pericolo  in  che  T  mette  sé  e  altri? 
Credete  voi  che  non  lo  conosca?  Farete  che  v'andrà  più  ostinato,  per 
parere  di  non  bavere  errato,  o  manderà  qua  vostre  lettere.  „  Conten- 
tatevi di  tenervelo  non  ostile,  e  non  scopritevi  pel  re  di  Napoli.  Il  re 
Alfonso  dubitò  fino  all'autunno  dello  stesso  anno.  Egli  infatti  riteneva 
non  indispensabili  gli  aiuti  immediati  di  Spagna,  bensì  che  vi  fosse  tempo 
fino  all'anno  seguente,  v.  Barone»  Notizie  storiche  raccolte  dai  f<egistri 
Curiae  della  Cancelleria  Aragonese  in  Arch.  storico  per  le  Provincie  na* 
poletane,  XIV,  1889,  p.  187,  189,  193,  Alfonso  li  alla  regina  madre.  Celle, 
6,  14,  agosto,  e  14  settembre  (da  Terracina). 


272  LODOVICX)  SFORZA,  DETTO  IL  MORO, 

viglia  grande  di  tutta  la  Romagna.  E  del  resto  nessuno  poteva 
supporre  tanta  tenacia  di  propositi  in  un  re  che  due  illuminati  am- 
basciatori come  Zaccaria  Contarini  ed  Andrea  Capello  avevano  de- 
scritto come  deficiente  d'animo  e  di  corpo  (i). 

III. 

Non  è  mia  intenzione  seguire  la  calata  del  re  e  fame  la  nar- 
razione, nonostante  siano  reperibili  ancora  nuovi  documenti  e  par- 
ticolari degni  d'essere  conosciuti.  Mio  scopo  è  solo  di  illustrare  le 
relazioni  tra  il  Moro  e  Venezia  fino  al  compimento  della  l^a  ita- 
lica contro  Carlo  Vili  ed  al  ritorno  di  questo  dall'Italia  meridionale. 
Lodovico  ebbe  taccia  di  traditore  dai  francesi  :  noi  vedremo  che  il 
mutamento  suo  fu  solo  la  naturale  evoluzione  dei  sentimenti  ma- 
nifestati fino  dal  I494«  Un  prezioso  codice  marciano,  in  gran  parte 
inesplorato  (2)  e  nuovi  documenti  d'archivio  ci  permetteranno  di 
seguire  il  Moro  e  Venezia  in  quei  giorni  così  importanti  nella  storia 
d'Italia,  e  dare  forse  nuova  luce  alla  figura  singolare  e  drammatica 
del  figlio  di  Francesco  Sforza  ed  alla  politica  veneziana  sulla  fine 
del  secolo  XV. 

Nel  luglio  1494  era  ambasciatore  della  Serenissima  presso  il 
Duca  lombardo  Giorgio  Pisani,  (3)  quando  Lodovico,  che  i  prepa- 
rativi francesi  ad  Asti  e  Genova  avevano  mosso  da  Milano  ad  Ales- 
sandria, gli  mandò  invito  di  recarsi  al  suo  fianco.  II  Pisani  non 
seppe  respingere  la  domanda,  e,  pur  informandone  la  Signoria, 
soddisfece  il  Moro.  Il  riserbo  suo  corrispondeva  ai  sentimenti  della 

(i)  RoMANiN,  Storia  docum.  di  Venezia f  V,  13;  Alberi,  Le  relamom 
degli  ambasciafori  veneti  ai  Senato  durante  il  secolo  XVI^  serie  1*, 
voi.  IV,  Firenze,  1860,  p.  15-16. 

(a)  Bibl.  Naz.  Marciana  di  Venezia,  Manoscritti  italiani,  classe  7.', 
cod.  DXLVIl  (del  sec.  XV).  ■  Registnim  litterarum  M.conini  D.  Sebastiani 
•  Baduario  equitis  et  Benedicti  Trivisano  oratonim  ad  Dl.ninni  D.  Ducem 
'  Mediolani,  1494.  De  mense  Novembris  Die  XXL  ,  Le  lettere  del  Badoer 
servirono  molto  al  Sanuto.  D  codice  poi  fu  conosciuto  dal  Romanin,  op. 
cit.,  V,  50-58,  che  utilizzò  7  dispacci.  Ma  esso  ne  contiene  duecento.  (È 
legato  in  mezza  pergamena  dì  carte  numerate  ao6,  dimensioni  con  le- 
gatura 0,32  X  Ot^^  senza  legatura  0,305  x  0,205). 

(3)  Trovavasi  presso  il  Moro  dall'ottobre  1493,  v.  Ardi,  ston  Gon« 
zaga,  loc.  cit,  Sahmbene  al  marchese,  Venezia,  18  ottobre  1493. 


E   LA  REPUBBLICA   DI  VENEZIA  273 

Repubblica,  desiderosa  di  evitare  ogni  atto  dal  quale  il  pubblico 
potesse  arguire  qualche  ipotetico  accordo  del  governo  veneto  col- 
rambizioso  principe.  Elssa,  pur  non  disapprovando  il  viaggio  del 
Pisani,  raccomandò  al  suo  oratore  di  non  varcare  per  motivo  al- 
cuno i  confini  del  ducato  lombardo  anche  se  Lodovico  ne  fosse 
uscito,  tanto  meno  poi  di  seguire  l'irrequieto  principe  a  Genova  (i), 
dove  si  facevano  i  preparativi  per  la  flotta  di  Carlo  Vili. 

Ed  affinchè  Tastensione  fosse  anche  più  evidente  venne  man- 
dato ordine  a  Paolo  Trevisan,  oratore  presso  Alfonso  II,  il  quale 
già  aveva  finto  un'  indisposizione  per  rimanere  a  Napoli,  di  non 
uscire  anch'  esso  per  qualunque  motivo  dallo  stato  napoletano  (2). 
O  Pisani  ebbe  ad  Alessandria  dal  Moro  comunicazioni  assai  gravi, 
sgraziatamente  a  noi  ignote,  ma  che  provocarono  da  Venezia  ordini 
più  restrittivi  ancora  dei  precedenti  Tornato  a  Milano  infatti  su- 
bito dopo  le  parole  del  Moro,  ricevette  egli  il  nuovo  ordine  non 
solo  di  non  varcare  i  confini  del  ducato,  ma  di  evitare  anche  terre 
lombarde  che  fossero  lontane  dai  dintorni  di  Milano,  di  Pavia,  e 
di  Vigevano.  E  se  lo  si  costringeva  a  viaggiare  in  questi  luoghi 
egli  doveva  fingere  indisposizione,  dichiararsi  poi  tutto  infermo,  se 
le  terre  erano  fuori  della  circoscrizione   fissata  (3).   Al   Trevisan 


(i)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  Senato,  Secreta,  Deliber astoni ,  reg.  35 
('494*9S)  e.  13  t.  La  Signoria  al  Pisani.  Venezia,  16  luglio  1494.  "  Ve- 
'  rum  quoniam  esse  potest,  quod  ipsa  Ex.ti*  vos  ducere  vellet  Genuam, 

*  quod  nullo  pacto  vellemus  succederei,  ob  plurimas  rationes  vestrae  pru- 

*  dentiae  non  ìgnotas,  Deere vimus  has  nostras  ad  vos  scribere  et  decla- 

*  rare  super  hoc  mentem  nostram,  ut  juxta  illam  incedere  et  vos  guber- 
'  nare  valeatis  „.  Già  l'andata  del  Pisani  ad  Alessandria  non  pare  fosse 
piaciuta  alla  Signoria  (Arch.  di  stato  di  Milano,  loc.  cit.,  Il  Vimercato  al 
Moro,  Venezia,  31  luglio  1494),  che  però  si  rassegnò,  come  vedemmo, 
senza  muoverne  rimprovero  all'oratore. 

(2)  Id.  ce.  cit.,  Venezia,  16  luglio  1494. 

(3)  Id.  La  Signoria  al  Pisani.  Venezia,  18  luglio  1494.  "  Gratum 
'  admodum   nobis  fuit  Intellexisse  vestrìs  litterìs  vos  rediturum  esse 

*  Mediolanum  ex  Alexandria....  Gratum  diximus,  quoniam  illiberum  vel- 
'  lemus  vos  reperìrì,  aut  in  exercitu,  aut  ubi  fìunt  coadunationes  gentium 

*  armigerarum,  si  ve  in  motibus  aut  perturbationibus,  quae  impresentia- 

*  rum  tractarì  aut  miscerì  videntur.  Quocirca  moti  convenientibus  ratio- 

*  nibus,  decrevimus  potremum  ordinem  nostrum  variare,  ei  riducere  ad 
'  presentem  formam.  Itaque  volemus  et  cum  Senatu  nostro  mandamus 

*  vobis,  si  Extie  lll.mi  D.  L.ci  ex  Viglevano,   sive  ex  papia,   aut   ex 


274  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

giunsero  anche  identiche  istruzioni  (i).  Ora  questa  astensione,  che 
annullava  ogni  speranza  di  appoggio  nel  Moro  come  nel  re  di  Napoli, 
era  un  errore  politico  gravissimo.  Carlo  Vili,  secondo  vedemmo, 
aveva  già  ottenuto  la  promessa  della  Repubblica  di  libero  passo: 
la  neutralità  più  che  assoluta  di  Venezia  doveva  riuscire  una  con- 
ferma alle  speranze  del  re  ed  invogliarlo  più  che  mai  a  compiere 
il  vagheggiato  disegno.  Di  più  il  contegno  della  Repubblica  paraliz- 
zava l'azione  degli  altri  stati  italiani,  sui  quali  non  è  improbabile 
che  avrebbe  influito  l'esempio  del  pontefice,  Alessandro  VI,  avverso 
pubblicamente  alla  calata. 

Quando  la  spedizione,  anzi  la  calata  del  re  apparve  certa,  il 
Senato  credette  opportuno  che  il  Pisani  non  evitasse  una  visita 
alla  Maestà  francese,  non  appena  questa  fosse  arrivata  ad  Alessandria 
od  in  una  città  vicina  (2).  Il  Moro,  inquietissimo,  sperando  forse  che 
Venezia  si  aprisse  con  lui,  comunicò  all'  oratore  che  aveva  dato 
consigli  di  pace  al  re,  ma  la  Repubblica,  lungi  dal  mostrare  inte- 
resse perchè  la  calata  non  avesse  luogo,  si  contentò  di  platoniche 
approvazioni  (3).  Una  pubblica  dichiarazione  avrebbe  forse  tratte- 

"  aliquo  alio  loco  vicino  et  circumstante  Mediolanum  vos  accersiverit, 
**  ut  ad  eum  accedatis,  In  hoc  casu  ad  eum  ire  debeatis  simulando  tamm 
**  vos  Ulne  ftiisse  profectum  eum  difftcullale  et  sinistro  fnaxifno^  ab  altqum 

"  dolorem  ani  credibilem  e^i^ritiidiuem^  quae  derepente  vos  Invaserit,  Hoc 
"  autem  dicimiis,  quoniam  si  ab  eadcm  ex.t»*  fueritis  rcquisitus  proficisccndi 
"  ad  aliquem  locum  non  comprehensiim  in  supradictis,  et  maxime  ultra 
"  padum,  nostrae  mentis  est,  qttod  simulare  debeatis  (ut  superius  expres- 
**  siinus)  aliquem  invalitudifiem,  cuius  causa  vobis  sit  impossibile  equiian. 
^  Et  ila  eum  simili  excusatione  remanebiìis,  quam  conabitis  in  reddcrc 
"  quanto  verisiniiliorem  poteritis,  Tenendo  presentem  ordinem  nostrum  st 
"  cretissimum,  et  illud  exequendo  eum  omni  dexteritate,  non  obstante  pò- 
"  stremo  ordine  et  mandato  nostro  „. 
(i)  Id.  ce.  14,  stessa  data. 

(2)  Id.  e.  16.  Venezia,  24  luglio  1494-  Vi  ordiniamo  •  ut  advenicnic 

*  dieta  easu,  quod  Ex.tia  antedieta  requirat  a  vobis,  ut  eum  ea,  aut  posi 
"  eam,  aeeedatis  in  Alexandriam,  ubi  reperiretur  christlanissima  M.^aut 
"  de  brevi  expeetaretur,  ire  illiie    debeatis  prò  honoranda  et  visitanda 

*  eadem  M.te  Cum  illa  verborum  forma  quam  particularius  alijs  nostris 
"  littcris  vobis  explicabiinus  „. 

(3)  Id.  e.  17  t.  Venezia,  30  luglio  1494  "  —  sed  illud  specialitcr 
«  gratissimum  nobis  fuit,  quod  eadem  Ex.i'a  sit  etiam  aptaiura  et  com- 
"  positura  quiquìd  foret  componendum  et  concordandum  cum  christia- 
"  nissima  M.te  francorum.  „ 


E    LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  275 

nuto  ancora  Carlo  Vili.  Fino  a  quando  non  aveva  varcato  i  monti, 
poteva  il  re  senza  danno  al  suo  prestigio  rimandare  ad  epoca  in- 
determinata la  spedizione:  dopo  non  più.  Ora  Venezia  coirastenersi 
da  ogni  partecipazione  alla  vita  politica  italiana  in  quei  frangenti 
mostrava  tale  imprevidenza  e  così  malinteso  riserbo  che  la  sua  in- 
credulità sola  circa  la  calata  potrebbe  esseme  attenuante.  Già  al- 
cuni mesi  prima  aveva  essa  usato  uguale  prudenza,  quando  dal  re 
Alfonso  11  era  stato  mosso  invito  al  marchese  di  Mantova,  con- 
dottiero agli  stipendi  della  Repubblica,  di  visitare  Napoli  (i).  Essa 
allora  aveva  vietato  al  Gonzaga  di  ottemperare  ai  desideri  arago- 
nesi (2).  E  sebbene  sarebbe  forse  stato  non  inutile  mostrare  buon 
viso  al  re  Alfonso,  per  intimidire  il  monarca  francese,  tuttavia  si 
comprende  che  il  pensiero  di  far  cosa  ingrata  al  Moro  abbia  tratte- 
nuto la  repubblica.  Ma  le  condizioni  politiche  dall'aprile  al  luglio  del 
1494  erano  ben  cambiate  e  se  non  giustificavano  prima  Teccessiva 
prudenza  o  sapienza^  come  dicevano  i  contemporanei,  della  Serenis- 
sima, tanto  meno  erano  buona  scusa  in  quei  momenti. 

Da  ogni  parte  giungevano  sollecitazioni  a  Venezia.  11  papa  Ales- 
sandro VI,  per  mezzo  dell'oratore  Paolo  Pisani,  aveva  esortato  cal- 
damente ed  esortava  tuttavia  la  Repubblica  ad  unirsi  con  lui  e  con  Fi- 
renze per  impedire  l'invasione.  Ma  fu  vana  preghiera  (3).  Venezia 
aveva  deciso,  scrive  il  Sanuto,  a  non  se  impazar  se  non  a  metter 
«  paxe  et  benivolentia  ira  le  parte  »  (4).  11  Moro  senza  più  infingersi 
tentò  ancor  egli  di  trarre  la  Repubblica  dalla  sua  inazione.  Chiese 
in  forma  esplicita  consiglio,  ma  anche  questa  volta  ebbe  risposta 
blanda  e  scoraggiante.  Bene  aver  agito,  scrisse  la  Repubblica  al 
suo  rappresentante,  il  Ss  Lodovico  innanzi  ai  moti  del  re  francese, 
ma  nulla  potergli  comunicare  la  Signoria,  perchè,  non  tenendo  essa 

(i)  V.  p.  9-10.  Dispaccio  citato  dallo  Stanga  di  Napoli.  Lo  Stanga 
visitò  il  Trevisan,  oratore  di  Venezia  a  Napoli,  il  quale  certamente 
diede  comunicazione  alla  Signorìa  dell'invito  fatto  al  marchese. 

(a)  Arch.  stor.  Gonz.  E,  estemi,  n.  XLV,  n.  3,  b.,  1434.  Scalona  al 
marchese.  Venezia,  18  aprile  1494.  Il  Delaborde,  op.  cit,  p.  361,  inter- 
preta questo  documento  non  esattamente. 

(3)  Desjardins,  op.  cit,  I,  506-0.  Ridolfi  e  Soderini  a  Pietro  de  Me- 
dici, Venezia,  16  e  27  agosto  1494.  —  Al  vescovo  di  Calahorra  la  ri- 
sposta fu  data  anzi  in  tono  che  non  ammetteva  replica.  V.  Desjardins, 
op..cit.,  1,  509,  lett.  cit»,  del  27  agosto. 

(4)  Z^  spedizione f  ecc.,  p.  63. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVF.  i8 


276  LODOVICO  SFORZA,  DETTO  IL  MORO, 

ambasciatore  residente  in  Francia,  di  nulla  aveva  notijda.  Non  es- 
sere quindi  strano,  se  essa  si  asteneva  dal  consigliare  chi  era  am- 
piamente informato  delle  cose.  Non  dubitare  che  il  S.'  Lodcmco 
avrebbe  concordato  col  re  francese  quanto  conveniva  al  bene  dd- 
ritalia  (i).  Era  l'eterna  risposta,  tante  volte  ripetuta.  Un  po'  di  gin* 
stizia  distributiva!  Quando  il  Moro  dopo  la  calata  di  Cario  VDI 
esclamò:  «  Confesso  che  ho  fatto  gran  male  aU'ltalia,  ma  lliofiitto 
«  per  conservarmi  nel  loco  in  cui  mi  trovo.  L'ho  fatto  mal  volentieiì, 
ti  ma  la  colpa  è  stata  del  re  Ferdinando,  ed  anche,  viglio  dirio^  m 
u  qualche  parte  dell' illustrissitna  Signoria,  perchè  non  si  volk  hr 
u  sciar  intendere  n  (2),  disse  una  verità  che  i  documenti  oollfe^ 
mano.  Se  nell'agosto  1494  ancora  la  Repubblica  avesse  accolto  le 
offerte  di  Alessandro  VI,  dato  conforto  al  Moro,  e  fatto  f^  appa- 
recchi militari  convenienti,  Carlo  Vili  avrebbe  trovato  l'Italia  unita 
contro  l'invasione.  Quando  già  tanti  in  Francia  erano  avversi  alla 
spedizione,  la  l^a  delle  potenze  italiane  avrebbe  sventato  forse  3 
perìcolo.  Nessuno  può  dire  le  cons^uenze  che  dalla  mancata  spfr 
dizione  di  Carlo  Vili  sarebbero  derìvate  I  Certo  non  è  della  (fifS- 
denza,  che  nutriva  Venezia  pel  Moro,  che  dovremmo  incolpare 
la   Repubblica.   Lodovico   aveva   mostrato  per  tanti  anni  un  ca- 


(1)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  loc,  cit.,  ce.  ao  t.-2i.  All'oratore  a  Mi- 

*  lano.  Venezia,  8  agosto  1494.  "  ....  optime  omnium  Ex.ti«  suac  esse 
^  compertum  a  principio  usque  horum  motuum  Gallicorum  :  nuilum  nos 

*  apud  M.te™  predictam  habuisse  oratorem,  vel  nuntium,  aut  alium  qucm- 
"  piam  a  quo  habere  potuerimus  multas  particularitates,  quae  necessariae 
'*  essent  ìnteiligendae  ijs  qui  in  tali  materia  aliquid  essent  consultarì:  et 
"  iccirco  nemìni  mirum  esse  debet,  si  nos  ea  ratione  quicquid  in  medìiBn 

*  afFerre  non  possumus,  prout  libenler  faceremus,  si  dieta  intelligeoiii 

*  nobis  non  deesset.  Ex  alia,.,,  nemo  omnino  tnelius  ElxM»  sua  imtelSgi 
"  minutissimas  quasque  circumstantiaSf  qualiiates  et  conditiones  dtctvum 

*  rerum  Gallicarum,  circa  quas  si  aliquid  esset  nobis  deliberandum,  inn 
I,  merito  ipsam  ExMom  consulerimus.  Quae  cuumsit  sapientissima  et  sht 
**  diosissima  quietis  ac  pacis,  non  dubitamtis  quin  sit  contpositura  et  ept^ 

*  tura  quicquid  cum  christianissima  MM  prefata  fuerit  componendum  é 
"  concordandum  prout  in  praecedenti  congressu  vobiscum  habito  ampi* 
**  sime  dixit  et  affinnavit  :  et  nos  in  responsione  nostra  vobis  diximos  k1 

*  prò   ceteris  omnibus  (prout  re  vera  fuit)  nobis  placuisse  et  gratisB- 

*  mum  extitisse.  „ 

(2)  Francesco  Foscari,  Dispacci^  ed.  in  Arch^  stor,   ital,,  voL  Vft 
par.  II,  p.  843. 


,    E   LA  REPUBBLICA   DI   VENEZIA  277 

rattere  così  doppio  e  malfido  da  legittimare  la  sfiducia  completa 
dei  suoi  vicini.  Egli  era  uomo,  e  lo  dimostrò  durante  le  trattative 
stesse  della  lega  nel  1495  ed  in  seguito,  senza  scrupoli,  che  avrebbe 
trattato  coi  nemici  senza  riguardo  all'alleato.  Ma  innanzi  ai  due 
mali,  alla  calata  Francese,  le  cui  gravi  conseguenze  tutti  compren- 
devano in  Italia,  ed  alla  dubbia  fede  del  Moro,  una  politica  illu- 
minata avrebbe  scelto  il  secondo.  Ed  allora  forse  tre  secoli  e  mezzo 
di  servitù  straniera  non  avrebbero  gravato  sulla  penisola  nostra.  La 
Repubblica  consigliò  il  Moro,  quando  Alessandro  VI  ebbe  persuaso 
Alfonso  II  a  sospendere  le  ostilità  contro  la  Lombaf^ia,  a  seguire 
Tesempio  pacifico  del  re  aragonese  (i).  E  fu  un  invito  inutile,  anzi 
dannoso.  Come  poteva  il  Moro  credere  alle  buone  intenzioni  ara- 
gonesi, quando  la  flotta  napoletana  dalla  metà  di  luglio  aveva  as- 
salito Portovenere  (2)  e  tentato  l'impresa  su  Genova  finita  col  di- 
sastro di  Rapallo?  (3). 

Carlo  Vili  dunque  s'  appressava  e   Venezia   rimaneva    chiusa 

(i)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  loc.  cit.,  ce.  22-22  t.  Airoratore  a 
Roma.  Venezia,  25  agosto  1494. 

(2)  V.  gli  storici  tutti:  tra  gli  altri  Giovanni  Portoveneri,  Memoriale 
da/fanno  14^4  al  IJ02  in  Arch.  storico  italiano,  VI,  p.  2.*,  1845,  p.  284. 
Pelaborde,  op.  cit.,  p.  401;  Arch.  di  Stato  di  Milano,  loc.  cit.  Lodovico  al 
Vimercato.  Alessandria,  io  luglio  1494.  Quelli  di  Portovenere,  ricevuta 
r  intimazione  d' arrendersi  da  Federico  d'Aragona,  rifiutarono,  e  vedendo 
proprio  rivolte  contro  di  lui  le  armi  napoletane  "  cum  tutte  le  forze 
nostre  se  demostraremo  inimico  contra  el  p.to  Re  alphonso  per  de- 
fender le  cose  nostre  et  per  responderli  de  pari  effecto.  „  Scrisse  il 
Moro  in  uguali  termini  a  Ferrara,  Firenze  e  Bologna.  —  Id.  Potenze 
estere f  Roma.  Lodovico  a  Stefano  Taverna.  Alessandria,  io  luglio  1494. 

*  L'armata  regia  viene  potentissima.  Dopo  essa  verrà  un'altra  più  ag- 

■  guerrita  ancora  et  declararà  essere  vane  le  forze  et  menaze  de  li  ad- 

*  versarij,  et  perterra  se  Invia  lexercito  de  tale  numero  che  senza  armata 

*  porria  fare  limpresa  et  reportarne  Victoria.  „  —  Id.  al  cardinale  Ascanio 
Sforza.  Alessandria,  11  luglio  1494.  *  Tamen  per  questi  potenti  remedij 

■  el  periculo  loro  (del  Papa  e  del  re  Alfonso)  è  più  presto  umbra  che  uno 
"  periculo,  et  accade  ad  epsi  che  per  la  preventione  più  che  per  la  potentia 
'  de  li  adversarij  sentano  molestia,  la  quale  in  la  zonta  del  subsidio  si 

*  risolverà  in  leticia  et  portarà  deffecto  de  questi  mali  alli  inimici.  „  Ed 
infatti  Lodovico  non  nascondeva  che  il  re,  da  lui  informato  delle  ostilità 
aragonesi,  aveva  promesso  di  riparare  a  tutto  colle  forze  che  guidava 
nella  penisola.  Id.  Alessandria,  16  luglio  1494. 

(3)  Delaborde,  op.  cit,  loc.  cit. 


278  LODOVICO  SFORZA,   DETTO  IL    MORO, 

nel  suo  riserbo.  «  Se  il  re  scende  «  scriveva  la  Signorìa  al  Pisani  (i), 
H  poiché  nulla  ha  di  certo  ancora  (2),  l'andrete  a  visitare  solo  quando 
u  esso  sarà  pervenuto  ad  Alessandna,  e  se  nella  prima  udienza  egli 
u  sì  aprisse  con  voi  e  vi  chiedesse  il  parer  vostro  nelle  cose  pre- 
■  senti,  badate  di  schermirvi  colla  vostra  solita  abilità,  per  quanta 
«  potrete,  o  se  foste  costretto  ad  una  risposta,  senz'altro  replicate  di 
<•  non  avere  da  noi  istruzione  alcuna  (3).  «  Quando  poi  il  re  ebbe 
varcato  le  Alpi,  la  Repubblica  modificò  le  sue  istruzioni.  Con  qualche 
reticenza,  il  Pisani  ebbe  facoltà  di  uscire  anche  dallo  stato  lombardo 
per  ossequiare  il  re,  e  di  spingersi  fino  ad  Asti,  se  Carlo  Vili  fosse 
rimasto  in  quella  città.  Non  dimorarvi  però  che  due  o  tre  giorni 
e  tornare  sollecitamente  ad  Alessandria  per  non  aversi  ad  immi- 
schiare in  cose  compromettenti  (4),  salvo  che  le  insistenze  regie 
impedissero  proprio  l'immediato  ritorno;  allora  rimanesse  >  quii 
"  non  esset  conveniensìn  tali  re  eius  voluntati  reluctari  ».  S'Intende 


E    LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  279 

«  diligente    e  perspicace,  ora  dovete  superare  voi  stesso,  scrutando 
-  ed  investigando  quanto  si  tratta  alla  corte  regia  (i). 

Il  5  settembre,  superate  le  Alpi,  Cai*lo  Vili  entrava  a  Torino  (2), 
il  9  in  Asti.  11  Moro,  Beatrice  d'Este,  sua  consorte,  ed  Ercole  I 
duca  di  Ferrara,  eransi  affrettati  incontro  al  re,  ossequiandolo  fin 
nell'ingresso  ad  Asti  (3).  Carlo  Vili  cadde  ammalato,  com'  è  noto, 
poco  dopo,  sicché  il  Pisani  ritardò  il  suo  ufficio  sino  al  3  ottobre, 
ritornando  poi,  secondo  le  istruzioni  avute,  il  5  ad  Alessandria. 
D  re,  guarito  s'avanzò  nella  Lombardia  e  giunto  a  Piacenza  mandò 
a  Venezia  preghiera  d'un  prestito  di  50  mila  scudi.  La  Serenissima, 
sempre  ferma  nell'intenzione  di  astenersi  da  ogni  atto  che  apparisse 
favorevole  ad  una  parte  più  che  all'altra,  rispose  con  garbato  ri- 
fiuto (4).  L'oratore  di  Mantova  s'era  lagnato  giorni  prima  dei  danni 
che  le  milizie  della  Maestà  Cristianissima  recavano  allo  stato  del 
Marchese  nel  loro  passaggio  (5).  Rispose  la  Signoria  esserne  spia- 
centissiraa,  ma  «  che  la  non  gli  vedeva  di  presenti  puoterli  far  altra 
<•  provisione  se  non  in  lassar  transcorrere  questo  (6)  w.  Essa  accolse 


(i)  "  Demum,  si  unquam  fuistis  soUicitus,  diligens  et  curiosus,  nunc 

*  vosmet   superabit'S  in   scrutandis   et   investigandis  ijs  quae  in  prae- 

•  sentis  occurrunt  et  tractantur  „. 

(a)  Sull'ingresso  di  Carlo  Vili  in  Italia,  v.  il  doc.  pubblicato  dal 
Neri,  Le  abbazie  degli  Stolti  in  Piemonte  nei  secoli  XV  e  XV!  (estratto 
dal  Giornale  storico  della  lett,  italiana,  XL),  Torino,  Loescher,  1902,  p.  32. 

(3)  Sanuto,  op.  cit.,  p.  85;  Luzio-Renier,  Delle  relazioni  di  Isabella 
d'Este  Gonzaga  con  Ludovico  e  Beatrice  Sforza,  in  questMrcA.  XVII,  1890, 
P-  393'95«  —  Arch.  stor.  Gonz.,  E.  esterni,  N.  XLIX,  n.  3,  b.  16 12  (1493- 
1494).  Beatrice  d'Este  al  marchese  di  Mantova.  Annone,  12  settem- 
bre 1494.  —  Archivio  di  stato  di  Milano,  Potenze  estere,  Venezia  cit. 
Lodovico  al  Vimercato,  Annone,  8  e  11  settembre  1494. 

(4)  Sanuto,  op.  e  t.,  p.  lor^  loi.  —  Arch.  di  stato  di  Venezia,  loc.  cit., 
e.  43  t  Agli  oratori  mandati  al  re  di  Francia  ed  in  procinto  di  partir^^ 
Venezia,  16  novembre  1494. 

(5)  Arch.  stor.  Gonz.,  E.  Estemi,  N.  XLV,  n.  3,  b.  1434  (1493-94). 
Antonio  Salimbene.  Venezia,  9  ottobre  1494;  v.  sulle  enormità  francesi 
nell'Italia  superiore  e  centrale  Venturi,  Relazione  dei  governatori  di 
^^igio  al  duca  Ercole  I  in  Ferrara,  (1482-99)  in  Atti  e  memorie  delle 
RR,  Depulaz,  di  storia  patria  per  le  Provincie  Modenesi  e  Parmensi, 
serie  3.»,  voi.  II,  1883,  P-  336-37»  Matteo  Maria  Boiardo  ad  Ercole, 
Reggio,  16  ottobre  1494. 

(6)  Id.  Venezia,  12  ottobre  1494. 


28o  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

con  onori  il  signore  d'Argenton,  Filippo  de  Commines  (i),  mandato 
ambasciatore  residente  di  Francia  a  Venezia,  ne  ascoltò  l'esposi- 
zione, rispondendo  in  forma  che  non  poteva  comprometterla  (2).  Ed 
agli  oratori  di  Firenze  e  di  Mantova,  dei  quali  il  primo  faceva 
presente  gl'inconvenienti  della  calata  e  l'opera  della  patria  sua  per 
evitarla  (3),  ed  il  secondo,  che  nuovamente  si  lagnava  di  danni 
ricevuti,  replicò  per  la  seconda  volta  pazientassero,  che  pel  mo- 
mento nulla  si  poteva  fare  (4).  Essa  lasciava  credere  di  adoperarsi 
attivamente  quale  mediatrice  tra  i  re  di  Francia  e  di  Napoli  (5),  e 
sotto  questo  colore  deputava  a  fianco  del  re  invasore  due  dei  suoi 
principali  nobili,  Domenico  Trevisan  e  Antonio  Loredan  (6).  Nel 
fatto  continuava  a  rimanere  in  osservazione,  sospettosa  degli  ar- 
mamenti turchi,  (7)  pur  ascoltando  con  piacere  le  querimonie  che 
le  giungevano  non  più  solo  da  Mantova,  ma  dalla  stessa  Milano. 
Lodovico  aveva  compreso  tutta  l'entità  degli  spropositi  com- 
piuti. Con  quella  rapidità  di  decisione  che  lo  segnalava  a  petto 
degli  altri  uomini  del  suo   tempo,  fin  dai   primi  di   ottobre  aveva 

(i)  De  Cherrier,  op.  cit.,  I,  450-51;  Delaborde,  op.  cit,,  p.  415.  — 
Arch.  stor.  Gonzaga,  loc.  cit.,  Venezia,  3  ottobre  1494.  *  Heri  sera  gionsc 
"  qua  lo  S.re  Ambasciatore  de  la  M.t^  christianissima,  contra  il  quale  gli 

*  andò  cinquanta  de  questi  Mag.ci  Zentilhomini  sino  a  Lucefosina,  et 

*  cussi  lo  accompagnarono  a  S.^  Zorzo  Maggiore,  dove  è  lo  allogia- 
"  mento  suo...  „  —  Arch.  di  stato  di  Milano,  loc.  cit.  Il  Vimercato  al 
Moro,  Venezia,  4,  5  e  6  ottobre  1494. 

(2)  "  ....  Unde  il  Ser.rao  Principe  gli  respose  bavere  inteso  de lad- 

*  venuta  li  de  sua  M.^*,  et  poi  dil  male  suo,  dil  che  ne  hebbe  dispiacere 

*  assai.  Cussi  de  limpresa  de  Napole,  che  la  111.»"»  S."«  non  gli  vole  obviar, 
"  et  che  a  la  parte  che  la  MM  Christianissima  voglia  assettar  la  Italia  et 
**  mettere  in  Casa  li  forausciti,  che  la  Ill.ma  S."«  si  rendeva  cert."«  che  sua 
**  M.tà  non  haveria  facto  se  non  cosa  che  gli  fusse  honore  ;  et  cussi  il 
"  predetto  ambasciatore  tolse  licentia  da  la  111  m»  S."»,  a  la  quale  fece 
"  intendere  che  per  Tadvenire  la  seria  advisata  copiosamente  de  quanto 

*  succederà  dal  canto  del  S.r«  re  suo  „. 

(3)  Id.  Venezia,  28  ottobre  1494. 

(4)  Id.  Giacomo  de  Adria.  Venezia,  2  ottobre  1494.  "  ....  Infine 
"  non  voglia  ciò  intender  per  modo  alcuno  che  se  gli  habj  ad  fare  alcuna 

*  provisione,  se  non  tolleransi  che  il  tempo  demonstrarà  quello  se 
"  bavera  ad  fare,  et  questo  e  quanto  se  ne  è  possuto  cavare  «. 

(5)  Id.  Antonio  Salimbene.  Venezia,  28  ottobre  1494. 

(6)  Id.  v.  sull'invio  dei  due  ambasciatori.  Romanin,  V^,  49. 

(7)  Sanuto,  p.  124;  Malipiero,  op.  cit,  p.  145;  De  Cherrier,  op.  cit. 
II,  40,  V.  ancbe  Thuasne,  D/em-Suì/an,  1892,  p.  331-32. 


E    LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  281 

deciso  di  mandar  a  vuoto  con  ogni  mezzo,  non  troppo  palese, 
l'impresa  regia.  Oltre  al  rammarico  naturale  d'aver  procurato  un'  in- 
vasione, le  cui  ultime  conseguenze  apparivano  pericolose  al  ducato, 
altre  legittime  e  numerose  cause  egli  aveva  di  sospetto  e  di  alte- 
razione col  re  e  coi  suoi  ministri.  Abbiamo  già  riportato  il  luogo 
d'una  lettera  regia  da  Lione  assai  imperativa.  È  impossibile  che 
ricevendola  il  Moro  non  abbia  chiesto  a  sé  stesso  se  il  re  lo  con- 
siderava alleato  o  dipendente.  Il  dubbio  solo  di  un  vassallaggio 
doveva  allarmare  l'ambizioso  principe.  In  secondo  luogo,  due  mesi 
prima  della  calata  regia,  era  giunto  in  Asti  il  cugino  ed  erede  di 
Carlo  Vili,  Luigi  d'Orléans,  il  futuro  Luigi  XII,  discendente  di 
quella  Valentina  Visconti,  che,  sposa  di  Luigi  I  d'Orléans,  aveva 
portato  anche  alla  casa  di  Francia  i  diritti  alla  successione  del  du- 
cato di  Milano  (i).  Il  Moro  non  era  ancora  duca  di  Milano,  ma 
vedeva  prossimo  il  giorno  dell'ascensione,  poiché  Gian  Galeazzo 
era  ammalato  a  Pavia,  ed  egli  contava  di  usurpare  il  dominio  al 
bambinello  Francesco,  figlio  dello  sventurato  marito  d'Isabella  di 
Aragona.  Come  non  allarmarsi  del  titolo  che  senza  soggezione 
alcuna  l'Orléans  già  prendeva  di  duca  di  Milano?  Infine  alcuni 
principali  consiglieri  del  re,  e  specialmente  Filippo  di  Savoja,  si- 
gnore di  Bressa,  il  futuro  duca  Filippo  II,  il  Senza  terra,  nemico 
acerrimo  del  Moro,  e  la  marchesana  di  Monferrato  istigavano 
l'Orléans  contro  Lodovico  e  consigliavano  una  diversione  delle 
truppe  francesi  sopra  Milano  (2).  11  re  poi,  guarito  dalla  malattia, 
voleva  visitare  le  principali  città  del  ducato,  ne  pretendeva  le 
chiavi  come  fosse  il  sovrano  (3),  ed  insisteva  per  vedere  a   Pavia 

(i)  Delaborde»  op.  cit,  p.  378. 

(2)  A.  Gelli,  Recensione  all'opera  del  De  Cherrier  in  Arc/t.  storico 
ita/.f  serie  5.*,  voi.  XVII,  1872,  p.  407,  n.  i;  Delaborde,  op.  cit  cp.  406; 
UssEGUo,  Bianca  di  Monferrato,  Torino,  Roux.  1892,  pp.  256-57,  e  l'osser- 
vazione del  Gabotto,  Lo  Stato  sabaudo  da  Amedeo  Vili  ad  Emanuele 
Filiberto,  voi.  Ili,  566,  Torino,  Roux,  1893.  I^  Sanuto,  La  spedizione^  ecc., 
p.  85  dice  che  Filippo  "  era  di  primi  capitano  „  —  Contra  la  marchesana 
di  Monferrato  poi  era  Lodovico  esasperato  fin  dagli  ultimi  di  luglio  per 
le  manifestazioni  ostili  che  continuamente  essa  faceva.  "  Havemo  deli- 
berato ,  scriveva  egli  il  27  luglio,  *  de  non  patir  più  simile  iniurie 
*  perchè  ne  par  che  cum  honor  nostro  non  lo  possemo  fare  „  (Archivio 
di  Stato  di  Milano,  loc.  cit.,  Lodovico  al  Vimercato). 

(3)  Sanuto,  op.  cit,  pp.  671-72;  Delaborde,  op.  cit,  pp.  418-19;  Luzio- 
Renier,  Delle  relazioni  di  Isabella  d'Este  Gonzaga  con  Ludovico  e  Beatrice 


282  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

lo  sventurato  Gian  Galeazzo.  In  una  parola,  Carlo  Vili  trattava  il 
Moro  come  vassallo,  non  comprendendo  che  quella  era  la  via  per 
renderlo  ostile  alla  Francia.  Il  vecchio  Ferdinando  I  di  Napoli  era 
stato  profeta  quando,  il  27  dicembre  1493,  aveva  scritto  a  Federico, 
principe  d'Altamura,  suo  secondogenito  e  rappresentante  a  Roma, 
di  ammonire  il  papa  come  «  lo  pigliare  de  le  guerre  è  in  potestà 
«  de  chi  le  piglia,  Lo  lassarsene  no,  e  la  Victoria  è  la  più  incerta 
a  cosa  che  sia  inter  le  humane  actione,  per  le  cose  diverse  fora  de 
«  opinione  et  repentine  de  morte  et  de  altri  casi  che  inter  lo 
«  guerreggiare  succedono  :  et  se  è  veduto  et  vede  molto  spesso  in 
«  nulla  condicione  de  negoci  dali  amici  et  compagni  usarse  maiore 

*  fraude,  mutatione  et  tradimenti  che  in  le  guerre.  Nui  »  aveva  escla- 
mato il  vecchio  re,  «  ne  possemo  rendere  boni  testimoni  et  pos- 
«  setene  allegare  in  questa  parte  et  la  S.^*  soa  deve  ben  guardare 
m  al  testimonio  et  recordi  nostri,  perchè  simo  vecchi  et  avemo  pro- 
«  vato  assai.  Et  desideramo  ad  la  Soa  S.**  reposo  et  tranquillitate: 
«  non  ogne  uno  però  in  Italia  ha  lo  desiderio  che  havemo  noi,  né 
«  è  contento  de  la  sorte  sua  come  noi  simo  »  (i). 

Le  preoccupazioni  del  Moro  divennero  un  allarme,  quando 
Carlo  VIII,  il  15  ottobre,  visitando  Gian  Galeazzo,  ebbe  parole  di 
conforto  verso  lo  sventurato  principe  (2).  Lodovico  aveva  seguito 
il  re  sempre  dal  giorno  in  cui  l'augusto  ospite  era  giunto  in  Asti, 
e  solo  la  paura  che  l'esercito  del  re  Alfonso,  comandato  dal  duca 
di  Calabria,  gli  incuteva,  aveva  frenato  l'antipatia  che  dalla  prima- 
vera di  quell'anno  sentiva  per  la  calata  del  re.  Il  duca  di  Calabria, 

Sforza  cit.,  396.  —  Carlo  VIII  volle  le  chiavi  del  castella  per  diffidenza, 
pare,  ma  è  credibile  anche  come  manifestazione  di  superiorità  sul  du- 
cato di  Milano. 

(i)  Trincherà,  Codice  aragonese,  voi.  II,  par.  I,  Napoli,  1866,  pp.  233-34, 
doc.  CCLXVI.  —  Il  re  Ferdinando  aveva  spirito  acuto  e  sagace.  Una  delle 
osservazioni  più  giuste  del  vecchio  sovrano  fu  la  rassomigìiai>?ra  da  lui 
scoperta  fra  il  Moro  e  Filippo  Maria  Visconti,  nonno  materno  del  tur- 
bolento principe.  £d  infatti  ambidue  questi  principe  hanno  grande  affi- 
nità d'indole  e  di  morale.  *^  Il  duca  di  Bari  „,  diceva  Ferdinando  a 
Pietro  Alamanni,  ^  è  della  natura  fu  il  duca  Galeazzo,  ancor  peggio, 
**  che  ritrae  dal  duca  Philippo,  il  quale  fu  d'animo  inquieto,  dilettossi  di 
'  cose  nuove  e  il  più  delle  volte  ne  riusciva  con  danno  e  vergogna  sua. 

*  Non  fu  già  così  il  duca  Francesco,  suo  padre....  ^  V.  Desìardims,  op.  cit.,  1, 
443.44,  Napoli,  a  gennaio  1493. 

(2)  Sanuto,  op.  cit,  pp.  671-72. 


E   LA  REPUBBLICA   DI   VENEZIA  283 

che  erasi  accorto  forse  dei  reali  sentimenti  di  Lodovico,  ai  primi 
di  settembre  aveva  mutato  il  contegno  minaccioso  dei  mesi  prece- 
denti. Un  suo  messo,  Pietro  Antonio  de  Mercatello,  erasi  recato 
ad  Annone  coli'  intento  di  rabbonire  il  Moro.  Una  terza  persona, 
forse  Ercole  d'Este,  aveva  servito  da  intermediario.  Naturalmente 
il  Moro,  in  apparenza  almeno,  erasi  mostrato  pieno  di  sdegno  per 
i  due  tentativi  di  Portovenere  e  di  Rapallo,  sebbene  riusciti  infe- 
licemente. Ma  aveva  fatto  dire  al  Mercatello  che  era  bene  oppo- 
nessero Alfonso  II  ed  il  duca  resistenza  ad  francesi  «  perchè  pre- 
M  sto  sarebbe  venuto  el  tempo  de  andare  alle  stantie  et  per  V  inver- 
1  nata  se  sarebbe  potuto  meglio  fare  la  pratica,  quale  se  cercava  aU 
m  lora  n,  E  l'intermediario,  quale  conclusione,  aveva  suggerito  agli 
Aragonesi  di  «  adolcire  et  non  exasperar  più  le  cose  et  per  parlar 
«  chiaro  defenderse  da  le  cose  de  Francia  cum  quella  galiardeza  quale 
a  potevano,  non  dimonstrarse  haver  tolto  la  guerra  contra  el  sJ  Lu- 
»  dovico,  perchè  facendolo  potevano  esser  certi  chel  s.  Lu.^®  in  cor- 
«  responder,  demonstrare  et  ricognoscer  quello  che  li  sarebbe  facto 
«  in  la  qualità  sua  et  de  presente  et  per  lo  avenire  non  mancherebbe 
M  de  fare  bono  officio  cum  el  Re  de  Francia  et  usare  de  la  fede 
«  grande  quale  ha  cum  sua  m.**  per  ridure  le  cose  a  bon  loco  n  (i). 
Ciò  fin  dai  primi  giorni  della  calata  di  Carlo  Vili.  Dopo  le  in- 
novazioni osservate  a  Vigevano  e  nelle  terre  lombarde  uno  spavento 
mal  trattenuto  albergava  nell'  animo  di  Lodovico.  E  se  alle  corag- 
giose rimostranze  dell'ambasciatore  fiorentino  contro  i  francesi  non 
trovò  altra  risposta  che  un  sorriso  vago  ed  incerto,  (2)  il  suo  con- 
tegno tradì  meglio  che  le  paròle,  l'angoscia  ed  i  pensieri  cupi  della 
sua  mente.  «  E  per  dire  a  V.  Ex.  il  parere  mio  »  scrisse  il  sagace 
oratore  estense  Giacomo  Trotti  ad  Ercole  I,  il  14  ottobre  (3),  «  com- 
«  prehendo  ogni  dì  meglio  chel  S.  Ludovico  se  ha  tirato  a  casa  et 
«  ale  spalle  uno  grande  fosso  et  uno  grande  carico  et  peso  de  infi- 
u  nito  numero  de  francesi  insolenti,  bestiali  et  superbi,  quanto  veruna 
H  altra  natione  chio  vedessi,  ni  legesse  may  ali  di  mei  per  forma  che 

(i)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Potenze  estere,  Napoli  1494-96.  Istru- 
zione di  ms.  Pietro  Antonio  de  Mercatello,  mandato  al  duca  di  Calabria. 
Annone,  7  settembre  1494. 

(2)  FoucARD,  Proposta  cit.,  p.  787-88;  Trotti  ad  Ercole  I.  Milano, 
14  ottobre  1494.  Avendo  il  Trotti  ricordato  al  Moro  le  lagnanze  del 
fiorentino,  Lodovico  *  subrise  et  non  disce  altro,  non  ni  facendo  condo  »« 

(3)  W.,  p.  789. 


284  LODOVICO  SFORZA,    DETTO   IL   MORO, 

«  la  me  pare  cosa  verenda  e  tremebonda  a  chi  considera  bene  tutto 
u  quello  che  potesse  accadere,  dei  quali  francesi  ogni  dì  moltiplicha 
M  il  numero  et  le  quantitate  che  passa  de  qua  dali  monti,  per  forma 
m  che  quando  il  re  de  Franza  volesse,  dubio  o  chel  seria  in  suo  ar- 
41  bitrio  de  dire  sic  volo,  sic  iubeo,  et  di  fare  male  et  bene  a  chi  li 
«  paresse.  Et  se  dicesse  dele  insolentie  che  usano  in  cazare  li  ho- 
u  mini  di  casa  sua  et  batere  le  brigate  loro  senza  respecto  veruno, 
^  V.  Sub.^*  troppo  se  ne  maravigliarebe.  Lasso  andare  chel  povero 
u  Ss  Lodovico  spende  il  suo,  et  per  rachatare  dinari  per  diversi 
■u  modi  et  vie  se  fa  mirabilmente  odioso  alli  soi  soldati  et  in  specie 
«  a  questa  citate,  la  quale  sta  disperata  et  pessimamente  contenta 
«  de  sua  S."*  et  del  governo  suo  per  estorquere  dinari  da  chi  ne 
u  ha  et  da  chi  non  ne  ha  n.  Ben  naturale  che  in  simili  circostanze 
sia  nato  in  Lodovico  il 'pensiero  di  liberarsi  al  più  presto  dell'in- 
comodo e  prepotente  sovrano.  Egli  accarezzò  quindi  un  piano  in- 
gegnoso :  suggerire  al  re  1*  impresa  di  Sarzana  e  Pietrasanta  da 
togliere  ai  Fiorentini  e  restituire  a  Genova.  Egli  credeva  forti 
quelle  terre  e  confidava  che  le  loro  mura,  in  ispecie  quelle  di  Sar- 
zana, valessero  a  trattenere  le  armi  francesi  fino  ad  inoltrato  au- 
tunno. Così  il  re  disanimato  avrebbe  rivolto  il  pensiero  al  ritomo 
oltr'Alpe.  Se  n'era  aperto  col  Pisani,  che  aveva  lodato  l'intento 
di  rinviare  in  Francia  Carlo  Vili.  Ma  Lodovico,  cogliendo  la  palla 
al  balzo,  aveva  pur  detto  che  per  riuscire  nell'opera  eragli  ne- 
cessaria l'assicurazione  che  la  Signoria  veneta  l'avrebbe  soste- 
nuto. E  per  la  prima  volta  la  Serenissima,  vedendo  che  ormai  il 
perseverare  nell'astensione  poteva  riuscire  a  suo  danno,  gli  diede 
la  promessa  desiderata:  Venezia  prese  impegno  di  sostenere  Mi- 
lano nel  nobile  intento  e  concesse  facoltà  al  Pisani  di  recarsi  dove 
fosse  stato  il  Moro  per  comunicargli  la  notizia  e  seguirlo  entro 
tutto  lo  stato  lombardo  (i).  Di  questa  savia  decisione  furono  causa 
anche  le  parole  di  Girolamo  Bobadilla,  inviato  a  Venezia  di   Gar- 

(i)  Arch.  di   Stato   di   Venezia,  loc   cit.,   ce.   33  t,   Venezia,   9  ot. 
tobre  I494f  dell'oratore  a  Milano.  *  . .  • .  Laudamus  autem  pnidens  re. 

*  sponsum  verbum  tunc  factum  prefatae  Ex.ti«^  suadendo  et  boriando 

*  ut  procuret  reditum  in  Franciani  X.n>«  M.tì»  et  sedationem  perturbatio- 

*  num  presentium,  quod  in  mana  £x.tie  suae  consistere  videbatur,  tam  ex 

*  ijs  quae  saepius  eadem  pollicita  est  ad  haec  proposita^  quam  ex  conclu- 

*  sìone  f«icta  ab  illis  Dominis  Consiliarijs  antedìctae  M.ti«,  asserentìbus, 
..  quod  ea  id  factrtt,  quod  vtlUi  III.^^  D.  L.""...,  Verum,  quoniam  dixit 


A 


>  • 


E    LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  285 

cilasso  de  la  Vega,  ambasciatore  spagnuolo  a  Roma,  per  offrire  al- 
leanza tra  la  Serenissima  ed  i  sovrani  d'Aragona  e  di  Castiglia,  Fer- 
dinando il  Cattolico  ed  Isabella  (i). 

Il  Moro  seguì  il  re  attraverso  la  Lombardia,  quando  a  Pia- 
cenza il  21  ottobre  giunse  la  notizia  che  il  duca  Gian  Galeazzo  era 
moribondo.  Senza  por  tempo  in  mezzo  volò  a  Milano,  lasciando 
al  seguito  di  Carlo  il  conte  Galeazzo  di  Sanseverino.  Per  via  seppe 
che  il  nipote  era  morto.  Con  prontezza  straordinaria  si  fece  gridar 
duca,  usurpando  Io  stato  a  Francesco,  bambinello  del  defunto  Gian 
Galeazzo  (2).  Tutto  pareva  a  lui  favorevole.  Gli  Aragonesi,  già 
sostenitori  dello  sventurato  sposo  d'Isabella,  minacciati  dalle  armi 
regie,  imploravano  i  suoi  favori.  Dal  re  dei  Romani  aveva  strap- 
pato, vivente  Gian  Galeazzo,  un'investitura  segreta  del  ducato  (3), 
che  mandò  tosto  a  rinnovare  (4),  e  dal  popolo  milanese  venne  ac- 
cettato con  somma  freddezza,  ma  senza  ostilità  (5).  Infine  i  principi 

"  necessarium  esse,  ut  ad  hoc  nos  quoque  illam  coadiuvemus,  volumus 

*  ut  post,  convenientem  gratiarum  actionem  prò  quotidianis  partìcipatio- 

*  nibus  vobis  factis,  eidem  nostris  verbis  dicatis:  Quod paratissimi  sumus 
**  quantum  in  nobis  est  prestare  omnes  favor es  nostroSy  prò  consecutione 

*  p€tcatioms  et  sedationis  tantopere  necessariae  sec  uri  tati  Italicae  et  cHri' 

*  stianae  religionis,  cui  formidamus  aliquid  ingens  excidium   pararì  et 

*  propter  ea  solliciti  sumus  extinctionis  praesentium  novitatum.  Igitur 
"  quanto  poterìtis  studiosius  et  efficacius  hortabimini  Ec.tiam  prcnomina- 
"  tam  ad  effectualem  satisfactionem  communis  desiderij  nostri  et  iterato 
"  eidem  affirmabitis,  Nos  in  omnem  exigentiam  promptissime  esse  factu- 

ros  prò  isto  Ex.ro©  statu,  et  specifice  prò  persona  ipsius  Ex.tic  ea  omnia 
quae  prò  statu  nostro  faceremus  :  Quoniam  omne  ipsius  Ex.t»«  commo- 
dum  aut  Interesse  (prout  saepius  vobis  expressimus)  nostrum  proprium 

*  existimamus,  et  prò  implenda  executione  presentis  mandati,  quam  pri- 
"  mum  proficiscemini  ad  eam  reperiendam,  ubicumque  fuerit  manebitisque 
"  apud  Ex.tiMn  suam  in  quocumque  loco  suae  ditionis.  Quoniam  vero  vobis 

*  notifìcavimus  appulsum  hinc  et  primam  expositionem  M.ci  Domini  Ar- 

*  gentoni  comunicandam  eidem  Ex.^«,  volumus  ut  similiter  ei  legatis  re- 

*  sponsionem  nostram,  quae  his  erit  implicita,  factam  oratori  praedicto  „. 

(ij  \^,  carte  30,  Sommario  dell'esposizione  di   Girolamo  Bobadilla, 
Venezia,  ^5  settembre  1494.  V.  app.  doc.  I. 

(2)  Sawuto,  pp.  674-75,  e  tutti  gli  storici,  tra  cui  Dklaborde,  p.  424. 

(3)  LuNiG,  Codex  Italiae  diplomaticus^  I,  Francofurti  et  Lipsiae,  1725, 
^^)  Delabordk,  p.  425. 

(4)  Calvi,    bianca  Maria,  p.  71-72. 
\      (5)  SANirr^,  loc.  cit.;  Magenta,  op.  cit.,  II,  463,  lettera  di  Donato 
^  ^''cti,  oratore  mantovano. 


a86  LODOVicx)  sforza,  detto  il  moro, 

vicini,  sebbene  non  lo  amassero  (i),  avevano  troppo  bisogno  di 
lui  e  troppo  scetticismo  per  occuparsi  del  legittimo  erede.  Assi* 
curatosi  lo  stato,  Lodovico  fece  ritorno  al  campo  francese  che  rag- 
giunse a  Villafranca  presso  Pontremoli.  Ricevette  da  questo  luogo 
il  giuramento  di  fedeltà,  essendo  terra  suddita  al  ducato  Icmih 
bardo  (a),  ed  attese  con  desiderio  l'assedio  di  Sarzana,  che  sperava 
rovinoso  pel  re.  Invece  i  suoi  pronostici  non  s'avverarono.  Lungi 
dall'essere  provveduta,  Sarzana  per  l'incuria  del  governo  fioren- 
rentino  non  aveva  mezzi  di  difesa.  S'aggiunse  P inqualificabile 
condotta  di  Pietro  de'  Medici,  che,  con  vile  sottomissione  recatosi 
supplice  al  campo  regio,  consegnò  al  re  tutte  le  piazze  di  Luni* 
giana,  Sarzana,  Sarzanello  e  Pietrasanta  (3).  Se  l'odio  di  Lodovico 
per  il  Medici  era  già  grande,  dovette  crescere  a  più  doppi  in  se- 
guito  a  quella  malaugurata  viltà  (4).   Ormai   il  re   aveva   libero  il 


(x)  La  lettera  cit.  di  Giacomo  de  Adria  al  marchese  di  Mantova 
(p.  254)  colle  osservazioni  di  compianto  per  Gian  Galeazzo  e  più  ancori 
per  Isabella,  sono  una  prova  che  anche  Francesco  Gonzaga  non  era 
molto  fautore  del  nuovo  duca  di  Milano  perchè  un  suo  dipendente  seri- 
vesse  a  lui  in  tal  forma.  Altre  lettere  poi  dell'Adria  stesso  e  di  An- 
tonio Salimbene  dicono  che  anche  la  Serenissima  era  poco  favorevole 
all'elevazione  del  Moio» ma  avrebbe  preferito  il  figlio  di  Gian  Galeazzo, 
v.  Arch.  stor.  Gonz.,  E.  Esterni  n.  XLV  n.  3  b.  1434  cit.  Salirnbene  al 
marchese*.  Venezia,  28  ottobre  1494.  ^  ^^  successo  de  Milano  se  fu  ha 
**  qui  generalmente  tanto  cordoglio  corno  ho  mi;  dico  de  mi,  perchè  mazor 
"  non  lo  pileria  haver  „.  —  Giacomo  de  Adria,  lettera  cit.  del  23  ottobre. 
"  ....  Questa  matina  quando  d.  Antonio  (Salimbene)  andò  da  la  S."* 
"  haveva  avuto  la  nova,  ma  alcuna  particorità  non  intese,  se  non  che 
**  gli  parse  in  lo  processo  dil  suo  parlar  che  la  SerJà  sua  fosse  ad  ogm 
"  modo  inclynata  al  figliolo,  cioè  al  duca  Francesco,  che  dio  gli  ne  presti 
**  gratia,  et  così  ognuno.  Nondimeno  qua  non  se  ne  intende  ancora  alcuna 
"  altra  cosa  de  certo  „. 

(2)  Sanuto.  op.  cit.,  p.  105. 

(3)  Guicciardini,  op.  cit,  lib.  V,  cap.  3.,  ecc. 

(4)  Sulla  cacciata  di  Pietro  de'  Medici,  v.  Villari,  Storia  di  Còro- 
lamo  Savonarola  e  del  suo  tempo,  Firenze,  Le  Mounier,  1887,  ^^"  ^* 
p.  197  e  sgg.  ;  Perrens,  Histoire  de  Florence ,  voi.  II,  Paris,  1889, 
p.  69  e  sgg.  —  Pietro,  come  è  noto,  si  rifugiò  dapprima  a  Venezia, 
dopo  avere  impetrato  ed  ottenuto  il  salvacondotto.  (V.  Arch.  di  Stato 
di  Venezia,  Capi  Consiglio  dei  Dieci,  Lettere  busta  7.  Venezia,  18  no- 
vembre 1494).  Prima  tuttavia,  secondo  ebbe  poi  a  dire  a  Gio.  Friii. 
Cesco  di  Sanseverino,  conte  di  Caiazzo,  cercò  di  avere  ospitalità  a  Hi- 


E   LA  REPUBBLICA   DI  VENEZIA  287 

passo  neiritalia  centrale,  ormai  la  calata  francese  assumeva  agli 
occhi  di  tutti  un  aspetto  più  sinistro  di  quel  che  fino  allora  era  sem- 
brato. U  Moro  non  indugiò  più  oltre,  ed  il  6  novembre  abbandonò 
il  re,  che  ritenendosi  certo  del  trionfo,  non  gli  nascondeva  la  sua 
diffidenza  ed  antipatia  (i).  Il  13  novembre  Lodovico  rientrava  a 
Milano  in  buon  punto  :  la  Serenissima  dopo  tante  esitazioni,  faceva 
con  lui  dimostrazione  pubblica  di  amicizia. 

Da  vari  mesi,  secondo  abbiamo  narrato,  Venezia  taceva  innanzi 
alle  parole  e  domande  interessate  del  principe  vicino.  Mai  essa  col 
Moro  era  uscita  dai  confini  della  stretta  cortesia  (2).  Quando  non- 
dimeno la  fortuna  del  re  invasore  superò  le  previsioni  della  Si- 
gnoria, quando  le  ostilità  del  re  Alfonso,  che  toglieva  Bari  a  Lo- 
dovico (3),  più  non  valsero  a  trattenere  la  paura  del  Moro,  che 
temeva  il  monarca  francese,  suo  alleato,  più  degli  Aragonesi,  suoi 
nemici,  Venezia,  superando  l'avversione  che  le  ispirava  lo  Sforza 
per  l'usurpazione  di  fresco  commessa  (4),  sentì  la  necessità  urgente 

lano,  ma  Lodovico  sdegnatissimo  Io  respinse  [Arch.  di  Stato  di  Milano, 
Pottnsie  estere,  Napoli^  1494-96.  Il  conte  di  Caiazzo  al  Moro.  Napoli, 
14  marzo  1495].  Pietro  allora,  dopo  breve  permanenza  a  Venezia,  aveva 
raggiunto  Carlo  Vili  ed  era  rimasto  nel  campo  francese  sino  alla  presa 
di  Napoli.  Colà  poi  in  visita  fatta  al  Caiazzo  ricordò  l'antica  amicizia 
del  duca  Francesco  I  *  col  bisavo  suo  Cosimo,  supplicando  che  a  tanta 
"  amicitia  et  devotione  de  la  casa  sua  non  doveriano  già  esser  in  obli- 

•  viene  alla  Ex.  V.  ^,  scrisse  il  Caiazzo,  "  de  la  quale  el  vole  essere  ser- 
vitor  „  e  se  talora  non  si  è  comportato  secondo  la  volontà  del  Moro, 

•  gli  ne  dole  et  dice  volerse  rebatizar  pregandome   che   io   gli   voglia 

■  essere  compar  et  mezo  a  questo  novo  baptesimo  „. 

(i)  Sanuto,  op.  cit.,  Joc.  cit.  ;  Delaborde,  op.  cir.,  pp.  437-38, 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  loc.  cU.  11  Vimercato  al  Moro.  Ve- 
nezia, I  settembre  1494. 

(3)  Id.  Venezia,  7  ottobre  1494,  —  Il  tesoriere  Elia  da  Sartirana  fu 
spogliato  dal  re  Alfonso  anche  dei  suoi  oggetti  personali,  avendolo  il 
re  espulso  da  Bari  senza  dargli  tempo  di  portar  seco  le  cose  sue. 
Lodovico  scrisse  poi  al  re  volesse  almeno  restituire  al  povero  tesoriere 
quello  che  gli  apparteneva.  V.  id.  Potenze  estere,  Napoli,  loc.  cit,  Milano, 
4  dicembre  1494. 

(4)  Arch.  stor.  Gonz.,  £".  esterni,  n.  XLV,  n.  3  b.  1434.  Giacomo  de 
Adria.  Venezia,  23  ottobre  1494.  •  Questa  matina,  quando  d.  Antonio 

•  (Salimbene)  andò  da  la  S.n»,  haveva  havuto  la  nova,  ma  alcuna  parti- 

■  cularìtà  non  intese,  se  non  che  gli  parse  in  lo  processo  del  suo  parlar 

•  che  la  Scr.t*  sua  fosse  ad  ogni  modo  inclynata  al  figliolo,  cioè  al  duca 

•  Francesco,  che  dio  gli  ne  presti  gratia  et  così  ognuno  ^ 


288  LODOVICO  SFCHtZA,  DETTO  IL  MOKO, 

di  abbandonare  il  suo  riserbo.  Un  accordo  fra  i  due  stati  innand 
allo  straniero,  od  almeno  lo  spezzare  i  vincoli  già  deboli  che  strin- 
gevano Milano  a  Carlo  Vili,  era  imposto  dalle  mutate  condizioiii 
della  penisola.  Non  pensava  ancora  la  Repubblica  di  rompere  guerra 
al  re  francese,  ma  scorgeva  farsi  di  giorno  in  giorno  più  evidente 
la  possibilità  d' un  conflitto,  anche  mentre  essa  ed  il  re  francese 
usavansi  cortesie  reciproche.  Giorgio  Pisani  in  Asti  aveva  fatto 
visita  al  re  (i)  ed  un  ambasciatore  francese,  Filippo  de  Coramines, 
signore  di  Argenton,  risiedeva  a  Venezia.  Ma  le  aperture  dd  de 
Commines  per  qualche  trattato  che  guarentisse  la  conquista  di  Na- 
poli (2)  e  la  domanda  d'un  imprestito  pecuniario  (3)  erano  state 
respinte  dalla  Signoria.  Né  l'invio  di  Domenico  Trevisan  ed  An- 
tonio  Loredan  al  fianco  di  Carlo  Vili  (4),  dovevasi  considerare 
come  prova  di  amicizia,  poiché  sotto  l'apparenza  di  onore  e  ca> 
tesia,  si  nascondeva  nell'ambasciata  lo  scopo  di  sorv^liare  le  mosse 
dell'invasore,  e  si  copriva  d'un  velo  innocente  l'invio  contemporaneo 
d'un'  altra  legazione  presso  il  nuovo  duca  di  Milano.  Venezia  de- 
siderava incuorare  il  Moro  nelle  intenzioni  ostili  contro  la  Franda 
e,  giudicando  opportuno  qualche  legame,  se  non  immediato,  almeno 
prossimo,  collo  stato  vicino,  voleva  mostrare  a  Lodovico  ch'essa 
accoglieva  la  proposta  d'alleanza  fattale  giorni  prima  dall'oratore 
sforzesco,  Taddeo  Vimercato  (5). 

IV. 

11  21  novembre  l'ambasciata  veneta  composta  di  due    abili  di- 
plomatici, Sebastiano  Badoer,  cav.  e  savio  del    Consiglio,  e  Bene- 

(i)  Sanuto,  op.  cit.,  p.  89. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Potenze  estere,  Venezia,  loc.  cit.  Il 
Vimercato  a  Lodovico.  Venezia  7  ottobre  1494. 

(3)  Sanuto,  op.  cit.,  pp.  lOO-ZOI. 

(4)  RoMANiN,  op.  cit,  V,  49;  Delaborde,  op.  cit.,  p.  481  ;  Dejarddcs, 
op.  cit.,  I,  530.  Soderini  a  Pietro  de'  Medici.  Venezia.  22  ottobre  1494. 
Arch.  di  Stato  di  Venezia,  loc.  cit.,  ce.  41  r.  43.  Commissione  ai  due  am- 
basciatori. Venezia,  13  novembre  1494.  V.  app.  doc.  II.  Arch.  di  Stato 
di  Milano,  loc.  cit.  Venezia,  28  e  31  ottobre  1494.  *  •  •  •  Ambidui  digni 
*  homini  et  de  grande  autorità  „.  Archivio  stor.  Gonz. ,  loc  cit  Vene- 
zia, aS  ottobre  1494. 

(5)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  loc.  cit.,  ce.  47.  Commissione  agli 
oratori  eletti  presso  il  duca  di  Milano.  V.  app.  doc.  II. 


E  LA  REPUBBLICA  DI  VENEZIA  289 

detto  Trevisan,  avogador  del  comune,  e  di  un  segretario,  Giorgio 
Negro,  lasciò  Venezia  (i).  Per  Padova  (2),  Vicenza  (3),  Verona  (4), 
e  Brescia  (5),  giunse  il  30  novembre  a  Marignano  (6),  dove  il 
Moro  fece  incontrare  gli  oratori  da  quattro  consiglieri  dello  stato, 
ed  egli  stesso  volle  attenderli  il  i  dicembre  alle  porte  di  Milano, 
accompagnato  da  tutta  la  corte  e  dagli  ambasciatori  di  Firenze, 
Ferrara,  Bologna  e  Siena,  accoglienza  nuova  a  semplici  ambascia- 
tori. Anzi  il  Moro  volle  cedere  persino  il  passo  al  Badoer  e  non 
permise  ad  alcuno  dei  due  ambasciatori  di  smontare  quando  gli  fu- 
rono giunti  innanzi.  A  Vicenza  gli  oratori  avevano  inteso  parole 
assai  gravi  dal  vescovo  della  città,  Battista  Zeno,  cardinale  del  ti- 
tolo di  S.  Maria  in  Porticu,  Il  prelato,  ben  intuendo  l'importanza 
dell'ambasciata,  aveva  detto:  «  Per  el  juditio  mio  tale  quale  le  » 
doveva  la  Signoria  «  sopra  tutto  assegurar  cum  ogni  mezo  et  modo 
ti  possibile  il  S.*»*"  Ducha  di  Millan  perchè  havendo  un  bel  stado  in 
a  Italia,  come  Iha,  sei  sera  zerto  poterlo  goder  quietamente  Ihaverà 
«  causa  de  contentarse. . .  El  fa  per  tuti  che  ad  ogni  modo  questo 
«  re  torni  adrietto,  se  ben  se  gè  dovese  fare  un  ponte  d'oro  et  farli 
«  tute  le  chareze  del  mondo.  Et  a  questo  efifecto  Io  tengo  larga- 
«  gamente  che  una  bona  liga  Zeneral  che  se  facesse  conferreria  gran- 
ii demente,   et  seria  causa  de  ogni  bene  »  I  due  oratori,  intese  le 

(i)  Dell'invio  parlano  il  Sanuto,  op.  cir.,  p.  123,  il  Priuu,  op.  cit.  col.  9, 
11  primo  dice  del  Badoer:  *  che  benissimo  si  portò,  ita  che  reduxe 
*  ci  duca  a  far  quello  volse  la  Signoria  „  ;  Il  Priuli  conosce  che  gli  am- 
'  basciatori  furono  etiam  mandati  per  contrattare  qualche  provvedi- 
''  mento  circa  a  queste  cose  francesi  „  e  così  infatti  suona  V  istruzione. 

(2)  Codice  Marciano,  loc.  cit,  ce.  1.  Badoer  e  Trevisan  al  doge. 
Padova,  22  novembre  1494  (lettere  2). 

(3)  Id.  Vicenza,  24  novembre  1494. 

(4)  Id.  e.  I  t.  Verona,  26  novembre  1494. 

(5)  Id.  e.  2.  Brescia,  28  novembre  1496. 

(6)  Id.  e.  2.  Milano,  i  dicembre  1494.  V.  anche  la  descrizione  del- 
l'ingresso da  una  lettera  di  Lodovico  in  Arch.  di  Stato  di  Milano,  loc. 
cit,  Lodovico  al  Vimercato.  Milano,  3  dicembre  1494;  Il  Sanuto,  op.  cit., 
pp.  122-23  dice  gli  oratori  entrati  a  Milano  il  7  dicembre.  Certo  quel  7  è 
un  errore  di  stampa  per  i,  vera  data  dell*  ingresso.  Assevera  poi  che 
vennero  alloggiati  in  castello,  e  che  il  duca  fece  presentare  loro  le  chiavi 
del  medesimo.  Ignoro  dove  il  celebre  cronista  abbia  tratto  queste  notizie, 
di  cui  non  fanno  parola  i  due  oratori  nella  loro  lettera;  il  Priuli,  col.  9, 
scrive  solo  che  gli  oratori  **  furono  con  grandissimi  onori   accettati  „. 


ago  LODOVICO  sforza,  detto  il  moro,. 

giuste  parole  dello  Zeno,  risposero  in  forma  che  lasciava  trapelare 
il  vero  scopo  della  loro  missione,  •■  Nui  S.'""  principe,  udissemo  at- 
tentamente ogni  suo  discorso  »,  cosi  scrissero  al  Doge,  «  et  respon- 
dendoli  per  generalta  li  dechiarìssìmo  ampiamente  la  molestia  et 
cordoglio  sentiva  la  111.™»  S  "»  de  tale  turbolentie,  affermandoli  che 
per  quanto  è  in  lei,  eia  non  ha  may  manchato,  né  è  per  manchar 
cum  tutti  li  spiriti  et  sentimenti  sol  metter  c^i  opera  ala  sedation 
de  quelli  per  el  ben  universale  ■  (i). 

Il  3  dicembre,  accompagnati  dal  Pisani  e  dai  vescovi  di  Como 
e  di  Piacenza,  ì  due  oratori  ebbero  con  molta  solennità  l'udienza 
pubblica  da  Lodovico  (2).  Naturalmente  in  essa  non  vi  furono  ao 
cenni  politici  da  nessuna  delle  pani,  ma  l'espansione  che  dimostrò 
il  Moro  preparò  l'animo  degli  ambasciatori  per  l'udienza  segreta. 
Cosi  si  proponevano  «  prò  virili  in  omnibus  exequir  studiose  et 
diligentemente  n  quanto  avevano  in  commissione  (3). 

Milano  era  in  quei  giorni  non  solo  fra  le  più  sfarzose  città 
del  mondo  (4),  ma  anche  un  centro  politico  e  di  notizie  per  tutta 
l'Europa.  Di  più  il  duca  Lodovico  aveva  bisogno  dell'appoggio 
veneto  per  consolidare  la  recente  e  mal  acquistata  signoria  e  per 
difendersi  dall'  ambizione  del  duca  d' Orléans,  che  lo  inquietava 
molto  e  forse  l' avrebbe  turbato  maggiormente  ancora,  s' egli 
avesse  saputo  che  fin  dai  primi  di  ottobre  ad  aperture  segrete  di 
Pietro   de'  Med  ci,   mentre  egli   accompagnava  il  re   attraverso  la 


(1)  Cod.  cit.,  le»,  cit.,  da  Vicenza  24  novembre. 

(a)  Ecco  la  credenziale  del  doge.  V.  Arch.  dì  Stato  dì  Milano,  loc. 
t.  (pergantena).  *  Ilustrissime  et  Ex.""  Frater  nosier  Carissime.  Mìt- 
timus  ad  lll.o""  D.  vestram  Nobiles  et  dilectissìmos  cjves  nostros  Sc- 
bastianum  Baduarium  equilem  et  Benedictum  Trivisannra  solemoes 
oratores  nostros,  Quibus  commìsimus  ut  nonnulla  Ex-iì**  V.  nosu^ 
nomine  referant.  Placeat  igitur  eidem  verbis  praefatorum  oratomm  no- 
strorum  fìdem  Amplissimam  adlibere,Ac  siNos  ipsicoramloqueremnr. 
Datae  in  nostro  ducali  palailo  Die  XX.w  novembris  Indìclione  Xìii** 
M'CCCCLXXXX  Quarto. 

*  AuGUSTiNus  Barbadico,  Dei  Grati  a 

*  GioRcaus  NiSRo,  s*cnL  , 

«nUire  1494. 

7,  dice  la  corte  dd   Moro  *  la  pia 


E  LA  REPUBBLICA  DI  VENEZIA  29I 

Lombardia,  l'Orléans  aveva  dichiarato  che  con  qualche  partito  ono- 
revole da  offrirsi  al  re,  si  sarebbe  adoperato  «  per  dare  la  picchiata 
al  sig.  Lodovico  e  rivolgerli  la  piena  addosso  »  (i).  Il  Moro  non  si 
manifestava  apertamente  contrario  al  Francesi;  comunicava  tuttavia 
le  notizie  che  gli  pervenivano  dalla  corte  regia  agli  oratori  ve- 
neti (2).  Avuta  poi  udienza  segreta  costoro  fecero  presente  a  Lo- 
dovico le  conseguenze  della  calata,  i  perìcoli  che  correvano  Milano 
e  Venezia,  e  l'invitarono  ad  esprimere  nettamente  il  pensier  suo  (3). 
Voleva  la  Signoria  trarre  da  lui  qualche  dichiarazione  categorica 
intomo  ai  metodi  coi  quali  potevasi  ovviare  ai  pericoli  di  quei 
giorni  (4).  Il  Moro  ascoltò  l'apertura  dei  due  diplomatici,  fatta  con 
grande  abilità,  gioioso  della  cresciuta  importanza  sua.  Egli  vedeva 
la  Serenissima  pendere  dal  suo  labbro  e  nulla  più  agognava 
quell'ambizioso  che  di  apparire  principale  attore  in  ogni  combina- 
zione politica.  Del  resto  mai  gli  interessi  di  Milano  e  di  Venezia 
erano  apparsi  così  uguali,  mai  ad  un  duca  milanese  erasi  offerta 
un'occasione  così  spontanea  per  iniziare  legami  col  primo  stato  della 
penisola,  col  nemico  temuto  per  tanto  tempo.  Rispose  egli  perciò 
di  avere  da  lungo  tempo  preveduto  le  conseguenze  della  calata 
francese,  anzi  d'essere  stato  il  primo  a  metterli  in  luce  coll'ambasciata 
che  la  consorte  Beatrice  aveva  guidato  a  Venezia  (5).  Non  essere 
stato  creduto,  e  quindi  trovarsi  ora  le  cose  a  tanta  estremità.  Ben 

(i)  Desjardins,  I,  573-74.  Giambattista  Ridol fi  a  Pietro  de'  Medici 
Alessandria,  3  ottobre  1494. 

(2)  Cod,  cìu,  e.  3  t.  Milano,  3  dicembre  1494.  Questa  lettera  è  stata 
in  gran  gran  parte  pubblicata  dal  Romanin,  op.  cit.,  V,  50  e  sgg.  Dal 
RoMAKiN  trassero  il  De  Cherrier,  II,  56^  ed  il  Delaborde,  pp.  531-32. 

(3)  Id.  lettera  cit. 

(4)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  loc.  cit,  ce.  48.  La  Signoria  al  Ba* 
doer,  al  Trevisan  ed  al  Pisani.  Venezia,  29  novembre  1494.  Lodate  la 
buona  intenzione  del  duca  di  rimuovere  i  torbidi  italiani.  Nel  che  noi 
pure  ci  adopereremo.  *  Et  demum  iuxta   formam  commissionis  datae 

*  vobis  duobus  oratoribus  novissime  missis,  hortabimini  cum  omni  efB- 

*  catia  prefatam  ex.twra  ut  absque  ulla  reservatione  exprimat  confì- 
'  dentissime  ea  que  videantur  accommodata  ad  dictum  effectum,  quo- 
'  niam  interponi  non  posset  aHqua  ulterior  mora  aut  dilatio,  absque 

*  augumento  pertculi  imminentis  Italiae  et  Christianae  religionis  „. 

(5)  Sull'ambasciata  di  Beatrice  a  Venezia,  v.  Romanin,  V,  19  e  sgg.; 
Delaborde,  p.  269  e  specialmente  ì  documenti  editi  dal  Molmcmti,  Storia 
di  Venezia  nella  vita  privata ^  Torino,  Roux  &  Favale,  1880,  p.  604-11. 

Arch  Stor.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  io 


292  LODOVICO  SFORZA,   DETTO  IL   MORO, 

conoscere  egli  il  re  francese  e  poterne  ampiamente  discorrere,  aven- 
dolo praticato  a  lungo.  «  Costui   è   zovene  »  disse,    «  et  di  poco 
M  governo  et  non  ha  alcuna  forma  né  modo  de  conseglio.  Li  sci  as- 
u  sistenti  sono  divisi  in  doe  parte,  una  è  governata  da  Filippo  mon 
u  signor  (i)  et  seguaci,  mei  inimici,  et  1  altra  da  monsignor  da  San 
u  Mallo  (2),  e  Beuchario  (3),  e  compagni,  oppositissimi  in  ogni  opi- 
u  nione.  E  pur  che  uno  contrarj  a  laltro,  et  venzi  la  opinion  soa, 
u  non  hano  alcun  respeto  al  beneficio  del  re,  attendono  a  manzar 
u  danari   e   non    curano   daltro.    1   qual  tuti    insieme  non  fariano 
u  mezo  homo  savio  ».  E  narrava  d'aver  assistito  in  Asti  ad  una  se- 
duta del  Consiglio  regio,  e  che,  mentre  si  discuteva,  uno  giocava, 
Taltro    faceva  colazione,    il    terzo  s*  occupava  d' altra   cosa;  infine 
nessuno    teneva    contegno  adatto,    né    comprendeva    la    responsa- 
bilità ed  il  dover  suo.  Il  re,  per  consiglio  di  Tizio  ordinava  lettoc 
in    una  forma,  ma  se  Caio  proponeva  cosa  opposta,    revocava  le 
prime  lettere  e  ne  mutava  integralmente  il  contenuto.  «  Le  supcr- 
u  bìssimo   et  ambitiosissimo  quanto  imaginar  se  pò,   et   non  stima 
«  alcuno  »,  osservava  il  Moro,  sfogando  il  risentimento  che  covava 
da  due  mesi  nell'animo  suo.   Nessuna  deferenza   aveva  avuto  per 
lui  il  re.  u  Qualche  fiata  che   eramo   reduti  insieme    el  mi  lassava 
u  come    una  bestia   solo  in   camera,  et   luy  cum  li  altri  andava  a 
u  far  collatione  »,  Carlo  Vili  aveva  seco  1500  lance  e  3  o  4000  sviz- 
zeri :  danari  pochissimi,  soli  34,000  scudi,  e  nella  sua  coite  mancava 
ogni  amministrazione.    Ingordigia  somma    nei  ministri,    spreco  del 
denaro  e  nessun  conto.  Solo  di  continuo  era  pregato  lui  Lodovico 
di  soccorsi  pecuniari,  senza  gli  si  dessero  assicurazioni  di  rimborso. 
Il  Moro   ricordò  infine  di  avere  indotto  il   re   francese   all'  assedio 
di  Sarzana,  confidando  fosse  buon  mezzo  per  impedire  l'avanzata 
dell'invasore.  La  debolezza  della  difesa,  per  quanto  fosse  la  posi- 
zione fortissima,  mandò  in  fumo  tutto  il  suo  piano.  Presa  Sarzana 
e  decisa  T  avanzata  nell' interno  dell'Italia    centrale    era    desiderio 
del  re  che  Lodovico  lo  seguisse.  Al  suo  rifiuto,    chiese  almeno  lo 
consigliasse  sulle  opere  convenienti.  «  Io  li  dissi  «  continuò  il  Moro, 
certo  non  mentendo:  «  sacra    Maestà,    cavate  Piero  de' Medici  da 
u  la  tyranide  de  Fiorenza,  et  redusete  quella  terra  in  libertà.  Non 

(i)  Filippo  di  Savoia,  signore  di  Bressa,  poi  duca  di  Savoia  (I496-97). 

(2)  Guglielmo  Bri^onnet,  vescovo  di  Saint-Malo. 

(3)  Stefano  de  Vesc,  signore  di  Beaucaire. 


E   LA   REPUBBLICA   DI    VENEZIA  293 

u  fate  molestia  alcuna  né  a  quella  terra,  né  ad  altre,  se  ve  volete 
«  conservar  amico  de  li  potentati  et  Segnori  de  Italia  ».  Ora  questi 
consigli  aveva  il  re  sprezzato,  negando  la  consegna  promessa  di 
Sarzana  ai  Genovesi,  e  poi  commettendo  ogni  sorta  di  violazioni 
e  di  saccheggi  durante  il  suo  viaggio.  «  Pensate  »,  proseguì  Lodovico 
«  come  se  potemo  fidar  de  lui,  Iha  fatto  tante  crudeltà  et  inso- 
«  lentie  per  tutti  i  luogi  nostri  dove  le  stato,  che  non  havemo  visto 
«  Ihora  de  penzerlo  fuor  de  nostri  confini.  1  sono  mala  zente,  et  é  da 
u  far  el  tuto  per  non  li  haver  vicini  ».  Nulla  desiderar  egli  di  meglio 
che  sbarazzare  T  Italia  da  quel  re,  e  poiché  la  Serenissima  lo 
pregava  di  confidenza  e  di  sincerità,  egli  non  esitava  a  dire  che 
già  aveva  fatto  il  possibile  perché  la  spedizione  francese  non  riu- 
scisse. La  flotta  genovese,  sulla  quale  faceva  gran  conto  il  re,  per 
suo  ordine  veniva  disarmata,  e  così  il  re  Alfonso  II,  libero  dalle 
preoccupazioni  per  via  di  mare,  poteva  attendere  alla  difesa  ter- 
restre. Le  genti  sue,  che  in  Romagna  unite  airesercito  francese  di 
Gilberto  di  Montpensier  avevano  fronteggiato  il  duca  di  Calabria^ 
ora  erano  state  richiamate  in  Lombardia.  Così  il  duca  di  Calabria 
forse  poteva  ripiegare  verso  T  Italia  meridionale  ed  unire  le  forze 
a  quelle  del  padre.  Infine  sue  lettere  erano  andate  a  Roma  per 
incuorare  il  papa  a*,  mantenersi  legato  col  re  Alfonso  ed  egli 
aveva  fatto  il  possibile  per  riconciliare  il  fratel  suo,  il  card.  Asca- 
nio  Sforza,  vicecancelliere  della  Chiesa,  con  Sua  Santità.  Innanzi 
al  comune  nemico  tutte  le  questioni  particolari  dover  scomparire. 
I  Colonna  d'accordo  col  cardinale  Ascanio  fino  a  quei  giorni  ave- 
vano tenuto  la  campagna  contro  il  papa:  essere  da  luì  stato  di- 
sposto perchè  Ascanio  facesse  sospendere  le  ostilità.  Infine  con 
nunzio  segreto  aver  confortato  il  re  Alfonso  a  resistere  due  mesi 
soli,  convinto  che  per  maggior  tempo  Carlo  Vili  non  sarebbe  rimasto 
nella  penisola.  Ed  asseriva  in  ultimo  di  aver  fatto  intendere  al  re 
francese  che  non  avrebbe  tollerato  alterazione  al  nuovo  governo 
fiorentino  dopo  la  cacciata  di  Pietro  de'  Medici,  e  di  aver  pure 
informato  il  re  dei  Romani  d'ogni  cosa  con  inviti  a  mandare  nuovi 
nunzi  presso  il  re  francese,  i  quali  prima  ricevessero  l'imbeccata 
a  Milano.  «  Io  so  bene  »,  esclamava  il  Moro,  «  quelo  lì  ho  a 
dir  ».  Essere  certo  che  Massimiliano  avrebbe  seguito  il  suo  con- 
siglio. Dunque  innanzi  a  tutti  questi  fatti  la  Signoria  volesse 
esprimere  chiaramente  le  sue  intenzioni,  com'egli  aveva  fatto.  «  Et 


a94  LODOVICO  SFORZA,  DETTO  IL  MORO, 

«  venete  cum  ad  a  laperta  »,  conchiudeva,  «  perchè,  a  dir  verocum 
«  le  Mfi^  vostre,  Io  non  ho  possuto  haver  fino  a  hora  da  qudla 
«  S.ri»  111."»  salvo  che  io  son  prudente  e  savio  ». 

Lodovico  desiderava  cosa  troppo  insolita!  Non   era  uso  ddla 
Serenissima   aprirsi  con   altri  potentati,  specialmente   nelle  circo- 
stanze politiche  oscure.  La   vicinanza  deiresercito  francese  airt 
talia  superiore  suggeriva  a  Venezia  il  massimo   riserbo.   Quindi  i 
tre  oratori  si  profusero  bensì  nelle  più  ampie  lodi  verso  ranimo 
eletto  (I)  del  Moro,  ma  circa  le  intenzioni   della  Signoria  dissero 
solamente  che  niuno  più   di  Venezia  nutriva  fiducia  in  Lodovico 
e  che  nel  caso  in   questione  egli  solo,  come  profondo  conosdtoit 
dei  francesi  e  del  loro  re,  poteva  manifestare   un'  opinione  degna 
di  ascolto.  Lodovico   osservò  allora  come   il   re    si  trovasse  tia 
Firenze   e  Siena,  che  in  questa,  città  imperiale,  era  possibile  i» 
pedirgli  l'ingresso.  Averne  egli  scritto  a  Galeazzo  di  Sanseverioo^ 
che  accompagnava  il  re,  protestando,  come  già  per  Firenze,  che  non 
avrebbe  tollerato  innovazioni  su  terre  imperiali.  Restava  la  gmve 
questione  di  Roma.  Le  inclinazioni  pontificie  non    erano  dubbit. 
Alessandro  per  interesse  politico  e  megho  ancora,  famigliare,  eia 
più  che  mai  inclinato  a  favore  dei  Napoletani  (i).  Ciò  concordata 
bene  col  piano  del  Moro  e  coi  sentimenti  gallofobi  della  Signoiia 
veneta.  Lodovico  proponeva  si  invitasse  da  parte  sua  e  della  Re- 
pubblica il  re  francese  ad  evitare   ogni  ostilità  contro  il  pontefice. 
«  Et...  sei  dice  andar  a  Roma  come  amico,   non    è    conveniente  » 
esclamava  u  che  uno  amico  vadi  a  casa  de  laltro  contra  soa  volontà. 
«  Sei  dice  voler  andar  per  reformar  la  chiesia,  questo  non  aspecta 
«  a  luy;  perchè  a  dirlo  cuni  le  M.^'«  vostre,  Iha  più  bisogno  luj  de 
«  reformatione  eh  a  de  ref ormar  altri.  Et  pensate  come  la  chiesia  de 
u  Dio  staria  bene,  se  per  custui  la  fusse  reforraata!  i»  (2). 

Ma  Lodovico  non  diceva  tutto  agli  ambasciatori.  Egli,  se  nu- 


(i)  Il  Matarazzo  scrive  che  se  Alessandro  era  fautore  degli  Ai» 
gonesi,  durante  la  calata  del  re  "  non  era  certo  cum  quale  lui  avesse 
intelligentia  „  v.  Fabrktti,  Cronaca  della  città  di  Perugia  dal  149M  ^ 
IS03  di  Francesco  Mataraszo  detto  Maiuransio  in  Arch.  storico  itaBtHO, 
XVI,  parte  2.*,  1851,  p.  io,  cioè  se  con  Alfonso  li  o  con  Cario  VUL 
Il  pubblico  certo  non  pensava  che  Alessandro,  come  avvenne,  serbasse 
intatta  fede  agli  Aragonesi. 

(2)  Lett.  cit.  del  3  dicembre. 


E    LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  295 

triva  realmente  sdegno  contro  il  re  di  Francia,  giocava,  sembra,  a 
partita  doppia.  Carlo  Vili,  dopo  l'indegna  condotta  di  Pietro  de*  Me- 
dici, lungi  dairabbandonare  alla  sua  sorte  quell'uomo  che  gli  era 
stato  sempre  ostile  ed  aveva  favorito  gli  Aragonesi,  come  Lorenzo 
suo  padre,  lo  proteggeva  (i).  È  facile  immaginare  il  dispetto  di 
Lodovico,  il  quale  aveva  al  re  consigliato  l'espulsione  di  Pietro  da 
Firenze.  Eppure  il  nuovo  duca  di  Milano,  mentre  si  sfogava  cogli 
oratori  veneziani,  desideroso  di  non  inimicarsi  il  re,  ma  solo  di 
ottenere  da  Carlo  Vili  un  trattamento  più  deferente,  ordinò  al  Vimer- 
cato  di  aprirsi  col  Commines.  «  Dite  al  s.*'«  d'Argenton  »,  scriveva, 
«  che  da  la  m.  r.  noi  dapoi  che  la  se  partite  da  Sarzana  non  ha- 
M  biamo  mai  havuto  participatione  alcuna  de  cosa  quale  habia  deli- 
u  berato  fare,  et  non  solo  non  ha  facto  quello  che  la  disse  de  fare 
«  cioè  che  Intendevano  sempre  li  consilij  suj,  et  sequire  li  ricordi 
«  nostri  nel  proceder  inante  alla  Impresa,  come  anche  pareva  conve- 


(i)  Ascanio  Sforza,  per  quanto  legato  alla  parte  francese,  appena 
ebbe  inteso  la  viltà  di  Pietro  col  re,  scrìsse  al  fratello  raccomandan- 
dogli di  stare  sull'avvisato,  che  Pietro  aveva  fautori  presso  Carlo  VIII, 
ed  espresse  il  rammarico  che  Lodovico  non  fosse  rimasto  col  re  per 
bilanciare  ed  annullare  l'azione  di  coloro,  v.  Arch.  di  Stato  di  Milano, 
Potenze  estere,  Roma.  Il  cardinale  Ascanio  Sforza  a  Lodovico.  Marino, 
16  novembre  1494  (cifrata).  L'abboccamento  del  re  con  Pietro  de'  Me- 
dici a  Sarzana  è  cosa  grave  per  le  espressioni  usate  dal  re.  Stia  Lo- 
dovico all'erta,  perchè  Pietro  ha  un  amico  potente  nel  Saint-Malo,  e 
quindi  "  dubito,  ha  vendo  Petro  fautori  in  quella  corte,  che   a  qualche 

*  tempo  non  suscitasse  in  modo  che  havesse  a  portare  poco  fructo  alla 
■  Ex.tia  V.  et  cose  sue.  La  qual  prego  non  se  lassi  vincere  da  le  sub- 

*  missione  de  petro  di  medici,  perche  sono  facte  per  vera  forza  e  ne- 

*  cessità,  e  benché  la  ex.  v.  stia  de  bono  animo  de  Chr.m»  MA  sua 
"  verso  quella  et  me  conforti  a  fare  el  medesimo,  nondimeno  a  me  non 

*  livrano  mollo  de  piacere  questi  andamenti y  et  sanarne  piaciuto  molto , 
"  veduti  epsi  andamenti,  quando  fusse  stato  possibille,  che  la  ex.  v.  non 
**  avesse  abandonato  la  persona  del  Chr.mo  re,  maxime  havendolene 
"  essa  facto  instantia,  perchè  non  ha  da  credere  con  la  presentia  de 

*  V.  Ex.  facesse  se  non  quanto  piacesse  a  quella,  et  cusì  la  S.  V.  saria 

*  guida  et  patrone  del  tuio  et  li  suoi  ministri  per  tutti  li  rispetti  non 
*•  presumeriano  meter  boca  a  cosa  dispiacese  alla  ex.  v.  Tamen  essendo 
'^  stato  necessitata  laudata  sua  a  Milano,  piacerne  che  mis.  Galleazzo 

*  seguiti  la  M.tà  sua,  et  che  habia  promiso  non  far  cosa  alcuna  senza 
**  saputa  sua.  „  —  Circa  l'amicizia  di  Pietro  cogli  Aragonesi,  v.  anche 
una  lettera  di  Alfonso  II  in  Barone,  Notizie  storiche,  ecc.,  p.  201-2. 


296  LODOVICO  SFORZA,  DETTO  IL  MORO, 

«  niente,  essendosi  pressi  nel  loco  dovi  siamo  per  servire  la  M.^  sua. 
u  Ma  havendo  deliberato  remetter  Petro  In  fiorenza  et  essendoli  facto 
u  Intender  per  Ms.  Galeazo  quanto  questo  era  fora  del  proposto  et 
u  bisogno  de  s.  m.,  sì  perchè  petro  era  sempre  stato  duro  adversario 
u  de  la  m.  sua  et  nostro,  si  anche  perchè  la  dtà  ne  prehenderìa 
«  gran  alteratione,  ha  dimostrato  fare  poco  conto  de  questi  riooidi 
u  et  non  conservar  memoria  de  beneficio  alcuno  quale  li  haMamo 
u  facto;  la  quale  cosa  direte  che  ci  è  parso  fare  Intender  ad  epso 
u  mons.y  perchel  sapia  che  tante  cose  quante  havemo  facto  inlK- 
u  neficio  de  la  m.  r.  ce  pocho  amorevolmente  corresposto  ».  Mala 
doppiezza  si  svela  nella  poscritta.  «  Mr.  Thadeo  i»,  continuava  Lo- 
dovico, u  quando  havereti  facto  intender  quello  che  ne  le  lettere 
«  se  contane  a  Mons/  de  Argentone,  sarà  bene  che  comò  da  voi  K 
u  subungate:  Mons.^*  Non  pare  za  chel  sij  bene  che  la  M.''  si  goveny 
M  in  questo  modo  cum  el  s.  mio:  perchè  quando  mai  non  li  fosse d 
u  respecto  che  senza  risguardo  de  alcuna  altra  amicicia  si  è  dato 
u  tutto  alla  M.^^  sua  per  servirla,  Del  che  ne  doverìa  esser  ben  re- 
u  cognosciuto,  pare  che  anche  epsa  M.^^  consideri  pocho  el  Caso 
«  suo,  trovandosi  in  el  mezo  de  italia,  né  havendo  amidda  Dda 
u  quale  si  possa  bene  fidare,  se  non  de  quella  de  epso  s.**  mio^ 
u  laquale  è  pur  cosa  a  che  el  s.  re  doverìa  fare  bona  co^sid^ 
«  ratione  »  (i).  E  vero  che  dall'avvertimento  suddetto  traspariva  an- 
che una  minaccia  velata,  ma  questa  appunto  era  fuor  di  luogo, 
dopo  le  aperture  colla  Repubblica  veneta,  perchè  metteva  in  guardia 
il  re.  Una  sola  giustificazione  potrebbe  concedersi  a  Lodovico, 
quando  il  movente  della  sua  condotta,  fosse  stato,  come  non  è  im- 
possibile, il  timore  di  pericoli  pel  fratel  suo,  il  cardinale  Ascania 
Le  condizioni  romane  erano  veramente  assai  diffìcili,  e  Lo- 
dovico nel  suo  lungo  discorso  agli  ambasciatori  veneti  non  aveva 
svelato  gl'intrighi  del  fratello.  Son  noti  il  contegno  dispotico  di 
Ascanio  col  pontefice  ed  i  lunghi  negoziati  e  le  ostilità  durante  la 
primavera  e  Testate  del  1494.  Le  pretese  di  Ascanio  (2),  le  pra- 
tiche sue  e  di  Lodovico  col  re  di  Francia,  che  Alessandro  credeva 
maggiori  forse  di  quel  che  erano  in  realtà,  l'ignoranza  in  cui  a 
Roma  il  pubblico  viveva  dei  sentimenti  sforzeschi  dopo   Tarrivo  de 

(i)  Id.  Potenze  estere,    Venezia,  Lodovico    al  Vimercato.  Vigevano, 
27  novembre  1494. 

(2)  Pastor,  op.  ci.t.,  Ili,  287. 


•      E   LA   REPUBBLICA    DI   VENEZIA  297 

• 

l'invasore  ad  Asti,  avevano  inasprito  molto  il  pontefice,  che,  fedele 
al  re  Alfonso  (i),  vedeva  con  sdegno  vivissimo  la  calata  del  re  (2). 
Alessandro  tuttavia,  quando  le  armi  francesi  s'avvicinarono,  mentre 
l'esercito  napoletano  si  ritirava,  temendo  della  sorte  sua  e  di  Roma, 
s'umiliò  a  trattare  con  Ascanio,  apertamente  ribelle.  Era  Ascanio 
infatti  il  solo  cardinale  che  potesse  sull'animo  regio,  sia  come 
fratello  del  duca  di  Milano,  sia  per  l'autorità  ed  il  forte  suo  par 
tito  a  Roma,  ed  Alessandro  VI  sperava  evitare  l'ingresso  dell'in- 
vasore nella  sua  città  col  prestigio  del  turbolento  prelato.  Al  car- 
dinale Bernardino  Lonato  il  Papa  colle  lacrime  agli  occhi  aveva 
aperto  l'animo  suo,  ed  il  Lonato  col  cardinale  Federico  di  Sanse- 
verino  era  andato  presso  Ascanio  per  invitarlo  ad  una  mediazione 
col  re  (3).  Ascanio  il  2  dicembre,  dopo  le  parole  dei  cardinali 
a  lui  ligi,  fece  ritomo  a  Roma,  ed  il  Sanseverino  venne  mandato 
al  re  con  proposte  di  accordo  (4).  Alessandro  apparve  sollevato,  si 
profuse  con  Ascanio  in  ringraziamenti  «  affirmando  che  ne  li  so 
«  bisogni  et  da  lui  (Ascanio)  et  dal  Sig.®»"  Duca  suo  fradello  era  sta 
«  sempre  sovenuto  ».  11  Sanseverino  non  doveva  accondiscendere 
che  il  re  entrasse  a  Roma  se  non  colla  forma  degli  altri  re  ed 
imperatori  della  cristianità,  cioè  senza  armi.  Se  il  re  voleva  par- 
lare con  S.  Santità,  questa  con  tutti  i  cardinali  sarebbe  uscita 
da  Roma  recandosi  al  luogo  dell'  abboccamento.  Ma  il  re,  nono- 
stante che  il  Moro,  sollecitamente  informato  della  missione,  rincal- 
zasse le  domande  del  Sanseverino  (5),  rifiutò  di  conchiudere  trat- 

(i)  Id.  op.  cit,  p.  294. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  loc.  cit.  Il  Taverna  a  Lodovico.  Roma^ 
21  agosto  1494.  Il  papa  nell'ultimo  Concistoro  "  usò  parole  assai  cole- 
"  riche,  dicendo  in  spetie  che  questa    saria  la  ruina  de  Italia  et  de  la 

*  Christianità,  la  quale  se  implicharia  tutta  in  questa  guerra,  et  li  infedeli 
'  veneriano  in  Italia,  et  che  la  non  era  per  destituire  il  re  Afonso,  né  li 
"  rnanchariano  ad  li  altri  grandi    subsidij  facendo  molto   il   galiardo.  „ 

(3)  Codice  cit..  ce.  9-10.  Dispaccio  dei  tre  oratori  da  Milano,  5  e  6  di- 
cembre 1494.  '  . . . .  altramente  li  seria  necessario  prehender  partito  et 

*  condurla  cum  si  Gien  {Gemme,  fratello  di  Baiazet  11^  sultano  dei  Turchi) 
"  sultan  ia  luogo  che  forsi  poi  a  molti  rencresseria.  n  Queste  parole  ma- 
nifestano la  disperazione  del  pontefice  in  quei  giorni  in  cui  la  celebre 
Giulia  e  Girolama  Farnese  ed  Adriana  de  Mila,  nipote  sua,  erano  state 
prese  dai  francesi. 

(4)  w- 

(5)  Id.  Dispacci  del  6  e  15  dicembre. 


E   LA  REPUBBLICA   DI  VENEZIA  299 

un  nome  infame,  in  quei  frangenti  abbia,  solo  fra  i  potentati  italiani 
mostrato  nobutà  d'animo  e  fermezza  di  propositi  (i).  La  colpa  spetta 
in  parte  aJa  iatalità,  ma  specialmente  al  duca  di  Milano,  al  fratel 
suo  ed  alla  repubblica  di  S.  Marco,  che  tennero  il  pontefice  al- 
roscuro  sui  loro  reali  sentimenti  Ripeto  fu  una  sventura,  perchè 
mai  Lodovico  come  in  quei  frangenti  aveva  a  Milano  manifestato 
in  forma  sincera  sentimenti  antifrancesi.  Il  4  dicembre,  colpito  da 
una  lettera  di  Galeazzo  di  Sanseverino  da  Firenze,  scritta  il  28  no- 
vembre, dove  si  lamentavano  i  disordini  commessi  dai  francesi  nel 
partire  da  quella  città,  era  andato  in  persona  al  domicilio  dei  tre 
oratori,  ed  aveva  detto  senza  esitare:  «  lo  son  de  opinione  che 
«  quella  111."*»  S.""  Iterato  conforti  cum  ogni  efficatia  et  saldeza  la 
"  SanJà  del  papa  a  star  constante  et  fermo  nel  suo  proposito,  perchè 
«  anchor  io  Iho  fatto  in  bona  forma  et  mandatoli  Anzolo  da  Fiorenza 
«  a  posta  yf.  Avere  il  papa  espresso  buoni  sentimenti  a  suo  riguardo 
con  numerose  lodi,  perchè  Venezia  non  aveva  nascosto  a  S,  San- 
tità le  ottime  sue  intenzioni  ed  essersi  Alessandro  adoperato  col 
re  Alfonso  in  uffici  amichevoli  (2).  Il  duca  di  Calabria  poi,  aggiunse 
Lodovico,  per  mostrare  che  ogni  intenzione  ostile  era  venuta  meno, 
voleva  mandare  condoglianze  per  la  morte  di  Gian  Galeazzo  e 
congratulazioni  per  l'acquisito  ducato  (3),  e  lo  stesso  re  Alfonso 
appariva  di  uguali  sentimenti  (4).  Ma  occorreva  impedire  l'ingresso 
di  Carlo  Vili  a  Roma  ed  era  bene  che  gli  ambasciatori  veneti,  i  quali 
seguivano  Carlo  Vili,  facessero  noto  al  re  il  malcontento  che  la 
Signoria  avrebbe  provato  di  tal  cosa.  Dal  canto  suo  Lodovico 
prometteva  di  imporre  ad  Ascanio  amicizia  ed  ossequenza  verso 
il  papa  (5).  Galeazzo  di  Sanseverino,  dopo  un  mese  di  perma- 
nenza al  seguito  di  Carlo  Vili,  chiese  a  questo  licenza  per  spez- 
zare cosi  ogni  vincolo  tra  Carlo  e  Lodovico  (6). 

(i)  Cod.  cit.,  e.  8,  Milano»  4  dicembre  1494. 

(2)  Id.  L'ultima  parte  del  dispaccio  fu  pubblicata  dal  Romanin,  op.  cit^ 

(3)  Arch.  sto  r.  Gonz.,  E.  esterni^  n.  XXV,  n.  3.  b.  850.  Giorgio  Bro- 
gnolo  al  marchese  di  Mantova.  Roma,  6  dicembre  1494. 

(4)  Cod,  cit.,  ce,  8  t.,  dispaccio  cit. 

(5)  Id.  Dispaccio  cit.  del  6  dicembre  e  e.  11,  dispaccio  del  7  dicembre. 

(6)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  loc.  cit,  e.  50.  All'oratore  a  •  orna, 
Venezia,  6  dicembre  1494.  "  . . . .  ut  ipsa  M.t«8  ncque  Romam,  ncque 
•  ad  loca  Ecclcsiae  se  confcrat,  aut  mittat  copias  suos  absquc  con- 
■  sensu  B.nis  antedictc  nobis  confederate  1,. 


E   LA   REPUBBLICA   DI  VENEZIA  30I 

di  non  aver  accolto  con  maggior  entusiasmo  l'offerta  che  Girolamo 
Bobadillay  inviato  dell'ambasciatore  spagnuolo  a  Roma,  Garcilasso 
de  la  Vega,  avevagli  fatto  sin  dal  25  settembre,  d' un'  alleanza 
coi  sovrani  di  Castiglia  e  d'Aragona  (i).  Se  essa  avesse  senz'altro 
accolto  r  offerta  spagnuola  e  le  proposte  che  nel  dicembre  Lodo- 
vico il  Moro  pure  le  rivolgeva,  e  fatto  dimostrazione  pubblica 
dei  suoi  sentimenti,  il  re  non  avrebbe  osato  forse  avanzarsi  oltre 
la  Toscana,  ed  essendo  numerosi  nell'esercito  stesso  ed  in  Francia 
gli  avversi  alla  spedizione,  si  sarebbe  probabilmente  ritirato  di 
nuovo  nel  suo  regno.  Le  dimostrazioni  di  cortesia,  per  quanto 
fredde,  che  la  Signoria  usò  col  re,  l'apparente  noncuranza  di  quel 
che  avveniva  nella  penisola  fecero  credere  che  Venezia  non  nu- 
trisse interesse  per  le  sciagure  comuni.  Essa  quando  Carlo  Vili 
la  pregava  di  consiglio,  ripeteva  essere  bene  far  pace  ed  evitare 
i  sospetti  del  Turco,  che  poteva  approfittare  delle  dissenzioni 
cristiane  per  invadere  la  penisola  (2).  Ma  la  neutralità  e  le  parole 
blande  in  quei  giorni  erano  un  vero  delitto.  Alessandro  VI  dal 
canto  suo  non  prestò  fede  alla  Repubblica,  continuò  a  reputare 
nemici  Ascanio  e  Lodovico,  e,  timoroso  d'un  tradimento,  volle  as- 
sicurarsi del  turbolento  cardinale  (3). 


(i)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  loc  cit,  ce,  30.  Sommario  dell'esposi- 
zione del  Bobadilla,  v.  p.  285  e  app.  doc.  I. 

(a)  Id.  e.  52.  Agli  oratori  presso  il  re  di  Francia.  Venezia,  ly  di- 
cembre 1494* 

(3)  Il  papa  giudicava  assai  equivoca  la  condotta  di  Ascanio,  v.  Ar- 
chivio stor.  Gonz.  E.  esierni,  n.  XXV,  n.  3  b.  850.  Giorgio  Brognolo. 
Roma,  6  dicembre  1494.  Circa  l'andata  del  card.*  di  Sanseverino  al  re 
di  Francia  *  trovo  per  la  verità  che  non  ci  è  alcuna  praticha  sopra  la 

*  quale  si  possa  fare  gran  fundamento,  se  non  parole  generale  ad  Ascha- 

•  nio,  el  quale  più  volte  ha  affirmato  al  Pontefice,  che  omnino  queste 

•  cose  se  adaptaranno  a  beneficio  de  la  M.'i  del  Re  et  la  S.ti  sua,  chi 

■  si  vide  conducta  a  termini  che  non  volendo  in  tutto  minare,  forza  è  che 

■  u  li  gieita  in  panza,  se  ben  non  prestasse  gran  fede  alle  parole  sue,  ha 

•  facto  di  necessità  virtù,  et  ha  dimonstrato  de  crederli  et  sotto  questa 

*  speranza  ha  sempre  ditto  alli  predetti  oratori  che  non  si  dubitano  che 
"  le  cose  del  Re  piglieranno  bono  assetto.  E  il  p.^o  A^chanio   è  stato 

*  potissima  causa  de  far  mandare  S.  Severino  al  Re  de  Pranza,  come 
persona  più  atta  a  fare  cum  la  Chr.raa  M.tà  lo  effecto  che  si  desydera 
per  rfspecto  del  fratello  M.  Galeazzo,  qual  è  apresso  quello.  Ma  come 


302  LODOVICO  SFORZA,   DETTO  IL  MORO, 

È  difficile  riprodurre  Timpressione  fatta  in  Italia  dall'arresto 
di  Ascanio,  Lodovico,  che  aveva  lasciato  Milano  per  dimorare 
qualche  tempo  nella  città  sua  preferita,  Vigevano,  ebbe  subito  no- 
tizia dell'accaduto  «  Se  mo  questo  se  conviene  ai  meriti  mei  verso 
el  papa  n  esclamò  egli  furente  al  segretario  veneto  Giorgio  Negro  {i\ 
mandato  dal  Badoer  e  dal  Trevisan,  rimasti  a  Milano  (2),  ad  infor- 
marlo di  tutto,  mentre  esso  già  n'era  consapevole,  «  si  per  le  cose 
«  che  a  suo  beneficio  ho  operato  avanti  la  venuta  de  qui  a  me  de 
«  quelli  M.^  oratori,  come  tuto  li  dechiarai,  et  vui  lo  sapeti  che  eri 
«  presente,  sì  etiam  per  quello  era  disposto  et  volonteroso  de  far, 
«  lasso  che  quella  S."«  lo  consideri  ».  Non  doveva  il  papa  credere 
ch'egK  s'intimorisse  o  si  spiegasse  più  facilmente  ai  suoi  voleri. 
Se  non  bastava  il  re  francese,  aveva  egli  parenti  ed  amici  nume- 
rosi: mai  tollerare  ingiuria  sì  grande.  Con  parole  di  cordoglio, 
senz'  altra  espressione,  il  Negro  ripartì  (3).  A  Milano,  con  forma 
più  corretta,  uguali  sentimenti  manifestarono  a  nome  di  Lodovico 
l'arcivescovo  di  Milano,  Guido  Antonio  Arcimboldi,  il  vescovo  di 
Como,  Antonio  Trivulzio,  Pietro  Visconti  e  Bartolomeo  Calco  in 
visita  presso  il  Badoer  ed  il  Trevisan.  Chiesero  i  ministri  sfor- 
zeschi l'intervento  della  Signoria  e  dichiararono  che,  se  l'arresto 
del  cardinale   Ascanio  veniva   mantenuto,  il  loro   signore  avrebbe 


*  ho  dicto  non  li  è  fin  qui  attacho  alcuno  sopra  el  quale  l'homo  si  possa 

*  fundare,  né  da  S.  Severino  se  sono  mai  havute  lettere  dopo  la  par- 

■  tita  sua.  Per  diverse  vie  se  intende  perhò  che  Aschanio  desydera  che 

■  questo  acordo  segua,  perchè  non  pò  essere  se  non  honorcvole  et  utile 

*  per  lui,  et  ogni  raxone  vorrìa  che  essendo  lui  stato  principale  instru- 
'  mento  ala  creatione  de   questo  ponti  fice,  non  dovesse  assentire  ala 

*  mina  sua  et  de  tutta  questa  Corte,  la  quale  in  ogni  caso  de  concordia 

*  lui  harrà  in  pugno  più  che  mai.  Ma  necessario  è  chel  disponga  prima 

*  el  fratello,  ti  qmaU  quanto  sia  inclinato  a  questo  la  Ex.  y',  lo  pò  inten- 
'  dert.  In  summa  ogniuno  conclude  el  Papa  essere  avelupa/o  in  modo  cht 

*  non  sa  dove  si  dare  del  capo.  Avisando  la  Ex.  V.  che  Franzosi  tutta 

*  via  si  vano  aproximando  in  qua,  et  pare  che  dio  voglia  che  non  ha- 

*  biano  uno  contrasto  al  mondo.  ,  Si  vede  anche  da  questo  dispaccio 
che  a  Roma  non  erano  i  principali  informati  deUa  mutazione  avvenuta 
nelle  relazioni  tra  Lodovico  e  l'invasore. 

(i)  Cód.  cit,  e.  14  1^15.   Negro   agli   oratori,   Vigevano,  15  dicem- 
bre 1495. 

(2)  Id.  ce.  12  t.  e  sgg.  Badoer  e  Trevisan,  Milano,  la  dicembre  1494. 
3)  Lett.  cìi.  del  Negro. 


E   LA  REPUBBLICA  DI   VENEZIA  303 

mandato  tutto  alla  rovescia,  esposto  anche  lo  stato  e  la  vita,  chia- 
mato infine  nella  penisola  il  re  dei  Romani.  11  15  dicembre  poi, 
separatamente,  il  Calco  replicò  agli  oratori  le  parole  suddette,  ed 
aggiunse  che  il  Moro  avrebbe  rotto  ogni  pratica  di  lega  (i).  E  non 
era  finzione  lo  sdegno  di  Lodovico.  Mai  in  vita  sua  quel  turbo- 
lento principe  aveva  manifestato  più  sinceramente  l'animo  suo.  Dato 
Tedio  profondo  che  Alessandro  VI  nutriva  di  certo  contro  il  vice- 
cancelliere, era  naturale  il  timore  che  dalla  prigionia  Ascanio  pas- 
sasse rapidamente  al  sepolcro.  Ma  la  pubblica  opinione,  ostile  al 
Moro,  diffidava  a  suo  riguardo  anche  delle  manifestazioni  più  na- 
turali. A  Milano  ed  a  Roma  molti  pensavano  che  il  tutto  nascondesse 
una  finzione,  e  che  l'arresto  di  Ascanio  e  degli  altri  cardinali  fosse 
avvenuto  di  pieno  accordo  tra  Lodovico,  il  papa  ed  i  cardinali  stessi 
per  qualche  loro  segreto  fine,  non  inutile  alla  liberazione  della  pe- 
nisola dagli  invasori  (2).  Erano  voci  assurde,  e  proprio  non  si  po- 
trebbe scorgere  in  che  cosa  l'arresto  dei  cardinali  riuscisse  utile 
all'Italia,  quando  Carlo  Vili  stava  alle  porte  di  Roma! 

Venezia  si  preoccupò  vivamente  dell'accaduto  ed  intuì  le  gravi 
conseguenze  che  potevano  derivare  dall'ira  di  Lodovico  (3). 

Carlo  Vili  infatti,  dopo  l'apertura  del  Vimercato  col  Commines, 
tentava  di  rabbonire,  coi  mezzi  di  cui  disponeva,  Lodovico,  ed 
ai  primi  di  dicembre  aveva  rinviato  a  Milano  Carlo  da  Bar- 
biano,  conte  di  Belgioioso,  con  dichiarazioni  d'amicizia  e  parole 
di  scusa.  Assicurava  il  re,  scrisse  Lodovico  al  Vimercato  (4), 
«  sopra  la  molestia  la  quale  intendeva  che  havevamo  preso  del 
«  bavere  posto  ....  le  mane  più  inante  che  non  si  doveva  in  le 
«  cose  de  Fiorenza,  et  che  poso  la  partita  sua  da  Sarzana  non  ce 
u  habij  may  scripto  né  participato  cosa  alcuna,...  non  esserli  stata 
«  alcuna  mala  causa,...  dimonstrando  che  da  bora  inante  li  bavera 
u  maior  consideratione,...  facendone  pregare  che  vogliamo  deponer 
«  la  molestia  quale  dubita  habiamo  conceputo  n.  Il  re  dichiarava  di 


(i)  Cod,  ciu,  e  16-17.  Milano,  15  dicembre  1494. 

(2)  Id.  e.  17  t  Milano,  17  dicembre  1494.  —  Per  Roma   v.  Archivio 
stor.  GoQz.,  loc  cit.,  Giorgio   Brognolo.  Roma,  10  e  11  dicembre  1494. 

(3)  V.  Arch.  di  stato  di  Venezia,   loc.  cit.,   e.  53-53  t.   La   Signoria 
agli  oratori  in  Milano.  Venezia,  17  dicembre  1494. 

(4)  Arch.  di  stato  di  Milano,  Potenze  estere,  Venezia.  Vigevano,  13 
dicembre  1494. 


304  LODOVICO  SFORZA,  DETTO  IL  MORO, 

nulla  voler  trattare  a  Roma  se  non  per  mezzo  di  Asomio  e  che 
aveva  risposto  in  questi  termini  al  cardinale  di  SanseverìnOi  quando 
eraglisi  questi  recato  incontro.  Appena  intese  rarresto  diAacuio, 
Carlo  Vili,  con  molta  prontezza,  rinviò  al  Moro  Galeazzo  di  Stn- 
severino,  che  fino  allora  aveva  invano  chiesto  congedo  (i),  eoa  un 
suo  ambasciatore,  impegnandosi  a  prendere  le  armi  contro  il  papa, 
qualora  Ascanio  non  fosse  stato  subito  rimesso  in  libertà  (a).  Nd 
tempo  stesso  chiamati  a  sé  gli  oratori  veneziani  espresse  n  ano 
cordoglio  per  TaiFronto  usato  a  Lodovico  dal  pontefice  e  duese 
consiglio  alla  Signoria  (3).  La  condotta  del  re  invasore  fu  certD 
abilissima  in  quei  frangenti  e  tale  da  legittimare  tutta  la  preooco- 
pazione  che  sorse  nel  governo  veneto.  Carlo  infatti,  che  non  igno- 
rava il  malanimo  del  duca  di  Milano  e  della  Signorìa,  aveva  tco* 
vato  un'  occasione  buona  per  legare  a  sé  nuovamente  il  Moro,  col- 
l'ergersi  a  paladino  di  Ascanio  e  dell'onore  di  tutta  la  casa  Sfona. 
I  segreti  disegni  della  Serenissima  erano  così  scompigliatL  Chi  po- 
teva assicurare  la  Repubblica  che  il  Moro  non]rìtomasse  all'antia 
lega  con  Francia  vedendo  nel  pontefice  un  nemico  irrecondlialMle 
e  nella  Signoria  una  protettrice  insufficiente?  Per  fortuna,  nono» 
stante  il  suo  sdegno,  Lodovico  aveva  voluto  temperare  T  impres- 
sione delle  vivaci  parole  dette  al  Negro.  Il  17  dicembre,  ap* 
provati  gli  uffici  dei  suoi  ministri  a  Milano  presso  il  Badoer  ed  il 
Trevisan,  ingiunse  al  Calco  di  assicurare  i  rappresentanti  veneti 
u  che  fin  qui  si  era  sforzato  fare  etiam  più  del  debito.  El  medesimo 
u  avrebbe  fatto  anche  nel  avenire,  dove  non  fosse  sforzato  fare  el 
«  contrario  n  (4).  Nel  frattempo  la  Repubblica  respingeva  la  domanda 

(i)  Il  Sanuto,  op.  cit.,  p.  152,  narra  che  quando  Galeazzo  tornò 
presso  il  Duca,  fu  di  sua  iniziativa.  Invece  la  cosa  è  inesatta,  perche 
fu  il  re  a  cercarlo  in  occasione  solo  dell'arresto  di  Ascanio,  mentre 
prima  non  voleva.  „  v.  Arch.  di  stato  di  Milano,  lett  cit.,  di  Lodovico, 
13  dicembre  "  ....  et  a  bocha  ce  è  stato  exposito  che  circa  el  venire 
"  de  ms.  Galeazo  la  M.tà  R.  si  è  mutata,  cum  dire  che  li  panna  ck 
^  la  partita  sua  li  portasse  diminutione.  E  però  haveva  tnutato  semUnti», 
"  allegando  che  per  le  cose  quale  si  predicavano  li  pareva  fora  de  prò- 
"  posito  la  partita  sua.  „ 

(2)  Cod.  cit ,  e.  18.  Badoer  e  Trevisan.  Milano,  18  dicembre  I49f 

(3)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  Ice.   cit,,   e.  53-53  t.  La  Signoria  al 
Badoer  ed  al  Trevisan.  Venezia,  17  dicembre  1494. 

(4)  Arch.  di  stato  di  Milano,  loc.  cit.,  Lodovico  al  Calco.  Vigevano, 
17  dicembre  1494. 


E   LA  REPUBBLICA   DI   VENEZIA  305 

di  consiglio  del  re,  insistendo  perchè  venisse  fatta  la  pace  col  re 
di  Napoli,  pel  conseguimento  della  quale  offriva  l'opera  sua,  e 
scriveva  a  Milano  per  calmare  V  irritato  duca  e  trattenerlo  nella 
politica  gallofoba.  Buon  mezzo  riteneva  fosse  assicurare  il  Moro 
che  Taddeo  Vimercato  le  aveva  consegnato  i  capitoli  della  lega  tra 
Venezia  e  Milano  fatta  il  26  febbraio  1485  (i)  e  ch'essa  li  avrebbe 
meditato  per  stringere  nuova  alleanza  (2).  Ma  non  poteva  nascon- 
dere al  pubblico  le  sue  preoccupazioni.  Essa  era  in  grave  perples- 
sità. Non  aveva  impedito  l'avanzata  del  re,  fiduciosa  sempre  che 
le  armi  aragonesi,  guidate  da  Alfonso  II,  capitano  di  gran  fama, 
avessero  ragione  sulle  colonne  francesi,  scese  nella  penisola  senza 
mezzi  pecuniari  (3),  ed  invece  l'esercito  napoletano  si  dissolveva  e 
cedeva  ignominiosamente  il  passo  senza  combattere,  ed  Alfonso  II, 
lungi  dall'accorrere  dov'era  il  pericolo,  lasciava  il  comando  al  gio- 
vane ed  inesperto  suo  figlio,  il  duca  di  Calabria,  il  papa,  Ales- 
sandro VI,  incuorato  dalla  Signoria  (4),  aveva  favorito  gli  Aragonesi, 
e  serbato  fede  ad  Alfonso,  sperando  che  non  fosse  di  parole  sol- 
tanto il  soccorso  della  Repubblica,  finché,  scorato  e  diffidente,  erasi 
smarrito  ed  aveva  arrestato  Ascanio  Sforza.  Non  una  dunque  delle 
previsioni  e  dei  disegni  politici  della  Repubblica  nella  prima  fase 
della  calata  di  Carlo  Vili  aveva  sortito  Teffetto  sperato.  La  politica 
veneta  di 'quei  giorni  era  in  piena  bancarotta! 

Alessandro  VI,  assicuratosi  di  Ascanio,  s'accorse  presto  quanto 
fosse  grave  il  suo  operato,  ed  incaricò  la  repubblica  di  trasmettere 
al  duca  Lodovico  un  breve  (5),  nel  quale  con  forma  assai  mite 
giustificava  l'accaduto  (6).  Fu  il  segretario  Negro  che  in  nome  del 

(i)  L'ambasciatore  veneto  che  l'aveva  firmata  era  stato  Antonio 
Vitturi.  V.  Predelu,  /  itòri  Commemoriali  della  Rep,  di  Venezia,  voi.  V, 
Venezia,  1901,  p.  295,  lib.  VII,  n.  83. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  lett.  cit. 

(3)  Tant'è  che  dovette  il  re  fare  un  prestito  in  Italia  di  57,500  scudi 
garantito  dal  Moro,  mediante   cauzione.  La  voce  pubblica  accrebbe  di 
molto  la  cifra,  v.  Arch.  stor.  Gonz.,  E  eslerni,   n.  XLIX,   n.  3  b.  1630. 
Donato  de  Preti  al  marchese  di  Mantova.   Milano,  io  ottobre   1494,  ci- 
tato anche  dal  Delabordr,  op.  cit.,  p.  412. 

(4)  Arch.  di  Stato  di  Venezia,  lett.  cit.  della  Signoria  all'oratore  in 
Roma.  Venezia.  8  dicembre  1494. 

(5)  Id.  Agli  oratori  a  Milano.   Venezia,   24  dicembre    1494,  e.  54  r. 

(6)  Sanuto,  op.  cit.,  p.  150.  Ivi  è  pubblicato  tutto  il  breve  al  Moro. 
Porta  la  data  io  dicembre  1494. 


306  LODOVICO   SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

Badoer  e  del  Trevisan  a  Vigevano  consegnò  il  breve.  L'abile  se- 
gretario mise  in  opera  tutto  il  suo  tatto  diplomatico  e  l'eloquenza 
naturale  per  condurre  il  Moro  a  rassegnazione.  Ma  Lodovico  dopo 
la  lettura  del  breve  apparve  più  irritato  che  mai.  «  Questo  che  bora 
u  me  fa  intender  quella  111."'»  Signoria  »,  esclamò  fuori  di  se  (i),  «  non 
ti  è  quello  eh'  io  expectava,  né  expecto  da  lei,  perchè  io  voglio  saper 
«  qual  favor  et    agliuto  la  me   vuol  dar  per  la  liberatione  de  mio 
«  fradello,  et  in  verità  amandome  quella  Ill.™«  Sig."*  da  bon  fiuolo 
«  come  sempre  l'ha  dito,  questi  non  sono  di  consegli  che  l'ha  me  do- 
«  vena  dar  et  da  lei  aspetto.  Io  ho  anchor  mi'  un  fiuolo  (2);  al  quale, 
«  sei  fusse  fato  inzurìa,  io  lo  conforteria  non  a  domentegarla,  né  a 
«  remetterla,  ma  repetterla  magnanimamente,  come  voglio  farlo  cum 
u  la  facultà,  cum  la  vita  et  ogni  mia  forza,  sì  ben  dovese  perieli tar  (?) 
«  et  ruinar  tuto  el  stato  mio.  Et  el  scriver  che  vogho  far  al  Re  de 
u  Pranza  sarà  come  anche  za  ò  fatto,  chel  prosequischa  gagliarda- 
«  mente  la  soa  impresa  contra  el  papa  e  cantra  el  Re,  perché  io  li 
«  son  per  dar  tuti  li  favori  el  mi  saperà  domandar  et  vogliali  mandar 
«  el  conte  de  Cayazo  et  altre  zente,  et  non  lì  manchar  de  cosa  de 
«  questo  mondo.  Et  fazoli  intender  che  se  ben  el  vedesse  squartar 
«  monsT  Ascanio,  et  non  resti  de  prosequìr  gagliardamente  la  soa 
«  impresa.  Et  non  bastando  questi  mezi  cum  el  Re  de  Romani  et  per 
«  ogni  altra  via  non  son  per  restar  de  far  tuto  quel  male  che  io  potrò, 
u  et  questo  è  certo  et  indubitato,  fin  eh'  io  non  vedo  liberato  mio 
«  fradello,  qualle  per  questo  papa  ha  fatto  quello  che  el  mondo  in- 
«  tende  ».  E  mettendo  sotto  gli  occhi  del  segretario  veneto  ì  brevi 
pontifici  a  lui  ed  alla  Signoria,  continuò:  a  Guardate  le  rason  ch'el 
«  va  digando  in  questi  suo  brevi.  El  non  manchava  altro  cha  el  di- 
«  cese  anche  che  mad.*  Julia  fu  retenuta,  per  la  qual  l'ha  scripto 
«  tanti  brevi  a  tuti  pregando  per  viscera  misericordie  che  la  sij  libe- 
«  ratta,...  Io  voria  volentieri  saper  quello  chel  se  crede  fare  cum  la 
«  retention  de  mio  fradello.  Non  se  creda  per  questo  de  astalar  el 
«  Re  de  Pranza,  perchè  a  ponto  per  questo  io  l'ho  solicitato,  solli- 
u  cito  et  soUiciterò  qui  ad  andar  prosequando  la  impresa  et  far  el 
«  pezo  chel  potrà.  Adunque  che  li  zovà  tenirlo  a  questo  modo?  El 

(i)  Cod,  cit,  ce.  20,  Badoer  e  Trevisan  al  doge.  Milano,  21  dicem- 
bre 1494. 

(2)  Massimiliano,  nato  il  25  gennaio  1493;  v.  Portigli,  La  nascita 
di  Massimiliano  Sforza  in  quest*-<4rr/u,  IX,  1882,  p.  325-34. 


E   LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  307 

«  non  me  chognosce  anchora.  El  chrede  eh* io  sia  eome  luy,  che  non 
«  ha  ni  amor,  ni  fede.  Io  ve  prometto  che  farò  pentir.  Non  son  per 
«  patir  questa  inzuria  per  cosa  de  questo  mondo:  vui  vederete.  Las- 
«  sate  pur  far  a  mi  »  (i).  L'ira  in  quel  punto  faceva  ombra  al  duca, 
né  era  facile  dominarla.  Il  Negro  non  apri  bocca  dapprima  e  lasciò 
che  il  Moro  desse  ordine  di  stendere  una  risposta  al  breve  ponti- 
ficio nella  forma  violenta  delle  sue  parole  (2).  Quando  gli  parve  che  il 
primo  impeto  fosse  temperato,  si  rivolse  a  Lodovico  con  termini  assai 
moderati  e  tali  da  calmare  V  ira  pericolosa  del  duca  milanese.  Aver 
egli  adempiuto  alla  missione  consegnando  i  due  brevi:  tuttavia  la 
forma  cortese  deiraccoglienza  ricevuta  e  la  famigliarità  della  quale 
S.  Ecc.«  Io  onorava,  invogliarlo  ad  esprimere  qualche  suo  sentimento. 
Lodovico,  la  cui  sfuriata  forse  mirava  solo  a  far  impressione  nella 
repubblica  e  trarre  cosi  qualche  dichiarazione  o  promessa  dal  di- 
plomatico veneto,  premurosamente  ascoltò  le  parole  del  segretario, 
il  quale  cosi  si  espresse  (3)  :  «  Ill."«>  Sig.^  Io  certifico  la  Subl.^*  V. 
u  che  la  Ex."»»  S.»"'»  ve  ama  da  charissimo  fiuol  et  amantissimo  fra- 
«  dello,  et  sempre  che  occorresse  el  bisogno  per  la  salvation  et  be- 
u  neficio  del  stato,  persona  et  cosse  soe,  la  è  per  far  quello  instesso 
«  che  Iha  farla  per  la  salute  propria.  Ma  perdoname  la  Sig.»"'»  V.  Le 
u  molto  meglio  el  conseglio  che  la  dice  la  darla  a  suo  fiuolo;  pe- 
u  roche  anchor  che  in  questo  principio  li  satisfacesse  a  qualche  sua 
u  passione  receputa  cum  meter  Italia  in  exterminio  et  evasione,  poy 
«  la  non  potria  far  che  Iha  non  prehendesse  affano  et  cordoglio, 
«  perchè  ruinando  Italia  o  alhora  o  pocho  dapoy  convigneria  de  ne- 
«  cessità  anche  ruinar  el  stado  vostro,  et  in  questo  caso  el  fiuol  de  la 
«  V.  Sub.^*  e  tuti  i  suo  descendenti  haverano  causa  de  dolerse  gran- 
«  demente  de  la  Ex.  V.,  che  li  havesse  priva  de  un  si  bel  stado, 
«  come  è  quello  che  meritamente  la  possiede,  et  è  per  durar  in  per- 
«  petuo,  essendo  unite  cum  quella  Ser.*"*  Sig.»"^*  de  cusi  indissolubile 
«  unione  come  Tè  et  è  per  esser.  Preterea  la  Ex.^^«  vostra  è  in  effecto, 

(i)  Da  •  El  non  me  chognosse  anchora  „  a  "  Lassate  pur  far  a  mi  , 
è  riportato  il  dispaccio  dal  Romanin,  op.  cit.,  V,  60,  da  cui  Delaborde, 
op.  cit.,  p.  501. 

(2)  Cod,  cit.,  lett.  cit  Al  segretario  che  doveva  stendere  la  lettera, 
Lodovico  disse  :  *  De  Prospero  (Colonnnf  arrestato  con  Ascanio)  non 
*  dir  cossa  alguna.  Lassa  la  briga  a  loro  „.  —  Sull'arresto  del  Colonna 
V.  tutti  gli  storici. 

(3)  Cod.  cit.,  lett.  cit 

Arch.  Stor.  Lomb,,  Anno  XX rX,  Fase.  XX XVI.  20 


308  LODOVICO  SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

«  et  cusì  da  tutti  è  existimata,  el  più  savio,  over  de  i  più  savij  prin- 
u  cipi  che  babbi  la  christianità.  Che  gloria  serebe  la  soa  che  i  pre- 
u  senti  et  posteri  possano  dir:  Lo  ser.^^  Signor  Lodovico,  Duca  de 
u  Milan,  per  vendicarse  de  una  offesa  chel  reputava  haver  havuto  da 
u  papa  Alessandro,  fo  causa  de  ruinar  tutta  Italia  et  insieme  el  stado 
u  suo  proprio,  Suplico  la  V.  Cel.n«  „^  continuò  con  vigore  Tintelligente 
M  segretario,  u  non  vogli  esser  causa  de  tanto  malie,  et  dar  materia 
u  al  fiuol  suo  che  la  dice  haver  tanto  charo,  et  i  altri  suo  descen- 
«  denti  a  dolersi  di  lei.  Poi  la  v.  Ex.^>*  à  molto  più  obligatione  a  la 
u  salute  et  conservatione  de  Italia  di  quello  ha  el  papa,  perchè  luy 
«  ha  a  viver  do,  3,  4,  5  anni,  et  poi,  morto  lui,  è  perso  tuta  la  gè- 
u  nealogia  et  descendentia  sua.  Vostra  Dl.™«  S."*  è  zovene  e  per 
u  rason  de  natura  è  per  goder  molti  anni  questo  dignissimo  stato,  et 
u  dapoy  He  i  fiuoli  et  descendenti  soy.  E  però  amore  dei,  remessa 
«  qualche  passione,  la  vogli  cum  l'animo  libero  invigilar  et  perseverar 
«  nel  suo  optimo  proposito  et  salvar  Italia  da  tanta  calamità.  Il  che 
«  li  è  per  esser  a  gloria  immortale  ». 

Gli  argomenti  del  Negro  erano  elevatissimi,  né  poteva  il  Moro 
non  sentirne  reflficacia,  ma  la  passione  dominava  tuttora  nell'animo 
suo.  «  Secretano  »,  replicò,  «  tutte  le  rasone  che  vui  dite  seriano 
«  ben    et   prudente    dete,    se    el    papa  liberasse  mio  fradelo;  ma 
«  tenendolo  retenuto,  non  son  per  guardar  ne  a  queste,  né  a  rason 
«  che   dir  se    possi,  perchè   la  mi  pareria  pur  troppo  grande  in- 
«  zuria    da   tollerar  et  per    vindicarla    voglio  che  sapiate  che  ho 
«  speranza  de  governar  anche  questa  cosa  saviamente,  e  bastami 
«  Tanimo  che  non  sera  6  mesi  de  tuor  et  far  tuor  la  obedentia  al 
«  papa,  chel  non  sera  più  papa.  Lassate  far  a  me,  vui  havete  dito 
«  una  parola,  che  è  tuta  vera,  che  fa  molto  più  per  mi  conservar 
«  Italia,  cha  per  el  papa,  che  di    Sixto  in  qua  che  commenzò  a  re- 
«  levar  el   conte  Hyeronimo  (Riario,  nipote  di  Sisto)  tuti  sono  an- 
«  dati  per  una  strada.  Havete  etiam  dito  che  mio  fradello  è  hono- 
•<  rato  e  ben  veduto.  Voglio  che  sapiate  che  se  ilo  facesseno  papa, 
«  et  non  lo  lassesseno  in  libertà,  io  non  son  per  modo  alcuno  per 
«  tollerarlo.    E    fazo   chognosciate  bene  che  homo  è  questo  papa, 
«  Voglio  che  sapiate  che...  là  fato  intender  al  re  di  Pranza  tuto  quello 
«  che  ho  fato  dir  a  quella  111.™*  S."»  de  la  dispositione  mia  ».  D  N^o 
a  questo  punto  interruppe  Lodovico,  e  lo  pregò  di  considerare  che 
l'accusa  appariva  inverosimile,  e  poteva  fondarsi  sopra  notizie  ine- 


E   LA   REPUBBLICA   DI   VENEZIA  309 

satte  o  false.  Ma  tosto  il  Moro  replicò  :  «  Cognoscete  il  re  de 
«  Pranza  ?»  Ed  avendo  risposto  il  Negro  conoscere  solo  il  giudizio 
che  S.  Ecc.  aveva  dato  della  M.^*  francese,  ribattè:  u  Quello  ch'io 
«  dissi  alhora  de  la  natura  è  verissimo.  El  non  saperla  trovar  queste 
ti  invenzione,  tanto  più  che  ho  questo  da  i  primi  amici  ch'io  habia 
«  de  lì,  che  è  San  Mallo  e  Beuchario  n,  E  s'appellò  alla  testimonianza 
di  Galeazzo  di  Sanseverino,  che  era  presente  all'udienza  del  Negro. 
lì  Sanseverino  narrò  che  il  re,  inteso  l'arresto  di  Ascanio  e  l'im- 
mediata domanda  da  lui  Sanseverino  fatta  di  essere  licenziato^ 
l'aveva  trattato  con  freddezza  singolare,  facendolo  attendere  in 
anticamera  lunghe  ore,  cosa  insolita  a  suo  riguardo.  Egli  compren- 
dendo quanto  passava  nell'animo  regio,  erasi  rivolto  al  vescovo 
di  S.  Malo  ed  agli  altri  signori  francesi,  ed  oflFrendo,  come  pegno, 
la  sua  persona,  aveva  giurato  che  l'arresto  di  Ascanio  era  seguito 
senza  complicità  e  ad  insaputa  di  Lodovico,  e  che  non  era  fin- 
zione, come  il  re  ed  i  suoi  ministri  sospettavano.  Il  S.^  Malo, 
continuò  il  Sanseverino,  si  aprì  allora,  disse  che  il  papa  aveva 
palesato  al  re  che  per  mezzo  della  repubblica  veneta  egli  cono- 
sceva l'intenzione  di  Lodovico  ostile  alla  fortuna  regia  nella  peni- 
nisola.  Le  proteste  di  lui  Sanseverino  persuasero  Carlo  Vili  in 
contrario  ed  egli  ebbe  la  desiderata  licenza.  Il  Moro  aggiunse  al- 
lora che  anche  l'oratore  francese  alla  sua  corte  incolpava  il  pon- 
tefice della  notizia  traditrice.  «  Vi  prego  »,  conchiuse  Lodovico, 
u  ditte  a  quelli  S."  che  più  non  me  nomeni  in  alcuna  cosa  cum 
u  el  papa,  perchè  le  la  sorte  che  intendete  ».  Ed  il  Negro  senza  più 
replicare  prese  congedo,  non  senza  ricevere  un'ultima  raccoman- 
dazione, perchè  la  Signoria  s'adoperasse  alla  liberazione  di  Ascanio. 
Mentre  il  Negro  faveva  ritorno  a  Milano,  i  due  oratori  veneti  cer- 
cavano ancor  essi  con  argomenti  rigorosi  di  persuadere  i  ministri 
sforzeschi  alla  calma  per  evitare  che  il  duca  facesse  calare  altri 
principi  stranieri  in  Italia,  quando  già  tanto  alterata  era  la  quiete 
della  penisola. 

V. 

Ho  voluto  riportare  la  maggior  parte  del  prezioso  dispaccio 
veneto,  perchè  esso,  oltre  ad  illuminare  la  figura  e  le  passioni  del 
Moro,  recherebbe  pure  un  nuovo  dato  sopra  Alessandro  VI. 

Stando  alle  aflfermazioni  del  Moro  e   del   Sanseverino    Ales- 


3IO  LODOVICO  SFORZA,   DETTO   IL   MORO, 

Sandro  avrebbe  tradito  Venezia  e  Milano.  Ma  le  asserzioni  di  Lo- 
dovico e  del  suo  favorito  sono  troppo  interessate  perchè  ad  esse 
possiamo  accordare  fede  sincera.  Inoltre  nulla  vi  sarebbe  di  strano 
che  il  re  di  Francia,  per  seminare  discordia  tra  le  potenze  dell'I- 
talia settentrionale  ed  il  Papa,  avesse  narrato  cosa  non  vera,  od 
esagerato  almeno  qualche  risposta  ardita  del  pontefice  |i),  che, 
minacciato  nella  stessa  Roma,  per  intimorire  il  nemico,  poteva 
aver  fatto  cenno  dei  suoi  legami  con  Milano  e  Venezia,  potenze 
italiane  il  cui  nome  imponeva  all'invasore.  E  che  l'affermazione 
del  Moro  e  del  Sanse  ve  ri  no  non  meriti  fede  immediata  sono 
prova  ta  risposta  stessa  del  Negro  al  Moro,  nella  quale  l'esperto 
segretario  non  nascose  i  suoi  dubbi,  e  l 'indifferenza  con  cui  la  re- 


E  LA  REPUBBLICA  DI  VENEZLV  3II 

nione  pubblica  a  \enezia.    Si   conosceva  di  quanto  il    Moro  fosse 
capace  e  quanta  fosse  la  sua  nervosità  I 

La  Serenissima  quindi  s' adoperò  con  molta  sollecitudine  a 
Roma  per  V  immediata  liberazione  di  Ascanio,  e  mise  in  moto  non 
solo  il  suo  ambasciatore  co'à  residente,  ma  i  cardinali  veneti,  in 
particolare  il  cardinale  Domenico  Grimani.  Agli  oratori  residenti  a 
Milano  scrisse  poi  il  doge  lunga  raccomandazione  per  temperare 
le  furie  di  Lodovico.  Non  essere  possibile,  diceva,  che  il  papa  vo- 
lesse recar  offesa  ad  Ascanio  col  trattenerlo  in  custodia  ;  ciò  sarebbe 
stato  troppo  contrario  ai  suoi  interessi.  Tanto  meno  poi  il  Moro 
doveva  sospettare,  come  Taddeo  Vimercato  in  un'  udienza  insi- 
nuava, che  la  Signoria  avesse  conosciuto  il  disegno  pontificio,  prima 
che  si  palesasse.  «  Se  avessimo  saputo  qualcosa  »,  osservava  il 
doge,  u  non  avremmo  certo  mancato  dal  fare  il  dover  nostro  e 
Sua  Eccellenza  ne  avrebbe  ricevuto  notizia  »  (i). 

Lodovico  fece  in  quei  giorni  ritorno  a  Milano  ed  i  due  ora- 
tori reiterarono  le  raccomandazioni  di  calma  e  di  prudenza  (2),  uf- 
ficio che  il  Badoer,  dopo  l'infermità  (3)  e  la  morte  del  Trevisan  (4), 
volle  rinnovare  per  mezzo  del  Negro,  quando  giunse  la  lettera 
ultima  della  Signoria.  Anzi  il  Negro  ebbe  commissione  di  recla- 
mare qualche  scusa  circa  le  insinuazioni  del  Vimercato.  Lodovico 
protestò  al  segretario   veneto  che  il  suo  pensiero   era  stato   frain 


(i)  Arch.  di  Stato  di   Venezia,  loc.  cit,  ce.  53   t.-54.  Agli   oratori  a 
Milano.  Venezia,  20  dicembre  1494.  *  . . . .  Illud  vero  quod  notavimus  in 

*  litteris  D.  Thadci,  non  tactum  in  litteris  vestris,  hoc  est.  Innuitur  enini 

*  nos  fortasse  ante  secutam  detentionem  praedictam,  habuisse  eius  fa- 

*  ciendae  noticiam  a  pont.»  B.n«.  Non  elaborabimus  in  hac  obiectione  di- 

*  luenda,  quod  veritas  in  absconditis  celari  non  potest,  quin  facile  et  brevi 

*  in  lucem  emergat.  Volumus  tamen  sufficere  ad  probationem  ìngenitae 
"  rectitudinis  et  synceritatis  nostrae,  quod  libere  affirmamus  ncque  nos 

*  ncque  aliquem  nostrum  uUam  penitus  habuisse  intelligentiam  talis  de- 

*  tentionis,  nisi  post  factum,  cum  ea  omnibus  patuisset.  Sed  addimus  et 
"  hoc  aliud,  quod  si    quicquid  quoquo   modo   tale   intellexissemus,  non 

*  discessissemus  ab  officio  nostro  ed  id  prò  more  cum  isto  Ill.nio  Domino 

*  Duce  fuisset  a  nobis  panicipatum  „. 

(a)  Cod.  cit,  e.  23.  Milano,  22  dicembre  1494. 

(3)  Di  pleurite.  Id.  e.  24.  Milano,  22  dicembre  1494. 

(4)  Id.  ce.  25  t.  Milano,  24  dicembre  1494.  V.  anche  sulla  morte  del 
Trevisan  Friuli,  Chronicon  veneium,  col.  9;  Sanuto,  op.  cit.,  pp.  149  e  181. 


312  LODOVICO  SFORZA,   DETTO  U.   MORO, 

inteso  dal  Vimercato,  eh'  c^li  mai  aveva  messo  io  dubbio  Tonestà 
della  Signorìa;  solo  accusare  vieppiù  il  papa  ed  il  re  aragonese, 
perchè,  essendo  bisognosi  di  soccorso  dalla  Repubblica,  non  ave- 
vano pregato  questa  di  consiglio  prima  di  compiere  atto  s)  grave. 
E  fu  irremovibile  circa  le  proteste  già  fatte  contro  Alessandro  VI, 
••  Et  l'altra  parte  che  me  persuadi  a  metter  el  spirito  et  inzegno 
mio  a  la  quiete  de  Italia  >,  disse,  -  se  fusse  altro  cha  quelli 
«  M.^  ambassadorì,  i  quali  ho  in  reverentìa  per  le  optime  conditioD 
4i  soe,  et  anche  ti,  che  te  voglio  bene,  io  dina  de  farlo  et  si  non  lo 
■  farla.  Ma  perchè  non  voglio  che  tu  me  trovi  in  busta,  le  dico  che 
"  non  lo  son  per  far  per  alcun  modo,  fin  che  mio  fradelo  rimati  rilemle. 
M  Et  ha  parlar  cum  ti  a  l'aperta,  come  soglio,  che  dirla  el  re  de 
a  Pranza,  quando  io  facesse  altramente?  Non  potrialo  dir  che  quel 
"  che  le  ha  fatto  intender  el  papa  fusse  vero  e  che  la  retentìon  de 
a  M,"'  mio  fratello  fusse  sta  in  effetto  facta  et  cum  intelligentia  mia? 
•■  Io  te  parlo  lai^mente,  convengo  far  cusl,  non  posso  far  altro,  et 
«  perchè  tu  intendi  se  la  retentìon  predida  è  processa  a  bon  fine, 
-  come  dice  quella  111."""  S."",  sappi  che  el  vescovo  de  Concordia  et 
•I  quel  altra  prelato  che  sono  andati  per  nome  del  pontefice  dal  cbrì- 
•>  stianisimo  re  hanno  dito  a  la  M,"*  soa,  che  mio  fratelo  è  su  rete- 
«  nuto  per  haver  quello  tuto  questo  anno  facto  guerra  a  soa  B.'^ 
••  et  prelerea  hano  richiesto  un'altra  audientia  et  aftìrmando  che  dì- 
•>  nano  altre  cose  in  tale  materia  »  (i). 

Il  ragionamento  del  Moro  non  era  inesatto.  Poiché  la  Signorìa 
non  voleva  ancora  manifestare  apertamente  ostilità  contro  l'inva- 
sore, se  Lodovico,  dopo  l'affronto  ricevuto,  taceva,  in  Carlo  Vili  sa- 
rebbero cresciuti  i  sospetti  sulle  vere  intenzioni  di  Milano  e  di 
Venezia.  Da  tempo  Lodovico  aveva  ritirato  le  sue  genti  dall'eser- 
cito del  Montpensier  e  da  quello  del  re  stesso  (2).  II  silenzio 
avrebbe  realmente  confermato  il  dubbio  d'un  accordo  segreto  con 
Alessandro  VI. 


(i)  Cod,  cit.,  ce  24.  Badoer  al  doge.  Milano,  23  dicembre  1494.  — 
Sull'andata  di  Leonello  Chieregato,  vescovo  di  Concordia,  e  degli  altri 
prelati  al  campo  francese,  v.  Cipolla,  op.  ciL,  p.  711. 

(3)  Arch.  stor.  Goni.  Esterni,  n.  XLIX,  n.  3  b.  1630  (i49i'93).  Do- 
nato dei  Preti.  Milano,  13  novembre  1494.  '  Lo  IIL"'>  S.  ducha  de  Mi- 
'  lano  si  chiama  a  chasa  tutj  soy  zente  darme  chi  sono  ìd  tud  do; 
'  li  champi  .. 


E  LA  REPUBBLICA  DI  VENEZIA  313 

Ma  ben  presto  fu  evidente  che  Tarresto  non  aveva  nulla  di 
strano  e  dal  canto  suo  il  Pontefice  dovette  accorgersi  che  Terrore 
commesso  era  stato  gravissimo.  Carlo  Vili  infatti,  atteggiandosi 
a  paladino  dell*  imprigionato  cardinale,  scese  fino  a  Bracciano  alle 
porte  di  Roma  (i).  Alessandro  stretto  dalla  necessità,  aprì  le  porte 
del  carcere  a  Prospero  Colonna  ed  al  cardinale  di  Sanseverino, 
che  mandò  legato  al  re  (2),  ma  volle  trattenere  ancora  Ascanio.  Il 
Moro,  ansioso  sulle  vicende  del  fratel  suo,  armò  25  cavalleggeri 
e,  come  aveva  minacciato,  si  dispose  ad  inviarli  sotto  Roma  nel  campo 
regio  con  a  capo  il  conte  di  Caiazzo,  pubblicando  che  avrebbe 
presto  mandato  al  seguito  dei  cavalleggeri  300  uomini  d'arme.  La 
Serenissima,  profondamente  inquieta  della  tenacia  vendicatrice  di 
Lodovico,  voleva  impedire  quest'ultimo  passo  che  rigettava  il  Moro 
nelle  braccia  del  re  invasore.  Il  Badoer,  che  ebbe  a  parlarne  con 
Bartolomeo  Calco,  si  adoperò  per  convincere  quell'intelligente  mi- 
nistro dell'errore  che  Lodovico  avrebbe  commesso.  «  Me  forzai  », 
scriveva  egli  alla  Signoria,  «  da  poi  dechiarito  el  grande  incendio 
«  che  cum  el  mandar  de  tal  zente  a  la  Christian.™»  M.*^  Se  acresseria 
«  a  mina  et  eversione  di  questa  povera  Italia,  et  ex  conseguenti  de 
«  tuta  la  christianità  confortar  et  suader  la  Ex.^^'»  S."»  cum  tuta  quella 
«  rason  che  per  la  efficatia  del  ingegno  mi  occorsero,  che  amore  dei 
«  la  vogli  a  questo  cum  la  summa  soa  sapientia  et  bontà  advertir  et 
«  postponer  qualche  passione  de  oflFesa  che  li  paresse  haver  rece- 
«  puta  a  tanto  bene,  quanto  è  per  succieder  ne  la  pacification  de 
«  Italia,  perchè  questa  seria  tanto  mazor  la  gloria  et  exaltatione  de 
«  la  cel."*  vostra,  che  possando  far  tanto  male  cum  vendication  de  la 
«  inzuria  la  non  l'habbi  voluto  fare,  ma  preponer  el  ben  universal 
«  de  tuta  Italia  ad  ogni  sua  passione  ».  Il  Calco  apprezzò  le  ragioni 
dell'oratore  e  diede  la  sua  parola  di  adoperarsi  al  possibile,  per- 
chè Lodovico  si  distogliesse  dalla  pericolosa  china  in  cui  scendeva. 
«  Vostra  Mag.^>»  »,  disse  al  Badoer,  «  ha  parlato  prudentissima  et 
«  necessariamente,  et  ex  corde,  come  chiaramente  comprehendo.  Ma 
«  el  Sj  è  astreto  a  far  cusì  per  la  offesa  receputa  de  la  retention 


(i)  Sanuto,  op.  cit.,  pp.  151-54;  Cipolla,  op.  e  loc.  cit;  Delaborde, 
op.  cit,  p.  501. 

(2)  Sanuto,  op.  cit.,  p.  155.  Codice  cit.,  lettera  cit;  Pastor,  op.  cit, 
ni,  p.  341. 


314  LODOVICO  SFORZA,   DETTO    IL    MORO, 

H  del  fradello   et  per  honor  suo  non  poteva  far  altramente....  Vm 
4i  ditte  sapientissimamente  "  (i). 

Proprio  in  quei  momenti  un  inviato  del  re  Alfonso  era  giunto 
a  Milano,  implorando  benignità  ed  interesse  pel  suo  signore.  Il  re 
di  Napoli  supplicava  il  Moro  di  indurre  Carlo  Vili  alla  ritirata. 
II  Moro,  pare,  non  ebbe  il  coraggio  dì  respingere  l'ambasciaiore 
naooletano.  che  vestiva  l'abito  di  frate  dell'ordine  di  Monte  Oli- 


E   LA   REPUBBLICA    DI   VENEZIA  315 

«  fatto  dechiarir  voler  mandar    a   favorizar  la  impresa    del   chri- 

«  stian."io  Re  et  che  le  extremità  di  pericoli,  ne  i  quali  constituta 

u  se    atrovava    questa   calamitosa   Italia,  recercava   per   beneficio 

u  universal  et  particular,  che  a  questo  focho  fusse   portata  quella 

u  mazor  quantità  de  acqua  se  potesse  per  extinguerlo  cellerrima- 

u  mente  et  non  femento  da  nutrirlo  et  farlo  irremidiabile,  azò  la 

«  111."*  S."*  soa  se   potesse   conformar   l'auctorità    de  quel  savio 

u  Seneca,  che  dice  convenirse  a  Tofficio  de  sapieri."»®  principe  far 

u  opere  de  sorte,  che  merito  gloriar  In  quelle  el  se  possi  ;  come  mi 

«  rendeva  certissimo  la  Ex.^'«  sua  fusse  per  fare   et    per   la   sua 

«  naturai  inclination  et  propensità  ad  bonum   universale   et   etiam 

«  per  la  instantia  che  cusì   amorevol    et   fraternamente   li   faceva 

M  Vostra  S.^^,  et  circa  zo    me   forzai    per  la  parvità   de  Tinzegno 

ti  non  pretermetter  cosa  mi    parse  fusse   conducibile  a  tal  propo- 

u    sito    ». 

11  Moro,  dopo  aver  ascoltato  con  profonda  attenzione  le  parole 
dell'oratore,  rispose  tosto:  «  M.^o  ambassador,  o  questo  papa  ha 
«  defecto  de  secretarij  et  nodari  che  li  scrivano  bene  le  suo  let- 
«  tare,  o  pur  el  non  vuole  advertir  che  una  volta  el  scrive  et  dice 
u  ad  uno  modo,  e  Taltra  el  scrive  Topposito.  Prima  in  altri  brevi 
«  lui  ha  scripto  haver  retenuto  mio  fratelo  a  bon  fine,  et  cusì  lui 
«  ha  sempre  fato  dir  et  replicar  quella  111.*"*  S."« .  Hora  nel  breve 
«  chel  me  scrive,  hozi  havuto  per  mezo  de  la  M.^^*  vostra,  el  me 
a  dice  come  quella  aldirà  ».  11  breve  diceva  che  il  papa  nel  trat- 
tenere Ascanio  erasi  comportato  con  molta  clemenza  e  che  desi- 
derava gli  fosse  inviato  da  Milano  un  messo  segreto,  per  far  noto 
al  Moro  cose  importanti  al  suo  onore.  «  Questo  clementi ssime  egit  » 
esclamò  Lodovico,  «  vuol  dire  che  mio  fratello  ha  errato,  et  che 
u  per  honor  suo  non  lo  voi  manifestar,  et  cum  la  christian.^a  M.^à 
«  ha  usata  forma  penitus  contraria  contra  dito  monsignor,  come 
u  questi  zorni  ve  fezi  intender.  Perchè  usalo  queste  duplicità,  et 
a  maxime  cum  la  111."*  S."*  ?  Quando  el  dice  che  Tha  retenuto  a  bon 
«  fine,  el  doverla  particularmente  dechiarir  per  el  tal  et  per  el  tal 
«  rispeto,  et  a  questo  modo  se  vederla  se'l  fusse  stato  a  bon  fine, 
u  che  io  non  lo  credo  alhora  lui  el  facesse.  Ma  potria  ben  esser 
«  che  adesso  chel  vede  variate  le  cosse,  che  le  zente  francese 
«  hano  passato  el  Tevere,  hano  havuto  Civita  vechia  et  le  terre  de 
«  rOrsini  per  Tacordo  fatto  per  el  fiuol  del  s/  Verzinio  et  che  le 


3l6  LODOVICO  SFORZA,    DETTO   IL   MORO, 

«  se  sono  proximate  a  le  porte  da  Roma,  per  iiecessità  et  non  per 
«  volontà  rhabi  mutato  proposito.  Io  tengo  che  finquest'hora  Thabi 
u  fatto  quello  vuol  el  Re  de  franza,  et  se  bora  el  starà  aspectar 
u  lettere  da  Milan  el  starà  frescho.  Se  adunque  Tha  visto  per  effecti 
u  et  experientie  chel  retenir  de  mio  fradello  non  li  ha  zovato  cosa 
«  alcuna,  anzi  l'ha  redutto  a  questo  termine,  perchè  tenirlo  anchora 
u  retenuto?  Io  son  ben  zerto  che  adesso  el  cognoscha  haver  fatto 
u  male.  E  però  prima  che  el  devenesse  a  questo  acto  el  dovea 
u  consegliarse  cum  quella  Ill.">*  S."*,  et  non  cum  mad.«  lulia  et  la 
u  munega,  et  perchè  ne  le  lettere  del  vostro  Ms^  ambassador  da 
u  Roma  se  dice  che  mons.*"  Ascanio  me  ha  scripto  et  zustificato 
«  dita  retention.  Sapi  La  M.^^«  V.  che  io  non  ho  avuto  lettera  al- 
u  cuna  fin  qui  ». 

La  discussione  tra  il  Moro  e  l'oratore  durò  a  lungo,  finché  il 
primo  concluse:  «  M,^^  ambassador.  Scrivete  a  quella  Ill.™«  S."*  che 
u  el  confortar  a  tollerar  le  inzurie  se  suol  et  die  far,  quando  a 
u  quelle  non  gè  remedio.  Ma  nui  non  siamo  in  questo  caso,  perchè 
«  come  el  papa  lassa  mio  fradello,  la  inzuria  è  remediata,  fatte  chel 
u  sij  lassato  in  soa  liberttà,  et  poi  quella  IH.»"*  S."*,  che  mi  è  padre, 
«  me  diga  libera  et  apertamente:  Lodovigo,  fa  cusì,  che  io  son  per 
u  far  promptissimamente  quanto  la  mi  ricorderà  et  conseglierà.  Ren- 
«  dome  certo  che  per  el  paterno  amor  la  mi  porta,  la  non  sia  per 
«  ricordarme,  né  per  consegliarme  salvo  cosa  ch'io  possi  far  cum 
u  mio  honor,  et  che  non  me  tiri  el  focho  a  casa  »»  (i). 

Anche  questi  lunghi  ragionamenti  del  Moro  contengono  molte 
giuste  osservazioni.  Quand'  egli  parlava  tuttavia,  già  la  questione 
del  fratel  suo  a  Roma  era  risolta.  Alfonso  II,  sebbene  con 
troppa  lentezza,  aveva  scritto  al  figlio,  duca  di  Calabria,  di 
procurare  l'immediata  liberazione  del  cardinale,  «  commemorando 
«  in...  lettera  tutti  li  beneficij  che  ha  recevuti  casa  sua,  cominzando 
«  dal  Re  Alfonso  de  bo.  me.,  da  casa  Sforzescha  »  (2).  E  la  lettera 
del  sovrano  di  Napoli  ebbe  forse  più  efficacia  su  Alessandro  che 
non  le  minaccie  del  re  di  Francia,  il  quale  rifiutavasi  di  intendere 
il  card,  di    Sanseverino,    ma  solo    voleva   trattare  con   Ascanio  e 


(1)  Cod,  cit»,  ce  27-29.  Milano,  27  dicembre  9414. 

(2)  Arch.  stor.  Gonz.,  £,  estemi,  n.  XXV,  n.  3  b.  850*  Giorgio  Bro- 
gnolo,  Roma,  27  dicembre  1494* 


E   LA  REPUBBLICA   DI  VENEZIA  317 

minacciava  di  accamparsi  sotto  Roma  (i).  Il  25  dicembre,  il  turbo- 
lento porporato  fu  messo  in  libertà,  ed  il  duca  dì  Calabria,  che  il 
papa  nel  tempo  stesso  a  malincuore  congedava,  essendo  impossi- 
bile la  resistenza  armata  contro  i  francesi  (2),  l'accompagnò  fino  al 
suo  palazzo  (3),  e  quindi  uscì  da  Roma,  non  senza  essere  alla  sua 
volta  seguito  da  Ascanio  fino  al  di  là  delle  mura  (4).  Alessandro, 
umiliato  e  privo  di  difesa,  trattò  col  re,  che  il  31  dicembre  da 
vincitore  di  una  guerra  fino  allora  priva  di  vere  fazioni  militari, 
fece  ingresso  nella  capitale  del  mondo  cristiano  (5). 

La  prima  parte  dell'audace  impresa  era  compiuta  per  l'ignavia, 
l'egoismo  e  gli  errori  delle  potenze  italiane. 

(Continua).  Arturo  Segre. 


(i^  Cod.  cit,  ce.  29  t.-30.  Milano,  29  dicembre  1494. 

(2)  Sawuto,  op.  cit.,  p.  156;  Delaborde,  op.  cit.,  p.  505;  Pastor,  ni, 
op.  cit,  p.  342. 

(3)  Arcb.  di  Stato  di  Milano,  Potenae  estere,  Veneaia.  Lodovico  al 
Viracrcato.  Vigevano,  31  dicembre  1494.  *  ....  et  accompagnato  da  pa- 
latio  alla  casa  sua  In  Roma  dal  duca  de  Calabria,  quale  poi  subito 
se  partite  de  Roma  cum  tutte  le  zente  sue  per  andare  In  nel  reame.  „ 

(4)  V.  nota  precedente;  v.  anche  Sanuto,  op.  cit.,  p.  161;  Delaborde, 
op.  cit.,  p.  505;  Pastor,  op.  e  loc.  cit. 

(5)  Cipolla,  op.  cit.,  p.  711;  Delaborde,  op.  cit,  p.  507;  Pastor,  op.  e 
loc.  cit.  Il  Gregorovius,  op.  cit,  IV,  47-48,  ostile  molto  ad  Alessandro  VI, 
giudica  questi  fatti  con  eccessiva  severità.  —  Sugli  avvenimenti  romani 
V.  anche  il  racconto  assai  imperfetto  di  Andrea  Nav acero,  Storia  vene- 
Mtana  daW  origine  della  città  fino  al  14^8  presso  Muratori,  Rer,  liaL 
Script,,  XXIII,  col.  1202. 


L'invasione  francese  in  Milano  (1796) 

Da  Memorie  inedite  di  don  Francesco  Nava 


(Coni,  e  fine:  v,  Arch.  tlor.  lomb.,  ».  XXIX.  f 


UANno  mi  fu  possibile,  procurai  d'inviarmi  a  casa,  dove 
fatta  una  breve  visita  alla  sorella,  che  avea  il  di  pre- 
cedente dato  alla  luce  con  felicità  un  maschio,  mi  co- 
ricai senza  ritardo  a  letto  (i). 

Dopo  breve  riposo  interrotto  per  ben  tre  volte  secondo  il  con- 
sueto delle  notti  precedenti  dall'arrivo  di  persone,  che  venivano  a 
farmi  i  rapporti  di  fatti  o  di  affari,  cui  era  necessario  di  dare  im- 
mediato disbrigo,  mi  alzai  per  tempo,  e  soddisfatti  dapprima  i  do- 
veri di  religione  impostimi  dalla  ricorrenza  della  solennità  della 
Pentecoste  passai  al  Broletto  ad  operare.  Le  requisizioni  eran  gii 
pronte,  e  nel  corso  della  giornata  andaron  sempre  crescendo  ed  in 
qualità,  ed  in  quantità  de'  capi,  che  si  domandarono.  Il  pane,  il  vino 
e  la  carne  si  volle  in  una  quantità  sorprendente  (a),  Furon  fis- 
sate 80  m.  porzioni  (3),  mentre  le  truppe   arrivate   in    Milano  non 

(1)  Dalle  9  Vi  ài  quella  sera  è  datato  l'ordine  seguente  (Archivio 
Civico,  Dicasttri  Governo  23)  :  "  11  sig.'  Generale  Massena  ha  ordinato 
*  al  delegato  del  Consiglio  generale  che  si  chiudano  tutte  le  porte  ce- 
"  cettuata  porla  Romana,  e  se  ne  portino  a  Lui  le  chiavi.  Il  colon- 
'  nello  Court,  comandante  della  piazza,  ha  spedito  l'ordine  relativo  .. 
Nella  notte  truppe  giunsero  a  Massena  *  a  piccoli  corpi  .  (FoscABim, 
espresso  103}, 

(2)  Il  Gachot,  La  premiirt  campagne  d'ilalit,  p.  145,  mentre  re- 
gistra l'atto,  non  ne  indica  la  misura. 

(3}  Cfr.  Pertusati,  Rappresenlanea  de  Meneghirt  : 

E  s'è  dovuu  al  bel  prim  di  oriìcnà 

Per  vati  e  no  sào  che  millla  ilraicion 
Sctlanlacìnqu  i  pii  millia  ruion. 


l'invasione   francese   in    MILANO  (1796)  DA   MEMORIE,   ECC.      319 

potevano  sorpassare  il  numero  di  io  m.  uomini  (i).  Per  questo 
fu,  che  ne'  primi  giorni  si  fece  di  cotesti  generi  un  tale  scia 
lacquo,  che  ben  molti  assai  del  popolo  ne  profittarono  grande- 
mente (2).  Fu  ordinato  di  disporre  il  pranzo  in  Corte  per  ottanta 
coperti,  e  dovea  servire  per  il  generale  in  capo,  e  per  tutto 
lo    stato    maggiore    (3).    Il    solo    commissario    di   artiglieria   Boi- 


(i)  I  deputati  da  Melegnano  annunciavano  un  primo  arrivo  di 
■  IO  o  più  mille  „  soldati  francesi.  Il  Foscarini,  fra  quel  primo  nucleo 
ed  altri  sopraggiunti  (v.  nota  a  pag.  318),  fa  il  calcolo  di  io  a  12  mila 
di  fanteria,  3  a  4  mila  di  cavalleria,  aumentabili  al  massimo  a  30  mila 
(espresso  102),  Il  14  "  la  cavalleria  era  tutta  disposta  in  bell'ordine  lungo 
'  il  corso,  e  l'infanteria  era  appostata  dal  ponte  sino  al  dazio  e  fuori 

•  di  P.  R.  ,  (Notiate  politiche,  18  maggio).  Quel  giorno  giunse  tutta  la 
prima  divisione  (Massena),  meno  la  25*  demi-brigade  (alors  8^j  che 
giunse  l'indomani  con  Rampon  (Bouvier,  Bonaparie  en  Italie),  Anche  il 
Botta,  Storia  d* Italia  dal  ijSg  al  1S14,  dice  che  i  primi  arrivati  con  Mas- 
sena  furono  diecimila. 

Le  voci  che  correvano  verso  il  tocco  del  14,  quando  il  Foscarini 
mandò  ai  Doge  il  suo  primo  dispaccio  dopo  l'occupazione  francese,  in- 
dicavano, per  il  numero  dei  francesi  che  arrivavano,  cifre  varianti  "  da 

•  sei,  otto,  dodeci  o  più  millia  „. 

(2)  E  Carnot,  poveretto,  scriveva  il  18  floreale  (all'  incirca  in  quei 

giorni  pertanto)  da    Parigi   a   Buonaparte:  Que  foeil  de  l'economie 

surveille  femploi  di  ciò  che  avrebbe  ottenuto  dalle  conquistate  popola- 
zioni (Correspondance  inèdite  officielle  et  confidentielle  de  Napolion,  t.  1). 
Invece,  nota  il  Botta,  op.  cit.,  to.  I,  1.  VI,  "  si  consumava  malamente  in 

•  pochi  giorni  quello  che  avrebbe  potuto  bastare  per  molti  mesi  „.  "  Ne* 

•  primi  giorni  tutte  le  autorità  conquistatrici  pretendevano  nel  proprio 

•  quartiere  un  trattamento  a  parte  „  (Becattim,  op.  cit,  lett.  II).  Già 
quella  mattina  (del  15  maggio)  il  Consiglio  generale  si  vide  costretto  a 
stendere  una  supplica  a  Buonaparte,  chiedendo  che  le  razioni  delle 
truppe  fossero  proporzionate  alle  forze  del  paese,  e  si  provvedesse  ad 
evitare  i  duplicati.  Sembra  che  tale  supplica  sia  stata  presentata  quel 
pomeriggio  medesimo,  nella  visita  che  il  Nava  fece  con  quattro  com- 
pagni a  Napoleone  (Appuntamenti  del  Consiglio  generale). 

(3)  Secondo  il  Becattini,  op.  cit,  lett.  I,  il  •  lauto  pranzo  „  av- 
venne al  *^  rimbombo  di  mille  musicali  istrumenti  da  arco  e  da  fiato,  che 
suonavano  le  arie  patriottiche  per  noi  del  tutto  nuove  delia  Carma- 
gnola, del  pi  ira,  dei  Figli  della  patria,.,  in  vista  degli  affollati  spettatori 
e  in  mezzo  alle....  acclamazioni.  „  Il  De  Castro,  Milano  e  la  repubblica 
cisalpina,  p.  69,  riassume  puramente  e  semplicemente  questa  narra- 
zione. V.  Correspondance  de  Napolion,  1,  N.  449  (A  la  municipalité  de 
Aiilan  —  18  mai)  le  limitazioni  poste  da  Buonaparte  agli  abusi  nelle 


390  l'  invasione    francese   in   MILANO  (1796) 

neaud  (i)  per  non  parlare  di  altri  presentò  in  quel  giorno  medesimo 
note  mai  più  finite  di  varie  sorti  dì  utensigli,  di  fucine,  di  pezze  & 
lana,  di  sacchi,  di  ferramenti,  che  gli  facevan  bisogno  (2)  ed  alla  loro 
somministrazione  si  pretini  un  brevissimo  termine.  Il  più  lungo  era 
quello  delle  ventiquattr'ore,  (3)  e  tutto  sempre  era  accompagnato 
dalla  minaccia  di  tenere  responsale  la  mimicipalità  in  caso  di 
ritardo.  Qual  imbarazzo  fu  quello  mai  di  provvedere  sul  momento 
a  tante  ricerche  1  Non  pertanto  non  si  lasciò  desiderare  mai  nulla. 
All'accostarsi  del  mezzodì  venne  l'annunzio  deQ'imminente  arrivo 
del  generale  in  capo  Bona  parte  (4).  Sul  momento  d  unimmo 
tutti  (5)  per  recarci  ad  incontrarlo,   e   con   noi   s'accompagnarono 

taòies  qut  beaueoup  de  cilqytns  st  ptrmtNtHt  di  se  fair»  servir.  Per  altro 

■  Bonaparte  aveva  prescritta  per  mezzo  di  Berthier  (nella  lettera  qui 

*  sopra  indicata)  una   tavola   ordinaria  dì  40  coperti    a  lire  ([ualtro  di 

*  Francia  a  testa,  che  fanno  207  lire  al   giorno    e   circa  6  mila  lire  il 

*  mese  di  Milano,  ed  invece  il  dispendio,  in  poco  più  di  due  mesi,  sor- 

■  passò  d'assai  le  50  mila  ,  (Becattini,  op.  ciL,  lett  III). 

(t)  Il  BouviEB,  op.  cit.,  p.  100,  parla  con  ammirazione  del  svmm 
Boinod,  l'honnèU  ti  digne  Boinod.  Boìnod  alloggiò  in  casa  Castiglìoni 
in  P.'»  Orientale  (l'attuale  casa  Silvestri,  come  ognuno  sa)  ed  era  com- 
missario per  Les  équipages  d'arlitlerie;  La  Polke  de  tette  arme;  celli  dt 
fariilterie  iégire;  le  Genie,  et  les  fortificalions;  les  rémonles  (V.  Tabella 
in  Raccolta  degli  ordini  ed  avvisi,  p.  la). 

(3)  Aveano  allora,  osservò  il  Verri,  Lettere  e  scritti  inediti,  IV, 
P-  393.  '  pochissima  artiglieria  ,. 

(3)  Vedemmo  infatti,  nell'Archivio  civico,  lunghissimi  elenchi  di 
oggetti  requisiti  da  fornire  f/ans /a /oMrnfo  (requisizione  del  commissario 
ordinatore  J.  F.  Lambert,  del  al  floreale).  E  il  Despinoj  guadagnò  al- 
lora il  nomignolo  di  *  generale  venti quattr'o re  ,.  Il  Pertusati,  op.  dt, 

M>  tuli  p«u  in  lermen  àt  tiatiquittr'or? 
Poviràic!  come  «tcvcd  mai  de  »I 

(4)  Com'è  noto,  a  Buonaparte  molto  importava  potesse  giungere 
l'annunzio  di  tal  suo  arrivo  trionfale  al  Direttorio,  ai  cui  ordini  egli 
s'era  allora  deciso  di  opporsi,  ordini  che,  del  resto,  dividendo  l'esercito 
d'Italia,  avrebbero  rovinato  non  solo  i  disegni  di  Buonaparte,  ma  anche 
la  causa  francese  in  Italia. 

(5)  È  ben  strano  che  il  Bouvier,  op.  cit.,  ponga  qui  alla  testa  dei 
decurioni  le  general  comle  de  Trivutzio,  che  egli  intende  certo  alludere 
ad  Alessandro  Trivulzio,  che  fu,  poco  tempo  dopo,  generale  delle  guardie 
nazionali  milanesi;  ed  invece  di  Trivulzio  non  v'era  allora  nel  Consiglio 
generale  che  il  m,»«  Teodoro  Giorgio. 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI   DON   FRANCESCO   NAVA  32I 

pure  i  delegati  de'  Corpi  sopranominati.  Si  avviò  la  gran  comitiva 
al  dazio  di  P.  R.  (i).  Là  ci  fermammo  ad  aspettare  l'avviso,  ch'ei 
fusse  vicino,  e  s'era  affollata  una  gran  turba  di  gente  (2).  Parendo 
che  la  cosa  andasse  troppo  in  lungo  presimo  la  risoluzione  di  av- 
viarci fuori  del  dazio,  e  giunti  alla  prima  cascina  fecimo  alto  alle 
carrozze,  smontammo,  e  ci  slam  colà  ricoverati.  La  strada  era  piena 
di  soldati  a  piedi  ed  a  cavallo  (3),  e  v'  erano  ben  anche  alcuni 
artiglieri,  che  guardavano  i  cannoni  di  campagna  (4).  Al  primo 
veder  queste  truppe  luride  e  stracciate  (5)  mi  s'aflfacciò  tosto   alla 

(i)  Anche  il  general  Massena  andò  a  ricevere  il  suo  superiore 
{Gazsiita  di  Milano  del  19).  —  Il  Lee,  Campaigns  of  Napoleon,  e.  V, 
p.  87,  scrive  :  the  splendici  carriages  of  the  nobility  and  aristocracy  of  the 
capital,  went  lo  meet  and  lo  salute  the  republican  hero, 

(2)  La  presenza,  alla  porta  e  lungo  tutto  il  percorso,  di  una  folla 
numerosa  e  festante,  è  attestata  dalla  Gazzetta  di  Milano  del  19;  dai 
Mémoires  du  Due  de  Raguse,  to.  I,  1.  II,  p.  177;  dalle  Oeuvres  de  Ste 
Hilène  —  Campagnes  d'Italie^  p.  123;  dallo  Stendhal,  Vie  de  Napoleon, 
VII;  dalla  Storia  dell'anno  1796;  dalle  lettere  del  Valeri,  pubblicate  dal 
LuBiBRoso;  dal  Jomini,  Histoire  critique  et  militaire  des  guerres  de  la 
revolution,  to.  I,  liv.  X,  chap.  LVII,  e  Vie  politique  et  militaire  de  Napo- 
leon, to.  I,  cap.  II;  dal  Bouvier,  Bonaparte  en  Italie.  Né  il  fatto  affer- 
mato può  destare  le  meraviglie  in  noi  che  conosciamo  l'indole  dei  no- 
stri concittadini  veri  ambrosiani! 

(3)  Fuori  di  Porta  Romana  aveva  Massena  (Gazzetta  di  Milano 
del  19)  accampato  le  sue  truppe,  salvo  poche,  poste  quali  sentinelle  qua 
e  là  per  la  città.  Dovevano  essere  alla  porta  (secondo  il  rapporto,  già 
dtato,  del  Monnier)  gli  uomini  del  3**  battaglione  della  2i\  Molta  truppa, 
specie  cavalleria,  fu  posta  sui  bastioni.  (Massena  a  Bonaparte  il  14  in 
Correspondance  inèdite  officielle  et  confidentielle  de  NapoUon  —  Italie,  to.  I; 
Bouvier,  Bonaparte  en  Italie),  Secondo  il  Becattini,  op.  cit.,  lett.  I,  ca- 
valieri, di  quelli  entrati  il  giorno  innanzi  con  Massena,  scortavano  nel 
suo  ingresso  il  generalissimo.  Questi  aveva  ordinato  a  Massena  di  re- 
golare severamente  l'entrata  di  militari  in  città  {Correspondance  de  Na- 
Poléon,  I,  n.  415). 

(4)  Il  Becattini,  op.  cit,  lett.  I,  non  registra,  di  artiglieria  arrivata 
allora^  che  "  un  cannone  grosso...  uno  da  campagna  e  un  mortajo  ».  Il 
Massena,  nella  lettera,  citata  poco  sopra,  a  Buonaparte  paria  delle  sue 
deux  pièces  cCartillerie  légère;  secondo  il  Bouvier,  il  14,  Joubert,  entrando 
coll'a vanguardia,  aveva  seco  deux  piéces  à  eheval, 

(5)  Questo  miserevole  stato  delle  vesti,  lacere,  a  vari  colori,  in- 
sufficienti a  coprire  tutta  la  persona,  è  confermato  da  numerose  fonti 
(Becattini,  op.  cit:  I  francesi  in  Italia;  Verri,  Storia  dell'invasione,  e 
sovratutto  Stendhal,  loc.  cit,   che   dipinge   assai  bene  la  povertà   di 


322  l'invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

mente  il  pensiero  delle  cure,  che  avremmo  dovuto  incontrare  per 
ristorarle,  e  vestirle  (i),  né  mi  sono  ingannato.  Assuefatto  a  ve- 
dere i  Corpi  delle  truppe  tedesche  ebbi  motivo  di  fame  il  con- 
fronto (2),  e  da  questo  ne  cavai  molte  serie  riflessionL  Dovetti 
strabigliare,  e  con  molta  pena  potei  persuadermi,  che  queste  truppe 
avessero  potuto  vìncere  e  soggiogare  le  tedesche,  e  fummi  ne- 
cessario di  rimontare  al  principio,  che  m'insegna  che  la  sorte  dd- 
l'armi  dipende  dal  Dio  degli  eserciti,  ne'  di  cui  impenetrabili  arcani 
era  fissato  il  destino  della  Lombardia.  Difatti  naturalmente  parlando 
sembra  impossibile  che  un'  armata  senza  magazzini,  senza  eqin- 
paggi,  e  sprovvista  di  tutto  potesse  misurarsi  e  battere,  e  rovesciare 
l'altra  armata,  che  di  nulla  mancava.  11  valore  individuale  de' sol- 
dati repubblicani,  non  nego,  sarà  stato  maggiore,  e  maggiore  anche 
la  loro  costanza  nel  soffrire  i  disagi  della  campagna  estremamente 
faticosa  (3).  Ma  fu  d'uopo  di  troncare  i  riflessi,  che  ci  andavamo 
comunicando  l'un  l'altro,  quando  lo  squillo  delle  trombe  (4),  ed 
il  nitrito  de'  cavalli  ci  annunziò  l'arrivo  del  generale  comandante  (5)1 


quell'esercito).  Nei  Mèmoirts  de  Mctssena  trapela  il  timore  che  quel- 
ì'habi/ìement  en  lambeaux  diminuisca  la  considerazione  in  cui  le  popo- 
lazioni doveano  tenere  le  armate.  V.  infatti  in  De  Castro,  op.  cit.,  p.  78^ 
i  versi  canzonatorii  dedicati  a  quelle  truppe  male  in  arnese  dalla  musa 
vernacola. 

(i)  Il  RùSTOw,  Die  ep'sten  Ftldzùge  Napoleon  Bonaparie's,  p.  140, 
spiega  come  il  completamento  dell*  abbigliamento,  pur  di  prima  neces- 
sità, non  si  sia  ottenuto  neppure  dopo  questo  riposo  ristoratore  nella 
Lombardia  messa  senza  riguardi  a  contribuzione.  Ciò  accadde  sovra- 
tutto  per  colpa  di  fornitori  senza  coscienza. 

(2)  Confronto  di  cui  si  scorge  lo  spavento  nei  Mémoires  de  Afassens, 
II,  p.  71.  Pure  Io  fece  anche  il  Verri,  Sfona  de//'  invasione,  p.  392  di 
Lettere  e  scritti  inediti,  IV:  "  Lo  spettacolo  dell'armata  era  sorprendente 
"  per  chi  ha  conosciuto  il  militare  tedesco  „. 

(3)  V.  nella  Storia  de/t'anno  lypó,  p.  210,  i  difetti  dell'  eccesso  di 
disciplina  che  rendeva  il  soldato  austriaco  un  automa  e  spesso  lo  spin- 
geva a  disertare. 

(4)  Secondo  il  Bouvier,  op.  cit.,  le  bande  musicali  francesi  contri- 
buirono a  guadagnare  all'esercito  repubblicano  le  simpatie  dei  milanesL 

(5)  Secondo  i  Mémoires  tirés  des  papiers  d'un  honinie  d'ètaty  to.  Ili, 
p.  347,  r  ingresso  di  Buonaparte  avvenne  avec  tout  /e  faste  d'un  anh 
quérant,  il  che  però  potrebbe  quasi  dirsi  anche  dell'entrata  del  general 
Massena  il  dì  prima. 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI    DON   FRANCESCO   NAVA  323 

Ci  affrettiamo  tosto  a  sortir  dalla  cascina  per  portarci  sulla  strada 
a  complimentarlo,  e  vi  arrivammo,  ch'egli  era  già  passato.  All'av- 
viso che  gli  fu  dato  immantinenti  da  una  ordinanza  egli  ebbe  la 
bontà  di  ritornare  addietro  (i),  ed  in  mezzo  allo  stato  maggiore, 
ed  a'  suoi  ajutanti,  che  lo  circondavano  (2)  si  rivolse  verso  di  noi, 
e  di  me  specialmente,  che  distinto  dall'abito  della  toga  (3)  fui 
riconosciuto  da  lui  medesimo  per  il  vicario  di  provvisione.  Avvan- 
zatomi  in  mezzo  ai  cavalli  (4)  mi  portai  vicino  al  generale,  e 
fattogli  ad  alta  voce  il  complimento  addattato  alla  circostanza  gli 
presentai  i  Delegati  de'  Corpi  coll'ordine  tenuto  nel  dì  precedente 
col  generale  Massena  (5).  Rispose  il  general  Bonaparte  a  tutti  con 
aggradimento,  ed  all'un  dipresso  fece  le  stesse  espressioni  e  pro- 
messe, che  aveam  già  sentite  dall'altro  (6),  aggiungendo  solo  ai 
delegati    dell*  arcivescovo   (7),   che   il    clero    sarebbe   rispettato   e 


(i)  Sembra  si  sia  recato  egli  pure  alla  cascina  ove  il  vicario 
erasi  fermato  ad  attenderlo,  che  il  Becattini,  op.  cit,  lett  I,  seguito 
dal  BouviER,  op.  cit.,  p.  581,  ci  mostra  Buonaparte  che  risponde  alle 
deputazioni  '^  seduto  sopra  un  fascio  d'erba  in  un  rustico  casolare.  „ 

(2)  Massena  e  Joubert  gli  erano  andati  incontro;  Saliceti  e  Kil- 
maine  lo  fiancheggiavano:  intorno  erano  le  guide;  dietro  al  generalis- 
simo, ufficiali  austriaci  prigionieri  ed  il  bastardo  d'Este,  Federico,  ve- 
nuto ad  implorare  la  pace  per  il  duca  suo  fratello  (fiazzeita  di  Milano; 
BouviKR,  op.  cit,  p.  581). 

(3)  Il  general   Buonaparte   era   dal   canto   suo    "  vestito   dei   suoi 

•  abiti  di  cerimonia  „  {Gazzetta  di  Milano,  19  maggio). 

(4)  Montava  Buonaparte  un  cavallino  bianco  ed  "  umile  „  (Melzi, 
Memorie^Documenti,  I,  p.  144).  Il  Bouvier  dice  che  era  Bijou,  che  servì 
all'eroe  per  quasi  tutta  quella  campagna. 

(5)  A  queste  formalità  Buonaparte  avrebbe  assistito  "  alteramente 

•  modesto  „  (Becattini,  Storia  del  memorabile  trientiale  governo,  lett.  I). 

(6)  Anche  il  verbale  della  seduta  decurionale  del  15  dice  che  la 
risposta   ai   discorsi   della   deputazione   fu    *  sostanzialmente   simile   a 

•  quella  del  sig.'  generale  Massena  „.  Il  Tivaroni,  L'  Italia  durante  il 
dominio  francese,  I,  p.  97,  pone  in  bocca  a  Napoleone  un  discorso  che, 
secondo  altri  tenne  durante  il  pranzo  nel  palazzo  arciducale,  ed  in  cui 
fra  l'altro  avrebbe  detto:  "  Voi  sarete  liberi  —  Voi  non  sarete  ny  fran- 
■  cesi  ny  tedeschi  „.  Il  Lossau.  Charakteristik  der  Kriege  Napoleon's,  nota 
che  apparve  tosto  come  tutte  quelle  dichiarazioni  non  si  dovessero 
prender  sul  serio;  né,  coi  fatti  alla  mano,  gli  si  saprebbe  dar  torto. 

(7)  1 1  CusANi,  Storia  di  Milano,  IV,  p.  346,  il  Bertolini,  Conferenze 
di  storia  milanese,  p.  529,  ed  il  Bouvier,   Bonaparte  en  Italie,  p.  581,  e, 

Areh.  Sior.  Lomb,,  Anno  XXTX,  FtiC.  XXXVT.  21 


324  l'  invasione   FRANCESK    in   MILANO  (1796) 

protetto,  semprecchè  non  si  fusse  ingerito  negli  affari  politici,  nel 
qual  caso  quegli  individui,  che  vi  avessero  preso  parte,  sarebbero 
stati  severamente  puniti.  Finito  così  il  discorso  ci  congedò  (i)  e 
rivoltosi  proseguì  il  suo  cammino,  e  noi  in  mezzo  alla  foUa  del 
popolo  (2),  ed  alle  truppe  (3)  montammo  nelle  nostre  carezze, 
e  fecimo  ritorno  al  Broletto  (4).  Ahi  quanto  mi  si  è  innaspato  il 
mal  d'occhi  (5)  e  per  l'ardore  del  sol  cocente  (6),  e  per  il  nembo 


quel  eh'  è  più,  il  Becattini,  op.  cit,  lett.  I,  che  sembra  averlo  visto  coi 
propri  occhi,  narrano  che  rarcivescovo  Visconti  era  presente  in  per- 
sona. 11  Peroni,  Epitome  storico^  mentre  conferma  anche  il  monito  al 
clero  da  parte  del  generale,  dice  non  esser  toccato  di  sentirlo  che  ai 
delegati  dell'arcivescovo  (con  a  capo  Mgr.  Rosales,  arciprete  della  m^ 
tropolitana),  che  mons.  Visconti  era  indisposto.  Lo  Scandella,  Vita  di 
Gabrio  Maria  Nova,  vescovo  di  Brescia,  ci  fa  sapere  che  due  furono  questi 
delegati  arcivescovili,  l'uno  Mgr.  Rosales  sopra  citato,  l'altro  D.  Gabrio 
Nava,  prevosto  della  basilica  di  S.  Ambrogio,  fratello  del  vicario. 
V.  nota  a,  p.  97  del  fascicolo  precedente  di  questo  periodico. 

(i)  Si  che  i  deputati  del  Consiglio  generale  non  poterono  •  ras- 
"  segnargli  la  supplica  già  disposta  „  (Appuntamenti  del  Consiglio  ge- 
nerale). 

(2)  V.  intorno  all'eleganza  ed  al  fasto  di  quel  percorso  trionfale 
il  Botta,  Storia  d* Italia  dal  lyS^  al  1814,  to.  I,  lib.  VI,  il  Bouvier,  op. 
cit,  e  la  Storia  di  Napoleone  scritta  da  un  italiano,  che  assicura  esser 
stato  riconosciuto  dai  francesi  che  "  lo  sfoggio  fatto  dai  milanesi ,,  oscurò 
quello  del  ritorno  trionfale  del  generalissimo  in  Francia  (voi.  I,  cap.  TV)* 

(3)  L'aver  assistito  allora  le  guardie  urbane  con  coccarde  alla 
cerimonia  è  provato  dai  conti  dell'  aiutante  di   campo   delle   medesime 

*  al  quartiere  di  S.  Barbara  in  P.t«  Nuova  »  (Archivio  civico,  Milizia 
urbana,  Prow,  gener,.  Materie  661). 

(4)  Secondo  il  Becattini,  loc.  cit,  la  deputazione  si  era  già  riti- 
rata quando  Buon^parte  entrò  solennemente  in  città,  passando,  oltre 
che  sotto  la  porta  Romana,  sous  un  are  de  triomphe  de  feuiUage  et  de 
fUurs  elevi  un  peu  plus  loin  (Bouvier,  op.  cit).  Per  la  porta  fissa  i  sol* 
dati  dovettero,  essendo  essa  stretta,  entrer  deux  par  deux  (Bouvier). 

(5)  A  tal  punto  che,  in  quel  pomeriggio,  il  Consiglio  generale 
provvide,  per  il  caso  d'impedimento  del  vicario  indisposto,  a  che  lo 
sostituissero  il  conte  Cavenago  e  tre  conservatori  degli  ordini.  Per  la 
Congregazione  dello  stato  il  Cavenago  fu  abilitato  ad   agire  e  firmare 

*  solidalmente  ccn  quelli  dei  SS.'*  Assessori  dello   stato   che  si  tre  ve- 

*  ranno  nel  Palazzo  ,  {Appuntamenti  del  Consiglio  generale). 

(6)  Era  una  giornata  in  cui  il  sole,  cinto  di  nubi,  incombeva  fosco 
(Becattini,  Bouvier). 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI   DON   FRANCESCO   NAVA  325 

di  polvere,  che  saliva  in  alto.  Al  vedermi  si  avrebbe  detto,  ch'io 
avessi  pianto  assai  (i),  e  questo  stesso  mi  afliggeva  in  quel  mo- 
mento, in  cui  era  d'uopo  mostrare  tutta  la  costanza,  quantunque 
fusse  assai  combattuta.  Dopo  aver  date  varie  disposizioni  in  Bro- 
letto potei  anche  quel  giorno  godermi  l'ora  del  pranzo  in  seno 
della  mia  famiglia,  dove  trovavo  sempre  il  più  caro  conforto  alle 
mie  gravissime  cure.  Passata  quest'ora,  fummi  d'uopo  di  riprendere 
il  travaglio  nel  luogo  della  mia  residenza  (2),  daddove  passai  ad 
un'  ora  discreta  con  altri  quattro  compagni  (3)  a  C-orte  per  com- 
plimentare di  nuovo  il  generale  in  capo,  eh*  ivi  avea  preso  1*  al- 
loggio (4),  e    per   presentargli   eziandio    diverse   suppliche   già   a 

(i)  Il  Becattini,  op.  cit,  lett  I,  nota  che  i  deputati  erano  mesti 
in  volto  **  quasi  presaghi  del  lor  destino  „. 

(2)  Vedemmo  che  gli  uflSci  civici,  in  base  a  proposta  presa  in 
esame  il  14,  accolta  quel  medesimo  giorno  15,  sembrava  dovessero  es- 
ser traslocati  la  mattina  seguente  in  casa  Serbelloni. 

(3)  Il  vicario,  ritornato  da  porta  Romana,  avea  fatto  accettare 
dal  Consiglio  generale  la  sua  proposta  di  spedire  deputati  del  Consiglio 
e  della  Congregazione  dello  stato  a  Buonaparte  (il  verbale  della  Carne- 
retta  reca  :  **  Buona  parte  „  staccato)  per  "  trattare  degli  affari  presenti  „ 
e  rassegnargli  la  supplica  che  dovevan  porgergli  al  suo  ingresso , 
nonché  una  memoria  chiedente  il  riaprimento  "  con  sigurtà  „  dei  ma- 
gazzini del  sale  e  del  tabacco.  I  delegati  scelti  per  accompagnare  il 
vicario  furono,  per  il  Consiglio,  i  due  conservatori  degli  ordini  C.ti  Melzi 
e  Castiglione,  per  la  Congregazione  dello  stato,  il  conte  Cavenago  e 
Don  Felice  Astori. 

(4)  11  JoMiNi,  Histoire  criiique  et  militaire,  to.  I,  lib.  X,  e.  LVII, 
ed  il  BouviER,  op.  cit.,  asseriscono  che  Buonaparte  scese  all'arcivesco- 
vado. Il  CusANi,  op.  cit.,  IV,  p.  547,  il  MELzr,  op.  cit.,  I,  p.  144,  THUGO, 
Histoire  de  fEmpereur  Napoleone  p.  44,  il  Muoni,  Melzo  e  Gorgonzola^ 
p.  163,  pongono  invece  il  primo  suo  alloggio  nel  palazzo  Serbelloni. 
Ma  le  fonti  più  vicine  agli  avvenimenti  :  Peroni,  Epitome  storico;  1  fran- 
cesi in  Lombardia;  la  Storia  dell'anno  lypó;  il  Becattini,  op.  cit.,  lett.  I 

i  Mémoires  de  Massena,  II,  p.  67,  concordano  colle  nostre  memorie  nel 
narrare  che  alloggiò  nel  palazzo  arciducale.  Il  Bouvier,  che  ammette 
che  questa  sede  era  stata  apparecchiata  dalla  municipalità  e  che  li  ebber 
luogo  i  ricevimenti  delle  autorità,  narra  col  Melzi  che  il  primo  a  pre- 
sentarsi fu  il  marchese  Trivulzio  e  che  il  generalissimo  lo  fece  atten 
dere,  avendo  prima  dormito  e  preso  un  bagno.  Già  vedemmo  del  pranzo* 
imbanditogli,  con  accompagnamento  musicale  di  cui  sonvi  i  conti  al- 
l'Archivio civico.  Dicasteri  Governo  2),  Non  consta  però  che,  come  narra 
il  Gaffarel,   Bonaparte  et  les  républiques  italienneSf  p.  6,   Buonaparte 


326  L'  invasione   francese   in   MILANO  (I796) 

questo  fine  disposte.  Nell'ingresso  alla  Corte  viddi  due  cannoni, 
che  stavano  sempre  colla  miccia  accesa,  ed  un  albero  in  mezzo  col 
beretto  rosso  (i).  Dappertutto  vi  erano  soldati,  e  cavalli  (2),  e 
vi  avea  una  quantità  di  popolo  (3).  Le  scale,  le  anticamere,  la 
galleria  (4),  e  le  sale  erano  sternite  di  paglia,  su  cui  giacevano 
varj  soldati.  Entrai  nella  sala  dov'era  il  generale,  quella  cioè,  che 
sta  vicino  alla  terrazza,  ed  ivi  alla  finestra  (5)  mi  trattenni  eoo 
lui  per  una  buon'  ora.  L'aria  viva  ed  umida  era  poco  acconcia  pel 
mio  mal  d'occlii,  ma  la  premura  di  sentire  le  massime  del  gene- 
rale, e  di  scoprire  le  sue  intenzioni  rapporto  a  noi  (6)  mi  teneva 


avesse  fatto  gli  onori  di  quel  banchetto  ai  principaux  tnilamaia.^  avtc 
une  aisanct  incroyablt.  Il  conte  V.  Bigli  aveva  fornito  per  il  pranzo 
ventiquattro  posate  d'argento,  che  furono  agguantate  dagli  agenti  mi- 
litari per  loro  servizio  (Archìvio  civico,  Ìbidem). 

Da  questa  soggiorno  nel  palazzo  di  Milano  il  Norvin^  Hisloirt  dt 
Napoléon,  to.  I,  e,  HI,  fa  datare  il  principio  dell'attitudine  imperatoria 
di  Napoleone. 

(i)  Il  Greppi,  La  rivoluzione  francese.  II,  p.  345,  dice  che  vi  era 
un  albero  in  piazza  del  Duomo  già  dal  la,  mentre  il  Minola,  Diario 
storieo-polilico,  il  Peroni,  Epilome  storico,  il  Foscarjni  dicono  che  non 
fu  eretto  che  il  14.  Fu  posto  "  di  contro  al  caffè  del  Veronese  ,.  La 
Gaeaella  di  Miìano,  il  Tertnotnelro  politico,  Principi  dttla  rtvolujiione  lom- 
barda e  le  Notizie  politiche  parlano  dell'erezione  d'un  albero  *  a  vista 
'  del  palazzo  ,  nel  giorno  dell'ingresso  di  Buonaparte. 

(3)  "  Accamparono  in  piazza  del  Duomo,  attorniati  da  curiosi , 
{De  Castro,  op.  cit ,  p.  78). 

fs)  La  Gaxaetla  di  Milano,  dice  che  tutti  poterono  entrare  nella 
gran  sala  del  convito;  it  Bouvier,  op.  cit,  p.  584,  narra  che  pendant k 
dtntr,  la  /aule  unie  aux  soldais  faisait  bombance  sur  la  place  du  Dòme. 
E,  con  vera  esagerazione,  parla  di  fusione  delle  classi  e  dei  partiti  nel- 
l'entusiasmo I 

(4)  tìell' Iitventaire  general  des  meubles  et  effeis  qui  exisieni  dans 
le  Palaia  auirefois  archìducal  Jaìt  par  ordrts  des  agents  mililaires  en  con- 
séquence  de  l'arrele  du  Commissaire  du  Direcloìre  Execuiif  il  a8  pratile 
seguente  (ora  di  proprietà  del  Dr.  L.  Ratti,  cui  dobbiamo  sinceri  rin* 
graziamenti  per  averci  permesso  di  consultarlo),  troviamo  segnate: 
Gallerie  gamie  d'une  rampe  en  fer  e,  più  avanti,  un'altra  GaUtrie. 

(5)  Giù  nella  piazza  intanto  venivano  suonati  inni  rìvoluzionarii 
dalle  bande  militari  (Gazzetta  di  Milano). 

(6)  Non  era  invero  punto  escluso  che  il  Direttorio  e  Buonaparte 
pensassero  a  retrocedere  eventualmente  la  Lombardia  all'  Austria  in 
vista  d'altri  compensi  (Mimoires  tirés  des  papiers   d'un  homme  d'élat. 


ti^K 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI   DON    FRANCESCO    NAVA  327 

attento  a'  suoi  discorsi,  cosicché  non  badavo  al  dolor,  che  mi  ca- 
gionava la  flussione.  Sarebbe  qui  troppo  lungo  il  riferire  anche  in 
compendio  ciò,  che  si  parlò,  e  basterà  solo  il  dire,  che  quanto 
contento  fui  delle  espressioni  pulite,  e  graziose  meco  usate  dal 
generale  (i),  altrettanto  rimasi  dubbioso  sul  senso,  che  dar  pote- 
vasi  alle  massime  da  luì  spiegate  nel  suo  fìlosofìco  discorso  (2). 
Congedatomi  da  lui  mi  portai  cogli  altri  compagni  dal  commissario 
Salicetti  (3),  che  raggiunse  il  generale  al  dazio  di  P.  R.  ed  entrò 
con  lui  in  città  (4)  e  lasciatolo  in  Corte  recossi  a  casa  Greppi  (5), 


te  III;  Botta,  op.  cit,  I,  6).  Per  il  momento  facevan  correr  voce  per 
Milano  che   sarebbe  libero   agli  abitanti  ^  di  porsi  sotto  la  protezione 

*  di  una  delle  vicine  potenze,  tra  le  quali  il  Sermo   Dominio  Veneto, 

*  ma  eccepita  sempre  la  casa  d'Austria,  o  se  vogliano  da  sé  soli  so- 
'  stenersi  con  quel  sistema  di  governo  repubblicano  che  più  loro  pia- 

*  cesse  „  (FoscARiNi  al  doge,  16  maggio). 

(i)  Secondo  il  Greppi,  op.  [cit.,  II,  p.  347,  Buonaparte  nei  suoi  di- 
scorsi manifestò  il  giovanile  entusiasmo  per  trovarsi  a  Milano  cosi  bene 
accolto. 

(2)  11  BouviER,  op.  cit.,  p.  584,  narra  che  Buonaparte  avrebbe  al- 
lora promesso  un  libero  e  prospero  avvenire  ai  milanesi,  dando  loro 
anche  consigli  di  moderazione  verso  i  nobili,   non   però   verso  i  preti. 

V.  in  LossAU,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  38,  ed  in  Jomini,  Vie  poliiique  et 
militaire  de  Napolion,  le  opinioni  attribuite  al  generale  in  quei  giorni, 
da  codesti  due  storici,  non  senza  verosimiglianza. 

(3)  Il  còrso  Saliceti,  nato  presso  Bastia  nel  1757,  di  famiglia  ori- 
ginaria della  penisola,  avvocato  a  Corte,  membro  di  assemblee  rivo- 
luzionarie in  Francia,  ove  si  segnalò  qual  terrorista,  morto  improvvi- 
samente nel  1809  a  Napoli,  ove  aveva  diretto  la  polizia  sotto  il  re  Giu- 
seppe e  di  nuovo,  dopo  un  periodo  di  sfavore,  sotto  Murat,  era  uomo 
cupido  (è  sbalorditivo  che  il  Bouvy,  Le  comte  Pietro  Verri,  p.  252,  lo 
dica  cité  comme  un  modèle  de  probité)  ed  animato  da  un  odio  feroce 
contro  il  regime  che  crollava  appunto  allora  in  Italia. 

(4)  Invece  il  Foscarini,  espresso  16  maggio,  dice  che  Saliceti  ar- 
rivò "  il  15  „  verso  la  sera.  Le  Notizie  politiche  del  18  dicono  il  "  lunedi  16  , 
(con  "  comun  giubilo  „  si  crede  in  dovere  di  aggiungere  il  gazzettiere!), 
l  deputati  da  Melegnano  avevano  scritto   V  11    che   credevano  Saliceti 

*  disposto  a  venir  domani  o  dopo  innanzi  „.  Secondo  il  Michaud,  Vie 
abrégée  de  Napolion,  fu  a  partire  dall'ingresso  in  Milano  che  Buona- 
parte prese  a  rendersi  vieppiù  indipendente  dal  commissario  postogli 
al  fianco. 

(5)  Ignoriamo  in  base  a  che  il  Becattini,  op.  cit.,  lett.  II,  asse- 
risca che  dimorava  nel  palazzo  arciducale. 


328  l'invasione  francese   in    MILANO  {J796) 

dove  s'era  trascelto  il  suo  alloggio.  Ero  stato  espressamente  do- 
mandato dal  commissario,  il  quale  volle  essere  informato  del  si- 
stema delle  Amministrazioni  camerali,  e  civiche,  ed  avere  la  noti 
delle  varie  Casse,  e  dei  cassieri.  Egli  ci  fece  senza  mistero  com- 
prendere, che  noi  doveamo  portare  il  peso  della  guerra,  e  non 
mancò  di  farci  travedere  l'intenzione  di  esigere  da  tutti  e  specia^ 
mente  dai  regolari,  dagli  ecclesiastici  e  dalle  monache  grandi  sus- 
sidi (1).  Noi  ci  dichiarammo  disposti  a  fare  tutto  quel  chele 
forze  già  esaurite  dalle  passate  contribuzioni  di  guerra  (2)  ci  avrebber 
permesso,  ed  aggiunsimo  qualche  cenno  per  far  conoscere  l'impt»- 
sibilità  di  poter  esigere  molto  dai  Corpi  regolari  e  dalle  monache, 
perchè  avean  recentemente  sofferto  un  conquasso  pel  forzato  im- 
prestito fatto  all'  iraperadore  di  900  m.  fiorini  (3).  Al  che  egli 
rispose,  che  tanto  più  essi  dovean  contribuire  all'armata  francese, 
e  che  nel  caso  di  mancanza  sarebbero  stati  inviati  in  Francia.  Con 
queste,  ed  altrettali  pillole  oppìlatìve  passammo  tutti  nuovamente 
al  Broletto,  e  di  là  verso  la  mezzanotte  io  me  n'andai  a  casa  per 
prendere  riposo  (4)  e  per  usare  la   notte   an   rimedio   addittatomi 

(i)  Il  Pertusati  commentava  questa    "  Persecuzion  di  Pria  ,  la 
un  poemetto  incluso  con  tal  titolo  nel  suo  Mentghin  solfai  /rant*s: 


Tr 

<.  i  .llogg  mi!il.r 
Legionari  r»clul 
No  gb'i  più  me 
Cb-hin  >vuu  e! 

=  1 

i  «pedi 
preaoDée 

la, 

eoi  de  Frla 
,foe«ra4if 

Po' 

«ri  B«nt  1  M«  " 

,«■1 

lan  fai  . 

iemàt 

De  tr....i  come 

=gh«V 

Lor  da b ben,  lor 

qu 

E  han  pur  anch 

•«■ 

andolki 

di  bei  danéc. 

(2)  Già  il  5  maggio  il  vicario  scriveva  all'arciduca  di  *  non  avere 
'  decisamente  fondi  da  anticipare  per  altre  provviste  essendo  tanto  U 
"  cassa  dello  stato  quanto  le  provinciali  esauste  di  numerario  ,  (A^ 
chjvio  Nava  in  Cernusco  Lombardone). 

(3)  È  strano  come  il  Botta,  op.  cit.,  I,  6,  dica  che  i  'corpi  ecd^ 
siastici  eran  "  da  sì  lungo  tempo  immuni  „.  Quell'inverno  medesin'O 
erano  stati  obbligati  a  comprare  tanti  biglietti  del  prestito  a  foriM  di 
lotteria  per  il  valore  di  '/4  della  loro  rendita  annua. 

(4)  Fu  appunto  coricandosi  quella  sera  che  Buonaparte  espose  a 
Marmont  i  suoi  audaci,  fieri  propositi,  di  cui  t  riportata  l'esseiwa  nei 
Mémoirts  du  duc  de  raguse,  to.  I,  p.  179,  cui  ci  richiamiamo  nella  no- 
stra prefazione,  v.  fase,  precedente.  Cfr.  nota  4,  p.  335. 


DA   MEMORIE    INEDITE    DI    DON   FRANCESCO   NAVA  329 

per  il  male  degli  occhi  consistente  neir  applicazione  alla  parte  in- 
fiammata di  pomi  cotti,  che  unito  all'uso  dei  bagni  di  acqua  fresca, 
di  cui  mi  sono  servito  frequentemente  alla  giornata,  mi  produsse 
un  eccellente  effetto.  Cessommi  tosto  il  dolore,  e  dentro  due  giorni 
finì  affatto  la  flussione,  e  mi  trovai  nello  stato  naturale,  e  ben  ne 
aveo  bisogno. 

Perciocché  incominciando  dal  lunedi  sino  al  sabbato,  in  cui  mi 
fu  tolto  l'esercizio  della  carica,  non  posso  esprimere  quanto  mi  sia 
toccato  di  lavorare,  e  quanto    meco  tutti  abbisui   lavorato  e  decu- 
rioni   e    municipalisti,  ed   assessori   dello   Stato,  ed    altri  cittadini 
aggiunti  alle  varie  delegazioni.    Basta  il  dire,   che  invariabilmente 
dovetti   passare   alla   residenza  quattordici   e  più  ore   continue  al 
giorno  (i),  e  privarmi   ben   anche   del   sollievo  di   pranzare   colla 
mia  famiglia.   Le  ore   della  notte   anch'esse  non    erano  placide,  e 
perchè  il  sonno  mi  veniva  spesse  volte  turbato  da  chi  presentavasi 
a  ricercar  provvidenze   istantanee,  e   perchè  una  folla  di  pensieri 
tristi  e  melanconici  mi  ingombrava  continuamente,  e  mi  agitava  lo 
spirito.  Debbo  nonpertanto  ringraziare  in  modo  particolare  la  Prov- 
vidtfnza   Divina   d'avermi   mantenuta   costantemente  la   sanità  per 
tutto   quel    tempo,  in   cui  parevami,   che  la   mia  comunque   tenue 
abilità  portasse  qualche  giovamento  al  pubblico  bene,  ed  influisse 
in  qualche  maniera  a   mantenere  l'ordine,  e   la   tranquillità  (2).  'E 
si  che  a  questo  scopo  doveano  essere  specialmente  rivolte  le  mie 
sollecitudini  e  per  soddisfare  la  geniale  mia  inclinazione  ed  amo- 
revolezza, che  sentivo  sempre  più  crescermi  in  seno   per  il  buon 
popolo  milanese,   e  per  non    mancare  all'impegno,  che    per  tal  ri- 
guardo ne  aveo  espressamente  assunto  col  general  Bonaparte.  Nel 
corso   de'  sopramenzionati   giorni  è  indicibile   l'affollamento   degli 


(i)  Almeno  i  membri  del  Consiglio  generale  e  della  Congrega- 
zione dello  stato  si  erano  organizzati  un  turno,  sì  che  sempre  fosse 
•  sedente  un  dato  numero  „  (Appuntamenti  del  Consiglio  generale). 

(2)  Malgrado  l'asserzione  del  Termometro  politico.  Disposizione 
del  popolo  milanese  a  rigenerarsi  calcolata,  si  sarebbero  per  altro  dovuti 
lamentare  atti  dì  violenza  e  lascivia  per  parte  delle  soldatesche  francesi. 
(Becattini,  op.  cit,  lett.  1).  V.  nelle  fonti:  Botta,  op.  cit,  I,  6;  Manto- 
VMajJ)iario  politico-ecclesiastico,  I;  Verri,  Lettere  e  scritti  inediti,  IV, 
p.  220,  alcune  testimonianze  dell'affiatarsi,  col  favore  di  quella  relativa 
pubblica  tranquillità,  del  popolo  milanese  coll'esercito  invasore. 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI    DON   FRANCESCO   NAVA  33I 

calzoni,  di  gillet  (i),  di  cappelli  (2),  di  scarpe  (3),  di  sacchi  e 
sacchetti  ;  fra  le  molte  poi  di  vario  genere,  che  non  è  pos- 
sibile di  qui  tutte  riferire,  meritan  d*  essere  ricordate  special- 
mente quella  di  un  milion  di  pietre  focaje  (4),  l'altra  di  200  bovi 
da  darsi  dentro  poche  ore,  quella  de*  fucili  della  Civica  Armeria, 
eccettuatine  600  da  riservarsi  per  servizio  della  milizia  urbana  da 
consegnarsi,  e  farsi  tradurre  fuor  di  Milano  ed  in  qualche  distanza, 
sul  momento  (5),  l'altra  di  fornire  entro  tre  ore  settecento  uomini 
da  destinarsi  ai  lavori  per  l'assedio,  che  fortunatamente  non  ebbe 
sotto  quella  data  il  suo  effetto  (6),  e  da  ultimo  per  tacer  di  molte 

(i)  V.  in  Raccolta  degli  ordini  $d  avvisi,  p.  11,  l'invito   ai  sarti  da 
uomo  **  per  fare  le  loro  oblazioni  all'appalto  dei  gilet  e  calzoni  „. 
(a)  Deux  mille  chapeaux  (Requisizione  di    Lambert   il  29  floreale). 

(3)  Cinq  mille  paires  de  souliers  (loc.  cit).  Augereau  scriveva  il  19 
a  Buonaparte  d'aver  ricevuto  1500  paia  di  scarpe;  Massena  e  Serurier 
ricevettero  mille  paia  ciascuno  per  le  loro  divisiom*;  Favant-garde^  qui 
avait  use  davaniage  en  raison  des  marches  forcéeSf  en  per^ut  2000  paires 
(BouviER,  op.  cit.,  p.  629,  nota  i).  Però  il  25  maggio  Kilmaine  si  la- 
gnava con  Berthier  che,  grazie  alle  scarpe  nuove,  l'infanterie  a  les  pieds 
en  compote. 

(4)  Cfr.  Pertusati,  Rappresentanza  de  Meneghin,  "  prei  de  sciopp  ^. 

(5)  L'ordine  di  Despinoy,  comunicato  al  Consiglio  generale  nella 
seduta  del  16  alla  sera  era  per  "  3  milla  fucili  colle  loro  bajonette  „. 
Pare  non  ve  ne  fosser  tanti  nell'  armeria  e  si  deliberò  di  consegnar 
quei  che  v'erano,  ritirando  l'indomani  il  rimanente  **  dall'attuale  ser- 
vizio della  milizia  urbana  „.  Venne  poi  nel  Consiglio  il  detto  generale 

■  e  pertossi  col  sig.'  vicario  a  riconoscere  l'armeria,  e  partì  coU'intel- 

•  ligenza  di  tenere  pronti  li  fucili  sopra  carri  per  spedirli  questa  notte 

•  ove  sarà  additato  fuori  della  città  „.  Duemila  furono  distribuiti  alla 
divisione  Serurier;  il  rimanente  fu  verse  au  pare  d'artillerie  de  Lodi 
pour  parer  aux  besoins  successifs  des  demi-brigades  (Bouvier,  op.  cit., 
p,  629).  V.  Correspondance  de  Napoléon  Jer^  to.  I,  n.  428  e  429.  Il  Bouvier, 
come  le  canzoni  milanesi  riportate  dal  De  Castro,  op.  cit,  p.  80,  inter- 
preta questa  requisizione  come  prova  di  sfiducia  verso  i  milanesi.  Ve- 
ramente essa  si  spiega  anche  senza  di  ciò,  date  le  esigenze  dell'esercito. 

(6)  Secondo  la  Gazzetta  di  Milano,  confermata  dal  Peroni,  Epi- 
tome storico,  nella  notte  dal  16  al  17  si  calcolava  di  dar  principio    *  al 

•  lavoro  delle  trincee  „  e  "  a  tal  fine  si  erano  fatti  venire  in  città  750 

•  paesani  dei  Corpi  Santi....  ma  poi  questi   furono   rimandati,  ed  il  la- 

•  voro  trovossi  differito  „.  Veramente  nella  Raccolta  degli  ordini  ed 
avvisi,  v*è  a   p.  io  l'ordine    *  agli  anziani  di  unire  subito  sulla  piazza 

■  di  S.  Damiano  alla  Scala  gli  uomini  delle  rispettive   parrocchie  abili 

•  a  portar  terra  „  ed  ha  la  data  del  17. 


332  L*  INVASIONE   FRANCESE   IN    MILANO  (1796) 

altre  quella  di  far  illuminare  la  città  ed  il  teatro  per  ben  due 
volte  (i),  e  di  disporre  una  festa  nel  salone  di  Corte,  che  non 
fu  fatta  (2),  ed  un'  altra  nella  casa  altre  volte  del  ministro  ple- 
nipotenziario (3),  che  fu  eseguita  nella  sera  del  venerdì  giorno 
20  di  maggio.  Converrà  qui  di  avvertire ,  che  alarne  delle 
accennate  requisizioni,  e  segnatamente  quelle  de'  fucili,  e  degli 
uomini  furono  personalmente  sollecitate  dallo  stesso  general  De- 
spinoy ,    comandante    della    piazza    (4)3    il    quale    bene    spes- 


(i)  V.  Raccolta  degli  ordini  ed  avvisi,  pp.  8  e  18.  Secondo  il  Pe- 
roni, che  qui  probabilmente  si  confuse,  vi  fu  già  un'  illuminazione  il  14 
"  comandata  dal  Consiglio  generale  „;  ma  del  comando  non  hawi  trac- 
cia. D'ordine  del  generale  Despinoy  (se  ne  conserva  1*  autografo  nel* 
l'Archivio  Civico,  Dicasteri  Governo  2j),  fu  fatta  1*  illuminazione  del  19, 
celebrandosi  in  tutta  la  repubblica  la  festa  delle  vittorie  in  onore  del- 
l'esercito d'Italia.  Può  essere  una  svista  il  fissare  al  27  fiorile  (—  16 
maggio)  *  l'accademia  nel  teatro  della  Scala  „  di  cui  parla  un  mandato 
della  cassa  civica  provinciale  (Archivio  civico,  Dicasteri  Governo  2j).  11 
16  il  teatro  non  consta  fosse  illuminato.  Per  altro  le  Notizie  politichi 
fissano  pure  l'accademia  al  16   *  essendo    tutto    il   teatro  illuminato  a 

*  giorno  „  e  potrebbe  anche  essere  benissimo  che  V  illuminazione  della 
Scala  fosse  avvenuta  il  16  senz'essere  stato  pubblicato  apposito  avviso 
del  Consiglio  generale,  né  è  da  escludersi  l' ipotesi  che  l'accademia  cui 
si  accenna  non  sia  da  connettersi  necessariamente  ad  un'  illuminazione 
speciale.  V.  nella  Gazzetta  di  Milano  e  nel  libro  del  Bouvier  la  descri- 
zione della  prima  di  queste  serate  alla  Scala  e  nella  nota  (2)  a  p.  6  del 
Gaffarel,  op.  cit.,  i  dettagli  sul  rifiuto  dei  cantore  Marchesi  ad  inneg- 
giare ai  francesi. , 

(a)  Nondimeno  i  Me'moires  de  Massena,!],  p.  67;  il  Lee,  Campaigns 
of  Napoleon,  p.  87;  il  Boitvier,  op.  cit,  la  descrivono. 

(3)  Il  barone  Giuseppe  de  Wilczcck,  conte  del  S.  R.  1.,  soprin- 
tendente generale  e  giudice  supremo  delle  R.  R.  I.  I.  Poste,  commis- 
sario imperiale  e  ministro  plenipotenziario  per  i  feudi  in  Italia,  e  mi- 
nistro plenipotenziario  nella  Lombardia  austriaca,  abitava  in  corso  P.  0. 
668,  in  una  casa  che  comunicava  internamente  col  palazzo  del  duca 
Serbelloni,  cui  riteniamo  appartenesse  (relazione  dei  delegati  a  studiare 
la  possibilità  di  trasportare  in  casa  Serbelloni  gli  uflfici  civici,  nell'Ar- 
chivio civico).  11  MiNOLA,  Diario,  parla  d'  *  invito   misto   di   dame  e  di 

•  signore  „  per  questa  festa,  di  cui  pagò  le  spese  la  cassa  civica  pro- 
vinciale (Archivio  Civico,  Dicasteri  Governo  2j). 

(4)  Despinoy  (1764-1848)  era  un  ufficiale  dell'antico  regime  rimasto 
nell'esercito  e  salito  rapidamente  di  grado  durante  la  rivoluzione,  poco 
in  favore  durante  V  impero,  del  che  si  sarebbe  vendicato  sotto  la  Re- 


DA   MEMORIE   INEDITE    DI   DON    FRANCESCO   NAVA  333 

SO  (i)  solca  farci  l'onore  delle  sue  visite  in  Broletto  ad  intimarci  con 
tono  maestoso  e  severo  Tesecuzione  degli  ordini  sotto  la  nostra  re- 
sponsabilità. E  qui  mi  cade  in  acconcio  di  riferire,  che  la  mattina  del 
giorno  20  entrò  nella  sala  del  Consiglio  con  un'  aria  minacciosa,  e 
cercato  conto  di  me  investimmi  (2)  dicendo,  che  maravigl lavasi  d'aver 
visto  stampato  l'editto  proibitivo  l'estrazione  dei  grani  dallo  Stato  da 
me  soscritto  (3),  senza  che  fusse  da  lui  preventivamente  approvato. 
Per  buona  sorte  s'era  fatta  la  consulta  al  general  Bonaparte,  ed 
egli  aveala  tornata  col  decreto  d'approvazione  (4),  in  vista  del 
quale  si  compiacque  di  cangiare  il  tuono  di  riprensione  in  quello 
di  affabilità  e  dolcezza,  e  fu  allora,  che  distribuì  un  foglietto  stam- 
pato contenente  l'invito  per  il  ballo  fissato  alla  sera.  In  appresso 
prendendo  un  esemplare  del  succennato  editto  in  mano  disse,  che 
non  doveasi  più  usare  lo  stemma  civico,  e  che  si  potevano  invece 
sostituire  i  motti  di  libertà,  ed  eguaglianza  (5).  Ma  siccome  su  di 


staurazione.  1  Mémoins  di  Marmont  dicono  che  Buonaparte  1*  aveva 
allora  distingue,  perchè,  soggiunge  il  Bouvier,  essendo  stato  a  Tolone, 
era  atto  a  dirìgere  l'assedio.  Marmont,  op.  cit.,  I.  p.  176,  aggiunge  che 
il  passai!  pour  instruU.  A  Milano  apparve  violento,  volubile,  non  cattivo. 
Abitava  in  casa  Sanazzari  (al  Marino  n.  1912),  ov*  erano  ricche  colle- 
zioni. {Guida  di  Milano  antico  e  moderno ^  p.  286). 

(i)  Per  es.  il  15  ed  il  16  maggio-  11  primo  giorno  disse  avere: 
•  il  tutto  a  partire  o  dipendere  dai  suoi  ordini  ^  {Appuntamenti  del 
Consiglio  generale). 

(2)  Forse  questa  violenza  ebbe  parte  nel  dar  origine  alla  fiaba 
che,  irrompendo  a  quel  modo  nella  sala,  un  bel  giorno  Despinoy  avesse 
abolito  il  Consiglio  generale,  il  che  fa  opera  di  Buonaparte,  come  ve- 
dremo. 

(3)  V.  Raccòlta  degli  ordini  ed  avvisi^  p.  11.  Il  28  maggio  la  Con- 
gregazione dello  Stato  confermò  la  proibizione.  (Minola,  Diario  sto- 
rico  politico).  In  grani  era  accusato  di  speculare  Tarciduca-governatore  : 
Dès  le  16  mai,on  vendali  parlout  une  caricature  qui  représentait  l'archiduc 
vice-roif  lequel  déboutonnait  sa  veste  galonnée  et  il  en  tombait  du  blé,  Les 
fran^ais  ne  comprenaient  rien  à  celle  figure;  (Stendhal,  Vie  de  Napo- 
léon,  VII).  11  provvedere  al  vettovagliamento  era  per  tradizione  uno  dei 
principali  incarichi  affidati  al  vicario. 

(4)  Buonaparte  avea  pochi  dì  prima  provocato  una  misura  ana- 
loga nel  Lodigiano  (Correspondance  de  Napoléon  I^,  I,  n.  401). 

(5)  Apparvero  in  testa  agli  avvisi  emanati  dalla  municipalità,  to- 
stochè  ne  fu  mutata  la  composizione  (v.  Raccolta  degli  ordini  ed  av- 
visi, p.  II). 


334  l'invasione  francese  in  Milano  (1796) 

ciò  non  era  fatto  alcun  decreto  positivo  pigliossi  l'espediente  di 
ommettere  tutto,  e  di  apporre  nel  mezzo  il  solo  titolo  d'avviso.  Per 
quanto  le  succennate  requisizioni  fussero  grandi  nella  loro  impor- 
tanza, moltiplici  nella  quantità,  e  diverse  nella  specie,  e  qualità  e  si 
riunissero  nel  tempo  stesso  altri  affari  gravissimi,  che  meritavan  tutta 
quanta  l'attenzione,  posso  con  sicurezza  affermare,  che  si  è  fatto 
umanamente  tutto  quel,  che  era  in  nostro  potere,  per  servire  alle 
urgenze  con  ogni  celerità,  e  non  senza  il  contemplato  effetto  (i), 
sebbene  i  proprietarj  delle  merci  sottoposte  alla  requisizione  dub- 
biosi d'ottenere  il  lor  pagamento  avessero  cominciato  a  muovere 
non  poche  difficoltà.  Colle  insinuazioni  amorevoli,  e  colle  minaccie 
si  ottenne  l'intento,  e  le  requisizioni  o  nei  termini,  e  nelle  misure 
prescritte,  o  con  qualche  dilazione  e  modificazione  furono  sempre 
soddisfatte,  dimodocchè  per  confessione  spontanea  degli  stessi 
ufficiali  dello  stato  maggiore,  e  de'  commissarj  l' armata  dovea 
essere  sommamente  contenta  dell'impegno,  e  del  zelo  con  cui  tutti 
e  ciascun  di  noi  ci  prestavamo  a  secondare,  e  soddisfare  le  sue 
domande.  E  non  era  poco  il  poterlo  fare  dopocchè  ci  furon  tolti 
i  mezzi  di  pagare  li  somministranti  (2)  col  sequestro  e  collo  spolio 
di  tutte  le  casse  (3),  che  venne  eseguito  d'ordine  del  commissario 


(i)  Infatti  dopo  la  grande  rivista  passée  par  les  cotntnissaires  dt 
guerre  fBouviER,  op.  cit.,  p.  629)  il  19  maggio  Saliceti  pouvait  écrire  am 
directoire  que  les  approvisionnements  étaient  au  compiei  et  que  rien  ne 
manquait  pour  poursuivre  les  victoires,  conclusione  che  il  Rùsrow,  op. 
cit,  p.  140,  impugna,  tacciandola  di  interessato  eufemismo. 

(2)  Attendendo  l'esazione,  che  non  poteva  farsi  dall'oggi  al  domani, 
di  un'imposta  straordinaria,  la  Municipalità  fu  infatti  costretta  a  chie- 
dere il  17  a  Saliceti  un  prestito  (!)  di  300.000  lire  per  poter  soddisfare 
i  *  più  premurosi  bisogni  dell'armata  «.  Risulta  che,  per  ordine  dd 
commissario,  il  vicario  ricevette  L.  203,700  il  18  maggio.  V'è  la  ricevuta 
a  firma  Nava  nell'Archivio  Civico  {Dicasteri  Governo  2j).  lì  Castiglioni, 
il  15,  quando  furono  suggellate  le  casse  civiche  dal  commissario  Leorà, 
l'aveva  invano  ammonito  a  non  scordare  queste  imprescindibili  neces- 
sità. £  r  impiegato  Narducci  l'aveva  prima  ancora  fatto  presente. 

(3)  Già  Massena  aveva  *  portato  via  per  proprio  uso  dalla  regia 
"  cassa  del  dipartimento  di  finanza  situato  nel  palazzo  Marino,  circa  un 
*  mezzo  milione  di  lire  „  v.  Bbcattini,  op.  cit,  lett  II.  Il  Verri  crede 
questa  "  occupazione  di  tutte  le  casse....  fatta  di  notte  f,  molto  impoli- 
tica. 11  francese  Gachot,  La  première  campagne  d'Italie^  p.  146,  riconosce 
che  Saliceti  prese,  colle  armi  alla  mano,  des  monceaux  d'or. 


DA   MEMORIE    INEDITE   DI    DON   FRANCESCO  NAVA  335 

Salìcettì  (i).  Né  le  sole  casse  soggette  airAmministrazione  civica 
furono  vuotate  in  un  momento  (2),  ma  varie  altre  ancora  come 
quella  dell'Istituto  Elemosiniere  e  delle  pie  fondazioni  (3),  dei 
Capitoli  del  Duomo  (4)  e  della  Scala  (5),  del  Monte  di  Pietà, 
cui  furono  ben  anche  sottratti  tutti  i  pegni  e  gli  effetti  preziosi  (6), 


(1)  11  grottesco  sta  in  ciò  che  il  Termometro  politico,  Principj  della 
rivoluzione  lombarda,  seguito  molto  stranamente  dal  Tivaroni,  L* Ita- 
lia durante  il  dominio  francese,  I,  attribuisce  questa  rapina  all'arciduca  e 
la  pone  al  7  maggio.  Da  un  diligente  esame  non  risultò  a  noi  di  aspor- 
tato dai  tedeschi  che  un  medagliere  tolto  dalla  R.  Biblioteca  di  Brera, 
una  carta  topografica,  e  fors' anche  instrumenti  dell'Osservatorio  ;  (Mi- 
mola,  Diario  4  Maggio).  Il  Becattini,  op.  cit,  lett.  Ili,  narra  che  un  cas- 
siere mandò  suo  figlio  a  portare  in  Germania  del  denaro  per  conto 
dell'arciduca,  ma  dal  contesto  appare  trattarsi  di  beni  personali  di  quel 
principe. 

(a)  Il  15  maggio  nella  mattina  il  conte  Melzi  fece  accompagnare 
dall'ufficiale  civico  dott.  Narducci  (di  cui  vi  è  il  rapporto  nell'Archivio 
Civico,  Dicasteri  Governo,  2j)  il  commissario  Leorà  nel  porre  i  suggelli 
alle  casse  poste  "  alla  Casa  della  Finanza  »  e  *  alla  Casa  del  Dazio 
Grande  in  Viarenna  ,.  Si  suggellarono  pure  i  libri  della  Dogana  Ro- 
mana *  per  non  esistere  ivi  la  cassa  „  il  che  fu  pure  fatto  alla  Do- 
gana di  S.  Marco.  11  Leorà  sospese  l'uscita  dei  generi  ai  magazzeni  del 
sale,  del  tabacco  e  del  salnitro.  Nel  pomeriggio,  verso  le  sei,  il  Leorà, 
venuto  in  Broletto,  suggellò  la  cassa  del  commissariato  e  quella  dello 
Stato.  Il  16  alle  9  di  sera  furon  apposti  i  suggelli  al  Banco  di  S.  Am- 
brogio, donde  tolsero  il  dì  seguente  alla  medesima  ora  L.  64.133.14. 
Tra  le  casse  civiche  e  Banco  di  S.  Ambrogio  si  rubarono  L.  1.144.311. 

(3)  Al  Luogo  Pio  della  Divinità  fecero  sborsare  i  francesi  L.  ia.ooo. 
Dalla  cassa  di  S.  Corona  furono  asportate  L.  126.326;  dal  Luogo  Pio 
delie  Quattro  Marie  L.  1493;  da  quello  della  Misericordia  L.  38.745;  da 
quello  detto  Centrale  L.  9810;  dall'altro  della  Carità  L.  24.297  ;  L.  18.000 
dal  Luogo  Pio  di  Loreto  (specifica  in  Archivio  Civico,  Dicasteri  Governo  2j). 
Nondimeno  (v.  Minola,  Diario)  i  Luoghi  Pii  continuarono  la  distribu- 
zione delle  limosine.  11  16  maggio  i  loro  deputati  avevano  però  ricorso 
al  Consiglio  generale,  non  sapendo  come  provvedervi. 

(4)  Furono  pure  prese  L.  1448  dalia  fabbrica  di  S.  Celso,  6000  da 
quella  del  Duomo,  260,000  lire  dalla  cassa  del  fondo  di  religione. 

(5)  Ove  tre  commissari  si  fecero  dare  dal  can.  Francesco  Rosales 
le  L.  1348  ch'erano  in  cassa,  sebbene  il  can.  osservasse  "  che  tale  somma 
■  era  destinata  per  i  subalterni  del  Capitolo  ^  (Rapporto  del  preposto 
Sforza  de)  Majno). 

(6)  Saliceti,  con  abuso  vivacemente  stigmatizzato  dagli  storici  (vedi 
Botta,  Storia  d'Itak'a  dal  17S9  al  181  4,  to.  I,  lib.  VI  ;  Papi,  Commentarii 


33^  l'  invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

e  di  varj  altri  stabilimenti  (i),  de'  quali  verrà  qualche  giorno  in 
acconcio  di  farne  la  serie,  e  di  analizzare  le  perdite.  Quel  ch'io 
posso  dire  delle  Casse  civiche  si  è,  che  sonosi  volute  spoliare  del 
danaro  senza  lasciare  una  ricevuta,  che  potesse  ad  ogni  caso  ser- 
vire di  giustificazione  ai  cassieri  non  meno,  che  agli  amministra- 
tori (2).  Non   ho  mancato    di  farne   le  istanze,   ma   senza  profitto, 


della  rivoluzione  francese,  to.  II,  lib.  V^,  dichiarò  preda  di  guerra  denaro 
e  pegni  del  Monte.  Il  20  maggio  mattina  il  cassiere  generale  dell'eser- 
cito KoUot  rapiva  dalla  cassa  del  Monte  L.  93.722;  poi  il  23  il  medesimo 
s'impadronì  di  1152  pegni,  su  cui  il  Monte  aveva  sovvenuto  L. 694.499. 
"  Nel  giorno  seguente. ..  poneva  la  mano  sopra  altre  L.  23^)25  ,;  (Calvi, 
Vicende  del  Monte  di  Piefà,  che  espone  come  le  limitazioni  poi  recate 
alla  rapina  non  fossero  gran  cosa  o,  come  la  restituzione  gratuita  dei 
piccoli  pegni,  costituissero  un  nuovo  disastro  per  il  Monte).  Il  Bouvkr, 
Bonaparte  tn  Italie,  implica  in  quella  rapina  anche  la  responsabilità  di 
Fesch,  che  fu  poi  cardinale. 

(i)  Secondo  il  Becattini,  op.  cit,  lett.  I,  si  derubò  fin  la  ■  cassa 
"  de'  depositi,  lasciata  sui  tribunali  da  litiganti  sino  alla  decisione  a  chi 
"  appartenessero  le  rispettive  controverse  somme  „, 

(2)  Secondo  il  Becattini,  Massena  non  si  contentò  di  rubare,  senza 
rilasciar  ricevuta,  quel  mezzo  milione  la  prima  sera,  al  quale  abbiamo 
già  accennato  (v.  nota  3,  p.  334);  ma  tentò  con  una  scenata  di  far  apparire 
che  gli  fosser  stati  consegnati  3000  zecchini  in  meno  di  quanto  era  indicato 
nella  nota;  poi  si  volea  indurre  il  cassiere  a  firmare  un  elenco  dei  valori 
consegnati  di  molto  al  disotto  del  vero  e  lo  si  privò  poi  dell'impiego,  per 
castigarlo  della  sua  onestà.  Alessandro  Verri,  nelle  Vicende  memora- 
bilif  lib.  XXXIX,  p.  200,  con  qualche  variante,  narra  la  medesima  cosa. 

Nelle  carte  dell'Archivio  Civico  milanese  che  trattano  di  questi  giorni 
il  trovar  traccie  di  ricevute,  come  là  ove  Lambert  le  promette  (requi- 
sizione del  29  floreale),  è  cosa  più  unica  che  rara.  Non  si  rilasciò  rice- 
vuta al  Banco  di  S.  Ambrogio.  Peggio  ancora  accadde  al  Capitolo 
della  Scala:  "  Il  can.  Rosales  chiese  loro  (ai   commissari)   per  ultimo, 

•  anche  per  propria  giustificazione,  una   quitanza   del    denaro,  che  si 

•  riportavano,  ed  essi  replicarono,  che  questo  doveva  anzi  farsi  a  loro 

•  dal  can.  medesimo  locchè  egli  esegui  „.  (Relazione  del  Majno). 

Il  conte  Pietro  Verri,  per  il  primo  (Lettere  e  scritti  inediti,  IV, 
p.  395),  ritiene  che  quei  figuri,  che  rubavan  fino  i  libri  dei  cassieri  per 
loro  sicurezza,  si  sien  tenuto  ogni  cosa  ed  opina  che  a  frenare  tali 
ladronecci  avrebbe  valso  l' inviare  tosto  a  Parigi  delegati  del  Consiglio 
generale.  Ma  al  Direttorio  uflScialmente  o  confidenzialmente  Buonaparte 
faceva  tenere  parte  ragguardevole  del  bottino.  V.  RGstow,  op.  cit, 
p.  140  ;  Mémoires  tirés  des  papiers  d'un  homme  d'itat^  III,  che  concorda 
col  BouviER  nel  ritenere  che  Buonaparte,  pur  non   amando  quei  furti. 


DA   MEMORIE    INEDITE   DI    DON   FRANCESCO   NAVA  337 

e  soltanto  ottenni  per  la  Cassa  dello  Stato  di  far  tenere  una  specie 
di  numerato  formato  dairufficiale  medes.*,  che  fu  incaricato  della 
esecuzione  de'  superiori  ordini,  lo  che  non  venne  accordato  per  le 
altre  Casse  (i). 

Mentre  noi  stavamo  affaticandoci  per  soddisfar  con  prontezza 
alle  inchieste  di  ogni  genere,  che  ci  venivano  fatte,  e  doveamo 
veder  con  dolore  i  gravissimi  danni,  che  lo  Stato  ed  i  suoi  abi- 
tanti andavano  a  soffrire  col  soddisfacimento  di  tante  e  tanto  co- 
stose requisizioni,  la  nostra  sorte  andava  ogni  di  più  deteriorando 
non  senza  precipizio,  e  noi  medesimi  fummo  costretti  di  avveder- 
cene, e  di  conoscerci  nel  tempo  istesso  inabilitati  a  porvi  riparo. 
Il  Qub  di  sopra  nominato  avea  pubblicamente  spiegato  il  suo  par- 
tito (2).  Esso  prese  a  forza  (3)  la  casa  del  principe  KevenhOller  (4) 
per  fissarvi  la  sua  residenza.  Ivi  teneva  le  sue  sessioni,  ed  accet- 
tava i  nuovi  individui,  che  correvano  in  folla  ad  ascriversi,  cosic- 
ché in  breve  il  catalogo  di  essi  era  divenuto  assai  numeroso  (5'.  Il 
frutto  delle  prime  sessioni  fu  la  pubblicazione   di  affìssi  stampati, 

se  ne  serviva  per  tenere  in  sua  balia  i  ladri.  Con  tutto  ciò,  è  proprio 
un  poco  troppo  Tosar  scrivere,  parlando  della  campagna  d' Italia  :  Na- 
poléon  éiati  d'une  intégriié  inflexible  et  ne  iolérait  pas  qu'on  y  manquàiì 
(Prince  Napoléon,  Napolion  et  ses  détracteurs,  p.  44).  Quando  nel  1814 
si  tentò  di  ottenere  un  risarcimento  dalla  Commissione  centrale  di  li- 
quidazione in  Parigi  per  una  delle  più  enormi  spogliazioni  (quella  del 
Monte  di  Pietà)  i  reclamanti  si  sentirono  rispondere  che  la  domanda 
era  inammissibile,  trattandosi  di  arbitrarie  ed  illegali  misure  dei  capi 
dell'esercito  (Calvi,  Vicende  del  Monte  di  Pietà,  p.  99). 

(i)  Veramente  fu  concesso  anche  per  la  cassa  del  Banco  di  Sant'Am- 
brogio (Relazione  Pestagalli  nell'Archivio  Civico,  Dicasteri  Governo,  2j), 

(2)  Cominciò  a  radunarsi  in  Rugabella  il  giorno  15  (Peroni,  Epi- 
tome storico). 

(3)  Secondo  P.  Verri,  Lettere  e  scritti  inediti,  IV,  p.  210),  la  sede 
gli  fu  *  assegnata  „  dai  suoi  protettori  Buonaparte  e  Saliceti. 

(4)  Nella  contrada  di  Rugabella,  n.  4226,  abitazione  del  principe 
Sigismondo  Kevenhtìller.  (Il  consultore  conte  Emanuele,  che  partì  col- 
l'arciduca,  abitava  in  contrada  di  Brera,  1556).  Nell'alloggio  di  Ruga- 
bella  già  avevano  abitato,  nell'interregno,  tre  commissari  repubblicani 
(Becattini,  op.  cit,  lett.  II).  Servì  poi  per  gli  uflSci  dell'Agenzia  militare. 

(5)  Secondo  il  Foscarini,  Espresso  n.  102,  il  giorno  16  contava 
già  600  membri.  Il  17,  Buonaparte  scriveva  al  direttorio  che  il  Club 
contava  Soo  individusj  tous  avocats  ou  négociants,  (Correspondance  de 
Napoléon  /f,  i,  n.  437). 


338  L*  INVASIONE  FRANCESE   IN   MILANO   (1796) 

ne*  quali  e  s'invitano  gli  amici  della  libertà  ed  eguaglianza  ad 
aggregarsi  alla  nuova  società  popolare,  e  si  annunzia  al  pubblico 
la  sua  fondazione  stabilita  sotto  il  padrocinio,  e  coll'autorìtà  del 
general  Bonaparte  (i)  e  del  commissario  Salicetti,  e  si  inveisce 
contro  i  Corpi  civici,  contro  i  nobili,  e  contro  tutto  ciò,  che  sa  d'ari- 
stocratico (2).  Altro  frutto  delle  sessioni,  fu  il  solenne  impianto 
dell'albero  della  libertà  fatto  sulla  piazza  del  Duomo  (3),  dietro  la 
processione  de'  socii  eseguitasi  nel  dopo  pranzo  del  giorno  18  (4) 

(i)  Secondo  il  Termometro  politico^  Principj  della  rivoluzione  lom- 
barda, Buonaparte  e  Saliceti  avrebbero  assicurato  quei  demagoghi  della 
loro  amicizia  già  quando  inviarono  loro  una  deputazione. 

(2)  Secondo  il  Cubani,  Storia  di  Milano^  IV,  p.  353,  ed  il  Manto- 
vani, Diario  politico  ecclesiastico,  to.  1,  Buonaparte  era  in  cuor  suo  molto 
più  propenso  ai  cosidetti  aristocratici  che  ai  democratici. 

V.  nel  Becattini,  Storia  del  memorabile  triennale  governo,  lett.  I, 
la  storia  abbastanza  piacevole  dell'ammissione,  prima  rifiutata,  poi,  per 
ordine  di  Buonaparte,  concessa,  del  duca  Serbelloni  alla  Società  popo- 
lare. L'odio  contro  il  partito  avverso  era  così  fiero  nell'animo  dei  clu- 
bisti  che  il  18  inviarono  alcuni  di  loro  a  Despinoy,  presentandogli  ana 
nota  dei  capi  delle  principali  famiglie  dell'aristocrazia  dei  quali  chiede- 
vano l'arresto.  Despinoy  infuriò  e  li  mandò  via.  (Cusani,  op.  cit.,  IV, 
p.  369).  Tanto  il  Verri,  Storia  dell'invasione,  p.  398,  quanto  il  Botta, 
Storia  d'Italia  dal  jjS^  al  1814,  to.  I,  lib.  VI,  p.  222,  entrambi  calorosi 
fautori  delle  nuove  idee  democratiche,  concordano  nell'  affermare  sem- 
plicemente assurdo  questo  guerreggiare  contro  un'aristocrazia  che  era 
lungi  dall' imitare  quella  di  Francia  nell'opprìmere  il  popolo.  Massena 
aveva,  pare,  inostrato  dapprima  l'intenzione  di  un  più  savio  ed  equo 
atteggiamento  :  *^  Si  ascoltò  una  voce  fra  il  popolo  che  disse:  A  bas  la 

•  noblesse.  Massena  replicò:  Non,  mes  amis —  Five  la  nafion /ranfaise, 

*  vive  le  peuple  de  Milan  ,  (Verri,  Lettere  e  scritti  inediti,  IV,  p.  209). 

(3)  V.  nel  Becattini,  op.  ciL,  lett  I  e  nel  Cusani,  op.  cit,  IV, 
P*  358*59»  la  descrizione  di  quella  mascherata  nella  quale  si  sfoggiarono 
gli  emblemi  massonici.  Il  Verri,  che,  nella  Storia  dell'invasione,  p.  397, 
crìtica  lungamente  la  cerimonia  e  fra  l'altro  osserva  *  niente  avere  di 

*  connessione  un  palo  colla  maniera  di  essere  governati  , ,  narra  come 
poco  piacesse  al  popolo  quella  festa.  Il  Papi,  Commentarti  della  rivotu- 
sione  francese,  to.  II,  lib.  V,  fa  per  altro  una  confusione  con  awenh 
menti  di  poco  posteriori  là  dove  narra  che  molta  plebe  •  tentò  di  op- 

•  porsi  e  disturbare  la  cerimonia  ,. 

(4)  È  strano  come  il  Termometro  politico,  Principj  della  rivolu- 
sione  lombarda,  ponga  l' innalzamento  solenne  dell'albero  in  piazza  dd 
Duomo  al  giorno  23.  Il  Peroni,  Epitome  storico^  indica  la  data  del  19. 
L*  invito  diramato  dalla  Società  popolare  era  per  il  18  alle  5  dì  sera 
{Allegalo  j,  a  Dispaccio  loj  del  Foscarini). 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI   DON  FRANCESCO  NAVA  339 

dalla  casa  della  residenza  alla  piazza  suddetta,  dove  si  tenne  una 
festa  popolare  (i).  Dio  buono!  quai  colpi  furono  questi  al  mio 
cuore  I  Mi  parca  di  vedere  le  conseguenze  terribili,  che  ne  dovean 
venire  da  sifatti  funesti  principii,  e  mi  si  parava  d'innanzi  un  -av- 
venire ahi  quanto  lagrimevole.  Né  mi  sono  ingannato.  Continuarono 
gli  affissi,  e  se  prima  eran  pubblicati  anonimi,  dopo  eran  regolar- 
mente soscrittì  dal  presidente  del  club  e  dal  segretario  (2).  U 
primo  era  Cattaneo  (3),  e  l'altro  Barelli  (4).  Questo  nome  mi 
richiama  un  aneddoto,  che  non  mi  posso  dispensare  dal  qui  riferire. 
Stava  lavorando  in  Broletto  per  dar  passo  agli  affari,  quando  venni 
chiamato  da  im  anonimo  in  disparte.  Gli  domando  cosa  egli  vuole 
da  me.  Ed  egli  segretamente  all'orecchio  mi  dice,  ch'era  venuto  a 
prendere  un  consiglio.  Mi  fece  l'onore  di  dichiararmi  la  sua  con- 
fidenza filiale  in  me,  che  mi  considerava  padre  comime  di  tutti,  e 
ben  mi  stava  questo  tenero  nome  in  quei  momenti,  ne'  quali  pa- 
revami  veramente  di  nutrire  un  amor  paterno  per  tutti.  Indi  ani- 
mato da  me  a  spiegarsi  chiamommi,  se  poteva  aderire  alle  pres- 
santi istanze,  che  venivangli  fatte  di  dare  il  suo  nome  al  club. 
L'interrogazione,  com'era  ben  naturale,  mi  mise  in  avvertenza  e  mi 
nacque  tosto  il  sospetto,  che  mi  si  volesse  tendere  un  laccio.  Mi 
tenni  perciò  alla  larga  e  con  termini  generali  gli  risposi,  che  non 
ero  in  grado  di  dar  consigli  sopra  un  oggetto,  di  cui  non  aveo 
veruna  contezza.  Egli  non  contento  andò  viemmaggiormente  insi- 
stendo, e  pregando  per  essere  consigliato.  Allora  io  gli  dissi,  che 
assolutamente  non  poteo  consigliare  veruno  su  questo  punto,  per- 
ciocché, quantunque  sapessi  per  le  stampe  uscite  l'esistenza  del 
club,  non  mi  erano  note  le  sue  leggi,  i  suoi  principii,  le  sue  mas- 
sime direttrici,  e  dietro  le  nuove  istanze  conchiusi,  che,  ogni  qual- 

(i)  Non  vi  presero  parte   che   uomini  e  donne  dei  bassi  fondi,  sì 

da  disgustare  *  gì'  istessi  soldati  francesi  d' infanterìa,  che   stavano  in 

sentinella  a  scanso  di  maggiori  disordini  ,.  (Bscattini,  op.  cit,  lett.  I). 

(a)  Altro  segretario  era  poi  (v.  l'invito  suindicato)  un  certo  Pietro 
Mantegazza. 

(3)  •  Chirurgo  rivoluzionano  bergamasco  e  fuggitivo  per  tal  mo- 
tivo dal  suo  natio  paese  „  (Becattini,  loc  cit). 

(4)  Secondo  il  Peroni,  Compendio  storico^  era  questi  il  compagno 
ntrato  giorni    addietro  col  Salvador!.  V.  nota  4,  p.  117,  del  fascicolo 

^^edente   di    quesf  Archivio.   Il  Bouvier,  Bonaparte  en  Italie,  p.  574^ 
^fo  il  Barelli,  quanto  il  Cattaneo,  fra  i  meneurs  dell'interregno, 

'*''^^'  'Sìor.  l^omb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  22 


340  l'invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

volta  nel  club  non  sì  fusse  immaginata,  trattata^  o  stabilita  cosa 
contraria  alla  Religione  cattolica  romana,  alla  subordinazione  dovuta 
alla  Repubblica  francese  attuale  nostra  sovrana,  ed  al  bene  della 
patria,  e  de'  suoi  abitanti,  non  avrei  trovata  difficoltà,  che  chiunque 
potesse  ascriversi.  Giimse  in  questo  momento  un  decurione,  il 
quale  conosceva  questo  soggetto,  e  salutoUo  per  nome.  Sentii 
chiamarlo  per  Barelli,  e  dovetti  comprendere,  ch'egli  era  il  segre- 
tario del  club,  il  quale  m'avea  voluto  tendere  il  laccio,  e  prendermi 
per  sorpresa.  Fortunato  lui,  che  mi  abbia  tentato  in  un  tempo,  in 
cui  mi  era  accostumato  a  pigliar  tutto  con  indiflFerenza,  ed  a  sangue 
freddo,  perchè  invece  di  cacciarlo  fuor  dal  Broletto  a  colpi  di 
bastone  ed  a  calci,  come  si  era  meritato,  mi  limitai  a  dargli  una 
sonora  riprensione,  di  cui  peraltro  il  temerario  non  diraostrossì 
molto  sorpreso. 

I  progressi,  che  andava  continuamente  facendo  la  società  po- 
polare, ed  i  sanguinosi  affissi,  che  si  vedevano  ad  ogni  tratto  pub- 
blicati, ci  occuparono  seriamente,  e  paread  omai  indispensabile  di 
prender  qualche  partito  (i).  Non  e'  eravamo  accorti,  o  lo  seppimo 
troppo  tardi,  che  oltre  il  mimicipalista  Visconti  (2),    ed   il  coadiu- 

(i)  Secondo  Pietro  Verri,  Storia  delfitrvasione^  p.  395,  i  decurioni 
avrebbero  dovuto  cooptare  *  un  ugual  numero  di  onesti  cittadini  non 

*  nobili,  e  in  tal  guisa  togliere  l'odiosità  d'un  governo  meramente  ari- 

•  stocratico,  e  conciliarsi  quella  popolare  fiducia  che  s'era  perduta  per 
■  le  vicende  sotto  Giuseppe  e  Leopoldo.  „ 

(2)  Il  marchese  don  Francesco  Visconti,  figlio  di  Alberto  e  di 
Antonia  Eleonora  del  marchese  Pietro  Aimo  Goldoni  Vidoni  di  Cre- 
mona, era  allora  uno  dei  due  •  Elstimati  Patrizj  „  membri  della  Con- 
gregazione municipale,  ricevendo  per  tal  carica  dalla  cassa  civica  pro- 
vinciale un  salario  annuo  dì  L.  2500.  Faceva  parte  della  seconda  dele- 
gazione per  le  strade.  Era  inoltre  membro  della  Congregazione  militare 
di  Milano.  Fu  in  quei  giorni  uno  dei  delegati  per  studiare  il  modo  di 
valersi  del  palazzo  Serbelloni,  generosamente  ofierto  dal  duca  Galeazzo, 
per  trasportarvi  eventualmente  gli  uflSci  civici  minacciati  dal  cannone 
del  castello.  Nell'Archivio  Civico  milanese  si  serba  la  relazione  di 
quei  delegati.  Il  Visconti  era  stato  dapprima  avviato  alla  carriera  ec- 
clesiastica, nella  quale  uno  zìo  suo  aveva  raggiunto  l'onore  della  por- 
pora. Fu  poi  uno  dei  primi  fautori  in  Milano  delle  idee  rivoluzionarie 
venute  in  favore  in  Francia,  donde  rapidamente  se  ne  diffondeva  il 
contagio.  Ebbe  parte  nella  prima  municipalità  democratica  succeduta  a 
quella  nella  quale  era  collega  al  Nava.  Narra  il  Litta,  Famiglie  celebri 
italiane,  v.  XV,  Visconti  di  Milano,  tav.  9,  come  accasciato  per  le  violenze 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI    DON  FRANCESCO   NAVA  34I 

tore  della  ragionateria  dello  Stato  Nicoli  (i)  vi  avean  nello  stesso 
Consiglio  generale  due  individui  ascritti  al  club  (2).  Quanto  noi 
parlavamo  con  effusione  di  cuore  era  pochi  istanti  dopo  riferito 
allo  stesso  club,  e  servivagli  di  norma  per  prevenire  l'uso  dei 
mezzi   tendenti   a   rendere    frustranee    tutte   le   nostre    diligenze. 


dalle  quali  non  aveva  rifuggito  il  generale  Despinoy  in  occasione  del- 
l'avventato decreto  dei  municipalisti  per  l'abolizione  della  nobiltà,  si  riti- 
rasse il  Visconti  nella  Svizzera,  per  breve  tempo  però.  Fu  pochi  mesi 
dopo  ministro  della  repubblica  cisalpina  presso  la  francese.  Ed  apparve 
troppo  devoto  alla  sorella  dominatrice.  Nel  1799  i  tredici  mesi  lo  tro- 
varono ministro  presso  la  Repubblica  elvetica.  Ristabilita  la  cisalpina, 
Francesco  Visconti  fu  membro  del  comitato  che  amministrò  la  Lom- 
bardia per  tre  anni.  Poco  in  favore  durante  il  regime  napoleonico,  se 
ne  rammaricava,  sì  che  ^  quando  vide  istituito  l'ordine  della  corona  di 

•  ferro,  implorò  d'esserne  decorato  colla  fiducia  di  goder  la  considera- 
**  zione  d'uom  distinto  dalla  Corte,  e  di  ottenerne  in  seguito  il  favore. 

•  Le  interposizioni  del  principe  Berthier  gli  ottennero  nel  1807  la  gra- 
**  zia,  ma  nel  seguente  anno  morì  ai  13  maggio  „  (Litta,  loc.  cit.).  Fu 
uomo  di  opinioni  accese,  prodigo,  ambizioso,  debole;  ma  serbò  fama 
illibata.  Aveva  sposato  Giuseppina  figlia  di  Ambrogio  Carcano  e  ve- 
dova di  Giovanni  Sopransi. 

(i)  Riceveva  il  Nicoli  un  salario  di  2000  lire,  a  carico  dello  Stato 
(sicché  nell'ultimo  anno  gli  venivan  ritenute  49  lire  per  la  contribuzione 
di  guerra).  Il  Cusani,  op.  cit.  IV,  p.  370,  lo  dice  **  oscuro  intrigante  „ 
ed  il  Verri,  Storia  dell' invasione  y  p.  408,  lo  considera  "  uomo  di  somma 

•  presunzione,  di  carattere  occulto,  e  di  nessuna  scienza.  „  Ma  il  Bouvier, 
op.  cit,  p.  614,  sembra  credere  suflficiente  elemento  di  un  più  favorevole 
giudizio  l'ambasciata  a  Parigi,  affidata  pochi  dì  appresso  a  l'arithmèticien 
Carlo  Nicoli. 

(a)  "  Sin'ora  però  nessun  uomo  di   qualche   concetto  vi  si   è   fatto 
"  mscrivere  „  (P.  Verri  al  fratello  Alessandro,  18  maggio,  in  Lettere  e 
Scritti  inediti,  IV,  p.  210).  Errano  dunque   i  Mémoires  de   Massena,  II, 
P-  70,  chiamando  i  membri  del  governo  decurionale  (di  cui  vediamo  qui 
due  imbrancarsi  coi  più  esaltati  e  screditati   repubblicani)  partisans  de 
l'Auiriche,  Proprio  la  mattina  del  14,  in   cui   si   attendeva  Massena,   il 
consigb'o  generale,  preso  in  esame  "  il  punto  se  debbasi  levare  dall'aula 
il  busto  di  Leopoldo  Secondo,  coprendo  con  gesso  anche  le  iscrizioni 
"  del  piedestallo,  e  delle  lapidi  laterali  attesa  la  contrarietà  esternata  dal 
governo  francese  ai  monumenti  austriaci,  e  deviso  in  due  parti  il  Con- 
siglio per  regolare  la  determinazione  sulla  parte  prevalente  in  numero  „ 
^f  "  risolto  per  pluralità  l'afiFermativa  di  levarsi  tosto  il   busto,  ed  in- 
gasarsi  ie  iscrizioni,  si  ordinò  l'immediata  esecuzione.  -  (Appuntamenti 
^' Cor-sigUo  generale). 


343  ^'  INVASIONE   FRANCESE    IN   MILANO  (1796) 

È  ben  vero,  che  nessun  di  noi  dev'esser  malcontento  d*aver 
liberamente  esposti  i  proprj  sentimenti.  Tutto  quel,  che  si  disse, 
era  animato  dall'amore  del  pubblico  bene,  regolato  dallo  spirito 
di  subordinazione  e  rispetto  al  Governo  francese,  condotto  dal 
desiderio  di  veder  mantenuta  stabilmente  e  protetta  la  pubblica 
tranquillità,  e  diretto  sempre  dalla  generale  risoluta  prontezza  e 
volontà  di  dimettere  la  carica,  ogni  qualvolta  fusse  piacciuto  al 
Governo  di  stabilire  nuovi  rappresentanti  ed  amministratori,  E  di 
fatti  ben  molti  erano  tentati  a  farlo  spontaneamente,  e  posso  dire 
con  sentimento  di  vera  gratitudine,  che  non  hanno  eseguita  la  lor 
risoluzione  per  la  stima,  che  fecero  de'  miei  consigli.  Non  è  già, 
ch'io  non  avessi  un'  eguale  inclinazione,  ed  ogni  momento  dovea 
far  forza  a  me  stesso  per  superarla.  Fin  quando  accettai  la  carica, 
voUi  mantenere  in  me  la  disposizione  di  dimetterla,  ogniqualvolta 
fussemi  convenuto,  e  questa  stessa  disposizione  né  l'ho  mai  perduta, 
né  si  è  tampoco  in  me  scemata,  ed  anzi  erasi  sommamente  ravvi- 
vata in  queste  scabrose  circostanze.  Ma  riflettendo,  che  l'eseguirla 
sarebbe  stata  una  viltà,  e  mi  avrebbe  fatto  reo  di  una  vergognosa 
diserzione,  credetti  di  dover  star  franco  al  posto,  e  di  animare  i 
miei  compagni  a  fare  lo  stesso  in  un  momento,  che  l'abbandono 
avrebbe  prodotti  i  più  perniciosi  effetti.  Questo  sia  detto  per  dimo- 
strare quanto  mal  a  proposito  il  club  in  uno  de'  suoi  affissi  stam- 
pati abbia  invitato,  ed  animato  il  popolo  a  strapparci  dalle  mani 
il  deposito  dell'autorità,  che  ci  era  affidato,  quand'io,  e  tutti  con  me, 
al  minimo  cenno  de'  superiori  eravamo  disposti  a  rinunciarlo  vo- 
lonterosamente in  mano  di  altri,  che  meglio  di  noi  sapessero  ser- 
virsene a  vantaggio  della  patria,  e  de'  suoi  abitanti.  Il  risultato  delle 
serie  riflessioni,  che  si  fecero  sopra  i  surriferiti  fatti,  fu  quello  di 
compilare  ima  rappresentanza  al   general   Bonaparte  (i),  che  podr- 

(i)  La  "  rappresentanza  „,  che  *  la  municipalità,  il  consiglio  ge- 
nerale e  la  congregazione  dello  Stato  di  Milano  „  presentai  ono  a  Buo- 
naparte,  è  inserita  sotto  la  data  del  20  maggio  nel  Diario  siorico-poHtko, 
V.  X,  del  MiKOLA,  donde  sembra  tratta  la  stampa  che  ne  dà  il  Cusami, 
op.  cit,  voi.  IV,  p.  302.  Secondo  il  Becattini,  Storia  del  memorabili 
Iriennale  governo,  lett.  I,  essa  fu  presentata  il  18.  Il  Cusani,  loc.  cit, 
così  commenta:  *  Quest'energico  e  dignitoso  indirizzo,  contrapposto  a 

*  stolte  e  ringhiose  contumelie,  mise  in  piena  luce  da  qual  Iato  stessero 

*  la  lealtà  del  carattere,  il  sentimento  del  dovere,  il  vero  amor  patria  . 
Invece  il  Bouvibr,  Bonaparte  en  Italie,  cui  gli  storici  italiani  sembrano 


DA  MEMORIE   INEDITE   DI   DON   FRANCESCO   NAVA  343 

tasse  un*  idea  dei  danni,  che  l'arditezza  de'  proclammi  (sic)  pubblicati 
dal  club  arrecava  al  buon  ordine,  e  mostrasse  nell'atto  istesso  con 
tutta  l'ingenuità  la  comune  nostra  indiflferenza  di  lasciare  le  rispettive 
cariche,  purché  a  noi  f ussero  nel  loro  esercizio  sostituite  persone 
nazionali,  possidenti,  e  dotate  di  conosciuta  probità  ed  onoratezza. 
Questa  rappresentanza  fu  da  me  personalmente  rassegnata  al  gene- 
rale, cui  a  voce  più  diffusamente  spiegai  l'oggetto  di  essa,  ed  i 
motivi,  dai  quali  gli  attuali  individui  de'  Corpi  civici  furon  obbli- 
gati a  prendere  siffatta  risoluzione.  Il  generale  la  accolse,  e  sottraen- 
dosi dal  parlar  direttamente  sul  merito  di  essa  (i),  si  limitò  a 
dire,  ch'era  sua  premura,  che  il  voto  del  popolo  fusse  soddisfatto, 
uè  si  permettesse  cosa  alcuna,  che  potesse  anche  per  poco  alterare 
il  buon  ordine  e  la  tranquillità. 

Con  questi  stessi  sentimenti  spiegossi  il  dopo  pranzo  del 
giorno  19  (2),  allorché  venuto  a  farci  una  graziosa  sorpresa  in 
Broletto,  ebbe  la  bontà  di  trattenersi  meco  a  non  breve  discorso, 
e  di  sentirsi  ripetere  l'indifferenza,  con  cui  io  ed  i  miei  colleghi 
avremmo  ricevuta  la  nuova  della  nostra  dimissione,  qualora  gli 
fusse  piacciuto  di  trascegliere  altri  soggetti  forniti  delle  necessarie 
qualità,  che   dovessero  avere   l'autorità   municipale  (3).   Dalla   be- 

troppo  severi  verso  ces  premiers  ariisans  de  Pindépendance  iialienne  (!), 
giudica  imprudente  l'atto  dei  decurioni,  giacché,  posto  il  dilemma  fra 
essi  ed  i  democratici  milanesi,  ritiene  che,  per  il  generalissimo  repub- 
blicano, le  choix  ne  pouvaii  ciré  douteux, 

(i)  Buonaparte  aveva  già  espresso,  in  una  lettera  del  17  maggio 
al  Direttorio  esecutivo  {Correspondance  de  Napoleon  ler^  t.  I«r,  n.  437), 
l'intenzione  di  cambiare  (es  personnes  qui,  ayant  Uè  nommées  par  Fer- 
dinand, ne  peuvent  miriter  noire  confiance, 

(2)  Il  CusANi,  Storia  di  Milano,  IV,  p.  364,  dice  che  la  visita  av- 
venne la  mattina  del  ao.  11  Bouvier,  op.  cit„  con  lodevole  buona  fede 
non  pensando  neppure  ad  una  "  partita  doppia  „  da  parte  di  Bonaparte, 
poiché  i  decurioni  furon  congedati  con  decreto  del  19,  conclude:  Il  doit 
y*avoir  erreur  de  date!  L'editto  del  19  fu  tenuto  in  tasca  per  due 
giorni,  il  che  sembra  esser  sfuggito  al  Bouvier;  ma  vedemmo  che  il 
17  Buonaparte  aveva  già  deciso  un  radicale  cambiamento  di  personale 
e  teneva  a  bada  le  magistrature  preesistenti  per  trame  il  maggior 
utile  possibile. 

(3)  Narra  il  Cusani,  loc.  cit,  che  Buonaparte,  *  nell'accomiatarsi,  par- 

■  tendo  egli  pel  campo,  rese  grazie  della  premura  con  cui  [il  consiglio 

■  generale]  aveva  fornito  viveri  e  abiti  alle  sue  truppe.  „  Il  Becattinì, 
op.  cit.,  lett.  I,  narra  che  il  generalissimo  era  "  accom(>agnato  da  varj 
•  altri  generali.  „ 


344  l'invasione  francese  in  Milano  (1796) 

nignità,  con  cui  il  generale  parlò  (i),  e  dal  ripetuto  onore  com- 
partitomi d'una  sua  cortese  visita  fattami  alla  mia  casa  nel  susse- 
guente giorno  20  (2)  parca ,  che  dovessimo  argomentare  assai 
bene  dell'esito  della  rappresentanza,  massimecchè  non  s'era  man- 
cato in  qualche  maniera  di  fatali  comprendere,  che  non  ci  era  ignoto 
il  decreto  emanato  già  da  qualche  tempo  in  Parigi,  col  quale  veniva 
espressamente  proibita  l'unione  di  qualunque  club,  o  società.  Era- 
vamo la  sera  del  giorno  20  (3)  uniti  in  Broletto  a  dar  passo  alle 
pressanti  requisizioni,  ed  agli  altri  urgenti  affari,  quando  arriva  un 
ordine  del  commissario  Salicetti,  col  quale  la  Municipalità  è  inca- 
ricata di  rendere  avvisati  16  cittadini  di   portarsi  immediatamente 

(1)  Ritenevasi  pertanto  dalla  cittadinanza  i:he  il  consiglio  gentrale 
fosse  "  in  ottima  vista.,.,  presso  i  comandanti  francesi  „  per  i  servizi 
loro  resi  coli'  assicurare  1'  approvigion amento  e  le  altre  esigenze  del- 
l'esercito e  la  pubblica  quiete  {MunoVAm,Diario po/iiico-ecefesiasiÌco,UiA). 

(2)  Trovammo  infatti  nell'archivio  Nava,  in  Cernusco  Lombardooc, 
questo  foglietto,  che  tien  luogo  di  biglietto  dì  visita: 

a  tergo: 

Il  generate  in  capite  Buonaparte  à  prevenuto  il  capitano  Barbò  d'i- 
speeione  essere  sialo  in  casa  del  Sigs  Vicar''>  di  Provisf  a  restituirà  La 
visita  e  ciò  lo  slesso  Capitano  Lo  previene  p.  suo  conlegno. 
Dal  Quartiere  della  Piazaa. 
Li  20  Mg.'o  /7(mS, 

Giov.  Galli 

Per  il  S.'   Vicario  di  Provis. 

di  Milano. 

In  altro  giro  fatto  in  quei  giorni,  Buonaparte,  Inoltratosi  non  lungi  dal 
castello,  corse  rìschio,  almeno  secondo  il  Foscarini,  dispaccio  h.  104, 
31  maggio,  di  essere  involto  in  una  '  improvisa  sortita  ,.  Sarebbe  stato 
preservato  da  un  distaccamento  dì  cavalleria  speditogli  da  Massena. 

(3)  Quest'indicazione  del  Vicario  mostra  l' inverosimiglianza  della 
narrazione  del  Tivarom,  L'Italia  durante  il  dominio  francese,  to.  I,  p.  9S, 
secondo  la  quale  Despinoy  avrebbe  cacciati  i  decurioni  ed  installati  i 
loro  successori  la  mattina  del  30.  Secondo  il  Cusani,  op.  cìt.,  IV,  p.  364-^ 
r  irruzione  del  violento  comandante  della  Piazza,  che  avrebbe  condotto 
alla  cacciata  dei  decurioni,  sarebbe  pure  avvenuta  '  poche  ore  dopo  la 
*  visita  lusinghiera  di  Bonaparte  ,.  Ed  i  decurioni  scendendo  le  scale, 
avrebbero  incontrato  *  i  nuovi  municipatistì  che  salivano  ad  occuptare 
'  ì  loro  posti  ,. 


DA  MEMORIE   INEDITE   DI   DON   FRANCESCO   NAVA  345 

a  Corte.  Si  die  la  combinazione,  che  la  massima  parte  di  essi  era 
composta  di  individui  notoriamente  addetti  al  club.  Fu  quindi  facile, 
attese  le  precedenze,  il  lusingarsi,  che  la  loro  chiamata  fusse  fatta 
all*oggetto  di  prevenirli  o  di  astenersi  dall'intervento  al  club,  o  per 
lo  meno  di  essere  più  moderati.  E  per  verità  la  cosa  non  sarebbe 
stata  fuor  di  proposito,  perchè  nel  numero  de'  citati  individui  vi 
avean  quelli,  che  potean  credersi  i  più  audaci  (i).  Senza  perdita 
di  tempo  furono  spediti  a  ciascuno  gli  avvisi,  e  pochi  istanti  dopo 
con  comune  sorpresa  ed  ammirazione  venimmo  a  sapere,  che  invece 
d'essere  chiamati  a  ricevere  una  salutare  correzione  ebbero  l'avviso 
d'essere  destinati  a  formare  la  nuova  Municipalità,  postocchè  era 
decretata  la  soppressione  del  Consiglio  generale,  e  la  dimissione 
di  tutti  gl'individui  addetti  all'attuale  Congregazion  municipale  (2). 
Accostumato  per  mia  grande  fortuna  a  riconoscere  nelle  umane 
vicende  la  mano  di  Dio,  che  le  dispone,  o  le  permette,  e  contento 
in  qualunque  modo  di  potermi  sottrarre  onorevolmente  dal  peso 
omai  insopportabile  della  carica  quanto  rispettabile,  altrettanto 
malagevole  e  pericolosa  nel  suo  esercizio,  non  mi  turbai,  né  mi 
afflissi  per  l'accennata  improvvisa  notizia,  e  com'era  mio  costume 
dopo  aver  affaticato  tutta  la  giornata  me  n'andai  a  casa,  ed  infor- 

(i)  Secondo  il  Becattini,  op.  clt.,  lett.  II,  ed  A.  Verri,  Vicende 
memorabili,  lib.  Ili,  p.  202,  Buonaparte  e  Saliceti  avrebbero  avuto  cura 
d'includere  nell'elenco  dei  nuovi  munìcipalisti  persone  di  così  poca  au- 
torità da  non  aver  modo  di  contrastare  alcuno  dei  loro  voleri.  Il  He- 
cattini  aggiunge  che  la  nota  sarebbe  stata  compilata  *^  avanti  al  tavolino 

•  di  Saliceti  „. 

(2)  Secondo  il  Becattini,  Storia  del  memorabile  triennale  governo, 
lett  II,  Buonaparte,  respingendo  le  suppliche  sanguinarie  dei  deputati 
inviategli  dai  patrioti  milanesi,  avrebbe  loro  promesso  non  solo  di  con- 
gedare i  decurioni  o  municipalisti  **  al  primo  offerto  pretesto  „,  ma  an- 
che di  farli  arrestare.  Che  nondimeno  molti  nella  cittadinanza  non  s'at- 
tendessero la  definitiva  scomparsa  del  consiglio  generale,  appare  anche 
dal  ricorso  di  don  Carlo  Viarana  ai  decurioni.  Chiedeva  invero  il  po- 
stulante "  la  restituzione  delle  scritture  di  sua  famiglia,  presentate  nel- 
"  l'oggetto  di  conseguire  il  patriziato  di  questa  città,  onde  assicurarle 
"  nelle  attuali  circostanze.  ^  Ma  aveva  cura  di  chiedere  inoltre  gli  fosse 
concesso  '^  di  riprodurle  successivamente,  senza  pregiudizio   della   già 

•  fatta  petizione  ,  {Appuntamenti  del  consiglio  generale).  Ed  era  naturale 
che  i  buoni  ambrosiani,  memori  delle  molte  vicende  da  cui  il  consiglio 
generale  aveva  saputo  salvarsi,  non  pensassero  che  proprio  questa 
volta  la  sua  mina  sarebbe  rapida  e  definitiva. 


34^  l'invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

mata  la  mia  famiglia  delle  occorrenze  del  giorno  mi  ritirai  nella 
mia  stanza  per  coricarmi  a  letto,  e  prendere  riposo,  di  cui  ne 
sentivo  estremo  il  bisogno.  Passai  la  notte  placida  e  tranquilla, 
sebbene  abbia  stentato  a  pigliar  sonno,  come  suol  succedere,  quando 
si  ha  la  testa  ingombrata  di  mille  cruciosi  pensieri.  Tale  era  il  caso 
mio  non  solo  per  le  ragioni  a  tutti  gli  altri  comuni,  ma  per  il 
motivo  particolare  per  me,  che  mi  trovavo  ancora  nella  incertezza 
della  futura  mia  sorte.  Desideravo  di  far  causa  comune  cogli  altri, 
ma  non  avendo  veduto  nella  nota  degli  indicati  16  soggetti,  chi  mi 
potesse  succedere,  né  avendo  immaginato,  che  il  pubblico  dovesse 
perdere  la  prerogativa  del  suo  capo  (i),  dubitavo  ancora  di  con- 
tinuare nell'impiego.  Ed  oh!  quanto  mi  costò  di  angustie  e  di 
affanni  il  solo  immaginarlo! 

Alzatomi  di  buon  tempo  la  mattina  del  sabbato  giorno  21,  sempre 
mai  memorabile  e  fecondo  per  me,  e  pe'  miei  compagni  delle  più 
desolanti  umiliazioni,  affatto  indifferente,  e  disposto  per  l'efficace 
ajuto  di  Dio  a  qualimque  avvenimento,  m*afirettai  a  recarmi  per 
l'ultima  volta  al  palazzo  della  mia  residenza,  premuroso  di  dar 
passo  a  varie  cose  prendenti,  e  di  mettermi  sul  giorno,  lo  che  pa- 
rimenti raccomandai  di  fare  ad  alcuni  de'  miei  colleghi,  ed  a  quelli 
particolarmente,  i  quali  ebbero  meco  maggiore  influenza  negli  affari. 
Arrivato  appena  al  Broletto  osservai  una  certa  non  usata  ed  affatto 
nuova  turbazione  in  molti  degli  ufBzìali,  che  denotava  in  essi  loro 
la  scienza  delle  disposizioni,  che  doveano  in  quella  mattina  e  pub- 
blicarsi ed  eseguirsi.  Nel  i>eriodo  del  mio  vicariato  avea  fatto  studio 
di  captivarmi  la  loro  benevolenza,  ed  aveo  la  soddisfazione  d'es- 
servi riuscito,  quantunque  limitato  assai  nella  facoltà  di  beneficare 
non  abbia  potuto  dare  a  molti  di  essi  che  piccoli  attestati  del  mio 
gradimento  per  l'impegno,  con  cui  assiduamente  !»  prestarono  a 
servire.  Era  perciò  molto  naturale,  che  avvicinatosi  improvvisa- 
mente il  momento  di  perdermi,  e  di  vedere  ben  anche  deluse  le 
speranze  di  riguardi  che  in  me  avean  giustamente  riposte,  doves- 
sero risentirne,  e  l'angustia  e  '1  dispiacere  lasciassero  trapellare  sui 

(i)  Osserva  infatti  il  Cusaki,  Storia  di  Milano,  IV,   p.  365:    ■  Così 

*  troncavasi  d'un  colpo  rautonomia  amministrativa  d^a  Lombardia; 

*  beni  e  persone  erano  lasciati  in  balìa  aDe  prepotenze  dei  generali  e 

*  dei  commissarjf  i  quali,  vantandosi  liberatori  dei  popoli,  li  malmena- 

*  vano  peggio  degli  imprecati  tiranni.  ^ 


DA  ìfEMORIE  INEDITE  DI  DON  FRANCESCO  NAVA  347 

loro  volti.  Confesso  ingenuamente,  che  ne  fui  commosso  al  primo 
istante,  ma  non  mi  sono  per  questo  smarrito.  Fortunatamente  in 
quel  giorno  aveo  invocato  con  maggior  fervore  l'assistenza  della 
divina  grazia,  di  cui  ve  n'ha  sempre  il  massimo  bisogno,  ma  spe* 
dalmente  poi  nei  momenti  della  maggiore  tribolazione.  Questa  era 
disposta  per  me,  e  per  tutti  i  miei  colleghi,  e  doveamo  tutti  insieme 
passare  in  quella  stessa  mattina  in  mezzo  alle  più  umilianti  avven- 
ture. Il  Signor  misericordioso  ha  esaudita  l'orazione  del  povero 
supplicante,  perchè  non  ho  mai  provato  né  forza  maggiore,  né 
maggiore  costanza.  Aveo  da  canto  mio  dato  passo  a  quel  che  più 
mi  premeva  nel  corso  di  quella  mattina,  ed  ascoltata  la  messa  nella 
cappella,  allorché  per  mezzo  d'un  cursore  ricevetti  verbalmente 
l'avviso  di  portarmi  colla  Municipalità  a  Corte,  che  mi  venne  quasi 
subito  legalmente  confermato  coll'ordine  scritto  del  commissario 
Salicetti.  Riuniti  tosto  i  miei  compagni  scesi  franco  le  scale  incon- 
trando dapertutto  oggetti,  che  mi  intenerivano;  e  con  loro  senza 
insegne,  senza  corteggio,  a  piedi,  ed  in  una  forma  totalmente  di- 
versa da  quella  usata  per  lo  addietro,  mi  recai  collegialmente  alla 
Corte  passando  per  le  contrade  meno  frequentate,  onde  fuggire 
rincontro  del  popolo,  che  dovea  rimaner  soprafatto  al  vederci  così 
abbietti,  ed  avviliti. 

Arrivati  che  fummo  al  Corpo  di  guardia,  che  custodisce  l'in- 
gresso alla  Corte,  rischiammo  d'essere  ributtati,  e  per  ottenere  il 
passo  fummo  costretti  di  annunciare  il  carattere,  che  a  momenti 
andavamo  a  perdere.  Montate  le  scale,  e  passate  le  anticamere, 
entrammo  nella  galleria  (i),  e  di  là  fummo  introdotti  nella  sala 
contigua  (2),  dov'eran  già  raccolti  tutti  i  "nuovi  municipalisti,  e 
stavano  varie  altre  persone  d'ogni  sesso,  d'ogni  età,  d'ogni  condi- 
zione, che  aspettavano  d'aver  udienza  dal  generale  Bonaparte. 
Eranvi  pure  alcuni  mercanti,  che  avean  disposte  sui  tavoli  in  bel- 
l'ordine le  loro  merci,  e  qua  e  là  dispersi  e  sdrajati  si  vedevano 
ben  anche  i  varj  soldati.  Quale  spettacolo  fu  mai  il  primo  ingresso 
in  questi  luoghi?  Laddove  prima  solevamo  ivi  trovarci  con  per- 
sone tutte   conosciute^  e   distinte  per   la  loro   nascita  e   qualità,  e 

(t)  V.  nota  4,  p.  326. 

(2)  Ulnventaire  general  des  menòles,  et  effets  qui  existent  dans  le 
palais  auirefois  archiducal  indica,  dopo  la  gallerie  gamie  d*  une  rampe 
en  feTy  una  sale  qui  suit  le  salon. 


34S  L*  INVASIONE   FRANCESE   IN    MILANO  (1796) 

tutto  conciliava  rispetto  vicendevole  per  tutti,  ci  incontriamo  con 
ogni  sorta  di  gente,  e  più  né  si  fa,  né  si  riceve  verun'atto  di  ur- 
banità (i).  Bisogna  però  soffocare  V  interno  sentimento,  e  godere 
quest'effetto  della  eguaglianza,  di  cui  non  potevamo  ancora  gustarne 
la  soavità,  perché  non  ne  conoscevamo  abbastanza  ancora  i  pregj. 
Coll'avvanzarci  nella  sala  incontrammo  ad  uno  ad  uno  tutti  i  nuovi 
municìpalisti,  ed  io  ebbi  campo  di  esaminare  attentamente  il  con- 
tegno maestoso  e  sostenuto,  che  la  maggior  parte  di  essi  tenne 
con  noi.  Mentre  s'aspettava,  che  uscisse  il  generale  col  commissario 
per  darci  la  sentenza,  io  mi  feci  coraggio  d'introdurre  discorso  con 
alcuni  di  loro,  e  mi  trattenni  più  lungamente  col  duca  Serbelloni, 
che  avea  conservate  ancora  con  me  le  sue  maniere  dold  ed  affa- 
bili (2).  Colsi  il  momento,  e  postocché  mi  era  nota  la  di  lui  in- 
fluenza nel  rovescio  delle  cose  passate  e  nel  nuovo  ordine,  che 
andava  ad  introdursi,  volli  dirgli  qualche  cosa,  e  sfogarmi  pruden- 
temente. Non  ebbi  difficoltà  di  suggerirgli  alcuni  avvertimenti, 
ch'egli  prese  in  buona  parte,  e  che  gli  poteano  essere  di  grande 
giovamento,  ogniqualvolta  avesse  disposizione  e  volontà  di  appro- 
fittarne. Egli  fu  sempre  mio  amico,  e  per  tale  lo  volli  riguardare 
quella  stessa  mattina,  come  protestomi  di  considerarlo  anch'oggi, 
e  non  so  quel  che  farei  per  mostrargli,  quanto  m' interesso  per 
lui  (3).  Ora  però  mi  mancano  i  mezzi  di  giovargli,  e  non  posso 
che  pregargli  dal  Ciel  pietoso  e  benigno,  come  faccio  vivamente,  il 
dono  dell'intelletto,  e  del  consiglio.  Ma  si  finisca  ogni  discorso. 
Ecco  il  generale,  ed  il  commissario  preceduti  da  un  ufficiale,  il 
quale  ordina  ad  ogni  altra  persona  non  appartenente  alla  vecchia, 
od  alla  nuova  Municipalità  di  ritirarsi,  e  d'uscir  dalla  sala.  Allora 
io  mi  posi  alla  sinistra  del   generale   co'  miei  compagni,  e   lasciai 

(i)  Secondo  il  De  Norvins,  Histoire  de  NapoUon,  to.  I,  e  III,  p.  163, 
fu  invece  appunto  durante  il  soggiorno  a  Milano  che  Buonaparte  co- 
minciò ad  avere  coi  suoi  commilitoni  rapporti  analoghi  a  quelli  di  un 
sovrano  coi  propri  sudditi:  Il  semole  que  le  general  Buonaparte  se  regarde 
comme  le  descendani  ou  l'hiritier  des  rois  lombards, 

(2)  Anche  il  Muoni,  Melzo  e  Gorgonzola^  p.  164,  parla  della  *  tem- 
•  peranza  e....  dolcezza  de*  suoi  modi  e  del  suo  sentire.  ^ 

(3)  Questo  aversi  saputo  conservare  amicizie  anche  fra  i  vinti, 
pur  essendo  dei  vincitori,  mentre  torna  ad  elogio  del  Serbelloni,  con- 
corda con  ciò  che  scrisse  Napoleone  Buonaparte,  Oeuvres  de  SM  Hilène 
Campagnes  et  Italie^  p.  126,  della  tres  grande  popularité  ài  cm\  godeva  il  duca. 


DA  MEMORIE   INEDITE   DI   DON   FRANCESCO   NAVA  349 

che  i  nuovi  si  mettessero  alla  destra.  Essi  erano  gli  eletti,  e  noi 
eravamo  i  presciti,  e  non  era  in  quel  luogo  fuor  di  proposito  Tap- 
plicazione.  Il  generale  ed  il  commissario  rivoltisi  prima  verso  di 
noi  ci  annunziaron  la  determinazione,  ch'erano  obbligati  di  prendere 
a  nostro  riguardo.  Il  proemio  del  discorso  fu  lungo,  ma  breve  la 
sentenza.  Voi  avete  perduta  la  confidenza  del  popolo,  epperò  ces- 
serete dall'impiego,  che  coprite  (i).  Altri  vi  saranno  sostituiti,  che 
goderanno  il  favor  della  nazione.  (2)  Essi  ebbero  non  pertanto  la 
bontà  di  renderci  giustizia  con  una  onorevole  dichiarazione  appro- 
vante tutto  quello,  che  con  sommo  zelo  aveamo  operato  per  servizio 
del  Governo,  e  dell'armata  francese  (3).  Presi  in  quell'istante  la 
parola,  ed  in  nome  di  tutti  feci  al  generale  ed  al  commissario  un 
discorso  adattato  alla  circostanza,  né  mi  sono  smarrito  per  la  pre- 
senza de'  nuovi  municipalisti,  che   stavanmi  ascoltando   con  atten- 


(i)  I  decurioni  per  altro,  assicura  il  Mantovani,  Diario  politiccheccUsia- 
siìco,  to.  I,  godevano  *  di  un  deciso  credito  presso  le  piazze  forestiere  „ , 
sì  che  il  cronista  crede  che  se  fosser  rimasti  al  potere,  molto  meno  gra- 
vosa sarebbe  riescita  la  contribuzione  dei  20  milioni  di  lire  tornesi,  giacché 
avrebbero  ottenuto  prestiti  per  permettere  di  ripartirne  il  peso  in  varii 
tempi.  Malgrado  il  vento  che  spirava  in  loro  favore,  è  evidente  che  i 
nuovi  reggitori,  quasi  tutti  homines  novi  e  senza  patrimonio  personale, 
non  potevano  ispirare  negli  uomini  di  banca  la  medesima  fiducia  che 
concedevano  sino  allora  al  fiore  dell'aristocrazia,  esperta  di  materie  fi* 
nanziarie  per  l'abituale  maneggio  dei  pubblici  interessi  e  costituita  dai 
più  grandi  proprietarii  di  terre  della  regione. 

(2)  Il  Peroni,  Epitome  storico^  il  Foscarini,  n.  104,  21  maggio, 
ed  il  BouviER,  Bonaparte  en  Italie,  additano  i  democratici  più  accesi 
quale  origine  della  destituzione  della  municipalità  sin  allora  esistita. 
Ma  il  BouviER  non  ne  fa  carico  ai  clubisti,  riconoscendo  in  essi  —  e 
corre  davvero  parecchio  neiraff*ermarlo  così  alla  leggera  —  gli  inter- 
preti, puramente  e  semplicemente,  della  forza  delle  cose.  Il  Bonfadini, 
Milano  nei  suoi  momenti  storici,  II,  p.  258,  probabilmente  qui  vittima  di 
una  confusione,  scorge  l'occasione  della  soppressione  dell'antica  auto- 
nomia comunale  nel  *  tumulto  provocato  da  un  energumeno.  „ 

(3)  Questo  riconoscimento  solenne,  da  parte  di  chi  pur  dovea  ten- 
dere a  diminuire  il  debito  di  gratitudine  imposto  all'  armata  francese 
da  tanti  servigi  dei  milanesi  e  delle  loro  rappresentanze  superstiti, 
rende  tanto  più  triste  che  uno  scrittore  italiano  non  si  sia  trattenuto 
dall' affermare,  nella  sua  mania  di  giustificare  la  contribuzione  dei  20 
milioni,  che  l'esercito  era  stato  **  in  nessun  modo  fino  allora  aiutato  dai 
•  lombardi  ,  (Tivaroni,  L'Italia  durante  il  dominio  francese,  to.  I,  p.  12). 


DA  MflMORIE  INEDITE   DI  DON  FRANCESCO  NAVA  351 

r^e  s'era  rìvolto  dalla  parte  degli  eletti,  e  loro  annunciava  i  motivi  ed 
i  pregi  della  loro  elezione,  e  dava  le  istruzioni,  colle  quali  doveano 
regolarsi  nell'esercizio  della  nuova  loro  incumbenza.  Dal  contesto 
dell'editto  osservai,  che  nessun  cenno  faceasi  della  soppressione 
della  mia  carica,  ch'eran  bensì  nominati  li  sedici,  che  dovean  rim- 
piazzare nella  Municipalità  gli  assessori  ed  aggiunti,  ma  non  era 
designato  il  mio  successore,  e  che  era  confermata  la  Congregazione 
dello  Stato  coi  tredici  individui  (i)  che  la  componevano,  fra  i 
quali  in  ragion  di  senso  letterale  io  pareva  compreso.  Quantunque 
spasimassi  di  finir  cogli  altri,  non  voleo,  che  mi  fusse  imputato  a 
mancanza  l'abbandono,  che  avessi  fatto  della  carica,  cui  non  vede- 
vasi  dato  il  successore.  Credetti  perciò  opportuno  di  proporre  il 
dubbio  alla  risoluzion  del  commissario,  il  quale  dichiarò,  ch'io  come 
sospetto  d'attaccamento  al  passato  Governo  dovea  rimaner  libero,  e 
soggiunse,  che  la  Municipalità  poteva  fra'  suoi  individui  eleggersi  un 
capo,  che  presiedesse  ed  a  lei,  ed  alla  Congregazione  dello  Stato. 
Compiuto  cosi  il  discorso  entrambi  si  ritirarono,  e  noi  restammo 
nella  sala  aspettando  il  generale  Despinoy,  il  quale  era  incaricato 
di  dare   esecuzione   alla   sentenza  (2),  e  di  mettere  in  possesso  la 

parola  ancora  visibile  dal  verso;  e  sopra  fu  ingommato  un  lisiino  di 
carta  su  cui  si  stampò:  "  arrestano  „t  Sarebbe  mai  stato  quel  verbo, 
irriconoscibile  per  ogni  buon  italiano,  ad  indurre  in  errore  quell'eccel- 
lente  nostro  concittadino  che  fu  don  Felice  Calvi,  sì  da  fargli  scorgere 
nel  decreto  del  19  maggio  l'ordine  d'imprigionamento  dei  *  signori  ses- 

*  santa  decurioni,  con  l'intero  tribunale  di  provvisione  „?  (//  castello 
visconteo-sforzescOf  p.  433). 

(i)  Mentre  il  decreto   di   soppressione  parla   chiaro  (art.  6.*^:  ■  La 

*  congregazione  dello  Stato  composta  di  13  membri,  incaricata  dell' am- 

*  ministrazione  in  tutta  la  Lombardia,'  è  provvisoriamente  ritenuta  nelle 

*  funzioni  che  gli  erano  attribuite  dal  suo  istituto  „) ,  il  Botta,  op.  cit., 
to.  I,  L  6.',  ed  il  Papi,  Commentarti  della  rivoluzione  francese,  to.  Il,  l.  V, 
p.  158, -presentano  la  congregazione  come  una  nuova  creazione  dei 
francesi,  i  quali,  secondo  il  Peroni,  Epitome  storico^  e  secondo  l'opuscolo 
/  francesi  in  Italia,  gli  avrebbero  mutato  il  nome  in  quello  di  congresso 
di  Stato  (Congrès  cTEtat  è  nel  citato  decreto  l'equivalente  di  congrega- 
zione di  Stato,  nome  conservato  nel  testo  a  fronte,  italiano)  ed  avreb- 
bero scelto  nuovi  membri.  A.  Pingaud,  L'Italie  in  Histoire  generale, 
to.  Vili,  p.  766,  scambia  la  Congrégation  d'État  colla  nuova  municipalità. 

^)  Ciò  può  aver  dato  origine  alla  dicerìa  che  Despinoy  avesse  con  un 
suo  unico  atto  violento  soppresso  l'antica  autonomia  comunale.  Il  generale 
procedette  clamorosamente  in  Broletto  ad  una  cerimonia  pubblica,  mentre 
quella  —  essenziale  —  nel  palazzo  arciducale  fu  ben  più  modesta. 


DA    MEMORIE   INEDITE    DI    DON    FRANCESCO   NAVA  353 

da  esso  fatta  nel  primo  ingresso  in  Milano  di  mantenere  in  vigore 
le  autorità  costituite,  si  rivolse  a  noi,  e  ci  invitò  tutti  a  recarsi  al 
Broletto.  Egli  volle  usarmi  la  distinzione  di  considerarmi  ancora 
per  capo  di  tutti,  e  mi  prese  a  sé  vicino,  e  mi  die  il  primo  posto 
dopo  il  suo  nella  carrozza,  dove  invitò  pure  ad  entrare  altri  due, 
e  vi    vennero   il   marchese   Bossi  (i),   ed   il    conte   Bolognini  (2). 

(i)  Il  marchese  Benigno  Bossi  (1731  -  1815)  era  ciambellano  di 
S.  M.  I.  R.  A.,  assessore  delegato  alle  vittovaglie  (con  5000  lire  annue 
dalla  cassa  civica  provinciale),  uno  dei  2  decurioni  della  congregazione 
municipale,  membro  della  congregazione  militare,  deputato  del  L.  P. 
della  Stella  e  di  quello  delle  4  Marie.  Fu  caricato  di  molteplici  incom- 
benze negli  ultimi  giorni  di  vita  del  consiglio  generale.  11  5  maggio  fu 
uno  dei  4  scelti  per  salvaguardare,  sotto  la  guida  di  P.  Verri,  i  diritti 
minacciati  *  di  questo  pubblico  „  e  dei  creditori  del  Banco  S.  Ambrogio  ; 
fece  parte  della  maggiore  delle  due  deputazioni  elette  per  incontrare 
le  autorità  militari  francesi  ed,  in  tale  qualità,  trovossi  il  14  all'ingresso 
di  Massena.  Infine  il  16  maggio  era  designato  col  Melzi  a  rappresentare 
consiglio  e  municipio  per  la  prestazione  del  giuramento  nelle  mani  di 
Buonaparte.  Nella  stessa  seduta,  quale  preposto  alle  vettovaglie,  av- 
vertiva il  consiglio  generale  non  potersi  continuare  più  oltre  a  soddi- 
sfare le  requisizioni  colle  casse  sigillate,  sì  che  i  decurioni  si  decisero 
a  reclamare.  Nel  1799  fu  membro  della  congregazione  delegata.  Nel  1792 
era  già  stato  deputato  a  prestar  il  giuramento  d'omaggio  e  fedeltà  in 
nome  del  consiglio  generale  di  Milano.  (Archivio  di  Stato,  Potenze  sO' 
vrane).  Abitava,  nel  1796,  in  contrada  di  S.  Maurilio  3622. 

(2)  Gian  Giacomo  Attendolo  Bolognini,  nato  nel  1734,  fu  uomo  di 
mondo,  che  saggiò  anche  la  carriera  delle  armi  negli  eserciti  imperiali» 
e,  rimpatriato,  si  dedicò  alle  magistrature  cittadine.  Nel  1796  era  asses- 
sore delegato  alle  strade,  pure  con  L.  5000,  uno  degli  aggiunti  ai  dele- 
gati sopra  le  pubbliche  occorrenze,  deputato  dell'ospedale,  membro 
della  congregazione  militare.  Nominato  ai  10  di  maggio  maestro  di 
campo  della  milizia  urbana  per  P.ta  Vercellina,  rinunciava  dopo  6  giorni. 
Ostaggio,  sarebbe  stato  imprigionato  solo  a  S.ta  Margherita,  secondo  il 
Calvi,  Famiglie  notabili  milanesi,  Attendolo  Bolognini,  tav.  Vili,  linea  C 
Infatti  il  FoscARiNi  non  lo  registra  nell'allegato  e  al  dispaccio  106,  ove 
elenca  gli  hnprigionati  al  palazzo  di  giustizia.  Il  vicario,  in  memorie 
intomo  all'odissea  degli  ostaggi  che  fanno  seguito  a  queste  sull'inva- 
sione francese  e  che  speriamo  poter  presto  pubblicare,  narra  che  il 
nome  del  Bolognini  era  scritto  accanto  al  suo  nel  mandato  d'arresto 
presentatogli  la  mattina  del  24  maggio,  ma  non  lo  nomina  poi  fra  i  suoi 
compagni  di  prigionia  in  quei  primi  giorni.  Il  Bolognini  fu  poi  anch'egli 
nel  1799  membro  della  congregazione  delegata.  Aveva  sposato  la  mar- 
chésa Anna  Margherita  Pallavicino  Triulzio.  Abitava  in  strada  del  Mo- 
lino delle  armi  3737. 


354  L*  INVASIONE   FRANCESE   IN   MILANO  (1796) 

Quanto  opportuna  fu  mai  per  noi  cotesta  distinzione!  Mentre  noi 
cammin  facendo  ci  trattenimo  a  discorso  col  generale»  abbiamo 
schivato  alcuni  minuti  di  berlina,  a  cui  furono  esposti  gli  altri  ob- 
bligati a  recarsi  al  Broletto  a  piedi,  i  quali  dovettero  sentire  i  più 
iniqui  improperj  della  ciurmaglia  disposta  sulle  strade.  Da  qui  era 
facile  l'argomentare,  come  la  nuova  municipalità  avesse  già  for- 
mato un  partito  (i),  ed  era  ben  naturale  l'aspettarselo,  dopocchè 
il  Club  avea  ampliato  cotanto  il  suo  catalogo.  Giunti  in  Broletto 
non  fummo  più  in  tempo  di  partecipare  regolarmente  ai  colleghi 
Decurioni,  che  stavano  là  aspettandoci,  il  risultato  di  quanto  ci  era 
avvenuto.  La  sala  del  consiglio  fu  in  un  momento  ripiena,  ed  af- 
follata in  modo,  che  più  non  vi  avea  luogo  di  muoversi.  Era  insiem 
riunita  ogni  razza  di  gente,  ed  era  prudente  consiglio  il  nascon- 
dere, se  aveamo  qualche  cosa  di  prezioso  con  noi,  per  non  espord 
al  pericolo  d'esserne  spoliati  destramente,  come  suole  talvolta  av- 
venire in  mezzo  alla  folla  del  popolo,  che  si  raduna  ad  una  cla- 
morosa pubblica  funzione.  Non  esaggero;  ho  veduto  co'  miei  occhi 
vetturini,  e  mozzi  di  stalla,  bettolinieri  e  garzoni,  malossari  e  facchini, 
fabbri  ed  artisti  de'  più  ìnfimi  della  plebe  confusi  fra  noi  ed  i  nuovi 
municipalisti,  fra  gli  ufficiali  ed  inservienti  del  pubblico  (2).  Ed  ecco 
introdotta  per  la  prima  volta  in  quel  luogo  l'eguaglianza  cotanto 
decantata.  Tutti  si  fanno  lecito  di  parlare  e  schiamazzare,  di  an- 
dare e  venire  senza  verun  atto  di  urbanità,  e  con  un*  aria  di  pa- 
dronanza, e  di  fare  persino  degli  insulti  coi  gesti  e  colle  parole,  e 
per  fino  coi  fatti  prendendosela  contro  de'  nomi  dei  Decurioni  che 
stavano  scritti  sulle  sedie  poste  nella  sala.  A  tanto  era  già  giunto 
lo  spirito  di  libertà,  ch'eraci  stato  promesso  come  un  dono  specia- 

(i)  Secodo  il  BECAxriNi,  Storia  del  menwrabiie  triennale  governo 
lett.  I,  quelli  che,  dice  egli,  insultarono  gli  espulsi  decurioni  erano  gente 
prezzolata. 

(2)  Cfr.  Per  TUBATI,  Rappresentanza  de  meneghin  ai  sciur  franzis: 

Ecco  intra  la  canaja  barettina 

Dent  in  Brovett  con  faccia  petulanta, 

Eren  a  centenàra  a  centeeàra 

£  in  d*on  bott  hin  de  aera  dalla  scàra. 

Che  badalacci  che  orror!  ch«  conftaaionl 
Quest  monta  in  pée  d'on  scagn,  quel  ri  a  settas. 
Chi  mena  i  man»  chi  guarda  d^alt  in  basa. 
T  bianc  e  ross  no  ponn  fa  resistenza, 
E  M  Vicari  el  fomiss  d' ess  Eccellenza. 


DA  MEMORIE   INEDITE   DI  DON  FRANCESCO   NAVA  355 

lissimo.  Ci  volle  per  verità  tutta  la  forza  per  resistere  a  questo 
umiliante  spettacolo,  e  questa  io  la  ottenni  alzando  di  tanto  in  tanto 
gli  occhi  al  Crocefisso,  che  stava  appeso  in  un  campo  della  sala 
attigua  alla  porta,  che  mette  alla  cappella.  Richiamando  in  mirarlo 
alla  memoria  la  serie  dei  vilipendj,  e  delle  umiliazioni  infinitamente 
niaggiori  da  Lui  innocente  sofferte  per  noi  peccatori  riconobbi  be- 
nissimo, ch'era  ben  poco  quel,  che  mi  toccava  di  patire  in  quel 
momento,  quantunque  mi  paresse,  e  dovesse  parer  gravissimo  alla 
mia  sensibilità.  A  questa  m'era  pur  d'uopo  di  dare  sfogo,  e  pro- 
curai di  farlo  col  sottrarmi  dalla  calca,  e  ritirarmi  in  un  angolo 
della  sala  accompagnato  da  alcuni  amici,  de'  quali  lo  sguardo  pie- 
toso insieme,  ed  eloquente  finiva  di  commovermi,  ed  intenerirmi. 
Ringrazio  però  il  Signore  della  costanza,  che  mi  donò,  mercè  la 
quale  sebbene  agitato  internamente  dal  più  crudele  affanno  potei 
sostenermi  senza  dar  segni  esteriori,  che  mi  avvilissero  maggior- 
mente in  faccia  alla  turba  festeggiante  pel  mio  ed  altrui  decadimento. 
Senza  il  divino  ajuto  io  avrei  creduto  di  morire  per  quel  colpo.  E 
si  che  la  cosa  durò  assai  più  lungamente  di  quello,  che  noi  potevamo 
immaginare.  U  generale  Despinoy  volle,  che  all'atto  solenne,  ch'egli 
intendeva  di  eseguire,  fussero  presenti  non  solo  gli  individui  dei 
corpi  civici,  ma  quelli  eziandio  della  Giunta  governativa  già  spi- 
rata col  giorno  14  del  mese  (i),  e  del  magistrato  politico  Came- 
rale, di  cui  n'era  decretata  l'abolizione  (2).  Fu  pertanto  mestieri 
di  rimanere  esposti  al  vilipendio  per  tutto  quel  tempo  intermedio 
fra  il  nostro  arrivo  in  Broletto,  e  quello  degli  altri  individui,  che 
là  si  sono  richiamati.  Intanto  molte  grida  miste  di  applausi,  e  di 
insulti  di  tratto  in  tratto  si  sentivano  dalla   corte,  dove  era  rac- 

(1)  Il  vicario  riteneva  invero  che  la  giunta  avesse  perduto  ogni 
potere  da  che  le  truppe  francesi  occupavano  la  città.  L'opinione,  diffusa 
fra  gli  storici^  che  tutte  le  incombenze  affidate  dall'arciduca  alla  giunta 
sieno  state  assunte  dal  consiglio  generale  è  esagerata.  Gli  atti  del  me- 
desimo consiglio  mostrano  come  col  presidente  Biondi,  membro  della 
giunta  e  verosimilmente  capo  di  questa,  il  vicario  abbia  avuto  frequente 
scambio  d' idee  all'  inizio  dell'  interregno,  mirando  a  meglio  tutelare  i! 
buon  ordine.  La  R.»  giunta  scelse  inoltre,  nelle  teme  che  il  consiglio  le 
propose,  per  le  nomine  a  cariche  vacanti  della  milizia  urbana. 

(2)  Al  BouviBR,  op.  cit,  simili  misure  d' una  barbarica  e  primor- 
diale semplicità  sembrano  naturali,  dovendosi,  pensa  egli,  rinnovare 
tosto  integralmente  il  sistema  di  governo. 

Areh,  Sior.  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  23 


35^  l'invasione  francese  in  MILANO  (1796) 

colto  un  branchio  di  persone  forse  pagate  per  quest'oggetto  (i), 
le  quali  andavano  alternando  cogli  improperj,  che  si  dicevano  e 
facevano  nella  sala. 

Finalmente  quando  piacque  al  Signore  arrivarono  i  quattro 
presidenti  della  cessata  Giunta  governativa,  ed  i  consiglieri  dd 
magistrato,  ed  in  seguito  a  loro  ritornò  pure  il  generale  Despinoy, 
il  quale  erasi  absentato  per  qualche  intervallo  di  tempo.  Ahi  vista, 
amara  vistai  Se  per  una  parte  il  sentimento  di  compassione  mi  si 
eccitò  nel  mirare  alcuni  di  essi  rispettabili  per  1'  età,  per  la  sa- 
viezza, per  il  grado  confusi  insieme  col  popolaccio,  e  fatti  parte- 
cipi senza  colpa  dell'avvilimento  e  della  abbiezione  generale,  dal- 
l'altra parte  non  potei  trattenermi  dalla  più  viva  commozione  di 
risentimento  al  vedere  alcuni  altri,  i  quali  colle  loro  massime  di 
falsa  politica  avean  fatta  la  più  crudel  guerra  al  Principato  col 
farla  alla  Chiesa,  ed  alla  religione  che  ne  era  la  soda  base,  il  fon- 
damento sicuro.  Quanti  pensieri  patetici,  e  funesti  mi  ingombrarono 
in  quest'istante  la  mente  già  agitata,  e  diedero  un  nuovo  colpo 
terribile  alla  debolezza  dell'afflitto  mio  cuore.  Sapeva  ben  io,  e  mi 
si  parò  tutto  d'innanzi  quel  che  s'era  fatto  per  ottenere  un  corre- 
gimento  di  massime  nella  materia  ecclesiastica  dai  vescovi  insieme 
e  dalla  congregazion  dello  Stato,  e  non  ignorava  com'era  stato  tutto 
attraversato  dai  ministri,  che  invece  di  difendere  i  diritti,  hanno 
sollecitata  la  perdita  della  buona  causa,  e  sorpresa  la  bontà  e  re- 
ligione dell' imperadore  che  malgrado  la  pia  credulità  d'aver  ac- 
cordate tutte  le  petizioni  fatte  dai  vescovi  non  s'è  avveduto,  che 
col  dispaccio  30  settembre  1794,  si  sono  talmente  alterate  le  sue 
risoluzioni,  che  non  fu  possibile  di  cavarne  il  bene  da  Lui  imma- 
ginato. Ma  anche  tutto  questo  dovea  riguardarsi  con  ispirilo  di 
rassegnazione  ai  voleri  di  Dio,  il  quale  pe'  suoi  impenetrabili  di- 
segni permise,  che  le  chiese  di  Lombardia  non  potessero  ricupe- 
rare la  sospirata  loro  libertà  e  nella  loro  servitù  dovessero  trave- 
dere i  segnali  e  forieri  delle  pubbliche  calamità  ed  afflizioni,  che 
presto  avrebbero  desolati  i  popoli.  Dopo  queste  riflessioni,  che  non 
ho  potuto  a  meno  di  fare,  ripiglio  la  serie  dei  fatti.  II  generale 
Despinoy  verificata  la  presenza  di  tutti  gli  individui  da  esso  ricer- 
cati montò  sulla  cattedra  altre  volte  da  me  occupata   e  circondato 

(i)  Cfr.  nota  i  a  pag.  354. 


DA   BfEMORIE   INEDITE    DI    DON   FRANCESCO   NAVA  357 

dalla  folla  incominciò  a  parlare.  Fece  il  proemio  del  suo  discorso 
con  un'enfasi,  ed  una  forza  tale,  che  è  difficile  il  poterlo  spiegare. 
Un  toro,  che  mugge,  un  lione,  che  rugge,  un  serpente,  che  sibila, 
sono  vive  immagini  per  comprendere  con  quale,  e  quant'alto  tuono 
di  voce  spirando  fuoco  dagli  occhi,  e  terrore  dal  volto  egli  par- 
lasse. Lesse  l'editto  delle  soppressioni  delle  autorità  in  esso  enun- 
ziate,  e  della  creazione  della  nuova  municipalità,  ed  alla  lettura  vi 
aggiunse  varj  suoi  riflessi,  ed  indi  fra  gli  applausi  della  gran  turba 
raccolta  nella  sala  ripetuti  da  quella,  che  stava  nella  corte  passò 
a  dichiarare,  che  d'allora  in  poi  non  avean  più  vigore  le  passate 
autorità,  ch'erano  annientati  i  loro  poteri,  distrutte  le  prerogative, 
soppresse  le  facoltà,  e  dovea  soltanto  essere  considerata  la  nuova 
municipalità  e  la  congregazion  dello  Stato.  Nuovi  applausi  e  nella 
sala  e  nella  corte,  e  sempre  più  vivi  fecero  eco  ai  discorsi  del  ge- 
nerale. Egli  domandò  in  appresso  gli  individui  trascelti  o  confer- 
mati in  funzionari  pubblici  a  prestare  il  giuramento,  del  quale  se 
ne  dispose  tosto  la  formola  secondo  le  istruzioni  del  generale  dal 
segretario  Perabò  (i).  Vedendo  allora  eh'  era  affatto  inutile  la 
mia  presenza,  e  conoscendo  d'altronde,  che  la  mia  debolezza  re- 
stava esposta  a  disgustosi  cimenti  procurai  alla .  meglio  di  sot- 
trarmi dalla  folla,  e  di  uscir  dalla  sala,  ed  incontrato  il  mio  amico 
Castiglioni  (2),    che   disponevasi    a    fare    lo   stesso,   il    pregai   di 


(i)  Don  Giuseppe  Perabò  era  segretario,  ricevendo  dalla  cassa 
civica  provinciale  con  annuo  salario  di  L.  3500. 

(2)  U  decurione  don  Alfonso  Castiglioni^  figlio  di  Ottavio  e  di 
Teresa  del  conte  Gabriele  Verri,  era  stato  creato  conte  nel  1774  da 
Maria  Teresa.  Dal  1791  risiedette  a  Vienna,  deputato  dello  Stato  di 
Milano  presso  quella  corte  ;  e  fu  durante  tutto  quel  perìodo  in  continua 
corrispondenza  intima  e  d'affari,  coll'amico  Nava.  Nel  1796  egli  era  gen- 
tiluomo di  camera  di  S.  M.  I.  R.  A.  uno  dei  deputati  al  governo  del- 
l'Ospitale Maggiore,  uno  dei  membri  dell'ammiranda  fabbrica  del  Duomo 
di  Milano.  Anche  il  Castiglioni,  in  quei  giorni  del  maggio  1796,  di  con- 
tinuo lavoro  per  pressoché  tutti  i  maggiorenti  del  consiglio  generale, 
dovette  adempiere  molteplici  incarichi.  La  mattina  del  9  maggio  fu  il 
Castiglioni  quegli  che  riportò  maggior  numero  di  voti  nella  prima  scelta 
di  delegati  del  consiglio  presso  i  comandanti  francesi.  L'ii  veniva  de- 
legato, avendo  a  compagno  il  collega  conte  Angelo  Serponti,  per  re- 
carsi al  castello  ad  esporre  al  comandante  Lamy  la  preghiera  dei  de- 
curioni, affinchè,  possibilmente,  nella  sua  prossima  difesa,  risparmiasse 


358  L*  INVASIONE   FRANCESE    IN   MILANO  (1796) 

prendermi  a  compagno,  e  di  condurmi  a  casa.  Passammo  dalla 
parte  più  nascosta  del  Broletto,  e  dove  non  vedevasi  union 
di  persone.  Ma  all'uscire  m'incontrai  con  qualche  buon  portiere, 
e  con  alcuni  ufficiali,  che  mi  presero  per  la  mano,  e  colle  lagrime, 
e  coi  sospiri  tentarono  di  far  vacillare  la  mia  costanza.  M'affrettai 
perciò  a  sottrarmi  da  loro,  ed  intenerito  bensì  e  commosso,  ma 
non  avvilito  scesi  le  scale  e  montai  in  carrozza  coU'amico,  che  mi 
fu  d'un  sommo  conforto  in  tutta  la  strada,  su  cui  molti  oggetti  mi 
si  afiacdarono  ad  inasprirmi  vienunaggiormente  la  piaga  profonda 
che  aveo  aperta  nel  cuore.  Arrivai  finalmente  a  casa,  e  nel  seno 
della  famiglia,  che  stava  ansiosamente  aspettandomi,  e  dove  non 
potevami  mancare  più  conforto.  Di  fatti  non  so  esprimere  quanto 
mi  sia  esilarato.  Aveo  la  sorella  puerpera,  cui  non  potei  fare  com- 
pagnia anche  per  poco  ne'  nove  giorni  trascorsi  dal  suo  parto.  Era 
per  me  un  pensiero  molto  angustiante  il  riflettere  quanto  facilmente 
essa  avrebbe  potuto  soffrire  a  trovarsi  in  quello  stato  ne'  più  cri- 
tici momenti.  Ma  qui  pure  lavorò  la  Provvidenza,  ed  essa  non  ha 
mai  passato  im  puerperio  più  felice.  Liberato  dalle  cure  d'una  ca- 
rica, che  mi  ha  tanto  occupato  nel  lungo  periodo  della  sua  durata, 
e  che  negli  ultimi  giorni  m'era  divenuta  oltre  ogni  credere  pesan- 
tissima, meditavo  già  di  passare  giorni  tranquilli  in  un  riposo,  di 
cui  sentivo  tutto  il   bisogno  (i).  Incominciai  di   fatti  a  gustarne  le 

la  città.  11  14,  il  Castiglioni  assisteva  dunque,  fra  i  deputati  dei  corpi 
civici,  al  solenne  ingresso  di  Massena.  U  15  maggio  accompagnava  il 
vicario  nella  prima  visita  a  Buonaparte;  verso  le  ore  6  doveva  esser 
ritornato  in  Broletto,  che  gli  toccò  l'incresciosa  missione  di  dover  as- 
sistere, dopo  aver  vanamente  contrastato  col  commissario  Léorat,  alla 
apposizione  dei  suggelli  alle  casse  civiche.  Nel  1814,  il  Castiglioni  fu 
di  nuovo  deputato  di  Vienna,  ma,  prevalsi  ormai  nell'Impero  i  metodi 
dispotici,  vi  fu  solo  per  umiliare  gli  omaggi  della  Lombardia  all'Impe- 
ratore. Fu  quindi  eletto  deputato  nella  congregazione  centrale.  Fu  com- 
petente in  botanica,  come  il  fratello  Luigi,  il  celebre  viaggiatore.  Abitava 
in  contrada  del  Cappuccio,  n.  2889. 

(i)  Sembra  pertanto  che  il  Vicario  non  avesse  parte  nel  tentativo 
di  taluni  decurioni  per  giustificare  la  loro  condotta,  sovra  tutto  colla 
stampa  dell'opuscolo  "  Gli  amici  dell'ordine  „  attribuito  al  Melzi.  Narra 
il  CusANi,  op.  cit.  IV,  p.  366,  che  il  Saliceti  temendo  fossero  messi  in 
troppa  luce  i  suoi  intrighi  coi  demagoghi,  soppresse  arbitrariamente 
l'opuscolo.  Crede  il  Cusanì  che  i  capi  della  Società  popolare,  avendone 
avuto  notizia,  se  ne  giovassero  per  ottenere  l'arresto  dei  decurionL  Ma 


DA   MEMORIE   INEDITE   DI   DON   FRANCESCO  NAVA  359 

prìmizìe  ne'  primi  due  giorni  di  domenica  (i),  e  lunedi,  che  pas- 
sai intieramente  in  famiglia.  Il  lunedì  però  rinserrato  in  casa  do- 
vetti agitarmi  per  un  improvviso  rumore,  che  sollevossi  in  città 
prima  alla  mattina  (2)  sofura  un  falso  allarme  di  un'uscita  fatta  dal 
castello  di  alcuni  croati  (3)  indi  al  dopo  pranzo  (4)  per  uu  rumor  po- 
polare seguito  sulla  piazza  del  duomo,  e  suscitato  da  alcuni  libertini 
i  quali  ebbero  l'audacia  di  mettere  in  derisione  le  sagre  e  pie  fun- 
zioni, che  si  eran  fatte  in  Milano  la  settimana  precedente  l' arrivo 

è  questo  un  punto  che  converrebbe  chiarire  maggiormente,  né  dispe- 
riamo di  farlo,  ove  ce  ne  porgano  il  destro  altri  ricordi  di  D.  Fran- 
cesco Nava. 

(i)  La  domenica  il  generale  Massena  riparti  per  il  campo  (Fo- 
scARiNi,  n.  105).  Buonaparte  lo  se^ui  il  lunedì. 

(2)  Già  nella  notte  dal  22  al  23,  il  popolo  aveva  temuto  una  sor- 
tita della  guarnigione  del  Castello  (Peroni,  Epitome  storico;  Becattini, 
op.  cit.,  Lett,  IL')  . 

(3)  Il  panico  fu  vivo,  ma  di  breve  durata  (Becattini,  loc.  cit; 
Peroni,  loc.  cit.).  Secondo  il  Becattini,  anche  i  soldati  francesi  dispersi 
per  le  strade  si  diedero  alla  fuga.  I  croati  non  escirono  però,  quel 
giorno,  che  nella  fantasia  del  popolo  ed  in  quella,  forse  più  fervida,  di 
alcuni  storici  (Michaud,  Vie  abrégée  de  Napoléon  Buonaparte^  to.  I,  p.  51  ; 
De  Norvins,  Histoire  de  Napoléon,  to.  I,  e.  III,  p.  164),  i  quali  connettono 
la  sortita  coi  tumulti  dei  dì  seguenti.  Secondo  il  Calvi,  Vicende  del  Monte 
di  Pietà,  p.  105,  l'orìgine  del  panico  dovrebbe  ritrovarsi  in  un  tratto  di 
spirito  d'un  certo  Camozzi,  pignoratario  privato.  In  seguito  agli  af- 
fari conclusi  con  costui,  dettagliatamente  descritti  dal  Calvi,  molti  po- 
polani non  potevano  approfittare  della  restituzione  dei  piccoli  pegni, 
largita  in  quei  giorni,  essendo  i  loro  biglietti  presso  il  Camozzi.  Face- 
vano pertanto  ressa  all'abitazione  di  lui  sul  corso  di  P.  Ticinese  al 
n.  3479.  Per  liberarsene  il  furbo  uomo  *  non  trovò  migliore  spcdiente 
"  che  dì  mandare  in  istrada  un  proprio  commesso,  il  quale,  fìngendo 

*  di  arrivare  in  quel  punto  sul  posto,  tutto  trafelato,  gettò  tra  la  gente 

*  la  notizia  essere  li  per  sopraggiungere  una  masnada   di   croati,  i 

*  quali,  tenendo  ancora  il  Castello  per  l'imperatore,  si  sarebbero,  di- 
'  ceva  lui,  sprigionati  a  scorazzare  furibondi  per  la  città.  Questo  an- 
"  nunzio  bastò  per  mettere  lo  spavento  nei  tumultuanti.  Sì  chiusero 
"  prestamente  le  botteghe,  si  sbarrarono  i  portoni,  e  fu  gran  ventura 
"  se,  in  quel  fuggi  fuggi,  asserisce  un  testimonio  oculare,  la  guardia 

*  nazionale  si  tenne  dal  darla  a  gambe  „. 

(4)  ^  Mancavano  tre  .ore  al  tramontare  del  sole  „  (Becattini,  loc. 
cit.).  Il  Papi,  Commentari  della  Rivoluzione  francese^  to.  II,  1.  V,  sembra 
credere  che  il  tumulto  avvenisse  giorni  addietro,  quando  fu  piantato 
dai  clubisti  l'albero  della  libertà  in  piazza  del  Duomo. 


360      l'invasione   francese    in   MILANO  (1796)  DA   MEMORIE,  ECC 

dei  francesi  (i).  Si  fecero  tosto  chiudere  le  porte  della  casa  sul- 
l'esempio di  quanto  avean  fatto  gli  altri  (2),  ma  in  breve  spazio 
di  tempo  cessò  ogni  perìcolo,  tutto  fu  tranquillo,  ed  è  venuta  la  nuova 
che  non  era  seguito  alcun  male.  Mi  acquietai  per  quel  momento, 
ma  considerando  in  questi  prìncipii  di  commozioni  popolari  i  fo- 
rieri di  più  gravi  disordini  nell'avvenire  stavo  ideando  di  recarmi 
presto  in  campagna  per  sottrarmi  dai  rumorì  e  dalle  inquietudini 
della  città,  e  rinvenire  un  asilo  di  più  sicura  quiete  e  tranquillità. 
Con  questo  pensiero,  cui  gli  stessi  miei  fratelli  mi  animavano  ad 
effettuare  sollecitamente,  me  n'andai  la  sera  al  riposo.  Ma  quanto 
sono  mai  fallaci  i  disegni  degli  uomini  !  U  Signore  avea  disposto 
di  farmi  passare  per  una  trafila  di  tribolazioni  assai  maggiori  nel- 
l'atto medesimo,  eh'  io  disegnava  di  andar  cercando  quiete,  riposo 

e  conforto. 

G.  Gallavresi. 

F.  Lurani. 


(i)  11  solo  Mantovani,  Diario  politico-ecclesiastico  ^  to.  I,  accenna  a 
motteggi  di  clubisti  intorno  a  pie  pratiche  come  origine  del  tumulto. 
Il  Verri,  che,  allora  municipalista,  doveva  conoscere  bene  quei  fatti, 
dice  che  la  causa  dei  moti  deve  riscontrarsi  nello  sfavore  con  cui  la 
maggioranza  del  popolo  aveva  visto  crescere  in  potenza  la  Società  po- 
polare ed  abbattersi  cosi  inonoratamente  gli  antichi  corpi  civici.  {Storia 
dell'invasione^  p.  399-400).  E,  poiché  non  mancavano  (V.  Becattini,  op. 
cit.,  Cusani,  op.  cit.,  FoscARiNi)  le  occasioni  offerte  dagli  eccessi,  dalle 
stravaganze,  dagli  schiamazzi  di  taluno  dei  clubisti,  questi  furono  in- 
sultati, specialmente  un  certo  Arion,  lorenese,  ed  il  Salvador,  ed  anche 
picchiati.  Ciò  avvenne  nella  piazza  del  Duomo,  ove  si  tentò  (V.  Verri, 
Lettere  e  scritti  inediti  IV;  Becattini,  op.  cit;  Cubani,  op.  cit  IV.;  Pe- 
roni, Epitome  storico;  Storia  de If  anno  7796)  di  abbattere  l'albero  della 
libertà.  Il  Lee,  Campaigns  of  Napoleon,  p.  88,  dice  a  torto  che  l'albero 
fu  fatto  a  pezzi. 

(2)  Despinoy  accorse  colla  cavalleria  ed  intimò  a  tutti  di  rinca- 
sare e  di  chiudere  case  e  botteghe  (Becattini,  Cusani). 


VARIETÀ 


Valenza  venduta  a  Pavia  nel  1207. 


(Documento  del  Museo  Civico  di  storia  patria  di  Pavia). 


NUTO  di  S.  Giorgio,  dopo  narrata  la  morte  di  Bo- 
nifacio III  di  Monferrato  re  di  Tessaglia,  avvenuta  per 
ferita  nella  battaglia  di  Sataleia,  nel  1207,  comincia  a 
scrivere  di  Guglielmo  Sesto  suo  primogenito,  t  a  cui  essendo  arri- 
vata la  nuova  della  morte  del  padre  a  Sataleja,  Tanno  millesimo 
ducentesimo  settimo,  alli  quindici  del  mese  d'agosto,  impegnò  a 
Gerardo  Farra  stipulante  in  nome  della  città  di  Pavia,  tutto  il 
Borgo  di  Valenza  col  Castello,  porto  et  ogni  giurisdizione  a  sé 
pertinente,  per  prezzo  di  libre  quattro  mila  di  moneta.  Et  avendo 
deliberato  di  assicurare  il  fratello  Demetrio  nel  regno  di  Tessalia 
et  ritrovarsi  alla  coronazione  sua,  con  molti  stipendiati  navigò  in 
Tessalia,  dove  stette,  per  fin  tanto  che  Enrico  Imperatore  ebbe  co- 
ronato Demetrio  di  esso  Regno  ;  e  poiché  le  cose  furono  ridotte 
in  buon  termine,  se  ne  ritornò  in  Monferrato,  et  Demetrio  rimase 
in  Grecia  (i)i. 

Sulla  scorta  di  Benvenuto,  anche  il  Corio  affermò  che  nel  1207 
a*  15  d'agosto  Guglielmo  genito  di  Bonifacio  illustre  Marchese 
di  Monferrato,  a  Girardo  di  Farra,  quale  come  Podestà  contrat- 
tava i  nomi  (sic  per  in  nome)  della  Comunità  di  Pavia,  fece  ven- 
detta (sic  per  vendita)  di  tutto  il  Borgo  di  Valenza,  il  Castello,  et 
porto  con  ogni  giurisditione  a  sé  pertinente  per  pretio  di  libre  400 
(sic)  di  moneta  (2)1. 

(i)  Benvenuto  di  SJ  Giorgio,  Hist,  M,  Ferrati  in  R.  L  SS,,  XXIII, 
col.  372. 

(2)  Bern.  Corio,  L'hisioria  di  Milano^  etc,  Venezia,  Bonelli,   1554, 

p.  77  recto. 


3^2  VALENZA  VENDUTA  A  PAVIA  NEL  120^ 

Girolamo  Bossi,  citato  dal  Robolini  (i),  nella  sua  ms.  Storia 
Pavese  racconta  il  fatto,  allegando  un  Breve  discorso  della  Causa 
di  Monferrato  per  il  Duca  di  Savoia  :  anche  il  Bossi  parla  però  di 
impegno  non  di  vendita.  Lo  stesso  Robolini  poi  aggiunge  che  tsic- 
€  oome  il  Comi  in  una  scheda  attesta  che  esistesse  nel  nostro  Archi- 
tvio  Municipale  un  atto  autentico  in  data  delli  15  Kal.  Augu- 
tsti  1207  portante  il  titolo  di:  e  Instrumentum  venditionis  terre 
€  Valentie  pretii  lib.  4000  Papiae  f  acte  a  D.  Gulielmo  filio  D.  Bo- 
tnifatii  do  Monferrato  marchionis  favore  civitatis  Papiae,  recq>- 
ttum  per  Apollinarem  de  Sancta  Agata  imper.  notarium»  così  si 
€  dovrebbe  ritenere  che  il  Marchese  del  Monferrato  qualificasse  per 
€  contratto  pignoratizio  la  vendita  suddetta  per  essersi  nella  me- 
tdesima  apposto  a  di  lui  favore  il  patto  di  ricupera  o  riscatto  (2)1. 

Avendo  rinvenuto  nelle  Pergamene  del  Museo  Civico  di  Pa- 
via (3) il  documento  già  visto  dal  Comi,  mi  è  facile  con  esso  togliere 
le  incertezze  che  le  parole  di  Benvenuto  da  S.  Giorgio  avevano 
causato  e  correggere  alcune  inesattezze  che  pur  dipendono  da  Iul 
Come  si  vedrà  dal  documento,  che  qui  fa  seguito,  trattasi  di  ima 
vera  e  propria  vendita  che  Guglielmo  di  Monferrato  fa  del  borgo 
di  Valenza  a  Pavia.  Non  è  detta  una  parola  che  autorizzi  a  cre- 
dere fosse  la  cessione  temporanea,  o  semplice  p^no  e  garanzia  ;  né 
meno,  come  cercò  di  spiegare  il  Robolini,  è  apposta  nell'istrumento 
di  vendita  la  clausola  del  riscatto.  Cosi  pure  è  da  correggere  la 
data  del  15  agosto  messa  innanzi  da  Benvenuto  e  dal  Corio; 
poiché  la  vera  è  quella  del  18  luglio  {XV  Kalendas  Augusti)  :  ed 
è  da  correggere  il  nome  del  podestà  di  Pavia  compratore,  che  non 
è  Girardo  da  Farra,  sì  bene  Girardo  de  Fante,  oome  d*altronde  già 
aveva  avvertito  il  Robolini. 

La  pergamena  da  cui  trascrissi  il  documento,  non  è  quella  dei- 
Tatto  originario,  rogata  e  scritta  dal  notaio  Apollinare  da  San- 
t'Agata :  é  invece  una  copia  fatta  dal  notaio  Petracio  de  Vicino, 
per  ordine  dd  vicario  del  podestà  di  Pavia,  nel  gennaio  del  1236. 
Un'altra  trascrizione  dello  stesso  atto  fu  fatta  nel  1303  per  ordine 
di  Guido  Langosco  vescovo  di  Pavia  e  anche  questa  copia  si  con- 
serva fra  le  pergamene  del  Museo  Civico  (4). 

Le  parole  di  Benvenuto  da  S.  Giorgio  sopra  riportate  dicono 
probabilmente  anche  la  ragione  della  vendita  di  Valenza.  Al  mar- 

(i)  G.  Robolwi,  Notizie  appari,  alla  storia  della  sua  patria,  voi.  I» 
par.  I,  p.  76. 

(2)  Idem,  ibidem,  p.  77. 

(3)  Pergamene  comunalf,  n.  28,  cartella  I. 

(4)  Ibidem,  n.  123. 


VALENZA  VENDUTA  A  PAVIA  NEL  I207  363 

chese  Guglielmo  che  voleva  affrettarsi  verso  il  regno  del  fratello 
Demetrio,  e  che  pel  lungo  viaggio  abbisognava  di  una  forte 
somma,  fu  necessità  alienare  quel  borgo,  che  così  cominciò  forse 
ad  avere  col  territorio  pavese  quelle  relazioni  strettissime,  di  cui 
rimase  sino  a  tempi  vicini  il  ricordo  nella  sua  soggezione  spirituale 
alla  diocesi  di  Pavia. 

Quantunque  sin  dai  i6  agosto  1207  Guglielmo  di  Monferrato 
desse  al  podestà  di  Pavia  l'immissione  nel  possesso  materiale  di 
Valenza,  come  appare  ^1  nostro  documento,  i  Pavesi,  non  sap- 
piamo per  quali  circostanze,  dovettero  alcuni  anni  dopo  fame  re- 
trocessione al  marchese.  Benvenuto  di  S.  Giorgio  scrive:  e  L'anno 
e  Millesimo  ducentesimo  sesto  decimo,  nella  quarta  indizione,  il 
€  Mercoledì,  al  li  sei  d'Aprile,  i  Pavesi  richiedettero  il  Marchese  Gu- 
€  glielmo,  che  per  osservanza  delle  promesse  fatte  per  lui,  nel  tempo 
«  che  gli  diedero  in  pegno  il  Borgo  eCastello  di  Valenza,  lo  dovesse 
€  rimettere  in  mani  loro  :  il  che  si  contentò  di  fare,  con  le  riserve 
€  però,  convenzioni  e  patti  che  si  contengono  in  uno  stromento  ro- 
€gato  da  Alberto  notaio  palatino,  alla  presenza  di  M.  Assaglito  di 
e  Santo  Nazaiio,  Rainerio  di  Corte,  Guglielmo  de  Negri,  Ruilmo 
€  Arduino  et  Ferrano  di  Valenza  (i)i.  La  notizia  è  molto  compen- 
diosa e  i  troppi  sottintesi  a  cui  dà  luogo  non  permettono  di  com- 
pletamente spiegarla.  Però  possiamo  con  fondamento  supporre  che 
in  questo  strumento  del  12 16,  mentre  Guglielmo  accondiscendeva 
in  genere  alla  domanda  dei  suoi  amici  Pavesi,  ponesse  quella  re- 
strizione alla  cessione  di  Valenza,  che  non  aveva  potuto  mettere 
stretto  dal  bisogno  nell'istromento  del  1207.  Alludo  alla  clausola 
di  rivendicazione  del  possesso  di  Valenza,  non  appena  gli  fosse 
stato  possibile  restituire  ai  Pavesi  le  quattromila  lire  avute  per 
quella  vendita. 

Con  dò  si  potrebbe  spiegare  la  incertezza  degli  storici  nella 
determinazione  della  natura  dell'atto  del  1207.  Questo  fu  effetti- 
vamente una  vendita  ed  una  cessione  assoluta  :  la  clausola  del 
riscatto  fu  aggiunta  solo  nel  1216  ;  per  cui  il  pignoramento  di  Va- 
lenza di  cui  parlano  Benvenuto  ed  il  Cono  se  non  può  riferirsi 
al  primo,  ha  suo  fondamento  in  questo  secondo  atto.  Ciò  è  tanto 
più  probabile  in  quanto  che  nell'atto  24  marzo  1224  stipulato  a 
Catania,  il  marchese  Guglielmo  per  garantire  un  debito  di  nove- 
mila marchi  coloniesi  contratto  con  Federico  II,  concede  all'im- 
peratore anche  i  suoi  diritti  su  Valenza  che  dice  essere  t  in  pignore 
€a  Papiensibus  prò  libris  quatuor  millibus  (2)1. Valenza  non  è  dun- 

(i)  Benvenuto  di  S.  Giorgio,  loc.  cit.,  col.  373. 
(2)  Idem,  loc.  cit.,  col.  377. 


364  VALENZA  VENDUTA  A  PAVIA  NEL  1207 

que  più  proprietà  assoluta  dei  Pavesi  :  è  una  semplice  garanzia,  il 
pegno  del  debito  del  1207. 

Non  si  hanno  indizii  che  i  marchesi  di  Monferrato  riuscissero 
a  svincolare  Valenza  dai  Pavesi  :  anzi  il  fatto  che  ancora  nel  1303 
si  fanno  a  Pavia  autenticamente  estrarre  copie  dagli  originali 
della  primitiva  obbligazione  e  cessione  di  Guglielmo,  può  indicare 
che  il  suo  debito  era  tuttora  acceso  e  che  i  Pavesi  conservavano  i 
loro  diritti  su  Valenza, 

^Rodolfo  Majocxhl 


DOCUMENTO 


Anno  dominice  nativitatis  millesimo  ducentesimo  septimo  in- 
didone  decima,  die  mercurii  quintodecimo  kalendas  augusti,  io 
Papia.  In  nomine  [sancte]  et  individue  trinitatis  Amen.  Dominus 
Guillelmus  &lius  domini  Bonefacii  de  Monteferrato  Marchionis 
prò  precio  librarum  quatuor  millium  monete  papié  vendidit  et 
tradidit  domino  Girardo  de  fante  papié  potestati  recipienti  ipsam 
venditionem  nomine  comunis  papié,  nominative  totum  locum  va- 
lende  sive  burgum  valencie  cimi  castro  et  curte  et  portu  sive  tra- 
verso et  curtibus  sive  curiis  et  territoriis  et  ami  onmi  iurisdictionc 
et  districtu,  pladtis,  fodris,  bannis,  albergariis,  dacitis,  toloneis, 
pedag^is,  curadiis,  exerdtibas  et  cum  juribus  fadendi  pacem  et 
guerram,  angariis,  parangariis,  vasallis,  rebus  vasallarìis,  arimanis 
et  arimaniis,  aquis,  piscationibus  et  ripis  aquarumque  decursibus 
et  volucnmi  captionibus  et  aquis  ductilibus  et  fluviis  et  omnibus 
rationibus  conditionibus  et  rd>us  et  iurisdictionibus  ipsi  domino 
Guillelmo  pertinentibus  [vel  eius  ?]  patri,  seu  spectantibus,  etc 

Insuper  cessit  et  dedit  eidem  potestati  suprascripto  nomine 
omnia  iura  et  actiones  realia  et  personalia  que  et  quas  ipse  vd 
pater  dus  habebat  contra  comune  valende  et  contra  quascumque 
personas  valencie  :  Eo  modo  vel  ordine  ut  decetero  predictum  co- 
mune vel  rector  dusdem  comunis  seu  rectores  nomine  suprascripti 
comunis  papié  qui  sunt  et  fuerint,  habeant  et  detineant  suprascrip- 
tum  locum  sive  burgimi  ctmti  castro  et  curte  et  portu  sive  traverso 
et  curtibus  et  territoriis  et  insulis  et  moltis  valende  et  cima  omni- 
bus f>ertinenciis  et  cum  omnibus  suprascriptis  ut  dictum  est  et  coi 
dederint  et  fadant  exinde  quicquid  voluerint  sine  contradictionc 


VALENZA  VENDUTA  A  PAVIA  NEL  I207  365 

suprascrìpti  domini  Guillelmi  Marchionis  £lii  domini  Bonefacii 
suique  heredum  et  cum  eonim  defensione  ab  omni  persona  cum 
ratione.  Et  ita  eidem  potestati  nomine  comunis  papié  promisit 
attendere  et  firmum  tenere.  Insuper  predictus  dominus  Guillelmus 
filius  domini  Bonefacii  marchionis  montis  ferrati  promisit  eidem 
potestati  recipienti  ipsam  promissionem  nomine  comunis  papié 
quod  si  eidem  comuni  papié  vel  alicui  rectori  vel  rectoribus  co- 
munis papié  prò  ipso  comuni  vel  nomine  comunis  papié  imbriga- 
mentum  aliquod  apparuerit  et  dampnum  exinde  comuni  vel  cui 
dederint  iure  vcl  more  cvcnerit,  restituet  eis  totum  ipsum  damp- 
num. Et  prò  precio  huius  vendicionis  et  dati  fuit  confessus  no- 
minatus  dominus  Guillelmus  marchio  montis  ferrati  accepisse  ab 
codem  potestate  nomine  comunis  papié  libras  quatuor  mille  mo- 
nete papié.  Renuntiando  exceptioni  non  numerati  predi  et  omni 
alii  iuri  quo  se  tucri  posset,  dicens  se  esse  deceptum  ultra  dimidiam 
insti  predi.  Et  insuper  constituit  se  possidere  et  quasi  possidere 
suprascriptum  locum  sive  burgum  cum  omnibus  suis  pertinendis 
et  castro  et  curte  et  omnibus  honoribus  condicionibus  et  rebus 
etiam  supra  dictis  nomine  iam  dicti  comunis  papié  ;  dando  eidem 
potestati  licenciam  nomine  predicti  comunis  sua  auctoritate  in- 
trandi  possessionem  suprascripti  loci  sive  burgi  cum  omnibus  suis 
pertinenciis  et  in  omnibus  suprascriptis.  Preterea  promisit  ipse 
dominus  Guillelmus  filius  domini  Bonefadi  marchionis  montis 
ferrati  ddem  potestati  redpienti  ipsam  promissionem  nomine  su- 
prascripti comunis  papié  facere  fieri  fidelitates  per  homines  va- 
lende  comuni  papié*.    Et    iuvare   predictum    comune    papié  ad 
habendum  et  manutenendum  suprascripta  omnia   que  in   pre- 
senti vel   suprascripta  vendicione   veniunt  et  continentur  et  ha- 
bendas  omnes  fidelitates  hominum  valencie  omnium  a  quatuor- 
decim  annis  in  sursum  et  septuaginta  inferius  annis.  Et  si  de  ali- 
qua  suprascriptarum  omnium  briga  vel  contemptio  comuni  papié 
apparuerit  et  guerra  inde  oriretur,  ipse  dominus  Guillelmus  mar- 
chio cum  omni  sua  f orda  adiuvabit  comune  papié  et  a  se  guerram 
f  adet  cum  omni  sua  f  orda  et  treguam  nec  pacem  f  aciet  nec  recre- 
dutam  guerram  nisi  prius  comune  papié  habuerit  fidelitates  omnes 
omnium  hominum  valende  ut  dictum  est  Et  corporaliter  d  eodem 
nomine  dabit  possessionem.  Et  hec  omnia  ita  d  suprascripto  no- 
mine promisit  attendere  et  firmum  tenere.  Preterea  iuravit  nomi- 
natus  dominus  Guillelmus  filius  domini  Bonefacii  marchionis 
montis  ferrati  versus  ipsum  potestatem  nomine  comimis  papié  re- 
dpientem  ipsum  sacramentum  et  nominative  versus  ipsum  comime 
papié  quod  predictum  locum  sive  burgum  cum  omnibus  predictis 
iuribus  honoribus  et  conditionibus  et  rebus  atque  pertinenciis  ut 


366  VALENZA  VENDUTA  A  PAVIA  NEL  T207 

supra  scriptum  et  eodem  modo  tunc  detinebat  et  quo  supra  scrip- 
tum et  carta  scriptio  traditio  obligatio  investitura  refutatio  datum 
sive  data  nec  aliqua  securitas  in  alia  parte  facta,  non  est  nocitura 
comuni  papié  vel  rectori  seu  rectoribus  eiusdem  comunis  papié 
neque  cui  dederint:  Et  abbine  in  antea  per  se  nec  per  alium  non 
habet  exinde  agere  nec  causari  nec  placitare  nec  contradicere  nc- 
que guerriare  predictum  comune  papié  nec  rectorem  sive  rectores 
papié  neque  cui  dederint  sive  quibus  dederint,  nec  etiam  fatigaie 
Et  quod  non  habet  pedagium  iungere  nec  montare  nec  f  acere  iungi 
vel  montare  per  se  neque  per  alium  alicui  homini  papié  vel  tene 
papié  nec  etiam  aliquem  hominem  papié  vel  terre  papié  capere 
nec  predare  per  se  nec  per  alium  vel  submissam  personam  prò 
facto  valetìcie  vel  occasione  valencie.  Et  si  briga  vel  contencio  ipsi 
comuni  papié  vel  rectori  seu  rectoribus  papié  aut  cui  dederint  de 
predicto  loco  vel  burgo  cum  castro  et  omnibus  honoribus  sive 
pertinenciis  de  toto,  vel  de  parte  apparuerit  et  dampnum  inde  ève- 
niret,  restituet  ìpsum  dampnum  comuni  papié  ad  quindecim  dies 
proximos  ex  quo  comimi  papié  eveniret.  Et  cartulas  omnes  ei  ve! 
suis  predecessoribus  pertinentes  in  quibus  contineatur  vel  legatur 
vel  nominetur  locus  sive  burgus  valencie  vel  aliquid  seu  aliqua  de 
pertinenciis  valencie,  rectori  papié  seu  rectoribus  nomine  comunis 
papié  dabit  usque  ad  annum  novum  kalendas  januarias  proximas 
et  si  quid  aliud  in  ipsis  contineretur  dabit  exemplum  nisi  quantum 
remanserit  parabola  rectoris  vel  rectorum  papié  de  carte  datione 
tantum.  Hec  omnia  ita  vera  sunt  et  attendere  et  observare  habet 
omnia  bona  fide  sine  fraude  et  contra  predicta  amodo  non  venirt 
si  deus  illimi  adiuvet  et  illa  sancta  dei  evangelia.  Idem  dominus 
Guillelmus  hanc  cartam  et  plures  fieri  precepit  Interfuere  bignotus 
de  zuminasco,  Gualfredus  de  turricella,  petrus  Albaricius,  petrus 
Aghiratus,  Guido  de  sycleriis,  Petrus  niger  iudex,  Albricus  de 
sancto  Systo,  Guido  Sedacius,  Bemardus  Ysenbardus  atque  Ro- 
sonatus  de  campese  testes.  Ego  Apollinaris  de  sancta  Agatha  im- 
perialis  notarius  hanc  cartam  tradidi  et  scripsi. 

(Signum  tabellionatus).  Ego  petracius  de  vicino  sacri  paladi 
notarius  autenticum  huius  capituli  vidi  et  legi  et  sic  in  eo  conti- 
nebatur  ut  in  hoc  legitur  exemplo  preter  litteram  vel  sillabam 
plus  minusve  et  hoc  exemplum  scripsi.  Et  dictum  originale  instru- 
mentimi  autenticavi  et  in  publicam  formam  redegi  mandato  do- 
mini Rufini  de  Camporumoldo  iudicis  et  vicarii  domini  Zanoni 
de  Anditu  papié  potestatis  millesimo  duecentesimo  trigesimo  scxto 
indicione  nona  die  mercurii  nono  mensis  januarii,  presentibus  tc- 
stibus  Lantelmo  Ferrario,  Detesalvo  Capello  atque  Ottone  de 
Carexano. 


VALENZA  VENDUTA  A  PAVIA  NEL  1307  3^ 


(Signum  tabellionatus).  Anno  dominice  nativitatis  millesimo 
ducentesimo  septimo  indicione  decima  die  sabati  duodecimo  men- 
sis  augusti.  Dominus  Guillelmus  filius  marchionis  Bonefacii  Mon- 
tisf errati  aput  portam  valencie  que  dicitur  de  biduino  assignando 
et  faciendo  Girardum  de  fante  potestatem  papié  ipsam  pórtam 
tajigere  et  accipere,  dedit  eidem  potestati  nomine  comunis  papié 
et  a  parte  ipsius  comunis  papié  corporalem  possessionem  et  quasi 
corporalem  et  in  eam  ipsum  dominimi  Girardum  predicto  nomine 
comunis  papié  induxit  :  Nominative  de  loco  et  turri  valencie  et 
de  illis  rebus  et  rationibus  et  honoribus  et  omni  iurisdictione  et 
gaudimentis  de  quibus  fecerat  ipse  dominus  Guillelmus  marchio 
ipsi  Girardo  nomine  comunis  papié  vendicionem  sicut  in  carta 
facta  per  Appollinarem  de  sancta  Agatha  per  omnia  continetur. 
Et  hanc  cartam  inde  fieri  rogavit. 

Interfuere  Raynerius  de  sancto  Nazario,  Johannes  bucentau- 
rus,  Guidonus  mediabarba,  Guillelmus  de  Systis,  Otto  merellus 
atque  Guifredus  filius  quondam  Castellani  de  Baseniana  testes. 

Ego  Appollinaris  de  sancta  Agatha  cui  quondam  Johannes 
carianus  sua  r^liquit  breviaria  hanc  cartam  eiusdem  quondam  Jo- 
hannis  iussu  scripsi. 

(Signum  tabellionatus).  Ego  Petracius  de  vicino  sacri  palacii 
notarìus  autenticum  huius  exempli  vidi  et  legi  sic  in  eo  contine- 
batur  ut  in  hoc  legitur  exemplo  preter  litteram  vel  sillabcim  plus 
minlisve  et  hoc  exemplum  scripsi  et  dictum  originale  instrumentum 
autenticavi  et  in  publicam  formam  redegi  mandato  domini  Rufini 
de  Camponmioldo  iudicis  et  vicarii  domini  Zanoni  de  anditu 
papié  potestatis  millesimo  ducentesimo  trigesimo  sexto  indicione 
XK)na  die  mercurii  nono  mensis  januarii.  Presentibus  testibus  Lan- 
tehno  Ferrano,  Detesalvo  Capello  atque  Ottone  de  Carexano. 


368  ANTONIO   DE*  MINUTI,  IL  BIOGRAFO  CONTEMPORANEO 


Antonio  de'  Minuti,  il  biografo  contemporaneo 
di  Muzio  Attendolo  Sforza.  (<) 


[ella  raccolta  degli  Scrittori  Italiani  del  Muratori  si  trova, 
accanto  alla  biografia  di  altri  condottieri,  anche  la  vita  di 
Muzio  Attendolo  Sforza,  scritta  da  Lodrisio  Crivelli; 
indarno  vi  si  cerca  invece  l'opera  di  Antonio  de'  Minuti,  di  Pia- 
cenza, dalla  quale  il  Crivelli  ha  attinto  la  materia.  Soltanto  nel  1869 
fu  pubblicata  dal  conte  Giulio  Porro  Lambertenghi  (2).  L'editore 
conosceva  due  manoscritti  dell'opera:  l'uno,  terminato  il  io  giu- 
gno 1490  da  Elia  del  Pozzo,  si  trova  nella  biblioteca  Trivulziana  di 
Milano;  l'altro,  ultimato  il  20  settembre  1491  da  Bartolomeo  Cam- 
bagnola  di  Cremona,  per  ordine  del  segretario  ducale  Marchesino 
Stanga,  nella  biblioteca  Nazionale  di  Parigi  (3).  D  codice  trìvulziano 
forma  la  base  dell'edizione.  Un  terzo  manoscritto  fu  da  me  scoperto 
nello  scorso  anno,  nella  biblioteca  Civica  di  Breslavia  (4). 

È  un  manoscritto  cartaceo  di  80  fogli  scritti  (25  X  20  cm.), 
legato  in  pergamena,  ed  ornato  collo  stemma  del  letterato  Tomaso 
Rehdiger  (f  1576),  dalla  cui  eredità  proviene  il  codice.  11  manoscritto 
porta  la  segnatura  R.  299.  U  foglio  I  porta  l'intestazione:  «  Initium 
«  libri  et  origo  generationis  Magnanimi  et  probissimi  viri  et  Domini 
«  Sfortie  de  Attendolis  de  Cotignola  repertum  per  Serenissimum 
«  Principem  dominum  Robertum  de  Baveria  Romanorum  regem  in 
«  Padua  anno  domino  MCCCLXXXXVII  »  {5).  Questa  intestazione 
non  si  riferisce  a  tutto  il  libro,  ma  solamente  al  racconto  dell'ori- 
gine di  Casa  Sforza,  che  va  dal  primo  sino  al  terzo  foglio.  D  testo 
di  questa  genealogica  narrazione,  incomincia  colle  parole  (fol.  i): 
«  [H]  aec  omnia  qui  legerit  ne   admirari  incipiat...  »  E   si  chiude 

(i)  Trad.  dal  manoscritto  tedesco  dell'autore. 
(a)  Antonio  Minuti,  Vita  di  Muzio  Attendolo,  edita  da  Giulio  Porro 
Lambertenghi  in  Mise,  di  stor.  ital^  VII,  95-306. 

(3)  n  codice  parigino,  appartenuto  alla  libreria  ducale  di  Pavia,  è 
splendidamente  miniato,  forse  da  fra  Antonio  da  Monza  (cfr.  D'Adda 
MoNGERi,  Vartt  del  minio  nel  ducato  di  Milano  in  Arch.  stor,  tornò.,  iSSs, 
p.  772  e  sgg. 

(4)  Io  indico  i  manoscritti  di  Milano,  Parigi,  Breslavia,  semplice- 
mente con  M,  P,  B. 

(5)  La  data  dell'anno  è  falsa;  Rutperto  del  Palatinato  diventò  re 
nel  1400  e  comparve  in  Padova  soltanto  nel  1401. 


DI  MUZIO  ATTENDOLO  SFORZA  369 

(fol.  3):  «  ...  corno  per  altre  scripture  se  può  videre  e  molte  cro- 
tf  niche.  »  Al  foglio  quarto  segue  il  titolo  della  biografia  stessa: 
»  Compendio  di  gesti  del  Magnanimo  et  gloriosissimo  Signore 
tf  Sforza  etc.  dal  tempo  da  la  soa  natività  fine  ala  morte  sua  com- 
*i  pUato  per  Antonio  di  Minuti  Piacentino  in  lanno  MCCCCLVIII  in 
«  vulgare  cioè  in  1458  in  Milano  sotto  lo  Illustrissimo  Francesco 
«  Sforza  ducha  IIII  ». 

D  testo  della  biografìa  incomincia  come  segue:  (fol.  4):  «  [P]  er 
«  che  al  mio  parere  non  e  da  pretermetere  e  lassare...  n  La  chiusa 
trovasi  al  foglio  80:  «  Li  altri  gesti  del  conte  Francesco  per  altri 
M  modi  se  descrivano  particularmente  et  ordinatamente  in  altre  carte. 
u  finito  die  24  Julii  1492.  Finis  Deo  Gratias  Amen  ». 

Il  manoscritto  venne  pertanto  terminato  nell'anno  1492.  È  ese- 
guito colla  stessa  uguale  calligrafia  a  caratteri  chiari.  Sull'ultima 
pagina  (fol.  80  b.),  sta  registrata  d'altra  mano,  con  scrittura  appena 
leggibile,  una  serie  di  annotazioni  che  sono  importanti  per  la  storia 
del  codice  (i). 

Non  potei  decifrare  le  prime  sei  linee;  sembra  che  vi  sia 
espressa  la  preghiera  per  una  inscrizione  sepolcrale.  Vi  segue  il 
poetico  epitaffio: 

Horida  morte  tenebroso  [sic]  e  scura 
Ha  posto  al  fine  imo  amoroso  core 
Quel  giace  soto  questa  pietra  dura 
La  causa  fu  gran  fede  et  tropo  amore 

Finis. 

Alla  fine,  la  innamorata  scrittrice  si  palesa  per  nome: 

Julia  Sforza  a  scrito  el  presente  verso  di  sua  mano  propria,  et 

ancora  a  scrito  el  presente  sotoscrito. 

Io    Julia   Sforza   confeso   aver  recevuto    el  presente  libro  dal 

Illustrissimo  signor  conte  Ugo  de  la  Somala  [?]  patrono  suo   [sic] 

singulare. 

Perciò  il  codice  si  trovava  in  possesso  di  un  conte  Ugo,  che 
forse  apparteneva  al  casato  lombardo  dei  della  Somaglia  (2);  il  conte 

(i)  Pel  suo  aiuto  nella  decifrazione  di  questi  passi  debbo  rendere 
grazie  al  signor  bibliotecario  dott.  Hippe  in  Breslavia;  altrettante  per 
cortesi  comunicazioni,  ai  signori  Emilio  Motta  in  Milano,  professore 
G.  Romano  in  Pavia,  dott.  O.  Cartellicri  in  Berlino  e  cand.  phil.  Koch  in 
Breslavia. 

(2)  Un  conte  Ugone  della  Somaglia  vien  confermato  nel  1470  nel 
possesso  del  feudo  di  Somaglia;  egli  era  senatore,  più  tardi  governa- 
tore di  Pavia  (cfr.  Tkttoni,  Teatro  araldico  italianOf  III). 


370  ANTONIO   de'  minuti,   IL  BIOGRAFO  CONTEMPORANEO 

lo  cedette  a  Giulia  Sforza.  Due  donne  che  portavano  lo  stesso 
nome  entrano  qui  in  questione.  Ambedue  discendono  dalla  linea  di 
Santa  Fiora,  fondata  da  Bosio,  figlio  di  Muzio  Attendolo.  Giulia,  la 
maggiore,  era  la  figlia  di  Guido  Sforza  e  nipote  di  quel  Bosio.  Si 
sposò  nel  1487  con  Pietro  Paolo  Conti,  signore  di  Valmontone^ 
e  fece  il  suo  testamento  nel  1509.  La  Giulia  più  giovane,  fi^ia 
di  Bosio  Sforza,  era  pronipote  della  maggiore,  e  moglie  dello 
Sforza-Pallavicini,  marchese  di  Busseto  e  Cortema^ore;  ricevette 
nel  1548,  da  papa  Paolo  III,  il  possesso  di  S.  Arcangelo  in  Ro- 
magna (i). 

Il  manoscritto,  scritto  nel  1492,  giunse  al  più  tardi  nel  1576 
in  possesso  di  Tomaso  Rehdiger  che  mori  nello  stesso  anno,  e 
lasciò  una  ricca  biblioteca,  il  fondo  principale  dell'attuale  Biblioteca 
Civica  di  Breslavia. 

Tra  il  1492  e  il  1576,  la  Giulia  maggiore,  come  la  minore, 
poteva  aver  benissimo  posseduto  il  codice.  Una  decisione  sicura 
non  è  possibile  colle  fin  qui  a  me  accessibili  fonti. 

Senza  dubbio  il  manoscritto  ^  è  in  parentela  più  stretta  con  P 
che  con  M,  Già  il  principio  suona  uguale  in  £  e  P,  fatto  astra- 
zione da  piccole  varianti:  «  Initium  libri  et  origo  generationis^.  » 
Anche  la  falsa  data  del  1397  ricompare  in  P  (2).  M  incomincia 
invece  colle  parole:  «  Compendio  di  gestL..,  »  che  in  B  non 
inaugurano  tutto  il  manoscritto,  ma  solo  la  sua  seconda  parte, 
la  biografia.  Come  anno  della  compilazione  dell'opera,  M  oflfre  al 
princìpio  la  data  dal  1454  (3),  alla  chiusa  1458;  B  e  P  concordi, 
non  danno  alla  fine,  alcun  numero,  al  principio  della  biografia, 
Tanno  1458.  U  Porro  ha  citato  soltanto  alcune  poche  varianti  del  testo 
parigino  dal  milanese;  nel  maggior  numero  di  questi  casi,  P  s'ac- 
corda con  B.  In  generale  M,  il  manoscritto  più  antico,  ofl&re  il  testo 
più  esatto. 

Tuttavia  scaturiscono  da  B  un  ragguardevole  numero  di  cor- 
rezioni. Nomi  falsi  di  luoghi  e  di  persone  vengono  corretti,  tolte 
cronologiche  contraddizioni,  lacune  riempite,  e  chiarite  frasi  in- 
comprensibilL 


(i)  LiTTA,  Famigiit  c€lebri  ùmàmnt,  fase  I;  Ratti,  Mnmorii  éiik 
famtgiìm  Sforza,  I,  208,  226. 

(2)  V.  sopra  p.  368,  nota  5. 

(3)  O  1459 1  La  prima  data  sta  neiredizioDc  del  Porro,  la  se- 
conda nel  Caiaiogo  dn  manoscritti  étUa  Trivulmiana^  p.  243,  parìmeote 
edito  dal  Porro. 


DI  MUZIO  ATTENDOLO  SFORZA 


371 


Produco  qui  due  esempi: 

M. 

[Mise,  di  stor.  Hai,  VII,  120];  E 
andarono  insema  ambidui  [Sforza  e 
Lorenzo  Attendolo]  la  prima  volta 
ne  l'anno  MCCCLXXXV  de  aprile 
al  soldo  del  marchese  Alberto  mar- 
chese de  Ferrara..  Stette  con  il  mar- 
chese circha  anni  XV III,  poi  si 
partirono  dicti  Sforza  et  Lorenzo 
tutti  dui  insema  dal  detto  mar- 
chese... Nell'anno  MCCCLXXXXII 
de  marso  se  condusse  con  il  conte 
Johanni  et  con  el  conte  Albericho 
da  Barbiano. 


B. 

[fol.  7]:...  et  andarono  in  seme 
ambi  doy  la  prima  volta  de  lanno 
MCCCLXXXX.*'  daprUe  al  soldo  del 
marchexe  Alberto  de  Ferrara... 
stato  col  marchexe  circha  mtise 
[=  w«i]  XVllI  se  partirono  dicto 
Sforza  et  Laurentio  tuti  doy  in 
sema  dal  dito  marchexe...  del  anno 
MCCCLXXXXII  di  marzo  se  con- 
dusero  col  conte  Johanne  et  col 
conte  Albrico  da  Barbiano. 


[Mise,  di  stor,  ital,,  VII,  195]:  Li- 
berato Sforza,  come  è  ditto,  et  in- 
tendendo farsi  signore  di  Roma, 
dette  licenzia  a  Micheletto  e  Gas- 
solo,  non  obstante  Micheletto  ha- 
vesse  havuto  Brazo  a  farlo  signore 
ne  la  Marca... 


[fol.  36]:  Liberato  Sforza  comò 
è  dito  Braso  intendendo  farse  si- 
gnore de  Roma  diede  licentia  a 
Micheleto  et  Casolo  non  obstante 
Micheleto  havesse  adiutato  Brazo 
a  farlo  signore  in  la  Marcha... 


Il  primo  dei  passi  citati  contiene  in  M  due  contraddizioni  : 
!.•  Se  lo  Sforza  nel  1385  entrava  al  servizio  del  marchese  di  Fcr* 
rara,  nel  1392  in  quello  dei  conti  Barbiano,  non  poteva  egli  aver 
servito  al  marchese  per  18  anni,  a.*»  Alberto  diventò  marchese  sol- 
tanto nel  1388.  —  Ambedue  le  contraddizioni  cadono  in  B:  nel 
1390  lo  Sforza  entra  al  servizio  d'Alberto,  rimane  18  mesi  presso 
di  lui  e  nel  1392  diventa  condottiero  dei  conti  di  Barbiano.  Nel 
secondo  passo^  Sforza  diventa  soggetto  m  M,  in  B  Braccio  da 
Montone;  soltanto  a  quest'ultimo  si  adattano  le  imprese  narrate. 

Dopo  queste  comunicazioni  intorno  al  ms.  nuovamente  trovato, 
mi  rivolgo  alla  persona  del  Minuti.  11  Porro  nella  prefazione  della 
sua  edizione  osserva  (i):  «  Della  vita  dell'autore  nulla  ho  potuto 
u  raccogliere....  Solo  risulta  dal  suo  libro  che  seguiva  lo  Sforza, 
M  ed  era  da  lui  adoperato  in  alti  uffìcii  ». 

Ma  per  verità  si  rivelano  dalla  Vita  dello  Sforza,  notizie  di  più 
generi  intomo  all'autore.  A  queste  si  associano  testimonianze  do- 


(i)  Mise,  di  stor.  itaL,  VII,  loi. 
rirch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXTX,  Fase.  XXXVl 


24 


372  ANTONIO  DE*  IflNUTIy  IL  BIOGRAFO  COMTEKPORAIIEO 

cumentarìe  che  il  Porro  non  poteva  ancora  conoscere.  Tentiaiiio  di 
ricostruire,  da  queste  notizie  frammentarie,  la  biografia  del  aronista. 

Antonio  era  figlio  di  Jacopino  de'  MQnuti,  e  traeva  l'orìgìiie  da 
Piacenza  (i).  Nacque  avanti  il  1400,  poiché  nel!'  inverno  del  141718; 
copriva,  come  verrà  dimostrato,  un'importante  carica;  doveva  quincfi 
allora  esser  già  giunto  all'età  virile.  Intorno  alla  sua  educazimie 
non  possiamo  che  formare  delle  congetture.  Egli  ha  più  tardi  ri- 
coperto la  carica  di  notaio,  dunque  è  verosimile,  che,  come  la 
maggior  parte  dei  suoi  colleghi,  egli  abbia  studiato  all'univetdtà 
r  «  ars  notariatus  »,  e  forse  si  sia  anche  esercitato  presso  un 
notaio. 

I  tempi  procellosi  dello  scisma,  in  cui  cade  la  giovinezza  dd 
Minuti,  offrivano  agli  audaci  condottieri  l'occasione  più  favorevole 
di  salire  in  alto. 

Gli  sguardi  d'Italia  riposavano   allora  con  compiacenza  sopra 
Muzio   Attendolo    Sforza   ed   il   suo   rivale  Braccio    da  Montone. 
Quando  quest'ultimo,   nel  1416,   durante  la   sua  campagna   contro 
Perugia,  traversò  il  territorio  di  Forlì,  il  Minuti  si  trovava  appunto 
in  Forlì  (2).  Non  contento  del  possesso  di  Perugia,  Braccio  si  fece 
pure  signore  della  città  etema,  che,  dopo  la  deposizione  dei  pa|» 
scismatici,  ed  avanti  l'elezione  di   Martino  V,  era  senza  padrone. 
Dopo  un  dominio  di  soltanto  70  giorni  sopra  a  Roma,  Braccio  ve- 
niva scacciato  il  26   agosto  141 7   dalle  truppe    napoletane  che  la 
regina  Giovanna  II,  sotto  il   comando    del   suo    gran   connestabilc 
Sforza,  aveva  inviato  contro  di  lui  per  obbligarsi  il  papa  futuro.  In 
quel  tempo  Minuti  stava  già  al  servizio  dello  Sforza,  e  godeva  la 
sua   fiducia.    Ciò    risulta  dal    seguente    passo    della    biografia  I3): 
u  Dopo   questo  Sforza...    andò  a  Roma   a  la  intrata    de  dicembre. 
u  Et  stato  lì  in  Monte  Jordano  da  li  Orsini  ebbe  novella  de  la  crea- 
rt  tiene   de  Papa    Martino  quinto.  Et  da   lì  a  pochi  dì  retomò  nd 
u  reame  et  lassò  Fuschino  suo  nepote  al  governo  et  guardia  de  Roma 
u  con  mille  settecento  cavalli  et  con  Antonio  Minuti ..  et  a  la  uscita 
u  de  mazo  [=  maggio]  mandò  [lo  Sforza]  per  Fuschino  suo  nipote  et 
«  Antonio  de  Minuti  che  era  a  Roma  et  feceli  venire  in  el  reame...  ■ 

Secondo    questa    relazione,    allorché   lo    Sforza    ritornò  dalla 

(i)  Nel  titolo  della  biografìa,  viene  nominato  come  autore  *  Antonio 
"  de*  Minuti  Piacentino  „.  In  un  documento  egli  si  è  sottoscrìtto  di  pro- 
prio pugno  come  "  Antonius  condam  Jacopini  de  Minutis  de  Placeotìa  r 
Osio,  Documenti  diplomatici  tratti  dagli  Archivj  milanesi.  III,  n.  249. 

(2)  Mise,  di  stor.  itaL,  VII,  190. 

(3)  Ibid.,  2i2:^2Z^, 


DI  MUZIO  ATTENDOLO  SFORZA  373 

conquistata  Roma  nel  reame  di  Napoli,  vi  restò  suo  nipote  Fo- 
schino  Attendolo  fino  alla  (ine  di  maggio  1418  come  comandante, 
e  con  lui  il  Minuti,  probabilmente  colla  carica  di  un  notaio.  Lo 
storiografo  Crivelli  riferisce  lo  stesso  fatto  colle  seguenti  parole  (i): 
«  Sfortia  Foschinum  Attendulum  cum  magna  militum  manu  et 
«  Antonium  Minutum,  spectatae  virtù tis  quaestorem,  in  Urbe  reli- 
«  quit  »  Questa  testimonianza  non  ha  verun  valore  sostanziale, 
poiché  il  Crivelli  ha  attinto  dall'opera  del  Minuti  :  il  titolo  «  Quaestor  n 
che  al  Minuti  s'è  attribuito,  è  ben  ancora  solo  un  antico  ricordo, 
che  non  ci  istruisce  sopra  alla  sua  vera  posizione. 

Nell'anno  1419  lo  Sforza  intraprese  per  desiderio  del  papa 
e  della  corte  napoletana,  una  nuova  campagna  contro  Braccio 
che  non  aveva  ancora  sgomberato  dagli  Stati  della  Chiesa;  ma 
questa  volta  la  fortuna  era  dalla  parte  di  Braccio.  In  giugno,  tra 
Viterbo  e  Montefiascone,  toccò  allo  Sforza  una  grave  sconfitta. 
il  Minuti  si  trovava  di  nuovo  presso  l'esercito  dello  Sforza  (2).  Cadde 
prigioniero  di  guerra;  da  principio  fu  tenuto  prigioniero  in  Mon- 
tefiascone; ai  primi  d'ottobre  Niccolò  Piccinino,  il  luogotenente  di 
Braccio,  lo  condusse  seco  lui  ad  Assisi  (3).  Dopo  la  sua  libera- 
zione ritornò  probabilmente  dal  suo  signore,  e  restò  al  suo  ser- 
vizio sino  alla  morte  dello  Sforza,  annegatosi,  come  è  notorio,  nel 
fiume  Pescara  il  4  gennaio  1424. 

Dal  servizio  del  padre  sembra  ch'egli  passasse  tosto  a  quello 
del  figlio;  poiché  se  egli  vanta  con  calde  parole  la  bontà  di  Fran- 
cesco Sforza  verso  i  servitori  di  suo  padre,  é  manifesto  che  parlava 
per  propria  esperienza  (4). 

Dieciotto  anni  più  tardi  il  Minuti  appare  come  notaio  e  segre- 
tario di  Francesco  Sforza.  Questi  aveva  intanto  solidificato  la  sua 
gloria  di  condottiero  ed  acquistato  una  carica  principesca;  erasi 
maritato  coll'unica  figlia  del  duca  di  Milano  Filippo  Maria,  e  pos- 
sedeva la  Marca  d'Ancona  come  feudo  pontificio.  In  questo  pos- 
sesso egli  fu  minacciato  tuttavia  nel  1442  da  una  lega,  alla  quale 
appartenevano   assieme    al  duca   milanese,    papa  Eugenio  IV   ed 

(i)  Muratori,  Scriptores  Rer.  ItaL,  XIX,  682. 

(2)  Mise,  di  stor.  ital,  VII,  236,  239. 

(3)  Ibid.,  244  :  "  Ei  io  che  scrivo  el  so  perchè  io  essendo  prigione 
in  Montefiascone  Nicolò  Piccinino  corno  me  doveva  liberare  me  menò 

■  con  lui  quella  notte  et  poi  me  menò  a  Santi...  „.  Un  sito  chiamato 
Santi  non  esiste;  B  legge:  Sisì  (—  Assisi);  anche  il  Crivelli  (Muratori 
XIX,  698)  ha:  Assisium. 

(4)  Ibid.,  290. 


374  ANTONIO   DE*  MINUTI,   IL   BIOGRAFO  CONTEMPORANEO 

Alfonso  V  di  Aragona.  Francesco  Sforza  cercò  di  farsi  amico 
Tultimo  con  un'  alleanza  di  famiglia.  11  re  consenti  difatti  che  la 
sua  figlia  naturale  si  fidanzasse  con  un  figlio  di  Francesco,  ed  a 
questo  fatto  cooperò  il  Minuti.  Egli  autenticò  Tatto  stipulato 
pello  sposalizio,  il  31  luglio  1442  a  Rottacoppa,  nel  territorio 
di  Servigi iano  (a  sud  di  Ancona).  Qui  egli  si  sottoscrisse  di  proprio 
pugno:  «  Antonius,  condam  Jacopini  de  Minutis  de  Placentia, 
H  publicus  imperiali  auctoritate  notarius  et  judex  ordinarius,  et  nunc 
«  notarius  et  secretarius  eiusdem  illustris  Domini  Francisci  Sfor- 
«  tie  »  (i).  L'accordo  con  re  Alfonso  naufragò;  nell'anno  s^uente 
Francesco  annodava  trattative  di  pace  col  papa,  ed  eleggeva  al- 
l'uopo in  Jesi,  il  30  aprile  1443,  due  intermediari.  Alla  nomina  era 
presente  come  testimonio  il  Minuti;  egli  venne  allora  indicato  come 
secretarités  et  cancellarius  (2).  Anche  questa  volta  la  pace  non  venne. 
Francesco  fu  finalmente  costretto  dai  suoi  avversari  a  rinun- 
ziare alla  Marca  d'Ancona;  all'opposto  la  casa  Sforza  salvava  il 
possesso  della  città  di  Pesaro  mediante  una  convenzione  coi  Ma* 
latesta.  11  cancelliere  Minuti  era  testimone  quando  fu  conchiuso  il 
patto  di  Pesaro,  il  i  maggio  1447  (3).  Il  suo  signore  ottenne  ricchi 
compensi  pel  perduto  territorio,  conquistando  nel  1450  il  ducato  di 
Milano.  Che  il  Minuti  restasse  al  servizio  del  duca  Francesco,  lo 
provano  tre  lettere  inedite,  scritte  dal  campo  di  battaglia  al  suo 
fedele,  il  28  agosto,  il  13  novembre  e  il  20  novembre  1452.  L'in- 
dirizzo dell'ultima  di  queste  lettere  palesa  che  il  Minuti  ricoprisse 
un'  alta  carica  nell'amministrazione  delle  finanze  del  ducato;  esso 
suona  così:  «  Antonio  de  Minutis  regulatori  ìntratanim...  »  (4). 
Come  u  Regulator  ducalium  intratarum  »  figura  il  Minuti  anche 
ai  24  maggio  1456  in  un'esenzione  di  dazi,  concessa  dal  duca  di 
Milano  a  favore  delle  valli  Verzasca  e  Maggia,  documento  attual- 
mente in  possesso  del  sig.  Emilio  Motta.  In  Milano  nel  1458  il  Minuti 
dettava  la  vita  di  Muzio  Attendolo  Sforza;  indica  egli  stesso  il 
luogo   e   l'anno   della   composizione  (5).  Forse  egli  scrisse  il  suo 

(i)  Osio,  111,  n.  249;  cfr.  Rubieri,  Francesco  1  b/orza,  1,  352-353. 

(2)  Ibid.,  n.  260. 

(3)  Ibid.,  n.  432. 

(4)  Le  lettere  si  trovano  nella  Biblioteca  Nazionale  di  Parigi  (Co- 
dice itaL  1S94)'  Delle  copie  sono  in  mia  mano;  rinuncio  tuttavia  alla 
pubblicazione  dei  testi,  contenendo  esse  niente  di  nuovo  intomo  al  Mi- 
nuti. Il  Mazzatinti  ha  segnalato  per  primo  le  lettere  in  quest'^nrArwìD, 
a.  1885,  p.  680  e  684. 

(5)  Mise,  di  sior.  itaL,  VII,  305. 


DI   MUZIO   ATTENDOLO   SFORZA  375 

lavoro  per  incarico  del  duca,  certamente  lo  consacrò  a  lui,  poiché 
alle  frasi  introduttorie  della  biografia,  ei  fa  seguire  un'  arringa 
a  Francesco:  «  Cominciarò  adunque,  Illustrissimo  principe  et  cie- 
li mentissimo  mio  unico  segnore,  del  vostro  gloriosissimo  genitore  li 
u  gesti  soi  et  facti...  n  (i).  Che  il  Minuti  dettasse  il  suo  lavoro  nel  1458, 
questa  è  Tultima  testimonianza  concernente  la  sua  vita,  che  noi, 
sebbene  con  grandi  lacune,  dal  1416  al  1458,  abbiamo  potuto  se- 
guire. 

Anche  come  storico  il  Minuti  non  rinnega  il  cortigiano. 

Chiama  con  forma  adulatrice  il  suo  duca  e  il  dì  lui  padre  una 
u  natura  angelica  più  tosto  che  umana  »;  e  falsamente  afferma 
che  Francesco  Sforza  non  cedette  mai  davanti  ad  un  avversario  (a). 
Come  uomo  che  passò  tutta  la  sua  vita  al  servizio  di  un  (prin- 
cipe, sa  le  regole  come  si  possa  mantenere  a  corte  la  propria  in- 
fluenza (3).  Le  sue  esperienze  gP  insegnarono  a  disprezzare  gli 
uomini.  Sa  che  la  sete  di  dominio  molti  seduce  a  sprezzare  i 
legami  del  sangue  e  le  leggi  dell'onore  ;  sconsiglia  di  fidare 
troppo  nel  nemico  riconciliato;  chiama  le  donne  «  frivole,  leggere, 
u  mobili  »  e  il  suo  secolo  u  misero  e  fallace  »  (4),  Ma  egli  è  pure  un 
figlio  germano  del  suo  secolo,  anche  in  lui  vi  è  confuso  il  senti- 
mento del  bene  e  del  male.  Narra  apertamente  la  partecipazione 
dello  Sforza  all'assassinio  premeditato  di  Ottobuono  Terzi,  signore 
di  Parma  e  di  Reggio  (5),  ma  non  perchè  lo  costringa  il  severo 
amore  della  verità  dello  storico  di  riconoscere  i  difetti  del  suo  eroe, 
ma  perchè  egli  non  sente  il  biasimo  del  fatto.  Vede  in  esso  una 
azione  conforme  allo  scopo,  compiuta  con  coraggio  e  prudenza; 
ma  non  gli  viene  punto  alla  mente  di  chiedersi  se  sia  giustificata 
moralmente.  Fra  i  suoi  contemporanei  il  Minuti  si  distingue  perchè 
non  ha  subito  una  più  profonda  influenza  del  classicismo.  Vera- 
mente egli  nomina  alcuni  antichi  storici,  e  paragona  il  suo  eroe 
ad  Orazio  Coclite  (6):  ma  la  sua  opera,  scritta  in  lingua  volgare, 
mostra  niuna  cura  di  voler  imitare  i  classici  esempi. 

La  biografia  dello  Sforza  venne,  come  il  Porro  già  fece  risal- 
tare, usufruita  da  due  storiografi  del  quattrocento.  Lodrisio  Crivelli, 
del  ciclo  di  letterati  che  circondava  il  duca   Francesco,   nel   suo 

(i)  Ibid,,  £10. 

(2)  Ibid.,  141,  250,  140. 

(3)  Ibid.,  204. 

(4)  Ibid..  204,  258,  293.  297. 

(5)  Ibid.,  153-154- 

(6)  Ibid.,  109,  209. 


37^  ANTONIO   de'  minuti,   IL   BIOGRAFO  CONTEMPORANEO 

scritto  latino  :  De  vita  rebusque  gestis  Sfortiae  s*  è  strettamente 
uniformato  col  Minuti  (i).  La  supposizione  che  i  rapporti  di  am- 
bedue le  fonti  siano  inverse,  il  Porro  ha  con  ragione  dichiarato 
inamissibile  (2);  accettandola,  riusciremmo  all'assurda  conseguenza 
che  il  Minuti  avrebbe  attinto  i  fatti  cui  egli  aveva  preso  parte, 
dal  libro  di  un  autore  che  non  vi  aveva  partecipato.  La  conso- 
nanza è  così  grande,  che  il  Crivelli  presta  buoni  servizi  alla  ela- 
borazione del  testo  del  Minuti;  talvolta  rende  possìbile  di  correg- 
gere i  nomi  malamente  tramandati.  Anche  Lorenzo  Buonincontrì 
da  S.  Miniato,  come  lo  provano  le  note  del  Porro,  si  è  servito 
dell'opera  del  Minuti  per  comporre  i  suoi  Annali  (3).  Il  Porro  al 
contrario,  non  ha  toccato  alla  questione,  se  il  Minuti  stesso  si 
sia  servito  dì  qualche  fonte.  Il  nostro  storiografo  non  ha  lui  stesso 
osservato  tutto  ciò  che  racconta  del  suo  eroe;  secondo  la  sua 
medesima  aflfermazione,  ei  conosceva  narrazioni  delle  gesta  dello 
Sforza  :  «  Più  hanno  commentato  et  scripto,  più  et  chi  manco  de  questi 
u  gesti  de  Sforza  come  Leonardo  Aretino,  Biondo  da  Forlì,  Bartolo- 
u  meo  Genoese  et  più  altri  (4).  »  Leonardo  Bruni  di  Arezzo  (f  1444I 
ha  parlato  dello  Sforza  in  due  sue  opere  storiche  (5),  ma  in  en- 
trambe così  brevemente,  che  il  Minuti  non  poteva  attingervi  no- 
tevoli informazioni.  Lo  stesso  valga  anche  di  Bartolomeo  Fazio, 
che  il  Minuti  chiama  Genovese,  perchè  la  patiia  sua  è  Spezia,  e 
giace  nel  Genovesato.  Ha  schizzato  nella  sua  opera  ultimata  nel  1456: 
De  viì'is  illustribus  (6)  le  biografie  dello  Sforza,  dì  suo  figlio  Fran- 
cesco e  di  Braccio  da  Montone,  ma  si  limitano  tuttavia  a  poche  frasi. 
11  Minuti  trovò  una  fonte  più  ricca  nelle  Decadi  di  Flavio  Biondo 
da  Forlì,  terminate  nel  1452  (7).  Veramente  intorno  ai  primitivi 
tempi  dello  Sforza,  il  Biondo  non  riferisce  quasi  nulla  ;  più  det- 
tagliatamente egli  dipinge  la  sua  posteriore  attività  ai  servigi  napo- 
letani e  papali.  11  Minuti  deve  varie  notizie  a  questa  narrazione  (81, 

(j)  Edito  in  Muratori,  l\.  1,  S.,  XIX,  623  e  sg. 

(2)  Aftsc.  di  stor.  ital.,  VII,  loi. 

(3)  Edito  in  Muratori,  R,  I.  S.,  XXI,  i  e  sg. 

(4)  Mise,  di  stor.  ital.y  VII,  109. 

(5)  Ilistoriar.  Jlorentinar.  lib.  XII,  Argentorati    16 io,   p.  242.   Rtrnm 
in  Italia  suo  tempore  gestaruni  commetitarius  in  Muratori,  XIX,  927  e  933. 

(6)  Edito  da  Lorenzo  Mehus,  Florentiae,  1745.  Intorno  alla  data  della 
sua  relazione  cfr.  Praefatio^  p.  X-XIV. 

(7)  F.  Blondi,  Opera,  Basileae,  1559.  cfr.  Masius,  FI.  Biondo^  Disser- 
tazione inaug.,  Lipsia  1879,  p.  31-36. 

(8)  Cfr.  Biondo,  op.  cit.,  p.  406-411;  Mise,  di  stor.  ital.,  VII,  i8i-ki 
227-232,  252-298. 


DI  MUZIO  ATTENDOLO  SFORZA  377 

ma  oflFre  insieme  un  ricco  tesoro  di  particolari  sue  indipendenti 
notizie.  Così  di  fronte  alle  scarse  indicazioni  del  Biondo  intorno  ai 
combattimenti  di  Viterbo  nel  1419,  sta  nel  Minuti  un  preciso  rap- 
porto ricavato  da  esperienza  propria  (i).  Dall'altra  parte  egli  sa 
rendersi  conciso  negli  argomenti  che  non  hanno  relazione  imme- 
diata colla  sua  materia;  l'assedio  di  Bonifacio  da  parte  degli  Ara- 
gonesi che  il  Biondo  descrìve  minutamente»  è  sfiorato  appena  dal 
Minuti  (2).  Oltre  queste  numerose  fonti,  egli  cita  ripetutamente  una 
enigmatica  opera:  Gesta  del  conte  Francesco,  Questo  scritto  deve  avere 
dipinta  la  vita  dello  Sforza  almeno  sino  al  1450;  poiché  la  sua 
assunzione  al  trono  di  Milano  vi  era  mentovata  (3).  Esso  com- 
prendeva pure  la  giovinezza  di  Francesco  (4)  ;  perciò  non  può  es- 
sere identica  colla  inedita  Sforziade  del  Filelfo  che  comincia  solo 
colla  morte  di  Filippo  Maria  (1447)  (5).  Non  può  essere  nemmeno 
identificata  colla  breve  Vita  di  Francesco  nell'opera  di  Bartolomeo 
Fazio,  poiché  a  questa  mancano  diverse  notizie  che  il  Minuti  trovò 
nelle  Gesta,  Forse  le  Gesta  che  vengono  sempre  citate  senza  indi- 
cazione dell'autore,  sono  una  opera  propria  del  Minuti. 

Nei  tre  mss.  conosciuti,  alla  Vita,  in  volgare,  dello  Sforza, 
precede  una  genealogia  della  sua  casa  (6).  E  stesa  in  latino;  le 
ultime  frasi  soltanto  sono  in  italiano.  Secondo  quest'esposizione  il 
figlio  di  contadino  della  Romagna  deriverebbe  da  nobile  schiatta 
della  Dacia;  il  suo  antenato  era  calato,  come  vi  si  dice,  in  Italia, 
coirimperatore  «  Longofredus  de  Sausonia  »  [=  Lotharius  de  Sa- 
xonia?].  Dacia  sta,  come  in  molti  casi,  per  Dania  (Danimarca).  Solo 
in  questa  maniera  si  spiegano  i  passi  riferentisi  all'aspetto  este- 
riore germanico  dello  Sforza;  solo  in  questa  guisa  si  comprendono 
le  parole:  «  Christoforus  Datiae,  Sbigae  et  Norvigiae,  Hostiae  et 
fc  Vendiae  rex  »»  ;  esse  significano  :  «  Cristoforus,  Daniae,  Sveciae  et 
«  Norvegiae,  Gotiae  et  Wendiae  rex  ».  Il  racconto  riferisce  che  fu 
per  primo  il  re  dei  romani  «  Robertus  de  Bavarìa  »  (Rutperto  del 
Palatinato)  a  scoprire  l'origine  danica  dello  Sforza,  allorché  egli 
convenne  in  Padova  col  condottiero.  A  questa  invenzione  diede 
motivo  un  fatto  autenticato.  L'8  febbraio  1402  aveva  concesso  uno 
stemma  allo  Sforza  (7)  che  a  lui  guidato  e  condotto  aveva  gli  am- 

(i)  Biondo,  op.  cit,  p.  409;  Mise,  di  stor.  ita/,,  VII,  2^3  e  sg. 

(2)  Biondo,  op.  cit.,  p.  409-410  ;  Mise,  di  stor.  Hai.,  VII,  258. 

(3)  Cfr.  Mise,  di  stor.  Hai,  VII,  291. 

(4)  Cfr.  ibid.,  273,  286,  293,  300. 

^5)  Cfr.  Rosmini,  Vita  di  Francesco  Filelfo,  v.  II,  p.  159. 

(6)  Mise,  di  stor.  ital,,  VII,  103-108. 

(7)  Chmel,  Regesta  Ruperti  regis,  n.  1135. 


DI  MUZIO  ATTENDOLO  SFORZA  379 

nianze  intomo  alla  persona  di  «  Mandolus  de  Franchis  de  Padua.  » 
Le  sue  relazioni  colla  casa  di  Brandeburgo  spiegano  a  sufficienza 
ch'ei  si  appoggi  alle  fonti  brandeburghesi  ed  alla  testimonianza  di 
un  Elettore  Federico.  La  Danimarca,  la  supposta  patria  dello 
Sforza,  egli  ritenne  probabilmente  come  paese  confinante  col  Bran- 
deburgo. 

Credo  di  poter  stabilire  con  esattezza  il  tempo  in  cui  scrisse 
Mandole.  Nella  genealogia  sono  incastonati  alcuni  pesanti  esametri, 
i  quali  pel  contenuto  e  per  la  lingua  si  avvicinano  talmente  al  rac- 
conto in  prosa,  che  si  possono  ritenere  come  produzione  sua. 
In  questi  versi  vien  raccontata  ancora  una  volta  la  grande  sco- 
perta di  Rutperto;  indi  prosegue  il  verseggiatore: 

Ex  igitur  proavis  ex  Datiis  nata  propago 
Sforcia  Franciscus,  qui  bello  invictus  et  armis,  (j) 
Virtute  et  superis  fautricibus  omnia  vinceos  (a) 
Rex  miram  Italiam  pacem  revocavit  in  omnem 
Et  tamen  sanctum  indigna  ditione  sepulchrum 
Eripere  est  cupidus  gentemque  domare  profanam  (3) 

L'autore  usa  in  questi  versi  il  tempo  presente,  mentre  prima  si 
è  costantemente  servito  dell'imperfetto.  Racconta  come  un  fatto  con- 
temporaneo che  Francesco  Sforza  abbia  desiderato  di  liberare  «  1 
u  Santo  Sepolcro  dalla  indegna  dominazione  e  di  domare  l'impuro 
u  popolo  pagano  »  dopo  aver  «  ricondotto  in  tutta  l'Italia  una  pace 
«  meravigliosa  ». 

Questi  dati  non  si  possono  riferire  che  al  tempo  della  dieta  di 
Mantova  inaugurata  da  papa  Pio  II,  al  i  giugno  1459,  a  scopo  di 
condurre  a  termine  il  progetto  di  una  crociata  contro  i  Turchi,  i 
conquistatori  di  Costantinopoli.  Ma  dei  grandi  principi  italiani  uno 
solo  ivi  comparve,  Francesco  Sforza,  che  perciò  ebbe  una  grande 
parte  nell'adunanza.  Quando  egli  arrivò  in  Mantova,  nel  settembre 
del  1459,  in  suo  nome,  Francesco  Filelfo  tenne  un  discorso  nel 
quale  assicurava  che  il  suo  signore  s'era  determinato  ad  intrapren- 
dere la  guerra  santa  (4).  Non  era  cosa  seria  da  parte  del  duca  :  ma 
lo  si  credette,  e  si  capisce  che  Mandole  si  sentisse  allora  indotto 
ad  encomiarlo  come  il  futuro  liberatore  del    Santo  Sepolcro,  e  in 

(i)  Af.  scrive  :  aun'o,  B,  :  armis, 

(2)  M.  dà:  vinciusj  B,  e  P.:  vincens, 

(3)  Domare  è  congettura;  tutti  i  mss.  leggono:  donasse. 

(4)  Cfr.  Pastor,  Geschichte  der  Pàpste,  lì,  52. 


380  ANTONIO  DE    MINUTI,   IL  BIOGRAFO  CONTEMPORANEO,   ECC. 

egual  tempo  a  proclamare  a  tutto  il  mondo  la  nobile  sua  orìgine 
danese.  A  questo  tempo  conviene  pure  l'altra  notizia  che  regnasse 
la  pace  in  Italia.  Alla  pace  di  Lodi,  concordata  in  primavera  del  145^ 
tra  il  duca  ed  i  Veneziani,  i  rimanenti  stati  della  penisola  avevano 
successivamente  annuito;  e  il  2  marzo  1455  gli  araldi  potevano 
proclamare  in  Roma  la  fondazione  di  una  lega  italiana.  Purtroppo 
già  al  principio  d'ottobre  del  1459  (i)  la  spedizione  intrapresa  di 
Giovanni  d'Angiò  contro  Napoli  poneva  (ine  allo  stato  pacifico.  Man- 
dole deve  avere  scritto  prima  di  questi  avvenimenti,  e  dopo  l'ar- 
rivo'di  Francesco  in  Mantova;  dunque  nel  settembre  1459,  un  anno 
dopo  il  Minuti.  Probabilmente  egli  scrisse  in  Mantova  dove  regnava 
il  marchese  Luigi  111,  figlio  del  suo  vecchio  protettore  Giovanni 
Francesco  Gonzaga,  e  sedeva  la  dieta.  In  rapporti  con  la  casa  di 
Brandeburgo  stava  anche  la  corte  mantovana ,  poiché  Barbara, 
moglie  di  Lodovico  111,  era  figlia  di  quel  marchese  Giovanni,  che 
Mandole  aveva  accompagnato  in  Terra  Santa. 

Forse  Francesco  stesso  ebbe  a  commettere  in  Mantova  a 
Mandole  di  stendere  la  genealogia  di  casa  Sforza,  e  di  premet- 
terla come  introduzione  alla  nuova  opera  del  Minuti  ;  poiché  un 
rimando  a  questo  scritto  è  contenuto  nell'opera  del  Franchi  (a). 
Quest'ultima  è  senza  alcun  valore  storico  ;  il  lavoro  di  Antonio 
de'  Minuti  per  contro  meriterebbe  sulla  base  di  questi  tre  conser- 
vati mss.,  di  essere  ripubblicato  in  edizione  critica. 

Otto  Schiff. 


(1)  Pastor,  op.  cit.,  Il,  73;  Voler,  Enea  Silvio  de"  Piccohmini,  HI,  137; 
Gregobovius,  Gtschiehte  dtr  Stadi  Rom,  4."  Aufl.,  VII,  179. 

(a)  Mise,  di  stor.  ital-,  VII,  104;  "  De  Sfortia  agendum  est....  ^ 


NOTIZIE  E   DOCUMENTI   INEDITI,  ECC.  381 


Notizie  e  documenti  inediti 
intorno  all'alchimista  Giuseppe  Borri. 


|el  milanese  Borri  e  delle  sue  curiose  e  stravaganti  av- 
venture discorse  or  non  è  molto  il  compianto  De  Ca- 
stro (i),  e  poiché  ci  fu  dato  di  ritrovare  nella  Biblioteca 
e  negli  Archivi  Vaticani,  mentre  eravamo  occupati  in  altre  ricer- 
che, alcuni  documenti  che  gettano  una  più  chiara  luce  sulle  gesta 
di  quest'uomo,  che  nel  sec.  XVII  tanto  fece  parlare  di  sé  in  Italia 
e  in  gran  parte  dell'Europa,  non  ci  sembra  inutile  di  ritornare 
suirargomento. 

Nato  verso  il  1625  in  Milano  da  un'antica  e  nobile  famiglia 
lombarda,  Giuseppe  fu  per  volontà  del  padre,  medico  di  buona 
fama  e  senatore,  mandato  a  Roma  a  studiare  nel  Seminario  dei 
Gesuiti  ;  e  il  giovinetto,  d'ingegno  fervidissimo  e  caro  perciò  ai 
maestri,  non  tardò  a  manifestare  l'indole  sua  ribelle  e  prepotente. 
In  collegio,  ricusando  un  giorno  per  ragion  di  salute  di  frequen- 
tare le  lezioni,  ebbe  una  vivace  disputa  col  rettore  che  l'aveva  se- 
veramente rimproverato  ;  gli  venne  quindi  inflitta,  insieme  a  una 
trentina  di  compagni  che  avevano  preso  parte  per  lui,  la  non  pe- 
regrina punizione  del  pane  e  acqua,  e  tutti  gli  scolari  allora,  ani- 
mati dalle  sue  ardite  parole,  insorsero,  e  rinserrati  i  gesuiti  in 
una  stanza,  li  tennero  prigionieri  finché  il  Cardinal  Vicario  e  due 
altri  prelati  non  riuscirono  a  persuadere  e  a  calmare  i  tumultuanti  : 
ai  quali  fu  tuttavia  concessa,  pegno  della  resa,  l'alta  soddisfazione 
di  veder  rimosso  il  rettore  dall'ufficio. 

Lasciato  presto  il  seminario,  il  Borri,  non  privo  di  denaro, 
condusse  vita  allegra  e  spensierata,  pur  non  trascurando  lo  studio 
della  medicina,  e  sopratutto  dedicandosi  con  ardore  alle  ricerche 
alchimistiche,  per  le  quali  aveva  una  vera  passione  ;  ma  nel  1654, 
per  gravi  accuse  che  riguardavano  probabilmente  la  sua  condotta 
troppo  disordinata,  costretto  a  sfuggire  al  rigore  delle  leggi,  ri- 
parò nella  chiesa  di  S.  Maria  Maggiore.  Ne  usci  senza  aver  noie, 
fingendosi  molto  pentito  di  quanto  gli  si  era  imputato,  e  da  quel 
momento  il  medico  alchimista  si  camuffò  da  apostolo  ;   confidò 

(i)  G.  De  Castro,  Un  precursore  milanese  di  Cagliostro  in  questo 
Archivio,  serie  III,  fase.  IV,  350-89.  Il  De  Castro,  citando  lutti  quelli 
che  del  Borri  più  o  meno  scrissero^  non  accenna  a  ciò  che  ne  disse  il 
Cantò,  Eretici  d'Italia^  III,  329-32,  Torifio,  1866. 


382  NOTIZIE   E   DOCUMENTI   INEDITI 

agli  amici  che  una  celeste  visione  gli  aveva  annunziato  esser  pros- 
sima in  lui  la  venuta  dello  spirito  profetico,  e  meditò  una  specie 
di  riforma  religiosa,  nella  quale  non  è  in  verità  difficile  di  rico- 
noscere Tuomo  pieno  di  fede  nelle  scienze  occulte  ;  cosicché  si 
può  ben  dire  ch'egli  si  era  assunto  il  grave  compito  di  combattere 
o  di  modificare  i  dogmi  coll'aiuto  dell'alchimia. 

Il  De  Castro  crede  ch'egli,  disgustato  dallo  spettacolo  triste 
che  Roma  presentava  in  quei  giorni,  sia  stato  tratto  ad  un  esa- 
gerato ascetismo,  e  per  purgare  le  proprie  colpe,  e  per  rimediare 
al  mal  costume  del  clero  e  della  corte  pontificia  ;  eppcrò,  esclu- 
dendo ch'egli  fosse  un  impostore,  lo  giudica  piuttosto  im  allu- 
cinato, e  trova  che  in  ciò  appunto  differisce  dal  famigerato  Ca- 
gliostro. Ma  se  si  può  ammettere  che  il  Borri,  passando  lunghe 
ore  tra  i  fornelli  e  i  lambicchi  per  scoprire  il  modo  di  fabbricare 
l'oro,  si  fosse  proprio  convinto  di  poter  comunicare  col  mondo 
degli  spiriti,  non  è  affatto  provato  che  le  sue  strane  idee  di  riforma 
movessero  dal  desiderio  di  purificare  la  Chiesa  di  Roma:  è  in 
lui  evidentissima,  un'acuta  smania  di  acquistarsi  il  favor  popo- 
lare, di  guadagnarsi  fama  di  grande  filosofo  e  scienziato,  e  i 
suoi  progetti  di  riforma,  dove  non  si  vede  chiaro  che  cosa  egli 
volesse,  miravano  forse  più  a  questo  che  ad  altro  scopo. 

Partito  infatti  da  Roma  nel  1655,  dubitando  che  l'clcfione 
del  cardinale  Chigi  al  Papato  (Alessandro  VII)  potesse  rendere 
l' Inquisizione  più  oculata  e  zelante,  venne  a  Milano,  e  quivi  e  a 
Pavia  non  gli  mancarono  numerosi  e  entusiasti  seguaci  che  lo 
ritenevano  realmente  il  Pro-Cristo,  com'egli  si  compiaceva  di  pro- 
clamarsi ;  ma  per  quattro  lunghi  anni  si  accontentò  di  riunire  di 
quando  in  quando  i  suoi  ingenui  e  fedeli  proseliti,  loro  spiegando 
il  novissimo  e  confuso  verbo,  e  imponendo  anche  una  regola  in 
cui  si  parlava  di  amor  fraterno,  di  obbedienza  a  Cristo  e  agli 
angeli,  di  povertà  (e  i  maligni  insinuarono  che  qualche  seguace 
più....  buono  affidasse  al  profeta  le  proprie  ricchezze),  di  zelo  e  di 
sacrificio  nel  diffondere  la  riforma,  ecc  NuU'altro  egli  fece,  né 
mai  tentò  di  mettersi  alla  testa  de'  suoi  fedeli  e  di  guidarli  a 
quelle  pazze  imprese  di  guerra  sterminatrice,  preannunziata  contro 
i  nemici  della  verità  ch'egli  si  vantava  di  predicare  :  vero  è  eh; 
aveva  prudentemente  promesso  di  mantenere  il  suo  futuro  e  im- 
ponente esercito  coll'oro  che  il  lapis  phylosophorum  gli  avrd)bc 
fornito  in  grande  quantità,  quel  Lapis  ch'egli  non  si  stancava  di  n- 
cercare  nelle  sue  fatiche  chimiche. 

Il  Santo  Uffizio,  o  che  non  lo  giudicasse  pericoloso  0  che 
non  avesse  notizia  della  sua  propaganda  (il  che  non  ci  sembra 
possibile),  lo  lasciò  tranquillo  fino  al  1659,  e  solo  in  seguito  a 


INTORNO  all'alchimista   GIUSEPPE  BORRI  383 

formale  denunzia  dell'abate  Piazza,  il  Litta,  arcivescovo  di  Mi- 
lano, si  decise  a  ordinare  l'arresto  di  parecchi  proseliti  ;  il  Borri 
intanto  se  ne  fuggi  in  Isvizzera,  terra  ospitale  ai  perseguitati  dal- 
l'Inquisizione,  e  fu  condannato  in  contumacia.  Nel  testo  della 
sentenza  proclamata  a  Roma  e  che  ho  trovata,  tradotta  in  ita- 
liano, in  molti  codici  (i),  si  dice  ch'ali,  anziché  alla  fuga,  pen- 
sasse di  radunare  i  compagni  nella  piazza  del  Duomo,  di  uccidere 
l'arcivescovo,  di  eccitare  il  popolo  a  insorgere  contro  i  tiranni  del- 
Tanima  e  del  corpo  ;  e  sebbene  tutti  gli  storici,  dal  Brusoni  al 
Cantii  e  al  De  Castro,  non  mettano  in  dubbio  l'audacissimo  pro- 
getto, è  lecito  supporre  ch'esso  sia  pura  invenzione  dei  denun- 
ziatori  :  aveva  troppa  fretta  di  mettersi  al  sicuro,  per  immaginare 
un  simile  piano  ! 

L'istruzione  del  processo,  seguita  contemporaneamente  a  Roma 
e  a  Milano,  si  chiuse  nel  1661  con  la  condanna  del  Borri  e  di 
alcuni  seguaci  ;  nello  stesso  armo  ebbero  poi  luogo,  nelle  due 
città,  le  solenni  funzioni  di  abiura,  delle  quali  diamo  qui  due 
relazioni  inedite.  Queste  furono  dirette  al  cardinal  Ottoboni,  al- 
lora vescovo  di  Brescia,  e  narrano  l'una,  la  funzione  che  ebbe 
luogo  nella  chiesa  della  Minerva  in  Roma,  l'altra,  quella  tenuta 
nel  Duomo  di  Milano  (2)  ;  ecco  la  prima  : 

e  Roma,  2  genaro  1661.  —  Fu  fatta  Domenicha  l'abiuratione 
dairinquisitione  di  heretica  pravità  S'espose  sopra  d'un  palcho 
a  vista  di  tutti  un  quadro  con  il  ritratto  al  naturale  con  l'inscri- 

(i)  Trovasi  nei  seguenti  mss.  :  Cod,  Vatic,  lai.  ^4)0  (Libro  di  diverse 
memorie  di  Roma))  fol.  70-76;  Cod.  Urbin,  lyaS  (miscell.)i  fol.  119-148; 
Cod.  Ottoò.  24J2  (misceli.))  fol.  31727  della  part.  II;  Cod.  Otiob.  aj62 
(misceli.),  fol.  178-190;  Cod.  Cappon.  iji  (misceli.),  foL  46-53;  tutti  della 
Bibl.  Vaticana.  Tale  sentenza  è  pure  conservata  nel  Cod,  Arm.  Ili, 
part,  II,  dell'Archivio  Vaticano;  nei  Codd.  UH,  89  e  LVII,  69,  della 
Bibl.  Barberini,  e  nel  Cod.  ajjS  (misceli.),  fol.  77-108,  della  Casanatense. 
Questo  elenco,  certo  incompiuto,  di  mss.  quasi  tutti  contemporanei  al 
processo,  dimostra  la  grande  curiosità  ch'esso  suscitò;  la  quale,  data 
la  relativa  importanza  dell'  avvenimento,  s'  acquietò  ben  presto,  e  in 
pochi  libri  infatti  la  lunga  sentenza  fu  pubblicata.  Cfr.  G.  Brusoni,  Della 
nistoria  d* Italia f  74851,  Venezia  1671;  Vita  del  cavagliere  Borri,  ecc., 
Colonia,  1681,  e  U  Ambasciata  di  Romolo  ai  Romani  ecc.,  Bruxelles,  1671, 
(due  operette  anonime,  attribuite  a  Gregorio  Leti);  Amotniiates  litera- 
^f quibus variae observationes  ecc.,  V,  149-62. FrancoforteLipsia,  1725-31  ; 
(m  quest'ultimo  è  riportata  la  sentenza  nel  testo  latino). 

(a)  Sono  nel  Cod.  Ottob.  2472,  pjirt.  II,  fol.  311-13  e  fol.  315-16  della 
Biblioteca  Vaticana. 


/ 


INTORNO  all'alchimista   GIUSEPPE   BORRI  385 

dotrine  bestiali  sopradete,  fu,  per  essersi  riconosciuto,  condenato 
a  carcere  perpetuo  et  assoluto  dalle  scomuniche  per  esser  stato 
heretico  et  datoli  Thabito  di  penitenza  con  una  Croce  avanti  e 
l'altra  a  dietro  con  altre  penitenze  salutari. 

fUis tesso  fu  fatto  al  cercante  per  il  monastero  da  S.  Pelagia, 
che  fu  l'ultimo  ad  esser  abiurato,  essendovene  stati  altri  due  di 
mezzo  tra  il  Brusati  et  detto  cercante.  Ho  osservato  che  al  Borri, 
quando  furono  fatti  prigioni  quelli  suoi,  gli  fosse  d'altri  detto  : 
ma  che  fatte?  ove  sono  le  promese?  et  che  egli  disse:  mundum 
vtnìt  hora  mea,  et  che  poi  doppo  alcuni  altri  giorni  replicatoli  il 
medesimo,  ripigliasse  che  sarebbe  andato  su  la  piazza  del  Duomo 
a  predicare  et  che  haverebbe  convitato  il  popolo  et  sarebbe  in- 
trato  nel  arcivescovato  et  haverebbe  amazato  tutti  quelli  Ministri. 

fll  giorno  seguente  fu  condoto  dal  Boia  il  Borri  in  statua 
sopra  d'una  careta  per  Roma,  et  poi  in  Campo  de  fiori  fu  apic- 
cato il  suo  ritrato  alle  forche  con  darli  l'urtone  il  Boia  e  poscia 
abrugiarlo  •. 

A  poca  distanza  di  tempo  segui  l'abiura  di  altri  seguaci,  nella 
Metropolitana  milanese,  e  l'avvenimento  è  cosi  narrato  nella  se- 
conda delle  relazioni  citate:  (i) 

f  Milano,  alli  26  del  mese  di  marzo  1661.  —  La  nuova  che 
alli  dua  del  mese  di  Genaro  prossimo  passato  fosse  in  Roma  ter- 
minata la  causa  di  Giuseppe  Francesco  Borri  milanese,  autore 
d'esecrabili  Dogmi  contro  la  Fede  Cattolica,  e  che  nella  Chiesa  di 
S.  Maria  della  Minerva,  alla  presenza  di  tutto  il  Sacro  colleggio 
e  di  tutto  il  popolo,  doppo  letto  il  di  lui  Processo,  sentenza,  e  con- 
segnata Timagine  del  medesimo  alla  Corte  secolare  per  farla  ab- 
bruggiare  il  giorno  seguente  dal  carnefice  con  suoi  empij  scritti 
in  Campo  dei  Fiori,  seguisse  il  solennissimo  abiuro  del  li  Preti 
Andrea  Brusati  e  Gip.  Pietro  Schilizino  cercante  di  S.  Pelagia 
suoi  s^uaci,  con  la  pubblicazione  dei  loro  Processi  e  sentenze, 
mosse  in  tutti  grandissimo  e  santo  desiderio  di  sentire  che  se- 
guirebbero delli  Corei  detenuti  nelle  carceri  di  questa  Santa  In- 
quisitione  di  Milano  ;  come,  quando,  in  che  luogo  et  in  qual  modo 
si  dovessero  far  abiurare?  Applicò  Mons.  Ill.mo  Litla  Arcivescovo 
di  Milano  all'utile  e  soddisfatione  commune,  che  haverebbe  ap- 


(i)  n  De  Castro,  op.  cìt.,  369,  riportò  ciò  che  ne  scrisse  Marco 
Cremosano  nel  suo  Diario ^  pubblicato  dal  conte  Porro  Lambertenghi, 
secondo  il  cod.  della  Trivulziana;  ma  la  relazione  di  Marco  è  più  breve 
e  meno  compiuta  di  questa  del  cod.  Vaticano. 


386  NOTIZIE   E   DOCUMENTI   INEDITI 

portata  quando  l'abiuro  dei  complici  del  Borri  fosse  s^uito  nella 
sua  Chiesa  Metropolitana,  suggerendo  a  Mons.  lU.mo  Vizzani, 
assessore  del  S.  Officio,  gagliardissimi  motivi,  da  parteciparsi  alla 
sacra  suprema  Inquisitione,  in  riguardo  di  che,  benignamente  con- 
discesero gli  Eniin.mi  P.i  Cardinali  Inquisitori  Generali,  e  con 
lettere  delli  19  Febraro  dell'anno  corrente  ne  concessero  ogni  op- 
portuna facoltà. 

e  Esseguendo  dunque  Sua  Sig.ia  IlLma  gli  ordini  del  Santo 
Tribunale,  oltre  varie  Congregationi  particolari,  una  consulta 
tenne  avanti  di  sé  con  l'intervento  del  Padre  Inquisitore  di  Mi- 
lano et  altri  di  più  periti  e  pratici  Ecclesiastici  del  suo  Clero,  col 
parere  e  consulta  dei  quali  si  deliberò  che  per  non  impedire  il 
corso  alle  Prediche  Quadragesimali,  il  sabbato  immediato  alla 
Festa  dell'Annonciatione  della  Beata  Vergine  Maria,  26  del  ca- 
dente mese  di  marzo,  fosse  giornata  molto  proporzionata  a  simil 
fontione,  massime  che,  concorrendo  alla  città  da  tutta  la  Diocesi 
e  Provincia  infinite  persone  per  occasione  dell'Indulgenza  per- 
petua in  forma  di  Giubileo  che  si  espone  annualmente  a  vicoida 
nella  Metropolitana  e  nel  Veado  Hospitale  Maggiore  nel  me- 
desimo giorno  dell'Annonciatione,  moltissimi  mossi  da  santa  cu- 
riosità vi  si  sarebbero  trattenuti. 

«  Pubblicaronsi  la  Domenica  antecedente  nella  Metropoli- 
tana gli  Avvisi  e  r  Indulgenza  di  Quindici  anni  et  altre  tante  Qua- 
rantine che  la  S.tà  di  N.  S.  come  haveva  fatto  in  Roma  ha  con- 
cesso a  chi  fosse  intervenuto  all'abiuro,  e  se  ne  affissero  ne'  luoghi 
più  publici  della  Città  gran  quantità  di  copie. 

tFrà  tanto  fabbricossi  nel  choro  senatorio  della  Metropo- 
litana palcho  capace  di  ben  trenta  persone,  contiguo  ad  uno  dei 
vasti  pergami  di  bronzo  per  comodità  dei  Padri  Domenicani  de- 
stinati alla  lettura  dei  Processi  ;  ampio,  spatioso,  alto,  conspicuo 
e  senza  verun  apparato,  che  di  nude  tavole,  eccettuatone  un  ta- 
volino con  tapeto  pavonazzo,  sopra  del  quale  doveva  collocarsi 
il  Missale  e  stola  per  l'abiuratione,  con  due  sedie,  l'una  per  il  Pa- 
dre Vicario,  l'altra  per  li  Fiscale  del  S.to  Officio,  Ministri  neces- 
sarissimi all'abiuro. 

«S'intimò  la  fontione  per  le  bore  18,  ma  impatientando  il  po- 
polo, cominciò  la  mattina  del  sabbato  per  tempo  ad  affollarsi  ; 
moltissimi  Cavaglieri,  Titolati  e  Dame  per  godere  opportunamente 
di  quella,  convennero  tre  hore  prima  ne'  luoghi  da  loro  la  sera 
antcxredente  apostati  e  preparati,  trattenendosi  con  grandissima 
patienza  sino  che  terminò  la  Fontione.  Precedette  longhissimo 
segno  della  Campana  Maggiore  del  Duomo»  che  durò  un'hora  in 
ponto,  e  doppo  con  tocchi  interpolati  continuò  sino  al  fine  in  segno 
di  mestizia. 


INTORNO  all'alchimista   GIUSEPPE   BORRI  387 

cCalò  Mons.  Ill.mo  Litta  Arcivescovo  alle  hore  dieciotto 
dalle  sue  stanze  nella  Metropolitana  in  Cappa,  accompagnato  dal 
suo  Capitolo  in  habito  chorale  e  da  tutto  il  Clero  della  Metro- 
politana, seminaristi  et  altri  ecclesiastici  con  corteggio  innumera- 
bile dei  Titolati,  Cavaglieri  e  Nobiltà,  che  lo  servivano  assistiti  da 
ventiquattro  tedeschi  alabardieri.  L'attendeva  ivi  il  Padre  inquisi- 
tore, fattosi  portare  prima  come  maltrattato  dalla  podagra,  col- 
locato in  choro  vicino  alla  sede  archiepiscopale  nel  luogo  de- 
stinato ai  vescovi  con  postergale,  tapeto  avanti  e  cussini  pavo- 
nazzi,  alla  cui  sinistra  sedeva  mons.  Biandrà,  vicario  generale  con 
rochetto  e  mantel  letto  pavonazzo,  habito  solito  ;  stando  alla  de- 
stra della  sede  pontificale  fuori  dei  cancelli  al  luogo  solito  il 
Tribunale  archiepiscopale  ;  li  signori  Consulton  sotto  al  sten- 
dardo di  S.  Pietro  Martire,  che  si  collocò  in  faccia  al  Palcho,  sta- 
vano disposti  nella  parte  del  primo  choro,  luogo  destinato  a)  se- 
nato quando  interviene  alle  prediche,  ornato  con  postergali  et  in- 
ginocchiatori  di  colore  verde,  et  li  quaranta  del  S.  Officio  con 
Padri  Domenicani  in  altre  banche  inferiori  ornate  di  tapeti  verdi 
parimenti.  Quattro  giudici  secolari  con  stuolo  di  sopra  cento  birri 
assistevano  al  di  fuori  del  gran  Duomo,  acciò  non  seguisse  tumulto 
nell'entrare  et  uscire,  che  faceva  dalla  Metropolitana  il  ntmiero- 
sissimo  popolo  amassato  da  tutte  le  bande. 

€  Arrivato  alla  sede  Mons.  Ill.mo  Arcivescovo  con  molta  fa- 
tica, collocati  e  disposti  nei  suoi  luoghi  il  Capitolo  e  Clero,  di- 
stribuito il  corteggio  in  varie  e  nude  banche  a  ciò  preparate,  li 
rei  custoditi  da  trenta  birri  adunati  dal  barigello  archiepiscopale 
si  condussero  in  palcho  a  vista  di  tutto  il  gran  popolo  onde- 
giante,  che  sembrava  un  mare,  calcolandosi  da  matematici,  com- 
putisti et  uomini  pratici  che  passasse  il  numero  di  quarantamilla 
persone,  oltre  il  continuo  flusso  e  riflusso  di  chi  partiva  e  sopra- 
giongeva,  essendo  tutte  piene  le  vicine  piazze  e  contrade.  Diede 
principio  alla  fontione  il  Padre  Inquisitore  con  dotto  ed  erudito 
breve  ragionamento,  delle  prerogative  e  sodezza  della  nostra  Fede, 
che  a  qualonque  fiero  empito  d'heretica  pravità  non  si  move,  alle 
scosse  de*  perversi  dogmi  persevera  immobile  e  ferma  nei  suoi 
fondamenti,  a  differenza  della  mal  stante  heresia  che  ad  ogni 
soffio  di  verità  si  scuote,  traballa  e  si  sconvolge  :  doppo  del  quale, 
dato  segno  che  si  cominciasse  la  lettura  dei  processi,  fu  dal  gran 
pergamo  con  chiara,  alta  et  intelligibil  voce  primieramente  pubbli- 
cato il  Processo  e  sentenze  del  Borri. 

€  Susséguentemente  si*  condusse  nel  mezzo  del  palcho  Lazaro 
Francesco  Pontio,  sacerdote  secolare  milanese  d'anni  35,  e  fattolo 
inginocchiare  sopra  gradino  a  ciò  preparato,  col  lume  acceso  nella 

Arch.  Stor,  Lomb.,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  35 


388  NOTIZIE  E   DOCUMENTI   INEDITI 

mano  destra,  e  con  la  faccia  rivolta  al  popolo,  fu  letto  il  processo 
e  sentenza,  e  doppo  vestito  d*habito  di  penitenza  con  una  croce  nel 
petto  e  Taltra  negli  homeri,  il  barigello  lo  condusse  a  sedere  in 
altra  parte  del  palcho  a  vista  di  tutti.  Al  secondo,  cioè  Antonio 
Bonardo,  pure  sacerdote  secolare  milanese  d'anni  39,  nell'istesso 
modo  e  forma  si  lesse  il  processo  con  la  sentenza,  vestito  e  collo- 
cato come  sopra. 

ili  terzo,  Carlo  Mangino,  chierico  da  Voghera,  d'anni  25, 
inginocchiato  e  col  lume  in  mano,  sentendo  concludere  dal  pro- 
cesso che  contro  di  lui  si  leggeva,  che  le  consolationi  e  dolcezze  da 
lui  sentite  nel  ricevere  l'Eucharistia,  in  comprobatione  che  fosse 
vero  Tempio  dogma  dal  Borri  insegnato,  delPincamatione  dello 
Spirito  Santo  nel  ventre  di  S.  Anna,  erano  immaginarie  e  finte, 
balzò  senza  verun  riguardo  in  piedi  e  con  temerario  ardire  disse 
e  replicò  che  le  dolcezze  da  lui  sentite  non  furono  altrimenti  im- 
maginarie o  chimeriche,  ma  vere  ;  diede  segno  nelPistesso  atto  di 
voler,  con  la  mano  destra  che  haveva  di  libertà,  cacciarsi  qualche 
scrittura  dalle  bisaccie,  se  non  fosse  stato  da  birri  impedito,  che 
v'accorsero,  lo  trattennero  e  vi  posero  un  freno  o  sia  sbadacchio 
alla  bocca,  acciò  non  vomitasse  nuovo  veleno  d'heresie  ;  e  d'ordine 
di  Mons.  IlLmo  Arcivescovo  fu  fatto  rimovere,  cessandosi  di  pro- 
seguire la  lettura  del  suo  processo,  già  che  con  segni  e  gesti  si 
mostrò  perverso  et  haveva  animo  d'esagerare. 

€  Quarto  complice.  Cesare  Barberio  chierico  milanese  di  anni 
23,  nel  modo  e  forma  oome  sopra  fu  condotto  e  fatto  inginocchiare 
nel  palcho  e  gli  fu  letto  il  processo  e  sentenza  :  lo  stesso  fti  fatto 
al  quinto  Federico  Pirola,  laico  milanese  d'anni  26,  et  al  sesto  Bar- 
tolomeo Gabnieli,  chierico  secolare  da  Paruzano,  diocesi  di  No- 
vara, d'anni  24,  e  questi  tre  non  furono  altrimenti  vestiti  d'habito 
di  penitenza  come  li  primi  Pontio  e  Bonardo,  per  essere  questi  so- 
lamente sospetti  d'heresia. 

e  Compiute  le  letture  dei  processi  e  sentenze  dal  Padre  Vicario 
e  Fiscale  del  S.  Ofi&do,  con  l'assistenza  del  loro  Cancelliere,  si  fe- 
cero abiurare  ad  uno  ad  uno  nel  palcho  pubblicamente,  tenendo 
essi  la  mano  sopra  al  Missale,  sotto  al  quale  era  la  stola,  e  dal  Pa- 
dre Inquisitore  doppo  la  fontione  privatamente  furono  assoluti  e 
liberati  dalle  censure.  Solo  il  Mangini  non  fu  né  abiurato  né  asso- 
luto presumendosi  conttmaace  nelle  perverse  sue  opinioni,  e  cosi 
circa  le  ore  23  terminossi  felicemente  con  grandissima  et  univer- 
sale sodisfatione  il  solenne  abiuro  ad  etema  memoria  dei  posteri. 

lAl  Mangini  fu  fatta  subita  et  diligente  perquisitione  nelle 
Carceri  Archiepiscopali,  ove  si  depositarono  li  rei  quella  notte  j)er 
esser  l'hora  tarda,  trattati  ivi  con  ogni  carità,  siccome  antecedcn- 


INTORNO  all'alchimista   GIUSEPPE  BORRI  389 

temente  alla  fontione,  per  ordine  di  sua  Sig.  IlLma  ;  ed  esso,  fat- 
tosi sligare  le  mani,  cacciò  volontariamente  da  sé  ima  scrittura, 
che  teneva  fra  le  coscie,  quaJe  fu  ricevuta  dal  fiscale  della  santa 
Inquisitione  alla  presenza  di  due  testimoni j,  e  senza  esser  letta 
consegnata  dairistesso  fiscale  a  Mons.  lU.mo  Litta  arcivescovo, 
soggiongendo  esso  Mangini  che  la  scrittura  era  un  compendio  di 
quello  che  voleva  dire  nel  palcho,  ma  che  né  più  né  meno  rilave- 
rebbe quando  fosse  esaminato  :  la  mattina  seguente  furono  tutti 
ricondotti  alle  carceri  della  santa  Inquisizione. 


Esule  forzato,  il  Borri  rimase  lontano  dall'Italia  una  decina 
d'anni  ;  e  dei  suoi  viaggi  e  delle  sue  gesta  non  intendiamo  occu- 
parci, nulla  o  ben  poco  avendo  da  aggiungere  a  quanto  ne  scris- 
sero il  Cantò  e  il  De  Castro. 

Ricorderemo  solo  ch'egli  lasciò  ben  presto  la  Svizzera,  e  dopo 
breve  soggiorno  a  Dresda  (i),  passò  a  Strasburgo,  dove  nel  1660 
pubblicò  il  libercolo  Gentis  Burrorum  Notitia,  per  magnificare 
l'orìgine  della  famiglia  sua,  che  diceva  antichissima  ;  fu  poscia 
ad  Amsterdam,  e  quivi  si  acquistò  fama  di  medico  illustre,  e  ven- 
nero a  consultarlo  ricchi  malati  da  lontane  città  di  Francia  e  di 
Germania,  e  guadagnò  molto  denaro,  che  non  gl'impedi  tuttavia 
di  contrarre  grossi  debiti,  amando  condurre  vita  principesca.  E 
sebbene  i  buoni  olandesi  l'avessero  nominato  cittadino  ad  hono- 
rem di  Amsterdam,  i  debiti  lo  costrinsero  a  emigrare  in  Dani- 
marca. Già  noto  come  medico  senza  rivali,  non  gli  riuscì  difficile 
di  penetrare  nella  corte  di  Federico  III,  il  quale,  trovandosi  in  cat- 
tive condizioni  finanziarie,  accolse  con  lieto  animo  il  profugo  al- 
chimista, e  assai  fidò  nel  suo  filosofico  fornello  per  aumentare  le 
scarse  ricchezze.  Il  fornello  valse  pure  al  Borri  l'amicizia  della 
regina  Cristina  di  Svevia,  che  lo  volle  seco  in  Amburgo  e  cieca- 
mente gli  fu  prodiga  di  molto  oro....  naturale,  per  aiutare  i  suoi 
segreti  e  insistenti  esperimenti,  diretti  ad  ottenere  la  tramutazione 
dei  metalli  inferiori  in  oro  artificiale  ;  di  tali  costose  esperienze 
la  regal  donna  non  tardò  a  stancarsi,  ma  non  così  l'ingenuo  Fede- 
rico che  l'ospitò  ancora  in  Copenaghen,  continuando  a  sommini- 
strargli denaro,  senza  perdere  la  pazienza,  a  malgrado  dei  risul- 
tati poco  lusinghieri  per  lo  scienziato  italiano. 

(i)  U  Cantù  e  il  De  Castro  non  accennano  affatto  al  soggiorno 
del  B.  in  Dresda,  mentre  se  ne  discorre  chiaramente  in  due  curiose 
lettere  tedesche  del  1660,  pubblicate  nelle  Amoenitatés,  ecc,  V,  143-5. 


390  NOTIZIE   E    DOCUMENTI   INEDITI 

Né  si  accontentò  il  Borri  di  essere  il  chimico  di  corte;  ebbe 
la  pretesa  di  erigersi  a  consigliere  intimo  del  sovrano,  e  di  questo 
tempo  egli  avrebbe  scritto  anzi  una  specie  di  trattato  politico, 
un  opuscolo  che  uscì  alle  stampe  nel  1681,  quando  Fautore  aveva 
già  perduta  la  libertà  ;  è  però  dubbio  ch'esso  sia  opera  sua,  al 
pari  di  quelle  lettere  scientifiche  che  furono  pubblicate  nello  stesso 
anno.  Forse  quel  bizzarro  ingegno  che  fu  Gregorio  Leti,  o  il  furbo 
editore  di  Colonia,  avranno  pensato  di  adoperare  il  nome  di  dii 
era  tanto  celebre,  per  comporre  un  libro  che  p>oteva  esser  facil- 
mente venduto  (i). 

Il  Borri  visse  tranquillo  e  potente  nella  Danimarca  sino  al 
1670,  finché  durò  cioè  il  regno  di  Federico  ;  morto  costui,  il  suc- 
cessore Cristiano  V,  non  avendo  simpatia  alcuna  per  Talchimia, 
e  meno  ancora  per  l'alchimista  milanese  che  gli  pareva  un  abile 
scroccone  e  nulla  più,  minacciò  di  muovergli  processo,  e  quegli, 
odorando  il  vento  infido,  abbandonò  subito  la  corte  e  il  paese 
stesso  :  percorsa  rapidamente  la  Germania,  egli  decise  di  recarsi 
in  Turchia  ;  ma  mentre  si  disp>oneva  ad  attraversare  V  Ungheria, 
(agitata  da  gravi  lotte  politiche,  per  aver  l'Austria  aboliti  i  pri- 
vilegi di  cui  quella  terra  generosa  era  tanto  fiera,  e  piena  quindi 
di  armati  che  arrestavano  ogni  persona  sospetta,  e  sopratutto  gli 
stranieri),  fu  il*  Borri  fermato  a  Goldingen  nella  Moravia.  Sapu- 
tosi Tesser  suo,  fu  senza  indugio  mandato  a  Vienna  sotto  buona 
scorta  ;  intervenne  allora  il  nunzio  p>ontificio,  cardinale  Pigna- 
telli,  che  reclamò  il  prigioniero  in  nome  del  S.  Uffizio,  quale  mal- 
vagio e  pericoloso  eretico  già  condannato  in  contumacia. 

Le  trattative  per  l'estradizione  furono  piuttosto  lunghe  e  la- 
boriose, come  si  rileva  dalle  lettere,  scambiate  fra  la  nunziatura 
di  Vienna  e  la  corte  di  Roma,  che  noi  abbiamo  tratte  dall'Archivio 
Vaticano  ;  dalle  quali  anche  risulta  non  esser  vero  ciò  che  altri 
suppose,  che  le  imperiali  autorità  desiderassero  di  trattenere  il 
Borri  nelle  carceri  viennesi,  nel  dubbio  ch'egli  avesse  avuta  parte 
in  una  grave  congiura  da  poco  scoperta  nell'Ungheria  e  terribil- 
mente punita. 

Le  lettere  che  qui  pubblichiamo  dicono  chiaro  che  il  principe 

(i)  Istruzioni  politiche  del  cavagliere  G.  Borri  milanese,  date  al  Re 
di  Danimarca^  Colonia,  1681.  Le  lettere  scientifiche  sono  raccolte  sotto 
il  titolo:  La  chiave  del  Gabinetto  del  cavagliere  G.  Borri,  ecc.,  Colonia, 
1681;  esse  trattano  della  formazione  naturale  e  artificiale  dei  metalli, 
del  segreto  per  trarre  la  semente  dall'oro,  del  modo  di  congelare  fl 
mercurio  e  di  ridurlo  in  argento,  ecc.  Si  veda  in  proposito  De  Castro, 
op.  cit.,  375  e  segg. 


INTORNO   ALL  ALCHIMISTA   GIUSEPPE   BORRI  39I 

di  Locovitz  e  altri  familiari  della  corte  di  Leopoldo,  appassionati 
cultori  delle  scienze  occulte  e  sinceri  ammiratori  del  Borri,  su- 
bito avevano  a  lui  offerto  quanto  occorreva  perchè  iniziasse  le  sue 
misteriose  esperienze  ;  si  comprende  dunque  che  quei  cortigiani 
facessero  il  possibile  per  salvare  chi  poteva  dare  a  lofo  milioni 
e  mia  lunga.  Ma  il  nunzio  seppe  insistere  e  ottenne  il  suo  scopo  : 
si  leggano  infatti  le  seguenti  lettere,  disposte  non  in  ordine  di 
data,  bensì  secondo  lo  svolgersi  della  quistione. 

I.  —  (Arch.  Vatic,  Lettere  della  Nunziatura  di  Germania,  voi.  187  : 
i  foli,  non  sono  numerati). 

Di  Vienna,  27  aprile  1670  :  mons.  Pignatelli  al  sacro  Col- 
legio. 

e ....  In  Moravia,  nelle  presenti  congiunture  di  sospetto,  ar- 
restandosi come  succede  hoggi  e  in  quelle  parti  et  altrove  per 
questi  confini  ogni  forastiero,  segui  lo  stesso  del  Pori  o  Borri  che 
sia,  famoso  heresiarca  milanese  che  di  Danimarca,  di  dove  doppo 
la  morte  di  quel  rè  fu  licenziato,  se  ne  passava  nell'  Ungheria 
superiore  ;  e  perchè  vols'egli  nell'atto  d'esser  fermato  tirar  un 
colpo  di  pistolcL,  che  non  offese,  al  capitano  che  l'arrestò,  fu  da 
questo  fatto  prigione,  onde  vedendosi  perso,  prese  il  veleno  senza 
che  alcuno  se  ne  avvedesse  ;  ma  dicend'egli  poscia  che  non  sa- 
rebbe vissuto  più  di  16  hore,  si  fecero  le  diligenze  per  ricono- 
scere la  persona:  il  che  seguito,  gli  accorti  comandanti  fattagli 
sperare  dalla  clemenza  cesarea  la  liberazione,  l'indussero  a  non 
perdersi  et  a  prendere  il  contraveleno.  Aspettasi  hora  qua,  dove 
vien  condotto  ben  custodito  e  guardato». 

IL  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  187). 

Di  Vienna,  4  maggio  1670  :  lE'  stato  poi  qua  condotto  con 
buona  guardia  il  Borri  milanese,  famoso  heresiarca  ;  e  perciiè  sono 
molti  quei  che  lo  favoriscono,  forse  per  la  curiosità  dei  segreti, 
ch'egli  ha  già  propalati  d'havere,  io  non  lascio  d'adoperarmi  af- 
finchè venga  ben  custodito  e  guardato,  come  segue,  et  ha  la  pietà 
somma  di  S.  M.  comandato!. 

III.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  188). 

Di  Roma,  7  giugno  1670;  a  mons.  Pignatelli:  ilo  sperava 
che  la  cifra  di  V.  S.  de  18  maggio  mi  portasse  qualche  avviso 
dell'affare  del  Borri,  per  poter  sodisfare  all'attenzione  e  al  zelo 
con  che  N.  S.  lo  riguarda  ;  e  se  bene  il  tempo  non  serviva  per  far 


392  NOTIZIE   E   DOCUMENTI   INEDITI 

ch'io  potessi  ricevere  le  risposte  delle  lettere,  che  intomo  alla  ma- 
teria medesima  le  ho  scritte,  nondimeno  l'importanza  di  essa  per 
continuazione  di  negotio,  mi  faceva  credere  che  la  diligenza  di 
V.  S.  non  haverebbe  preterito  di  tenermi  raggiiagliato  di  tutte  le 
cose  particolari  che  fossero  succedute  in  ordine  al  fine  che  si  ha; 
ed  acciocché  V.  S.  possa  eccitare  più  precisamente  la  pietà  del- 
l' Imperatore  e  secondare  il  sentimento  e  desiderio  di  S.  B.,  le 
si  trasmette  un  Breve  che  si  sarebbe  prima  spedito  se  si  fosse 
creduto  necessario,  e  di  cui  l'uso  si  rimette  alla  prudenza  di  V.  S., 
che  non  lascerà  di  considerare  tutto  il  più,  che  possa  conferire  al 
conseguimento  di  ciò  che  si  pretende,  per  operare  con  fervore  e 
con  frutto.  Del  rimanente  non  altro  debbo  a  V.  S.  sopra  le  par- 
ticolarità che  l'accennato  foglio,  se  non  che  havendone  fatta  la 
lettura  a  N.  S.,  è  stata  da  S.  B.  gradita  l'applicazione  e  la  sin- 
cerità delle  riflessioni  spiegate  da  leii. 

IV.  —  Lettere,  ecc.,  voi.  i88). 

Di  Vienna,  i  giugno  1670 :  «Fin  da  che  fu  qua  condotto  il 
Borri  milanese  io  m'avveddi  quanto  efficacemente  veniva  egli  pro- 
tetto e  favorito  anche  da  principali  ministri  di  questa  Corte,  a 
segno  che  intendevano  di  lasciargli  godere  ogni  libertà  ;  e  perciò 
io  non  mancai  d'adoperarmi  e  con  S.  M.  e  con  quei  che  tengono 
conto  della  coscienza  della  M,  S.,  nella  più  efficace  maniera,  et 
a  segno  che  poi,  se  bene  con  grandissimi  stenti,  finalmente  si  in- 
dussero a  restringerlo  et  a  ritenerlo  con  guardie  per  meglio  assi- 
curarsi della  persona  di  lui.  E  con  tutto  che  fin  qui  non  vogliano 
sentire  che  si  parli  di  doversi  tenere  a  disposizione  di  N.  S.,  chi 
per  venirgli  raccomandato  da  principi  forastieri,  e  chi  per  pro- 
prio interesse  o  allettato  dalla  speranza  di  poter  ricavare  da  lui 
segreti  di  grandissima  importanza,  ad  ogni  modo  col  mezo  dei 
sudetti  religiosi  e  di  qualcheduno  di  questi  Ministri  più  zelanti, 
sf)ero  di  poter  superare  tutto  e  d'indurre  la  M.  S.  ad  assentire  a 
ciò  che  si  conviene!. 

V.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  188). 

Di  Roma,  21  giugno  1670  :  «Le  notizie  da  V.  S.  per  la  sua 
cifra  del  primo  corrente,  sopra  le  utili  diligenze  ch'ella  haveva 
fatte  per  impedire  che  il  Borri  non  havesse  la  libertà  che  gli  ve- 
niva procurata,  e  che  anzi  rimanesse  attentamente  custodito,  sono 
state  gratissime  a  S.  S.  che  ha  di  cotesto  importante  affare  una 
singoiar  premura.  V.  S.  non  tralasci  però  di  secondarla  col  zelo 


INTORNO   all'alchimista   GIUSEPPE   BORRI  393 

SUO,  impiegando  tutta  l'opera  della  prudenza  e  della  destrezza 
per  ottenere,  com'appunto  ella  mi  ha  significato  di  sperare,  che  il 
Borrì  si  dia  alla  dispositione  libera  di  S.  B.  ;  e  se  di  qua,  oltre  al 
Breve  trasmessole,  alcuna  cosa  potrà  farsi  la  quale  conferisca  al 
fine  che  si  ha,  godrò  che  V.  S.  me  la  suggerisca,  dovendosi  far 
tutto  ciò  che  sia  possibile  per  conseguirlo». 

VI.  —  {Lettere,  ecc.,  voi.  188). 

Di  Vienna,  8  giugno  1670  :  t  Già  da  altre  mie  bavera  l'Em. 
Vostra  inteso  quanto  passa  in  ordine  all'affare  del  Borri  e  le  dif- 
ficoltà grandi  che  ho  avute  perchè  venisse  ben  guardato,  com'è 
seguito.  Pervenutami  poi  l'humanissima  delFE.  V.,  coll'ordine  di 
procurare  ciò  a  nome  della  S.tà  di  N.  S.,  io  ne  rinnovai  con  la 
dovuta  premura  gli  offitij  presso  la  M.  Sua,  che  è  dispostissima  al 
solito  ;  ma  i  ministri  e  particolarmente  il  principe  di  Locovitz,  che 
è  quello  che  hoggi  fa  tutto,  mi  rispondono  che  per  interessi  di 
stato  sono  in  necessità  di  ritenerlo  così,  senza  dichiararsi  per  hora 
a  dispositione  di  chi,  volendo,  dicono  essi,  venir  prima  in  chiaro 
s'^li  habbia  havuta  veruna  parte  ne  i  veleni  che  vogliono  siano 
stati  dati  a  S.  M.,  fin  da  che  la  M.  S.  stette  si  gravemente  amma- 
lata, parendo  loro  haver  giusto  titolo  di  creder  così,  mentre  egli 
è  passato  per  corti  sospette,  et  hora,  in  tempo  delle  maggiori  ri- 
bellioni, si  portava  in  Ungheria.  Io  però  gli  ho  tutti  per  pretesti, 
con  fine  di  guadagnar  tempo  per  qualche  loro  interesse,  come  ho 
pur  detto  con  altre  a  V.  E.  ;  ma  questo  ancora  si  supererà,  tanto 
maggiormente  ch'essi  medesimi  me  lo  fanno  sperare  tra  pochi 
giorni,  dichiarandosi  apertamente  che  chiaritisi  del  fatto,  non 
intendono  di  tenerlo  che  a  dispositione  della  S.  S.  Continuerò  io 
le  mie  parti  con  tutta  la  vigilanza  et  applicatione  possibile,  et 
attenderò  insieme  gli  ordini  più  precisi  che  con  le  prime  mi  fa 
r  E.  V.  sperare,  per  dar  loro  la  dovuta  esecutione  e  l'ultima  mano 
all'affare  sudetto». 

VII.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  188). 

Di  Roma,  28  giugno  1670  :  «Mentre  cotesti  Ministri  si  di- 
chiarano apertamente  che  non  intendono  di  ritenere  il  Borri  che 
a  dispositione  di  S.  S.,  chiariti  che  siano,  s'egli  havesse  parte  nel 
fatto  de'  veleni,  ancorché  V.  S.  si  persuada  essere  ciò  un  pretesto 
di  particolare  interesse,  forse  per  guadagnar  temjK)  come  ella 
mi  ha  significato  per  la  sua  cifra  de  8  cadente,  può  sp)erarsi  di 
bavere  il  negotio  in  sicuro,  che  rispondendo  alla  singoiar  premura 


394  NOTIZIE   E   DOCUMENTI   INEDITI 

di  S.  B.  diviene  per  la  medesima  una  materia  di  notabil  sodisfa- 
tione.  Ciò  non  ostante,  se  oltre  al  Breve  trasmessole,  V.  S.  giu- 
dicherà che  da  questa  banda  possa  darsi  aiuto  maggiore  alla  di- 
ligenza di  lei  per  assicurare  affatto  il  fine  che  si  ha,  sarà  gratis- 
simo  a  S.  B.  ch'ella  ne  suggerisca  i  modi  creduti  opportuni,  tutto 
volendosi  fare  che  sia  possibile  per  conseguirlo». 

Vili.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  i88). 

Di  Vienna,  15  giugno  1670  :  t  Ih  questo  punto  torno  dall'au- 
dienza  dell'Imperatore,  dove  mi  sono  portato  a  rappresentargli 
quanto  passa,  e  la  M.  S.  ha  nuovamente  comandato  al  signor  prin- 
cipe di  Locovitz  e  al  signor  Cancelliere  di  corte  unitamente  in- 
sieme, affinchè  mi  facciano  l'accennata  consegna  del  Borri.  Ma  mi 
dice  in  somma  confidenza  il  suddetto  Cancelliere,  che  la  difficoltà 
di  questa  maggior  dimora  si  ristringe  hoggi  solo  in  voler  Loco- 
vitz ricuperare  Toro  che  trovasi  haver  dato  al  sudetto  Borrii. 

IX.  —  {Lettere,  ecc.,  voi.  188). 

Di  Vienna,  15  giugno  1670 :  «Nonostante  le  opposizioni  va- 
lidissime del  signor  principe  di  Locovitz,  intomo  al  particolare 
del  Borri,  mi  sono  adoperato  tanto  particolarmente  con  il  Cancel- 
liere, huomo  il  più  zelante  e  il  più  grato  a  S.  M.  fra  questi  Mini- 
stri, e  con  li  P.P.  Miller  confessore  et  Emerigo  cappuccino,  am- 
bedue efficacissimi  e  potenti  presso  la  M.  S.,  che  ha  questa  final- 
mente ordinato  che  mi  venga  quanto  prima  consegnato  il  sudetto 
Borri.  A  tutto  ciò  ha  molto  bene  et  opportunamente  cooperato 
l'efficace  zelo  e  premura  della  M.tà  dell'Imperatrice  Eleonora,  ben- 
ché pregata  da  Locovitz  di  fare  l'opposito,  fin  con  seriamente 
proponerle  che  haverebbe  il  Borri  colla  sua  conosciuta  virtù  po- 
tuto far  molte  cose  in  vantaggio  di  lei  ». 

Qui  il  Nunzio  dà  notizie  riguardo  ad  altri  argomenti,  e  ritor- 
nando in  fine  al  Borri,  assicura  che  egli  non  fu  trattenuto  «a  ti- 
tolo di  esaminarlo  per  negotij  politici,  ma  in  sostanza  per  far  oro, 
havendolo  fatto  trasportare  ad  altro  quartiere,  dove  si  trovano  for- 
nelli et  altre  commoditài. 

X.  —  (Lettere^  ecc.,  voi.  188). 

Di  Roma,  5  luglio  1670  :  «Le  diligenze  impiegate  da  V.  S. 
per  bavere  il  Borri,  quali  sieno  state,  assai  apparisce  nell'ordine 
che  l'Imperatore  havea  dato  a'  suoi  Ministri  di  consegnarglielo, 
non  ostante  tutte  le  contradittioni  dei  personaggi  che  si  sono  in- 


INTORNO  all'alchimista   GIUSEPPE  BORRI  395 

teressati  nell'affare  per  salvarlo.  Gratissimo  è  stato  questo  av- 
viso a  N.  S.  per  la  relazione  che  ho  fatto  alla  S.  S.  delle  due  cifre 
de  15  giugno,  come  inesplicabile  appunto  è  la  premura  di  S.  B. 
di  vedere  che  all'ordine  della  consegna  corrisponda  l'effetto  ;  in- 
tomo a  die  ogni  dubio,  per  piccolo  che  sia,  mi  fa  desiderare  tutta 
Tapplicatione  dell'opera  e  lo  sforzo  maggiore  della  prudenza  e 
della  destrezza  sua,  per  superare  le  difficoltà  che  si  fossero  fra- 
poste  overo  si  f  raponessero.  Anzi  S.  B.  altrettanto  confida  del  zelo 
di  V.  S.  in  questa  grave  congiuntura,  quanto  io  goderò  del  me- 
rito ch'ella  acquisterà  colla  S.  S.  e  colla  Sede  Apostolica!. 

XI.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  187)  (i). 

Di  Vienna,  20  giugno  167O:  t  Fu  poi  hieri  da  me  il  signor 
principe  di  Looovitz  a  dirmi  in  nome  della  Maestà  dell'Impe- 
ratore che  questa  sera  a  punto  mi  haverebbe  fatto  consegnare  il 
Borri.  Ond'io,  subito  che  sarà  seguita  questa  consegna,  c'havrò  al- 
l'ordine tutto  il  necessario  (a  che  non  si  perderà  punto  di  tempo) 
per  la  sicura  condotta  del  medesimo  ;  non  lasciare  di  trasmetterlo 
costà  secondo  il  comandamento  della  S.  Gong,  del  S.  Offitio  e 
dell'Em.  Vostra  medesima,  alla  quale  ne  porgo  questo  riverente 
cenno  in  continuazione  del  mio  debito,  e  le  faccio  per  fine  pro- 
fondissimo inchino». 

XII.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  188). 

(E'  una  copia  di  lettera  indirizzata  dalla  Sacra  Gongrega- 
zione  del  S.  Uffizio  nel  giugno  1670  al  Nunzio  di  Vienna,  inca- 
ricandolo di  far  condurre  il  Borri  al  porto  di  Trieste  per  ivi  im- 
barcarlo). 

XIII.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  188). 

Di  Vienna,  29  giugno  1670  :  Il  Nunzio,  dopo  aver  toccati  di- 
versi argomenti,  scrive  che  il  principe  di  Locovitz  e  gli  altri  cor- 
tigiani sentirono  assai  dolore  per  aver  dovuto  consegnare  il  Borri, 
parendo  loro  i  d'aver  perso  chi  doveva  far  qua  milioni  e  dar  loro 
vita  lunga  ;  tanto  è  grande  la  fede  che  tutti  comunemente  haveano 
nei  segreti  di  luii. 

XIV.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  187). 

Di  Vienna,  29  giugno  1670  :  tFeci  giovedì  di  buon  hora  la 
spedizione  della  persona  del  Borri,  per  cotesta  volta,  accompa- 

(i)  In  calce  è  scritto  :  L'originale  di  questa  lettera  è  restato  alla  S.  Con- 
gregatione  del  S,  Offitio,  addi  3  luglio  16'jo, 


39^  NOTIZIE  E   DOCUMENTI   INEDITI 

gnata  da  una  squadra  di  30  soldati  e  da  due  miei  servitori,  cbc 
per  la  strada  di  Gratz  e  Lubiana  dovranno  condurlo  a  Trieste,  in 
conformità  degli  ordini  della  S.  Congreg.  del  S.  Ofl&tio.  Ho  scritto 
]x>i  anche  a  mons.  Nunzio  in  Venezia,  affinch'ali,  non  trovandosi 
pronto  rimbarco  a  Trieste,  lo  provegga  tempestivamente  e  con 
gente  bastante  per  la  sicura  e  celere  condotta  del  medesima  Sparo 
che,  se  bene  il  Borri  sudetto  per  alcune  palpitazioni  di  cuore  so- 
lite a  venirgli  di  quando  in  quando,  non  voka,  per  quanto  m^av- 
visano,  che  mangiar  poco  e  bever  meno,  sia  con  tutto  ciò  per  con- 
dursi vivo  costà,  per  la  buona  ed  esattissima  cura  c'havevano  di 
lui  i  sudetti  miei  servitori.  E  senza  più  di  nuovo  profondamente 
m'inchino,  ecc». 

XV.  —  (Lettere,  ecc.,  voi.  187). 

Di  Vienna,  6  luglio  1670  :  e  Tutto  che  in  questa  settimana 
non  possa  dar  io  airEm,  Vostra  verun  a\'viso  certo  del  prosegui- 
mento del  viaggio  del  Bórri  per  costà,  per  non  haver  da  quattro 
giorni  in  qua  nuova  di  lui,  non  essendo  per  anche  comparsa  da 
quelle  parti  la  posta  ordinaria,  ne  ritornato  tampoco  tm  mio  huomo 
che  a  posta  vi  ho  inviato  per  haveme  qualche  notizia,  non  dovrà 
recare  a  V.  E.  alcima  ammirazione,  non  potendo  dò  nascere  che 
a  causa  delle  continue  pioggie  che  pur  tuttavia  non  cessano  e 
c*hanno  in  questi  giorni  portate  via  le  case  intere,  fuori  e  ne*  borghi 
di  questa  città,  et  allagate  a  s^no  le  campagne  e  strade,  c'ha 
quasi  levato  il  commercio  in  questi  contomi». 

XVL  ~  [LetUre,  ecc.,  voi.  187). 

Di  Vienna,  13  luglio  1670 :  «ili  per\'enne  poi  nel  fine  della 
decorsa  settimana  la  nuova  del  Farri  vo  del  Borri  a  Gratz,  dove 
si  trattenne  alcuni  giorni  a  causa  dell'acque,  c^havendo  allagato 
d'ogni  intomo  il  paese,  rendeano  impraticabili  le  strade:  S'era  poi 
mosso  di  là  per  Lubiana,  e  sicome  spero  che  siano  per  esser  mi- 
gliori le  strade,  così  potrà  da  qui  avanti  riuscir  meglio  a  dii  lo 
conduce  di  seguitar  senz'altro  trattenimento,  se  bene  mi  avvisano 
di  stentar  molto  per  fargli  pr^ider  cibo.  Di  qui  intanto  wm  si 
lascia  di  spiccar  sempre  nuovi  ordini  per  ogni  maggior  sicurezza». 

XVIL  —  (LetUre,  ecc.,  voL  187). 

Di  Vienna,  20  luglio  1670  :  e  Colle  ultime  lettere  in  data  de 
15  del  corrente,  da  Lubiana  scrittemi  dal  mio  huomo  che  sopra- 
intende  alla  condotta  del  Borri,  sento  ess^  questo  giunto  in  qudla 


■k 


INTORNO  all'alchimista   GIUSEPPE   BORRI  397 

città,  benché  con  mille  stenti  a  causa  delle  pessime  strade  et  acque 
grosse  trovate.  Dalla  medesima  se  ne  sarebbe  passato  a  Trieste 
subito,  se  gli  fosse  riuscito  di  ritruovare  nuova  gente,  della  quale 
v'era  grandissima  penuria  per  quei  luoghi.  Spero  poi  che  a  Trieste 
truoverà  rimbarco  che  da  mons.  Nunzio  di  Venezia,  in  confor- 
mità dello  scrittogli  e  della  maggior  comodità  che  ne  ha,  gli  sarà 
stato  preparato». 

Nel  lungo  viaggio  da  Trieste  a  Roma,  il  prigioniero  fu  sempre 
piuttosto  malinconico  :  in  una  sua  biografia,  conservata  nel  Cod. 
Ottob.  2762  (fol.  171-7)  della  Bibl.  Vaticana,  dove  l'anonimo 
autore  inveisce  contro  di  lui,  accusandolo  di  aver  satirizzato  verso 
i  ministri  della  Chiesa  come  cane  arrabbiato^  si  leggono  questi 
curiosi  particolari  a  proposito  del  viaggio  stesso  : 

€  Per  tutto  fece  [il  Borri]  dimostrcizione  di  ricevere  le  cortesie 
di  ciascuno,  avendo  grati  i  trattenimenti  che  se  li  facevono  ;  ma 
quando  arrivò  a  Fano,  dove  ritrovossi  in  quel  tempo  per  vice- 
legato mons.  Bentivogli  bolognese,  quest'huomo  [il  B.]  non  vo- 
leva né  parlare  né  mangiare  né  conversare  con  veruno  ben'ché  ne 
fosse  pregato  da  gentiluomini  del  paese  e  da  cortigiani  di  Mon- 
signore. Era  grande  il  disgusto  di  questo  pn-elato  in  vedere  l'osti- 
nazione che  in  tutto  mostrava,  essendo  scorsi  giorni  che  non  aveva 
gustato  alcun  cibo,  e  perché  l'istanze  che  si  facevano  di  lui  in 
Roma,  che  da  tutti  fosse  ben  trattato....,  erano  di  grande  stimolo 
a  Monsignore....,  si  portò  dal  Borri  nelle  carceri  dell'Inquisitione 
e  disse  queste  parole  al  medesimo  :  t  Homo  di  tanto  spirito,  ga- 
lante e  giovane,  non  sta  bene  che  ne  viva  immerso  in  una  si  fatta 
ipocondria  ;  via  via,  allegramente  signor  Borri  ;  lei  non  deve  te- 
mere, che  la  Chiesa  maternamente  benigna  l'accoglierà  in  modo 
differente  da  quello  ch'ella  si  pensa  ».  Allora  rispose  il  Borri  : 
€  Monsignore,  io  vorrei  sapere  da  V.  S.  lU.ma  ingenuamente  se 
io  sia  prigione  effettivamente  ad  istanza  del  St  Offìzio  o  pure  dei 
signori  Chigi  ;  ma  di  grazia,  me  lo  dica  liberamente,  se  gli  ag- 
grada». 

Senza  riflessione  alcuna  né  punto  pensarvi,  disse  Monsignore 
che  esso  era  prigione  per  ordine  del  S.  Offìzio  e  non  altrimenti  ad 
istanza  dei  signori  Chigi 

tSe  così  é,  disse  il  Borri,  io  ormai  non  temo  né  ho  più  oc- 
casione di  temere  l'ultime  mine  mie,  perché  spero  in  Dio  esser 
libero  dal  fuoco»  ;  e  così  respirando  da  tanta  malinconia  che  gli 
affliggeva  l'animo,  mangiò  con  Monsignore  e  cercò  di  sollevarsi 
quanto  potè.  Temeva  lui  d'esser  strumento  della  potenza  del 
cardinale  Flavio  Chigi,  perché  in  tempo  del  zio  [Alessandro  VII], 
lui  fu  tiranno  e  della  sua  persona  e  della  sua  dignità,  e  fu  non 
ordinaria  la  maledicenza  che  cindò  seminando  di  questa  casa 


398  NOTIZIE   E   DOCUMENTI   INEDITI 

....  Seguitando  il  suo  viaggio,  giunse  ai  confini  di  Temi, 
....  e  perchè  nelle  carceri  dell*  Inquisitione  non  vi  poteva  esser  ri- 
cevuto, per  non  esser  quelle  né  sicure  né  capaci  in  materia  tanto 
gelosa,  fu  subito  e  adirittura  condotto  in  quelle  di  Mons.  Gover- 
natore ;  ....sendo  ora  di  pranzo,  fu  interrogato  se  avesse  voluto 
mangiare  carne  o  pesce,  et  egli  rispose  che  essendo  in  quel  giorno 
la  vigilia  di  S.  Lorenzo  voleva  del  pesce,  perché  era  buon  catto- 
lico. Fece  istanza  d'un  pettine  che  subito  gli  fu  dato  e  donato 
dal  medesimo  Governatore,  e  nel  desinare,  fu  nobilmente  servito 
et  in  servitio  d'argento  ;  alla  sua  tavola  mangiò  anco  il  Padre  Vi- 
cario con  il  signor  Francesco  Ranieri,  Cancelliere  del  S.  Offizio 
di  Temi,  e  in  tavola  non  comparvero  mai  coltelli,  sicome  era 
seguito  in  tutti  gli  altri  luoghi,  ma  la  roba  era  già  trinciata 

Dopo  desinato,  fu  visitato  da  molti  signori  e  specialmente  da 
padri  Gesuiti  e  dal  signor  conte  Bartolomeo  Canali,  che  era  stato 
suo  condiscepolo  nel  seminario  romcino,  quando  successe  Taccen- 
nata  sollevazionei  Fugli  detto  dal  padre  Anton  Venturi,  gesuita 
e  lettore  di  filosofia  nel  collegio  di  S.  Lucia  di  Temi,  che  egli 
andava  a  Roma  per  caldi  eccessivi  [si  era  alla  metà  d'agosto],  ed 
esso  replicò  subito  le  precise  parole  :  t  Non  teme  questi  caldi  dii 
è  destinato  ai  maggiori,  già  che  io  so  molto  bene  che  se  è  stata 
abbruciata  la  mia  statua  in  Roma,  correrà  Tistesso  pericolo  rori- 
ginale  ». 

....  Il  sopra  accennato  cancelliere  del  St  Offizio  di  Temi 
aveva  un  male  che  bene  spesso  lo  tormentava  terribilmente,  e  per 
vedere  se  pure  una  volta  ne  potesse  esser  libero,  aveva  usato  tutti 
quei  medicamenti  possibili  che  i  medici  del  paese  e  fuori  gli  ave- 
vano ordinato.  Sapeva  dunque  che  il  Borri  in  materia  di  medi- 
cina era  eccellentissimo  ;  gli  confidò  la  sua  fastidiosa  e  molesta 
indisposizione  ;  il  quale  comprese  la  qualità  del  male,  e  adope- 
randosi volontieri  per  guarirlo  e  forse  per  acquistar  fama,  ordi- 
nogli  una  ricetta  scritta  di  propria  mano.  Esso  consolato  dal  sud- 
detto, messe  in  pratica  quanto  prima  quei  medicamenti  ordinatigli 
e  in  pochi  giorni  guarì  affatto. 

Il  resto  della  nobiltà  di  Temi,  non  vi  restò  alcuno  tanto  di 
dame  che  di  cavalieri  che  non  andassero  a  vederlo  alle  carceri 
del  governatore,  et  essendo  compitissimo,  complimentò  con  tutti 
benché  si  vedesse  vicino  alle  porte  di  Roma,  che  vuol  dire  vicino 
all'ultimo  dei  suoi  giorni...» 

Arrivato  finalmente  in  Roma,  il  Borri  fu  rinchiuso  in  Castri 
S.  Angelo,  e  subito  si  rinnovò  il  processo  a  suo  carico  ;  ma  la  sen- 
tenza si  fece  attendere  non  poco,  perchè  i  giudici  non  erano  con- 


INTORNO   all'alchimista   GIUSEPPE   BORRI  399 

cordi:  i  signori  consultori,  narra  l'anonimo  biografo  del  Codice 
ora  citato,  si  divisero  in  due  parti  fazionarij,  volendo  gli  uni,  in 
ossequio  alla  sentenza  del  i66i,  mandare  l'imputato  alla  morte, 
e  opinando  invece  i  più  miti,  che  il  carcere  perpetuo  fosse  la 
giusta  pena. 

Secondo  il  De  Castro,  prevalse  il  parere  dei  secondi,  anche 
perchè  era  stato  soleimemente  promesso  all'imperatore  Leopoldo 
di  risparmiare  all'eretico  alchimista  la  pena  capitale;  ma  ciò 
non  risulta  affatto  dalle  lettere  del  Nunzio  :  è  evidente  che  la  re- 
lativa mitezza  del  giudizio,  derivò  soprattutto  dalla  condotta  che 
il  Borri  tenne  durante  le  sue  peregrinazioni  in  Europa,  non  avendo 
egli  più  insistito  nella  propaganda  per  la  sua  confusa  riforma 
religiosa,  ma  soltanto  coltivato  Io  studio  delle  scienze  mediche 
e  dell'alchimia. 

La  sentenza  proclamata  nel  1672,  oltre  al  carcere  perpetuo,  lo 
condaimò  a  recitare  una  volta  al  giorno  il  simbolo  delli  Apostoli 
r  lì  sette  salmi  penttenztali,  a  ricevere  una  volta  il  mese  i  sacra- 
menti, e  lo  riammise,  dopo  la  funzione  dell'abiura,  tenutasi  nel 
settembre  di  quell'anno  nella  Chiesa  della  Minerva,  nel  grembo 
della  Chiesa  cattolica,  riserbando  a  chi  spettava,  il  diritto  di 
aumentare  0  diminuire  la  pena,  secondo  i  suoi  portamenti  (i). 
Rimase  fin  al  1678  nelle  carceri  dell'Inquisizione;  e  chiamato 
allora  per  ordine  di  Innocenzo  XI  a  curare  il  duca  d'  Estrées,  am- 
basciatore di  Francia,  ebbe  la  ventura  di  guarire  l'illustre  malato, 
ottenendo  in  premio  di  passare  da  quelle  carceri  a  Castel  S.  An- 
gelo ;  più  tardi  gli  fu  anche  concesso  di  passeggiare  libero  per  le 
vie  della  città  e  di  dedicarsi  alla  medicina. 

Era  quindi  naturale  ch'egli  si  occupasse  col  solito  ardore  di 
scienze  occulte,  e  ciò  gli  procurò  l'amicizia  e  la  protezione  di 
molte,  nobili  e  ricche  famiglie  romane,  perchè  quelle  misteriose 
ricerche  esercitavano  sempre  il  loro  irresistibile  fascino  ;  prigio- 
niero dunque  a  metà,  per  cosi  dire,  e  accarezzato  dai  patrizi,  il 
Borri  non  lamentava  certo  la  sua  sorte.  Ma  nel  1691,  un  altro  In- 
nocenzo, il  XII,  che  era  l'antico  Nunzio  di  Vierma,  e  che  fu  pon- 
tefice rigidamente  severo  verso  tutti,  si  mostrò  inflessibile  anche 
verso  il  Borri,  sua  vecchia  conoscenza  ;  gli  fu  quindi  negato  il 
piacere  d'uscire  per  la  città,  e  in  Castel  S.  Angelo  terminò  quasi  di- 
menticato i  suoi  giorni  nel  novembre  del  1695. 

Nel   Cod.    Urbinate  i6go,   della  Vaticana,  cosi  è  scritto  a 

(i)  Copia  di  questa  sentenza  sta  nel  Cod.  Urbinate  1690,  della  Bi- 
blioteca Vaticana,  fol.  173-184.  Il  Brusoni,  nell'altra  edizione  della  sua 
Historia  d'Italia  (Torino,  1680)^  ne  diede  sommaria  notizia. 


400 


NOTIZIE   E   DOCUMENTI   INEDITI,  ECC. 


f ol.  1 84  :  t  Morse  il  suddetto  Borri  in  Castel  S.  Angelo  ivi  ri- 
stretto dalla  sacra  Inquisitione,  di  novembre  del  1695  (i)  stante  una 
infetione  d'aria  per  Tinondatione  del  fiume  che  partorì  e  nclli 
borghi  e  nella  fortezza  quasi  un  contaggio.  Mentre  il  detto  visse 
nella  detta  fortezza  Adriana  attese  alla  chimica,  facendo  di  molte 
cure,  fra  l'altre  del  Duca  di  Lestre  (sic),  che  fu  permesso  di  an- 
darlo a  curare  nel  suo  palazzo.  Come  parimente  fu  permesso  nella 
malattia  et  ultima  infermità  del  signor  cardinale  Verginio  Orsino 
del  mese  d'agosto  del  1676,  che  fu  l'ultima  malattia  della  sua 
vita». 

Arturo  MAGNOCAVALLa 

(i)  II  Cantù,  op.  cit.,  Ili,  331,  reca  invece  la  data  ao  agosto  1695. 


BIBLIOGRAFIA 


P.  Kehr.  Ueber  d€n  Pian  einer  kritischen  Ausgabe  der  Fapstnrkwnden 
bis  Innocens  III,  Rede  gehalten  in  der  òffentlichen  Sitzung  der  Kó- 
nigl.  Gesellschaft  der  Wissenschaften  am  7  November  1896  :  Sopra  il 
piano  di  una  edizione  critica  dei  diplomi  pontifici  fino  ad  Inno- 
cenzo Illy  Discorso  tenuto  nella  seduta  pubblica  della  R.  Società 
delle  Scienze  (di  Gòttingen)  il  7  Novembre  1896,  pp.  15  in-8®. 

—  Papsturkunden  in  Venedig.  Aus  den  Nachrichten  der  K.  Gesellschaft 
der  Wissenschaften  su  Gòttingen,  Philologisch-historische  Klasse, 
1897,  Heft  2  :  Diplomi  pontifici  in  Veneaia,  Dalle  Notizie  della  R.  So- 
cietà delle  Scienze  di  Gòttingen,  Classe  di  Filologia  e  Storia,  1897, 
fascic.  2  :  ecc.  ;  v.  sotto  p.  410,  seg.  per  i  diplomi  pontifici  nelle 
altre  città  e  regioni  d' Italia. 

La  data  del  7  novembre  1896  rimarrà  memorabile  per  la  R.  Società 
delle  Scienze  di  Gòttingen.  In  quel  giorno  in  pubblica  seduta  della  So- 
cietà il  prof.  Paolo  Kehr,  già  tanto  favorevolmente  noto  pei  suoi  lavori 
di  diplomatica  e  di  storia,  esponeva  in  forma  altrettanto  piena  che  con- 
cisa il  piano  di  una  grandiosa  impresa  dietro  sua  proposta  già  votata 
dalla  Società  stessa  :  e  la  proposta  era  nientemeno  che  di  dare  un'edi- 
zione critica  dei  più  antichi  diplomi  pontifici  fino  ad  Innocenzo  III,  ossia 
anteriori  all'anno  1198.  Al  principio  dell'anno  1897  veniva  costituita  una 
speciale  commissione  composta  dei  due  segretari  della  Società  e  dei  si- 
gnori  Frensdorf,  Lehmann,  Kehr,  e  tosto  si  poneva  mano  all'opera  ;  dico 
all'opera  di  esecuzione,  perchè  ognuno  può  pensare  quanta  opera  di  pre- 
parazione dovette  precedere  la  definitiva  partenza  per  tale  e  tanto  viaggio. 

10  non  saprei  meglio  dare  una  qualche  idea  della  natura,  della 
grandezza  e  dell'importanza  dell'opera  annunciata,  che  riassumendo  per 
sommi  capi  il  piano  esposto  dal  prof.  Kehr,  ricollegandovi  le  considera^ 
zioni  ch'esso  mi  suggerisce  ;  dopo  di  che  non  mi  rimarrà  altro  a  fare  che 
porgere  un  breve  cenno  del  lavoro  fino  ad  ora  eseguito. 

11  prof.  Kehr  prende  le  mosse  da  un'idea  verissima,  che  cioè,  se  al 
giorno  d'oggi  non  si  manca,  anzi  si  abbonda  di  buone  raccolte  dei  mo- 
numenti del  passato  messe  insieme  con  i  sussidii  dell'odierna  critica,  non 


' 


402  BIBLIOGRAFIA 

si  può  a  meno  dì  riconoscere  che  queste  raccolte  presentano  in  fondo  un 
grande  difetto  ed  una  grande  lacuna.  Esse  sono  quasi  esclusivamente 
nazionali  e  regionali  ;  il  che  è  verissimo  non  solo  per  le  raccolte  più  re> 
centi,  ma  anche*,  e  più,  per  quelle  onde  fu  così  ricco  e  benemerito  il  se- 
colo XVIII. 

Ora  è  certo  che  scindere  il  passato,  e  segnatamente  il  primo  medioevo, 
per  nazionalità  e  regioni,  è  in  un  certo  senso  far  violenza  alla  sua  intima 
essenza,  data  l'unità  e  Tuniversalità  del  pensiero  e  della  vita  cristiana  in 
cui  tutto  l'occidente,  a  dir  poco,  in  quell'epoca  si  adunava.  Ed  è  manife- 
sto che,  come  di  quella  universale  unità  causa  e  centro  fu  il  papato,  così 
nessuna  impresa  può  sembrare  più  atta  a  colmare  l'accennata  lacuna,  che 
la  raccolta  di  quei  documenti  pei  quali  e  nei  quali  la  viva  e  potente  azione 
del  papato  dovunque  e  in  ogni  senso  si  faceva  sentire.  E  come  ai  giorni 
di  Innocenzo  III  la  potenza  di  quell'azione  giungeva  nel  medioevo  al  suo 
colmo,  così  già  per  questo,  sebbene  non  solamente  per  questo,  il  pontifi- 
cato di  quel  gran  papa  poteva  prendersi  come  limite  cronologico  ai 
quem  dell'impresa.  Ho  detto  non  solamente  per  questo  ;  perchè  precisa- 
mente con  Innocenzo  III  comincia  la  serie  continua  dei  Registri  papali 
di  anno  in  anno  e  di  secolo  in  secolo  sempre  più  copiosa,  che  si  consen.*a 
negli  archivi  pontifici  e  che  l'animosa  sapienza  di  Leone  XIII  metteva  a 
disposizione  dei  cercatori  e  studiosi  di  tutte  le  nazioni,  con  un  tratto  de- 
gno di  eterna  memoria  e  di  etema  gratitudine. 

Non  meno  chiaramente  sono  indicati  i  confini  geografici  :  non  solo 
Italia,  Francia  e  Germania,  ma  anche  Spagna,  Inghilterra  e  Scandinavia 
sono  espressamente  contemplate  nel  piano  generale.  Davvero  che  ba- 
stano questi  nomi,  bastano  i  secoli  decorsi  fino  ad  Innocenzo  III,  per 
farci  intravedere  la  vastità  dell'impresa;  anche  meglio  la  si  intravede,  se, 
come  bene  osserva  il  prof.  Kehr,  si  pensa  ai  quasi  19000  documenti  pon- 
tifici indicati  nei  Regesti  di  Jaffè-Ewald  (ed.  1888)  ;  se  si  pensa  ancora 
alle  migliaia  (vedremo  a'  fatti  che  non  è  dir  troppo)  di  documenti  che 
ancora  attendono  la  luce   nei  nascondigli  che  finora  li  celavano. 

Il  prof.  Kehr  ha  sentito  il  bisogno  di  una  qualche  maggiore  limita- 
zione della  massa  veramente  immane,  e  ne  ha  ricercato  le  ragioni  ed  i 
criteri  nelle  diversità  del  materiale  diplomatico  e  dei  modi  onde  ci  venne 
tramandato. 

E  per  cominciare  da  questi  ultimi,  vengono  subito  in  mente  tre  di- 
stinti modi  di  tradizione  :  le  collezioni  (come  per  es.  le  notissime  Ispana, 
Adriana,  Avellana),  le  reliquie  degli  antichi  regesti,  e  finalmente  i  di- 
plomi papali  stessi  singoli  e  per  sé  stanti,  quali  uscirono  dalla  Cancellerìa 
pontificia  e  si  sparsero  in  tutte  le  direzioni.  Come  si  vede,  sono  tre  gruppi 
ben  distinti,  tutti  certamente  e  notoriamente  di  inestimabile  valore  per  lo 
storico  e  pel  cronista  ;  ma  dei  tre  gruppi,  solo  il  terzo  sembra  venire  indi- 
cato come  l'oggetto  proprio  della  raccolta  divisata. 

Chi  ricordi  che  il  primo  documento  pontificio  conservatoci  nell'ori- 
ginale è  quello  del  819,  di  Pasquale  I  per  Ravenna  (J-E,  2551),  che  (per 
quel  che  si  può  dire  al  presente  con  tutte  le  riserve)  i  secoli  IX  e  X  ci 


BIBLIOGRAFIA 


403 


danno  su  per  giù  una  dozzina  di  originali,  due  centinaia  in  circa  il  se- 
colo XI  (grazie  alla  sostituzione  della  pergamena  al  papiro),  assai  più 
d'un  migliaio  il  secolo  XII  ;  chi  pensi  queste  cose,  dico,  può  anche  sen- 
tirsi tentato  a  pensare  che  in  effetto  siasi  trovato  il  modo  di  ricondurre 
rimpresa  dentro  confini  abbastanza  ristretti.  Ma  innanzi  tutto  la  rinuncia 
ai  primi  due  gruppi  non  è,  come  vedremo  né  da  parecchi  fu  rilevato,  in- 
tera ed  assoluta;  in  secondo  luogo  rimane  la  grande  incognita  (incognita, 
ma  certamente  grande)  del  materiale  affatto  nuovo  che  deve  di  necessità 
saltar  fuori  ;  rimane  ancora  in  terzo  luogo  la  vastità  dei  territorii  da  per- 
corrersi frugando  in  tutti  i  sensi  ;  rimane  finalmente  e  sovratutto  la  ela- 
borazione critica  del  materiale  raccolto,  elaborazione  che  sola  può  con- 
ferire all'impresa  il  suo  miglior  e  caratteristico  merito,  come  al  materiale 
stesso  il  suo  valore  scientifico;  elaborazione  che  appunto  per  questo 
prende  posto  principale  nell'impresa  e  nel  piano,  e  che,  come  diremo, 
presenta  da  se  sola  le  più  ingenti  difficoltà. 

L'impresa  tornava  pertanto  a  sconfinare  gigante  :  donde  una  nuova 
ricerca  di  confini  nelle  diversità  del  materiale  stesso   diplomatico. 

Qui  il  prof.  Kehr  si  sente  forzato  dal  bisogno  (notgedrungen)  a 
prendere  le  mosse  dalla  definizione  del  diploma,  o  documento  (Urkunde), 
e  non  secondo  il  significato  comune  e  giuridico  della  parola,  sibbene 
secondo  il  significato  diplomatico  ;  e  la  sua  definizione  è  questa  :  «  quegli 
(c  scritti  della  romana  Cancelleria,  che  in  qualche  molo  esercitarono  un'in- 
a  fluenza  nei  rapporti  giuridici  dei  destinatarii  od  erano  destinati  ad  eser- 
«  citarla  ».  Colla  più  benigna  e,  dirò  così,  mansueta  interpretazione  più 
che  tradurione  del  verbo,  «  eingreifen  »  adoperato  dal  prof.  Kehr,  credo  di 
avere  fedelmente  interpretato  il  fondo  storicamente  e  teologicamente 
più  vero  del  suo  concetto  :  fondo  che  ritrovo  là  dove  (p.  14)  egli  vede  in 
quegli  scritti  altrettanti  tratti  e  modi  dello  sviluppo  (Entwickelung)  del- 
l'autorità pontificia  rispetto  alle  altre  chiese  ;  sviluppo  che  esprime  assai 
meglio  il  naturale  e  legittimo  svolgimento  nell'ordine  dei  fatti,  e  la  pro- 
gressiva applicazione  di  quella  autorità  secondo  l'originaria  destinazione 
che  nella  non  meno  originaria  costituzione  sociale  della  Chiesa  le  com- 
peteva per  diritto  divino;  assai  meglio,  dico,  che  non  facciano  altre 
espressioni,  secondo  le  quali  il  eh.  A.  sembra  vedere  in  quei  medesimi 
scritti  usciti  dalla  Cancelleria  papale  altrettanti  passi  innanzi  alla  con- 
quista di  una  egemonia  più  o  meno  usurpata,  che,  non  è  dubbio,  rispon- 
derebbe meglio  al  primo  e  più  comune  significato  sempre  un  pochino 
combattitivo  ed  attentatorio  di  quel  verbo  «  eingreifen  ».  Noterò  anche 
come  può  a  ragione  sembrare  poco  chiara  l'opposizione  di  una  definizione 
fondata  sui  rapporti  giuridici  e  il  significato  giuridico  del  diploma. 

Dette  queste  cose  di  passaggio,  conviene  seguire  il  prof.  Kehr,  il  quale 
procede  dichiarando  sempre  meglio  il  suo  pensiero  con  dire  che  dunque 
nel  suo  piano  entrano  non  le  lettere  ed  i  decreti  del  capo  della  Chiesa  che 
istruisce  i  fedeli  e  interpreta  i  canoni,  ma  i  documenti  (Urkunden)  del 
papato  che  governa  la  chiesa  ed  il  mondo  medioevale.  Qui  al  limite  cro- 
nologico ad  quem,  sembra  aggiungersi  il  limite  a  quo;  sarebbero  adunque 

Arch.  Stor,  Lomb.f  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  36 


BraLIOGRAFIA  405 

Di  più  :  quando  si  parla  di  disposizioni  giurìdiche  e  di  effetti 
giuridici  delle  disposizioni  stesse,  bisognerebbe  innanzi  tutto  chiarire 
di  qual  giure  o  diritto  si  intende  parlare.  Perchè,  se,  come  sembra,  si 
parla  del  diritto  ecclesiastico  o  canonico  od  anche  solo  del  diritto  civile 
dei  secoli  cristiani,  in  tal  caso  anche  «  le  lettere  ed  i  decreti  del  Capo  della 
«  Chiesa  che  istruisce  i  fedeli  ed  interpreta  i  canoni  »,  anzi  essi  sopratutto, 
ebbero  una  portata  altamente  giuridica  :  non  solo  perchè  giuridica  era 
nella  Chiesa  la  suprema  potestà  di  magistero  e  di  governo  ;  ma  anche 
perchè  per  tale  era  giuridicamente  riconosciuta,  e  per  le  influenze  esteme 
che  in  conseguenza  di  ciò  le  disposizioni  di  quella  potestà  esercitavano. 
Non  per  nulla  già  i  codici  Teodosiani  e  Giustinianeo  si  aprono  col  titolo 
de  Summa  Trinitate  et  fide  catholica;  ed  è  noto  che  gli  articoli  della  fede 
e  le  disposizioni  dei  canoni  appartenevano,  si  può  ben  dire,  al  diritto  pub- 
blico della  cristianità  medioevale. 

Ma  il  prof,  K.  mi  obbliga  a  seguirlo  più  in  alto.  Sempre  nell'intento 
di  meglio  delimitare  la  sua  impresa,  egli  dice  che  «  per  grande  che  fosse 
«la  considerazione  del  vescovo  romano  già  nei  primi  secoli,  per  quanto 
«generale  la  fede  che  egli  custodisce  la  tradizione  apostolica  e  la  dot- 
«  trina  autentica  di  S.  Pietro,  il  principe  degli  Apostoli,  la  sua  autorità 
«  era  bensì  eminente  in  linea  morale,  ma  di  gran  lunga  lontana  dall'es- 
«sere  un'autorità  giuridica  ».  E  aggiunge  come  ragione  o  spiegazione 
che  «  nella  salda  compagine  burocratica  del  Romano  Impero  ivo»  rima- 
«neva  posto  per  un'altra  potestà  di  così  universale  tendenza!» 

Nessuno  ha  mai  preteso,  ch'io  sappia,  che  la  suprema  potestà  ponti- 
ficia sia  stata  giuridicamente  riconosciuta  dal  potere  civile  fino  dai  pri- 
missimi tempi  del  cristianesimo  ;  ma  questo  non  poteva  evidentemente  to- 
gliere nulla  alla  condizione  giuridica  di  cui  godeva  nei  rapporti  colla 
Chiesa,  e  sono  certamente  questi  i  rapporti  che  devono  nel  caso  nostro 
innanzi  a  tutti  gli  altri  considerarsi.  Ora  che  il  vescovo  di  Roma,  appunto 
perchè  successore  del  principe  degli  Apostoli,  goda  rispetto  alla  Chiesa 
ed  abbia  sempre  goduto  per  diritto  originario  e  divino  di  una  condizione 
veramente  e  pienamente  nel  genere  suo  giuridica,  non  è  soltanto  (catto- 
licamente parlando)  un  vecchio  dogma,  come  appare  anche  solo  dai  con- 
cili Lateranese  IV,  Lionese  II,  Fiorentino  e  Vaticano,  ma  è  anche  una 
verità  storica.  Quando  Ambrogio  dice  :  ubi  Petrus,  ibi  Ecclesia;  quando 
Agostino  soggiunge  :  Roma  locuta  est,  causa  finita  est;  quando  papa  Vit- 
tore interpone  la  sua  autorità  nella  querela  pasquale  che  scindeva 
l'Oriente  ;  quando  Clemente  interviene  nei  torbidi  della  chiesa  di  Corinto 
e  vi  manda  suoi  nunci,  e  con  garbo  veramente  diplomatico  ingiunge  che 
gli  siano  tosto  rimandati  colla  notizia  dell'ordine  ristabilito  ;  quando  Li- 
berio, Innocenzo  I,  Celestino  I,  Leone  il  Grande,  Ormisda,  Vigilio,  Gre- 
gorio Magno,  Agatone  e  tanti  altri  pontefici,  senza  che  storicamente  si 
possa  indicare  e  dimostrare  avvenuto  un  cambiamento  di  costituzione 
nella  Chiesa,  si  vedono  intervenire,  invocati  o  di  proprio  moto,  nelle  ver- 
tenze di  tante  chiese,  anzi  di  tutta  la  chiesa,  bisogna  ben  dire  ch'essi  e  le 
chiese  tutte  erano  consapevoli  della  condizione  giuridica  che  al  papa  fin 
dal  principio  competeva. 


4C6  BIBLIOGRAFIA 

Ed  ecco  che  un'altra  volta  l'assunta  impresa  sconfina  da  ogni  limile 
di  tempo,  e  non  è  più  soltanto  l'occidente  cristiano  medioevale  che  ia 
forza  dei  criteri  adottati  domanda  di  essere  contemplato,  ma  tittta  la 
grande  unità  cattolica  fino  dai  suoi  inizi,  quell'unità  di  cui  e  l'Orioile 
e  l'Africa,  e  i  popoli  Slavi  furono  già  parti  cosi  cospicue  ed  importanti, 
pur  non  varcando  il  limite  ad  quem  del  pontificato  di  Innocenzo  III. 

In  conclusione,  stando  ai  criteri  adottati,  mi  sembra  che  bisogne- 
rebbe da  una  parte  (salvi  sempre  i  diritti  e  le  diverse  esigenze  della  aì- 
tica  pei  diversi  gruppi)  fare  quasi  l'istesso  trattamento  a  tutti  tre  i  grappi 
indicati  :  antichi  registri,  antiche  collezioni  canoniche,  singoli  diplomi  per 
sé  stanti  ;  bisognerebbe  dall'altra  parte  sorpassare  ogni  confine  di  tenqw 
e  risalire  agli  inizi  :  come  da  altri  fu  già  del  resto  insinuato  {Histamckit 
Jahrbuchy  XXII,   4   Heft,   1901,  p.  910). 

Vero  è  in  che  in  tal  caso  l'impresa  da  una  parte  diventerebbe  di  usa 
grandezza  veramente  spaventevole,  dall'altra  rientrerebbe  nel  solco  o  nei 
solchi  di  due  imprese  antecedenti  :  l'edizione  delle  lettere  pontificie  (ini- 
ziata da  Antonio  Carafa  e  da  Antonio  d'Aquino  prima  ancora  che  dal 
Constant)  ed  il  Bullarium  magnum.  £  certo  il  compiere  tale  impresa, 
portandovi  quella  maggiore  integrità  di  materia  e  perfezione  di  tratta- 
mento critico  che  al  giorno  d'oggi  si  richiedono,  sarebbe  cosa  di  smisu- 
rata ed  incomparabile  grandezza  ed  utilità;  ma  forse  i  tempi  non  sono 
maturi,  se  pure  lo  saranno  mai. 

Stando  cosi  le  cose,  pare  a  me  (espongo  molto  sommessamente  3 
mio  parere)  che  a  volere  assegnare  all'impresa  dei  confini  ben  deter- 
minati e  fìssi,  a  voler  mantenerle  un  carattere  proprio  e  ben  distinto,  a 
voler  sopratutto  farla  più  precisamente  rispondere  all'intento  veramente 
provvido  ed  originale  di  rappresentare  il  reale  e  genuino  sviluppo  della 
diplomatica  pontificia  propriamente  detta  nelle  tante  particolarità  che 
ancora  rimangono  a  fissarsi  ;  a  volere,  dico,  tutto  questo,  convenga  tor- 
nare puramente  e  semplicemente  all'idea,  che,  se  non  erro,  primamente 
affulse  allo  spirito  così  profondamente  diplomatico  del  prof.  Kehr  e  gli 
diede  la  spinta,  l'idea  cioè  dei  diplomi  stessi  singoli  e  per  sé  stanti,  ^. 
questi  per  il  solo  Occidente,  come  anche  l'immortale  Maassen  ha  sentito 
il  bisogno  di  limitare  geograficamente  la  sua  opera  sulle  fonti  del  diritto 
canonico. 

Chi  pensi  ai  non  pochi  originali  già  conosciuti,  ai  tanti  finora  rimasti 
nelle  tenebre,  alle  innumerevoli  copie  e  falsificazioni  degli  uni  e  degli 
altri,  alla  dispersione  geografica  di  tutto  questo  materiale  ;  colui  si  farà 
presto  il  giusto  concetto  della  grandezza  e  difficoltà  dell'impresa,  anche 
solo  per  quel  che  riguarda  la  raccolta  della,  diremo  così,  materia  prima. 

E  resta  ancora  tutto  il  lavoro  critico,  al  (fuale  i  materiali  raccolti  do- 
vranno assoggettarsi.  Lavoro  di  esame,  di  classificazione,  di  confronto,  di 
verifiche  senza  numero  :  lavoro  spinoso,  delicato,  e  fino  ad  oggi,  si  può 
dire,  impossibile,  data  la  attuale  mancanza  del  mezzo  migliore,  che  è  la 
visione  contemporanea  del  maggior  numero  possibile  dei  documenti  é 
una  stessa  epoca  e  di  uno  stesso  genere,  visione  che  solo  dopo  la  nuova 
raccolta   sarà   possibile  di  procurarsi. 


BIBLIOGRAFIA 


407 


E  il  lavoro  di  raccolta  viene  appunto  condotto  ed  eseguito  in  vista 
ed  in  servigio  del  lavoro  critico.  Si  è  cosi  già  fin  d'ora  adunato  nella 
camera  deir«  Apparato  diplomatico  »  dell'università  di  Gòttingen  un  te- 
soro di  materiali  diplomatici  di  primo  ordine.  E'  (dice  il  fortunato  ano- 
nimo che  potè  vederlo:  Histor.  Jahrh.,  1.  e,  p.  912),  una  massa  di  ri- 
produzioni delle  più  esatte,  già  oggi  tanto  grande,  che  mai  fin  qui  la 
maggiore. 

L'apparato  si  divide  in  fotografie  e  lucidi.  Ove  l'importanza  del  do- 
cumento richiede  e  le  esterne  circostanze  permettono,  le  pergamene 
sono  fotografate  in  grandezza  possibilmente  naturale  :  in  tutti  gli  altri 
casi  vengono  colla  maggiore  esattezza  lucidate  dalle  bolle  c|ucllc  parti 
che  hanno  un  «lignificato  sia  per  il  giudizio  del  documento  in  sé,  che  per 
gli  usi  cancellereschi,  gli  scrittori,  i  datari,  i  cardinali  e  così  via.  Le 
riproduzioni  vengono  tirate  su  forti  cartoni,  disposti  e  raccolti  cronologi- 
camente secondo  i  diversi  pontificati. 

Quali  e  quanti  frutti  possano  e  debbano  sperarsi  da  tali  lavori  per 
la  diplomatica  e  per  la  paleografia  pontificia,  non  è  chi  non  veda.  E  non 
sono  meno  certi  ed  evidenti  i  frutti  da  raccogliersi  sul  vasto  campo  della 
storia  ecclesiastica  sia  generale  che,  e  specialmente,  particolare. 

S'aggiunga  tutta  una  ricchezza  di  nuovi  o  più  esatti  elementi  cro- 
nologici e  topografici  che  non  può  a  meno  di  derivarne  ;  s'aggiungano  le 
innumerevoli  utilissime  indicazioni  intorno  a  biblioteche  ed  archivi,  pri- 
vati e  pubblici  :  s'aggiungano  infine  i  fortunati  incontri  che  né  in  tante 
ricerche  potevano  mancare,  né  a  cercatori  abili  e  sperimentati  potevano 
sfuggire,  anche  all'infuori  del  prefisso  intento. 

Una  parte,  e  cospicua,  di  questi  frutti  è  già  maturata  e  sta  innanzi  al 
pubblico,  come  si  vedrà  nella  notizia  del  lavoro  fino  ad  oggi  compiuto; 
un  altro  frutto  per  noi  italiani  promettentissimo  dev'essere  ormai  vicino  a 
maturanza  rìoìVItalia  pontificia,  della  quale  il  prof.  Kehr  sperava  di 
metter  mano  alla  stampa  prima  che  quest'anno  (1902)  finisse  (Nachrich- 
ten  von  der  K.  Gescll.  d.  Wiss.  zu  Gòtt.  Geschàfil.  Mitth,  1902,  i).  Egli 
stesso  il  prof.  Kehr  dava  come  un  saggio  ed  una  primizia  di  tanti  frutti 
in  un  pregevole  contributo  alla  storia  della  cancelleria  papale  nel  se- 
colo XI,  sotto  il  titolo  suggestivo  «  Scrinium  und  Palatium  »  {Mitth.  /. 
Oesicrr.  Geschichtsf.,  VI  Egzbd.,  Innsbruck,  1901,  pp.  70-112)  :  senza  dire 
dei  belli  e  buoni  studi  diplomatici  e  storici  pubblicati  dal  prof.  Kehr  e  dai 
suoi  collaboratori  tanto  nell'organo  principale  dell'impresa,  come  in  al- 
tre sedi  ;  che  ci  danno  un  saggio  degli  incontri  ai  quali  accennavo  e 
sono  come  altrettanti  episodi  (certo  non  i  soli)  delle  lunghe  peregrina- 
zioni scientifiche. 

Ho  pure  accennato  ai  collaboratori  del  prof.  Kehr.  Che  per  un'impresa 
come  quella  da  lui  divisata,  della  collaborazione  di  molti  vi  fosse  biso- 
gno, è  cosa  evidente.  Dessa  non  poteva  mancargli,  data  la  nobiltà  e  gran- 
dezza dell'impresa  stessa  e  la  generale  utilità  che  é  destinata  a  produrre, 
data  ancora  la  buona  grazia  con  la  quale  egli  non  solamente  la  ammise, 
ma  la  richiese  e  nell'esposizione  stessa  del  suo  piano  e  poscia  nella  esecu- 


408  BIBLIOGRAFIA 

zìone  dclTopera,  né  soltanto  da^  suoi  connazionali,  ma  ancora  dai  no- 
stri, come  si  vedrà  più  avanti  :  sistema  non  meno  liberale  che  pratico  e 
savio,  e  che  non  è  dubbio  sarà  mantenuto  e  secondato  anche  negli  altri 
paesi  che  entrano  nell'ambito  del  piano  prestabilito.  Vero  è  che  la  Com- 
missione di  Cìòttingcn  non  ebbe  bisogno  d^uscire  dai  confini  della  Ger- 
mania per  trovare  la  prima  e  indispensabile  coopcrazione,  quella  pecu- 
niaria. Oltre  ai  fondi  della  pur  non  largamente  dotata  Società  delle 
Scienze,  e  aiuti  da  diverse  parti  affluiti  a  misura  che  il  progetto  prese 
consistenza  e  fu  visto  entrare  in  esecuzione,  vanno  segnalate  le  cospicue 
elargizioni  del  prof.  Nernst  che  primo  metteva  a  disposizione  dellim- 
presa  10,000  marchi,  poi  quelle  del  Cardinale  Kopp  di  Breslavia  e  del 
Cancelliere  dell'Impero,  ciascuno  dei  quali  nell'occasione  del  giubileo 
della  Società  offriva  15,000  marchi  per  la  pubblicazione  dei  diplomi  pon- 
tifici. Così  il  compimento  dell'impresa  è  ormai  assicurato,  e  può  de- 
porsi il  segreto  timore  già  espresso  (Arch.  Star,  /tal.,  ser.  V,  to.  XX» 
disp.  3,  a.  1897)  che  il  grandioso  progetto  abbia  a  rimanere  un  bel 
progetto. 

Il  lavoro  si  può  dire  omai  condotto  a  termine  per  la  parte  che  ri- 
guarda l'Italia.  Avendo  già  sopra  accennato  alla  raccolta  delle  ripro- 
duzioni costituenti  il  primo  nucleo  dell'apparato  diplomatico  di  Gòttin- 
gen,  ed  anche  ai  lavori  incidentali  ed  episodici,  non  mi  rimane  se  non 
dare  un'idea  di  quanto  fu  pubblicato  per  le  stampe  concernente  il  lavora 
di  collezione. 

Come  l'andamento,  dirò  così,  economico  dell'intrapresa  è  dato  da 
regolari  comunicazioni  della  Commissione  (IVachrichten,  ecc.  Gesckdftl. 
Mitth.)j  così  il  frutto  dei  lavori  compiuti  viene  mano  mano  raccoho  e 
rassegnato  in  appo-iti  rapporti  o  rendiconti  presentati  alla  Società  di 
Gòttingen,  e  -tampati  nelle  \- achnchten  (Philos.  hist.  CI.)  di  essa, 
tranne  due  che  vennero  rispettivamente  inseriti  nel  lìtdlcttìno  smese  di 
Storia  -patria  v.  nella  Miscellanea   Cassinese. 

1  mentovati  rapporti  si  dividono  regolarmente  in  tre  parti.  Daj»- 
])rima  è  un'introduzione  consacrata  all'itinerario,  e  ad  un  largo  (talvolta 
fin  troppo  largo)  tributo  di  riconoscenza  all'ospitalità  incontrata,  ai  mol- 
teplici aiuti  prestati  da  diverse  p<Tsone.,  massime  bibliotecari  ed  archivi- 
ati, e  sopratutto  ai  collaboratori  propriamente  detti.  Segue  Tenuniora- 
zione  degli  archivi  e  d<'lle  biblioteche  pubbliche  e  private  n<:i  div^T-i 
luoghi  visitate,  col  -ommario  elenco  dei  diplomi  papali  sia  in  originale 
che  in  copia  trovati,  non  -cnza  gli  op])ortuni  rinvii  alle  fonti  stampai' 
p<'r  i  materiali  già  (:(»nosciuti.  t-  con  chiari  cenni  ai  diversi  fondi  ed 
anche  a  notevoli  materiali  d'altro  genere,  s])e(  ialniente  di])lomi  impe- 
riali. Viene  ultima  \m"appendice,  nella  c[ualc  le  bolle  inedite  o  qua-i  sono 
pubblicate  per  intero  (per  (guanto  in  forma  preliminare  e  non  deiìniti>*a, 
questa  non  potendo  evidentemente  fissarsi  che  a  lavoro  compiuto),  in  po- 
chi casi  indicate  e  riassunte  colla  dovuta  larghezza.  Così  questi  rendi- 
conti con  tutta  la  concisione  e  brevità  che  le  fa  davvero  sembrare  note  di 
viaggio,  riescono  un  doppio  t(!soro  di  testi  nuovi  distribuiti  per  regioni  e 
per  luoghi,  e  di  indicazioni  ])reziosis^ime,  una  vera  guida  attraverso  uno 


BIBLIOGRAFIA  409 

grandissimo  numero  di  biblioteche,  archivi,  ripostigli  d'ogni  maniera. 
Chiunque  ha  anche  appena  un  poco  di  pratica  a  ricerche  di  questo  ge- 
nere, sa  che  cosa  voglia  dire  anche  la  sola  notizia  dell'esistenza  di  certi 
fondi  in  un  luogo  o  nell'altro. 

Credo  di  fare  cosa  altrettanto  gradita  che  utile  a  molti  inserendo  qui 
appresso  l'elenco  completo  dei  diversi  rendiconti,  con  la  indicazione  delle 
annate  e  dei  fascicoli  delle  Nachrtchten  ove  si  trovano  stampati,  non  che 
del  numero  dei  nuovi  testi  in  ciascuno  di  essi  pubblicati  :  aggiungo  per 
ciascuno  il  nome  od  i  nomi  degli  autori  e  collaboratori.  Con  questo  espe- 
diente credo  anche  di  potermi  dispensare  dall'entrare  in  più  minuti  par- 
ticolari a  rischio  di  prolungare  di  troppo  questa  mia  già  non  breve  recen- 
sione. Ma  dispensarmi  non  posso  dal  dare  qualche  particolare  notizia  di 
due  ricerche  e  dei  relativi  rendiconti. 

La  prima  ricerca  riguarda  Milano  e  la  Lombardia.  Per  quel  che  ri- 
guarda Milano  basterà  dire  che  furono  visitate  e  ricercate  le  biblioteche  : 
Nazionale,  Ambrosiana  e  Trivulziana,  e  gli  Archivi  di  Stato,  Civico, 
Arcivescovile,  Capitolare  Metropolitano,  Capitolare  Santambrosiano, 
dell'Ospedale  Maggiore,  della  Congregazione  di  Carità,  delPOrfanotro- 
fio.  E  il  frutto  raccolto  non  fu  esiguo  :  per  non  dire  che  delle  bolle  ine- 
dite, sono  ben  44  cosi  distribuite  :  Osped.  Magg.  i,  Archiv.  Santambros.  3, 
Bibl.  Ambros.  5,  Congregaz.  di  Carità  8,  (una  spuria),  Arch.  di  Stato 
27.  Per  la  Lombardia  fu  fatta  la  visita,  od  almeno  si  danno  certe  notizie, 
degli  archivi  e  biblioteche  dei  seguenti  luoghi:  Como,  Monza,  Pavia, 
Lodi,  Cremona,  Mortara,  Vigevano,  Tre  viglio,  Varese,  Intra,  Pallanza, 
col  guadagno  di  22  nuove  bolle  delle  quali  però  7  spettano  ancora  al 
nostro  Arch.  di  Stato,  6  alla  Braidense,  2  alla  Trivulziana,  i  all'Osped. 
Magg.,  I  all'Ambrosiana  :  i  diversi  diplomi  venendo  sempre,  con  giusto 
criterio,  raggruppati  secondo  i  luoghi  di  destinazione. 

L'altra  ricerca  è  quella  che  riguarda  i  registri  papali  da  Innocenzo  III 
a  Paolo  III.  Un  cenno  speciale  era  tanto  più  necessario,  in  quantochè  può 
sembrare  siasi  qui  dato  uno  strappo  al  piano  ;  ma  non  è  così. 

E'  noto  che  bolle  papali  anche  molto  antiche,  sono  non  solamente 
citate,  ma  bene  spesso  per  l'intero  tenore  inserte  e  riprodotte  in  bolle  di 
data  posteriore.  C'era  motivo  sufficiente  per  arrestarsi  a  Paolo  III, 
dopo  il  quale  le  bolle  antiche  inserte  nelle  nuove  non  possono  essere  che 
pochissime,  così  da  non  francare  la  spesa  del  lavoro.  E  per  quanto  cor- 
tese ed  operosa  la  prevenienza  ed  assistenza  ormai  a  tutti  nota  delle 
egregie  persone  che  presiedono  all'Archivio  segreto  Vaticano  o  le  coa- 
diuvano (mons.  Wenzel,  P.  Denifle,  prof.  Melampo,  sig.  Rannuzzi),  per 
quanto  non  siano  anche  qui  mancate  efficaci  collaborazioni,  rimase  pur 
sempre  al  prof.  P.  Kehr  un  lavoro  veramente  erculeo,  rare  volte  e  di 
poco  alleviato  dalla  presenza  degli  antichi  repertori  e  schedari,  ben  noti 
agli  studiosi,  il  più  spesso  accresciuto  dalla  loro  parzialità  e  imperfezione. 

Il  prof.  Kehr  stesso  ha  riferito  sul  suo  lavoro  nell'ultimo  dei  ren- 
diconti finora  pubblicati  e  che  tutto  solo  riempie  un  grosso  fascicolo  di 
più  che  160  pagine.  La  relazione  è  divisa  in  tre  parti  rispondenti  a  tre 
gruppi  di  registri  nella  loro  naturale  distribuzione   per  secoli  dal  XIII 


4IO  BIBUOGRAFIA 

al  XV  :  precede  una  introduzione  generale,  che  si  legge  col  più  grande 
interesse  e  con  pari  vantaggio.  Dopo  quattro  mesi  dì  lavoro  intenso  e 
veramente  vertiginoso  il  prof.  Kehr  poteva  guardare  con  compiacenza 
alla  scric  dei  1500  grossi  volumi  de'  Registri  dovuti  il  più  spesso  ricer- 
care foglio   per  foglio. 

((Millecinquecento  volumi  di  Registri!  i>  egli  esclama,  a  Non  è 
«  questa  una  ben  severa  penitenza  per  i  peccati  degli  ultimi  dicioCto 
a  mesi  ?»  Io  non  so  in  seguito  a  qual  segreto  esame  di  coscienza  il  pr.  Kehr 
s'è  fermato  all'ultimo  anno  e  mezzo  ;  ma  so  che,  se  penitenza  doveva  es* 
sere,  quella  da  lui  fatta  può  ben  bastare  per  un  numero  di  mesi  e  di 
peccati  assai  maggiore;  devo  anche  conchiudere  che  la  penitenza  fatti 
gli  sia  stata  imputata  ad  espiazione  cosi  completa  e  sovrabbondante,  da 
rimanere  un  largo  margine  al  merito  puro.  Difatti  la  ricompensa  nim 
fu  mai  tanto  grande  :  83  nuove  bolle  t  Noto  tra  queste  Aless.  Ili  (1180, 
XI,  19)  per  l'ospedale  d'Isola  (dioc.  di  Como);  Eug.  Ili  (1146,  XII,  9) 
per  la  chiesa  di  S.  Giovanni  £v.  fuori  Brescia;  Aless.  Ili  (1171,  VI,  ao) 
per  il  convento  di  S.  Pietro  di  Lenta  (dioc.  di  Vercelli)  ;  Aless.  Ili  (1177* 
IV,  38)  per  il  monastero  di  S.  Cristina  in  Corte  Olona;  Celestino  III 
(s.  1.  et  a.)  per  la  chiesa  di  S.  Maria  dì  Corazzano  (dioc.  di  Lucca)  con- 
fermante le  largizioni   dei  vescovi  Anselmo  e    Gregorio. 

Ma  ecco  il  promesso  elenco  : 

Venezia  (1896.  4)  —  Predeili  ....      Nuove  bolle  15 

Pisa,  Lucca  e  Ravenna  (1897.  ^)  ^*  Kihr,  Schiapartliù  ,  18 

Reggio  Emilia  (1897.  ^)  ^*  ^^^'^ •  ^ 

Nonantola,  Modena  e  Verona  (1897.  2)  Klinkinborg,  «  5 

Brescia  e  Bergamo  (1897.  s)  KUnktnborg    .       .        .  ,  9 
Padova,  Ferrara  (P,  Kehr)  e  Bologna  {Klitikenborg, 

Schiaparellì)  App.  a  Venezia  (Predelli).        .        .  »  i3 

Romagna  e  Marche  (1898.  i)  P.  Kehr,  Schiaparellì  .  ^  21 

Benevento  e  Capitanata  (1898.  1)  Schiaparellì   .        .  ^  27 

Apulie  (1898.  3)  Schiaparellì »  3^ 

Abruzzi    e    Monte    Gargano   (1898.   3)   Klinkenborg, 

Schiaparellì »  23 

Principato,  Basilicata  e  Calabrie  (1898.  3)  Klinkenborg  ,  — 

Umbria  (1898.  3)  Klinkenborg ,  Schiaparellì    ...  »  aB 

Archivi  Senesi  {BtilL  Sen.  di  St  P.  VI,  i.  1899).  P.  Kehr,  „  14 

Venezia  (1899.  2)  Schiaparellì, »  42 

Friuli  (1899.  3)  Schiaparellì w  24 

Sicilia  (18993)  ^«  ^  ^'  Kehry  Schiaparellì     ...»  35 

„      S.  Maria  de  Valle  Josaphat  (app.  al  prec.)     .  ^  7  (3  false) 

Malta  (1899.  3)  Schiaparellì »  53 

Parma  e  Piacenza  (1900.  i)  Schiaparellì      ...  «  53 
Roma  I  (1900.  2)  P.  Kehr^  ÌViederhold,  Hesael,  Schiapa- 
rellì      »  45 

Da  riparlare  469 


i 


BIBLIOGRAFIA 


411 


Riporto  469 

Salerno,  Cava  e  Napoli  (1900. 3)  P.  e  K  Kehr,  Schia- 

panili. Nuove  bolle  36 

n  31 

»  25 

»  12 

»  12 

»  44 


Campania  (1900.  3)  Klinkenborg,  Schiaparelli, 

Roma  II  (1900.  3)  P.  Kehr     .... 

Torino  (1901.  1)  Schiaparelli, 

Piemonte  (1901.  2)  Schiaparelli 

Patrimonio  e  Toscana  merid.  (1901.  2)  Tonelli,  Fedele 

Roma  III  (1901.  3)  Fedele       .... 

Milano,  (1902,  1)  Schiaparelli 

Lombardia  (1902.  i)  Schiaparelli   . 

Liguria  (1902.  2)  Schiaparelli 

Registri  da  Innoc.  Ili  a  Paolo  III   (1902.  4)  P,  Kehr^ 

Baumgarien^  tìessel,  Schiaparelli   . 
Firenze  (1901.  3)  Wiederhold 
Montecassino  (Misceli.  Gassinese  1899)  P.  Kehr 


V 


83 

21 
40 


Totale  860 


Come  si  vede,  alla  nostra  Italia  fu  assegnato  e  mantenuto  il  primo 
posto  neiresecuzione  del  lavoro,  e  per  la  parte  italiana  il  lavoro  si  può 
dire  compiuto,  salve,  s'intende  quelle  spigolature  che  in  un  lavoro  cosi 
vasto  e  (basta  badare  alle  date)  così  rapido,  non  ponno  non  essere  ri- 
maste indietro,  e  per  le  quali  ci  sarà  sempre  il  tempo. 

In  mezzo  al  quasi  costante  silenzio  (silenzio  relativo,  come  si  può 
vedere  nel  Neues  Archiv)  delle  riviste  scientifiche  germaniche,  notato 
dal  recensore  deìVIlistorisches  /ahrbuch  (1.  e,  p.  914  seg.),  le  riviste  ita- 
liane ebbero  ed  hanno  ogni  ragione  -di  applaudire  alla  nobile  e  grande 
impresa  e  di  raccomandarla  al  favore  ed  alla  cooperazione  di  tutti  gli 
studiosi.  Ho  già  notato  che  il  prof.  Kehr  s'è  dato  una  cura  diligentissima 
e  veramente  cavalleresca  di  attestare  pubblicamente  che  la  raccoman- 
dazione non  è,  almeno  nella  grandissima  maggioranza  dei  casi,  stata 
fatta  al  deserto.  E  questo  basterebbe  a  provare  al  sullodato  recensore,  che 
se  al  di  qua  delle  Alpi  si  è  reso  omaggio  al  dummodo  fiiy  non  lo  si  è  fatto 
sino  al  punto  da  esserci  indifferente  «  gleichgiiltig  »,  che  i  nostri  e  il 
nostro  paese  prendessero  parte  attiva  alTimpresa  o  meno.  Il  prof.  Zdle- 
kauer  (Arch.  St.  It.,  to.  XX,  disp.  3,  a.  1897)  abbastanza  espressamente 
ha  deplorato  che  una  cosi  nobile  iniziativa  non  sorgesse  primamente 
in  Italia.  E  portava  anche  due  ragioni  :  la  prima,  a  essendo  il  papato 
«  cattolico,  ma  di  origine  e  dandole  per  eccellenza  italiana  »  ;  la  seconda, 
«  che  ormai  non  mancano  tra  noi  né  maestri  valenti  né  scolari  capaci 
(e  ne  dava  i  nomi)  «  per  eseguire  simili  lavori».  Non  vi  è  certo  un  solo 
italiano,  per  quanto  animato  dal  piti  puro  ed  universale  amor  della 
scienza,  il  quale  possa  non  riconoscere  la  storica  verità  della  prima  ra- 
gione, e  non  debba  amare  di  trovar  la  seconda  sempre  più  vera. 


ad  ogg 
alPinui 
severai; 

soltanb 
la  parti 


Co 
<<  Mono 
prorint 
che  le 
quell'ai 

917  ali 
al  1366 
S.  Nict 


del  Coi 

Nini  di  Vito,  il  quale  ultimo  ha  atteso  e  attende  con  somma  cura  a  pub- 
blicare le  pergamene  della  Basilica  di  S.  Nicola,  e  Francesco  Carabellese, 
a  cui  5i  deve  il  voi.  Ili  :  il  Nìtti  di  Viio  ci  offre  anche  un'appendice, 
staccata  però  dalla  raccolta,  dove  tratta  della  leggenda  della  tiasU- 
zione  del  corpo  di  S.  Nicola  a  Bari.  Tutti  i  volumi  sono  arrìixhiti  di 
facsimili  in  fototipia  e  di  (avole  di  suggelli,  ed  fc  opera,  ripetiamo,  che  h 
onore  alla  Commissione  che  l'ha  ordinata  e  agli  Egregi,  che  non  ri- 
sparmiando fatiche,  ne  curarono  la  pubblicazione. 

Anche  i  ic  Documenti  e  Monografie  »  ci  presentano  lavori  d'iinp«- 
tanza  e  di  pregio  :  Il  voi.  I  è  occupato  dalle  «  Cronache  dei  fatti  del  1799" 
di  Gian  Carlo  Berarducci  e  Vitangelo  Bisceglio,  presentate  da  Giuseppe 
Ceci;  il  III  volume,  che  parla  della  Puglia  nel  sec.  XV,  è  opera  diligeatt 
di  Francesco  Carabellf'^e,  che  ba  raccolto  ir  essa  molti  documenti  ri- 
guardanti l'organizzazione  interna  dei  comuni  e  le  condizioni  del  popolo 
e  i  loro  rapporti  col  re  e  con  la  feudalità,  le  relazioni  con  le  altre  pMti 
d'  Italia,  ecc.  ;  il  II  volume  infine,  come  appare  dal  titolo  che  ib- 
biamo  posto  in  capo  di  questa  recensione^  interessa  molto  da  vicino  anche 
noi,  ed  è  giusto  e  doveroso  che  ne  rendiamo  conto  più  dìfinsameate  » 
lettori  dell' Arckii'io. 


BIBLIOGRAFIA  4I3 


Pensiero  dell'Autore  era,  com'egli  dichiara  nella  prefazione,  di  dare 
intera  la  vita  di  Isabella  d'Aragona,  duchessa  di  Milano  e  di  Bari,  e 
quella  di  sua  figlia.  Bona  Sforza  ;  ma  la  gran  copia  di  documenti  venu- 
tigli tra  le  mani  nelle  sue  ricerche  d'archivio,  ne  ha  fatto  difiFerire  l'ese- 
cuzione. Parendogli  intanto  che  dai  documenti  trovati  la  storia  della  suc- 
cessione degli  Sforzeschi  negli  stati  di  Puglia  e  di  Calabria,  ne  uscisse 
ben  delineata  e  completa,  attese  a  pubblicarla  nel  presente  volume.  £ 
noi,  veramente,  siamo  grati  all'Autore  del  saggio  che  ci  ofiFre  dei  suoi 
studi  ;  ma  ci  permetta  di  esprimere  l'augurio  che  non  abbia  a  differire  ol- 
tre a  consumare  la  prima  impresa,  poiché  le  pagine  che  abbiamo  din- 
nanzi, dimostrano  che  il  Pepe  ha  profondamente  studiato  e  s'è  appro- 
priato l'argomento,  e  saprà  perciò  darne  una  trattazione  degna  dell'im- 
portanza del  soggetto.  Ma  veniamo  all'esame  del  libro. 

Chi  fu  il  primo  duca  di  Bari  di  casa  Sforza.^  Nella  gran  discordia 
dei  cronisti  sincroni,  a  stento  ci  si  può  raccapezzare  ;  e  l'A.  enumera  nel 
cap.  I  le  contraddizioni  e  le  negligenze  degli  storici,  venendo,  colla 
scorta  dei  documenti,  alla  conclusione  che  fin  dal  9  settembre  1464  re 
Ferdinando  di  Napoli,  memore  dei  grandi  benefici  ricevuti  da  France- 
sco Sforza,  donava  al  figlio  di  lui  Sforza  Maria,  promesso  sposo  di  Eleo- 
nora, figlia  del  re,  il  ducato  di  Bari,  che  constava  della  città  stessa  di 
Bari  e  delle  terre  di  Palo  e  Modugno  :  donazione  confermata  un  anno 
dopo,  il  27  settembre  1465,  quando  Sforza  Maria  accompagnò  a  Napoli 
la  sorella  Ippolita,  e  più  tardi,  nel  1473,  poco  dopo  che  la  casa  d'Aragona 
si  era  stretta  con  nuovi  vincoli  di  parentela  alla  casa  Sforza  per  il  matri- 
monio tra  Isabella  d'Aragona  e  Gian  Galeazzo  Sforza. 

Del  governo  di  Sforza  Maria  nel  suo  stato  di  Bari,  ben  poco  ci  dice 
l'A.,  e  anzi  non  sa  se  v'abbia  mai  dimorato;  alla  mancanza  di  notizie  per- 
tanto, in  quest'ultima  parte  del  I  cap.,  ci  sia  lecito  di  supplire  noi  che, 
poca  cosa,  è  vero,  ma  pur  qualcosa  abbiamo  trovato,  occupandoci  di  al- 
tre ricerche,  nell'Archivio  di  Stato  della  nostra  città. 

Che  Sforza  Maria  si  sìa  recato  ad  abitare  nello  stato  di  Bari,  ce  lo 
provano  più  lettere,  dell'ottobre  e  del  dicembre  del  1477  ;  tra  l'altre,  due 
in  data  dei  7  e  9  ottobre,  indirizzate  a  Giovanni  Simonetta,  a  cui  Sforza 
Maria  si  rivolge  con  preghiera  di  raccomandarlo  al  fratello  Cicco,  perchè 
gli  faccia  mandare  a  Bari,  onde  possa  mostrare  la  sua  intenzione,  a  o 
«  prete  o  frate  qual  meglio  gli  pare  e  di  chi  più  si  fidi  che  si  vuole  confes- 
«  sare  da  lui  e  su  l'ostia  consacrata  »,  e  giura  di  essere  buon  servitore  alla 
duchessa  di  Milano  e  ai  suoi  figli  (1). 

Quanto  al  tempo  poi  che  s'è  fermato,  pare  che  lo  Sforza,  allontanato 
da  Milano  per  le  note  ragioni,  si  sia  recato  a  Napoli  e  di  qui  a  Bari  dove 

(i)  Arch.  di  Stato,  Milano.  Autografi  di  Principi,  Sforza  Maria  Sforza. 
Sforza. 


4^4  •  BIBLIOGRAFIA 

sarebbe  stato  ben  poco,  cioè  gli  ultimi  mesi  soltanto  del  1477  e  i  primi 
del  '78,  poiché  all'ultimo  d'aprile  di  quest'anno  egli  giunge  a  Pozzuoli 
per  curarsi  ai  bagni  la  spalla  «  che  altre  volte  si  guastò  »  per  una  caduta,  e 
vi  dimora  dieci  giorni,  dopo  di  che  torna  a  Napoli  per  assistere  ad  al- 
cune giostre  (i).  Da  questa  città  manifesta  in  una  lettera  alla  duchessa 
di  Milano  la  speranza  di  poter  ritornare  in  Puglia,  se  la  peste  glielo 
permetterà,  che  è  quasi  per  tutto  quel  paese;  a  Napoli  però  si  ferma 
a  lungo  e  anzi  sembra  che  non  ne  parta  più  se  non  per  venire  nel 
Genovesato,  nel  febbraio  del  '79,  alla  testa  di  un  esercito,  per  lo  scopo 
che  sappiamo.  Ma  ai  29  di  luglio  dello  stesso  anno  moriva  improvvisa- 
mente a  Varese  Ligure,  e  il  ducato  di  Bari  subito  dopo  veniva  concesso 
dal  re  Ferdinando  a  Ludovico  il  Moro. 

Sforza  Maria,  assente  dal  ducato,  vi  teneva  un  vice-duca,  Azzo  Vi- 
sconti, e  altre  persone  erano  incaricate  di  riferirgli  sulle  condizioni  di 
esso.  Così  un  «  Simon  de  Calco  »  gli  scrive  da  Bari  in  data  4  agosto  1467, 
dando  notizie  sulla  dogana  di  questa  città  (2)  ;  e  così  pure  da  un'altra  let- 
tera apprendiamo  che  in  Bari  nel  tempo  che  egli  vi  stette,  vi  fu  grande 
carestia,  tanto  che  nulla  vi  si  trovava  se  non  col  denaro  in  mano  (3).  An- 
che prima  di  recarvisi,  però,  s'era  lo  Sforza  occupato  delle  cose  dei  suoi 
sudditi,  che  egli  raccomanda  ad  Agostino  de  Rubeis,  oratore  ducale  a 


(i)  Leti,  di  Sforza  Maria  Sforsa  a  Bona  Duchessa  di  Milano y  Napoli, 
17  maggio  1478.   Ibidem. 

(2)  Ecco  la  lettera  che  crediamo  opportuno  trascrivere  : 

«  lUustris  et  excellentissime  dne  dne  mi.  Post  humilem  recommendac* 
ce  cionem  ;  venuto  qui  trovo  questa  dohana  essere  stata  ben  servita  et  exer- 
c<  cita  per  quisti  dni  citatini  quali  multo  bene  intendono  le  raiune  et  exer- 
«  cicio  de  epsa  dohana  et  specialmente  quello  filliolo  de  notar  Stephano 
«  de  chi  parlai  ad  V.  L  S.,  posto  in  epsa  dohana  per  la  M.ta  del  Re.  Sento 
«  quisti  citatini  de  bari  per  uno  capitulo  recercano  ad  V.  S.  che  non  vo- 
te lyano  dohaneri  citatini.  Non  so  la  casone  ;  pur  mi  pare  comprehendere 
t(  non  posere  essere  per  casone  nulla  bona  per  utile  de  epsa  aohana  per 
«  multi  casuni  quale  se  se  fosse  cum  V.  S.  li  porya  dire,  ma  fra  li  altri 
«  non  seria  possibile  per  li  pochi  dinari  possere  bavere  frustieri  qui,  che 
«  non  so  per  bavere  huno  intendente  se  possesse  bavere  meno  de  cento 
«fini  septanta  o  octanta  ducati;  che  lo  prencipe  de  taranto  che  tuto  lo 
«  payse  era  suo,  operava  la  dohana  per  citatini  per  pocho  prezzo  et  quando 
«  neci  teneva  alcuno  frostrero,  quantunque  fosse  suo  vassallo,  li  dava 
«  ducati  septanta.  et  vulendo  V.  S.  ponerenci  frostieri  nello  ducato  de 
ce  bari,  non  de  so,  bisognyarya  ponerenci  homo  de  Re,  et  tuti  li  altri  do- 
«  hane  sono  de  Re  :  pò  extimare  V.  S.  comò  in  questa  dohana  se  possesse 
«  fare  cosa  bona  havendose  ad  tractare  per  altre  mane  che  de  homini  sub-  , 
f<  diti  et  afiFeccionati  de  V.  L  S.  Me  ha  parso  daxinde  adviso  ad  V.  I.  S. 
((  comò  tenero  del  utile  de  epsa  dohana,  et  syando  aui  conoxo  el  dampno 
«  inde  porya  sequire  ;  perho  inde  adviso  V.  S.  alla  quale  continuo  mi 
«  recomando.  Ex  baro  die  IIII  agusti  XV  indicione  ». 

E.  J.  D. 

Servus  Simon  de  calco. 

(3)  Arch.  di  Milano,  Carteggio  dei  Principi^  Sforza  Maria. 


BIBLIOGRAFIA 


415 


Roma,  la  badessa  di  S.  Scolastica  della  sua  città  di  Bari,  perchè  ne  parli 
favorevolmente  al  papa  e  al  cardinale  Orsini,  per  una  supplica  da  lei 
presentata  (i).  Ma  gli  avvenimenti  non  permisero  che  attendesse  con 
maggior  cura  al  suo  ducato,  e  la  morte  lo  colse  quando  meno  s'aspettava. 
Si  può  ancora  aggiungere  che  Sforza  Maria  era  sempre  stato  bene  accetto 
alla  corte  di  Napoli  :  e  prima,  come  promesso  sposo  di  Eleonora  d'Ara- 
gona, e  anche  dopo  che  il  matrimonio  era  sfumato.  Però  sarà  bene  qui 
completare  la  notizia  data  dal  Pepe  che  assegna,  pei  documenti  trovati 
nelParchivio  di  Napoli,  al  1474  la  concessione  in  favore  di  lui  delle  armi 
e  insegne  di  casa  d'Aragona,  con  quanto  si  apprende  da  un  documento  del 
nostro  archivio,  cioè  che  fin  dal  1466,  ai  23  di  luglio,  re  Ferdinando  aveva 
fatto  tale  concessione.  Sarà  stata  quindi  quella  del  '74  una  conferma  della 
concessione  del  '66  (2). 

Successo  allo  Sforza  Maria  Ludovico  il  Moro  nei  diritti  sul  ducato 
di  Bari,  questi  affida  ad  altri  l'incarico  di  rappresentarlo,  e  il  Pepe  sup- 
pone che  tale  incarico  sia  stato  dato  fìn  dai  primi  anni  alla  sorella  Ippo- 
lita, che  l'avrebbe  conservato  fino  al  1484.  Ora  tale  supposizione  si  deve 
ritenere  infondata,  perchè  nel  marzo  1483  era  governatore  del  ducato  per 
il  Moro,  Benedetto  da  Castiglione,  che,  scrivendo  da  Bari  a  Bartolomeo 
Calco  per  ringraziarlo  di  essere  intervenuto  in  suo  favore  nella  causa 
presso  il  duca  per  escludere  la  «  prava  e  malevola  intenzione  »  di  Gaspare 
Visconti  (3),  si  firma  appunto  «  dottore  e  governatore  del  ducato  di 
«  Bari  »  (4).  Il  che  esclude  che  fosse  un  vicario  di  Ippolita  Sforza,  mentre 
d'altra  parte  non  può  pensarsi  che  il  Moro  abbia  dato  il  governo  alla 
sorella  e  gliel'abbia  tolto  per  tornare  ad  affidarlo  a  lei  poco  dopo.  E' 
certo  adunque  che  prima  del  12  marzo  1483  questa  non  potè  essere  gover- 
natrice  di  Bari.  E  quanto  alla  sua  scelta,  crediamo  anche  noi  coll'A.  che 
significasse  intimità,  non  già  inimicizia  tra  Napoli  e  Milano  :  intimità 
cessata  ben  presto,  è  vero,  perchè  nel  1485,  dopo  la  rottura  tra  Alfonso  e 
il  Moro,  questi  affida  il  ducato  a  Giovanni  Erminzani  ;  ma  tosto  ristabi- 
litasi, che  nel  1487  re  Ferdinando  concede  allo  Sforza,  in  ricompensa  de- 
gli aiuti  prestatigli  contro  i  Baroni,  il  principato  di  Rossano  e  la  contea 
di  Burrello,  Rosarno  e  Longobucco.  Con  che  il  Pepe  corregge  l'errore  di 
non  pochi  scrittori,  come  il  Ratti,  il  Giannone  e  il  Petroni,  che  pongono 
al  1479  la  concessione  al  Moro  del  principato  di  Rossano  e  della  contea 
di  Burrello. 

Diventato  il  Moro  duca  di  Milano  per  la  morte  di  Gian  Galeazzo  e       t>/V  .  '  *^  y  ^ 
successo  a  Ferdinando  Alfonso  II,  questi,  mentre  Carlo  VIII  è  già  in 

(i)  Ibidem.  Mediolani,  16  Feb.  1468. 

(2)  Ibidem.  23  Luglio  1466. 

(3)  E'  quel  Gaspare  Visconti  che  troveremo  Vice-duca  e  general  go- 
vernatore- di  Bari  ancora  pel  Moro  nel  1488,  nel  qual  anno  fa  erigere  una 
delle  torri  del  castello,  detta  Torre  Viscontina,  come  risulta  dalla  iscri- 
zione posta  sulla  lapide  che  si  conserva  nel  Museo  di  Bari  e  che  l'A. 
riporta. 

(4)  Arch.  di  Milano.  Comuni.  Bari,  in  data  12  marzo  1483. 


4l6  BIBLIOGRAFIA 

Italia,  fa  sequestrare  le  entrate  degli  stati  dello  Sforza;  ma  lo  Sforza, 
appena  il  re  di  Francia  entra  in  Napoli  (febbraio  1495),  se  le  fa  riconse- 
gnare e  il  governo  viene  di  nuovo  affidato  a  Gaspare  Visconti  (i).  Altre 
vicende  attraversa  il  ducato  per  gli  avvenimenti  successivi.  Ritolto  al 
Moro  dal  Montpensier  e  dato  al  principe  di  Salerno,  gli  vien  restituito  da 
Ferrante  II  e  conservato  da  Federico  che  il  6  dicembre  del  1496  firma  in 
suo  favore  un  privilegio  di  conferma  e  nuova  concessione,  e  ranno  dopo, 
il  20  giugno,  gli  concede  un  altro  privilegio,  da  lui  chiesto,  cioè  la  con- 
ferma e  nuova  investitura  iure  feudi  in  persona  del  secondogenito  Fran- 
cesco Sforza,  che  contava  allora  tre  anni  e  che  da  questo  tempo  portò  il 
titolo  di  duca  di  Bari.  Ma  ben  presto  ci  troviamo  davanti  a  una  nuova 
incredibile  decisione  del  Moro  :  dopo  soli  sei  mesi  dall'ultima  data  egli 
cede  tutti  gli  stati  del  Regno   di  Napoli  ad  Isabella  d^Aragona  I 

Secondo  gli  storici,  ciò  fece  per  compensarla,  in  certo  qual  modo, 
della  dote  di  centomila  ducati  portati  a  Gian  Galeazzo  ;  secondo  il  nostro 
A.,  il  Moro  che  ben  sapeva,  nella  sua  qualità  di  usufruttuario  del  ducato 
di  Bari,  di  non  poterlo  cedere,  non  volendo,  costretto  dai  Francesi  a  la- 
sciare lo  stato  di  Milano,  che  questo  venisse  dato  a  Isabella  e  al  fighe 
Francesco,  aveva  escogitato  tale  mezzo  di  allontanamento,  riservaxidoà 
di  accampare  le  ragioni  di  nullità  quando  gli  riuscisse  di  ritornare  a  Mi- 
lano. Questo  vuol  dimostrare  il  Pepe  nel  cap.  Ili,  seguendo  i  docu- 
menti ;  e  la  narrazione,  di  necessità,  diventa  in  questa  parte  un  po'  intri- 
cata, perchè  il  re  Federico,  a  sua  volta,  temendo  che  Toccupazione  di 
Bari  come  dominio  del  Moro,  servis.^o  di  pretesto  per  metter  piede  ne* 
Regno,  pensa  bene  di  assicurarselo,  senza  badare  né  al  Moro  ne  alla 
nipote;  ma  dove  lottare  cogli  ufficiali  dolio  Sforza  cho  si  rifiutano  di  con- 
segnare i  cast(?lli  ;  e  in  questo  succedersi  di  ordini  e  contrordini,  di  let- 
tere e  di  messi,  si  arriva  fino  al  1500,  nel  qual  anno  il  Moro  riprende  il 
suo  ducato  (2)  e  Isabella  rimane  sacrificata  :  invece  di  impossessarsi  ^en- 


(i)  Così  il  Pepe,  affidandosi  al  Petroni.  \oi  però  abbiamo  trovar.' 
una  lettera  di  una  certa  Sara  Macedonia,  diretta  al  duca  di  Milano.  n<  ili 
quale  dopo  essersi  con  lui  congratulata  della  nascita  di  un  figlio  maschii.', 
scrivt'  : 

«  Praeterea.  cum  onini  fidutia  et  astricta  da  piotate  materna,  ric'> 
mando  strictissimamente  i  filgioli  mei  a  V.  111.  S.  et  maximamente  Pa- 
doano  ;  el  (juale  per  gratia  de  ipsa  excel.  S.  V.  e  facto  viceduca  de  Ban»?. 
—  La  lettera  (Arch.  di  Milano  —  Autografi  Doìinc  celebri  (  ?),  Lett.  Mi 
è  in  data  del  7  aprile  1495  ^^  Napoli.  —  A  quc>to  Padoano  Macedonio 
{itttro  N capolini)  v'è  anche  un'istruzione  dello  Sforza  in  data  ultimo  Giu- 
gno 1496  (ibidem,  Fot.  estere,  Napoli). 

(2)  Alle  notizie  date  dall'Autore  sulla  restituzione  del  Durato  allo 
Sforza,  serviranno  di  utile  complemento  (|uelle  contenute  nella  lettera 
che  ^egue  (Arch.  di  Milano,  Fot.  est.,  Napoli,  1496-1500)  scritta  in  cifra 
e  colla  spiegazione  a  lato  : 

((  Per  un  altra  ho  advisato  v.  ex.tia  de  la  venuta  mia  dal  Re  de  Na- 
«poli  et  corno  li  havea  facto  intendere  (|uanto  habi  in  commissione  part- 
«  cularmente  domandandoli   il  stato  de  bari  clic  fusse   ne  le  mane  de  v 
«  ex.tia  et  lui  mi  ri^pose  che  vta  contento  darme  le  intrate  et  le  raze  non 


BIBLIOGRAFIA  417 

z'altro  dei  suoi  stati,  come  dicono  gli  storici,  ella  ne  ha  nuova  causa  di 
dolore.  Per  poco  però,  che  il  9  d'aprile  dello  stesso  anno  il  Moro  cadeva 
nelle  mani  dei  Francesi  ed  era  mandato  in  Francia  donde  non  sarebbe 
più  tornato. 

Isabella  che  s'era  mossa  da  Milano  non  appena  aveva  saputo  del- 
l'avvicinarsi del  Moro  per  riacquistare  il  ducato  perduto,  entrò  in  Napoli 
il  7  marzO;  senza  che  lo  zio  potesse  farle  promessa  alcuna,  per  ragion  di  t^     'j 

stato,  di  darle  quanto  ella  voleva.  Ma  poi  che  fu  morto  lo^Sforza,  nessuna      l  If^  Jrf    ^  ^  ,,  * 
causa  poteva  giustificare  che  il  re  negasse  ad  Isabella  la  conferma  degli  *^       '.  '    ^  ^ 

stati  di  Puglia  e  Calabria,  e  Federico  difatti  ordina  che  siano  consegnati  '  '*''  '*  l  , 

agli  ufficiali  di  lei;  ma  i  suoi  ordini  non  hanno  esecuzione  perchè  si  ri- 
fiutano i  ministri  del  Moro,  e  la  lotta  si  fa  viva  non  solo  tra  ufficiali  del- 
l'uno e  dell'altra,  ma  anche  tra  i  rappresentanti  vecchi  e  nuovi  del  Moro, 
e  solo  quando  è  scomparsa  ogni  possibilità  di  ritorno  di  quest'ultimo,  al- 
lora essi  si  assoggettano  e  cedono  il  campo. 

aobstante    che   lo    havesse    tolto    ogni  cosa  :   ma    quello    havea    facto 
«  per  bavere  il  castello  ne  le  mane    che    non    havesse    causa  de    andar 
CI  in  mane  de  venetiani.  Como  più  distinctamente  ho  scripto,  Luise  Ri- 
ce poi  (  ?)  mi  ha  tenuto  in  parole  fin  al   presente  cum  dire  aspectare   la 
c<  risposta  che  havesse  hauto  il  castello,  et  poi  me  restituiva  il  resto  del 
«  stato.  A  questhora  ha  havuto  adviso  comò  lo  havea  hauto  per  tremila 
«  ducati  et  ha  donato  al  Vice  duca  la  possessione  che  havea  donato   v. 
«  ex.tia  ad  Elia.  Et  cusi  mi  ha  facto  la  expeditione  del  tutto  cusi  de  in- 
«  trate  come  de  le  raze  et  del  resto  exccptuato  el  ca^^tello  del  qua  dice 
«  che  ne  farà  quanto  scriverà  v.  ex.tia.  Aviso  comò  la  Duchessa  Isabella 
u  ha  scripto  al  Re  pregandola  che  li  voglia  dar  il  stato  de  Bari  corno  li 
CI  ha  una  volta  dato  v.  ex.tia,   perchè  voi  e  venir  qua  per  non  bavere  il 
«  modo  de  vivere  et  che  la  M.ta  sua  scia  che  v.  ex.tia  ha  havuto  le  sue 
«  dote  che  era  obligato  dargelo  ovcro  il  modo  da  poter  vivere.  Et  cusi  li 
u  ha  facto  scrivere  per  m.    zo.   iacomo  in  favor  suo  tanto  gaiardamente 
u  quanto  sia  possibile  a  dire.  Et  ne  parlò  in  camera  di  questa  cosa  fin  a 
«  lultimo  giorno  per  non  voler  dare  a  v.  ex.tia  el  stato,  e  poi  volerlo  dare, 
«  ma  che  voleva  scrivere  in  recomendatione  a  v.  ex.tia  de  la  Duchessa 
«  che  li  volesse  dare  il  modo  da  vivere  :  che  v.  ex.tia  havea  in  mano  le 
«  dote  et  lui  non  havea  el  modo  ad  succurrere.  Ma  credo  che  faria  più 
«  per  m.  zo.  Jacomo  che  per  epsa.  Et  cusi  comandò  che  non  mi  fusse 
«  dicto  niente  perchè  non  havesse  causa  scriverni  a  quella,  ma  subito  ho 
«  voluto  fare  el  mio  officio.  Ho  etiam  inteso  che  m.  Dione  Sir  (sic)  qual 
«  era  ambas.re  appresso  v.  ex.tia  a  M.lo  secretamente  se  dice  ò  andato  a 
«  nome  de  Re  da  Napoli  a  m.  zo.  iacomo  perchè  par  che  le  cose  de  Ale- 
c<  mania  siano  molto  disfavorevole,  non  havcndoli  scripto  dapoi  v.  extia 
«  qualche  bona  conclusione  cum  la  M.ta  Ces.  Vedendo  10  queste  trame  de 
(c  la  Duchessa,  andarò  a  Baro  per  visitare  quelli  homini  da  parte  del  Duca 
ce  de  M.lo  et  mi  sforzerò  di  bavere  più  dinari  che  sia  possibile  et  farò 
ce  bavere  pacientia  quelli  che  devono   bavere  per  adesso,    perchè  acca- 
«  dendo  una  cosa  più  che  un'altra,  v.  ex.tia  se  ne  possa  prevalere.   Et 
ce  cusi  m.  ioane  adorno  domandava  licentia,  per  venire  ad  confortare  li 
ce  homini  da  parte  de  v.  ex.tia  et  assettare  quelle  intrate.  Certamente  io 
ce  conosco  che  The  servitore  di  v.  ex.tia  et  mi  ha  facto  tanto  bona  dimo- 
cc  stratione  quanto  si  possa  dire  per  amore  vro.  Et  più  volte  ragionando 
ce  seco  mi  ha  dicto  che  si  delibera  venire  in  Alamannia  per  servirla  in 
<c  omnibus.  Et  panni  che  tutto  il  giorno  non  pensi  maj  in  altro  et  sempre 


4l8  BIBLIOGRAFIA 

Ma  per  il  Regno  di  Napoli  si  preparano  tempi  procellosi,  e  nel  1501 
Federico  sa  e  manifesta  ai  suoi  popoli  che  i  re  di  Francia  e  di  Spagna  si 
sono  divisi  il  suo  regno.  Resa  Capua  il  25  luglio,  si  ritira  ad  Ischia  con 
Isabella  e  in  favore  di  lei  fa  adesso  il  diploma  che  prima  non  aveva  fatto, 
e  che  non  avrebbe  nessun  valore  se  non  gli  facesse  dare  un'antidata: 
ciò  confessa  il  segretario  del  re  Vito  Pisanelli.  Così  non  ostante  l'illegale 
donazione  del  Moro  e  la  non  valida  conferma  dello  zio.  Isabella  si  trova 
ora  in  possesso  dei  suoi  stati  che  sono  compresi,  nella  spartizione  del  Re- 
gno, nella  parte  toccata  al  Re  Cattolico.  Ella  deve  perciò  mantenersi  fa- 
vorevole il  nuovo  sovrano,  ed  entra  in  relazione  con  Consalvo  di  Cor- 
dova, e  ne  ottiene  il  permesso  di  andare  a  reggere  personalmente  i  suoi 
stati  e  si  reca  a  Bari  con  la  figlia  Bona  che  unica  le  era  rimasta  dopo  la 
morte  di  Ippolita.  Ma  la  sua  vita  in  Bari  è  tutt'altro  che  tranquilla.  Avve- 
nuta la  rottura  tra  Francia  e  Spagna  per  la  divisione  della  preda,  Isa- 
bella è  nel  bel  mezzo  del  campo  della  guerra  ;  né  sta  inattiva.  Si  fortifica 
nella  sua  città  e  perciò  i  Francesi,  che  non  vogliono  combattere  una  donna, 
decìdono  di  porre  l'assedio  a  Barletta;  poi  prende  parte  alle  varie  fa- 
zioni inviando  buon  numero  di  milizie  e  rende  vari  servigi  al  Cattolico 
che  la  compensa  con  la  conferma  e  concessione  «  de  novo  »  degli  stati 
che  furono  del  Moro. 

Rimaste  vittoriose  le  armi  spagnuole.  Isabella  è  invitata  a  recarsi 
a  Napoli  a  godere  le  feste  della  vittoria,  e  quivi  si  trova  anche  presente 
alla  venuta  di  Ferdinando  ;  ma  tale  venuta  interrompe  le  trattative  che 


(f  mi  ha  participato  tutte  le  cose  che  ha  in  corte.  Haveria  grande  deside- 
«  rio  per  quello  ho  possuto  comprehendere,  che  v.  ex.tia  lo  adoperasse  a 
«  ciò  paresse  che  ne  facesse  conto  adesso  comò  per  il  passato  perchè  non 
«  desidera  altro  che  servire  e  far  cosa  grata. 

f<  Et  in  questa  cosa  di  Barri  non  se  li  potria  passare  meglio. 

«  Circha  li  dinari  sua  M.ta  mi  ha  risposto  che  li  conti  non  sono  an- 
Mche  chiariti  tutti,  che  quando  saranno  facti,  faria  il  debito.  Io  risposi 
«  che  una  parte  era  chiara,  che  pregava  sua  M.ta  sicut  la  volesse  dare. 
«  Lui  me  rispose  che  era  contento  de  quello  era  chiaro  et  cusì  comandò  al 
et  secretarlo  che  mi  facesse  vedere  li  cuncti  et  da  poi  sua  M.ta  si  è  ama- 
«  lata  di  gotta.  Ma  fra  questo  mezo  andarò  a  Bari  et  ritomarò  per  soli- 
ci citare  questi  dinari  comò  de  la  rocha,  perchè  quando  v.  ex.  Inavessc, 
«  seria  poi  più  secura  de  lo  resto.  Adviso  comò  gionto  che  fu  Elia,  andò 

«  dal  Vice  duca  in  castello  et  li  disse  che  havea  Ire  et  contrassegni  di 
H  V.  ex.tia  et  lui  rispose  che  ]i  desse  :  replicò  facesse  chiamare  dui  ho- 
«  mini  da  bene  che  li  daria  presente  loro  :  li  fu  risposto  che  li  daria  per 
«  amore  o  per  forza,  et  ordinò  fusse  andato  a  la  casa  per  trovarli  et  lo 

«  tenne  un  giorno  in  castello  et  da  poj  a  otto  giorni  Elia  li  dette  la  Ira  e 
«  li  contrassegni  :  epso  li  rispose  che  non  scontravano  et  quando  Ihavcs- 
«  sero  facto  li  haveria  dato  il  castello.  Aviso  ultimo  che  se  v.  ex.  lassa 
n  passare  la  tregua  che  non  faccia  la  impresa,  per  quanto  posso  compre- 
«  hendere,  le  cose  di  qua  scranno  del  re  de  Franza  a  un  modo  o  a  un 
«  altro  ogni  volta  che  lui  vorà.  Ex  Nea]>oli  a  septe  de  genaro  1 500  ». 

VINCENTIUS  ALBINUS  HOC  EST  LlTISE  DE  ATTELLA- 

(Arch.  dì  Milano,  Potente  estere,  Napoli). 


BIBLIOGRAFIA 


419 


Ella  aveva  iniziate  per  ingrandire  il  suo  ducato  e  deve  accontentarsi  di 
uno  scambio  che  a  sua  volta  importa  altri  mutamenti  di  domini. 

A  questo  punto  del  racconto  il  Pepe  si  propone  di  porre  in  chiaro 
quanto  vi  sia  di  vero  nelle  voci  che  corrono,  lesive  all'onore  di  Isabella 
e,  che  è  anche  più  importante,  quale  fosse  il  suo  governo;  ma  se  nella 
prima  parte  riesce  nell'intento  di  dimostrare  come  non  si  debba  in  nes- 
sun modo  prestar  fede  a  tali  dicerie,  nella  seconda  sono  troppo  scarsi  i 
documenti  di  cui  può  valersi  per  venire  a  una  conclusione  sicura.  Par- 
rebbe che  la  duchessa,  più  che  amata,  fosse  temuta,  che  governasse  col 
terrore  ;  e  nelle  finanze  sembra  che  nulla  accenni  a  rettitudine.  Die  mano 
per  altro  a  opere  di  utilità  pubblica,  specialmente  mirando  a  rendere  forte 
la  città  e  ampliando  il  molo  e  incominciando  a  scavare  un  largo  canale. 

Mortole  nel  gennaio  del  15 12  in  Francia  il  figlio  Francesco,  nel  quale 
riponeva  tante  speranze,  volge  l'animo  al  matrimonio  della  figlia  Bona 
e  da  queste  nozze  cerca  ritrarre  il  massimo  vantaggio.  Le  aspirazioni 
di  Isabella  sono  indirizzate  a  riafferrare  il  trono  di  Milano  e  a  raggiungere 
un  tale  scopo  non  dubita  di  trattare  con  Massimiliano  Sforza,  figlio  del 
Moro  ;  non  riuscendo  in  ciò  che  voleva,  mette  gli  occhi  sul  fratello  del 
duca  di  Savoia,  che  successo  lui  nel  ducato  a  Carlo  il  Buono,  per  una 
ipotetica  abdicazione  di  quest'ultimo,  avrebbe  senz'altro  accampato  i  di- 
ritti della  moglie  sul  Milanese.  Fallito  anche  il  secondo  tentativo,  che 
fa  Isabella?  Offre  la  mano  di  Bona  a  uno  dei  figli  del  re  di  Francia  che 
colla  vittoria  di  Marignano  ha  preso  il  posto  dello  Sforza;  ma  neppure 
questa  pratica  va  innanzi,  e  allora  finalmente,  rinunciando  al  suo  sogno, 
fa  sposare  a  Bona  Sigismondo  re  di  Polonia.  La  pertinacia  d'Isabella,  in- 
credibile se  non  risultasse  dai  documenti,  è  posta  in  evidenza  dal  Pepe 
in  uno  scritto  già  uscito  nella  Rassegna  pugliese  di  Trani  (voi.  XII, 
fase.  5)  e  che  l'A.  dà  opportunamente  in  fine  del  presente  volume  come 
appendice. 

Maritata  la  figlia,  anche  Isabella  si  sente  più  tranquilla  e  non  scrive 
più  nelle  sue  lettere,  accanto  alla  firma,  le  parole  «  unica  in  disgrazia  ».  "" 

Può  ora  attendere  a  rassodare  i  suoi  stati,  ottenendo  conferme  e  iniziando 
liti  contro  chi  cerca  menomargliene  l'integrità  :  e  cosi  passa  la  sua  vita 
in  Napoli,  allontanandosene  solo  nel  1520  quando  per  la  nascita  di  un 
figlio  a  Bona  volle  recarsi  in  Polonia;  ma  non  oltrepassò  Loreto,  e  da    .        ^, 
Roma  tornò  a  Napoli,  e  quivi  agli  11  di  febbraio  del  1524  fu  tratta  da  una    |     '  ^ 
infermità  alla  tomba. 


.■f 


*  ^  ' 


\  \*** 


Questa  la  materia  svolta  nei  capitoli  IV  e  V,  che  noi  abbiamo  cercato  .  ;  -  ^^^.^^^  ,,^ 
di  riassumere.  Diciamo  <c  abbiamo  cercato  »,  perchè  l'A.,  evidentemente,  ^  v  v^'* 
s'è  trovato  qui  sopraffatto  dalla  gran  quantità  di  notizie  che  aveva  a  sua 
disposizione  e,  benché  egli  dica  di  lasciare  molte  cose  che  avranno  mi- 
glior posto  in  una  vita  di  Isabella  Sforza,  appare  una  eccessiva  abbon- 
danza di  particolari  che  in  questa  avrebbero  trovato  luogo  più  opportuno. 
Ne  perde  così  l'armonia  del  lavoro  e  se  ne  estendono  i  confini  più  di 
quanto  richieda  l'argomento  preso  a  trattare. 

Areh.  Stor,  Lomb,,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  a? 


420  BIBUOGRAFIA 


•     1  ', 


-^  ■      •  " 


« 


♦  » 


I  due  capìtoli  che  seguono  (VI  e  VII)  hanno  per  titolo  :«Bona  Sforza» 
e  «  Bona  Sforza  in  Bari  ».  In  essi  il  Pepe  ci  narra  degli  sforzi  fatti  dalla  re- 
gina di  Polonia  per  conservare  il  dominio  avuto  in  eredità  dalla  madre 
contro  le  pretese  di  Francesco  Sforza,  altro  figlio  del  Moro,  ma  più  che 
contro  lo  Sforza,  contro  Carlo  V  che  gli  stava  dietro  a  dargli  ragione.  La 
lite  fu  portata  dinanzi  ai  giudici  e  si  mostrò  ben  presto  piuttosto  compli- 
cata; per  il  che  Bona  chiese  ed  ottenne  che  le  fosse  concesso  di  ammi- 
nistrare lo  stato  «  lite  durante  ».  Quando  poi,  dopo  la  battaglia  di  Pavia, 
Francesco  II  Sforza  ricupera,  con  Topera  di  Carlo  V,  il  ducato  di  Mi- 
lano, cede  alla  corona  cesarea  tutte  le  ragioni  che  vantava  sui  feudi  dèi 
Regno  di  Napoli,  e  allora  la  lite  continua  per  conto  del  solo  imperatore  ; 
ma,  ciò  non  ostante.  Bona  governa  come  assoluta  signora,  e,  dato  assetto 
all'amministrazione,  attende,  per  mezzo  dei  suoi  ufficiali,  a  rivendicare 
diritti,  a  strappare  nuove  concessioni  e  ad  ampliare  lo  stato.  Ciò  dimostra 
minutamente  il  nostro  Autore  con  copia  di  documenti. 

Ma  forti  motivi  ormai  spingono  Bona  ad  abbandonare  la  Polonia, 
ond'ella  riprende  la  pratica  del  suo  diritto  contestato  alla  definitiva  suc- 
cessione negli  stati  della  madre  ;  e  poiché,  rotta  ogni  relazione  col  figlio, 
a  lei  non  preme  che  di  procurare  a  sé  stessa  una  stanza  sicura  per  la 
vecchiaia,  diventa  più  facile  l'accordo  con  l'imperatore  che,  avuta  da  lei 
la  dichiarazione  di  non  tener  ragione  in  detti  stati,  gliene  fa  concessione 
vita  durante.  Il  che  ottenuto,  Bona  parte  dalla  Polonia  e  dopo  un  viaggio 
di  parecchi  mesi,  per  Venezia,  giunge  a  Bari  il  13  maggio  del  1556. 

Visitate  le  città  del  suo  ducato,  ella  prese  con  cura  amorosa  a  go- 
vernare personalmente,  e,  posta  tra  il  desiderio  del  figlio  che  l'invita  a 
tornare  in  Polonia,  e  la  volontà  del  suo  ministro,  Gian  Lorenzo  Pappa- 
coda,  che  d'accordo  con  Spagna,  e  per  conservare  l'influenza  acquistata, 
cerca  ogni  mezzo  per  indurla  a  rinunciare  al  viaggio,  ottenendo  perfino 
da  Filippo  II  la  concessione  di  un  palazzo  in  Napoli  e  della  villa  di 
Poggio  reale,  per  allettarvi  la  regina  a  ripristinare  la  corte  che  già  vi 
aveva  tenuto  la  madre,  pare  piuttosto  disposta  ad  arrendersi  all'invito 
del  figlio,  quando  muore  nel  castello  di  Bari,  il  19  novembre  del  1557. 
Col  testamento  da  lei  lasciato  e  che  il  Pepe  trascrive,  istituiva  crede  uni- 
versale il  figlio  Sigismondo  Augusto,  re  di  Polonia;  ma  tali  e  tanti  fu- 
rono i  legati  di  eccezione,  che,  assorbendo  tutto,  a  lui  fini  per  non  toccare 
più  nulla.  Tra  questi  legati  citeremo  quello  fatto  al  re  Filij^H)  II  del 
ducato  di  Bari,  del  principato  di  Rossano,  di  Ostuni,  Grottaglie  e  Monte- 
serico,  così  come  li  aveva  avuti  e  posseduti, 

II  testamento,  come  era  da  prevedere,  fu  tosto  impugnato  di  nuUiti 
dal  re  di  Polonia,  e  scoppiò  una  tempesta  di  questioni  che  impedirono  che 
si  venisse  ad  un  accomodamento.  Morto  poi  Sigismondo  Augusto  nel  1572, 
l'eredità  di  Bona  ci  presenta  una  storia  nuova  e  lunga  e  confusa  che  l'A 
si  adopera  a  districare  nell'ultima  parte  del  cap.  VIII,  ma  che  a  noi  non 
interessa. 


BIBLIOGRAFIA  42 1 


Come  si  vede  dal  nostro  riassunto,  l'opera  del  Pepe  è  senza  dubbio 
pregevole  per  molti  riguardi  e  in  complesso  le  varie  quistioni  son  poste 
con  chiarezza  e  discusse  con  competenza;  noi  abbiamo  Ietto  volentieri  il 
grosso  volume  (i)  e  ci  siamo  interessati  alla  diligente  narrazione.  Un 
altro  pregio  del  lavoro  è  la  cura  con  cui  TA.  ha  voluto  accertare  le  no- 
tizie date  dai  documenti,  dai  quali  ha  saputo  trarre  quanto  potevan  dare^ 
sì  che,  valendosi  di  essi,  ha  corretto  inesattezze  ed  errori  di  storici.  Cer- 
tamente qualche  maggior  notizia  avrebbe  ricavato,  utile  all'opera  sua, 
se  le  ricerche  che  ha  fatte  a  Napoli,  a  Bari,  a  Modena  e  altrove,  avesse 
estese  all'archivio  di  Milano.  Qui,  oltre   al    poco  (2)  che    abbiamo   ag- 

(i)  Sono  più  di  trecento  pagine,  in  una  bella  edizione  dalla  stampa 
chiarissima  e  assai  corretta,  ornata  di  stemmi  e  di  ritratti  e  con  gl'indici 
delle  persone  e  dei  luoghi. 

(2)  Crediamo  utile  pubblicare  anche  quest'altro  documento,  senza 
data,  ma  che  parrebbe  doversi  riferire  ai  tempi  del  Moro. 

«  Informatio  habita  a  diìo  Jacobo  Facipecora  de  intratibus  Bari. 

«  Imprimis  :  ha  la  dohana  la  quale  in  tempo  del  principe  fructava  per 
«  anno  ducati  VI.mLXXX  et  quando  più,  a  carlini  dece  per  ducato  :  altro 
«  fructo  de  dericto  non  c'è. 

<f  Solevano  li  citatini  donare  al  principe  el  di  de  Natale  per  strena 
a  ducati  ecc. 

A  1,0  castello  pagava  lo  principe,  dava  al  castellano  ducati  LXX 
«  l'anno. 

«  Teneace  XVI  compagni  et  talvolta  più  et  meno  secundo  li  tempi  de 
«  pace  et  de  guerra  :  haveano  XV  carlini  per  compagno.  Pagavanse  mese 
«  per  mese  da  la  doana  et  non  se  li  tenea  paga  nulla. 

ce  Lo  capitaneo  lo  paga  la  università  :  havea  onze  XVIII  l'anno  dal 
«principe:  ma  la  s.sua  ne  havea  trenta  da  la  università  et  avanza- 
le vane  XII. 

«  Li  proventi  civili  erano  de  la  università  :  li  criminali  erano  del 
«  principe  :  proventi  sono  le  condemnatione  et  altri  guadagni  se  fanno 
ce  per  l'officiale. 

c<  Lo  magro  d'atti  lo  paga  la  terra  :  quello  guadagna  cum  la  penna 
ce  se  parte  cum  lo  capitaneo. 

<c  Lo  mastro  jorato  et  tuti  altri  officiali  comò  so  guardiani  dele  porte 
«  de  mare  et  de  terra,  li  pagava  la  università. 

«  Palio  :  lo  s.  ha  uno  phoo  dove  so  circa  X.m  pedi  de  olive,  uno  tar- 
c(  pedo  de  due  macine  :  et  queste  olive,  da  anno  fertile  ad  non  fertile,  so- 
ci gliono  fare  salme  ducento  di  oglio.  Lo  prezo  de  la  salma  del  oglio  sole 
ccessere  ducati  cinque  per  salma  alle  volte,  et  sei  alle  volte  :  tengo  per 
ce  fermo  cinque,  che  sonno  questi  ducati  mille.  Tuti  li  citatini  so  tenuti 
ce  macinare  tute  loro  olive  allo  trapito  del  S.  et  de  questo  se  cazava  ducati 
ce  ducento. 

ce  Have  una  baglia  che  se  vende  ducati  LXXX  a  LXXXX. 

ce  Sonce  alcune  altre  intrate  de  grani  et  de  censi  :  poriano  montare 

ce  cinquanta  ducati. 

ce  La  castellano  pagava  lo  principe,  haveva  in  denari  et  grano  et  vmo 

ce  ducati  XXXVI. 

ce  Li  compagni  erano  octo,  haveano  XV  carlini  per  uno  lo  mese  et 

ce  pagavanse  mese  per  mese. 


422  BIBLIOGRAFIA 

giunto  alla  presente  recensione,  ci  ricordiamo  d'aver  visto,  nei  nostri 
studi,  altri  documenti,  e  altri  ancora  se  ne  potranno  trovare  importanti 
per  la  storia  del  ducato  di  Bari.  Ma  ciò  che  non  ha  fatto  l'egregio  Autore 
potrà  fare  quando  si  accingerà  a  darci  compiuta  la  vita  di  Isabella  e  di 
Bona  Sforza  :  il  che  speriamo  che  presto  avvenga. 

Luigi  Rollone 


FRANCESCO  Malaguzzi  VALERI.  —  Pittori  Lombardi  del  Quattrocento.  — 
Ricerche,  Milano,  Cogliati,  1902,  16,  pp.  250,  con  20  illustrazioni. 

Di  questo  nuovo  lavoro  del  Malaguzzi,  il  più  importante  tra  i  molti 
suoi,  già  si  occuparono  la  Rassegna  d'Arte  (num.  d^ottobre),  la  quale  ri- 
produsse anche  alcune  illustrazioni,  e,  assai  più  largamente  e  critica- 
mente, il  sig.  Willhelm  Suida  {Neue  Studien  sur  Geschichte  der  lom- 
bardischen  M alerei  des  XV  lahrhundertSy  nel  Refertorium  fùr  Kunst- 
wissenschaft  (XXV  Band,  1902),  che  già  ebbe  Tonore  d'accogliere  lo  stu- 
dio del  Malaguzzi  su  «  gli  artisti  lombardi  a  Roma  ».  Alquanto  tardi  perciò 
arriva  la  recensione  del  nostro  Archivio  e,  per  giunta,  affidata  al  più 
oscuro  ed  incompetente  fra  i  soci,  il  quale,  anche  accingendosi  ad  una 
semplice  esposizione,  non  è  scevro  dal  timore  di  non  sapere  degnamente 
rilevare  i  pregi  e  le  caratteristiche  del  libro.  Tuttavia  mi  studierò  d'essere 
almeno  fedele  e  diligente,  rendendo  chiaro  ed  intero  il  pensiero  del- 
l'Autore. 

Anzitutto  non  mi  sembra  inutile  notare,  poiché  il  bell'aspetto  este- 
riore d'un  libro  costituisce  già  per  sé  un'attrattiva  ed  è  tanto  più  deside- 
rabile in  opera  che  tratti  d'arte,  come  il  volumetto,  nitidamente  stampato, 
si  presenti  con  una  copertina  gaia  ed  elegante,  adorna  d'una  tra  le  mi- 
gliori illustrazioni  del  testo,  e  non  scelta  a  caso;  poiché  il  soggetto  che 
rappresenta,  cioè  un  particolare  dello  Zenale  nell'ancona  di  Treviglio, 
richiama  l'attenzione  del  lettore  sopra  uno  dei  pittori  più  importanti  e 
con  maggior  predilezione  studiati  dall'Autore.  Ciò  per  l'estetica^ 

Non  bisogna  poi  tacere,  come  d'esempio  che  dovrebb'essere  imitato 
specialmente  in  lavori  storici,  assai  più  che  non  si  faccia,  della  comodità 
offerta  ai  lettori  dai  chiari  e  copiosi  indici  che  precedono  il  testo,  cioè 
degli  artisti,  dei  luoghi  e  delle  collezioni,  dei  ritratti,  dei  capitoli  e  infine 
delle  illustrazioni,  tutte  belle,  parecchie  grandi  a  guisa  di  tavole  e  al- 
cune di  soggetti  finora  mai  riprodotti.  Anche  questo  di  buone  e  numerose 

«  Lo  capitaneo  havea  ducati  L.ta  et  talle  XXXVI  et  li  pagava  lo  prin- 
«  cipe  :  li  proventi  tanto  civili  quanto  criminali  erano  tuti  del  principe: 
«  sogliono  montare  per  più  che  lo  salario  del  capitaneo  :  altra  spesa  non 
«c'è  da  fare  per  lo  signore. 

«  Ricorda  d.  Jacomo  se  facia  uno  ordine  che  tuti  li  olii  che  nascono 
«  nel  ducato  de  bari  non  se  habiano  ad  infondetarse  altrove  che  a  bari 
«  come  facea  il  p.  che  migliorava  assay  l'intrata  de  la  dohana  ». 

(Arch.  di  Milano,  Comuni^  Bari). 


BIBLIOGRAFIA  423 

illustrazioni  è  un  esempio  da  imitare  in  libri  d'arte,  poiché  ivi  la  parte 
figurata  non  è  solo  un  piacevole  ornamento,  ma  un  elemento  indispen- 
sabile ;  è  come  un  secondo  testo  necessario  a  dimostrare  l'altro. 

Ma   veniamo  finalmente   al  contenuto.   Nella  prefazione,  accompa- 
gnata da  una  opportuna  sentenza  di  Leonardo  sulla  pittura,  l'A.,  dòpo 
aver  osservato  come  alla  mancanza  d'un  Vasari  sia  stata  ascritta  la  causa 
dell'oscurità  che  avvolse  la  storia  dell'arte  lombarda  e  come  di  conse- 
guenza siano  stati  accolti  con  favore  gli  studi  storici  del   Calvi  e  del 
Cafi&  e  quelli  critici  del  Morelli  e  di  altri  intesi  a  far  un  po'  di  luce  in- 
tomo ai  predecessori  e  agli  immediati  seguaci  di  Leonardo,  aggiunge  che 
molte  novità  sono  ancor  destinate  a  rivelare  gli  archivi  lombardi  e  l'os- 
servazione diretta  delle  opere.    Egli  chiama  il   suo  lavoro  ce  frutto  mo- 
«  desto  delle  ricerche  storiche  e  degli  studi  di  confronto  intorno  ad  alcuni 
«  maestri  del  gruppo  preleonardesco  »,  e  avverte  che,  lasciati  da  parte  i 
più  noti,  come  il  Bergognone,  il  Foppa,  il  Civerchio  ed  altri,  ha  preferito 
trar  dall'oblio  i  negletti  e  i  modesti,   abbondando   talora   nelle  notizie 
storiche,  cosi  che,  secondo  lui,  n'è  risultato  un  libro    «  esclusivamente 
«  utile,  e  non  utile  e  piacevole  insieme  ».  Modestia  propria  del  vero  valore, 
alla  quale  però  io  oso  contraddire,  esprimendo  all'Autore  di  tanti  lavori 
ed  articoli  storici  ed  artistici  l'impressione  provata  nella  lettura  del  li- 
bro, quella  cioè  d'una  mirabile  armonia  dell'utile  col  diletto.  Poiché  le 
notizie  storiche,  già  per  sé  interessanti,  e  i  caratteristici  particolari  bio- 
grafici,  che  lumeggiano  le  figure  e  l'ambiente  degli  artisti,   sono  così 
abilmente  intrecciati  alla  critica  artistica,  da  procurare  al  lettore  un  go- 
dimento sempre  più  vivo.  I  numerosi  documenti  poi,  dei  quali  molti  ine- 
diti, sono  riferiti  in  modo  che,  mentre  a  chi  sa  apprezzarli  servono  a  far 
più  intimamente  gustare  il  carattere  degli  uomini  e  del  tempo,  possono 
esser  tralasciati  di  leggere  da  chi  abbia  fretta,  senza  interrompere  il  filo 
e  scemare  l'intelligenza  del  testo.  Se  poi  si  consideri  non  solo  quali  ri- 
cerche ha  dovuto  fare  l'A.  negli  archivi  per  la  parte  storica,  ma  anche 
quali  indagini  e  studi  per  la  parte  artistica,  che  presentava  la  difficoltà  di 
dover  confrontare  tra  loro  opere  varie  o  di  un  medesimo  pittore  sparse 
in  chiese,  collezioni  pubbliche  e  private,  di  scovare  talora  affreschi  na- 
scosti e  di  penetrare  spesso  nel  segreto  di  pitture  quasi  irriconoscibili  per 
scoprirne  l'autore,  si  dovrà  tanto  più  ammirare  il  merito  del  Malaguzzi 
nel  presentarci  un  quadro  vivo  ed  armonico  d'un  periodo  di  storia  del- 
l'arte lombarda  poco  noto  e  un  gruppo  di  pittori  quasi  contemporanei  ed 
affini,  mettendone  in  evidenza  con  singolare  finezza  le  rispettive  caratte- 
ristiche, le  somiglianze  e  le  differenze,  le  reciproche  influenze  e  i  rapporti 
con  altre  scuole,  cose  spesso  difficili  ad  essere  avvertite  da  occhi  meno 
acuti  ed  esercitati.  Perciò  desidero  tradurre  qui  un  giudizio  dello  Snida, 
in  cui  egli  coglie  nel  segno,  mostrando  qual  sia  il  vero  pregio  dell'opera 
del  Malaguzzi:    «  All'adeguata  diligenza  per   la  faticosa  ricerca   negli 
«  archivi  milanesi  univa  l'Autore  un  occhio  esercitato  per  rilevare  le  sot- 
«  tili  diflFerenze  di  stile,  così  che  i  risultati  dei  suoi  studi  che  ci  stanno  da- 
'  «  vanti  possono  venir  segnalati  come  veramente  sorprendenti  ». 


4'H  BIBLIOGRAFIA 

Il  libro  è  diviso  in  otto  capitoli,  dei  quali  il  primo,  comprendente  78  pa- 
gine, è  dedicato  a  Bernardino  Pontinone  e  a  Bernardo  Zenale^  e  distinto 
in  due  parti,  di  cui  la  più  lunga  (59  pagine)  è  assegnata  al  Butinone;  ma 
in  essa  si  parla  anche  dello  Zenale,  poiché  TA.  si  propone  di  stabilire 
nettamente  la  rispettiva  opera  dei  due  pittori  trevigliesi  che  lavorarono 
insieme  :  compito  arduo  e  delicato,  rimasto  finora  insoddisfatto,  e  che  il 
Malaguzzi  adempie  con  ottimo  successo.  Le  due  personalità  artistiche, 
prima  confuse  l'una  coll'altra,  vengono  dalla  critica  di  lui  chiaramente  se- 
parate ;  a  ciascuna  di  esse  è  rivendicata  Popera  propria  coi  relativi  pregi  e 
difetti,  così  che  esse  appaiono  come  due  nuove  figure  acquisite  alla  sto- 
ria dell'arte.  E  questo  è  tal  frutto,  che  rappresenta  uno  dei  principali 
meriti  del  libro  e  basterebbe  da  solo  a  costituirne  tutta  l'importanza.  Per 
arrivare  a  ciò  l'A.  tesse  da  capo  la  biografia  del  Butinone,  facendole  poi 
seguire  l'esame  delle  opere  che  a  quel  pittore  si  possono  attribuire  in  base 
a  una  severa  osservazione  e  ai  nuovi  criteri  critici. 

Il  Butinone  è  ricordato  per  la  prima  volta  in  un  quadro  di  Brera  raf- 
figurante la  Vergine  col  Bambino  in  trono  e  i  santi  Bernardino  e  Vin- 
cenzo Diacono,  ove  deve  leggersi  la  data  1454  anziché  1484;  nel  1467  egli 
avrebbe  dipinto  per  l'aitar  maggiore  di  S.  Maria  delle  Grazie  un'ancona 
rappresentante  Gaspare  Vimercati  dinanzi  alla  Vergine  e  al  Bambino.  Il 
suo  nome  si  legge  pure  in  un  quadretto  dei  Borromeo  all'Isola  Bella 
che  raffigura  la  Madonna  in  trono  col  Bambino,  due  santi  e  due  angio- 
letti. Altre  opere  gli  attribuisce  il  Calvi,  fra  cui  due  ritratti  della  colle- 
zione Borromeo  e  le  figure  allegoriche  della  cappella  di  S.  Antonio  in 
S.  Pietro  in  Gessate,  mentre  ascrive  allo  Zenale  le  pitture  delle  pareti, 
che  sono  invece  opera  di  Donato  da  Montorfano.  Nei  lavori  seguenti  i 
pennelli  dei  due  artisti  sono  intimamente  associati.  Circa  il  1484  lo  Ze- 
nale dipingeva  in  una  cappella  della  chiesa  del  Carmine,  e  il  Butinone 
una  pala  (firmata)  colla  Sacra  Famiglia,  della  quale  però  non  rimane 
più  se  non  una  traccia  insignificante  in  un  quadro  della  stessa  chiesa.  Tra 
il  1489  e  il  1493  ^  ^^^  pittori  dipinsero  insieme  la  cappella  Griffi,  come 
dimostrò  L.  Beltrami  in  due  suoi  articoli  nella  Perseveransa  (27-28  mag- 
gio 1901).  Anche  il  loro  paese  natale  vanta  una  loro  opera  comune  nella 
ben  conservata  ancona  della  chiesa  di  S.  Martino,  ancona  ordinata  ai  due 
pittori  dal  rettore  e  dai  fabbriceri  della  chiesa  in  un  contratto  del 
26  maggio  1485,  che  il  Malaguzzi  pubblica  per  la  prima  volta.  In  una 
lettera  ducale  del  1490,  che  ci  dà  un'idea  del  modo  spiccio  con  cui  i  si- 
gnori di  quel  tempo  esprimevano  agli  artisti  i  loro  desideri  e  della  pron- 
tezza con  cui  volevano  essere  serviti  (alla  quale  però  da  parte  loro  non 
corrispondeva  sempre  altrettanta  prontezza  nel  pagarli),  si  ordina  allo 
Zenale  e  a  Bernardino  de  Rossi  di  decorare  la  sala  della  Balla.  Allo 
Zenale  attribuirono  il  Vasari  e  il  Lomazzo  alcune  pitture  del  chiostro 
minore  di  S.  Maria  delle  Grazie,  che  il  Gattico  invece  ascrive  al  Butinone 
in  un  lungo  interessante  brano  riportato  dall'A.,  il  quale  concilierebbc 
le  due  opinioni,  immaginando  che  anche  in  S.  M.  delle  Grazie  i  due 
pittori  lavorassero  insieme.  Dalla  biografia   del  Butinone,  di  cui  non  si 


BIBLIOGRAFIA 


425 


hanno  più  notizie  certe  dopo  il  1507,  l'A.  passa  ad  esaminare  le  opere  di 
lui  e  dello  Zenale,  che  la  critica  del  Morelli,  del  Crowe  e  Cavalcasene, 
del  Cook,  del  Seidlitz  e  del  Brinton  non  era  finora  riuscita  a  ben  distin- 
guere. L'A.  parte  da  un  punto  sicuro  quaVè  il  trittico  di  Brera  firmato 
dal  Butinone  e  datato  1454,  quadro  che  rivela  un  artista  di  poca  genia- 
lità e  di  grande  durezza,  le  cui  peculiarità  sono  il  colorito  terreo  con  lu- 
meggiature bianche  sul  volto  e  gialle  sui  capelli,  gli  orecchi  grandi  quasi 
staccati  dalPoccipite,  le  mani  scheletrite  con  strisce  di  biacca  che  dalle 
dita  si  prolungano  fino  al  polso,  e  in  generale  la  volgarità  dei  tipi.  Gli 
stessi  caratteri,  ma  con  un  segno  delPinfiusso  indiretto  della  scuola  pa- 
dovana, si  ritrovano  in  tre  tondi  con  mezze  figure  di  dottori  della  Chiesa, 
di  cui  due  appartengono  al  cav.  Aldo  Noseda  e  uno  alla  Pinacoteca  di 
Parma.  Fondamentale  per  poter  discemere  Topera  dei  due  pittori  è  l'an- 
cona di  Treviglio,  cui  l'A.  dedica  alcune  pagine.  Egli  assegna  al  Buti- 
none, dietro  una  minuta  analisi  e  un  diligente  confronto  col  quadro  di 
Brera  :  la  Madonna  col  Bambino  e  gli  angioli,  il  S.  Martino  e  il  povero 
(che  lo  Snida  dà  invece  allo  Zenale),  i  due  gruppi  dei  santi  Sebastiano, 
Antonio,  Paolo  e  Giovanni  Battista,  Stefano  e  Giovanni  Evangelista; 
infine  parte  della  predella,  in  cui  ascrive  allo  Zenale,  più  dolce  e  più 
corretto,   la  Resurrezione. 

Questa  è  al  contrario  assegnata  dallo  Snida  al  Butinone  per  l'affi- 
nità ch'egli  trova  tra  essa  e  tre  quadretti,  uno  dei  quali  (raccolta  Lochis 
a  Bergamo)  rappresenta  la  Circoncisione  —  anche  il  Malaguzzi  nella 
nota  a  pag.  XI  lo  riconosce  affine  alla  predella  di  Treviglio,  —  l'altro 
(collez.  Borromeo)  le  nozze  di  Cana,  il  terzo  (galleria  Mal  aspina  a  Pa- 
via) Tommaso  l'incredulo.  Al  Butinone  il  Snida  darebbe  anche  la  Pietà 
del  Museo  di  Berlino. 

L'A.  confronta  l'ancona  di  Treviglio  colla  pala  del  Mantegna  nel 
S.  Zeno  a  Verona  e,  rilevandone  la  somiglianza,  osserva  che  dal  capo 
della  scuola  padovana  può  aver  preso  il  Butinone  il  modo  di  lumeggiare 
fortemente  le  parti  prominenti  dei  volti.  L'influsso  della  scuola  di  Pa- 
dova appare  ancor  più  evidente  dal  confronto  tra  i  particolari  del  Buti- 
none e  il  quadro  della  galleria  di  Torino  ;  e  appunto  la  permanenza  dei 
due  pittori,  nella  loro  giovinezza,  a  Padova  può  spiegare  il  fatto  che  di 
loro  si  trovino  notizie  molto  tardi.  Certo  è  che  l'ancona  di  Treviglio  è 
anteriore  alla  venuta  di  Leonardo  a  Milano.  Dalla  scuola  del  Mantegna 
il  Butinone  sembra  aver  preso  piuttosto  i  difetti  che  i  pregi,  mentre  a 
Milano  sentì  il  benefico  influsso  del  Foppa,  con  cui  aveva  qualche  co- 
munanza d'ideali,  specialmente  nella  ricerca  del  vero;  egli  andò  per- 
dendo la  primitiva  durezza. 

Nella  stessa  Treviglio,  in  un'antica  cappella  presso  l'organo  nella 
parrocchiale,  l'A.  scoprì  alcune  pitture  assai  guaste,  delle  quali  attri- 
buisce al  Butinone  quelle  della  volta.  Ma  dove  egli  ravvisa  tutte  le  ca- 
ratteristiche di  questo  pittore  è  nel  grandioso  affresco,  già  nell'abside  di 
S.  Primo  a  Pavia  ed  ora  presso  i  signori  Grandi  a  Milano,  raffigurante  l'in- 
coronazione della  Vergine.  Vengono  poi  le  pitture  della  cappella  Grifi 


4^6  BIBLIOGRAFIA 

in  S.  Pietro  in  Gessate,  nelle  quali  l'A.  vede  l'opera  del  Butinone  nel  reo 
inginocchiato,  nelle  figure  della  zona  inferiore  e  specialmente  nella 
prima  a  destra  di  chi  guarda,  nell'impiccato;  quella  dello  Zenale  nella 
parte  superiore  popolata  di  gruppi  vivaci  e  coronata  da  un  tempietto  in 
stile  del  Rinascimento.  Lo  Snida  darebbe  invece  l'intero  affresco  allo 
Zenale. 

Una  delle  migliori  cose  che  il  Butinone  abbia  fatto  senza  la  collabo- 
razione «dello  Zenale  è  per  l'A.  il  piccolo  quadro  nella  cappella  Borromeo 
all'Isola  Bella  rappresentante  la  Madonna  col  Bambino  e  ai  lati  Santa 
Giustina  e  S.  Giovanni  Battista,  dato  a  Gregorio  Schiavone  dal  MoreHi, 
il  quale  ritenne  la  firma  una  contraffazione,  mentre  TA.  dimostra  che  le 
lettere  coi  loro  punti  a  triangolo  sono  proprie  della  scrittura  del  XV  sec. 
e  identiche  a  quelle  che  compongono  le  parole  Salve  Regina  Maria  Vir- 
GlNis,  scritte  nell'orlo  del  mantello  secondo  l'uso  del  tempo. 

Confrontando  poi  questo  quadro  col  trittico  di  Brera  e  coll'ancona  di 
Treviglio,  vi  trova  maggior  dolcezza  e  un  manifesto  influsso  della  scuola 
di  Padova,  ove  anzi  crede  che  il  quadro  sia  stato  eseguito  pei  Borromeo. 
Vitaliani,  data  la  presenza  del  motto  Humilitas  della  scritta  Domtnus 
Carrarie  e  della  Santa  Giustina,  per  la  quale  quella  famiglia  aveva  par- 
ticolar  devozione,  tanto  che  le  eresse  la  ricca  tomba  marmorea  che  an- 
cora ammirasi  all'Isola  Bella.  Una  delle  ultime  opere  del  Butinone  sa- 
rebbe il  quadretto  recentemente  acquistato  dalla  pinacoteca  di  Brera  raf- 
figurante la  Vergine  davanti  a  un  balcone  in  atto  di  sfogliare  un  libro, 
col  bambino  ritto  sul  davanzale  ;  vi  spira  una  tal  soavità,  quale  non  ha 
la  stessa  Madonna  del  Poppa  nel  quadro  analogo  della  galleria  Muni- 
cipale di  Milano,  cui  il  Butinone  sembra  essersi  ispirato.  Affine  al  qua- 
dro dell'Isola  Bella  è  uno  del  duca  Tommaso  Scotti,  che  una  falsa  firma 
fa  ascrivere  al  Mantegna,  errore  commesso  anche  dal  Vasari  ;  mentre  l'A. 
vi  ravvisa  l'opera  più  accurata  e  gentile  del  Butinone,  di  cui  rivela  la 
lenta  evoluzione.  Al  suo  ultimo  periodo  artistico  appartengono  le  deco- 
razioni dei  chiostri  e  della  chiesa  delle  Grazie,  intomo  alle  quali  TA.  si 
intrattiene  alquanto,   attribuendo  al   Butinone    i  tre  tondi  del   chiostro 
grande  raffiguranti  i  santi  Pietro  Martire  e  Domenico  e  un  Domenicano, 
ma  a  nessuno  dei  due  pittori  la  Flagellarione  e  il  frammento  del  Cristo 
al  pretorio  apparsi  sotto  l'intonaco  nell'interno  del  medesimo  chiostro. 
Incerto  poi  se  appartenga  al   Butinone  o  allo  Zenale,  giacché  rivela  i 
caratteri  d'entrambi,  è  la  graziosa  pittura  d'una  lunetta  rappresentante  la 
Madonna  col  bambino  ritto  sul  davanzale;  mentre  nei  santi  dipinti  sui 
pilastri  della  chiesa,  ascritti  dal  Sant'Ambrogio  a  Bernardino  de  Rossi, 
FA.  vede  senza  dubbio  un  Butinone  progredito,  non  ignaro  delle  leggi 
della  prospettiva  e  specialmente  di  quella  del  sott'in  su. 

Infondate,  secondo  TA..  sono  le  attribuzioni  di  alcuni  ritratti  al  fiu- 
tinone. Il  ritratto  virile  della  collezione  Borromeo,  imitazione  di  Anto- 
nello da  Messina,  sebbene  presenti  caratteri  butinoneschi,  pure,  dal 
nome  Leonardo  scritto  nel  quadro,  dev'essere  opera  d'uno  di  quei  pittori 
omonimi  che  lavoravano  in  quel  tempo  in  Lombardia,  tra  i  quali  un 
Leonardo  Tanzoni. 


BIBLIOGRAFIA 


4^7 


Anche  un  altro  ritratto  d'uomo  della  stessa  collezione,  ascritto  a 
Bernardino  da  Treviglio,  è  di  scuola  leonardesca,  e  così  pure  la  testa 
del  S.  Giovanni  decollato,  datata  151 1,  nel  qual  anno  il  Butinone  aveva 
già  finito  di  lavorare.  Parimenti  infondata  è  Tattribuzione  al  Butinone 
delle  pitturje  della  cappella  di  S.  Antonio  in  S.  Pietro  in  Gessate,  che  ri- 
sultano essere  di  Donato  da  Montorfano  dal  confronto  colla  Crocifis- 
sione del  Cenacolo  delle  Grazie  e  con  quella  poco  nota  del  palazzo  Ra- 
viiza,  la  quale  è  l'ultimo  lavoro  del  Montorfano.  Non  sono  infine  del 
Butinone  due  Adorazioni  del  bambino  nella  galleria  comunale  di  Lo- 
vere  e  la  piccola  Madonna,  segnata  Bernardino  B.,  nella  raccolta  Lochis 
a  Bergamo. 

Nella  seconda  parte  del  primo  capitolo  l'A.  aggiunge  a  quanto  ha 
già  detto  dello  Zenale,  parlando  del  Butinone,  le  nuove  notizie  raccolte 
intomo  a  lui,  nato  nel  1436  e  morto  novantenne.  Pone  fra  le  leggende, 
di  cui  è  purtroppo  piena  la  storia  dell'arte  nostra,  la  stima  che  Leonardo 
avrebbe  avuto  dello  Zenale  fino  a  chiederne  il  parere  per  la  testa  del 
Redentore  nel  Cenacolo.  Trova  infondata  Pattribuzione  allo  Zenale,  am- 
messa anche  recentemente,  della  tavola  braidense  raffigurante  la  Ma- 
donna col  bambino  fra  i  santi  Gregorio,  Girolamo,  Ambrogio  e  Ago- 
stino, e  Lodovico  il  Moro  con  Beatrice  e  i  figli  in  ginocchio.  Neppure 
sarebbero  dello  Zenale,  malgrado  la  firma,  il  Cristo  alla  colonna  della 
collezione  Borromeo,  e  la  tavoletta  con  la  Vergine  allattante  il  bam- 
bino nella  raccolta  Lochis  a  Bergamo,  la  quale  è  piuttosto  del  Borgo- 
gnone. 

Nel  15 19  lo  Zenale  fu  eletto  architetto  del  Duomo,  ma  pare  che  si 
limitasse  a  presentare  modelli  e  disegni  fino  alla  morte  dell'Amadeo 
(1522),  cui  succedette  nella  direzione  generale  della  fabbrica.  Come  ar- 
chitetto fu  richiesto  anche  a  Bergamo  per  esaminare  i  lavori  di  S.  Maria 
Maggiore,  intorni  ai  quali  VA.  pubblica  alcuni  documenti.  Lo  Zenale  si 
rivelerebbe  inoltre^  *'heologo  da  un  passo  dell'Alciato,  in  cui  questi  ri- 
ferisce un'opinione  del  pittore  sull'urna  di  Valperto,  che  servisse  cioè 
come  castello  d'acqua. 

Dello  Zenale  ci  rimane  assai  minor  numero  di  opere  che  del  Buti- 
none, tuttavia  oggi  non  è  più  vera  l'affermazione  del  Morelli,  che  noi 
siamo  al  buio  sul  conto  suo.  Il  confronto  coll'ancona  di  Treviglio  per- 
mette di  ascrivergli,  se  non  decisamente,  anche  le  parti  laterali  d'un  trit- 
tico della  collezione  Frizzoni  Salis  a  Bergamo,  delle  quali  una  raffigura 
un  Certosino  con  un  devoto,  l'altra  S.  Michele  che  pesa  le  anime  sulla  bi- 
lancia, mentre  colla  spada  trafigge  il  demonio  in  forma  di  drago.  Di 
maniera  dello  Zenale  è  pure  un  quadro  nel  castello  sforzesco  rappresen- 
tante S.  Chiara  e  due  monaci,  dato  alla  scuola  lombarda. 

La  figura  dello  Zenale  è  stata  finora  delineata  su  basi  così  incerte 
anche  dai  maggiori  critici,  che  se  ne  fece  perfino  un  imitatore  di  Leo- 
nsu'do  e  gli  si  attribuirono  opere  disparatissime,  tra  cui  il  quadro  di  Brera 
raffigurante  la  Madonna  in  trono  fra  i  quattro  Dottori  della  Chiesa  e  ai 
lati  il  Moro  con  Beatrice  e  i  figli  in  ginocchio,  mentre  un  attento  esame 


428  BIBLIOGRAFIA 

di  questo  quadro  sarebbe  bastato  a  impedire  gli  errori.  Anche  raffresco 
dell'atrio  di  S.  Ambrogio,  se  la  data  deve  leggersi  1498,  rappresenterebbe 
nello  Zenale  un  regresso  in  confronto  della  pala  di  Treviglio  ;  perciò  e 
pel  suo  stato  di  conservazione  esso  deve  forse  aggiungersi  a  quei  dipinti 
della  Rinascenza,  cui  la  critica  non  può  ora  assegnare  una  sicura  pater- 
nità. Le  tracce  dell'affresco  della  parete  opposta  lasciano  trasparire  qual- 
che accenno  al  Butinone,  ma  mancano  gli  elementi  sufficienti  per  un 
giudizio.  Il  trittico  a  destra  della  porta  d'accesso  alla  canonica,  ascritto 
allo  Zenale  e  al  Butinone  insieme  o  solo  al  primo,  raffigurante  la  Ver- 
gine col  bambino  tra  i  santi  Ambrogio  e  Gerolamo,  non  risponde  allo 
spirito  dei  due  pittori. 

Dello  Zenale  ritiene  invece  l'A.  alcuni  quadri  dei  signori  Bagatti 
Valsecchi,  del  Museo  Poldi-Pezzoli  (dati  alla  vecchia  scuola  lombarda) 
e  dell'Ambrosiana  ;  trova  reminiscenze  zenaliane  in  alcune  pitture  di  Pa- 
via e  chiude  il  lungo  e  importante  capitolo  notando  come  i  due  pittori 
trevigliesi,  anteriori  all'influsso  di  Leonardo  in  Lombardia,  risentano 
quello  della  scuola  padovana,  pur  non  essendo  estranei  a  certi  caratteri 
dei  loro  predecessori  (i  Zavattari,  Masolino  da  Panicale  e  il  Foppa)  ;  e 
come  l'orbita  in  cui  essi  si  svolsero  sia  modesta,  ma  interessante  e  mi- 
sconosciuta fin  qui. 

Mi  concedo  accennare  che,  quando  era  già  uscito  o  stava  per  uscire  il 
libro  del  Malaguzzi,  si  scoprivano  gli  affreschi  della  volta  della  cappella 
Grifi  in  S.  Pietro  in  Gessate,  che  il  benemerito  onor.  Guido  Gagnola  volle 
restituiti  alla  luce  inieme  con  altre  reliquie  pittoriche  della  cappella 
medesima.  L.  Beltrami  nella  Perseveranaa  del  28  maggio  1902  segnalava 
con  gioia  la  lieta  scoperta,  ascrivendo  al  Butinone  la  decorazione  della 
volta  a  spicchi,  riapparsa  con  colori  ancor  vivi,  e  distinguendola  in  tre 
zone,  di  cui  la  superiore  occupata  da  un  motivo  circolare,  contenente  la 
testa  del  Cristo  coronato  di  spine,  e  da  numerose  teste  di  angeli  ;  le  altre 
due  presentano  sei  angeli  preganti  e  sei  coppie  di  angeli  suonanti  vari 
strumenti,  così  che  ogni  spicco  di  volta  reca  tre  figure  intere  di  angeli 
che  fanno  corona  al  Cristo  nel  centro.  Nella  parete  di  fondo,  sopra  il 
mastodontico  altare  barocco,  dietro  cui  era  dipinta  la  battaglia  di  Pa- 
rabiago,  nella  figura  del  cavaliere  galoppante  nel  cielo  il  Beltrami  rav- 
visa S.  Ambrogio  collo  staffile,  figura  che  per  lo  Snida  è  l'opera  più  gran- 
diosa dello  Zenale.  Malgrado  i  guasti  e  le  lacune,  l'elegante  cappella 
fatta  erigere  e  decorare  da  Ambrogio  Grifo  (nella  seconda  metà  del  se- 
colo XV),  la  cui  severa  statua  giace  negletta  in  un  angolo  della  medesima, 
risplende  ancora  di  alcune  tinte  e  figure  vivaci  e  suscita  nei  visitatori  il 
desiderio,  che  anche  alle  altre  pareti  imbiancate  dell'ampia  e  artistica 
chiesa  venga  ridonata  la  vita  parlante  degli  antichi  affreschi,  latenti  sotto 
il  muto  intonaco. 

Il  secondo  capitolo  è  dedicato  a  Cristoforo  Moretti^  che  in  una  let- 
tera si  firma  Christoforus  de  Moretis  de  Cremona  pictor  frope  officium 
Bulletarum  Mediolani.  Egli  dipingeva  barde,  cioè  gualdrappe  da  ca- 
vallo, che  avevano  spesso  l'importanza  d'opere  d'arte.  Nel  1474  il  Moretti 


BIBLIOGRAFIA  429 

è  cittadino  milanese,  ma  nel  '76  un  passaporto  concessogli  dal  duca  fa- 
rebbe supporre  ch'egli  lasciasse  Milano;  infatti  dopo  quell'anno  non 
s'ha  più  notizia  di  lui.  L'A.  abbonda  nelle  notizie  biografiche  e  riporta 
parecchie  lettere  e  documenti  interessanti.  Citerò  l'aneddoto  del  bando 
cui  fu  condannato  il  Moretti  per  una  lettera  offensiva  a  una  signora, 
bando  di  cui  fu  però  graziato  dal  duca;  una  lettera  di  questi  a  un  de- 
bitore del  pittore  sollecitandolo  a  pagarlo,  una  supplica  del  pittore  al 
duca,  in  cui  gli  chiede  di  poter  erigere  presso  la  sua  bottega  un  palco  da 
servire  alle  sue  «  done  per  vedere  li  triumphi  ». 

Opera  autentica  del  Moretti  è  quella  firmata  raffigurante  la  Ma- 
donna col  bambino  (presso  il  comm.  Bassano  Gabba),  la  quale  rivela 
l'influsso  della  scuola  veronese;  cosa  naturale  dati  i  rapporti  del  Pisa- 
nello  colla  corte  di  Milano  :  egli  ritrasse  in  una  medaglia  l'effigie  di  Pier 
Candido  Decembrio  per  incarico  di  Leonello  d'Este,  di  cui  fece  pure  il 
ritratto,  ch'è  ora  all'Accademia  di  Bergamo. 

Affine  al  Pisanello  è  Michelino  da  Besozzo,  detto  Molinarì,  autore  dei 
tre  interessanti  affreschi  che  adomano  tre  pareti  di  una  sala  a  terreno  del 
palazzo  Borromeo  e  rappresentano  i  giuochi  del  tarocco,  della  balla  e  del 
batter  le  palme  delle  mani  a  cadenza;  le  figure  sono  grandi  al  naturale, 
vestite  sfarzosamente  con  lunghi  strascichi  e  alte  acconciature.  Queste 
pitture  furono  anche  attribuite  ai  Zavattari,  ma  poiché  Michelino  da 
Besozzo  fu  agli  stipendi  dei  Borromeo  (forse  ciò  si  chiarirebbe  con  una 
ricerca  nel  ricco  archivio  della  famiglia),  le  maggiori  probabilità  sono 
per  lui. 

Giustamente  osserva  il  Malaguzzi  che  quegli  affreschi  son  più  im- 
portanti per  la  rappresentazione  dei  costumi  e  della  vita  della  nobiltà  al 
principio  del  sec.  XV,  che  non  pel  loro  valore  artistico.  Tuttavia  io  mi 
permetto  soggiungere  che  al  loro  grande  valore  storico,  come  rappre- 
sentanti giuochi  e  costumi  prettamente  italiani,  s'accoppia  qualche  sa- 
pore d*arte  riguardò  all'originalità  delle  figure  che,  sebben  rigide,  pure 
presentano,  almeno  alcune  di  esse,  una  certa  naturalezza  e  spigliatezza 
nelle  movenze.  Io  anzi  vorrei,  mi  sia  concessa  la  digressione,  che  un  ar- 
tista valente  riproducesse  quelle  pitture  sulle  pareti  della  vasta  sala  della 
balla  nel  castello  sforzesco,  restituita  ora  alle  sue  pristine  linee  architet- 
toniche, ma  priva  dell'antica  decorazione  fatta  eseguire  da  Lodovico  il 
Moro,  come  riferisce  il  Malaguzzi  stesso,  per  mezzo  dello  Zenale  e  di 
Bernardino  De  Rossi  in  occasione  delle  sue  nozze  con  Beatrice  d'Este, 
che  appunto  nella  grandiosa  sala  fastosamente  si  festeggiarono.  Ed  essa 
è  ora  forse  destinata  ad  accogliere  quadri  moderni  in  contrasto  più  o 
meno  stridente  con  tutto  il  suo  carattere  I 

Anche  le  pitture  dei  Zavattari  nella  cappella  della  regina  Teodo- 
linda a  Monza  rivelano  quella  sana  tendenza  al  naturalismo,  che  carat- 
terizza la  scuola  veronese  della  prima  metà  del  sec.  XV  ;  ed  è  curiosa 
l'analogia  tra  i  tipi  di  quelle  pitture  e  quelli  raffigurati  in  alcune  carte 
da  giuoco  contemporanee,  che  ancora  si  conservano.  Della  maniera  del 
Moretti  è  l'Adorazione  dei  Magi  nel  castello  sforzesco,  ascritta  aaun  ignoto 


430  BIBLIOGRAFIA 

«  del  sec.  XV  di  scuola  veronese  »  ;  essa  ricorda  alquanto  Parte  del  Pisa- 
nello,  che  influì  moderatamente  sui  pittori  lombardi  della  prima  metà 
del  Boccaccino. 

Il  terzo  capitolo  tratta  di  Bonifacio  e  Benedetto  Bembo ^  del  primo  dei 
quali  TA.  ha  raccolto  notizie  cosi  abbondanti  negli  archivi  milanesi,  da 
poter  rifame  la  biografìa,  utile  assai,  data  l'importanza  del  pittore  come 
il  maggior  rappresentante  della  scuola  cremonese  del  quattrocento,  prima 
del  Boccacino. 

Nato  a  Brescia  e  vissuto  a  Cremona,  egli  lavorò  nel  castello  di  Pa- 
via, interrotto  però  al  principio  da  una  sua  causa  privata  composta  poi 
per  intervento  del  duca,  al  quale  pure  ricorse  per  essere  pagato  intera- 
mente, dopo  cinque  anni  !,  d'una  sua  ancona,  ch'è  ora  a  Brescia.  I  suoi 
lavori  nel  castello  di  Pavia  son  spesso  ricordati  nelle  lettere  ducali,  di 
cui  alcune  riportate  dall'A. 

Gli  vennero  ordinati  anche  parecchi  e  svariati  ritratti  del  duca  e 
della  duchessa  coi  loro  cortigiani,  e  gli  ordini  erano  accompagnati  da 
indicazioni  minute  sul  modo  di  svolgere  i  soggetti.  Dal  1469  al  1471  corre 
forse  il  periodo  di  maggior  attività  di  Bonifacio  riguardo  alle  pitture  del 
castello  di  Pavia  che,  ridotto  ora  purtroppo  a  caserma  e  ad  uno  stato 
indegno  di  tanto  monumento,  non  mostra  quasi  più  nulla  dell'antico  splen- 
dore decorativo.  L'A.  cita  parecchie  prove  dell'interessamento  di  Gian  Ga- 
leazzo Maria  a  favore  di  Bonifacio  in  occasione  di  liti  e  mancati  paga- 
menti e  ne  riporta  anche  le  lettere.  Dopo  il  1471  il  pittore  è  chiamato  a 
lavorare  nel  castello  di  Milano,  in  una  chiesetta  presso  Vigevano  e  a  Ca» 
ravaggio,  come  risulta  da  molti  documenti. 

Di  Benedetto  Bembo  rimangono  :  un'ancona,  firmata,  nel  castello  di 
Torrechiara  presso  Parma  raffigurante  la  Madonna  col  bambino  e  quat- 
tro santi  con  molti  altri  a  mezzo  busto  nella  predella,  e  un  affresco  in 
casa  Scssa  a  Milano  rappresentante  il  bambino  adorato  dalla  vergine  e 
dai  santi  Francesco  e  Giuseppe. 

Quasi  nulla  invece  rimane  della  grande  attività  di  Bonifacio,  il  quale 
potrebbe  anche  essere  l'autore  degli  affreschi  dell'oratorio  Branda  Casti- 
glioni  in  Pavia  datati  147 1,  tempo  in  cui,  secondo  un  documento  recente- 
mente scoperto,  il  Bembo  abitava  appunto  in  quel  collegio. 

Il  quarto  capitolo  è  intomo  a  Zanetto  Bu gatto  e  ai  ritrattisti  della 
corte  di  Francesco  e  di  Galeazzo  Maria  Sforza.  Anche  questo  artista  ri- 
ceve una  luce  particolare  da  nuove  scoperte  d'archivio.  E'  ricordato  la 
prima  volta  nel  1458  come  pittore  di  barde  e  compositore  di  trionfi  che  si 
fecero  alle  porte  del  duomo.  Caro  alla  duchessa  Bianca  Maria,  fu  da  lei 
inviato  a  fare  un  viaggio  d'istruzione  in  Fiandra,  di  ritomo  dal  quale  è 
spesso  nominato  nelle  lettere  ducali,  di  cui  TA.  riferisce  le  più  interes- 
santi. Lo  Zanetto  era  ricercato  specialmente  come  ritrattista.  Collaborò 
col  Bembo  nell'affrescare  una  chiesetta  presso  Vigevano  ed  anche  in  al- 
cune pitture  del  castello  di  Pavia.  Morì  nel  1476  e  gli  succedette  come 
ritrattista  Antonello  da  Messina;  in  un  documento  si  parla  di  sedici  ri- 
tratti eseguiti  per  la  corte  sforzesca,  la  maggior  parte  dei  quali  saranno 


BIBLIOGRAFIA  43I 

Stati  forse  opera  del  Bugatto.  Dei  ritrattisti  che  fiorirono  dopo  di  lui  e 
dei  loro  ritratti  l'A.  fa  un'interessante  rassegna.  Accenna  a  Baldassare 
d'Este  di  Reggio,  a  un  Niccolò  di  Ferrara  «  teutonicus  pictor  »,  ai  vari 
ritratti  di  Bianca  Maria  Visconti,  tra  cui  caratteristico  quello  colPelmo 
in  mano  (in  S.  Eustorgio),  a  quelli  del  castello  di  Pavia  rappresentanti 
dame  della  corte  ducale  che  giuocano  al  a  ballone  o  a  la  poma  cum 
«  le  sue  donzelle  ad  triumphi,  al  pelluco,  ecc.  »,  ai  ritratti  dei  ribelli  e  dei 
malfattori  dipinti  sulle  pareti  esteme  delle  case  a  pubblico  dileggio,  ri- 
guardo ai  quali  è  curioso  un  ordine  ducale  in  cui  si  comanda  di  dipin- 
gere in  luoghi  pubblici  l'effigie  d'un  ribelle,  avvertendo  di  ritrarlo  <c  ve- 
ce stito  de  brochato  doro  et  con  li  capelli  canuti,  et  piti  naturale  sij  possi- 
ci bile  acciò  che  ogniuno  intenda  che  è  ». 

In  alcune  lettere  di  un  Filippo  da  Borsano  e  di  un  Bernardino  da 
Landriano  al  duca  si  parla  di  parecchi  ritratti  di  belle  donne  nobili  ordi- 
nati da  lui  ;  l'A.  osserva  che  questa  specie  di  concorso  della  bellezza  in- 
detto da  Galeazzo  Maria,  forse  allo  scopo  di  maritare  le  <c  fìole  »  con  per- 
sonaggi della  corte,  è  importante  per  la  storia  dei  costumi  italiani  nel 
XV  sec.  e  fa  rimpiangere  la  perdita  dei  ritratti  di  quelle  bellezze  lom- 
barde. Tra  quelli  conservati  si  possono  assegnare  allo  Zanetto,  ma  solo  in 
via  di  possibilità,  i  ritratti  di  Francesco  I  e  di  Bianca  Maria  Visconti  nel- 
l'Archivio Capitolare  di  Monza,  raffigurati  di  profilo,  a  mezzo  busto,  Tuno 
di  contro  all'altra;  sebbene  un  po'  guasti  rivelano  l'arte  lombarda  della 
prima  metà  del  quattrocento  e  fanno  pensare  ai  disegni  per  le  medaglie 
eseguiti  dal  Bugatto  ;  il  loro  profilo  tagliente  su  fondo  scuro  si  vede  pure 
in  sei  ritratti  a  carboncino  della  galleria  Carrara  a  Bergamo,  rappresen- 
tanti cinque  uomini  e  una  donna,  in  busto.  I  due  medesimi  personaggi, 
ducali  son  rappresentati  anche  in  due  quadri  del  XVII  sec.  nell'Ospedale 
Maggiore,  copiati  da  due  antichi  perduti,  eseguiti  forse  a  fresco  sotto  il 
portico;  nello  sfondo  appare  l'Ospedale,  quale  l'ideò  e  lo  costrusse  il 
Filarete  nella  parte  ora  meno  deturpata,  cioè  verso  S.  Nazaro.  Quattro 
tavolette  di  Brera,  raffiguranti  dei  Visconti  e  degli  Sforza,  sono  analoghe 
a  quelle  che  decoravano  gl'interstizi  dei  travicelli  nei  soffitti  delle  sale  e 
delle  quali  la  raccolta  del  Museo  industriale  nel  castello  Sforzesco  offre 
copioso  e  interessante  materiale  per  studi  iconografici.  Infine  presso  il 
sig.  Gatti  a  Milano  sono  due  ritratti  di  Galeazzo  Maria  Sforza  e  di  Bona, 
restituzioni  accurate  del  sec.  XVI. 

Nel  breve  quinto  capitolo  l'A.  dà  le  poche  notine  potute  raccogliere 
intomo  a  Bartolomeo  da  Prato  detto  Bresciano,  e  tocca  la  questione  se 
egli  abbia  potuto  collaborare  col  Foppa  nelle  pitture  della  cappella  Por- 
tinari  in  S.  Eustorgio.  Alcune  suppliche  del  pittore  al  duca,  in  cui  re- 
clama il  pagamento  dei  propri  lavori,  d'uno  dei  quali  non  essendo  stato 
soddisfatto,  si  accontenta  di  tenersi  come  pegno  un  vestito  del  commit- 
tente, rivelano  le  non  floride  condizioni  della  maggior  parte  degli  artisti 
di  quel  tempo.  In  una  supplica  al  duca  firmata  Bartolomeo  da  Prato,  il 
pittore  prega  il  duca  di  fargli  restituire  una  gro?sa  somma  prestata  e  di 
continuare  a  beneficarlo  come  faceva  Filippo  Portinari,  suo  mecenate,  di 


43^  BIBUOGRAFIA 

cui  la  morte  aveva  troncato  i  benefici.  Infatti  risulta  da  documenti  cbe  le 
pitture  della  cascina  Mirabello,  appartenente  appunto  al  Poninari,  fu- 
rono eseguite  da  c<  maestro  Bartolomeo  Brexano  »  nel  1472  ;  di  esse  ri- 
mangono solo  scarse  tracce,  eccetto  una  figura  meglio  conservata,  che 
rivela  però  un  artista  povero  diverso  forse  dal  Bartolomeo. 

Riguardo  alle  pitture  della  cappella  di  S.  Pietro  Martire,  queste  de- 
vono porsi  circa  il  1466,  poiché  nel  1468  il  Portinari  morì,  mentre  la  cap- 
pella era  già  finita  ;  furono  giustamente  attribuite  al  Foppa,  ma  è  pro- 
babile che  v'abbia  collaborato  anche  Bartolomeo,  data  la  sua  amicizia  col 
Portinari,  il  cui  ritratto  su  tavola,  datata  1462,  si  vede  nella  stessa  cap- 
pella e  non  è  impossibile  che  sia  opera  di  Bartolomeo.  Questi  ebbe  r^ 
porti  anche  con  Bartolomeo  Colleoni,  il  celebre  proprietario  del  castello 
di  Malpaga. 

Il  sesto  capitolo  è  dedicato  a  Gio,  Ambrogio  Bevilacqua  detto  Libe- 
rale, nato  in  Milano  e  vissuto,  pare,  a  lungo. 

Scarseggiano  le  notizie  biografiche,  ma  tale  mancanza  è  compensata 
dalle  opere  che  ci  son  rimaste  di  lui,  le  quali  provano  il  suo  valore  arti- 
stico e  insieme  un'imitazione  cosi  diretta  del  Bergognone,  che  lascia  sup- 
porre egli  lavorasse  nella  bottega  del  maestro.  Il  primo  lavoro  ascrivibile 
al  Bevilacqua,  in  ordine  cronologico,  è  forse  il  trittico  della  cappella 
Melzi  nella  bella  chiesa  di  Casoretto  fuori  Porta  Venezia,  raffigurante 
nel  mezzo  la  Resurrezione,  ai  lati  due  santi  con  due  figure  inginocchiate, 
nella  lunetta  il  Padre  Eterno  e  nella  predella  molti  ritratti  di  apostoli. 

Quest'opera,  forse  non  anteriore  né  posteriore  al  1468,  risente  un  po' 
ancora  l'influsso  del  Foppa,  ma  insieme  mostra  già  q\ialche  caratteristica 
del  Bergognone  ;  le  figure  migliori  sono  le  due  dei  committenti.  Nella 
stessa  chiesa  una  Madonna  adorante  il  bambino  steso  in  terra  ricorda  pure 
il  Bevilacqua. 

A  lui  è  ormai  attribuita  la  tempera  della  galleria  di  Dresda  rappre- 
sentante la  vergine  che  adora  il  bambino  giacente  sull'erba;  in  alto  do- 
mina il  Padre  etemo  circondato  dagli  angeli  recanti  il  motto  «  Gloria  in 
<c  excelsis  Deo  »,  ecc.  ;  il  paesaggio  è  fiancheggiato  da  due  alture  con  ca- 
stelli e  attraversato  da  un  fiume.  Alcuni  motti  scritti  sul  basso  del  quadro 
e  la  parola  PAX  ripetentesi  sulla  veste  della  Vergine  provano  che  il  qua- 
dro proviene  dalla  chiesa  della  Pace  ora  restaurata;  la  figura  del  Padre 
etemo  è  simile  a  quella  dell'affresco  del  Bergognone  nell'abside  di  San 
Simpliciano.  Affine  alla  tela  di  Dresda  è  un  affresco  in  una  cella  della 
Certosa  di  Pavia  raffigurante  la  Madonna  (anche  qui  troppo  alta  e  colla 
veste  seminata  d'un  motivo  ornamentale),  S.  Giuseppe,  un  certosino  e 
gli  angeli  adoranti  il  Bambino;  nel  fondo  scorre  un  fiume.  Le  stesse  par- 
ticolarità offre  un  quadro  della  Galleria  di  Pavia,  rappresentante  la  ver- 
gine col  bambino. 

L'imitazione  del  Bergognone  della  prima  maniera  è  evidente  nel 
trittico  della  chiesa  di  S.  Vito  a  Somma  Lombardo,  che  raffigura  la  ver- 
gine col  bambino,  S.  Vito  e  i  genitori  di  lui  S.  Modesto  e  S.  Crescenzio. 

Notevoli  sono  due  affreschi  eseguiti  nel  1485  dal  Bevilacqua,  forse 


BIBLIOGRAFIA  433 

per  commissione  di  Cristoforo  Landrìani,  nella  bella  chiesa  di  S.  Vittore 
a  Landriano  presso  Locate.  Uno  di  essi  rappresenta  i  santi  Sebastiano, 
Rocco  e  Cristoforo  con  un  ricco  paesaggio  nel  fondo  ;  è  guasto  e  sopra- 
stante a  un  barocco  confessionale  su  cui  dovette  salire  l'A.  per  poter  de- 
cifrare la  quasi  illeggibile  scritta  aAmbrosius  De  Beaequis....  1485».  Il 
S.  Cristoforo,  col  suo  lungo  bastone,  assomiglia  a  quello  del  Bergognone 
nel  quadro  dell'Ambrosiana.  Datato  pure  1485  è  l'altro  affresco  raffigu- 
rante la  vergine  col  bambino,  due  santi  e  due  offerenti,  assai  probabil- 
mente Cristoforo  da  Landriano  e  la  moglie  Cecilia  da  Marliano  ;  queste 
due  figure  sono  le  migliori  del  dipìnto,  perchè  l'artista  s'è  ispirato  al  vero 
scostandosi  dal  maestro,  il  cui  influsso  però  traspare  nel  resto.  Di  minor 
valore  è  un  quadretto  della  raccolta  Lochis  nella  galleria  comunale  di 
Bergamo,  assegnato  alla  scuola  milanese,  che  rappresenta  la  vergine  col 
bambino  fra  due  santi  e  un  fedele  inginocchiato. 

Progredito  e  indipendente  dal  maestro  si  mostra  il  Bevilacqua  nel 
quadro  di  Brera  raffigurante  la  madonna  col  bambino,  re  Davide  e  un 
devoto  inginocchiato  patrocinato  da  S.  Pietro  Martire  ;  porta  la  data  1502. 
Diego  Sant'Ambrogio  attribuirebbe  al  Bevilacqua  anche  una  pala,  pure 
di  Brera,  ritenuta  del  Luini  e  raffigurante  la  vergine  col  bambino  tra  i 
santi  Giacomo  e  Filippo  e  tre  devoti  inginocchiati,  ma  il  Malaguzzi,  con- 
frontandola col  quadro  precedente,  l'ascrive  senza  esitare  al  Luini.  Dà 
invece  al  Bevilacqua  una  madonna  della  raccolta  Piccinelli  a  Bergamo 
e  un'altra  dei  Bagatti  Valsecchi,  un  quadretto  nella  chiesa  della  Passione, 
rappresentante  due  scene  del  sacrificio  d'Abramo,  la  pala  in  S.  Michele  di 
Cremia  sul  lago  di  Como,  già  tolta  al  Bergognone  dal  Beltrami,  rappre- 
sentante una  Pietà  tra  i  santi  Gerolamo  e  Domenico,  e  una  madonna  col 
bambino  tra  i  santi  Sebastiano  e  Rocco  ;  infine  due  pezzi  d'una  predella 
nella  raccolta  Vittadini  ad  Arcore,  raffiguranti  l'apparizione  del  Redentore 
a  S.  Domenico.  L'A.  toglie  al  Bevilacqua  una  vergine  tra  due  santi  e  un 
offerente  nel  Museo  di  Berlino,  una  madonna  con  tre  angioli  dell'anti- 
quario Cantoni,  e  la  santa  Caterina  del  Castello  Sforzesco. 

Il  settimo  capitolo  è  pei  Zenone  da  Vaprio,  dei  quali  il  più  conosciuto 
è  Costantino y  nominato  la  prima  volta  in  una  carta  del  1453  e  poi  in  altre 
lettere,  da  cui  si  rileva  ch'egli  lavorava  per  la  corte  ducale,  dipingendo 
per  Galeazzo  Maria  Sforza  stendardi  e  barde,  stemmi  ducali,  otto  casse  e 
una  corbetta  per  la  duchessa  Bona,  eseguendo  disegni  pei  c(  ducali  ». 
Costantino  lavorò  anche  nel  castello  di  Milano,  e  i  particolari  si  trovano, 
oltre  che  nei  documenti  pubblicati  dal  Beltrami,  anche  in  una  lettera  rife- 
rita dall'A.  Altri  accenni  su  Costantino  sono  sparsi  nelle  carte  di  quel  pe- 
riodo, ma  purtroppo  nulla  ci  rimane  dei  molti  lavori  del  pittore,  la  cui 
fama  è  ricordata  dal  Lomazzo  in  un  sonetto  de'  suoi  «  Grotteschi  ».  L'A. 
accenna  infine  brevemente  al  fratello  Agostino  e  al  cugino  Gabriele,  il 
primo  dei  quali  non  sembra  però  essere  il  «  discepolo  del  Bramantino  » 
lodato  dal  Lomazzo  come  u  peritissimo  del  sotto  in  su  ». 

L'ottavo  ed  ultimo  capitolo,  intitolato  i  Maestri  Minori^  contiene  una 
serie  abbastanza  lunga  di  notizie  di  pittori  nominati  raramente  nei  docu- 


434  BIBLIOGRAFIA 

mentì  del  quattrocento  ;  serie  utilissima,  anxi  preziosa,  poiché  trae  a  co- 
noscenza degli  studiosi  nomi  e  notizie  ignorate,  offrendo  loro  una  nuova 
fonte  di  materiale  per  la  storia  dell'arte  lombarda  e  una  guida  sicura  alla 
ricerca  di  altre  scoperte  e  di  maggiori  particolari. 

Così  si  chiude  utilmente  questo  volume,  altrettanto  modesto  quanto 
importante  esempio  e  sprone  nobilissimo  allo  studio  amoroso  e  serio  dei 
nostri  meno  noti  tesori  artistici. 

ARTURO   FROVA. 


ALESSANDRO    GIULINI.  —  //  Gran  cancelliere  Salasar  e  la  sua  famiglia, 
Bari,  1902,  p.  13  con  sei  tavole. 

—  Vicende  feudali  del  borgo  di  Parabiago  (estratto  dal  Giornale  Aral- 
dico italiano,  XXVIII,  8),  Bari,  1902,  pp   7. 

Diego  de  Salazar  è  uno  di  quei  gentiluomini  che,  venuti  di  Spagna 
nella  dominata  Lombardia,  ne  fecero  una  seconda  patria  d'elezione,  e 
l'amarono  e  consacrarono  l'ingegno  e  la  potenza  a  favorirla.  Studiò  legge 
a  Bologna  e  ne  uscì  dottore  nel  1565,  quindi  s'avviò  per  la  carriera  delle 
magistrature  che  percorse  fino  ai  più  alti  onori.  Pretore  a  Pizzighettone^ 
referendario  a  Lodi  e  avvocato  fiscale,  giudice  al  segno  del  cavallo  in 
Milano:  auditore  generale  dell'esercito  nel  1582,  questore  del  Magistrato 
ordinario  neir84,  senatore  nell'SS,  e  nel  '90  reggente  nel  supremo  Con- 
siglio d'Italia  a  Madrid,  carica  ambita  dai  più  potenti  membri  dell'ah- 
stocrazia.  Ma  nel  '91  di  nuovo  a  Milano  ad  occupare  il  primo  posto  dopo 
il  Governatore,  quello  di  Gran  Cancelliere.  Il  Municipio  di  Milano 
aveva  questa  volta,  come  al  solito,  supplicato  il  re  affinchè  chiamasse 
all'alto  onore  un  milanese;  ma  non  dovette  rimpiangere  di  non  essere 
stato  esaudito,  tanto  il  Salazar  seppe  conciliarsi  il  consenso  e  la  simpatia 
di  tutti.  Egli  ebbe,  e  meritò,  per  se  e  pei  discendenti  la  cittadinanza  mi- 
lanese, come  aveva  avuta  quella  di  Pavia  e  di  Lodi.  Ebbe  amplissime 
relazioni  coi  personaggi  più  eminenti  dell'età  sua  e  coi  membri  più  di- 
stinti dell'aristocrazia  milanese. 

Ben  degna  di  nota  è  la  sua  amicizia  con  san  Carlo  Borromeo,  durata 
a  malgrado  della  tensione  di  rapporti  tra  il  grandé^fVrcivescovo  e  il  Go- 
verno. Morì  novantenne  nel  1629  e  volle  essere  sepolto  in  Pizzighettone 
nella  sua  cappella  gentilizia. 

Queste  e  molte  altre  notizie  dà  il  Giulini  intomo  al  gran  cancelliere, 
completate  da  un'appendice  intomo  alla  sepoltura  di  lui,  alle  iscrizioni, 
alla  splendida  cappella  e  ai  preziosi  altorilievi  ivi  collocati,  e  dal  D.  San- 
tambrogio attribuiti  a  Balduccio  da  Pisa,  infine  con  ampie  tavole  genea- 
logiche, le  quali  dimostrano  quanto  la  nobiltà  milanese  ambisse  d'im- 
parentarsi con  quella  illustre  famiglia.  ^  |^  }^  *  ^j^^^.  'i. 


.  •   '  • 


BIBLIOGRAFIA  435 

All'epoca  spagnuola  si  riferisce  pure  il  secondo  opuscolo  che  tratta 
delle  vicende  feudali  del  borgo  di  Parabiago,  cominciate  quando  il  Go- 
verno per  le  strettezze  dell'erario  mutò  la  natura  del  feudo  e  ne  fece  una 
fonte  di  lucro. 

Con  questi  lavori  il  Giulini  s'è  messo  sur  una  strada  nella  quale 
sarebbe  bene  proseguisse.  Il  seicento  è  negletto;  quel  poco  che  gli  sto- 
rici ce  ne  hanno  tramandato  si  svolge  in  mezzo  a  pregiudizi  ed  è  condito 
delle  solite  declamazioni  contro  il  governo  corruttore  e  demoralizzatore. 
E'  un  periodo  di  storia  che  va  rifatto  con  criteri  più  moderni,  e  quanta 
materia  può  offrire  allo  studioso  che,  preparato  specialmente  in  argo- 
menti d'indole  sociale  ed  economica^,  ponga  la  mano  sui  ricchi  depositi 
de'  nostri  archivi! 

Ettore  Verga. 


Francesco  Lemmi.  —  La  restaurazione  austrìaca  a  Milano  nel  1814  con 
off  endice  di  documenti  tratti  dagli  Archivi  di  Vienna^  Londra^  Mi- 
lano, ecc.),  Bologna,  Zanichelli,  1902;  8  p.  vill-511. 

Prima  di  accingersi  a  ricostruire  gli  avvenimenti  che  segnano  la 
caduta  del  regno  italico,  il  Lemmi  ha  voluto  compulsare,  oltre  gli  ar- 
chivi italiani,  anche  quelli  di  Vienna  e  di  Londra,  colla  speranza  di  riu- 
scire, mediante  nuove  e  più  ampie  indagini,  a  diradare  le  ombre  e  scio- 
gliere i  dubbi  che  offuscano  la  storia  italiana,  e  particolarmente  mila- 
nese, del  18 14,  e  sembrano  contenderla  ai  scrupolosi  ricercatori  del  vero. 
Il  bravo  discepolo  di  Pasquale  Villari  ha  riportato  in  patria  docu- 
menti ricchi  certo  di  particolari  sconosciuti  o  mal  noti,  ma  non  forse  il 
contributo  di  notizie  tali  da  modificare  profondamente  cognizioni  e  giu- 
dizi. Il  punto  più  oscuro  è  sempre  la  rivoluzione  del  20  aprile  :  il  pro- 
blema che  più  ci  tormenta  è  quello  di  stabilire  le  responsabilità  della 
strage  del  Prina,  di  vagliare  le  tendenze  tutte  e  le  aspirazioni  degli 
uomini  e  dei  partiti  che  la  promossero  o  la  favorirono.  La  fortuna  di 
risolvere  questo  problema  non  è  toccata  al  Lemmi  e  non  toccherà  pur 
troppo  a  nessuno,  sia  perchè  le  carte  più  eloquenti  andaron  distrutte  per 
mano  delle  persone  interessate,  sia  perchè  le  porte  gelose  di  molte  case 
patrìzie  contendono,  anche  agli  studiosi  più  onesti  e  valenti,  i  tesori  degli 
archivi  privati.  Brutta  ostinazione  invero,  e  non  generosa  né  illuminata. 

In  compenso  il  Lemmi  ci  ha  dato  un  bel  lavoro  di  sintesi,  dove,  se 
il  nuovo  è  scarso,  il  vecchio  è  esposto  con  sicuro  e  lucido  ordine;  le 
opinioni  di  chi  lo  ha  preceduto  nella  narrazione  di  quei  fatti,  e  i  fatti 
medesimi,  sono  vagliati  con  sano  criterio  ;  in  molti,  potrei  anche  dire  in 
tutti,  i  suoi  apprezzamenti  il  Lemmi  dà  prova  di  non  comune  buon 
senso,  di  serena  imparzialità  e  rivela,  senza  punto  ostentarla,  una  larga 
conoscenza  degli  uomini  e  delle  cose  onde  si  compone  la  storia  del  pe- 
rìodo napoleonico. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXTX,  Fase.  XXXVI.  a8 


BIBLIOGRAFIA  437 

Storici  passarono  per  veri  partigiani  dell'Austria  anche  prima  della  ca> 
duta  del  regno,  ma  in  realtà  tutti  avrebbero  preferito  un  governo  libero  e 
indipendente;  e  un  documentino  viennese  prova  persino  che  il  famoso 
Medici,  ministro  di  Ferdinando,  la  pensava  cosi. 

L'Austria  era  a  quel  tempo  considerata  come  liberatrice  e  anche  la 
maggior  parte  degli  italici  puri,  ingenui,  illusi  senza  dubbio,  ma  sinceri, 
ad  essa  volgevano  gli  sguardi  :  Bellegarde,  come  prova  il  Lemmi,  fu 
invitato  a  intervenire  dagli  italici  e  un  italico  si  recò  a  Verona  a  chia- 
mare l'esercito  austriaco,  e  d'altra  parte  documenti,  che  rappresentano 
la  miglior  messe  dal  Lemmi  raccolta,  dimostran  chiaramente  il  pensiero 
dei  consiglio  comunale,  che  gli  storici  voglion  composto  di  austriacanti  ; 
il  21  aprile  quel  consiglio  invitava  ad  intervenire  non  solo  il  Bellegarde, 
ma  anche  Murat,  al  quale  mandava  con  un  indirizzo  il  conte  Luigi  Porro 
Lambertenghi,  e  perfino  lord  Bentink,  per  mezzo  del  barone  Sigismondo 
Trechi,  allo  scopo  medesimo  di  por  fine  alle  agitazioni  e  assicurare  l'or- 
dine. Essi  eran  ben  lontani  dal  pensare  che  quei  soldati  sarebbero  qui 
rimasti  per  tanti  anni,  come  non  supponevano  che,  per  esser  le  Potenzr 
alleate  riunite  in  Francia,  si  dovesse  smembrare  quella  nazione. 

Anche  la  Reggenza,  quantunque  dalla  debolezza  sua  stessa  costretta 
a  rappresentare  una  parte  odiosa,  era  animata  da  sentimenti  sinceri  di 
libertà.  Il  Lemmi  contesta  al  Casini  e  al  D'Ancona  che  essa  parteggiasse 
per  l'Austria.  La  mancanza  d'energia,  una  condotta  certo  né  accorta  né 
dignitosa  e,  più  che  altro,  l'esser  rimasta  al  potere  durante  la  restaura- 
tone, la  resero  antipatica  ai  milanesi  e  diedero  origine  ai  sospetti,  ma  lo 
storico  imparriale  deve  riconoscere  l'onestà  delle  sue  intenzioni.  Una 
risposta  di  ringraziamento  al  Bellegarde  del  29  aprile,  che  giace  in  mi- 
nuta nell'Archìvio  di  Stato  e  non  fu  mandata  a  destinazione,  prova  che 
gli  amori  austro-milanesi  non  eran  durati  più  d'una  settimana.  Il  Bel- 
legarde aveva  risposto  che  sarebbe  venuto  anche  senza  l'invito,  e  si 
cominciava  a  capire.  Le  trattative  cogli  inglesi,  fra  i  quali,  eccettuato  lord 
Castelreagh  costretto  da  impegni  già  presi  colPAustria,  i  personaggi  più 
influenti  sulle  cose  d'Italia,  come  Wilson,  Bentink  e  Mac  Farlane,  erano 
per  un  regno  autonomo,  trattative  ben  lumeggiate  da  una  lettera  di 
Mar  Farlane  a  Bentink,  dimostrano  che  la  Reggenza  voleva  a  Milano  un 
commissario  inglese,  còme  ce  n'era  uno  austriaco  :  e,  a  tal  proposito,  è 
pur  da  notare  che,  nella  seduta  del  30  aprile,  essa  preoccupavasi  di  smi- 
nuire l'importanza  degli  applausi  alle  truppe  austriache  condotte  dal 
Sommariva,  e  li  dichiarava  rivolti  e  dovuti  solo  al  Commissario  rappre- 
sentante delle  «  Alte  Potenze  alleate  ». 

Insomma  il  dare  la  colpa  di  quanto  in  seguito  avvenne  ad  un  par- 
tito austriaco,  non  è  né  esatto  né  imparziale  :  se  la  discordia,  l'incertezza 
delle  idee,  e  l'impreparazione  ad  una  azione  politica  ben  determinata  non 
avessero  fatto  il  giuoco  dell'Austria,  le  cose  sarebbero  andate  ben  diver- 
samente, giacché  tutto  lascia  credere  che  l'Austria  stessa,  la  quale  del 
resto  fin  dal  principio  del  '14  aveva  offerto  la  corona  d'Italia  al  principe 
Eugenio,  purché  avesse  abbandonato  Napoleone,  non  pensasse  alla  ri- 


lanciate  dall'Annaroli,  quindi  da  altri  molti  ripetute:  se  per  il  fatto  di 
aver  buttato  dalla  finestra,  mobili  e  carte,  azione  collettiva,  commessi 
dalla  folla,  si  può  non  pensare  al  Confalonien,  per  la  laceraiione  del 
ritratto  dell'Appiani,  commessa  da  una  sola  persona,  l'unica,  accusa  bea 
definita  a  carico  del  conte,  non  è  altrettanto  facile  la  difesa,  e  d'attn 
parte  non  crede  il  Lemmi  che  questo  atto  sia  tale  da  disonorare  un  uonw 
in  quei  momenti,  quando  la  nobiltà  francese  non  riteneva  d'insudician  il 
blasone  abbattendo  la  statua  del  soldato  d'Austerlilz  ;  violento  certo  mi 
non  volgare  come  sembra.  Riguardo  all'accusa  di  aver  partecipato  all'ec- 
cidio del  Prìna,  o  anche  provocatolo,  come  molti  asseriscono  adducendo 
a  prova  il  famoso  grido  ;  «  A  San  Fedele  »,  osserva  il  Lemmi  che  qael 
grido,  quand'anche  uscito  dalla  bocca  del  Gonfalonieri,  non  prova  nnlU: 
poiché  una  dimostrazione  si  voleva,  era  naturale  la  si  rivolgesse  ctntn 
una  persona  che  rappresentava  la  parte  più  odiosa  del  governo  ;  e  non 
vuol  dire  che  chi  segnalava  la  casa  del  ministro  pensasse  alla  fame- 
ficina  che  doveva  succedere.  La  responsabilità  del  Gonfalonieri,  ritengo 
anch'io,  è  tutta  nell'essere  stato  uno  dei  principali  fautori  della  dimo- 
strazione, giacché  chi  fa  scendere  il  popolo  nelle  piazze  è  responsabik 
in  faccia  alla  storia  degli  eccessi  che  ne  seguono  :  essa  non  è  per  nalU 
3.  dai  particolari  sui  quali  tanto  si  è  voluto  insistere. 


BIBLIOGRAFIA  439 

Non  ci  trattiene  tuttavia  quella  responsabilità,  purgata  da  quindici 
anni  di  Spielberg,  dall'inchinarci  reverenti  e  commossi  innanzi  al  glo- 
rioso, al  sublime  martire  del  nostro  risorgimento. 


Il  Prina  è  dipinto  coi  soliti  colori,  il  che  mi  fa  meraviglia,  mentre 
mi  aspettavo  dal  Lemmi  un  giudizio  più  completo,  più  equanime  e,  direi, 
più  moderno.  Poiché  tanti  altri  personaggi  egli  ha  considerato  anche  al- 
l'infuori  dell'azione  direttamente  esercitata  negli  avvenimenti  che  son 
tema  al  racconto,  ed  anzi  dal  complesso  di  molte  altre  azioni  egli  ha 
tratto  la  materia  e  la  ragione  dei  suoi  giudizi,  poteva  ben  considerare 
i  documenti  pubblicati  dal  prof.  Pellini,  che  pur  tanta  luce  proiettano 
sulla  figura  del  ministro  novarese.  Quei  documenti  riguardano  è  vero, 
un  periodo  della  vita  di  lui  anteriore  al  1814,  ma  gli  avrebbero  tuttavia 
dimostrato  quanta  coscienza,  quanta  abnegazione,  quanta  dignità  abbian 
sempre  ispirato  tutti  i  suoi  atti,  gli  avrebbero  dato  modo  di  rilevare  come 
egli  non  secondasse,  bensì  frenasse  a  tutta  possa  la  furia  innovatrice  dei 
francesi,  qual  lotta  sostenesse  coi  ministri  dell'impero,  per  rifiutare  tutto 
quanto  credeva  ripugnante  all'indole  ed  ai  costumi  degli  italiani,  come, 
sdegnoso  di  farsi  cortigiano  del  popolo,  sdegnasse  non  meno  di  esserlo 
dei  re  ;  gli  avrebbero  rivelato  le  cure  indefesse  che  egli,  l'aborrito  nova- 
rese, consacrava  a  promuovere  l'incremento  di  Milano,  capitale  del  re- 
gno, e  fino  a  qual  punto  favorisse  le  iniziative  dei  milanesi  che  se  ne 
credevano  spregiati.  Cosi  in  un  libro  il  quale,  in  fondo,  ha  per  principale 
argomento  la  rivoluzione  che  dal  Prina  ha  preso  il  nome,  la  figura  del 
protagonista  direbbesi  quella  che  più  resta  nell'ombra  (i). 

Riguardo  al  Prina,  non  manca  il  Lemmi  di  rilevare  un  fatto  che,  an- 
che considerate  le  condizioni  dei  tempi  e  degli  spiriti,  non  può  non  riem- 
pirci di  stupore  :  la  indifferenza  per  la  tragica  fine  del  ministro  dimostrata 
anche  da  uomini  di  gran  cuore  e  non  turbati  da  passioni  politiche,  come 
il  Pellico  e  il  Manzoni.  Nessuno,  dic'egli,  trovò  una  parola  di  sdegno  né 
di  compianto.  Mi  piace,  a  questo  proposito  porgli  sott'occhio  alcune  pa- 
role di  C.  Cantù,  nelle  Reminisceme  intorno  ad  A.  Manzoni  (Mi- 
lano, 1885,  II,  35).  Parlando  dell'archeologo  Gaetano  Cattaneo,  il  bene- 
merito fondatore  del  Gabinetto  numismatico  di  Milano,  egli  dice  :  «  II 
«Cattaneo  ebbe  il  merito  di  lodare  e  compassionare  il  ministro  Prina 
(c  nel  181 5,  quando  cioè  bolliva  ancor  l'ira  d'una  delusa  plebe  contro  questa 
«  sua  vittima  :  lodando  in  un  rapporto  ufficiale  diretto  al  Governo  succe- 

(i)  Giuseppe  Prina,  ministro  delle  finanze  del  Regno  italico ^  Docu- 
menti inediti  raccolti  per  cura  del  dott.  SILVIO  Pellini,  Novara,  Fratelli 
Miglio,  1901.  —  Voglio  avvertire,  per  amor  di  giustizia,  che,  essendo  la 
pubblicazione  del  Lemmi  uscita  appena  un  anno  dopo  quella  del  Pellini, 
potrebbe  a  quello  essere  mancato  il  tempo  di  valersene.  In  tal  caso  il 
mio  rimprovero  non  avrebbe  più  ragion  d'essere. 


dnto  w.  Il  CaBtb  aoa 
boa  ae  comprenderi 
fame  ricerca. 


L'ultimo  capito 
impottaste  episodio 
pic^sito,  ci  fu,  si  j 
l'atto  d'accoM,  potfe 
l'indipenden»  nazit 
tkotari  fornitigli  da 
ma  pur  Mgue,  se  i< 
■iene,  lo  storico  mi] 
citame&te  il  metito 
dagia  a  descrìvere  1 
poidtfe  a  ia  essa  il 
giounti  politici  che 
avanti.  Dne  elenchi 
Milano  ci  fanno  ap; 
classi  colte  ;  dal  vice 
a  Vincenio  Monti,  i 
apparteneva-  Il  che 
napoleonico  aveva 
mento  di  governo, 
cui  interessanti  infc 

garde  :  avversi  alla  . 

lusi  nelle  speranze,  dopo  il  declinare  dell'astro  di  Bonaparte,  ed  avena 
preso  colore  di  partito  nazionale.  Avvenuta  la  restaurazione  coBiaÒa- 
rono  le  denunzie  degli  zelanti  e  degli  intransigenti  contro  gli  impiegai 
dello  stato  che  erano,  o  si  supponevano,  affigliati  alle  società  segrette 
specialmente  alla  massoneria  oramai  proibita.  Il  Bellegarde  ne  riceven 
centinaia  ed  era  continuamente  assediato  da  chi  avrebbe  voluto  prendeR 
il  posto  degli  odiati  massoni. 

L'esercito  memore  delle  passate  glorie  e  sul  punto  di  vedersi  disdì^ 
o  confuso  con  quello  austrìaco  era  ancor  più  ostile  all'Austria.  Eni 
momenti  assai  difficili  pel  Bellegarde,  e  tuttavia  la  sua  condotta,  che  il 
Lemmi  esamina  con  molta  cura  e  giudica  colla  solita  iropanìalitt,  f* 
moderata  e  giusta.  Egli  riconosceva  LI  valore  dell'esercito  italiano  e  oo» 
voleva  lasciarsi  trascinare  ad  una  azione  brusca  dagli  impazienti,  qua- 
lunque primo  tra  questi  fosse  Timperatore  ;  riconosceva  la  onesà  e  li 
diligenza  degli  impiegati  ed  era  affatto  alieno  dal  prendere  contro  di 
essi  misure  odiose.  Egli  aveva  una  perfetta  conoscenia  dello  siùrito  pab- 
blico  in  Milano  e  pur  si  sentiva  sicuro  :  a  chi  gli  parlava  di  combriccole 
e  di  congiure,  fossero  o  no  bonapartiste,  non  prestava  gran  fede.  I> 
.  mezzo  a  quella  fioritura  di  misteriosi  congiurati,  frutto  in  gran  pane  dtl   , 


BIBUOGRAFIA  44I 

romanticismo,  la  polùia  stessa  rimaneva  quasi  inerte  e  si  dimostrava  ami 
spesso,  perfin  seccata  delle  denuncie  che  le  invadevano  gli  uffici; 
capo  ne  era  quel  Pagani  il  quale  nel  '21  aiutò  i  federati  ed  ora  non 
appar  punto  qual  lo  descrìve  il  Cusani  «  pieno  d'acume  e  d'astuzia  e 
M  zelante  di  rendersi  beneviso  ai  nuovi  padroni  »  ma  piuttosto  incline  a 
lasciar  correre.  Si  nota  nel  '14  un  fatto  che  si  rìpete,  ed  è  sicuramente 
più  strano,  nel  'ai  :  il  processo  famoso  dei  Carbonari  si  fece  per  la  insi- 
stenza dell'imperatore  e  per  la  volontà  ferrea  del  Salvotti;  ma  Funo  e 
l'altro  dovettero  lottare  colla  indifferenza,  e  qualche  volta  colla  ostilità, 
del  governo  di  Milano.  Così  hanno  dimostrato  gli  ultimi  studi  del  Lu- 
zio.  Anche  nel  18 14  il  Rasorì  e  i  suoi  compagni  avrebbero  potuto  dormire 
i  loro  sonni  tranquilli,  se,  con  una  ingenuità  fenomenale,  giustificabile 
del  resto  in  persone  affatto  impreparate  alle  cospirazioni,  non  si  fossero 
lasciati  gabbare  dal  famigerato  imbroglione  St.  Agnan,  scoprendosi  in 
modo  da  rendere  impossibile  al  governo  di  mantenere  gli  occhi  chiusi. 

Una  congiura  senza  capo,  perchè  nessuno  dei  vecchi  generali,  com- 
preso il  Pino  naturalmente,  voleva  assumersi  la  responsabilità  nell'in- 
certezza dell'esito,  senza  un  piano  ben  determinato,  senz'armi,  senza  da- 
nari, senz'appoggio  nelle  popolazioni,  non  era  tale  da  far  grande  paura. 
Ben  lo  aveva  compreso  il  Bellegarde  e  procurava  di  farlo  comprendere  a 
Vienna.  Il  processo  fu  fatto  da  una  commissione  speciale;  molti  docu- 
menti del  Lemmi  illustrano  Tistruttorìa,  fin  ora  poco  nota  ;  si  chiuse  con 
una  condanna  severa;  ma  in  fondo  la  pena  maggiore  pei  condannati  fu 
l'aspettativa,  durata  più  d'un  anno,  dì  quella  grazia,  che  del  resto,  fin 
dai  giorni  del  processo  i  giudici  medesimi  avevan  loro,  se  non  promessa, 
susurrata  :  in  pieno  processo,  narra  il  Cusani,  una  lettera  di  Bellegarde 
partecipava  essere  nelle  intenzioni  di  Sua  Maestà  il  perdono  dei  colpe- 
voli, ma  nel  tempo  stesso  richiedersi  una  rigorosa  condanna,  affinchè  me- 
glio brillasse  la  sovrana  clemenza  1  £  fu  grazia  quasi  completa  :  il  mas- 
simo castigo,  due  anni  di  fortezza,  toccò  al  Lattuada  e  al  Cavedoni  :  il 
buon  Rasori  s'ebbe  un  anno  di  semplice  arresto. 

Cosi  ebbe  fine  il  prologo  del  nostro  risorgimento.  Quanto  cammino 

c*era  ancora  da  fare  !  L'esercito  non  era  omai  più  in  Italia  :  gli  impiegati 

desideravano  assicurarsi  il  pane  per  la  vecchiaia  ;  il  popolo  era  stanco  di 

agitazioni.  La  grande  idea  doveva  farsi  strada  lentamente  e  prepararsi  il 

trionfo  tra  le  persecuzioni  e  i  martirii 

Ettore  Verga. 


F.  SAVIO.  —  La  légendi  des  ss.  Fidèle,  Alexandre,  Carfophore  et  autres 
martyre,  Bruxelles,  1902  (extr.  des  Analecta  Bollandiana,  to.  XXXI), 
8,  pp.  IO. 

Proseguendo  le  sue  utili  ricerche  sopra  la  storia  della  Chiesa,  il  pa- 
dre Savio  esamina  in  queste  poche  ma  succose  pagine  le  oscure  tradi- 
zioni concementi  un  gruppo  di  santi  che  avrebbero  sofferto  il  martirio  sul 


44^  BIBUOGRAFIA 

territorio  di  Como  e  di  Bergamo,  lasciando  in  codeste  città  i  corpi  loro 
alla  venerazione  dei  devoti.  I  santi,  martirizzati  a  Como,  sarebbero  sette: 
Fedele,  Carpoforo,  Exanto,  Licinio,  Cassio,  Secondo  e  Severo  :  a  Ber- 
gamo un  solo  avrebbe  conseguito  la  palma  :  Alessandro.  Di  tutti  questi 
santi,  cui  già  nel  secolo  V  troviamo  prestato  un  culto  che  ci  accerta  della 
loro  storica  realtà,  si  posseggono  degli  atti  assai  poco  sinceri  II  p.  Sa- 
vio si  è  proposto  d'indagarne  le  origini,  e  con  critica  flotta  e  sagace  viene 
alla  conclusione  che  le  tre  leggende  oggi  note  intomo  ai  SS.  Carpoforo 
ed  Exanto  da  un  lato,  S.  Fedele  e  S.  Alessandro  dall'altro,  non  siano  che 
estratti  di  un  unico  testo  più  antico  d'una  più  antica  leggenda  che  tutti 
concerneva.  Alcuni  dati  di  fatto  molto  notevoli  inducono  poi  il  eh.  Autore 
a  far  risalire  al  sec.  Vili  cotesto  scritto,  che  però  non  merita  veruna  at- 
tenzione, intessuto  com'è  di  narrazioni  inventate  di  sana  pianta,  messe 
insieme  con  elementi  desunti  dal  gran  fondo  dell'agiografia  dell'alto 
medio  evo.  Ma  se  tutto  quanto  il  pio  romanziere  ha  narrato  sulla  ve- 
nuta dei  santi  già  ricordati  a  Milano  e  sulle  loro  reciproche  relaziooi, 
deve  giudicarsi  falso;  rimane  assodato  che  i  Santi  stessi,  fossero  o  no 
dei  soldati,  come  la  tradizione  assicura,  esistettero  realmente,  e  se  non 
furono  oriundi  di  Como  e  di  Bergamo,  dove  soffrirono  il  martirio,  certo 
vi  ebbero  dimora,  quando  scoppiò  la  persecuzione  di  Massimiano,  di  cui 
furono  vittime. 

F.  N. 


£.  Motta.  —  La  più  antica  descrizione  poetica  a  stampa  del  Lago  é 
Como.  Como,  Ostinelli,  1902,  8,  pp.  26. 

Bettino  da  Trezzo,  rimatore  lombardo  della  fine  del  sec.  XV,  è  noto 
per  aver  scritto  e  mandato  alle  stampe,  correndo  l'anno  1488,  un  curioso 
suo  poema  in  quarta  rima  dedicato  ad  Ascanio  Sforza.  E'  desso  intitolato 
Letilogia,  ed  il  funebre  titolo  ben  s'addice  ad  un'opera  la  quale  si  pro- 
pone di  commemorare  le  stragi  che  la  peste  aveva  fatto  in  Milano,  in 
Pavia,  in  Lodi,  ed  in  Como  tre  soli  anni  prima.  Essendo  il  libro,  im- 
presso dallo  Zarotto  in  gotici  caratteri,  di  singolare  rarità,  i  bibliografi 
hanno  sul  conto  suo  dette  molte  inesattezze,  che  il  eh.  mg,  E.  Motta, 
valendosi  d'un  esemplare  della  Letilogia,  conservato  in  Trivulziana,  op- 
portunamente corregge.  Ma  l'opericciuola  di  Bettino  non  è  soltanto  un 
tipografico  cimelio,  bensì  un  libro  pregevole  se  non  per  splendore  di 
forma  e  vena  di  poesia,  per  i  curiosi  ragguagli  che  l'Autore  vi  ha  accu- 
mulato sopra  uomini,  monumenti,  istituzioni  delle  varie  città  di  cui  can- 
tar volle  le  sciagure.  Ben  fece  dunque  il  Motta  ad  estrarre  dal  poema  il 
capitolo  concernente  al  lago  di  Como,  che  può  dirsi  davvero  una  descri- 
zione minuziosa  dell'incantevole  bacino;  e  ad  arricchire  i  versi  un  po' 
sgangherati  di  Bettino  di  succinte  annotarioni,  dalle  quali  però  traspare 
tutta  la  ricca  informazione  ch'egli  possiede  intomo  alFargomento.  Pa- 
recchie cose  interessanti  sarebbero  da  additar  qui  ;  ma»  rimandando  i  I^^t- 


BIBLIOGRAFIA  443 

tori  allo  studio  del  M.^  staremo  paghi  a  notare  come  Bettino  rimetta 
in  vigore  la  vecchia  moda  d'introdurre  in  un  poema  italiano  delle  strofe 
in  lingua  straniera  (qui,  come  nel  Dittamondo,  troviamo  usato  il  tedesco). 

F.  N. 


ALESSANDRO  Luzio.  —  Leonardo  Arrivabene  alla  corte  di  Caterina  de* 
Medici  (1549-1559).  Notizie  e  documenti  (Nozze  Arrivabene-Papa- 
dopoli),  Bergamo,  Istituto  Italiano  d'Arti  Grafiche,  MCMII,  4,  pa- 
gine 76,  edizione  di  CC  esemplari. 

Nell'estate  del  1549  Lodovico  Gonzaga,  terzogenito  del  duca  Fede- 
rico e  di  Margherita  Paleocapa,  in  età  di  dieci  anni  appena,  era  man- 
dato alla  corte  di  Francia.  La  cagione  del  viaggio  ?  Cert'eredità  della  du- 
chessa d'Alen^on  ch'egli  doveva  raccogliere  e  che  gli  veniva  contestata  : 
ma  quest'era  un  pretesto  ;  in  realtà,  il  cardinale  Ercole,  reggente  allora 
il  ducato  per  i  nipoti  minorenni,  mirava  a  riavvicinarsi  alla  Francia, 
che  dalle  strette  relazioni  di  Ferrante  Gonzaga  colla  Spagna,  traeva  non 
infondato  motivo  di  vedere  ne'  reggitori  di  Mantova  degli  avversari  piut- 
tosto che  degli  amici.  Qual  destino  attendesse  il  giovine  principe  ol- 
tralpi, è  ben  noto  ;  egli  vi  acquistò  riputazione  insigne  di  Capitano,  salì 
ai  massimi  onori  ;  caro  ad  Enrico  IV,  come  era  stato  accetto  ai  suoi  due 
immediati  antecessori,  divenne  francese  fondando  il  ramo  de'  Gonzaga 
Nevers.  Col  fanciullo,  intelligente  e  baldo,  ma  bisognoso  di  appoggio, 
passò  in  Francia  anche  un  fedele  ministro  de'  Gonzaga,  Leonardo  Arri- 
vabene ;  ed  appunto  dal  carteggio  che  questi  tenne  colla  corte  mantovana 
durante  il  decennio  1 549-1 559;  che  tanto  tempo  egli  ebbe  a  conservare 
la  sua  carica  di  precettore  del  principe;  il  Luzio  ha  cavata  materia  a 
dettare  l'importante  libretto  che  annunziamo. 

Quanti  conoscono  gli  antecedenti  lavori  del  nostro  valentissimo 
amico  e  consocio  non  hanno  d'uopo  di  apprendere  da  noi  che  anche  que- 
sto nuovo  suo  scritto  si  abbellisce  de'  pregi  stessi  onde  gli  altri  sono  di- 
stinti; chiarezza  ed  eleganza  di  forma,  novità  e  ricchezza  di  contenuto.  Il 
Luzio  ritrae  con  sobrio  ma  sicuro  tocco  la  corte  Francese  in  quegli 
anni  ;  ci  presenta  tutti  i  personaggi  che  vi  campeggiavano,  a  cominciare 
dal  re  Enrico  II,  da  Caterina  de'  Medici,  sua  moglie,  dal  Delfino,  ai  ser- 
vigi del  quale  Lodovico  Gonzaga  fu  ascritto,  venendo  alla  signora  di 
Poitiers,'  la  celebre  Diana,  e  a  tutti  gli  altri  cortigiani.  Oltremodo  cu- 
riosi i  documenti  che  seguono,  a  mo'  di  appendice,  lo  scritto  del  Luzio, 
il  quale  è  a  giudicare  un  nuovo  e  preziosissimo  contributo  alla  miglior 
cognizione  di  quella  società  francese  del  sec.  XVI,  su  cui  V  Italia  ebbe 

a  esercitare  così  preponderante  influenza. 

X. 


storiche  [Autobi<^a(ìa  di  Antongioseffb  della  Torre  di  Rtnooko. 
—  La  Cena  di  Leonardo  da  Vinci  nel  refettorio  del  monasteio  dd!e 
Grazie  in  Milano.  (Lettera  di  fra  Vincenzo  Maria  Mond,  dalle  Gnòc 
5  ottobre  1765)]. 

AMATI  (A.).  L'educazione  e  l' istruzione  prìnla  patriottica  ia    ItaUa  àt 
1815  al  i^.  Milano,  igea. 

(Sn.viA).  Das  Beiceli.  Wandeniiigen  in  der  Landschaft  undibiff 
Geschichte.  Mit  Abb.  Frauenfeld,  Huber,  1901.  in-fi,  pp.  ir-ui. 
Ia  Valle  Brigagli^  Bscursiont  nel  pux  e  atinveno  k  sw  M)ri4 

(Anselmo).  Oocumenti  intorno  ■  al  più  bel  volume  uscito  diDe 
stampe  di  Girolamo  Soncino  >.  La  Bibliofilia  voi.  IV,  disp-I-D,  igea 
11  libro:  Viftrì  Màrci  Samumit,  cardiotlia  Decadkardtan    iliihliwiw 
(Fino  1507),  gl'intagli  del  quale  vennero  illuMnti  dal  PasnvaM. 

APOSTOLO  (L.).  Una  necropoli  dell'età  del  ferro  a  Bellinzago  Novarese.  —  j 
//  Corriera  di  Novara,  13  febbraio  igoa.  [Cfr.  BuUellino  <A' 
logia  ilaliana.  111,  Vili,  54]. 


BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO  445 

(Ed.)  Un  episodio  doloroso  della  guerra  del   1866.  La  condansa 
di  Persane.  —  Nuova  Antologia,  16  giugno  1902. 

Autobiografia  e  vita  de*  nmggìori  scrittori  italiani  fino  al  secolo  deci- 
mottavo,  narrate  da  contemporanei,  raccolte  ed  annotate  da  Aivgelo 
SoLERTL  In- 16.  Milano ,  Albrìghi,  Segati  &  C,  ic^3. 

9.  n  Poliziano:  vita  scrìtta  da  PieranUmio  Strassi.  13.  Torquato  Tasso: 
compendio  della  viu  scrìtta  da  Gio.  Battista  Manso,  18.  Lettera  autobiogra- 
6ca  di  L.  ^  Muratori, 

AZAN  (P.).  Annibal  dans  les  Alpes.  Paris,  Picard,  1902,  in-d,  pp.  234. 

BARATTA  (Mario).  Leonardo  da  Vinci  ed  i  problemi  della  terra.  Torino, 
fratelli  Bocca,  1903,  in-8,  pp.  xm-318.  [a  Biblioteca  Vinciana  »  n.  i]. 

Cfr.  la  recensione  Bdtrami  in  II  Marxpcco,  23  novembre  1902. 

BARBIER  DE  MONTAULT  (X.).  Le  tabemacle  de  la  Vièrge  au  trésor  de 
Monza.  —  La  couverture  du  graduel  grégorien  de  Monza.  —  Revue 
de  fari  chrétien.  III  e  IV  fase,  1902. 

*  BARELLI  (Giuseppe).  Documenti  dell'Archivio  Comimale  di  Treviglio. 

Diplomi,  lettere,  ricevute  di  imperatori,  cancellieri  e  vicari  imperiali 
(1081-1339).  Estratto  às^ Archivio  Storico  Italiano^  dispensa  3.'  del 
1902.  Firenze,  tip.  Galileiana,  1902,  in-8,  pp.  70. 

BARZELLOTTI  (Giacomo).  Gaetano  Negri.  —  Il  Marzocco,  n.  50,  1902. 

BA8ALARI  (Giov.).  Descrizione  delle  chiese  in  Cremona  e  di  quelle  state 
soppressejdal  1780  al  1880.  Cremona,  tip.  Sociale,  1902^  in-d,  pp.  56, 
con  6  tavole. 

*  BEAUCAIRE  (Horric  comte  de).  Le  demier  due  de  Mantoue,  Charles  IV 

de  Gonzague  (1652-1708).  —  Revue  cthistoire  diplomaiique,  n.  3,  1902. 

BELLONI  (prof.  Antonio).  Frammenti  di  critica  letteraria.  In-i6.  Milano, 
Albrighi,  Segati  &  C,  1902. 

6.  Di  due  pretesi  inspiratori  del  Tasio.  9.  Sul  soggetto  della  Ricciarda 
di  U,  Foscolo. 

BELLORINI  (E.).  Lodovico  di  Breme  (A  proposito  di  una  nuova  pubbli- 
cazione). —  Fanfulla  della  domenica^  n.  34,  1902. 

A  proposito  di  quella  del  dott.  Muoni  (v.  sotto  la  lettera  M). 

BELTRAMI  (arch.  Luca).  Per  la  difesa  dei  nostri  monumenti:  relazione 
alla  presidenza  del  collegio  degli  ingegneri  ed  architetti  in  Milano. 
Milano,  U.  Allegretti,  1902,  in-8,  pp.  32. 


446  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

»        BELTRAMi  (arch.  Luca).  Vecchi  altari  nel  Duomo  di  Milano  (con  3  inc.)b 
—  Rassegna  d'Arte  n.  3,  1903. 

—  La  sala  delle  a  Asse  n  nel  Castello  di  Milano  decorata  da  Leonardo 
da  Vinci    nel  1498   (con  7  ine).  —  Rassegna  cPArte,  maggio  e  giu- 

V^>"^"*-  —  1^  sala  dei  maestri  d'arme  nella  Casa  Panigarola  dipinta  da  Bra- 
o   ''     ^       ^V  ,  "  '         mante  (Con  14  mcisioni  e  una  tavola).  —  Rassegna  (tarte,  luglio  1902. 

\      J-^  ■'  ^**     —  La  Torre  Umberto  I.  —  Il  rinnovamento  edilizio  in  Milano  e  Gaetano 

Negri.  —  Corriere  della  Sera,  29  luglio  e  2  agosto  1902. 

—  Notizie  inedite  riguardanti  i  frammenti  del  sepolcro  di  Gastone  di 

Foix,  conservati  nella  villa  dei  conti  Sorniani  a  Castellazzo  (con  3 
incisioni).  —  Rassegna  d'Arte,  settembre  1902. 

—  Leonardo  e  il  porto  di  Cesenatico.  VI  settembre  MCII-MCMIL  Mi- 

lano, tip.  U.  Allegretti,  1902,  in-8,  pp.  20. 

—  La  nuova  chiesa  di  Verderio  Superiore.  Note.  Milano,  stab.  Menotti 

Bassani  &  C,  ottobre  1902,  in-8,  ili.,  pp.  31. 

—  Sant'Ambrogio  e  Giuseppe  Giusti.  Per  la  Istituzione  del  Museo  dd- 

rOpera  nella  Basilica  Ambrosiana  di  Milano.  Milano,  tip.  U.  Alle- 
gretti, 1902,  in-8  ili.,  pp.  29  (Nozze  Gussalli-Cavenaghi). 

—  Ancora  il  ciborio  e  l'altare   d'oro  nella  Basilica  di  S.  Ambn^io.  — 

Rassegna  d'arte,  ottobre  1902. 

—  L'altare  d'oro  e  il  ciborio  della  Basilica  di  S.  Ambrogio.  —  Il  tiburio 

del  Duomo  :  nuovi  documenti  e  nuove  ricerche,  —  il  restauro  della 
Ponticella  di  Lodovico  il  Moro.  —  La  Perseveranza,  15  e  16  no- 
vembre 1902  e  segg. 

—  «  Leonardo  da  Vinci  ed  i  problemi  della  terra  ».  —  //  Marzocco  di 

Firenze,  a.  VII,  n.  47,  23  novembre  1902. 

•  *  BERGAMASCHI  (sac.  Domenico).  Cremona  possiede  veramente  i  corpi  dei 
santi  Marcellino  e  Pietro  ?  Dissertazione  storico-critica.  (Estratto  dal 
periodico  La  Scuola  Cattolica,  quaderno  di  giugno).  Monza,  tip.  Ar- 
tigianelli, 1902,  in-8,  pp.  19. 

Bergamo.  —  V.  Autobiografia  Barelli,  Caprile,  Pacchetti,  Gandino,  Manaus, 
Holder,  Mazzi,  Oberziner,  Pellegrini,  Pieth,  Racheli,  Secco  Suardo, 
Tasso,  Torretta,  Zumbini, 

y-         BERTARELLI  (Achille)  &  CAROZZI  (L.).  Nella  vecchia  Milano.  Con  ilL  - 
La  Lettura,  a.  II,  1902,  n.  i. 

Con  riproduzione  di  diversi  curiosi  segni  di  botteghe  antiche  milinesi 
di  orefici  e  spadarì. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  447 

BERTINI-ATTIU  (Clelia).  Due  grandi  amori  di  Bellini.  —  Nuova  Antologia, 
i.^  giugno  1902. 

Amori  noti  del  Bellini  per  Giuditta  Turina,  milanese,   moglie  di  un 
ricco  mercante  comasco. 

A    BERTMUO  PISANI  (conte  Napoleone).  Il  castello  di  Rinasco  nel  circon- 
dario di  Abbiategrasso.  —  Arie  e  Storia,  n.  5,  6  e  7,  1902. 

BERTON  (A.  P.).  I  vinti  di  Novara.  Commedia  in  un  atto,  rappresentata 
la  prima  volta  a  S.  A.  R.  e  I.  la  Principessa  Laetitia  Napoleone. 
Torino,  Libreria  Salesiana,  1902,  in-i6  pp.  100,  con  ine. 

BETTONI  (Pio).  Un  celebre  letterato  Salodiano  [Mattia  Butturini,  1752- 1817]. 

—  Rassegna  Nazionale,  1/*  ottobre  1902. 

BIADEQO  (G.).  Cesare  Betteloni.  Discorso  commemorativo  con  documenti 
e  la  bibliografia  del  poeta.  Verona,  Franchini,  1902,  in-8  pp.  92. 

Cfr.  Lu^io  (A.),  U  primo  poeta  della  nevrastenia,  in  Corriere  dàlia  Sera, 
n.  254,  1902. 

BIASINI  (prof.  Enrico).  Uno  sguardo  retrospettivo  all'  Esposizione  d*arf  , 
sacra  antica,  tenutasi  in  Lodi  (2  settembre-ottobre  1901).  Lodi,  tì^> 
grafìa  Quirico  &  Camagni,  1902,  in-8,  pp.  43. 

*  Bollettino  Storico  della  Svizzera  italiana.  Anno  XXIV,  1902,  n.  7-9.  In-8  gr. 

Bellinzona,  tip.  Colombi. 

Viaggio  della  poetessa  Federica  Brun  nei  baliaggi  italiani  (1795). 

—  Convenzioni  circa  la  giurisprudenza  ecclesiastica  [dell'arcivescovo 
di  Milano]  nelle  Tre  Valli  nel  1616.  —  Note  e  documenti  inediti  di 
Stefano  Franscini.  —  Lettere  da  Roma  ai  nunzi  pontifici  in  Svizzera 
negli  anni  1609-1615.  —  Catalogo  dei  documenti  per  l'istoria  della 
prefettura  di  Mendrisio  dall'anno  1500  all'anno  1800.  —  Varietà:  Le 
condizioni  di  Bellinzona  quasi  alla  vigilia  della  battaglia  di  Giomico; 
Per  la  storia  religiosa  della  Caprìasca  e  di  Lodrino  (sec.  XIV-XV); 
Un  ticinese  nella  scuola  del  convento  di  Engelberg;  Un  amico  di 
Tomaso  Grossi  a  Lugano.  —  Bollettino  bibliografico. 

*  Bollettino  della  Società  Pavete  di  ttoria  patria.  Anno  II,  fase.  Ili  e  IV. 

In-8  gr.  Pavia,  Fusi,  1902. 

Colombo  (dott.  prof.  Alessandro).  Vigevano  e  la  Repubblica 
Ambrosiana  nella  lotta  contro  Francesco  Sforza  (agosto  1447-giugno 
1449).  —  Damiani  (Andrea).  La  giurisdizione  dei  Consoli  del  Col- 
legio dei  Mercanti  in  Pavia  [Parte  III.  Il  Tribunale].  —  Romano 
(Giacinto).  Una  bolla  dell'antipapa  Clemente  VII  relativa  alla  fon 
dazione  della  Certosa  di  Pavia.  —  Ferretto  (Arturo).  Giusdicenti 
)(^    Pavesi  in  Genova,  1 184-1404.   —  Taramelo  (T.).  Dell'antico   corso  )C 


449  Bouxmiio  smuoGRAnoo 


j»tiinJe  <M  fianie  Oknuu  —  CataiSka  SAHcauuAH  (A4.  Lotta  te  ■ 
Comune  di  Montesegale  e  i  marchesi  Malaspina  nrì  XVI  w&td».  - 
RecmsioHi  [di  A  /^o/^  H  probabile  itìnerarìo  ddla  foga  di  Ariberto 
arcivescovo  di  Milano  (Gì.  Romano);  di  G.  Romamo,  Nicsoolò Spindli 
da  Giovinazzo  (A.  SACCintm);  di  A.  Lhmo,  Antonio  Salvotti  ei 
processi  del  ventuno  (Ferbugcio  QunTAVAUJt)]. —  BolUtmB  èiàS^ 
grafico.  —  NoììmU  ed  appuM:  Bdle  piq^mli  negli  axchiri  loobnfi 
relativi  a  Pavia  ^6ussidio  di  guerra  per  l'invasione  di  Giacomo  di 
Armagnac  nd  13^  tfSL  snaaidio  per  la  dote  di  Valentina  VìmmÌ 
(G.  Romaho);  Notine  nnmisniatiche ;  Perfoooratescn  del  aamninlp 
prof.  Elia  Giardini  (R.  if  aiogch^  -^  AUi  étUm  SooMi.  —  Umm/m 
(Eveuna).  Indici  del  BaUetHno  Storico  Pouésc  diretto  dal  conile  AG» 
vagna  Sangiuliani  e  delle  Memorie  $  docmmemH  per  la  siorm  S  /Wi 
e  dei  suo  IVincipato  dirette  dal  sac  d.  Pietro  Moìraglil. 

1^  BONATTI  (cap.  R.).  Dalla  freccia  al  cannone.  Con  t8  ine  dafotogniftC 
anni  e  di  stampe  antiche.  ^  //  Secoh  XX,  n.  11^  Ingoio  1901. 

Tra  le  incisioni  ve  ne  tono  cioqiie  cne  riproducono  btkritrei  tCM^ 
caschi,  elmi  ed  anntture  medioevali  della  oònezione  Bd^gattl-ValKoAi  il 
Milano. 

<  BONI  (sac.  Giuscpfk).  Sulla  ricostruzione  della  chiesa  di  Broni  nd  15^7: 
documento  pubblicato  a  cura  del  sac.  G.  Boni.  Favim,  Fusi,  1901^ 
in-8y  pp.  16. 

^  *  BORGHI  (F.).  Venticinque  secoli  di  storia  milanese:  narrazione  compeo- 
diosa  per  le  scuole  e  le  famiglie.  Milano,  Ulrico  Hoepli,  1902,  ìd-i^ 
pp.  xn-30i. 

^  *  BOSSOLA  (Aiulcare).  La  Battaglia  di  Marengo  secondo  i  doaunenti 
pubblicati  dal  prof.  £.  HQfer.  —  Rivista  di  Storia  d'Alessandria,  a* 
Xly  1902,  luglio-settembre. 

BOZZI  (Carlo).  Artisti  contemporanei  :  Giuseppe  Grandi.  (Con  20  ili).  — 
Emporium,  agosto  1902. 

Bramante.  —  Gli  affreschi  di   Bramante   (Dalla   Rassegna  d'arti  e  dal 
Cosmos  catholicus).  —  La  Lettura,  settembre  1903. 

—  V.  Bel/rami,  Girotti,  Frase/tetti,  Malagiizzi,  Piccinelli,  Ricci, 

BRAMBILIA  (Ettore).  Ugo  Foscolo  in  casa  Giovio  e  i  suoi  amori  —  A^ 
tura  ed  Arte,  i.®  e  15  settembre  1902  (con  ili.). 

Brescia  e  Venezia  ossia  Luigi  Gambara  e  Maria  da  Brescia  neBe  ctf- 
ceri  del  ponte  dei  Sospiri  in  Venezia  :  dramma  storico  in  qmttto 
atti.  Milano,  Carlo  Barbini  editore,  190^1  in-i6,  pp.  i^  [<  Gdkrìi 
teatrale  nn.  241-242].  » 


1 


BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO  449 

Brescia.  —  Finestrone  pel  restauro  del  Palazzo  Broletto  in  Brescia. 
Studio  ddl'ing.  Alfredo  PremolL  —  Memorie  cfitin  architetto,  voL  XII, 
fase.  Ili  (Torino^  iQoa)  tavole  III  e  IV. 

—  V.  Betloni,  Biadego,  Bustico,  Christie ,  Colini,  Condio,  Fenaroli, 
F/oulkes,  Foà,  Hanauer,  Lattes,  Lauchert,  Livi,  Maìaguzai,  Manolesso, 
Michieli,  OmoHt,  Piliz,  Rosa,  Solitro,  Sommi'Picenardi,  Valentini, 
Zanelli,  Zingarelli,  Zuccoli, 

Breviarium  ambrosianum  S.  Carolo  archiepiscopo  editum.,  Andrea  C.  car- 
dinale Ferrari  archiepiscopo  denuo  impressum.  Medio/ani,  Cogliati, 
1902,  in-i6,  4  volumi,  pp.  XXX1/-836,  XXX1/-553,  LXX1/-594  e  XXX1/-756, 
con  4  tavole. 

*  BUSTICO  (Guido).  Ferrante  Aporti  (a  proposito  di  due  lettere  inedite). 
—  //  Torrazzo,  di  Cremona,  n.  14,  1902. 

Lettere  3  maggio  1644  e  i  maggio  1847  <tintce  da  Cremona  all'aw.  G&o- 
seppe  Sttieri  breadano,  odo  de' più  strenui  propugnatori  ddPasilo  aportiano. 

'     bèlli  (A.).  I  tratti  fìsonomici  de'  personaggi  ne'  «  Promessi  Sposi  ».  — 
Discussioni  crìtiche  a  proposito  di  seminio.  Medusa,  I,  id-19  e  28. 

*      BUZZETTI  (sac.  Pietro).  Lo  stemma  di  Chiavenna.  Como,  Ostinelli,  190S. 

C.  Le  cheval  de  Vinci.  —  Un  manuscrit  illustre  d'après  Vinci.  — Journal 
des  dihais,  12  luglio  e  1  settembre  1902. 

CA8N0LA  (aw.  Francesco).  Evoluzione  tecnica  e  legislativa  nell'uso  delle 
acque  pubbliche  da  studio  sull'Aida  e  sue  derivazioni.  VoL  II  :  La 
Martesana  Vailata,  Roggia  di  Cassano,  Rètorto.  Lodi,  tip.  Quirico 
&  Camagni,  1902,  in-8,  pp.  249  a  533. 

/  CAIRO  (Giovanni)  ft  GIARELLI  <F.)  Codogno  e  il  suo  territorio  nella  cro- 
naca e  nella  storia.  Voi.  Il,  fase.  54-57  (fine  del  voi.  II).  Codogno, 
tip.  edit.  A.  G.  Cairo,  1902^  in-8^  da  pp.  3B5  a  pp.  451. 

*  Calvi.  —  In  memoriam  Felicis  Calvi  XXIV  aprile  MCML  Milemo,  tip. 
edit  L.  F.  Cogliati,  1902,  in-4,  pp.  70  con  ritratto. 
Cfr.  il  cenno  in  qutsi' Archivio,  1902,  III,  p.  187. 

CALVI  <G.)  Di  Carlo  Cattaneo.  —  Fiia  Internaséonaie,  di  Milano,  5  lu- 
glio  1901. 

■  CAMBIASI  (P.).  Una  famosa  cantante  varesina,  Giusepixna  GrassinL  — 
Gazzetta  Musicate,  n.  8,  1902. 

CMUEO  (Bice).  Laura  Solerà  Mantegazza,  1813-1873.  [Appimti  biografici]. 
Milano,  Unione  femminile  edit.,  1902,  in-i6,  pp.  16  e  ritratto.  («  Bi- 
blioteca A€^' Unione  femminiU  n,  n.  i) 


450  BOLLETTINO   BIBUOGRAFICO 

*■  Campagne  del  Principe  Engenio  di  Savoia*  Volumi  XVIII-XX.  (Campagne 
1733  e  34).  In-8  gr,  con  atlante  e  tavole,  Torino,  tip.  Roux,  1902. 

CANDIANI  (Giuseppe).  Memorie.  Milano,  U.  Hoepli,  1902,  in^  pp.  xvi^ 
e  ritratto. 

CANTONI  (rag.  Mino).  Storia  del  collegio  dei  ragionieri  di  Milano.  Milano, 
tip.  G.  Abbiati,  1902,  in-8,  pp.  96. 

CAPETTI  (V.).  Reminiscenze  poetiche  suggestive.  —  Rivista  di  filosofia  e 
scienze  affini,  III,  5-6. 

Con  intento  e  metodo  di  psicologo,  studia  le  imitazioni  spedalinente 
dal  Mascheroni,  che  si  ravvisano  nella  Conchiglia  fossile  dello  Zanella.  (C£r. 
Giornale  Storico,  fase.  120,  p.  468). 

CAPRILE  (Luisa).  Due  poetesse  italiane  del  secolo  XVI  [Vittoria  Colonna 
e  Gaspara  Stampa].  Firenze,  S.  Landi,  1900,  in-ió,  pp.  52. 

*  CARNEVALI  (aw.  Luigi).  L'Accademia  Virgiliana  di  Mantova  nel  secolo 
XIX.  Nota  storica.  Mantova,  tip.  Mondovi,  1900,  in^  gr.,  pp.  ao. 

>{     CAROm  (Giuuo).  Notizie  di  Lombardia  —  LArle,  a,  V,  fase.  III-IV,  1902. 

La  decorazione  di  Leonardo  nella  e  Sala  delle  Asse  >  nel  Castello  Sfor- 
zesco di  Milano.  —  La  pondcella  di  Bramante  in  Castello.  Le  pitture  di  Z^ 
naie  e  fiutinone  a  S.  Pietro  in  Gessate.  —  La  casa  dei  Missaglia.  ~  1  ri- 
tratti degli  Sforza  ritenuti  del  Luioi.  —  Otto  affreschi  di  Bramante.  —  Li 
medaglia  ovale  o  plachetu  del  Filarete.  —  La  chiesa  di  S.  Raffaele  in  Mi- 
lano. . 

Carteggi  italiani  inediti  e  rari,  antichi  e  moderni,  raccolti  ed  annotati  da 
Fiuppo  Orlando.  Prima  serie,  voi.  IV.  Firenze,  ditta  edit  Ugo  Fo- 
scolo (tip.  L.  Franceschini)  1902. 

Lettere  di  G.  Acerbi,  P.  Giordani,  ecc. 

CASTAGNA  (N.).  Conversazioni  storiche  e  letterarie  con  C.  Cantù.  —  /&• 
vista  Abruzzese,  XVII,  3. 

Catalogo  dei  volumi  della  Biblioteca  popolare  circolante  istituita  dalla 
Società  generale  operaia  di  Lodi  nell'anno  1864.  Lodi,  tip.  Nuova  ^ 
G.  Suzzani,  1902,  in-8,  pp.  102. 

CERETTI  (sac.  Feuce).  Biografìe  mirandolesi.  to.  II  :  L^O.  Mirandola,  òt 
p>ografìa  Grilli  Candido,  1902,  in-8  gr.  [«  Memorie  storiche  della  dttà 
e  dell'antico  ducato  della  Mirandola»  voi.  XIV]. 

Vi  segnaliamo  a  pp.  37-65  e  241  la  biografia  del  gran  giudice  e  rotoi* 
stro  della  giustizia  Giuseppe  Luosi,  in  Milano  a*  tempi  Napoleonici. 


BOLLETTINO  BmLIOGRAFICO  45I 

CESSI  (Camillo).  Note  Vergiliane:  I.  Intorno  aU'Elcloga  prima.  IL  Intorno 
ai  u  Cantores  Euphorionis  ».  —  L'Ateneo  Veneto,  a.  XXV,  voi.  II, 
fase.  I,  luglio-agosto  1902. 

CNATELAIN  (Ébule).   La  tachygraphie  latine  des  manuscrits  de  Verone. 

—  Reuue  des  biblioihèques,  XII,  nn.  1-3  (1902). 

CHECCHI  (Eugenio).  Alessandro  Manzoni  e  i  luoghi  dei  «  Promessi  Sposi  ». 

—  Natura  ed  Arte,  15  giugno  1902. 

y      CHIARA  (Biagio).  Il  castello  di  Novara  (con   la  ili.).    —   Emporium,  set- 
tembre 1902. 

CHILESOTTI  (O.).  Note  circa  alcuni  liutisti  italiani  della  prima  metà  del 
cinquecento.  —  Rivista  musicale  italiana,  a.  IX,  1902,  fase.  II. 

Gio.  Maria  da  Crema,  Pietro  Paolo  Borroni  da  Milano. 

CHftlSTIE  (Richard  Copley).  Selected  Elssay  and  Papers.  Edited  with  a 
Memoir  by  W.  A.  Shaw.  London,  Longmans,  Green  and  Co.  1902. 

Pomponatius,  a  Sceptic  of  the  Renaissance.  —  The  Scaligers.  —  An 
Jncunabulum  of  Brescia. 

CmMINO  (sac.  Aifr.).  S.  Ambrogio  e  Dante:  conferenza  recitata  nel  Cir- 
colo Cattolico  per  gì'  interessi  di  Napoli  il  di  6  dicembre  commemo- 
rando il  XV  anniversario  del  s.  dottore,  a.'  ed.  Napoli,  stab.  tipo- 
grafico Michele  D'Auria,  1902,  in-8,  pp.  32. 

*  CIPOLLA  (F.).  Dante  censore  di  Virgilio.  —  Atti  R,  Istituto  Veneto. 
LXI,  3. 

Colini.  Il  sepolcreto  di  Remedello  e  il  periodo  eneolitico  in  Italia.  —  Bui- 
lettino  di  Paletnologia  Italiana,  1902,  fase.  I-III. 

Collezione  Qnecchi.  Italienische  MQnzstàtten.  III.  Abtheilung.  MOnzstfttten 
Napoli  bis  Zara.  Auction  12  Januar  1903,  L.  &  L.  Hamburger  in 
Frankfurt  am  Main.  In-8  gr.  Frankfurt  a.  M.,  Osterrieth,  1902. 

Zecche  di  Novara  (con  tav.),  Noveìlara  (idem),  Pavia  Qdein),  Pompo- 
nesco,  Retegno  (con  tav),  Rogoredo  (idem),  Sabbioneta  (idem),  Solferino ^  Ti- 
cino (Canton),  Vercelli,  Verona, 

^  *  COLOMBO  (Alessandro).  La  fondazione  della  villa  Sforzesca,  secondo 
Simone  del  Pozzo  ed  i  documenti  dell'Archivio  Vigevanasco.  (Con- 
tinuazione e  fine).  —  Bollettino  Storico  Subalpino,  a.  VII,  n.  2-4  (1902). 

—  La  nostra  piazza.  —  Corriere  di  Vigevano,  a.  1092. 

—  La  fondazione  del  convento  di  S.  Francesco  e  l'antica  sua  chiesa,  — 

Corriere  di  Vigevano,  a.  IV,  1901. 

Arch.  Stor,  Lomb,,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  29 


] 


452  BOLLETTINO  BIBUOGRAFIOO 

—  La  casa  di  Galeazzo  de'  Colli  capitano  della  Guardia  ducale  e  i  Graf> 

fiti  nel  cortile  dell'Ambasciata.  Vigevano,  Unione  tipografica  vìgeva- 
nese,  1901. 

COLMBO  (A.)  &  TARAMELU  (A).  La  Piazza  Ducale,  detta  del  Doomo,  in 
Vigevano,  e  i  suoi  restauri  (con  ili).  —  L'Arie,  a.  V,  1902,  n.  VU-VIIL 

COMANDINI  (Alfredo).  L'  Italia  nei  cento  anni  del  secolo  XIX  giorno  per 
giorno  illustrata.  Dispense  32  e  33,  1833-1934-1B35.  Milano,  ditta  An- 
tonio Vallardi,  1902^  in-i6  ili.,  da  pp.  433  a  p.  552. 

Interessanti  le  pagine  illustrate  consacrate  ai  fatti  principali  di  Lombtrdii 
di  qud  triennio. 

—  Di  cronaca  in  cronaca.  Con  io  incisioni,  riproduzioni  di  rare  stampe 

antiche.  —  //  Secolo  XX,  luglio  1902. 

A  pp.  189  e  191  per  le  incoronaziom  di  Napoleone  I  e  di  Ferdinando  I 
in  Milano  (1805  e  1838).  Cfìr.  anche  il  suo  articolo  Cento  anm  sono  (eoo  14 
ilL  tolte  da  rare  stampe  antiche  e  moderne),  nella  medesima  rivista,  giu- 
gno 1902. 

Como  e  Valtellina.  —  V.  Albers,  Almanacco,  Andrea,  Berlini,  Bollettino, 
Bozzi,  Brambilla,  Buzzetti,  Cambiasi,  Castagna,  Collezione,  Dette fsen, 
Egger,  Folengo,  Gerspach,  Giussani,  Gnocchi,  Hanauer,  Indice,  Ja- 
cobsen,  KcUalog,  L.,  Landmann,  Marinelli,  Monti,  Negri,  Periodico, 
Pieth,  Pugliese,  Reòardel,  Rivista,  Rùck,  Sckellhass,  Tarnuzzer, 

*  CONINO  (Fojppo,  sotto  archivista  di  Stato  in  Brescia).  Archivio  camerale 
veneto  (Tassa  Quintello).  Brescia,  tip.  F.  Apollonio^  1900»  in-8,  pp.  il 

Notizie  storiche  della  magistratura  alla  e  Tassa  del  Qmntello  >  con  la 
descrizione  del  materiale  contenuto  nel  suo  Archivio. 

C0NFALONIERL  —  I  Costituti  del  conte  Gonfalonieri.  Artìcolo  I.  —  Civiltà 
Cattolica,  quaderno  1255  (4  ottobre  1902). 

I.  Della  controversia  intomo  a  F.  Confalonierì  tra  gli  storìd  roodenii: 
Enrico  Misley  (1831)  e  Paride  Zajotti  (1834).  —  IL  La  relazione  originak  di 
.Antonio  Salvotti,  come  non  fu  pubblicata  nella  Galletta  mildMese,  a'  22  di 
gennaio  1824.  —  III.  Federazione  itali4ina,  —  IV.  Guardia  na^ionak  ^ 
V.  La  Giunta.  —  VL  Chiamata  delio  inimico, 

CORRIÈRI  (A.  G.).  Une  réconstitution  artistique;  la  salle  Perosi  à  Milan. 
—  Monde  Catholique  Illustre,  30  giugno  1902. 

Cremona.  —  Anselmi,  Basadon9UM,  Bergamaschi,  Bustico,  Giulini,  Hanauer, 
Holder,  Lancetti,  Lucchini,  Medaguzzi,  NoUi,  Romani, 

DEABATE  (G.).  Un  Meneghino  celebre  [G.  Moncalvo].  —  Gazzetta  del  Po- 
polo  della  Domenica,  n.  io,  1902. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  453 

DE  BARTHOLOMAEIS  (V.).  Un'  antica  versione  del  u  Libro  di  Sydrac  »  in 
volgare  di  terra  d'Otranto.  —  Archivio  Glottologico  Italiano,  XVI,  i . 

In  un  codice  Pinelli  dell'Ambrosiana. 

*  DEL  GIUDICE  (P.)-  Sulle  aggiunte  di  Rachis  e  di  Astolfo  all'ediUo  Lon- 

gobardo. —  Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXV,  fa- 
scicolo XIII  (1902). 

I.  I  quattro  capitoli  di  Rachis.  —  II.  I  nove  capitoli  di  Astolfo. 

DELLL'ACQUA  (dott  Carlo).  Le  due  nuove  lapidi  a  S.  Salvatore  (presso 
Pavia)  e  il  prof.  Giacinto  Romano.  Pavia,  tip.  Ponzio,  1902,  in-8,  pp.  25. 

—  Bianca  Visconti  di  Savoja  e  l'Augusta  nostra  regina  Madre  Margherita 
di  Savoja  (Profilo  storico  commemorativo).  —  //  Buon  Cuore,  6  di- 
cembre 1902. 

DE  ROSSI.  Telegrafo  da  campo  nella  guerra  del  1866.  —  Rivista  di  Ar- 
tiglieria e  Genio,  1902,  luglio-settembre. 

DETLEFSEN  (D.).  Die  eigenen  Leistungen  des  Plinius  [fOr  die  Geschichte 
der  KQnstler.  —  lahrbuch  des  K,  Deutschen  Archàolog,  Instituts 
XVL  3  1901. 

DOREZ  (L.).  Un  manuscrit  précieux  pour  l'histoire  des  oeuvres  de  Léo- 
nard de  Vinci.  —  Gazette  des  Beaux-Arts,  n.  543. 

*  EQ6ER  (I.).  Die  Barbareneinfàlle  in  die  Provinz  Rfltien  und  deren  Be- 

setzung  durch  Barbaren.  —  Archiv  fUr  oesterr.  Geschichte,  voi.  90, 
parte  I  &  II  (1901). 

Le  invasioni  dei  barbari  nella  provincia  della  Rezia  e  la  sua  occupa- 
zione per  parte  dei  barbari. 

EPIFANIA  (Anna).  Carlo  VIII  di  Valois  a  Napoli.  Napoli,  Giannini,  1902, 
in-8,  pp.  16. 

Elenco  degli  edifizi  monumentali  in  Italia  (Ministero  della  Pubblica  Istru- 
zione). Roma,  tip.  L.  Cecchini,  1902,  in-8,  pp.  575. 

^      *yLìifiEf(k  (Carlo)  L'incremento  del  delta  della  Toce  nell'epoca  storica. 
—  Bollettino  della  Società  geografica  italiana,  fase.  K-X,  1902. 

ETmAYER  (K.  von).  Lombardisch-ladinisches  aus  SQdtirol.  —  Romani- 
sche  Forschungen,  XIII,  2. 

FABRICZY  (C.  de).  Un  Codice  miniato  di  Cristoforo  de  Predis  nella  Bi- 
blioteca Estense  di  Modena.  —  Rassegna  et  arte  n.  5,  1902. 

FACCHETTI  (G.).  Il  dialetto  trevigliese.  Treviglio,  tip.  Messaggi,  1902, 
in-i6,  pp.  51. 


454  BOLLETTINO  BIBUO(HtAF100 

FAGIOLI  (Beatrice).  Angiolo  Della  Pergola,  capitano  di  ventoim  dd  » 
colo  XV.  Pergola,  stab.  tip.  Gasperìni,  1909^  in-i6^  pp.  39. 

*  FENAROLI  (Giuliano).  U  primo  secolo  dell'Ateneo  di  Brescia,  i8(B-i9aa 
Brescia,  stab.  tìpo-lito  F.  Apollonio,  1900^  in  foL  ilL,  pp.  4BMa.fB^ 
con  5  tavole. 


1 


Se  ne  riparlerà.  ] 

FERRETTO  (Arturo).  Relazioni  tra  Genova  e  Novara  nel  secolo  XOL  — 
In  Numero  unico  in  omaggio  a  mons.  Edoardo  Pulciano  nuofo  » 
civescovo  di  Genova  (tip.  Arcivescovile  e  della  Gioventù,  1900). 

Notizie  dettate  su  documenti,  per  la  maatima  parte 
dcnae  di  fatti.  Agg.  nd  medesimo  «  Numero  unico  »  rarticolo 
dd  sac  Giuseppe  Parodi  dove  si  parla  di  Pietro   Petrozino  de  Cauigìl^ 
pavese,  traslatato  dalla  diocesi  di   Kovara  a  Genova  nd  secolo  XV  (db 
Giornale  Storico-Letterario  della  Liguria,  a.  Ili,  1900^  ^tsc.  V-VII,  ppi  sfl^ 

A     * —  La  prigionia  di  Francesco  I,  re  di  Francia,  a  Genova,  a  PortofiM  < 
alla  Badia  deUa  Cervara.  ~  Gioma'e  SfoHcO'Lef̀raHo  dtilm  Ugi^  j 
a.  m,  1902,  fase.  VIII-X. 

FFOUUCES  (C.  Jocelyn).  Notes  on  two  pictures  ascribed  to  Vìl 
Foppa.  ^  Repertorium  far  Kiittstunssetisc/ta/t,    voL  XXV,  fucUL 
(i9oa). 

FIOCCA  (L.),  £.  Enlart  Orìgines  fran^aises  de  rarchitecture  gotfaiqM* 

Italie.  —  Rivista  Abruzsese,  XVI,  II,  1901. 

Contrariamente  alle  affermazioni  baldanzose  ddlo  scrittore  fmcesee 
dd  suoi  seguaci,  dimostra  la  trasformazione  dello  stile  lombardo  in  pàai 
(Cfr.  Rivista  Storica  Italiana^  luglio-settembre  1900,  p.  363). 

FOA  (PALMmA).  I  concorsi  Bettoni  p>er  novelle  morali.  —  Ateneo  Vtmlf, 
maggio-ottobre  1902  [Continuazione  fine\ 

VI.  Annibale  Parea  e  Luigi  Bramieri  [nel  1789  furono  premiate  nofdk 
del  Parea  e  una  di  lui  nel  1790.  Il  Parea  fu  medico,  nativo  di  Milano^  - 
VII.  Giambattista  Rodelìa  [al  concorso  del  1776  prese  forse  anche  pntel 
Rodella,  minore  osservante  bresciano,  vissuto  dal  1724  al  1794  che  si  tf* 
quistò  un  certo  nome  nella  letteratura  del  suo  tempo].  —  Vili.  Gùm/t» 
Cesco  Altanesi  e  Francesco  Albergati  Capacelli. 

FOLENGO  TEOFILO.  L*agiomachia,  edita  con  introduzione  e  note  dal  d'Av* 
TOMO  Rafanelli.  —  III.  (Passio  s.  Abundii  sociorumque  Proculi  pnt' 
sulis  et  Carpophori).  Salerno,  stab.  tip.  Migliaccio  succ.  G.  Fi> 
scione,  1902,  in«^,  pp.  18. 

FRASOHETTI  (Stanislao).  L'architetto  della   Cancellerìa    [Bramanie].  • 
Fanfulla  della  Domenica,  n.  io,  1902. 


OOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  455 

FRIZZONI  (Gustavo).  Due  opere  del  museo  artistico  minicipale  di  Milano 
nuovamente  illustrate  (con  ili.).  —  L'Arte  a.  V,  1902,  fase.  III-IV. 

San  Girolamo  penitente,  del  Borgognone;  La  Vergine  col  Bambino, 
delPAmadeo. 

1BAB0TT0  (Ferdinando).  Il  comune  astese  e  la  casa  di  Savoja.  Torino, 
1902,  in-B,  pp.  206. 

Canoino.  —  Scripta  anedocta  glossatorum  vel  glossatonim  aetate  com- 
posita, scilicet  Pillii,  Jacobi  Bertaldi,  Alberti  de  Gandino,  Johannis 
Viterbiensis,  Vaccellae  aliorumque  prodeunt,  curantibus  Job.  Raptista 
Palmerio,  Francisco  Schupfer,  Heinrico  Solmio,  Caietano  Salvemini, 
Carolo  Cicognario,  Heinrico  de  Besta,  Artburo  Palmerio.  />/.  Bo^ 
noniof,  succ.  Monti,  1902.  [«  Bibliotbeca  juridica  maedii  aevi,  edidit 
Aug.  Gaudentius  n  voi.  III]. 

*  QAUTHIEZ  (Pierre).  Nuovi  documenti  intorno   a   Giovanni   de*    Medici, 

detto  delle  Bande  Nere.  —  Archivi}  Storica  Italianj  disp.   Ili ,  1902. 

Lettere  di  diversi  (1499-1509)  a  Caterina  Sforza.  Una  (Roma,  20  gen- 
naio 1504)  d'Ottaviano  Maria  Sforza,  vescovo  di  Lodi,  a  Caterina,  sua  so- 
rella, in  Firenze. 

fiELU  (Jacopo).  Una  spada  di  Emanuele  Filiberto.  —  Emporium,  giu- 
gno 1902. 

Neir Armeria  di  Torino  e  che  il  G.  attribuisce  ad  Antonio  Piccinino, 
armajuolo  milanese. 

—  Tra  Benvenuto  Cellini  e  Filippo  Negrioli.  —  Rassegna  et  Arte,  a.  li,  n.  6. 

La  celebre  targa  del  Cinquecento,  che  è  una  delle  gemme  deirArmerit 
di  Torino,  anziché  del  Cellinì,  sarebbe  del  milanese  N'egroli. 

<  SELLI  Jacopo)  &  MORETTI  (Gaetano).  Gli  armaroli  milanesi.  I  Missaglia 
e  la  loro  casa.  Notizie.  Documenti.  Ricordi.  56  tavole  e  12  incisioni 
nel  testo.  Milano,  Ulrico  Hoepli,  1903,  in-4  gr.,  pp.  xvi-iiy. 

GEROLA  (Giuseppe).  Guglielmo  Castelbarco  [notizie  storiche].  Trento, 
Soc.  edit.  Trentina,  1902,  in-8,  pp.  35  e  4  tavole.  (Dal  VII  Annuario 
degli  studenti  trentini,  1900-1931). 

(lERSPACH  (E.).  Gii  affreschi  di  Campione.  (Con  ili.)  -  LArie,  a.  V,  1902, 
fase.  V-VI. 

*  ttllUfll  (Girolamo).  Annali  di  Alessandria,  annotati,  documentati  e  con- 

tinuati da  Amilcare  Bossola.  Editi  a  cura  della  Società  di   storia 
della  Provincia  di  Alessandria.  Voi.   I,  dispense   I-VI.  Alessandria, 
tip.  libraria  ditta  G,  M.  Piccone,  1902,  in-4,  PP-  9^- 
Arrivano  colla  VI  dispensa  all'anno  1194. 


45^  BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO 

^      QHISLANZONI  (dott.  Giuseppe).  Brevi  cenni  sulle  acque  private  in  Lom- 
bardia :  lettera  ad  un  amico.  Lecco,  tip.  Giuseppe  Corti,  1900^  in^ 

PP-  25.  J 

6IARELLI  (F.).  La  «  Principessa  bianca  »  [Cristina  di  Belgiojoso  Trivulzio^ 
—  Natura  ed  Arte,  i.®  ottobre  1902. 

GiOVANNONI  (G.).  Recenti  studi  sulle  orìgini  dell'architettura  lombardi 
(con  5  ili.).  —  Nuova  Antologia,  i.°  luglio  1902. 

GIRI  (Giacomo).  Il  codice  autografo  della  Sforziade  dì  Francesco  Fildfa 
Tolentino,  tip.  Filelfo,  1901.  [Estratto  dal  voi.  V  degli  Atti  e  Memork 
della  R,  Deputazione  di  storia  patria  per  le  Marc/te], 

Cfr.  Giornale  Storico,  fase.  118-119  (1902)  pp.  246-47. 

^       *  GIUUNI  (Alessandro).  Vicende  feudali  del  borgo  di  Parabiago.  —  Gior- 
nale Araldico- Genealogico,  a.  XXVIII,  nn-  8-9,  X,  1901,  [1902]. 

—  Il  gran  cancelliere  Salazar  e  la  sua  famiglia  ;  ricerche  storiche  e  ge- 
nealogiche. —  Giornale  Araldico-genealogico-dipioniaiico,  a.  XXVII^ 
nn.  8-9,  1891  [pubblicato  1902]. 

^  Genealogia  del  ramo  milanese  dei  Salazar  e  biografia   del  personaggio 

più  insigne  della  casata,  il  gran  cancelliere  don  Di^o,  il  quale  per  hmgo 
volgere  di  tempo  ebbe  parte  importantissima  nel  governo  dello  Stato  di  Mi- 
lano. In  separata  appendice  trattasi  della  Cappella  del  SS.  Rosario  di  Pi^ 

ghettone  e  degli  altri  depositi  gentilÌT^ii  dei  Sala:(ar  conti  di  Romanengo. 

6IUSSANI  (A.).  L*  iscrizione  nord-etrusca  di  Tesserete  e  le  altre  iscrizioni 
pre-romane  del  nostro  territorio.  Como,  tip.  Ostinelli,  1902,  ìd-8, 
pp.  49  (Nozze-Perlasca-Carraroli.  —  Estratto  dalla  Rivista  Arclu> 
logica,  di  Como,  fase.  XXXXVI). 

*  6NECCHI  (Ercole).  Falsificazioni  di  monete  italiane  (Con  due  tavole).  - 
Rivista  Italiana  di  Numismatica,  fase.  III,  1902. 

Falsificazioni  di  monete  delle  zecche  di  Maccagno,  Mantova. 

6NES0TT0  (ATriLio).  Leggendo  il  I  libro  del  De  officiis  di  Cicerone  nel 
codice  Mantovano  A.  IV,  35.  Padova,  Raudi,  1902,  in-8.  —  (Estratto 
Atti  Accademia  di  scienze  e  lettere  di  Padova). 

GOLDSCHMIDT  (A.).  Die  Kirchenthùr  des  heiligen  Ambrosius  in  Mailand: 
ein  Denkmal  frahchristlicher  Skulptur.  Strasshitrg,  Heitz  und  Mfin- 
del,  1902. 

La  porta  della  chiesa  di  S.  Ambrogio  in  Milano,  un  monumeoto  ddU 
scoltura  primordiale  cristiana. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  457 

*  GOODYEAR  (William  H.).  Architectural  Refinements  in  Italian  Churches. 

—  American  Journal  of  Archeology,  voi.  VI,  n.  a,  1902,  aprile-giugno. 

Osservazioni  architettoniche,  con  disegni,  intomo  alle  chiese  di  S.  Am- 
brogio e  di  S.  Eustorgio  a  Milano  e  di  S.  Michele  a  Pavia,  a  pp.  x8i  e  sgg» 
e  figg-  7»  8i  IO,  II. 

Corani.  —  Un  nuovo  nostro  romanzo  storico  e  le  sue  storiche  fonti.  — 
Civiltà  Cattolica,  quaderno  1255  (1902). 

n.  Tempo  e  persone,  che  pigliamo  a  descrivere  nel  Caporale  irasttV' 
rino.  —  III.  Di  Giuseppe  Goram,  non  storico,  ma  libellista  e  scrittore  ca- 
lunnioso e  prezzolato  ;  Alessandro  Verri,  storico  veridico. 

>(     GUSSALLI  (Emiuo).  Una  villa  lombarda  del  settecento  (con  io  ili.).  —  £m- 
porium,  aprile  1902. 

La  villa  di  Cemusco  degli  Alari,  ora  del  conte  Visconti  di  Saliceto,  del- 
Tarchitetto  romano  Giovanni  Ruggieri  (17 19). 

*  HAMPE  (Karl).  Aus  verlorenen  Registerbanden  der  Pàpste  Innozenz  III 

und  Innozenz  IV.    —    Mittlieilungen   dell'Istituto   storico   austriaco, 
voL  XXIII,  fase.  IV  (1902). 

A  p.  566  il  doc.  23.  :  ff  Confìrmatur  pax  Inter  potestatem  et  populum 
«  Mediolanenses  et  Venetos  ac  Tervisinos  cives  per  (Wolfgenim)  patriar- 
«  cham  Aquilegensem  et  (Henricum)  episcopum  Mantuanum  reformata  » 
(circa  maggio  1216). 


* 


HANAUER  (G.^.  Das  Berufspodestat  im  dreizehnten  lahrhundert  —  Mit- 
tlieilungen  dell'Istituto  Storico  Austriaco,  voi.  XXIII,   fase.  Ili,  1902. 

Interessante  lavoro  intomo  ai  podestà  di  carriera  nel  secolo  XIII,  con 
larghi  riferimenti  alla  Lombardia.  Notizie  sullMutroduzione  del  podestà,  carat- 
teristica del  suo  ufficio,  lista  dei  podestà  di  Mantova,  nomina,  giuramento, 
funzioni,  importanza  politica  della  carica,  famiglie  di  podestà  e  tipi  di  esse 
(Mandelli  di  Milano,  Dovara  di  Cremona,  Torrìani  di  Milano,  Sommi  di 
Cremona,  Amati  di  Cremona,  Borgo  di  Milano,  Gonfalonieri  di  Bresda, 
Cavalcabò  di  Cremona,  Inchoardi  di  Milano,  Marcellini  di  Milano,  Rivoli  di 
Bergamo,  Rusca  di  Como,  Strada  di  Pavia). 

HANN  (F.  G.).  Raimundus  Peyraudi,  KirchenfClrst.  —  Carinthia,  a.  XCI, 
fase.  I-VI  (1901). 

Prete  francese  che  fu  vescovo  di  Gurk  dal  1491.  Banditore  noto  d*  in- 
dulgenze papali  e  ch'ebbe  parte  importante  nelle  lotte  tra  papa  Alessandro  VI 
e  i  re  di  Francia  Carlo  Vili  e  Luigi  XII,  e  nelle  vicende  della  politica  ita- 
liana a  quei  tempi. 

HOLDER-EGGER  (O.).  Annales  Cremonenses,  Sicardi  ep.  Cremonensis  Cro- 
nica, Ann.  Bergomates,  Ann.  Bergomates  breves.  In-4.  Hannover, 
Hahn,  1902  (M.  H.  Germaniae,  Scriptores,  to.  XXXI,  p.   I). 


458  BOLLETTIMO  BIBUOGRAFICO 

NOPFNER  (JJ-  Der  Wandel  in  den  rdigiOsen  Auschaau^gen  Manwni^ 
beleuditet  aus  seinem  Leben  und  seinea  Schrìflea  (Programm  Gin- 
nasio Feldkirch,  1933). 

tWTHCNINMN  (L.).  Orientai  Trade  and  die  Rise  of  tiie  Lombnrd  com» 
munes.  ^  Quarterly  foumeU  Economics,  maggio  igoa. 

*  ladloe  gMMrala  deHa  Rivista  Arcktohgica  dilla  Provimcia  di  Com»,  fiip 

scicolo  I-XLIV.  Como,  Bettolini,  1900,  in-8  gr.,  pp.  74. 

Compilato  dal  dott.  Franeueo  FassaH^  bibliotecario  dvioo  in  Como^  fa- 
lcate autore  dell'  indice,  uscito  pure  in  quest'anno^  del  PeriodUo  itO^  Sh 

cietà  sierica  Cmimiì. 

INTRA  (Q.  Battista).  La  basilica  di  S.  Andrea  in  Mantova.  —  ilrHr  # 
Storia,  n.  15,  1902. 

*  IsTmrro  Lombardo  m  scnoizi  b  LirrERK.  Indice  generale  dei  lavori  dal 

1889  al  1900  con  le  aggiunte  e  correzioni  all'Indice  generale  i8o]- 
i888y  compilato  per  cura  deUa  Presidenza.  Milano,  U.  Hoepli,  190% 
in-8,  pp.  XIV-I35. 

lACOBSEN  (EiOL).  Pitture  della  scuola  lombarda  nella  diieaa  di  S,  Maria 
degli  Angioli  a  Lugano.  —  Arte,  a.  V,  1902,  fase  V-VI. 

•—  Italienisdie  GemAlde  im  Louvre.  Kritische  Notizen.  —  Rgptriorùm 
far  KuMstwissencka/f,  voi.  XXV,  fase  III,  1903. 

BoUraffio  (Madonna  della  famiglia  Casio)  —  Borgppumg  —  lùrm^  h 
FasoK  (di  Pavia)  —  Girolamo  dei  Libri  —  B.  Lnifn  (Gesb  bambino,  dar 

miente)  —  Marco  d*Oggiono  (Sacra  famiglia)  —  Mantegna. 

Katalog  der  Kantons  -  Bibliothek  von  GraubQnden.  Raetica.  Supple- 
raent  I.  C/iur,  H.  Fiebig,  1901,  in-8  pp.  348. 

Importante  per  la  copiosa  letteratura  storica  valtellinese  elencatavi. 

KRISTELLER  (Paul).  Mantegna.  Berlin,  Cosmos,  1902.  [Edizione  tedesca]. 

KRAUS  (F.  S.).  Cavour.  Il  rinascimento  d'Italia  nel  secolo  XIX.  TorMh 
libr.  E.  Loescher,  1902,  in-8  fig.  pp.  loi  e  una  tavola. 

KRETSCHMER  (Paul).  Die  Inschriften  von  Omavasso  und  die  ligurische 
Sprache.  —  Zeiischsrift  fur  vergleichende  Sprachforscìuing,  volume 
XXXVIil,  fase.  I  (1902). 

Le  iscrizioni  di  Oraavasso  e  la  lingua  ligure. 

*  L.  (B.).  La  zecca  di  Valenza.  —   Rivista  di  Storia  ed  Arcftecdogia  di 

Alessandria,  a.  XI,  aprile-giugno  1902. 

Con  qualche  nota  illustrativa  si  riproduce  Tarticolo  del  dott.  Ambrosoii 
edito  nella  Rivista  Numismatica  fase  IV,  1901.  [cfr.  Arcb.  Sior,  Lomh,  i^aa, 
p.  190]. 


j 


BOLLETTINO  B3LIOGRAFICO  459 

*  LANCETTl.  —  Una  lettera  inedita  di  Cesare  Sai  uzzo.  —  Rivista  di  Storia 

d'Alessandria,  a.  XI,  190»,  luglio-settembre. 

Lettera  autografa  scritta  al  cremonese  Vincenzo  Laiicetti  (24  marzo  1836) 
e  conservata  nella  Biblioteca  Braidense. 

LANDMANN  (Juuus  .  GrQndung  und  Fall  des  Bankhauses  Malacrìda  &  Co. 
in  Bem.  —  Beilage  déìrAlIgemein€  Schweizer  Zeitung,  nn,  45-47,  1901. 

Fondazione  e  catastrofe  bancaria  della  casa  Malacrida  &   C*  in  Berna 
(Svizzera).  I  Malacrida  provenivano  dal  lago  di  Como. 

*  LATTES  (Alessandro),  Il  Liber  Potheris  del  Comune  di  Brescia.  Studio 

storico-giuridico  (Estratto  àd\V Archivio  Storico  Italiano,  dispensa  II, 
del  1903).  Firenze,  tip.  Galileiana,  1902,  in.-8,  pp.  83. 

LAUCHERT  (Friedrich).  Oliverius  Legipontius  und  der  Kardinal  Quirini. 

—  Siudien  und  Miitlieilungen  aus  dem  Benediciiner  Orden,  II-III  se- 
mestre (1902). 

LEOMAROI  (Valentino).  Mantegna.  — Fan/ulta  della  Domenica,  n.  a8  (1902). 
A  proposito  del  libro  del  Kristeller  sul  Mantegna. 

Leonardo  da  Vmcr.  —  V.  Almanacco,  Baratta,  Beltrami,  C,  Carotti,  Do' 
ren,  Manfredini,  Mazzatinii,  Muntz,  Péladon,  Sant'Ambrogio. 

*  LEONE  (A.).  Renato  di  Savoja  (continuazione  e  fine),  —  Bollettino  Storico 

Subalpino,  a.  VII,  nn.  2-4,  1902. 

Morte  di  Renato  alla  battaglia  di  Pavia  (1524). 

LIVI  (Giovanni).  Debiti  e  crediti  di  un  librajo  bresciano  del  secolo  XVI 

—  La  Bibliofilia,  a.  IV,  n.  3-4,  giugno-luglio  1902. 

Polizza  d'estimo  presentata  nel  1566  dal  librajo  Marchetti. 

LOCATELLI  (sac.  Carlo).  Il  4  novembre  1602:  memorie  e  documenti  [ri- 
guardanti S.  Carlo  Borromeo  e  i  sinodi  diocesani].  Milano,  ditta 
Boniardi  Pogliani,  1902,  in-4,  pp.  87. 

LoDL  —  V.  Gagnola,  Cairo,  Catalogo,  Malaguzzi. 

LO  PARCO  (Francesco).  Una  lettera  inedita  di  A.  Manzoni.  Trapani,  tipo- 
grafìa Gervasi-Modica,  1902. 

LoDL  —  Heuillet,  tambour  au  pont  de  Lodi,  en  1796.  —  Inter médiaire 
des  cliercheurs  et  curie ux,  20  agosto  1902. 

LOZZI  (C.).  La  Musica  e  specialmente  il  Melodramma  alla  Corte  Medicea. 

—  Rivista  Musicale  Italiana,  fase.  II,  1902. 

Relazioni  musicali  dei  Medici  coi  Gonzaga  in  Mantova. 


460  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

LUCCHINI  (cav.  Lutei).  Alcune  sculture  moDumentalì  in  Cremona  nel  p^ 

riodo  del  Risorgimento  dell'Arte.  —  Arie  e  Storia,  nn.  6-7-9-10,  1900. 

Il  sepolcro  Trecchi  —  Porta  monumentale  nel  Mosco  Civico  dj  Cr- 

mona  —  Trabeazione  mannorea  di  un  arco  trìonble  nel  Museo  Gtìco  di 

Cremona  dell'epoca  del  Risorgimento. 

—  Commentario  dei  ■  Promessi  Sposi  »,  ovvero  la  rivelazione  di  tutti 

i  personaggi  anonimi.  Boneoio,  tip.  Commerciale,  1903,  in-^  pp.  131. 

—  Il  castello  di  S.  Croce  in  Cremona.  —  Arte  *  Storia,  nn.  15-16, 1900. 

LUZIO  (A.).  I  documenti  austriaci  sulle  •  Mìe  Prigioni  •>.  —  Corriere  delia 
Sera,  12-13  gennaio  1909. 

In  complemento  di  quanto  scrisse  il  Taog]  nella  Deutsche  RundscluM. 

—  L'epistolario  di  Giuseppe  Mazzini  [con  notizie  sulla  spia  Attilio  Par- 

tesotti].  —  II  rinascimento   italiano  in  Inghilterra  [con   notizie  sol 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  46I 

HALA6UZZI  (Francesco).  Note  sulla  Scultura  Lombarda*  I.  Alcune  scul- 
ture del  Museo  Archeologico  di  Milano  da  assegnarsi  all'Amadeo 
(con  6  ine).  II.  Ancora  della  porta  degli  Sforza  e  un  bassorilievo 
inedito  di  Pietro  da  Rho  (con  4  ine.)  —  Rassegna  d'Arie^  n.  2, 1902. 

Agg.  del  med.  A.  :  Ambrogio  Preda  e  un  ritratto  di  Bianca  Maria  Sfor:^a 
in  Rassegna,  n.  VI,  1902. 

—  Note  storiche  sull'arte  cremonese.  —  Rassegna  d'Arte,  settembre  1902. 

Notizie  per  gli  architetti  Bartolomeo  Gadio,  Bernardo  Bocoli  detto  de 
Lera  ed  altri  Cremonesi,  a  complemento  deUo  studio  U architettura  a  Cre- 
mona pubblicato  néìì^Emporium  (ottobre  1901). 

—  Archi  trionfali  del  Rinascimento.  (Con  ili.).  La  Lettura,  luglio  1902. 

Portali  del  Banco  Mediceo  a  Milano,  del  palazzo  Sforza  a  Cremona, 
della  casa  Varesi  a  Lodi,  della  casa  Fanti  a  Brescia. 

■ANFREDINI  (A.).  La  u  Sala  delle  Asse  n  nel  castello  di  Milano.  —  Mo- 
nitore  Tecnico,  n.  16,  1902. 

MANN  (H.  K.).  Lives  of  the  Popes  in  the  Early  Middle  Ages.  I,  i  :  Popes 
under  the  Lombard  Rule,  A.  D.  590-654.  London^  K.  Paul,  1902,  in-8, 
pp.  450. 

*  MANNO  (Antonio).  Bibliografìa  storica  degli  Stati  della  monarchia  di  Sa- 

voja.  Voi.  VII  [Indice  generale  alfabetico  dei  primi  sei  volumi].  To- 
rino, fratelli  Bocca,  MCMII,  in-8  gr.,  pp.  vi-551.  [»  Biblioteca  storica 
italiana  pubblicata  per  cura  della  R.  Deputazione  di  storia  patria  »  III]. 

*  MANOLESSO  FERRO  (G.).  La  fuga  del  cardinale  Molino  vescovo  di  Brescia 

(176Q.  —  Ateneo  Veneto,  maggio-giugno  1902. 

MANTEGNA... —  Andrea  Mantegna.  —  Quarierly  Review,  n.  389,  gen- 
naio 1902. 

A  proposito  delle  opere  di  Yrìarte,  Kristeiler,  Cruttwell,  Berenson. 

—  V.  Leonardi,  Kristeiler,  MUntz. 

Mantova.  —  V.  Beaucaire,  Carnevali,  Christie,  Collezione,  Folengo,  Gnecchi, 
Gnesotto,  Hampe,  Hanauer,  Intra,  Jacohsen,  Leonardi,  Lozzi,  Lazio, 
Mantegna,  Matteucci,  Opdycke,  Sirén,  Storia,  Virgilio. 

MANZONI  (A.).  Il  fiore  dei  u  Promessi  Sposi  »  e  della  «  Storia  della  co- 
lonna infame  »,  con  note  illustrative  di  Luigi  Venturi.  Sesta  edizione 
ritoccata  e  accresciuta  ad  uso  delle  scuole.  Firenze,  Bemporad,  1902, 
in-i6,  pp.  vn-296. 

Manzoni.  —  V.  Butti,  Checchi,  Hopfner,  Lo  Parco,  Lucchini,  Martinaz^ 
zoli,  Porena,  Pizzuti,  Vandelli, 


462  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

MARESCOTTI  (Ercole  Arturo).  La  scultura  al  Monumentale  :  note  di  cri- 
tica. Seconda  edizione  accresciuta  di  nuovi  studj.  Milano,  ditta  Ar- 
turo Fumel,  tip.  edit.,  1902,  in-i6,  pp.  167. 

MARINELLI  (L.).  Ceraobbio.  (Con  ili.).  —  Natura  ed  Arte,  15  agosto  1901 

*  MARTINAZZOLI  (Antonio).  L'ambiente  e  la  coscienza  morale  nei  «  Pro- 

messi  Sposi  »  di  Alessandro  Manzoni.   —  Rendironii  Istituto  Lon- 
bardo,  serie  II,  voi.  XXXV,  fase.  XVI. 

MASSARA  (Ant.).  Il  venerdì  santo  a  Romagnano  Sesia.  ^  Archivio  ptr 
io  studio  delle  tradizioni  popolari,  16  agosto  1902. 

MATROD  (H.).  Un  sanctuaire  ignoré.  Le  sacro  monte  d'Orta.  —  Etudes 
Franciscaines,  settembre  1900. 

MATTEUCCI  (Vittorio).  Le  chiese  artistiche  nel  Mantovano.  Mantova,  eredi 
Segna,  1902,  in.4  fig.,  pp.  567. 

I.  L'arte  cristiana  a  Mantova.  —  II.  Le  chiese  artistiche.  —  IH.  L'arte 
nelle  chiese.  —  IV.  Quadri  riassuntivi. 

MAZZATINTI  (G.).  Per  Leonardo  da  Vinci.  —  Rassegni  bibliografica  del- 
torte  ilaliana,  a.  V,  n.  7-9  (Ascoli  Piceno,  1902). 

*  MAZZI  (A.).  Lo  Statuto  di  Bergamo  del  1263.  —  Bergamo,  tipo-lit  Ma- 

riani, 1902^  in-8,  pp.  38. 

V  erudito  Bergamasco,  colla  consueta  padronanza  dei  documenti  editi 
ed  inediti  mira  ad  aggiungere  nuovi  argomenti  a  quelli  raccolti  in  altri 
suoi  scritti  a  sostegno  della  sua  opinione  (combattuta  dal  Secco  Suardo  nel- 
l'opera di  cui  a  p.  419  di  quat^  Archiviò,  XX  (X),  che  lo  Statutum  anHquum  dd 
quale  ci  rimangono  solo  alcuni  capìtoli,  trascritti  letteralmente  negli  Statuti 
del  1331,  sia  stato  compilato  nel  1263. 

MELE6ARI  Pora).  Une  princesse  italienne  à  Paris.  Christina  Trivulzio 
Belgiojoso.  —  Le  Temps,  i."  agosto  1902. 

MELODIA  (Giovanni).  Aftetti  ed  emozioni  in  Torquato  Tasso.  —  S^^  ^ 
letteratura  italiana,  1901.  (Napoli  1901). 

Recensione  di  Gildo  Valeggia  in  GiomaU  storico  della  Utteraturi  i^ 
liana,  fase.  118119,  p.  200. 

MERCATI.  Letteratura  biblica  e  cristiana  antica.  Liturgia  ambrosiana  e 
romana.  —  Studi  e  Testi  (Biblioteca  Vaticana),  nn.  1-8  (Roma,  19°^ 
1902). 

MEYER  (H.).  Matteo  Randello  nach  seinen  Widmungen.  —  Archiv  /^ 
das  Studium  der  neutren  Spraclttn  und  Litteraluren,  CVIII,  3-4- 


*v 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  463 

■ICHIELI  (A.).  Un  avventuriere.  —  Rivista  d*  Italia,  V,  7. 

É  il  bolognese  Giovanni  Greppi  (nato  il  1751  e  morto  il  i8a6)  noto 
commediografo  del  settecento. 

—  Un  curioso  disegno  di  Niccolò  Bettoni  (1815).   —   Fapt/ulia  delia  Do- 

fmnica,  n.  7,  1902. 

*  Milano.  —  Die  anonyme  Chronik  der  Mailànderkriege,  1507-1516.  — 

Baskr  Oironiken  herausgegeben  von  der  Histor.  u.  Antiquarischen 
Gesellschaft  in  Basel.  Voi.  VI.  (Leipzig,  Hirzel,  1903). 

Interessante  questa  cronaca  di  anonimo  delle  guerre  milanesi  1509-1516, 
^^iamente  edita  e  commentata  dal  dott.  Augusto  Bernouilli,  Anche  le 
altre  cronache,  edite  in  questo  volume,  interessano  le  campagne  degli  Sviz- 
ieri  in  Lombardia. 

—  Una  lettera  di  Rossini  (con  fac-simile).  —  Musica  e  Musicisti,  a.  I, 
n.  a.  1902. 

Da  Parigi,  la  gennaio  1863,  a  Tito  Ricordi  in  Milano. 

—  V.  Beltrami,  BertarelH,  Ber  tini.  Bollettino,  Bonatti,  Borghi,  Bramante, 

Calvi,  Cammeo,  Cantoni,  Carotti,  Chilesotti,  Cimmino,  Collezione,  Cornane 
dini,  Confalonieri,  Corrieri,  Deabate^  De  Bartholomaeis,  FfoulkeSy  Foà, 
Frizzoni,  Celli,  Giulini,  Goldschmidt,  Goodyear,  Corani,  Gussalli, 
Hampe,  Hanauer,  Istituto,  Jacobsen,  Locatelli,  Magistretti,  Malaguzzi, 
Manf  redini,  Manzoni,  Marescotti,  Meyer,  Miscellanea,  Moretti,  Nogara, 
Negri,  Orano,  Piacenza,  Ratti,  Romussi,  Rotta,  Salvioni,  Sant'AmbrO' 
giù,  Sol,  Zanichelli, 

*  Mltotllftiiea  di  Storia  Kaliant.  Terza  serie,  voi.  VII  (XXXVII  della  rac 

colta).  Torino,  Bocca,  1903,  in-8,  pp.  lvi-458  [«  R.  Deputazione  sopra 
gli  studj  di  storia  patria  per  le  antiche  Provincie  e  la  Lombardia  n], 

Seregni  (Giovanni),  Del  luogo  di  Arosio  e  dei  suoi  stamti  nei  secoli 
XH-XIII,  con  appendice  di  documenti  inediti.  —  Laties  (Alessandro),  Alcuni 
capitoli  inediti  degli  statuii  d'Alessandria.  —  Pasti  (Romualdo),  Storia  do- 
cumentata dell'abbazia  di  S.  Andrea  di  Vercelli  nel  periodo  medioevale 
1219-1466.  —  Cipolla  (Carlo),  Innocenzo  VI  e  casa  Savcja:  documenti  del- 
l'Archivio Vaticano  trascritti  da  Francesco  Gansoli.  —  Rossi  (Girolamo).  La 
▼alle  di  Diano  (Liguria)  e  i  suoi  statuti  antichi.  —  Staglieno  (Marcello). 
Due  documenti  di  Teodosio  vescovo  di  Torino. 

•W5CI  (A.).  Frate  Gomita,  Nino  Visconti  e  la  Gallura.  —  La  Sardegna 
letteraria,  I,  3. 

■unti  (dott.  sac.  Santo).  Storia  ed  arte  nella  provincia  e  antica  diocesi 
di  Como.  Dispense  XVIH-XXV.  Fol.  ili.  Con:o,  OstineUi,  1902,  da 
P-  433  a  p.  568  [continuazione  e  fine]. 


4^4  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

"^  Mo*zA.  —  La  vera  *  Signora  dì  Monza?  "  (Da  una  conferenza  di  Frani 
Eyssenhardt,  nella  Sa'nHlung  wiSMnschafllichtr  Vorlrage  di  Am- 
burgo). —  La  Lettura,  marzo  1903. 

Monza.  —  V.  Barbirr,   Talamom. 

MORANDO  (G,).  In  morte  del  senatore  Gaetano  Negri.  —  Rassegna  ffa- 
eiotiale,  16  agosto  1902. 

"^  '  IKfflETTI  (Gaetano).  L'architettura  civile  del  secolo  XV  in  Milano  e  la 
casa  dei  Missaglia  (con  tav.  e  ili.).  —  Edilieia  Moderna,  a.  XI,  igea, 
fase.  II-lII.. 


MONTZ  (E.).  Léonard  de  Vinci  et  les  savants  du  moyen  flge.  —  Rtvnt 
Scientifique,  a6  ottobre  1901. 

—  Andrea  Mantegna.  —  Le  Monde  Modertte,  luglio  1901. 

*  MUONI  (Guido).  Ludovico   di  Breme   e   le   prime   polemiche  intomo  a 

madama  di  StaCl  ed  al  romanticismo  in  Italia,  1816.  Milano,  Società 
edit.  libr.,  1902,  in-8,  pp.  loi. 

Cfr.  la  recensione  del   prof  Scherillo  in  questo   Archivio  (1900,  III, 
179,  e  s^.). 

*  NEGRI  (Francesco).  Il  Santuario  di  Crea  in  Monferrato  {con  ilL  fuori 

testo).  —  Rivista  di  storia  ed  arte  di  Alessandria,  a.  XI,  fase.  VI,  1903. 
Nella  chiesa,  ritratti  della  corte  marchionale  del  Monferrato,  se  non  dd 
De  Predis,  di  uno  della  sua  scuola  (p.  18).  Il  Martirio  di  S.  Marghirtta,  te 
non  del  cremonese  Cristoforo  Moretti  (p.  ai)  forse  di  Pietro  o  Martino 
Spaniotia,  pittori  di  Varese.  Nel  Santuario,  cappella  della  Concezione  di  M.  V, 
starna  della  contessa  Margherita  Beccaria,  dell'antico  casato  pavese,  ini^ie 
del  conte  Carlo  Mercurmo  di  Gattinaia,  fattura  del  (ìaramiugo  Giovanni  Ta- 
bachettl,  che  lavorò  assai  al  santuario  di  Varallo  Ip.  33). 

'  NE6RI  (Gaetano).  Appunti  bibliografici:  R.  Barbiera.  La  principessa 
Belgiojoso.  —  La  Perseveranaa,  la  giugno  1902. 

—  V.  Barzellatti,  Beltrami,  Morando,  Novali,  Oliva,  ScheriUo, 

NERUCCI  (Gherardo).  La  Porzia  Rossi,  madre  di  Torquato  Tasso  [a  pro- 
posito della  epigrafe  commemorativa  posta  in  Pistoja].  Prato,  tipo- 
grafia G.  Salvi,  1902,  in-8,  pp.  7. 

N06ARA  (B.).  Mons.  Antonio  Cerianì.  —  Monde  Catholiqut  Illustri,  15- 
30  agosto  igoa. 


t 


BOLLETTINO  BIBUOGRAFICO  465 

NOLHAC  (P.  de).  Un  nouveau  manuscrit  de  la  Bibliothèque  de  Pétrarque. 
—  Mélanges  Paul  Fabre  (Paris,  Picard,  1902). 

Ms.  parigino,  già  visconteo,  che  contiene  il  Liher  rerum  memorandarum 
del  Petrarca. 

*  NOLLI  (Guido).  Sacco  e  vicende  di  Sesto  Cremonese  durante  la  guerra 

di  successione  della  Polonia  (1733-36)  secondo  un  manoscritto  del- 
l'Archivio Parrocchiale  (Estratto  dal  Torrazzo,  Rivista  cremonese, 
anno  1902,  nn.  4,  5,  6).  Cremona,  tip.  Pezzi,  1902,  in-8,  pp.  28. 

Novara.  —  Testamento  e  codicillo  del  conte  Giovanni  Francesco  Caccia. 
Testo  originale,  con  traduzione  letterale  per  cura  degli  avvocati 
L.  Razzano^  A.  Tadini^  B.  Busser.  Novara,  tip.  Miglio,  1902,  in-4, 
pp.  115  con  ritratto. 

Novara  e  Ossola.  —  V.  Apostolo,  Ber  fon,  .Bolleiiino  Pavese,  Chiara, 
Collezione,  Colombo,  Errerà,  Ferretto,  Kretschmery  Massara,  Matrod, 
Negri,  Sabbadini. 

NOVATI  (Francesco).  Il  passato  di  Mefistofele.  —  La  Lettura,  a.  II, 
1902,  n.  I. 

Con  riferimento  della  storia,  tipica  tra  tutte,  di  Martinetto,  narrata 
come  avvenuta  a  Pavia  in  cosa  Boccoselli,  sullo  scorcio  del  Duecento,  dal 
cronista  fra  Jacopo  d'Aqui. 

—  Gaetano  Negri.  (Con  ritratto).  —  La  Lettura,  settembre  1902. 

*  OBERZINER  (G.).  I  Liguri  antichi  e  i  loro  commerci.  —  Giornale  Storico 

e  Letterario  della  Liguria,  a.  Ili,  1902,  fase.  V-VII. 

OBERZINER  (L.).  Ritratti  classici  a  Trento:  3  Giovan  Battista  Moroni 
[ritratto  di  Lodovico  Madruzzo]  —  Rassegna  d'arte,  giugno  1902. 

OLIVA  (Domenico).  Gaetano  Negri.  —  Natura  ed  Arte,  i.*  settembre  1902. 

*  OMONT  (H.).  Dìctionnaire  d'abbréviations   latines   publié  à  Brescia  en 

1534  (Avec  fac-simile).  —  Bibliothèque  de  fEcole  des  Cliartes,  gen- 
naio-aprile 1902. 

OPDYCKE  (Léonard  Eckstein).  The  book  of  the  Courtier  by  count  Bal- 
desar  Castiglione,  translated  from  the  italian  and  annotated.  New- 
York,  Scribner,  1901  [Il  Giornale  Storico,  fase.  118-119,  p.  286  ne 
promette  una  notizia  specificata]. 

ORANO  (P.)  Carlo  Cattaneo  e  la  sua  dottrina  scientifica.  —  Rivista  di 
Filosofia  e  Scienze  affini,  VI,  4. 


466  BOLLETTIKO  BIBUOGRAFICO 

OTTINO  (G.)  &  FUMAGALLI  (G.).  Bibliotheca  bibliographica  italica:  Catalogo 
degli  scritti  di  bibliologia,  bibliografia  e  biblioteconomia  pubUicati 
in  Italia  e  di  quelli  risguardanti  l' Italia  pubblicati  all'  estero.  4.*  sup- 
plemento a  tutto  Tanno  1901,  con  rifusione  completa  degli  Indici  al- 
fabetici dei  soggetti  e  degli  autori  contenuti  nei  sei  volumi  finora 
pubblicati,  per  cura  di  Eiouo  Calvl  Torino,  Qausen,  1902^  ìd-8^ 
pp.  130- 

OXILIA  (Giuseppe).  Curtatone  e  Montanara.  —  Rassegna  Nazionale,  16  mag- 
gio 1902. 

—  Un  oscuro  milite  del   secondo   battaglione  fiorentino  a   Curtatone  e 

Montanara.  Firenze,  Bemporard^  ^902,  in-8,  pp.  54. 

PARODI  (E.).  I  prigionieri  dello  Spielbei^  in  luce  austriaca.  —  Rassegna 
Inter  nazionale,  1902,  nn.  i-a. 

A  proposito  del  noto  articolo  del  TangL 

PATETTA.  Nobili  e  popolani  in  ima  piccola  città  dell'Alta  Italia  [Belluno]. 
—  Annuario  della  R.  Università  di  Siena,  a.  1901-1902.  (Siena,  1902). 

Pavia.  —  Restauri  di  chiese  e  monumenti  {t!"  Pavia:  San  Michele,  San 
Pietro  in  Ciel  d'oro,  la  Cattedrale).  • —  Civiltà  Cattolica,  quadenio 
1242  (1902). 

—  V.  Bertoglio,  Bollettino,  Boni,  Collezione,  Colombo,  Del  Gitutìa,  Dti- 

r Acqua,  Goodyear,  Hanauer,  Negri,  Novali,  Ponzio,  Praviel,  Sant'Am- 
brogio, Schòne,  Suida, 

PÉLADAN.  De  la  subtilité  comme  idéal.  Léonard  de  Vinci.  —  Reime  Bleue 
22  novembre  1902. 

Del  med.  A.:  JL.  de  Vinci  et  les  sdences  ocadtes,  in  Revue  umverseBt, 
I  dicembre  1902. 

PEUCELLI  (sac.  Nestore).  Della  Raguseide  e  Storia  di  Ragusa,  opere 
inedite  di  Gian  Mario  Filelfo  :  memoria.  Parma,  tip.  M.  Adorni  di 
L.  Battei,  1902,  in- 16,  pp.  36. 

—  Opere  inedite  di  G.  M.  Filelfo.  —  Rivista  Dalmatica,  a.  lU^  n.  i. 

PÉUSSIER  (Léon-G.).  Le  Porte  feuille  de  la  comtesse  d'Albany.  Lettrcs 
mises  en  ordre  et  publiées  par  Léon-G.Pélissier.  Paris,  Fontemoing, 
1902,  in-8,  pp.  xxvm-726. 

*  PELLEGRINI  (A.).  Il  Piccinino  (/ine).  —  Zeitschri/t  fùr  romanische  Pkè- 
lologie,  voL  XXVI,  fase.  Ili  (1902). 

PELLEGRINI  (sac.  Carlo).  Mons.  Secco-Suardo  e  l'istituzione  del  Semi- 
nario Lombardo  a  Roma.  —  Satola  Cattolica,  agosto  1902. 


BOLLETTINO  BffiUOGRAFICO  467 

*  Periodico  Mia  Società  Storica  per  la  Provincia  e  antica  diocesi  di  Como. 

Fase.  LIV.  Como,  Ostinelli,  1902. 

Colò  (prof.  Giuseppe).  Lo  storico  bormiese  Ignazio  Bardea.  Cenni 
bibliografici  [con  una  «  Bibliografìa  Bardeana  »,  in  ai  articoli].  — 
Motta  (Ebcuo).  La  più  antica  descrizione  poetica  a  stampa  del  lago 
di  Como  [quella  del  poeta  Bettin  da  Trezzo,  stampata  nel  1488  a 
Milano  e  che  fa  parte  del  suo  poemetto  «  Letilogia  »].  —  Spigola- 
ture volitane:  Una  lettera  inedita  di  Alessandro  Volta  (con  fac-si- 
mile);  Aggiunta  alle  medaglie  del  Volta  (con  figure).  —  S.  A.  Ne- 
crologia di  Giovanni  Gemelli.  —  Atti  della  Società  Storica  Comense, 

PESCI  (U.).  La  principessa  Belgiojoso.  —  Rassegna  Nazionale,  16  lu- 
glio 1902. 

PETIUftUONE  (Giuseppe).  Tre  lettere  inedite  di  scrittori  italiani  (G.  Cap- 
poni, F.  Ugolini,  G.   Carcano).  Lecce,  1902.  (Nozze  Natali-Costanzo); 

*  PIACENZA  (Mario).  Per  l'epistolario  di  G.  B.  Beccaria.  -  Bollettino  Sto- 

rico Subalpino,  a.  VII,  fase.  II-IV,  1902. 

Delle  due  lettere  del  celebre  fisico,  di  Mondovì,  dirette  al  fratello  Giu- 
seppe Maria,  qui  pubblicate  dal  P.,  la  seconda  è  interessante  perchè  parla 
della  nomina  di  mons.  Michele  Casati,  milanese,  a  vescovo  di  Mondovi  (175  3). 

PICCINELLI  (prof.  sac.  Antonio).  A  proposito  degli  affreschi  attribuiti  al 
Bramante.  —  Arte  e  Storia,  n.  11,  1902. 

**  Due  righe  di  lettera  aperta  „  all'ardi.  Luca  Beltrami. 

PIETH  (Friedrich).  Erinnerungen  des  Landammanns  Johann  Salzgeber  auf 
Seewis  i.  P.  (1748-1816).  Herausgegeben  von  Fr.  Pieth.  Chury  Hermann 
Friebig's  Buchhaadlung,  1902,  in-4,  pp.  vn-109.  (Programma  della 
Scuola  Cantonale  di  Coirà,  1902). 

Cfr.  spedalraente  il  2.**  capitolo  Podestà  in  Bormio  (i 771-1772)  a  pa- 
gine 10-31  e  93-95  dov'è  contenuta  una  dettagliata  "  Descrizione  della  Contea 
di  Bormio  e  sua  costituzione  „.  Anche  nel  i."*  capitolo  sono  riferite  no- 
tizie intomo  ai  primi  viaggi  e  soggiorno  dello  Salzberger  (i  748-1770)  a 
Chiavenna,  Piuro  e  Bergamo. 

PILTZ  (Ottomar).  Sommemàchte  am  Gardasee.  Skizzen  und  Novellen. 
Salò,  tip.  Giovanni  Devoti,  1902^  in-i6,  pp.  123. 

P06GI  (Victorius).  Series  Rectorum  Reipublicae  Genuensis,  videlicet  Po- 
testatum,  Consulum,  Vicariorum  et  Capitaneorum  Populi  inde  a  primi 
potestatis  electione  anno  MCXCI  usqne  ad  ducalis  regiminis  insti- 
tutionem  anno  MCCCXXXXIX.  Accedit  series  Abbatum  Populi  a  prima 
eorum  origine  anno  MCCLXX  ad  annum  MCCCXXXIX.  Augustae 
Taurinorum,  Paravia,  1900  [1902],  in-8  gr. 

Copiosi  i  nomi  di  Lombardi  podestà  di  Genova;  all'elenco  è  unito 
quello  dei  genovesi  podestà  fuori  di  Genova,  epperò  anche  in  Milano  ed 
altre  città  della  Lombardia. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXIX.  Fase.  XXXVI.  30 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  469 

RfCd  (Corrado^  Gli  affreschi  di  Bramante  nella  R.  Pinacoteca  di  Brera. 
Milano,  Baldini,  Castoldi  &  C,  1908,  in^  pp.  86  e  ili. 

■*  Les  fresques  de  Bramante  à  la  pinacothèque  royale  de  Brera.  — 
Monde  Caiholique  Illtistré,  15  maggio  1902. 

RiaORGiMENTO  iTAUAifa  —  V.  Amati,  Arbib,  Berion,  Cammeo,  CàndiàHi, 
Confalonieri,  De  Rossi,  Kraus,  Luaio,  Orano,  Oxilia,  Farodi^  Rosa, 
Trivuleio,  Vachée,  Valle, 

*  Riviste  Ardieoldiica  della  Previnola  e  antica  di«oe%i  di  Gomt.  Fase.  XXXXVI, 
settembre  igoft,  in-d  gr.  Cà:nOf  Ostinellì,  1908. 

Presidenza.  La  Società  Archeologica  Comense.  —  Magni  (d/  An- 
TONK^.  Simulacri  di  fibule  a  Sagno  ed  a  Breccia  (con  tavola).  — 
GiussANi  (ing.  Antonio).  U  iscrizione  nord-etrusca  di  Tesserete  e  le 
altre  iscrizioni  pre-romane  del  nostro  territorio,  —  Bernasconi  (sa- 
cerdote Baldassare).  Braccialetti  ed  anello  gallici  (con  tavola).  —  Ba- 
SERGA  (sac.  dott  Giovanni).  I  Capulatores,  ossia  una  nuova  corpora- 
zione professionale  di  Como  Romana.  —  Volcwtè  (prof.  Pierfranco). 
Una  lapide  romana  in  Camago;  Marmi  romani  in  Varese  e  suo 
Circondario.  —  Giussani  (A.).  Il  nuovo  Museo  Cantonale  di  Lugano. 
—  Magni  (dott.  A.).  Notizie  archeologiche;  I  nostri  monumenti.  — 
Giussani  (A.).  Giovanni  Gemelli  (con  ritratto).  —  Doni  e  cambi.  — 
Bollettino  Bibliografico. 

RIZZUTI  (A.).  Nota  di  bibliografia  manzoniana.  —  Fanfulla  della  Dome- 
nica, XXIV,  n.  29. 

Suiredìziooe  romana  del  carme  in  morte  dell' Imbonad,  fatta  nel  1806. 


(dott.  Giovanni).  Commemorazione  del   pittore   Giuseppe  Diotti. 
Casalmaggiore,  tip.  Bertoni,  1902^  in-8,  pp.  35. 

ROMUSSI  (C).  Les  armuriers   milanais  et  la   maison  des   Missaglia.  — 
Monde  CatltoHquit  Illustre,  30  apn-ile  1902. 

—  n  Duomo  di  Milano.  Milano,  U.  Hoepli,  1902,  fol.  pp.  15  e  43  tavole. 

—  Les  portes  du  Dòme  de  Milan.  —  Monde  Catholique  Illustre^  15-30  ago- 

sto 1902. 

—  La  questione  dell'architettura  lombarda.  La  chiesa  di  Rivolta  d'Adda. 

—  //  Secolo,  13-16  ottobre  1902. 

—  Le  porte  del  Duomo  di  Milano  (con  3  ine.)  —  Rassegna  et  Arie,  ot- 

tobre 1902. 

—  Gli  Sfotta  nei  medaglioni  del  Luini  (Con  ili.).  -  //  Secolo  Illustrato, 

^  -^?V,  n.  672,  30  novembre  1902. 

Agg.  //  Sec0Ìc  n.  del  9-10  settembre  1902. 


Rassegna  delle  opere  del  Kdler,  del  De  BanhoUmeù  e  del  BiulcDe  in- 
Ionio  a  Pietra  da  Bescapfc  e  Bonvesb  da  Riva. 

*  —  Il  plurale  dei  femminili  di  i*  declinazione  per  -a  ed  -an  in  qualche 

varietà  alpina  di  Lombardia.  —  Rmdiconti  Isti/u/o  Lombardo,  se- 
rie II,  voi.  XXXV,  fase.  XIX  (ipoa). 

—  Etimologie.  —  Romania,  XXXI,  074-395  (Paris,  1903). 

Gm  molti  esempi  dialettali  lombardi. 

*  SANrAMBROeiO  (D.).  Sempre  intomo  al  quadro  leonardesco  di  Affori  e 

della  data  sua.  Ancora  la  tavola  della  Vergine  delle  Roccie.  D  gesto 
che  fa  l'Angelo  colla  mano  destra  nella  Pala  di  Parigi,  —  Arti  * 
Storia,  nn.  9,  IO  e  la,  igoa. 
'  —  Di  due  marmi  ascrivibili  alTOmodeo  nel  Museo  di  Parma;  Nd  ■  Ct- 
stello  di  Porta  Giovia  i;  La  decorazione  u  a  scarlioni  ■  ;  La  ricosti- 
tuzione della  statua  di  5.  Ambrogio  sulla  torre  del  Filarete;  D  qaato 
già  dei  Gerolomiti  di  S.  Marino  in  Pavia.  —  Lega  Lombarda,  i-ij 
novembre;  9-10  novembre;  30  novembre  e  7  dicembre  1900. 

—  Un  bassorilievo  del  1436  attinente  alla  Fabbrica  del    Duomo  1  Voi-    i 

pedo  presso  Tortona.  —  Momiori  Tecnico,  dicembre  1900. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  47I 

*  SCHELLHASS  (Karl).  Akten  zur  Reformthàtigkeit  Felician  Ninguardas 

insbesondere  in  Baiem  und  Oesterreich  wàhrend  der  Jahre  1572 
bis  1577.  —  Quellen  und  Forschungen  dell' Istituto  storico  prussiano, 
in  Roma,  voi.  V,  fase.  I  (1902)  [Contwuasion?  :  anno  1577]. 

Documenti  per  Fattività  rifonnatrìce  di  Feliciano  Ninguarda,  special- 
mente in  Baviera  ed  in  Austrìa,  durante  gli  anni  1572-15 77. 

SCHERILLO  (Michele).  Gaetano  Negri  (Con  ritratto).  —  Nuova  Antologia, 
16  novembre  1902. 

SCHMOLZER  (Hans).  Die  Fresken  des  Castello  del  Buon  Consiglio  in  Trient 
und  ihre  Meister.  Eine  kunstgeschtliche  Studie.  Innsbruck,  Wagner, 

1901,  in-8,  pp.  6S. 

Lo  S.  dà  nella  presente  monografia  una  descrizione  ragionata  dei  molti 
e  pregiati  affreschi  che  vennero  eseguiti  nel  Castello  del  Buon  Consiglio  in 
Trento  tra  il  1551  e  il  1535,  °^  dimentica  gli  affreschi  del  Romanino  che 
forse  troppo  dispregia  (cfr.  Arch.  Storico  Trentino  a.  XVII,  fase.  1, 1902,  pp.  106). 

*  SCHONE  (H.).  Ein  Palirapsestblatt  des  Galen  aus   Bobbio.  -    Sitzung- 

sberichte  dell'Accademia  delle  scienze,  di  Berlino,  XX,  XXI,  17  aprile 
1902. 

Un  foglio  palimsesto  di  Galeno,  provenieate  da  Bobbio. 

*  SECCO  SUARDO  (aw.  conte  Girolamo).  Lo  sgombero  della  suppellettile 

libraria  inutile  dalle  biblioteche  pubbliche,  e  la  Biblioteca  Civica  di 
Bergamo.  Bergamo,  Istituto  Italiano  d'Arti  Grafiche,  1902,  in-8,  pp.  24. 

SETON  WATSON.  Maximilian  I,  Holy  Roman  Emperor.  London,  Constable, 

1902,  in-8,  pp.  144. 

Sforza.  —  L'eroica  Milanese  capostipite  di  sei  dinastie.  —  La  Lettura, 
2u  n,  n.  I,  1902. 

Da  uno  studio  della  baronessa  Lodovica  di  Bodenhausen  nel  Nord  und 
sud  (dicembre  1931)  intomo  a  Catterina  Sforza-Riario. 

Sforza  e  Visconti.  —  V.  Agnelli,  Dell* Acqua,  Epifania,  Fagioli,  Ferretto, 
Gabotto,  Gauthiez,  Giri,  Hann,  Leone,  Malaguzzi,  Mocci,  Nolltac, 
Pellegrini,  Pelicelli,  Rénoche,  Tumiati,  Zanutto, 

SIRÉN  (Osvald).  Dessins  et  tableaux  italiens  de  la  Renaissance  italienne 
dans  les  collections  de  Suède.  In-8  gr.  Leipzig,  Karl  W.  Hiersemann, 
1902,  con  ili.  e  tav. 

Giulio  Romano  (1498-1546)  17  tav.  —  Polidoro  da  Caravaggio  (1495-1543) 
12  tav.  —  Bianchi'Ferrari  (scuola  ?)  —  G,  B,  e  G.  Domenico  Tiepolo, 

SOL  (abbé  e.).  L'oeuvre  canonique  du  cardinal  Giacomo  Simonetta.  Le 
traité  sur  les  deux  signatures  de  justice  et  de  gràce.  -  Annales  de 
Saint'Louis-des  Franfais,  ottobre  1992. 


A.  pp.  i-Lxi  la  "  Relaiioae  Maltiguui-Valeri  e  voto  d«Ua  Caoim»- 
sion«  araldica  lombarda  ,  adla  vertenu  del  principe  Ferrante  GoDngioi 
marchesi  Guerrieri  di  Mantova. 

STOUDITSKII  (J-)-  Generalissimus  A.  V.  Souverov.  Koslroma,  imp.  d« 
États  provinciaux,  1901,  in-8,  pp.  19. 

SUIOA  (d/  Wilhelm).  Das  Leben  dcr  hi.  Agnes.Fresken-Cyklus  in  S.  Teo- 
doro zu  Pavia.  —  Helbings  Monalsbericìite,  a.  II,  1903,  p.  igT-aoa 

TALAHONI  (sac.  Luigi).  Cronaca  illustrata  delle  feste  celebrate  in  Mona 
nell'ottobre  dell'anno  1901  per  la  solenne  traslazione  del  conditi- 
dino  S.  Gerardo  de'  Tintori.  Monza,  tip.  Artìgìanellt  orfani,  1900. 
in-8  fìg-,  pp.  127  con  ritratto. 

TARNUZZER  (Chr.).  Friedrich  Rolle  Ober  den  Bergsturz  von  Phirs  i6ii 
—  Bùndnerisclies  Monatsblatl,  n.  5,  a.  VI  (1901), 
Il  giudizio  del  geak^  Federica  RoUe  intorno  1 
Pìura  nel  1618. 


BOLLEETINO  BIBLIOGRAFICO  473 

TASSO  (Torquato).  Le  rime.  Edizione  critica  sui  manosmtti  e  le  antiche 
stampe  a  cura  di  Aogek)  Solerti.  Voi  VI  (Rime  d'occasione  e  d'en- 
comio). Bologna^  Romagnoli-Dell'Acqua,  edit.,  1902.  [«  Collezione  di 
opere  inedite  o  rare  »J. 

-»  Il  codice  autografo  di  rime  q  pro$e  di  Bernardo  Tasso,  [esistente 
nella  Biblioteca  Oliverìana  di  Pesaro  e  pubbhlicato  da  Domenico 
Tordi]  :  appendice  al  libro  terzo  degli  amori.  Firenze,  stab.  tipo- 
grafico C  A.  Materassi,  190Q,  in-8,  pp.  36. 

Tasso.  —  V.  Autobiogrgfia,  Belloni,  Melodia,  Nerucci,  Rydel,  Pommerich, 

*  TORRETTA  (Laura).  Il    «  Liber  de  claris   mulieribus   »   di  Giovanni 

Boccaccio.  Parte  IV.  I  plagiari,  gli  imitatori,  i  continuatori  del 
«  Liber  de  claris  mulieribus  ».  —  Giornale  Storico  della  Letteratura 
Italiam,  fase.  CXVIILCXIX,  1903. 

L'A.  prende  in  esame  il  plagio  di  Giacomo  Filippo  Foresti,  noto  più 
comunemente  sotto  il  nome  di  fra  Filippo  da  Bergamo,  che  dovette  avere 
una  notevole  diffusione  nelli  secoli  XV  e  XVI,  e  quello  di  Domenico  Bor- 
digallo,  cremonese,  rimasto  nonché  inedito,  sconosciuto  sino  a  tempi  recenti. 
Intorno  al  Bordigallo  Yt^  il  noto  lavoro  del  Novati,  in  Areh,  Veneto,  i88o. 

"*  TSIISO  (Enrico  dott.  dol).  Dello  stemma  dei  Signori  di  Vilalta  (Friuli) 
(Villa)ta*Caporìacco  ©  Torriani).  •—  Giomak  ApMì€^,  a.  XXVIII, 
B.  8^,  1901  [1900]. 

Trivulzìo.  —  U  principe  Gian  Giacomo  Trivulzio.  (^Ritratto  e  conno  ne- 
crologico]. —  Illustrazione  Italiana,  n.  29  e  30,  1902. 

Agg.  il  necrologio  di  L,  B[eltrami]  in  Rassegna  é^Arte,  luglio  I90a. 

—  V.  Collezione,  Giarelli^  Luzio,  Melegari^  Negri,  Pesci. 

TUMIATI  (D.).  Morte  di  Bajardo.  Versi.  —  Nuova  Aniok^,  16  aprilo  1902. 

VACHÉC  (CoJdMANOAJrr).  Magenta;  uno  visite  au  champ  de  bataiUe.  w 
Heìjm  di4  cercle  wiHtaire,  2  agosto  1902, 

*  VALENTINI  (Andrea).  Il  palazzo  di  Broletto  in  Brescia.   Ili»  edizione, 

con  nuovi  documenti.  Pubblicata  a  spese  dell'Ateneo  in  occasiono 
del  suo  Centenario.  —  Brescia  1^  tip,  F*  Apollonio,  19084  in-B  pp."  42 
con  2  tavole. 

VALLE  (Pietro).  Nell'anniversario  di  Custoza  (1865-1866).  Ricordi.  —  Ras- 
segna  NammaW^  j6  giugno  iQot, 

VANDELLI  (G.).  Foglietti  manzoniani.  —  Rassegna  Biòliograftca  della  Let- 
teratura Italiana,  X,  7. 

Bifllittim  diletti  $d  Emilia  Lutti  p«r  coni9|ioqdcmti  tQ»(»»o  di  w^ 

miUnfloi. 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  475 

*  ZANICHELLI  (Domenico).  La  Restaurazione  Austriaca  a  Milano  nel  1814. 

—  Archivio  Storico  italiano,  disp.  Ili,  1902. 

A  proposito  dell'opera  del  Lemmi. 

ZANUTTO.  Luchino  Visconti.  —  Atti  della  Accademia  di   Udine,  serie  3*, 
voi.  9. 

ZIN6ARELLI  (N.).  I  trattati  di  Albertano  da  Brescia  in  dialetto  veneziano* 

—  Studi  di  Letterattira  Italiana,  pubblicati  da  E.  PèrcojK)  &  N.  Zin. 
garelli,  fase.  MI,  voi.  Ili  (1901). 

ZUCCO  (M.).  Note  bibliografiche  su  Maria  Pellegrina  Amoretti  (in  Strenna 
Bobbiese  a  beneficio  del  Patronato  delle  Scuole,  Bobbio,  Cella,  1902). 

ZUCCOU  (Giulio).  Giovita  Scalvini  e  la  sua  critica.  Brescia,  stab.  tip.  Apol- 
lonio, 1902,  in-8,  pp.  94  e  ritratto. 

ZUMBINI  (B.).  Studi  sul  Leopardi.  Voi.  I,  in-i6.  Firenze,  G.  Barbèra,  1902 
[6.  Canzone  ad  Angelo  Mai]. 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


^\    ASCOBUi  DEL  c(  PlUmABILE  ITINERARIO  DELLA    FUGA  DI  AUBnOD  A»- 

civ.  DI  Milano  ».  —  Il  mio  piccolo  lavoro  dal  titolo  :  Il  frobabSh  i6m^ 
rio  della  fuga  di  Ariberto  Arciv,  di  Milano  (i),  è  stalo  fatto  Ofi^tloé 
molta  attenzione  dal  eh.  prof.  G.  Romano,  che  gli  dedicava  quasi  Kt 
piene  pagine  del  BoUetHno  della  Società  Paxfse  di  Storia,  Patria  (Al.  Id 
Fase.  III-IV,  Sett.-Dic.  1902),  e  di  tanta  attenaicme  io  non  patcìvo  taoa 
posso  che  ringraziarlo  di  cuore.  Ma  la  cortese  franchezza  e  Ubeità  deDa 
sua  crìtica,  mi  fanno  ad  un  tempo  e  necessità  ed  animo  di  indiziiiaq^ 
una  breve  risposta  :  credo  di  doverla  non  solamente  a  lui,  ma  anche  a 
me  ed  ai  nostri  pochi  o  molti  lettori. 

Invece  dell'itinerario,  dopo  Landolfo  Seniore  e  sulla  testimonina 
di  lui  solo,  comunemente  ammesso,  e  che  conduce  il  profugo  Ariberto 
dalla  Trebbia  immediatamente  al  Po,  e  da  questo  a  Milano,  io  ne  propo- 
nevo un  altro,  passante  pei  territori  di  S.  Salvatore  di  Tolla  e  per  Bob- 
bio, e  per  ciò  stesso  assai  più  lungo,  ma  che  mi  sono  sforzato  di  dimostrare 
come  assai  più  probabile  e  poco  men  che  certo,  in  grazia  della  sua  moho 
maggiore  sicurezza  e  di  documenti  e  fatti  che  mi  sembravano  e  mi  sem- 
brano ancora  deporre  in  suo  favore. 

Ora  il  eh.  prof.  Romano  viene  in  sostanza  a  dire  :  i.**  che  ritincraiio 
fin  qui  comunemente  ammesso,  non  poteva  presentare  le  quasi  insormoD- 
tabili  difficoltà  da  me  accennate  ;  2.^  che  il  primo  de'  mici  documenti  Don 
prova  l'andata  di  Ariberto  all'abbazia  di  S.  Salvatore  di  Tolla  ;  3.^  die 
l'altro  documento,  certamente  Bobbiese  e  recante  la  sottoscrizione  auto- 
grafa di  Ariberto,  non  può  ass(?gnarsi  all'anno  della  fuga  1037,  se  noa 
dando  esagerata  importanza  a  pochi  e  vaghi  indizi  ;  4.®  che  non  c'è  ragiose 
sufficiente  per  rifiutare  nel  caso  nostro  la  testimonianza  di  Landolfo  s^ 
niore;  5.^  che  in  conclusione  la  mia  ipotesi,  pur  non  mancando  di  certa 
ingegnosa  abilità,  non  è  affatto  scevra  di  temerità  e  di  imprudenza,  ed  i 
il  risultato  di  un'artificiosa  combinaz'ione  di  circostanze  e  d'india,  che 
non  regge  alla  critica  obbiettiva  de'  fatti  ed  alla  forza  delle  tcstimoniaaie 
sincrone    debitamente  vagliate. 


(i)  Arch.  stor.  lomb.,  a.  XXIX,  1902,  pp.  5-25. 


APPUNTI  E   NOTIZIE  477 

Non  posso  e  non  devo  ripetere  le  cose  già  dette  ;  ma  devo  pure .  ri- 
spondere a  tante  e  tanto  gravi  osseivaiioai,  e  lo  farò  colla  massima  bre- 
vità. £  in^nvi  tutto  mi  preme  di  dichiarare  che  detesto  sinceramente  ogni 
sortaL  di  esagerazione  e  di  artifìcio,  e  dovrei  riconoscermi  vittima  di  uno 
strano  fenomeno  psicologico,  ove  dovessi  persuadermi  di  essermivi  ab- 
h^ndoUflto  in  questo  caso.  Sappiamo  tutti  quello  che  può  produrre  in  uno 
spirilo  la  preoccupaiione  di  una  tesi,  come  suol  dirsi,  sposata.  Ma  anche 
i)  Bjiio  egregio  contradditore  riconosce  ripetutamente  che  mi  son  limitato 
a  pnetter  fuori  un'ipotesi,  e  un'ipotesi  di  pura  probabilità,  per  quanto  que- 
sta mi  sembrasse  grande  e  vicina  alla  certezza  ;  vicina  ma  non  tanto  da 
raggiungerla,  ciò  che  lascia  luogo  al  dwubbio  prudente  e  mi  pare  già 
abbastanza  lontano  da  temerità. 

In  quanto  al  primo  dei  punti  suaccennati,  le  grandi  difficoltà  erano 
per  me  la  facilità  dell'inseguimento  in  aperta  pianura,  e  la  quasi  neces- 
sità di  pensare  che  i  passaggi  del  fiume  dovessero  trovarsi  occupati  e  guar- 
dati dagli  imperiali.  Or  la  prima  di  queste  difficoltà  non  vedo  perchè  e 
come  si  debba  proprio  negare  ;  e  per  la  seconda  il  eh.  prof.  R.,  che  (come 
egli  stesso  ci  informa)  fu  sotto  le  armi,  sa  meglio  di  me  la  necessità  di 
assicuarsi  le  retrovie  per  truppe  che  si  trovano  in  paese  mal  sicuro  :  e  mal 
sicuro  per  certissimo  era  il  paese  nostro  ai  tedeschi  nell'epoca  che  ci  ri- 
guarda, e  lo  sapevano  essi  e  lo  mostrarono  poi  chiaramente  i  fatti  seguiti, 
come  è  notissimo. 

Secondo  punto  :  il  primo  dei  miei  documenti  non  prova  l'andata  di 
Arìberto  all'abbazia  di  S.  Salvatore  di  Tolla.  Ma  non  è  questo  ciò  che  io 
chiesi  al  documento.  Esso  prova,  e  questo  evidentemente,  che  Ariberto  nel 
luogo  di  sua  detenzione  pensò,  e  presto,  a  quell'abbazia.  Ora  a  questo 
pensiero  (io  diceva)  dovette  associarsene  un  altro  :  quello  di  tutto  un  ter- 
ritorio che  proprio  dai  pressi  del  luogo  della  detenzione  di  Ariberto  saliva 
fino  al  sommo  Apennino,  ai  confini  di  quel  di  Bobbio,  territorio  ed  eccle- 
siasticamente e  civilmente  soggetto  all'Arcivescovo  di  Milano,  e  precluso 
a*  funzionari  di  ogni  altra  signoria,  compresa  l'imperiale,  e  seminato  di 
luoghi  forti,  dove  quindi  con  tutta  facilità  potevano  gli  inseguitori  essere 
od  arrestati  o  tenuti  a  bada.  E  dico  propriamente  che  Ariberto  «dovette» 
ricordare  tutto  questo,  se  io  stesso  non  ho  potuto  far  a  meno  di  ricor- 
darlo; onde  venni  pel  primo  raggruppando  intomo  al  mio  documento  un 
buon  numero  di  notizie  sicurissime,  dall*insieme  delle  quali  risulta  mani- 
festa, se  nulla  vedo,  l'estensione  e  la  sicurezza  di  quel  territorio  e  di  q  ;ui 
io  traeva  (p.  12-16)  una  considerazione  nella  presente  fattispecie  affatto 
nuova  e  per  me  della  massima  importanza.  Dico  schiettamente  ch^  mi  fa 
meraviglia  il  vedere  come  il  eh.  pr.  R.  di  tutto  questo  non  dice  una  sola 
parola  a'  suoi  lettori. 

Terio  punto  :  il  documento  recante  la  sottoscrizione  di  Ariberto  non 
si  può  assegnare  all'anno  1037  se  non  esagerando  l'importanza  di  pochi 
e  vaghi  indizi.  Ma  non  soltanto  pochi  e  vaghi  indizi,  sibbene  i  segni 
certi  ho  messo  in  luce  che  quel  documento  è  di  non  poco  posteriore 
al  1027,  come  quello  che  mostra  di  ignorare  affatto  altri  documenti  di 
quell'anno  risguardanti  l'identica  materia,  ed  evidentemente  descrive  una 


478  APPUNTI   E   NOTIZIE 

condizione  di  cose  e  di  persone  da  quella  dell'anno  1027  non  poco  mu- 
tata. Sono  certissimo  che,  anche  prescindendo  dalla  mia  ipotesi,  la  pura  e 
rigorosa  discussione  diplomatica  del  documento,  non  potrebbe  condurre 
ad  altra  conclusione,  che  cioè  esso  attesta  un  passaggio  di  Arìberto  a 
Bobbio  parecchi  anni  dopo  il  1027.  Ora  è  pur  certo  che  tanto  nella  vita  di 
Ariberto  quanto  (per  usare  le  parole  del  eh.  pr.  Romano)  nel  quadro  ge- 
nerale degli  avvenimenti  dell'epoca  non  può  indicarsi  per  un  tal  passag- 
gio occasione  più  favorevole  o  più  probabile  di  quella  della  celebre  fuga, 
massime  nel  concorso  delle  circostanze  di  sopra  per  sommi  capi  richia- 
mate e  nel  mio  lavoro  più  largamente  esposte. 

£  questo  mi  fa  più  facile  la  strada  al  quarto  punto,  che  cioè  non  c'è 
ragione  sufficiente  per  rifiutare  nel  caso  nostro  la  testimonianza  di  Lan- 
dolfo seniore.  Anche  supponendo  che  non  si  tratti  se  non  di  indizi,  questi 
non  mi  sembrano  davvero  né  pochi  né  leggieri  ;  ed  anche  un  processo  in- 
diziario si  può  prudentemente  istituire,  com'è  notorio,  massime  contro  un 
soggetto  come  Landolfo,  che  ebbe  già  che  fare  coi  tribunali  della  critica 
e  non  ne  usci  colla  fedina  criminale  interamente  netta.  I  cronisti  del  tempo 
sono  d'accordo  nella  sostanza  del  fatto  della  fuga,  è  vero  ;  ma  non  della 
sostanza  qui  si  tratta,  sibbene  del  modo  tenuto  nell'eseguire  la  fuga 
stessa  ;  e  nella  determinazione  di  esso  il  nostro  Landolfo,  come  ho  dime-' 
strato,  fra  i  parecchi  testimoni  contemporanei  al  fatto,  rimane  tutto  solo. 
Ora  quando  Landolfo  rimane  teste  unico,  sì  può  e  si  deve  dire  che  egli 
non  è  di  regola  testimonio  idoneo  e  attendibile  :  dico  per  i  particolari,  non 
per  le  condizioni  generali  del  tempo  che  fu  suo,  sebbene  anche  per  queste 
si  dovrà  pur  sempre  usare  la  più  oculata  prudenza,  date  le  idee  e  le  ten- 
denze che  Landolfo,  come  è  noto,  rappresenta. 

Che  Landolfo  (c  è  lontano  di  alcuni  decenni  da'  fatti  che  narra  »  lo 
dà  per  certo  anche  il  eh.  prof.  R.  ;  e  concede  eziandio  che  «  nel  suo  rac- 
cc  conto  non  manca  qualche  spunto  leggendario  ».  Sono  già  queste  ben 
gravi  e  compromettenti  concessioni  nella  presente  questione  ;  ma  per  es- 
sere esatte  dovevano  essere  molto  più  esplicite  e  più  larghe;  e  sovra- 
tutto  non  dovevano  essere,  dirò  cosi,  corrette  dalla  raccomandazione  loro 
soggiunta  di  non  dimenticare  che  Landolfo  «  attinge  d'ordinario  alle  gt- 
«  nuine  sorgenti  delle  tradizioni  milanesi  e  che  il  linguaggio  vivo,  colorito, 
«  drammatico  della  sua  narrazione  riproduce  meravigliosamente  l'impres- 
u  sione  profonda  che  avevan  lasciato  nei  contemporanei  gli  avvenimenti 
«  dell'anno  1037  ».  Forse  senza  volerlo,  il  mio  egregio  critico  ha  ingran- 
dita enormemente  la  questione,  che,  come  fu  posta  da  me,  rimaneva,  di- 
rebbe il  Giulini,  una  minutezza  ;  egli  invece  l'ha  fatta  diventare  ima  que- 
stione abbastanza  importante  di  crìtica  storica,  e  questo  con  tal  modo  di 
esprimersi,  che  può  disorientare  più  d'uno,  massime  fra*  giovani  stu- 
diosi, stante  l'autorità  di  chi  parla.  Confesso  che  il  linguaggio  surriferito 
mi  toma  strano,  tanto  manifesta  e  gratuita  è  la  sua  contraddizione  con 
tutto  quello  che  i  più  autorevoli  scrittori  passati  e  presenti,  nostri  e  stra- 
nieri, i  quali  più  di  proposito  si  occuparono  di  Landolfo,  dissero  a  suo 
carico  indicando  libri,  capitoli  e  pagine  della  sua  H istoria. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  479 

Muratori,  Giulini,  Fumagalli,  Bollandisti,  Giesebrecht,  Pabst,  Paech, 
Wattenbach,  Kurth,  Balzani  (i)  fanno  a  gara  in  dime  tutto  il  male  possi- 
bile. Se  uno  dice  che  Landolfo  a  usa  di  un  modo  di  esporre  negligente,  » 
Faltro  soggiunge  che  u  ama  le  copiose  descrizioni,  anzi  le  declamazioni 
«  che,  come  ognun  vede,  cadono  da  sé  ».  Chi,  dopo  aver  notato  che  <(non, 
«come  Arnolfo,  egli  (Landolfo)  fu  presente  alle  cose  che  narra»,  gli  fa 
colpa  di  «  aver  sempre  negletto  l'ordine  cronologico  e  d'aver  poi,  sul 
«  finire,  tutto  bruttamente  messo  sottosopra  ;  e  chi  denuncia  le  «  calunnie, 
c(  l'ignoranza,  la  loquacità,  le  contraddizioni  (ed  anch'io  ne  ho  indicato) 
«  dello  scrittore  ».  Questi  fanno  notare  che  «  Landolfo  non  s'intende  af- 
fi fatto  di  critica  »,  che  «  non  discerne  le  fonti,  e  lor  toglie,  aggiunge  e 
«  muta  a  suo  talento  »  ;  altri  lo  dicono  «  tanto  male  informato,  che  nep- 
<(  pur  conosce  Arnolfo  »  ;  e  a  accecato  da  studio  di  parte,  autore  malfido, 
«sebbene  sembri  talvolta  parlare  dal  tripode,  appassionato,  parzialissimo  »  ; 
«  ed  ancora  :  cronicastro  inetto  ed  assurdo,  scrittore  inesatto,  insulso  e  fa- 
«  voloso  ;  avido  cercatore  di  favole  ;  caricaturista  della  storia  ». 

Il  Giulini  è  il  più  temperato  di  tutti  ;  pur  dice  anch'egli  che  «  Lan- 
«  dolfo  non  è  poi  quello  scrittore  a  cui  si  possa  con  totale  sicurezza  prestar 
«  fede  »  ;  e  ancora,  che  di  lui  «  in  alcune  occasioni,  per  ciò  che  riguarda 
«  le  minutezze  »  (è  proprio  il  caso  nostro),  non  egli  sa  «  quanto  possiamo 
«  di  lui  fidarci  ». 

Un  solo  scrittore,  che  io  sappia,  ha  tentato  a'  giorni  nostri  di  riabi- 
litare il  povero  Landolfo,  e  fu  il  compianto  L.  A.  Ferraj  :  tentativo  da 
lui  condotto  in  modo  al  certo  animoso  e,  si  può  anche  dire,  fino  ad  un 
certo  punto,  brillante,  così  come  portava  l'ingegno  suo.  Ma  oltre  che  gli 
studi  del  Ferraj  riguardano  parti  e  fonti  dell'opera  landolfiana  che  non 
han  che  fare  colla  nostra  questione,  il  suo  tentativo  si  deve  purtroppo  dire 
caduto  a  vuoto,  come  si  può  vedere  leggendo  gli  scritti  che  egli  gli  con- 
sacrava, e  le  critiche  di  cui  quegli  scritti  furono  oggetto  (2).  Così  che 
Landolfo  e  l'opera  e  la  sua  attendibilità  rimangono  nello  statu  quo  ante, 
anzi  in  uno  stato  d'alcun  poco  peggiore,  data  la  inutilità  del  tentativo. 

(i)  Pongo  questa  nota  per  chi  volesse  verificare  le  espressioni  ed  i 
giudizi,  che  allegando  e  traducendo  riporto. 

Muratori,  Ker.  Italicar.  SS.  IV,  p.  49  seg.,  55,  dove  anche  il  severo 
giudizio  del  PURICELLI,  di  cui  sono  le  note  al  testo;  GIULINI,  Memo- 
rie, ecc.,  Milano  1854,  I,  p.  74;  H,  6,  565,  673;  Fumagalli,  Antichità 
Longobardico-milanesi,  III,  pp.  225,  335;  Acta  SS.,  Jul.  VI,  pp.  509, 
516;  W.  GIESEBRECHT,  Geschtchte  der  aeutschen  Kaiserzeit,  II,  Leipzig, 
1885,  p.  574,  III,  2,  ib.  1890,  1066;  H.  Pabst,  De  Ariberto  secundo  ar- 
chief.  MedioL,  Berlin,  1864,  p.  8;  H.  Paech,  Die  Pataria  in  Mai- 
land,  ecc.,  Sohdershausen,  1872,  pp.  8,  21  ;  W.  Wattenbach,  Mon.  Germ. 
Hist.  SS,,  VIII,  Hannoverae,  1848,  pp.  32  segg.  iDeutschlands  Geschichts- 
quellen  im  Mittelalter,  II,  6<»  Aufl.,  Berlin  1894,  p.  242;  O.  Kurth,  Lan- 
dulf  der  altere  von  Mailand,  Halle  a.  S.,  1885,  9;  U,  Balzani,  Le  cro- 
nache italiane  nel  medio  evOj  Milano,  looi,  p.  235. 

(2)  L.  A.  Ferrai,  /  fonit  di  Landolfo  seniore,  Roma  1894,  Estr.  dal 
Bull,  deiristit.  St.  IL,  n.  14;  cfr.  anche  n.  16,  1895,  pp.  5-47,  p.  49-54; 
Anàlecta  Bollandiana,  tom.  XIV,  Bruxelles,  1895;  p.  209;  XVII,  1898, 
p.  228. 


4^0  APPUNTI   E    NOTietE 

Or,  francamente,  con  un  autore  come  Landolfo  e  trattandosi  di  un 
particolare  da  lui  solo  attestato,  mi  pare  che  indiei  anche  molto  più  de- 
boli de'  miei  (se  pur  per  semplici  inditi  si  vogliaa  avere)  basterebbero  a 
far  nascere  i  più  serii  e  giustificati  dubbi  sulla  attendibilità  di  tale  atte- 
stazione, e  con  ciò  stesso  a  conferire  una  qualche  probabilità,  a  dir  poco, 
ad  un'ipotesi  qualsiasi,  purché  non  assurda,  nonché  appoggiata  a  positivi 
argomenti  storici,  topografici  e  diplomatici  cotte  quella  da  me  proposta. 

Mi  rimane  pertanto  ben  poco  da  rispondere  al  5.®  punto,  dove 
mi  si  oppone  la  critica  obbiettiva  dei  fatti  e  la  foria  delle  testimoniaaze 
sincrone  debitamente  vagliate.  Qui  mi  pare  che  si  doveva  invertire  l'or- 
dine ;  perché,  trattandosi  di  fatti  da  noi  lontani,  evidentemente  la  cri- 
tica o  il  vagliamento  delle  fonti  deve  precedere  quella  dei  fatti  :  e  forse 
dal  non  aver  osservato  quest'ordine  è  derivato  tutto  il  guaio  nel  caso 
nostro.  Quanto  a  me  che  altro  ho  fattOj  se  non  appunto  vagliare  le  te- 
stimonianze sincrone  alla  famosa  fuga  ?  E  il  risultato  fu,  che  del  parti- 
colare dell'itinerario  attraverso  il  Po  e  la  piatiura  solo  ed  unico  teste 
rimane  Landolfo  nostro,  il  meno  attendibile,  come  accennavo  espressa- 
mente (pp.  7-9).  Ciò  fatto,  contrapposi  a  una  testimoniatila  gih  per  sé 
stessa  così  sospetta  i  fatti  che  dalla  natura  delle  cose  e  da  altri  docH- 
menti  mi  risultavano.  E'  un  fatto  naturale  e  costante  che  gli  amnes  r«- 
pidos  si  trovano  piuttosto  in  montagna  che  al  piano  :  é  un  fatto  storico  r 
topografico  largamente  documentato  il  territorio  di  spettanza  dell'arci- 
vescovo di  Milano  disteso  da  vicino  alla  Trebbia  fino  al  sommo  Apennine 
bobbiese  :  é  un  fatto  la  sottoscrizione  autografa  di  Ariberto  alla  carta  bob- 
biese  ;  é  una  certezza  diplomatica  la  posteriorità  di  quella  carta  all'altra 
del  1027,  posteriorità  che  non  solo  senza  sforzo  alcuno,  ma  necessaria- 
mente la  avvicina  al  1037,  l'anno  della  fuga.  Se  in  tutto  questo  c'è  esa- 
gerazione ed  artificio,  confesso  di  non  vedere  affatto  quale  sia  il  metodo 
buono. 

Il  pr.  R.  sollevava  qualche  altra  difficoltà  di  minor  peso  :  come  mai 
Ariberto  non  fa  cenno  dell'itinerario  mio  nella  carta  pur  cosi  loquace  da 
me  in  parte  allegata?  come  mai  nessuno  dei  cronisti  contemporanei  lo 
indica,  se  difatto  ebbe  luogo?  come  mai  l'itinerario  landolfiano  è  stato 
comunemente  ammesso  dagli  scrittori  venuti  poi  fino  a'  giorni  nostri? 
Alla  prima  domanda  si  può  forse  rispondere  che  un  qualche  cenno  è 
forse  già  negli  amnes  rapido s,  un  altro  e  forse  più  eloquente,  per  quanto 
implicito,  nelle  donazioni  poi  fatte  da  Ariberto  all'abbazia  di  S.  Salvatore. 
Più  chiari  ed  espliciti  cenni  si  può  ben  pensare  che  Ariberto  non  abbia 
voluto  fare,  anche  per  non  compromettere  in  modo  inconfutabile,  con  un 
documento  pubblico,  i  favoreggiatori  della  sua  fuga,  i  quali  nelle  altret- 
tanto rapide  che  violente  vicende  di  quei  tempi  avrebbero  potuto  uà 
giorno  o  Paltro  essere  chiamati  a  risponderne  ed  a  pagarne  il  fio  :  il  po- 
vero abbate  Albizzone  poteva  informare,  per  quanto  liberato  dal  carcere. 
E  con  questo  è  già  risposto  alla  seconda  difficoltà,  del  silenzio  degli  scrit- 
tori contemporanei  :  privi  essi,  bisogna  dire,  anche  dei  documenti  a  noi 
noti  sui  particolari  della  fuga,  si  accontentarono,  tranne  Landolfo,  della 
sostanza  del  fatto. 


APPUNTI  E   NOTIZO:  481 

Quanto  agli  scrittori  venuti  poi  fino  a'  giorni  nostri,  bisogna  fare  una 
distinzione,  anzi  divisione  capitale  :  tra  quelli  che  seppero  bene  di  che 
scrivievano  e  con  chi  avevano  a  fare,  e  gli  altri  ;  i  primi,  se  ripeterono  il 
racconto  di  Landolfo,  non  lo  fecero  se  non  con  tutto  quel  po'  po'  di  ri- 
serve che  ho  riferito  in  parte,  e  basta  :  degli  altri  non  valeva  la  pena  di 
tener  conto. 

Ma  io  sono,  lo  ripeto,  gratissimo  all'egregio  prof.  R.  per  la  sua  cri- 
tica :  egli  mi  ha  posto  nella  necessità  di  tornare  sull'argomento  ;  e  doveva 
ben  esservene  bisogno,  se  nel  mio  povero  articolo  son  riuscito  a  farmi 
da  cosi  buono  intenditore  cosi  male  intendere.  Mi  è  anche  porta  deside- 
rata occasione  di  avvertire  che  alla  nota  (2)  p.  5  dell'articolo  stesso  dove- 
vasi aggiungere  un  cenno  della  replica  del  C.  Cipolla  al  signor  Pagani  in 
Archivio  Ster.  lem.,  XIX,  1903,  pp.  377-385,  e  che  a  p.  23,  nota  (3)  invece 
di  CornmcciUé  devesi  leggere  Cornmcciari. 

y  i  A  Sàc.  A.  RATTI. 

/^  IL  RISTAURO  DELLA  CHIESA  DI  RIVOLTA  D'ADDA.  —  Questo  ristauro 
ha  richiamato  su  di  sé,  e  con  ragione,  l'interessamento  di  tutti  coloro  che 
si  occupano  d^arte  e  di  storia,  perchè  farà  risorgere  un  monumento  pret- 
tamente lombardo  e  di  una  ricchezza  non  comune.  Se  le  absidi  di  questa 
Chiesa  e  la  facciata  non  avevano  subito,  nei  secoli  a  noi  vicini,  che  delle 
deturpazioni  non  gravi,  l'interno  invece  era  stato  completamente  masche- 
rato, mediante  superfetazioni  goffe;  tanto  da  far  supporre  che  non  re- 
stasse nulla  più  dell'organismo  primitivo. 

Volendo  quel  Rev.mo  Prevosto,  Mons.  Agostino  Desirelli,  ricordare 
con  un'opera  4  decoro  della  Chiesa,  il  centenario  di  S.  Alberto  Quadrelli, 
che  fu  prevosto  di  Rivolta  nel  XII  secolo  innanzi  essere  elevato  alla  sede 
vescovile  di  Lodi,  ne  diede  incarico  alPing.  arch.  Cesare  Nava.  Il  quale 
propose  senz'altro  di  tentare  se  fosse  possibile  un  ritorno  della  Chiesa 
alle  sue  antiche  forme. 

Si  fecero  degli  assaggi,  e  questi  diedero  dei  risultati  superiori  al- 
l'aspettativa. Si  trovò  dapprima,  scrostando  una  lesena  di  una  delle 
navate  minori,  un  capitello  in  ceppo  di  Brembate,  rappresentante  un 
uomo  che  uccide  un  cignale.  Poi,  spogliando  un  pilone,  venne  alla  luce 
uno  di  quel  pili  a  fascio,  che  sono  caratteristici  dell'architettura  lom- 
barda, con  capitelli  ornati  da  aquile. 

Visti  i  risultati  degli  assaggi,  fu  deciso  senz'altro  di  procedere  al 
ristauro. 

Le  superfetazioni  dell'epoca  barocca  e  dei  tempi  a  noi  più  vicini, 
furono  tolte,  e  la  Chiesa  riapparve  in  tutta  la  bellezza  della  sua  originaria 
struttura.  Naturalmente  le  ferite  fatte  in  quell'organismo  non  sono  né 
lievi,  né  poche.  Ma  nessun  elemento  manca  per  poter  procedere  ad  un 
ristauro  sincero. 

La  Chiesa  é  a  tre  navi,  terminate  da  absidi  :  la  nave  di  mezzo  é  di- 
visa in  tre  campate  :  le  due  anteriori  sono  coperte  con  volte  a  crociera, 
sorrette  da  grossi  cordoni  in  pietra  :  la  terza  invece,  che  corrispondeva 


482  APPUNTI  E  NOTIZIE 

all'antico  presbiterio^  è  a  botte.  Le  navi  minori  hanno  pure  volte  a  cm- 
ciera,  ma  senza  cordoni. 

Tutti  i  pili  a  fascio,  come  i  capitelli,  gli  arconi,  gli  squarci  delle  iifr 
stre,  ecc.,  sono  in  ceppo  gentile.  Interessantissimi  i  motivi  deuiuliffi 
dei  capitelli  ;  a  intrecci  di  nastri  e  di  fogliami,  a  figure  d*wiÌMa1i,  £ 
uomini  e  di  mostri. 

Scrostando  le  pareti  ed  i  piloni,  si  trovarono  poi  anche  mxàbt  pittai^ 
per  lo  più,  votive  :  degna  di  menzione,  fra  le  altre,  una  cena  dqpfatta-ad 
coro,  e  di  carattere  arcaico. 

I  lavori  di  ristauro  furono  visitati  dal  Direttore  dell'Ufficio  Rapi- 
nale dei  Monumenti  di  Lombardia,  Arch.  Marietti,  dalPArdi.  Brlinwjt 
dalPAvv.  Romussi,  dal  nob.  Arch.  Bagatti-Valsecchi  e  da  molti  alto 
cultori  d'arte  e  di  storia:  i  quali  tutti  ebbero  a  dichiarare  che  qidli 
Chiesa,  una  volta  ricondotta  alla  forma  originaria,  rappresenterà  0061 
i  più  interessanti  e  completi  monumenti  dell'architettura  lombarda»  1 

/^  Un  agrimensore  cremonese  del  sbc.  XV  :  Lbonaroo  Maouhi 
LA  SUA  OPERA.  —  A  cura  del  professor  M.  Curtze  di  Thom  è  asataor  «a 
alla  luce  nelle  Abhanilungen  tur  GeschichU  éLer  maikemaUscktm  Wìt- 
senssckaften,  Leipzig,  1902,  fase  XII,  p.  339  sgg.,  la  Artìs  M^rkt  Fm^ 
tice  comfUaiio^  importante  trattatello  d'Agrimensura,  scrìtto  odh  1^ 
conda  metà  del  sec.  XV  da  Leonardo  Mainardi,  geometra  e  mrlTaìiti^" 
cremonese.  Di  Leonardo,  quantunque  abbia  goduto  bella  fama,  ad 
campo  della  disciplina  che  professava,  non  si  ha  quasi  veruna  nolilìi; 
che  il  Vida  nelle  Orationes  ben  note  in  lode  di  Cremona,  ed  il  CarildE 
negli  Annales  (questi  sotto  l'anno  1496,  e.  222  B),  stanno  paghi  a  fané 
un  elogio  inconcludente  per  i  termini  vaghi  e  generali  con  cui  viene 
espresso.  D'altro  canto,  né  Domenico  Bordigallo,  che  pur  durò  quaranta 
anni  quasi  a  commemorare  nella  cronaca  sua  quanti  cremonesi  di  qual- 
che conto  scendessero  nella  tomba,  né  Antonio  Campi  nella  Crewuu 
fedelissima  hanno  per  lui  una  parola.  L'Arisi  stesso  nella  Cremona  Vài- 
rata,  dedicando  un  breve  paragrafo  al  Mainardi  (paragrafo  dal  CuztK 
riferito)  non  fa  che  rammentare  il  trattatello  da  lui  dettato,  dichiarandosi 
debitore  di  tale  notizia  alla  erudizione  dell'amico  suo  P.  L.  A.  Cotta  di 
Novara.  Nelle  Inscriptiones  di  Cremona,  messe  fuori  dal  Vairani,  uguale 
silenzio,  benché  d'altri  Mainardi  vi  siano  recati  i  titoli  funebri;  taldiè, 
tutto  sommato,  può  sembrar  lecito  il  sospetto  che  maestro  Leonardo  ab- 
bia trascorsa  l'intera  vita  lungi  dal  suolo  nativo.  Ad  ogni  modo,  conver- 
rebbe istituir  qualch'altra  ricerca  negli  archivi  cremonesi,  prima  tfafier- 
mare  che  i  documenti  ne  sono  del  tutto  muti  intorno  a  lui. 

VArtis  metrice  f  radice  comfilatio  del  Mainardi,  scritta  latinamente^ 
si  rinverrebbe,  a  detta  del  Curtze,  solo  in  due  codici  del  sec.  XV,  già  pro- 
prietà di  Baldassare  Boncompagni,  e  dopo  la  deplorata  dispersione  della 
insigne  biblioteca  del  dotto  principe  romano  passati  nelle  mani  d'un  li- 
braio antiquario  di  Monaco.  A  questi  due  mss.  però  deve  aggiungersene 
un  terzo,  rimasto  ignoto  al  Curtze,  il  quale  si  conserva  nell'Ambrosiana 
di  Milano,  ed  é  certamente  quello  (sebbene  Perudito  professor  di  Tboo 


i 


APPUNTI  E   NOTIZIE  483 

giudichi  diversamente,  p.  341)  di  cui  il  Cotta  diede  ragguaglio  all'Arisi  (i). 
Questo  codice,  una  raccolta  di  trattati  astronomici  e  matematici,  messa 
insieme  da  Bartolomeo  della  Valle,  architetto  della  Camera  ducale  e  sti- 
matore del  comune  di  Milano  (2),  secondochè  più  e  più  volte  si  sotto- 
scrive, ha  per  noi  un  certo  interesse  in  quantochè,  essendo  stato  com- 
pilato Tanno  1485  (3),  ci  dà  prova  come  VArs  metrica  del  Mainardi  fosse 
da  tempo  divulgata,  e  ci  autorizza  quindi  a  creder  che  l'Autor  suo  la 
scrivesse  verso  il  1475  circa. 

Un  quarto  codice,  appartenente  alla  biblioteca  universitaria  di  Gòt- 
tingen  (Cod.  PhiloL  46)  offre  poi  una  traduzione  in  volgare  dell'opera  di 
Leonardo,  notabilmente  ampliata;  ed  è  questa  redazione  appunto  che  il 
Curtze  ha  preferito  mettere  in  luce  in  luogo  del  testo  latino,  perchè  il 
suo  interesse,  sotto  il  rispetto  degli  studi  matematici,  è  più  ragguarde- 
vole. Il  Curtze  non  si  pronunzia  sulla  questione  se  la  versione  debba  cre- 
dersi dovuta  al  Mainardi  o  eseguita  da  un  più  tardo  studioso  (sempre  vis- 
suto però  nel  quattrocento)  :  ed  essa  non  è  difatti  di  agevole  soluzione. 
Lo  spiccatissimo  color  veneto  che  vi  ha  la  lingua  dice  assai  poco,  giac- 
ché in  Cremona,  sullo  scorcio  del  sec.  XV,  si  scriveva  appunto,  come  in 
tutta  l'Alta  Italia,  in  quell'ibrido  linguaggio  letterario,  di  cui  tanti  mo- 
numenti ci  attestano  l'antichità  e  la  pertinacia. 

L'edizione  del  non  agevole  testo  è  stata  condotta  dal  Curtze  con 
molta  diligenza,  ed  è  tale  da  far  onore  non  che  ad  un  matematico,  ad  un 
filologo.  Noi  dobbiam  dunque  professargli  gratitudine  schietta  per  aver 
tolto  dall'obblio  un  documento  cospicuo  della  scienza  lombarda  del  Ri- 
nascimento. F.   N. 

(i)  Siccome  l'Arisi  scrive  che  l'opera  di  Leonardo  a  ms.  Mediolani 
<c  servatur  »  e  il  cod.  già  Boncompagni  303  reca  in  fronte  VEx  libris  di 
(Giovanni  Sitoni  di  Scazia  milanese,  così  il  Curtze  ha  creduta  legittima 
tale  identificazione.  Ma,  com'è  noto  a  quanti  si  sono  occupati  di  studi  cre- 
monesi, tutte  le  notizie  trasmesse  dal  Cotta  nelle  lettere  sue  all'Arisi  so- 
pra scrittori  nati  sulle  rive  del  Po  provengono  dallo  spoglio  de'  mss.  Am- 
brosiani che  l'erudito  novarese  andava  per  suo  conto  rovistando. 

(2)  Il  cod.  segnato  I  253  inf.,  è  cartaceo,  di  fogli  recent,  numer.  118, 
mis.  m.  220  per  314.  Esso  conserva  l'antica  rilegatura  in  assicelle,  le  vec- 
chie guardie  formate  da  due  frammenti  d'un  atto  notarile  del  sec.  XIV. 
Il  Della  Valle  vi  ha  ricopiato  a  nitidi  caratteri  un'Ars  quadrantis  et  eius 
of  eratio  (e.  1  A-ioA),  una  Tabula  ad  sciendum  mensem  diem  et  horam  in- 
troitus  solis  in  quolibet  signo  fatta  nel  132 1  e  postillata  nel  1395  (e.  io  B)  ; 
VArs  metrica  del  Mainardi  (e.  11  A-30  A)  ;  la  Tabula  sinuum  (e.  30  B-33  A) 
ed  i  due  libri  dell'Arythmetica  di  Boezio  (e.  36  A-6q  B).  Da  e.  67  A  a  72  A 
si  han  poi  alcune  Regale  sofra  lo  algibra  muchabile,  ed  il  resto  è  tutto 
bianco. 

(3)  Ved.  a  e.  35  B  sotto  certi  versicoli  l'iscrizione  :  Liber  mei  B,.,,  ar- 
chitecti  et  extimatoris  comunis  Mediolani  scritum  (sic)  anno  domini  1485. 
Così  qui  come  altrove,  un  più  tardo  possessore  del  libro  e  successore  nel- 
l'ufficio del  Della  Valle,  Francesco  Sitoni,  ha  cancellato  il  nome  di  Bar- 
tolomeo per  porre  in  luogo  di  esso  il  proprio  (ved.  e.  i  A,  35  A,  35  B,  118  B)  ; 
ma  non  si  è  avveduto  che  il  Della  Valle  s'era  pur  sottoscritto  a  e.  16A; 
sicché  il  suo  sforzo  di  nasconderci  la  persona  del  copista  e  possessor  primo 
del  volume  è  andato  a  vuoto. 

Arch,  Star.  Lomb.,  Anno  XXTX,  Fase.  XXXVI.  31 


4^  APPUNTI  E  NOTIZIE 


«%    LA  CONCESSIONE  DELLA  TORRE    DELLl MPERATORE  NEL  1489  A  PlEIBO 

Panigarola.  —  Sema  qui  entrare  menomamente  nel  merito  della  quc- 
stione  artistica  se  sia  sufficiente  Tattestazione  espressa  del  Lomazzo,  inci- 
dentalmente affatto,  per  l'assegnazione  a  Bramante  dei  dipinti  recente- 
mente tolti  dalla  casa  Prinetti,  e,  pur  ammesso  che  possano  esser  stid 
ritenuti  eccessivi,  in  mancanza  di  una  precisa  notizia,  i  dubbi  messi  in- 
nanzi  circa  all'essere  la  casa  di  via  Lanzone  n.  4,  di  proprietà  dei  Pani- 
garola anche  prima  della  fine  del  XV  secolo,  crediamo  opportuno  di  for- 
nire qui  appresso,  per  amor  del  vero,  il  testo  della  concessione  stata  fatta 
nel  1489  dal  duca  Giovan  Galeazzo  Maria  Sforza  a  Pietro  Panigarola,  can- 
celliere ducale,  della  torre  dell'Imperatore. 
.  .  Al  ^  ^*        Quella  occupazione  a  titolo  d abitazione  del  vetusto  fortilizio  edifi- 

t<    e  "^    \\  ^  ^ato  in  origine  manifestamente  a  difesa  della  vicina  chiesa  del  naviglio, 

•  •  '      .  benché,  per  la  notorietà  della  famiglia,  abbia  fin  dato  al  ponte  detto  delle 

,       '    ^>ir^^  ■*      Pioppette  il  nome  di  ponte  dei  Panigarola,  come  evincasi  dalle  carte  del 
**   '*^  '  ^..  '.*."-       civico  archivio,  non  esclude  per  sé  che  quella  illustre  prosapia  potesse 
,^  V  -    ''^  ,     j  '^^  avere  in  Milano,  e  così  nell'attuale  via  Lanzone,  altra  casa  di  sua  perù- 

'  *  \         nenza,  e  in  ogni  modo  il  documento  stesso  non  parla  che  di  un  Pietro 

Panigarola,  né  fa  menzione  del  più  celebre  Gottardo,  armigero  del  Duca, 
^  ;  illustrato  da  un  epigramma  di  Piattino  Piatti  e  padre  della  beata  Arcan- 

gela  Panigarola^  cui,  dalle  indagini  del  comm.  Beltrami,  sarebbe  da  ascrì- 
\'    ■         .ic-  *  ^'"-^^'i  vere  l'ordinazione  a  Bramante  degli  affreschi  in  questione. 
^  \  -'  *  '\     . .  I  .  *  •  .   ^  La  torre,  detta  dell'Imperatore,  in  ricordanza  dei  soccorsi  elargiti,  al 


\ .  •  ,-   '-^  •  ' ,        .  » 


v> 


-•  dir  del  Fiamma,  dall'Imperatore  di  Costantinopoli  Emanuele  Comneno 

per  la  ricostruzione  delle  mura  di  Milano  dopo  la  distruzione  del  Barba- 

^    rossa,  non  sorgeva  del  resto  nemmeno  sul  ponte  delle  Pioppette,  ma, 

\:ome  ebbe   a  rilevarsi  dai  disegni  di   Leonardo  pubblicati  dal  Ricbter, 

^voì.  2,  tav.  CIX,  trovavasi  e  si  levava  in  corrispondenzaf  allo  sbocco  di 

via  Vettabbia  colla  via  Molino  delle  Armi. 

Né  va  taciuto  che  il  Calco  ed  il  Sigonio  ritengono  appartenesse  quel- 
Tedifizio  di  difesa  all'epoca  della  costruzione  della  chiusura  della  Vet- 
tabbia, e  che  il  Torre  e  il  Lattuada  lo  vorrebbero  eretto  da  Lodovico  il 
Bavaro,  imperatore  di  Germania,  nel  1328. 

Il  Giulini  ce  ne  lasciò  un  disegno  nella  sua  monumentale  opera;  e 
quell'atto  di  cessione  ad  un  privato,  con  poche  restrizioni,  di  una  torre 
di  difesa  della  città  in  un  punto  strategico  di  somma  importanza,  dinota 
quanto  fosse  ritenuto  lontano,  sotto  il  dominio  sforzesco,  il  pericolo  di 
un'invasione  nemica,  tantoché  spettava  al  Lautrech,  nel  primo  quarto  del 
XVI  secolo,  il  compito  d'avvisare  ai  mezzi  di  rinforzare  per  l'appunto  le 
mura  cittadine,  come  dalla  Relazione  pubblicata  a  p.  292  del  IV  volume 
di  qxiest^Arckirio. 

Da  qualche  accenno  dei  motivi  dell'istanza  può  financo  arguirsi  che 
quelle  concessioni  a  privati  di  torri  e  fortilizi,  venissero  fatte,  più  che 
altro,  a  scopo  di  non  lasciar  deperire  del  tutto  le  costruzioni  che  il  go- 
verno ducale  non  si  curava  nemmeno  di  riattare,  benché  pel  favore  con- 


APPUNTI  E   NOTIZIE  4B5 

cesso  a  Pietro  Panigarola  di  poter  ridurre  a  civile  abitazione  la  torre  del- 
l'Imperatore,  si  tenesse  conto  in  ispecial  modo  dei  servizi  da  lui  resi  cum 
fide  et  integritate  nei  pubblici  uffici. 

Ed  ecco  ora,  senza  ulteriori  osservazioni,  il  documento  in  discorso  : 

«  Concessio  et  seu  donatio  d.  Petri  Panigarole  ducalis  cancellarius 
<c  de  turri  Imperatoris  nuncupata. 

((Johannes  Galeaz  Maria  Sphortia,  Vicecomes,  dux  Mediolani,  Pa- 
«  pie  Anglerieque  comes  ac  Genuae  et  Cremonae  dominus 

((  Cum  nobis  exibita  fuisset  nomine  Petri  Panigarola,  quondam  Hen- 
«rici,  civis  mediolanensis,  cancellarii  nostri  dilecti,  supplicatio  tenoris 
«  qui  subsequitur,    videlicet  : 

((  Ill.mo  Princeps.  Havendo  il  vostro  fìdelissimo  et  devotissimo  ser- 
((vitore  Pietro  Panigarola  veduto  per  Vostra  Eccellenza  essersi  li  anni 
«  prossimi  passati  concesse  diverse  torri  situate  nel  muro  della  sua  inclita 
«  città  de  Mediolano  a  diversi  cittadini,  li  quali  li  hanno  acconze  et  reedi- 
«  ficate  et  fattele  bone  habitatione,  come  quelli  desidereria  anche  lui  far 
«  qualche  cosa  ad  ornamento  de  dieta  città,  essendo  vero  et  bono  cit- 
c(  tadino  ; 

c(  Havendo  avvertito  restare  una  torrazza  situata  fora  della  città  suso 
((  el  muro  dil  fosso  de  fora  de  la  dieta  città,  chiamata  la  torre  dell'Impe- 
«  rotore,  tra  Porta  Ticinese  et  Porta  romana,  dove  passa  sotto  l'acqua 
«  del  Nirone  o  Vedrà,  la  quale  è  disabitata  et  in  processo  de  tempo  me- 
«  nazerà  mina  se  non  lo  provvede  ; 

((  Confidandosi  nella  clementia  et  benignità  de  vostra  Celsitudine,  et 
M  sua  liberalità  eo  maxime  che  di  tale  torre  non  si  cava  utile  aut  emolu- 
«  mento  alcuno  né  è  cosa  dannosa  a  veruno  ;  et  quod  nemini  nocet  et 
«  alteri  prodest  de  facili  concedendum  est  ;  prega  humilmente  et  supplica 
«  dicto  Pietro  vostra  Eccll.  Signoria,  che  se  degnìa  venderli  per  sue  let- 
«  tere  patenti  dieta  torre,  che  possa  habitarla  et  in  quella  fare  quegli 
((  haedifìtii  gli  pariranno  expedienti  per  uso  suo  et  de  suoi  discendenti  et 
«  quibus  dederit,  non  obstante  alcuni  ordini,  statuti  aut  decreti  disponenti 
«  in  contrario,  come  lui  si  confida  in  quella  alla  quale  in  aetemum  se  rac- 
«  comanda. 

((  Inf  ormationes  assumi  mandavimus  litteris  nostris  per  quaestores 
«  nostros  extraordinari os,  an  concessio  et  donatio  que  pctiebatur  fieri 
((  posset,  sine  prejudicio  status  nostri,  intratarum  nostrarum  aut  alicujus 
«  tertii,  a  quibus  relatio  nobis  faeta  est  quae  proxime  describitur. 

((  Ill.mo  Princeps  ac  Eccell.  dominus  dns  noster  Colendissime.  Ve- 
«  strae  illust.ma  dominatio  suis  litteris  diei  2  instantis  mensis,  signatis 
«  B.  Calchus,  nobis  injunxit  ut,  sumptis  opportunis  informationibus,  re- 
«  que  comunicata  cum  Ambrosio  Terrario,  laboreriorum  Ecc.tia  Vestrae 
«  Commissario,  rescribere  debeamus  vestrae  Dominationi  si,  ex  conces- 
«  sione  turris  nuncupatae  Imperatoris  sitae  extra  moenia  hujus  inclitae  ci- 
((vitatis  Mediolani,  quam  a  vestra  Dominatione  dono  petiit  Petrus  Pani- 
«garola,  Ecce  Vestrae  Cancellarius,  allaturum  esset  praejudicium  statui 
«et  intratis  Vestrae  Dominationis  et  alieni  privato,  prò  eujus   quidem 


4^6  APPUNTI   E    NOTIZIE 

«  commissionis  cxccutione,  et  si  nobis  omnibus  noti  ossei  res.  cum  ipsam 
«turrim  sacpe  numero  viderimus;  tamen  ut  dilij^^c  :.tius  consideraretur, 
«  nonnulli  ex  nobis  super  loco  se  receperunt  reque  oculis  subjecta  retu- 
«  lerunt  nobis  corum  apparcre,  comunicatoque  etiam  negotio  cum  ipso 
«  Ambrogio  in  hanc  sententiam  devcnimus  et  ita  referimus  Vestrae  Ec- 
cccell.tiae  dictam  conccssionem  posse  fieri  ubsque  prejudicio  status  ejus- 
«  dem,  stantibus  rebus  dominii  vestri  prout  de  presenti  stant  :  et  quod 
«  non  adhibeatur  ipsi  turri  aliquod  novum  haedifitium  ex  quo  fortilitium 
c<  censeatur  aut  fortificaretur,  et  non  possit  aliqua  porta  seu  hostium  fieri 
c(  in  pariete  construendo  versus  fossam  Mediolani  seu  navigium,  intratis 
«  vero  non  esse  plus  praejudicium  allaturum,  ut  ex  sostis  et  turriculis 
«  multis  concessis,  alicuique  privato  dieta  concessi©  non  affert  praeju- 
<c  dicium  ut  ex  informationibus  habitis  nobis  videtur.  Disponat  nunc  Vestra 
c(  Dominati©  prò  libito  voluntatis  suae  cui  humiliter  remìssionem  nos 
«  commissos  facimus.  Datum  Mediolani,  die  29  Mai  1489  et  inclita  Do- 
«  minationis  Vestrae  fidelcs  servi,  magistri  intratarum  extraordinarìonim, 
«  V.e  Ecc.ae  :  signatum  Bernardinus. 

{A  tergo)  «  lll.mo  et  Ex.mo  dno  d.  dux  Mediolani  et  dno  nostro  co- 
u  lendiss.mo.  Quare  cognitis  rei  qualitatc  et  petcntis  animo  qui  civilem 
«  domum  hacdificare  intendit  ex  quo  civitas  ornatior  ac  pulchrior 
«  reddetur,  eo  libentius  ad  sibi  complacendum  raovemur,  et  in  euxn 
c(  liberalitate  utcndum  ac  munificentia  quem  cum  cxperti  in  rebus 
«  status  nostri  sempcr  probe  se  gessisse  novimus,  summaque  cum  fide  et 
«  integritate,  induccntibus  igitur  nos  virtutibus  ejus,  tenere  praesentìum 
«  et  certa  sciontia  ;  et  de  nostra  potcstatis  plenitudine  eidem  Petro  Pani- 
ci garola  damus,  concedimus  et  donamus  prò  se,  haeredibu*?,  successori- 
((  busquc  suis  et  (juibu^  dcdc  rit,  turrim  nuncupatam  Imperatoris,  jitam 
«  extra  mocnia  civitatis  nostrae  inclitae  Mediolani  super  muro  fossae 
«  civitatis,  intra  portam  ticincnsem  et  portam  romanam,  sub  qua  decurrit 
((  a(  cjua  Nironis  seu  \'cpra,  cum  ejus  loto  situ  ;  et  haedifitio  cum  aucto- 
«  ritate,  arbitrio,  facultate  (!t  ])otestate  turrium  ipsam  apprehendondi,  ac 
«  ea  gaudendi  ut  supra,  in  eacjue  fatiendi  et  haeditìcandi  cjuidrjuid  sibi 
«  libuerit  prout  jìresentem  donationcm  poteramus  et  potuissemus,  ali- 
ce quibus  ordinibus.  statutis,  legibus  et  decretis  in  contrarium  fatientibu-^ 
<(  non  attentis,  quibus  quo  ad  hoc  tontum  ex  certa  scicntia  et  de  nostra 
((  potestatis  plenitudine  derogamus   et  dcrogatuni  esse  volumus. 

{(  Declarantes  tamen  cjuod  in  ea  turri  haedifitia  non  con<"truat  nova, 
«  que  propugnacula  vocitantur  aut  ipsa  fortilitium  efficiatur.  sed  civilem 
«  habitationem,  quodquc  in  muro  construendo  versus  civiiatem  in  rippi? 
«  fossae  <eu  navigii  hostium  aliquid  dimittere  non  valeat  seu  aperire, 

((  Mandantcs  magistris  Intratarum  nostrarum  extraordinariarum  et 
«  Vicario  ac  duodecim  Provvisionum  Communis  nostri  Mediolani.  et  5Ìn- 
«  dicis  ut  has  nostras  concessionis  et  donationis  litteras  observent  et  fa- 
ce tiant  ab  aliis  obscrvari,  nec  eontra  eas  t[uidam  attentari  presumat,  sub 
«  indignationis  nostrae  poena,  in  quarum  testimonium  praesentcs  fieri 
ce  jussimus  et  registrari,  nostricjue  sigilli  munimine  roborari. 


APPUNTI   E   NOTIZIE  487 

«Datum  Viglevano  die  sexto  Novembris  anno  MCCCCLXXX  nono, 
«signat.  nostro  B.  Calcho  et  sigillante  sigillo  seu  apprensione  soliti  sl- 
«gilli  ducalis  in  cera  alba  more  consueto  ». 

Diego  Sant'Ambrogio. 

/,  Divorzio  e  matrimoni  forzati.  —-  Del  divorzio  in  Piemonte  nel 
Medio  Evo,  se  riconosciuto  ufficialmente  dalla  Chiesa,  ha  scritto  il  Ga- 
botto  producendo  documenti  inediti,  nella  Rassegna  Internasionale  di 
Roma  (i®  maggio  1902).  Per  Novara  possiamo,  a  nostra  volta,  oflFrirne 
uno  dell'anno  15 18,  traendolo  dall'Archivio  Trivulzio.  E'  dei  20  die*  di 
quell'anno  la  sentenza  di  Cristoforo  de  Toriano  e  Gio.  Battista  Nibbia, 
canonici  della  cattedrale  di  Novara,  delegati  apostolici,  a  favore  di  don 
Giovanni  della  Silva  fil.  del  quondam  Cristoforo  di  poter  contrarre  nuovo 
matrimonio  con  altra  donna,  annullato  il  suo  precedente  con  Elisabetta 
da  Ponte  come  da  sentenza  di  divorzio  pronunciata  ai  7  aprile  15 14  da 
Ottaviano  della  Porta,  vicario  vescovile  di  Novara  e  delegato  aposto- 
lico (i).  Famiglie  storicamente  celebri  nell'Ossola  quelle  dei  della  Silva  e 
dei  da  Ponte  I 

Nel  quattrocento -esempi  numerosi  di  matrimoni  forzati  dichiarati 
tali  per  deposizioni  avanti  notajo.  Cosi  ai  23  gennaio  1438  la  nobildonna 
Antonia  da  Marano,  figlia  del  qd.m  Giovanni,  già  cittadina  di  Parma,  e 
dimorante  a  Milano,  in  P.  Nuova  nella  parrocchia  di  S.  Eusebio,  pro- 
testava dinnanzi  al  notaio  Giovanni  da  Roncate,  di  essere  la  moglie  del 
nobile  Giovanni  Simone,  figlio  del  medico  ducale  Gio.  Marco  de'  Pal- 
menghi,  e  che  se  «  contraxit  matrimonium  cum  Comite  Angelo  de  Sancto 
«  Vitali,  civi  Parmensi,  »  o  con  altro,  u  dictum  matrimonium  non  fuit 
«  spontaneum,  nec  voluntarium,  sed  meticolosum,  violentum  »  2). 

Dei  3  giugno  1465  è  la  delegazione  da  parte  del  nobile  Pietro  da 
Landriano,  ducale  cameriere,  e  figlio  emancipato  di  Accursio,  in  P.  Co- 
masina,  parrocchia  di  S.  Cipriano,  nei  suoi  fratelli  fra  Giacomo,  prevo» 
sto  della  casa  umiliata  di  Viboldone,  Francesco,  Antonio,  Agostino  e 
Battista  da  Landriano,  a  comparire  dinnanzi  al  Vicario  Arcivescovile  ed 
al  Primicerio  del  Duomo  per  attestare  e  notificare  «  se  fuisse  violenter 
«  detentum  et  tamquam  in  privatis  carceribus  inclusum  »  nella  casa  d'abi- 
tazione dei  fratelli  Giovanni  e  Francesco  Orombelli  a  ad  hoc  ut  duxerit 
((  in  uxorem  quamdam  Antoniam  que,  ut  dicitur,  habitabat  in  domo  die- 
te tonim  de  Honimbellis  »  ;  che  egli  per  timore,  e  per  le  percosse  e  ferite 
ricevute  «  ducere  promisit,  protestans  se  nolle  illam  haberc  prò  uorxe  »  (3). 

E.  M. 


LIBRI  DI  ABBREVIATURE.  —  Nel  fasc.   I-II   1902    della  Bibliothè- 
que  de  VEcole  des  chartes,  il  prof.  H.  Omont  ha  riprodotto   a  fac-si- 

(i)  Araldica;  famiglie  diverse  :  Silva,  cartella  n.  141. 

(a)  Rogito  notaio  Giov.  da  Roncate,  in  Cod.  Triv.  n.  1817,  fol.  2421. 

(3)  Rogito  notaio  Maffeo  Suganappi,  in  Cod.  Triv,  1820,  fol.  481  IH. 


488  APPUNTI  E   NOTIZIE 

mik  un  piccolo  lessico  d'abbreviature  latine  stampato  nel  1 554  in  Brescia 
e  ch'egli  considera  come  il  più  antico  lessico  che,  suH'imitazione  dei  nu- 
merosi e  antichi  testi  d'abbreviature  giuridiche  (ad  es.  il  divulgads- 
simo  Modus  legendi  abrevialuras  in  uiroque  jure,  ch'ebbe  68  edizioni  dal 
XV  al  XVII  secolo),  siasi  composto  a  scopo  puramente  paleografico  e  per 
uso  dei  lettori  novizi. 

Trattasi  della  Kegoletta  nella  qual  troverai  ogni  sorte  de  abbrevta- 
ture  usuale.  Et  allo  incontro  de  tutte  le  farole  abbreviate  haverai  esse 
farole  destinate  per  ordine  de  alfhabeto,  stampato  in  8  carte  in  4*  pic- 
colo a  2  colonne  dai  fratelli  Damiano  e  Giacomo  Filippo  Zurlini.  Stando 
all'illustre  bibliografo  francese  un  solo  esemplare  si  conoscerebbe,  quello 
della  Nazionale  di  Parigi  :  aggiungiamo  qui  volontieri  che  ne  possiede 
copia  anche  la  Trivulziana  (Fondo  Belgioioso,  n.  4313).  Ma  l'esemplare 
trivulziano  della  «  Regoletta  »  è  rilegato  col  DlCTlON.\Rio,  o  meglio  aWx- 
cedario,  Ofera  di  Giovanbattista  Verini  Fiorentino  in  la  quale  si  conitene 
tutti  li  nomi  masculini  e  feminini  di  tutte  quante  le  cose  del  .  jndo  wr 
e  morte  in  lingua  Toscka,  stampato  nel  1532  dal  noto  tipografo  Gottardo 
da  Ponte  in  Milano,  presso  cui  abitava  l'autore,  conosciuto  per  altri  con- 
simili lavori.  La  penultima  pagina  di  questo  curioso  opuscolo  offre  le 
«  Abreviature  che  si  trovano  nelli  libri  con  la  dechiaratione  »,  un  gruppo 
di  81  da  «  antiphona  »  a  «  Christe  »  e  che  voglionsi  segnalare  comecbè 
precedenti  di  due  anni  quelle  esposte  nella  «  Regoletta  »  bresciana  fat- 
taci gustare  dal  prof.  Omont. 

/^  K"  uscita  or  ora  in  luco  la  jìartc  prima  del  tomo  XXXI  degli  Scnp- 
torcs  rerum  germanicarum,  una  delle  sezioni  in  cui,  come  i  lettori  b«?n'r 
sanno,  vanno  divisi  i  Monumcftta  Gcmianiae  historicaj  ed  essa  contim'' 
tra  varie  cronache,  italiane  tutte  d'origine,  talune  opere  le  quali  ot- 
frono  un  interesse  peculiarissimo  per  la  Lombardia.  Vi  troviamo  difam 
ristampati  da  O.  Holdcr-Egger  gli  Annales  Crewnnenses,  la  Sicardi  e-pi- 
scopi  ('roìiica,  da  tanto  tempo  desiderata,  con  la  continuazione  fino 
al  121S  e  raggiunta  fino  al  1222,  gli  Atiuales  lU^rgoniates,  gli  Annala 
Ber  (pomate  s  brcvcs^  ecc..  Daremo  tostochè  ci  sarà  possibile  una  r\'  u- 
sione  dell'importante  pubblicazione  :  la  Cronaca  di  Sicardo  essendo  ?t3U 
infatti  una  d«'ll(!  fonti  a  cui  più  largamente  attinsero  gli  "Storiografi  'cl  1 
croni>ti  lombardi  de'  sec.  XIII  e  XIV. 

,*^  Per  fr staggiare  le  fauste  nozze  Galimberti-Schanzer,  seguite  in 
Roma  il  iS  ottobre  1902,  il  prof.  Adolfo  Cinquini  ha  dato  in  luce  in  el- 
gantis^ima  (dizione  di  soli  100  esemplari  alquante  lettere  fiji  qui  inedit' 
dell'umanista  milanese  Pier  Candido  Decembrio,  le  (juali  giovano  ad 
illustrare  sempre  meglio  la  storia  delTumanesimo  in  Lombardia  durante 
la  prima  metà  del  sec.  XV.  Daremo  in  un  de'  prossimi  fascicoli  più  at  cu- 
rata notizia  dell'importante  pubblicazione. 


APPUNTI  E   NOTIZIE  489 


/^  Il  chiaro  avv.  conte  Girolamo  Secco-Suardo,  che  spende  i  giorni 
della  sua  verde  vecchiezza  nelPillustrare  con  affezione  di  figlio  le  memorie 
della  propria  città  natale,  ha  testé  pubblicato  per  le  stampe  (OflScine  del- 
l'Istituto Italiano  d'Arti  Grafiche,  Bergamo,  1902,  pp.  24),  alcuni  <c  ap- 
punti M  sul  Lo  sgombero  iella  suffellettile  libraria  inutile  dalle  biblio- 
teche pubbliche  e  la  Biblioteca  civica  di  Bergamo. 

Prendendo  le  mosse  dal  progetto  di  legge  presentato  dal  ministro 
Nasi  alla  Camera  dei  deputati  il  26  aprile  1902,  per  provvedere  a  sgra- 
vare la  Braidense  di  Milano  dall'immane  pondo  di  vecchi  libri  e  recen- 
tissimi stampati,  inutili  agli  studiosi,  il  Secco-Suardo  esprime  il  voto  che 
anche  a  Bergamo  si  provveda  a  sgombrare  dal  soverchio  ammasso  di 
volumi  che  vi  si  son  venuti  accatastando,  le  sale  del  Palazzo  Vecchio, 
destinate  ad  accogliere  la  civica  biblioteca,  cosicché  si  possano  nel  ve- 
tusto edificio  eseguire  de'  restauri  non  men  necessari  che  decorosi. 

Egli  coglie  in  pari  tempo  l'occasione  per  ritornare  sopra  taluni  sog- 
getti già  trattati  nel  suo  libro  da  noi  ultimamente  analizzato  (cfr.  Archi- 
vio, XXIX,  419)  ed  aggiungere  nuovi  elementi  alla  storia  del  palazzo,  che 
è  ornamento  precipuo  della  magnifica  piazza  bergamasca. 

♦*»  Segnaliamo  la  comparsa  del  I  fase,  del  Diaionario  tofografico 
storico-bibliografico  dei  Comuni  e  delle  Fraaioni  del  Regno  d'Italia  per 
cura  di  Armando  Ferrari  (Milano,  Libreria  editrice  nazionale,  34  Via  Bu- 
rini, in-8®  gr.,  pp.  XVl-i6).  Il  Dizionario,  che  si  comporrà  di  io  volumi  di 
circa  500  pagine  cadauno,  stampati  a  2  colonne,  intende  di  provvedere  di 
una  guida  sicura  che  faccia  conoscere  le  condizioni  geografiche,  etno- 
grafiche; la  viabilità,  i  mezzi  di  comunicazione;  le  dipendenze  rispetto 
allo  Stato,  alla  Provincia,  al  Circondario,  al  Mandamento;  la  circola- 
zione ecclesiastica;  i  risultati  dei  censimenti  1871,  1881  e  1901;  la  storia 
e  la  bibliografia  storica  statutaria  dei  Comuni  e  delle  frazioni  di  Comuni. 
Il  fascicolo  comparso  informa  intomo  a  :  Abbadia  Cerreto,  Abbadia  so- 
fr^Adda,  Abbazia  (frazione  di  Sesto  Calende),  Abbiate  grasso,  Abbiate- 
guazzone. 

/^  Indici  del  casali s.  —  Non  v'ha  studioso  di  cose  storiche,  spe- 
cialmente Piemontesi  e  Lombarde,  a  cui  non  sìa  noto  il  Dizionario  sto- 
rico-geografico degli  Stati  Sardi  del  Casalis,  che  non  se  ne  sia  servito, 
e  che  non  riconosca  in  quale  pregio  anche  al  giorno  d'oggi  si  debba  te- 
nere, per  la  sua  indiscutibile  utilità.  Ma  esso  mancò  finora  di  un  Indice 
generale  analitico  che  rendesse  le  ricerche  per  consultazioni  di  esito  im- 
mediato. Ora  ci  piace  annunciare  che  quest'Indice,  a  cura  di  L.  De  Mauri, 
vedrà  la  luce  presso  la  Libreria  antiquaria  patristica  (Via  XX  Settem- 
bre, 87),  di  Torino.  Darà  luogo  ad  un  volume  in-8®,  cui  saranno  premessi 
brevi  cenni  sulla  Vita  del  Casalis  ed  il  suo  ritratto.  Prezzo  pei  sottoscrit- 
tori L.  7.  Quest'intrapresa  non  può  che  trovare  benevola  accoglienza 
presso  gli  studiosi. 


4S^  Appunti  E  lionzft 

^%  Congresso  internazionale  di  scienzb  storichs  im  Roka.  —  Pob- 
blichiamo  qui  il  Regolamento  del  Congresso  che^  come  è  sttto  detto  al- 
trove (v.  Atti  deUa  Società,  p.  506  di  questo  fase)  si  territ  m  RonA 
il  prossimo  mese  d'apiile: 

Art.  i.  Il  Congresso  intenuudonale  di  sdenie  storidie  stri  ttmno  la  Jtoni 
fra  i  cnltori  di  esse  sdenze  ndla  prima  metà  dell'aprile  dèlTaimo  1901. 

Art.  2.  Per  essere  iscritti  membri  del  Congresso  i  cultori  ddk  aci« 
storiche  devono  inviare  l'adesione  alla  sq^reteria  dd  Comitato  nàtaneDat  aOa 
quota  d'iscrizione. 

Art.  3.  Gli  aderenti  al  Congresso  indidieranno  la  seaioiie  o  le  fedoni  oda 
quali  intendono  iscrìversi 

Essi  possono  intervenire  in  qualunque  ddle  seriooi  dd  CongicMo;  ma  aoa 
hanno  diritto  di  voto  che  in  queUe  neUe  quali  si  .sono  regotanneBie  iacriiti,  e 
ndle  riunioni  generali.  ^ 

Art.  4.  I  membri  del  Congresso,  pagata  la  quota  d' iacrizioiiey  rioevcnow 
la  tessera  di  riconoscimento,  il  programma  dd  Congresso,  i  ^^^atm^m^  ^  |e 
ftcflitaiioni  di  viaggio,  ecc. 

Essi  hanno  diritto  di  presentare  prqxMte  di  tenti  e  oonumicadooi  (da  so^ 
toporsi  all'approvazione  deUa  presidenza),  di  prendere  parte  alle  ^'•r^wiiTrf  e  A 
ricevere  i  resoconti  ddle  sedute  dd  Congresso  che  verranno  pobblicatL 

Art.  5.'  Le  proposte  de'  temi  e  ddle  comunicaiioni  devono  esMre  ptcsBattse 
almeno  entro  il  15  febbraio  1903. 

Per  lo  svolgimento  ddle  comunicazioni  è  stabilito  il  limite  di  venti  ndmtf; 
e  i  membri  dd  Congresso  che  prenderanno  parte  alla  discussione  sopra  levnìe 
questioni  non  potranno  parlare  die  una  sola  volta  suU'aigomento  stesso,  e  per 
non  più  di  died  minuti. 

Le  comunicaiioni  non  sono  sottoposte  a  discussione,  la  quale  è  rìserratt 
soltanto  per  i  temi. 

Art.  6.  In  ogni  adunanza  si  dovranno  trattare  unicamente  gli  argomenti 
compresi  neirordine  del  giorno,  escludendo  assolutamente  qualsivoglia  digressione 
dMndoIe  personale  o  politica. 

Art.  7.  Le  adunanze  del  Congresso  sono  generali  e  spedali. 

Nelle  generali  si  trattano  le  questioni  attinenti  a  tutte  le  sezioni. 

Art.  8.  Per  essere  ammesso  alle  sedute  occorre  presentare  la  tessera. 

Art.  9.  Nella  prima  adunanza  si  eleggeranno  da  mtti  i  congressisti  pit- 
senti  un  presidente,  quattro  vicepresidenti,  due  segretari,  e  quattro  vicesegretari 
del  Congresso. 

Ogni  sezione  nominerà  nel  proprio  seno  un  presidente,  tre  vicepresidenti,  e 
tre  segretari. 

Qualora  la  sezione  debba  dividersi  in  gruppi,  ciascuno  di  questi  sarà  diretto 
da  un  proprio  vicepresidente  e  da  due  segretari. 

Art.  io.  La  lingua  ufficiale  del  Congresso  è  l' italiana  ;  ma,  col  consono 
della  Presidenza,  i  congressisti  potranno  usare  di  altre  lingue. 

Art.  II.  Di  tutte  le  comunicazioni,  a  cura  degli  autori  o  proponenti,  sarà 
immediatamente  presentato  alla  segreterìa  delle  sezioni  un  sunto. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  49I 

Art.  12.  Di  ogni  adunanza  del  Congresso,  a  cura  dei  segretari,  sarà  tenuto 
regolare  e  ampio  processo  verbale. 

La  presidenza  provvederà  a  pubblicare  tutti  i  verbali  e  resoconti  sommari 
delle  comunicazioni  e  delle  sedute  del  Congressa 

Le  sezioni,  in  cui  il  Congresso  si  divide,  sono  ora  ridotte  ad  otto 
e  cioè  : 

L  Storia  Antica  —  Epigrafìa  t—  Filologia  classica  e  comparata. 
II.  Storia  medioevale  e  moderna  —  Metodica  e  scienze  ausiliari, 
in.  Storia  delle  letterature. 

rV.  Archeologia  e  numismatica  —  Storia  delle  arti. 
V.  Storia  del  diritto. 

VI.  Storia  della  geografìa  —  Geografìa  storica. 
VII.  Storia  della  filosofìa  —  Storia  delle  religioni. 
Vili.  Storia  delle  scienze  matematiche,  fìsiche,  naturali  e  mediche. 

NB,  In  relazione  al  numero  degl'iscritti  e  dellle  comunicazioni,  le  se- 
zioni potranno  essere  suddivise  in  gruppi  distinti. 

L' indirizzo  del  Comitato  direttivo  del  Congresso  è  il  seguente  :  Via  del 
Collegio  Romano,  26,  Roma.  —  La  quota  d'iscrizione  rimane  pur 
sempre  fìssala  in  lire  dodici. 

,%  EIrrata-corrigb.  —  Nel  fase.  XXXIV,  a  p.  362,  la  3.*  linea  va 
sostituita  con  questa: 

linea  di  nomi  francesi  e  provenzali  come  Amilly,  Milltau,  ma  po- 
^  P*  363»  Ilota  2,  linea  x.*:  per  autografo  leggi  originale. 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


Adunanza  generale  del  giorno  21  dicembre  1^02. 
Presidenza  del  Presidente  prof.  F.  Novati 

La  seduta  si  apre  alle  ore  14  colla  lettura  ed  approvazione  del  pro- 
cesso verbale  della  precedente  adunanza.  Il  Presidente  commemora  i 
soci  defunti  nell'ultimo  semestre,  senatori  principe  Gian  Giacomo  Tri- 
vulzio  e  duca  Guido  Visconti  di  Modrone,  conte  Francesco  Albeitoni-Pi- 
cenardi,  contessa  Carolina  Sormani  Andreani  Verri  e  senatore  Gaetano 
Negri. 

((  Chi  di  mezzo  al  solenne  silenzio  della  campagna  romana  percorra 
la  Via  Appia,  man  mano  che  si  dilunga  dalle  mura  della  città  etema,  vede 
con  meraviglia  ai  lati  del  cammino,  un  di  frequente  tanto  di  passeggen. 
oggi  perennemente  deserto,  affollarsi  sempre  più  numerose  le  tombe.  Co*i. 
ove  il  paragone  mi  sia  concesso,  quanto  più  noi  avanziamo  negli  anni. 
scorgiamo  spesseggiarci  dintorno  da  tutto  le  parti  i  sepolcri  ;  sepolcri  ia- 
grimati,  dove  scendono  gli  uni  appresso  gli  altri  i  parianti,  i  maf-tri.  . 
compagni  dett'età  ])rima,  i  confidenti  della  balda  giovinezza,  gli  ami-. 
della  pensosa  maturità.  Ed  ogni  giorno  che  passa  si  porta  via  colla  viiu 
altrui  un  brandello  pur  della  nostra  ;  ond'avviene  che  ci  si  vada  così  avvi- 
cinando al  pa'iso  estremo  senza  soverchio  rimpianto,  poiché  di  noi  gii 
gran  parte  è  perita,  e  quel  che  ci  sta  dintorno  appare  agli  affaticati  nucv  . 
indififercnte,  straniero. 

«  Perdonatemi,   o   signori,    la  mestizia  di  (juesto    esordio.   Ma  non  '■: 
dessa  un  naturale  portato  delle  odierne  circostanze  ?  Anche  nell'anno  eh 
sta    ])er   ^pegner>;i   (juanti    commilitoni   disertarono    le    nostre    file,    iibb 
dienti  all'apprllo  inevitabile!  1  vuoti  son  molti  e  tali  da  non  potersi  col- 
mare.  Come  disparve  dopo  lunghe   sofferenze  I-uigi  Allx*rto   Ferraj.  "^ 
con  indefes'^o  zelo  aveva  atte^^o  ad  illustrare  le  fasi  più  remote  della  -t< 
ria  ('(  clesia^tica  e  comunale  milanese,  ci  hanno  per  sompro  abbandona:: 
due  cospicui  rapprest^ntanti  di  quelTeletta  aristocrazia  cittadina,  che  vani.- 
tradizioni  così  onorevoli  di  scienza  e  d'amor  patrio  :   Gian   Giacomo  Tr 
vulzio,  (juido  Visconti  di  Modrone.  E  dopo  di  loro  è  disceso  colà  une 
niuno  ritorna,  non  grave  d'anni,    il  discendente  d"un  vecchio  cr'pp»  p 


I 


ATTI   DELLA  SOCIETÀ   STORICA   LOBIBAROA  493 

trizio  cremonese,  il  conte  Francesco  Albextoni-Picenardi  di  Macherio; 
ultima  una  dama  che  alla  mente  de'  concittadini  suoi  rievocava  ancora 
con  realtà  quasi  inaspettata  un  passato  oramai  molto  remoto  :  la  con- 
tessa Carolina  Sormani-Andreani,  figlia  di  Gabriele  Verri,  in  cui  finisce 
la  casa  insigne  nella  storia  nostra  per  nobilissimi  fasti. 

«  Ma  una  perdita  più  che  altra  dolorosa  a  rammentare  è  quella  a 
cui  Voi  tutti  rivolgete  già  in  quest'istante  il  pensiero,  precorrendo  quasi 
il  mio  dire.  Al  necrologio  triste  manca,  pur  troppo,  un  nome  ancora,  e 
qual  nome  I  —  quello  di  Gaetano  Negri.  Come  potremo  scordar  noi 
mai  l'ineffabile  ambascia  onde  fummo  sorpresi,  quando  con  brutale  con- 
cisione tin  telegrafico  annunzio  ci  fece  noto  aver  egli  rinvenuta  la  morte 
in  una  piacevole  passeggiata,  percotendo,  a  cagione  d'improvvisa  caduta, 
sopra  un  sasso  insidioso  il  venerato  suo  capo  ?  Fu,  innanzi  tutto,  un 
istintivo  senso  d'incredulità  che  ci  invase.  Com'era  possibile  I  Morto  Gae- 
tano Negri  ?  Ma  se  l'avevamo  veduto  pochi  giorni  innanzi,  richiamato  in 
città  dalle  elezioni  amministrative,  sbrigar  colla  festosa  alacrità  consueta 
cento  faccende,  presiedere  una  seduta,  dettare  un  articolo,  foggiare  una 
epigrafe;  quasi  rifatto  più  robusto  di  corpo  e  di  intelletto  dalla  vita  li- 
bera e  lieta  menata  durante  qualche  settimana  coi  cari  suoi,  in  riva  al 
mare,  in  communione  con  la  natura  di  cui  sempre  ricercava,  insaziabile 
nel  desideiio,  gli  spettacoli  grandiosi  ? 

«  Così  era  pur  troppo.  Ed  il  dolore  che  dinanzi  al  lutto  improvviso 
strinse  tutti  quanti  in  Italia  serbano  fede  ancora  alla  dignità  del  carattere, 
all'altezza  dell'ingegno,  ingombrò  più  forte  noi  della  Società  Storica 
Lombarda,  avvezzi  a  vederlo  comparir  sempre  con  agile  andatura,  con 
benevolo  sorriso  sul  labbro,  in  cotest'aula,  tosto  che  la  Presidenza  chia- 
masse i  soci  a  raccolta.  Da  più  anni  non  mancava  mai  ad  alcuna 
seduta  ;  né  v'era  volta  ch'ei  non  prendesse  la  parola  per  propugnare  una 
idea,  buona,  generosa,  per  impedire  che  un  atto  inconsulto  si  compiesse, 
che  altre  iatture  s'aggiungessero  a  quelle  dalle  memorie  cittadine  già 
patite.  Ed  egli  parlava,  in  mezzo  alla  riverente  attenzione  nostra,  con 
quel  suo  fluido  linguaggio,  bonario  si,  ma  castigato  sempre  e  preciso, 
quell'eloquenza  spontanea  e  semplice,  di  cui  possedeva  il  segreto,  rav- 
vivandola coll'opportuna  facezia,  col  frizzo  arguto  e  cortese,  che  stimo- 
lava l'interesse  e  provocava  l'assenso.  Ei  difese  qui  la  Pusterla  de'  Fab- 
bri ;  parlò  concitato  a  tutela  delle  colonne  di  san  Lorenzo  ;  plaudì  soddi- 
sfatto —  non  sono  ancora  trascorsi  da  allora  dieci  mesi  !  —  ai  fortunati 
tentativi  di  serbare  incolume  san  Raffaele. 

«  Giovenilmente  vigorosa,  la  voce  sua  calda  e  sonora  ci  additava  in 
ogni  circostanza  la  via  più  breve,  l'espediente  più  sicuro  ;  era  una  gioia 
per  noi  metter  mano  a  quelle  imprese  che  la  geniale  sua  sagacia  avesse 
giudicate  meritevoli  d'approvazione. 

«  Questo  sincero  interesse  onde  Gaetano  Negri  fu  mai  sempre  largo 
verso  la  Società  nostra,  traeva  il  primo  e  precipuo  suo  fondamento  dal- 
l'amore intenso  ch'ei  nudriva  per  la  città  natale.  Era  quello  ch'ei  provava 
per  Milano  un  affetto  di  figlio  insieme  e  d'amante  :  un  affetto  quale  può 


494  A*^^   DELLA   SOCIETÀ  STORICA   LOMBARDA 

accoglier  in  cuore  soltanto  chi  Tabbia  ereditato,  quasi  domestico  patri- 
monio, dagli  avi  che  lo  coltivarono  per  secoli  con  ingenuo  orgoglio  ed 
indelebile  fede  ;  un  afpetto,  che  fin  dai  primi  suoi  anni  fiammeggiava  tanto 
in  lui,  da  indurlo  a  definirsi  «  un  individuo  che  mai  non  si  potrà  awez- 
«  zare  alla  lontananza  dalla  sua  diletta  guglia  del  Duomo  n.  Affezioni  di 
sifatta  natura  possono  talvolta,  se  non  traviare  il  giudizio,  renderlo  un 
poco  angusto  e  meschino  :  ma  tale  non  era  davvero  né  avrebbe  potuto  mai 
essere  il  caso  pel  Negri.  Già  da  tempi,  che  a  molti  paiono  dilungarsi  e 
svanire  quasi  nel  buio  del  passato  ;  poiché,  pur  troppo,  la  vita  non  corra 
oggi,  bensì  precipita  ;  ed  in  un  lustro  s'avvicendano  più  mutazioni  che  noa 
si  verificassero  altra  volta  in  un  quarto  di  secolo  ;  egli  aveva  intuito  con 
mirabile  lucidità  di  visione  l'avvenire  che  attendeva  Milano  :  e  s'era 
sforzato  di  far  sì  che  la  <(  gran  villa  n  si  preparasse  a  sostenere  degna- 
mente quella  parte  di  metropoli  della  Lombardia  redenta,  a  cui  doveva 
fatalmente  risalire  dopo  il  lungo  sonno,  nel  quale  l'avevano  sommersa 
le  tirannie  domestiche  e  le  forestiere.  Non  occorre  certo  ch'io  mi  dilun- 
ghi qui  a  rammentare  quanto  a  tutti  Voi  è  ben  noto  :  come  Gaetano  Nfr- 
grì,  dedicando  la  miglior  parte  della  sua  vita  al  bene  di  Milano,  abbia, 
con  ardimento  sapiente  raggiunto  l'intento,  indirizzandolo  sulla  via  di 
un  infaticabile  progresso.  Lasciamo  che  le  furibonde  passioni  si  calmino, 
che  sulle  misere  gare  intestine,  a  cagion  delle  quali  «  non  stanno  sena 
«guerra  li  cittadini  della  città  partita», 

e  riin  l'altro  ai  rode 
Di  que'  che  un  muro  ed  una  fossa  serra  ; 

trascorra  purificatrice  Tala  del  tempo.  La  storia,  imparziale,  ridirà  un 
giorno  i  meriti  insigni  del  Negri,  del  «  primo  cittadino  di  Milano.  })e: 
«  tale  considerato  da  tutta  Italia,  come  fu  giustamente  asserito,  dopo  la 
«  morte  di  Alessandro  Manzoni  »  :  ella  rimetterà  in  j)iena  luce  il  solido 
monumento,  su  cui  l'estinto  illustre  ha  saputo  incidere  il  proprio  nuoir. 
e  contro  il  quale  vanamente  l'invidia  esercita  tuttora  le  unghiate  >uf 
mani  ed  il  dente  avvelenato. 


* 


((  Nel  cuore  di  Gaetano  Negri,  cresciuto  in  mezzo  a  quel  m^ico  ri- 
sveglio di  tutto  un  popolo,  onde,  miracolo  nuovo  ed  insperato,  vennero 
a  rinsaldarsi  ed  a  fondersi  in  compagine  indissolubile  le  membra  spary 
d'Italia,  la  tenerezza  per  il  luogo  nativo  non  seppe  però  scompagnarsi  mai 
da  un  più  largo  sentimento  di  carità  nazionale.  Simile  in  questo  (ne  m 
questo  soltanto)  al  suo  Dante,  egli  foggiò  in  un  unico  amore  due  amori 
ugualmente  nobili  e  grandi.  E  se  alla  città  più  caramente  diletta  sacrv  li 
virilità  operosa  e  sapiente,  alla  patria  offrì  fin  dall'adolescenza  tutto  ìè 
stesso,  con  quella  piena  dimenticanza  della  individualità  propria,  che  è 
appunto  l'indice  infallibile  dell'eroismo.  Altri  ebbe  già  in  una  triste  oca- 


i 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ   STORICA  LOMBARDA  495 

sione  a  rammentare  come  il  Nostro,  non  appena  terminati  gli  studi,  si 
fosse  volto  alla  professione  del  Panni,  e  come  nell'arringo  in  cui  era  corso 
affatto  impreparato,  sapesse  toccare  nobilissimo  segno.  Ma  di  cotesta 
eroica  sua  giovinezza,  alba  luminosa  d'un  fulgido  giorno,  non  più  che 
fugaci  accenni  si  son  avuti  finora,  vuoi  perchè  dei  fatti,  di  cui  il  Negri 
fu  parte,  dopo  tanto  la?so  di  tempo,  erano  illanguiditi  i  ricordi  nella  me- 
moria stessa  di  quelli  che  ne  furono  testimoni,  vuoi  perchè  egli  stesso, 
modesto  quanto  valoroso,  ripugnò  sempre  a  raccontare,  anche  nel  con- 
fidente abbandonò  di  familiari  colloqui,  un  episodio  che  pur  deve  anno- 
verarsi tra  i  più  nobili  della  sua  nobile  vita.  Ma  poiché  pietà  cortese  di 
superstiti  ha  voluto  affidare  alle  mie  mani  un  copioso  carteggio  tenuto  da 
Gaetano  Negri  col  padre  suo  durante  un  intero  quadriennio,  dal  1859 
al  1862,  Voi  certo  non  sgradirete  ch'io  ne  deduca  adesso  i  colori  a  lumeg- 
giar meglio  il  carattere  meravigliosamente  poliedrico  dell'amico  per- 
duto. Del  quale  —  fa  d'uopo  forse  ch'io  il  dica  ?  —  non  aspiriamo  dav- 
vero qui  ad  enumerare  le  influite  benemerenze  ch'egli  acquistossi  come 
filosofo  e  come  scrittore.  Altri  a  ciò  ebbe  già  opportunità  d'attendere,  e 
dell'ufficio  assunto  si  sdebitò  da  maestro.  Pago  a  più  modesti  confini,  io 
sarò  soddisfatto  se  mi  avverrà  di  ritrarre  con  sufficiente  evidenza  quale 
sia  stato  nel  Negri  il  cittadino  ed  il  soldato. 


♦  « 


«  Ne'  primi  mesi  del  1859,  mentre  il  Piemonte  s'apparecchiava  ad 
accogliere  audacemente  la  sfida  dell'Austria,  che,  ingrossando  gli  eser- 
citi ai  confini,  ne  minacciava  l'invasione,  quanti  eran  giovani  lombardi 
cui  scaldasse  il  petto  fiamma  di  libertà,  affrettaronsi  a  Torino  per  arro- 
larsi  sotto  la  bandiera  sabauda.  Tra  essi  il  Negri,  che,  dopo  aver  vana- 
mente sollecitata  dal  padre  licenza  di  correre  a  combattere  tra  le  milizie 
garibaldine,  non  vedeva  altra  via  aperta  al  nobile  suo  ardore  che  quella 
d'entrare  nell'esercito  regolare  non  fosse,  risolse  di  cercar  posto  in  quel 
«  corso  suppletivo  della  R.  militare  Accademxia  »,  che,  per  procacciarsi 
con  la  necessaria  prontezza  nuovi  ufficiali,  il  governo  aveva  aperto  presso 
la  scuola  militare  di  fanteria  in  Ivrea.  Vinti  alcuni  ostacoli,  cui  dava  oc- 
casione l'immatura  sua  età  —  egli  non  toccava  peranco  i  vent'anni  —  il 
giovinetto  raggiunse  l'intento.  Così,  mentre  scoppiava  la  guerra,  e  le 
forze  piemontesi,  unite  alle  francesi,  iniziavano  la  fortunata  loro  cam- 
pagna, il  Negri  riducevasi  con  animo  lieto  a  severa  disciplina,  sma- 
nioso di  conquistare  un  grado  con  tale  celerità  che  gli  tornasse  le- 
cito partecipar  tosto  alla  santa  contesa.  Pur  troppo  però  per  lui 
ed  i  quattrocento  suoi  compagni,  le  cose  procedevano  assai  male  ad 
Ivrea,  dove  nessuno,  a  cominciare  dal  comandante,  sapeva  con  precisione 
ciò  che  si  dovesse  fare  ;  «  incertezza,  scriveva  il  Negri  a  suo  padre  il 
3  di  Maggio,  che  si  estende  anche  in  tutte  le  altre  cose,  di  modo  che  in 
quest'Accademia  non  regna  l'ordine  più  perfetto,  e,  quel  che  è  peggio, 


496  ATTI   DELLA  SOCIETÀ   STORICA   LOMBARDA 

ci  si  sente  la  moDcanza  dì  una  regola,  dì  un  vero  sistema  di  studi  t  é 
esercizi,  che  possa  condurre  presto  e  bene  allo  scopo  desiderato.  Gli  ot- 
dini  e  i  contr'ordini  si  avvicendano  senza  posa....  Del  resto,  non  stue  a 
credere  —  soggiungeva  —  che  io  abbia  per  la  testa  altri  progetti  che  li 
polrcbbLTO  dispiacere.  Io  starò  aspettando  la  mia  sorte  in  meno  a  400 
malcontenti,  di  cui  molti  rimpiangono  il  pensiero  che  loro  è  venuto  di 
recarsi  in  questo  sedicente  nido  dì  ufficiali  in  erba.  »  Ma  altre  settimiK 
passavano  :  si  combatteva,  come  a  Montebello,  a  Palestro,  a  Magenta,  e 
l'impazienza  generosa  dei  reclusi  non  aveva  più  freno.  «  Io  spero  —  ktì- 
veva  il  Negri  addi  9  giugno  —  che  questi  signori  recederanno  dalla  loro 
ostinatissima  risoluiione  di  non  lasciar  escire  alcuno  come  semplice  sol- 
dato, e  che  quindi  mi  sarà  concesso  di  rinunziare  ad  vm  grado  che  a  ne 
è  affatto  indifferente,  e  la  cui  aspettazione  mi  tiene  legato  in  questa  na- 
laugurata  accademia,  mi  impedisce  di  fare  quanto  sarebbe  mio  debito  di 
fare  e  di  partecipare  alle  emoiioni  più  belle  e  più  nobili  che  si  ponna 
avere  nella  vita  i>.  Ma  ecco  quasi  subito  rischiararsi  l'orizzonte.  Urgente, 
dopo  la  sanguinosa  lotta  di  Solferino  (14  giugno)  crasi  fatto  il  bisogna  di 
rafforzare  i  quadri  della  stremata  ufgcialità  piemontese  :  i  burocratici  ten- 
i  cedevano  così  dinanzi  ai  moniti  imperiosi  della  Decessiti.  A 
a  luglio  il  Negri  abbandonava  la  scuola,  vestito  della  divisa  di  wc- 
:  di  fanteria,  e  prendeva  servizio  nel  ó.°  Reggimento  Brigau 
Aosta,  in  cui  aveva  chiesto  di  essere  inscritto,  sia  perchè  godeva  (ami 
di  essere  un  de'  migliori  dell'esercito  piemontese,  sia  perchè  molli  amid 
suoi  erano  già  entrati  a  farne  parte. 

Il  Una  nuova  delusione  tuttavia,  e  amara  parecchio,  attendeva  il  gio- 
vine milanese  all'uscita  da  Ivrea.  La  guerra,  pur  troppo,  era  per  volonti 
di  Napoleone  III  finita,  ed  il  6*  Reggimento  in  luogo  di  correre  a  aiìV- 
rarsi  in  campo  contro  gli  Austriaci,  veniva  mandato  a  condurre,  pricni 
a  Brescia,  quindi  a  Pavia,  ad  Alessandria,  a  Piacenza,  la  vita  monotoni 
ed  incolore  di  guarnigione.  Fu  questo  un  colpo  fiero  per  il  Negri;  nu 
egli  lo  sopportò  con  rassegnazione  fiduciosa.  Distaccato  a  Fiumicella. 
a  Gorgonzola,  a  Bornago,  passa  l'inverno  del  '60  nella  solitudine  sqwl- 
lida  della  campagna;  cosa  poco  piacevole  per  un  giovinotto,  aweoo  » 
condurre  vita  di  studioso  ed  insieme  d'uomo  di  mondo,  ■  primeggiare  pfi 
vivacità  di  spirilo  e  varietà  di  cultura  in  eleganti  ritrovi  '.  Della  mala  for- 
tuna ei  si  vendica  da  par  suo,  vaie  a  dire  burlandosene  :  «  Io  sono  ora- 
mai —  leggiamo  in  una  lettera  del  17  Agosto  1860  —  nei  pieno  esercii» 
delle  mìe  funzioni,  al  disimpegno  dtlle  quali  devo  confessare  nonesiern 
d'uopo  di  grande  ingegno,  poiché,  ad  eccezione  dì  quell'ora  e  mezn  ott 
passo  alla  mattina  in  piazza  d'armi  a  comandare  gli  esercizi,  del  resto  kj 
non  faccio  che  sorvegliare  quello  che  fanno  i  miei  soggetti-  Q»»"' 
tunque  poi  questi  miei  soggetti  spesse  volte  ne  sappiano  assai  pia  di  ■<■ 
pure  io  faccio  pompa  d'un  cwirtcgno  dignitoso  ed  imponeale,  e  dW»w 
di 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA  497 


* 


M  II  nuovo  re^o  era  creato  ;  unita  Italia  sotto  Vittorio  Emanuele  II  ; 
ma  quanti  pericoli  ci  minacciavano  ancora!  Nel  mezzogiorno,  conqui- 
stato con  epica  grandexxa  di  battaglie  sul  borbonico  dispotismo,  la  mala 
pianta  del  brigantag^o  s'era  con  spaventosa  rapidità  dilatata.  Da  Roma 
mandavansi  armi,  denari,  titoli  ai  più  scellerati  masnadieri  :  Cipriano  La 
Gala,  Crocco-Donatelli,  Caruso,  José  Borjes,  invadevano,  spargendovi 
il  terrore,  gli  Abruzzi,  la  Basilicata,  la  Calabria.  I  soldati,  cui  era  vietato 
d'affrontare  il  Quadrilatero,  vennero  mandati  nelle  provincie  meridio- 
nali a  combattervi  il  delitto,  che  s'ammantava  di  politica  veste.  £  tra  i 
reggimenti  che  nell'autunno  del  1861  dovettero  recarsi  a  Napoli,  trovò 
luogo  pur  quello  a  cui  il  Negri  apparteneva. 

M  Egli  però,  vincolato  da  non  sappiamo  quali  esigenze  di  servizio, 
non  potè  a  tutta  prima  seguirlo.  E  ne  fu  desolato.  «  Questa  sera  —  ei  si 
sfogava  il  1®  novembre  col  padre  —  metà  della  brigata  Aosta  salpò  dal 
porto  per  Napoli  ;  domattina  partirà  il  resto.  Io  fui  a  bordo  ad  abbracciare 
i  miei  compagni,  e  qual  fosse  la  mia  tristezza  nel  discendere  da  quel  va- 
scello che  portava  con  sé  tante  speranze  e  tante  affezioni  credo  che  il 
sentirai  :  Foldi,  mi  lasciò  di  farti  mille  saluti  ».  Ei  sperava  raggiunger 
tosto  gli  amici  \  ma  nuovi  impacci  sorgevano  a  contrastare  l'effettuazione 
de'  suoi  voti.  M  Ti  annunzierò  —  così  in  lettera  del  12  febbraio  —  che  la 
mia  ex- compagnia  capitanata  da  Foldi  si  trovò  sola  alla  Surriola  a  so- 
stenere l'assalto  di  mille  briganti  e  ne  usci  vittoriosa  facendone  prigio- 
nieri 153.  Foldi  si  distinse  moltissimo,  ed  ebbe  il  kepy  forato  da  una  palla. 
Io  ti  dò  il  consiglio  di  riposare  ormai  tranquillissimo  sulla  mia  sorte  : 
credimi,  vi  è  una  fatalità  che  mi  impedisce  di  sentire  il  fischio  delle 
palle.  Quando  si  farà  la  guerra  pel  Veneto,  se  si  combatterà  nella  pia- 
nura, io  sarò  nei  monti,  se  si  combatterà  nei  monti  io  sarò  nella  pia- 
nura :  se  si  assalterà  Verona,  io  sarò  a  Mantova,  se  Mantova  io  sarò  a 
Verona  1» 


* 


«  Quando  Dio  volle,  potè  partir  anche  lui.  Ciò  seguì  però  soltanto 
il  30  aprile  :  u  Parto  questa  sera,  ei  scriveva,  alle  5,  sul  /buggero.  Il 
<c  tempo  è  bellissimo,  e  il  mare  è  uno  specchio.  Addio  ».  —  Era  a  Napoli 
il  2  Maggio,  e,  vibrante  d'entusiasmo,  descriveva  con  singolare  eloquenza 
al  padre  le  meraviglie  di  quel  c(  paradiso  terrestre  ».  Chiamato  in  qua- 
lità di  aiutante  presso  il  generale  Ricotti,  egli  trovossi  allora  quasi  libero 
di  sé  e  del  suo  tempo,  che  impiegava  a  contemplare  il  paesaggio,  ad  am- 
mirare i  monumenti,  a  studiare  l'ambiente,  in  cui  era  stato  così  inopina- 
tamente trasportato.  Questo  periodo  di  svago  non  ebbe  tuttavia  lunga 
durata.  Un  mese  dopo  il  Ricotti  era  improvvisamente  chiamato  a  Torino 
presso  il  ministero  della  guerra  ;  ed  il  suo  aiutante,  dopo  averlo,  com'era 
debito  suo,  accompagnato,  riconducevasi  a  Napoli  ben  fermo  nel  propo- 


498  ATTI   DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 

sito  di  rientrar^  al  reggimento;  e  poiché  non  v'era  proprio  più  maniera 
d'azzuffarsi  per  llora  cogli  Austriaci,  d'attendere  a  purificare  il  mezzo- 
giorno dltalia  dalla  piaga  turpe  ed  orrìbile  del  brìgantaggio. 

«  In  questo  oscuro  e  penoso  ufficio  l'esercito  iltaliano  diede  prove  su- 
blimi di  devozione  alla  patria  ».  Son  queste  parole  d'uno  storìco  recentis- 
simo (i);  e  la  loro  assoluta  venta  risulta  provata  luminosamente  dalle 
lettere  di  Gaetano  Negri,  quante  egli  ne  venne  scrivendo  con  premura 
affettuosa  al  padre,  dall'autunno  del  '61  fino  all'estate  dell'anno  seguente. 
Da  esse  difatti,  quantunque  il  giovine  prode  si  dia  continua  cura  di 
smorzar  le  tinte  troppo  crude  della  triste  realtà  per  non  accrescer  senza 
frutto  le  ambasce  de'  suoi  cari,  noi  possiamo  ricavare  tutta  una  storia 
commovente  di  nobili  lotte  e  di  ignorati  eroismi. 

«  I  reggimenti  inviati  nel  Principato  Ulteriore  e  nella  Basilicata  a 
rintuzzare  l'audacia  di  quelle  orde  brigantesche,  le  quali  man  mano  che 
gittavan  via  la  maschera  politica,  rivelavansi  più  feroci  e  nefande,  si 
trovavano  a  dover  combattere  contro  mille  altri  nemici  che  i  masnadieri 
non  fossero.  Costretti  ad  errare  senza  posa  attraverso  a  regioni  quasi  sel- 
vagge, a  cercar  asilo  in  villaggi,  dove  ninno  mai  perveniva,  perchè,  privi 
di  strade,  di  comunicazioni,  vivevano  affatto  fuori  del  mondo;  si  senti- 
vano oggetti  di  indifferenza,  di  sospetto,  d'avversione.  Le  popolazioni, 
anche  se  buone,  li  guardavano  con  paura:  avverse  alle  novità  siccome 
erano,  e  per  giunta  intimorite  dalle  nefande  rappresaglie  con  cui  infu- 
riava la  reazione.  Avevano  di  fronte  degli  avversari  Vili,  il  più  delle  volte 
e  male  organizzati,  ma  espertissimi  de'  luoghi,  sorretti  da  innumerevoli 
favoreggiatori,  bande  di  montanari  le  quali  apparivano  e  scomparivano 
con  rapidità  che  tenea  del  prodigio,  e  dopo  aver  seminato  sul  loro  pas- 
saggio il  terrore,  l'incendio,  la  strage,  s'involavano  nel  folto  di  foreste 
impenetrabili,  su  pe'  gioghi  di  montagne  inaccessibili  alle  giuste  vendette. 
Di  qui  una  vita  di  agitazioni  continue,  di  fatiche  ingenti,  di  pericoli  tanto 
più  gravi,  quanto  meno  si  potevano  prevedere.  Pur  in  mezzo  a  tante 
angustie  il  Negri  non  cessa  mai  dal  far  prova  d'una  meravigliosa  tran- 
quillità d'animo  :  egli  trova  sempre  maniera  di  scherzare,  di  presentar 
sotto  un  aspetto  quasi  comico  le  sue  più  penose  operazioni  :  «  Per  noi 
poveri  soldati,  destinati  a  combattere  il  brigantaggio  (così  in  una  let- 
tera del  5  febbraio)  è  proprio  il  caso  di  ripetere  il  detto  che  lessi  più  volte 
sulle  pareti  delle  chiese  :  Estote  parati^  quia  nescitis  horam  neque  diem  ». 
Ed  altrove  :  «  Io  sono  come  l'ebreo  errante,  colpito  da  un  destino  che  mi 
impedisce  di  fermarmi  in  un  paese  qualunque....  Io  credo  d'essere  non 
solo  nel  reggimento,  ma  direi  in  tutta  l'armata  l'ufficiale  che  fu  maggior- 
mente in  moto.  In  cinque  mesi  ho  cangiato  otto  volte  di  residenza,  sema 
contare  quelle  moltissime  altre  volte,  che  a  motivo  di  qualche  perlustra- 
zione mi  sono  recato  in  un  paese  o  nell'altro....  ».  Ma  egli  sa  che  più  del 
freddo  che  soffre,  più  dei  disagi  che  incontra  son  fonti  inesauribili  d'an- 
goscia a  chi  l'ama  i  racconti  sparsi  intomo  alla  ferocità  brutale  de'  pre- 

(i)  P.  Orsi,  V Italia  moderna^  Milano,  Hoepli,  1901,  p.  264. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ   STORICA   LOMBARDA  499 

doni  contro  i  quali  combatte.  Di  qui  un  assiduo  studio  da  parte  sua  di 
presentare  gli  accoliti  di  Chiavone,  di  La  Gala^  di  Crocco,  quasi  fossero 
degli  innocui  briganti  d'operetta.  <(  Questi  signori  briganti  —  egli  dice  — 
commettono  ogni  sorta  di  nefandità  contro  gli  inermi,  ma  appena  vi  è  la 
minaccia  della  più  piccola  resistenza  fuggono  prudentemente  e  ti  lasciano 
libero  il  campo  ».  Ed  altrove  :  ce  La  lettera  della  zia  Nina,  che  mi  dice 
che  vivete  sempre  inquieti  per  me,  mi  è  prova  della  necessità  in  cui  sono 
di  tenervi  sempre  al  corrente  de'  fatti  miei....  Fra  le  altre  cose  la  zia  Nina, 
parlando  de'  briganti,  li  qualifica  di  »  tremendi  ».  Le  dirai  a  mio  nome 
che  tenga  in  serbo  questo  aggettivo  per  qualche  cosa  che  maggiormente 
lo  meriti.  Volesse  il  cielo  che  tutti  i  nostri  nemici  fossero  tremendi  al 
pari  dei  briganti  !  A  quest'ora  saremmo  da  lungo  tempo  padroni  del  Qua- 
drilatero. In  contraccambio  sono  però  abilissimi  a  sfuggire  tutte  le  nostre 
ricerche,  di  maniera  che  le  fatiche  e  le  perlustrazioni  hanno  assai  di  rado 
un  buon  risultato  ».  —  Ed  il  io  Novembre  '61,  dopo  aver  narrato  con 
gaiezza  di  stile  le  peripezie  d'un  allarme  notturno  del  tutto  infondato  : 
«  Il  comico  della  cosa  —  conclude  —  sta  in  ciò  che  i  briganti  non  vi 
sono  mai  ;  e  credimi  fermamente  che  la  loro  esistenza  è  un  mito,  e  tutti 
coloro  che  li  vedono  sono  in  preda  di  una  allucinazione  ». 

«  Ma  la  verità  si  fa  strada  talvolta  attraverso  le  pietose  menzogne  ;  ed 
egli  stesso,  incapace  di  nasconderla  piti  a  lungo,  trovasi  costretto  a  ri- 
conoscere che  i  briganti  esistono  e  che  nel  dar  loro  la  caccia  si  va  in- 
contro a  pericoli  ben  seri.  Ma  i  pericoli  non  son  fatti  davvero  per  sce- 
margli ardimento.  Nel  giovine  ufiìciale  il  sangue  ribolle  impetuoso;  e 
quando  l'occasione  di  guardar  bene  in  viso  gli  inafferrabili  avversari  si 
presenta,  oh  come  è  lieto  d'agguantarla  I 

a  A  Voi  non  toma  certamente  ignoto,  o  Signori,  come  in  due  azioni 
militari  il  Negri  avesse  allora  maniera  di  segnalarsi  così  da  conse- 
guire —  premio  ben  meritato  —  due  medaglie  d'argento  al  valore.  Gua- 
dagnò la  prima  in  una  scaramuccia  della  quale  fin  qui  niuno  ha  dato  rag- 
guaglio esatto,  a  Montesarchio  (i)  ;  la  seconda  in  un  fatto  d'armi  ben  più 
grave  intorno  a  cui  alquanti  particolari  furono  già  sommariamente  nar- 
rati da  un  suo  fido  amico  e  compagno  che  lo  precedette  nel  sepolcro, 
Gerolamo  Sala  (2).  Ricorderò  entrambi  gli  episodi  lasciando  al  prota- 
gonista stesso  la  cura  di  descriverli. 


(i)  L'azione  del  18  dicembre  '61  è  stata  però  riferita  con  elogi  vivis- 
simi al  Negri  da  vari  giornali  del  tempo;  io  ne  ho  sott'occhio  una  rela- 
zione da  Napoli,  comparsa  nel  numero  del  26  dicembre  del  L'Italia^  ed 
una  più  succinta  data  da  Zm  Lombardia  27  dicembre.  Il  nome  del  Negri 
figura  poi  nel  a  secondo  elenco  delle  ricompense  accordate  da  S.  M.  per 
«  la  repressione  del  brigantaeeio  nelle  Provincie  Meridionali  1861-1862  », 
pubblicato  'dalla    Gazzetta   Ufficiale   del   Regno   d'Italia   nel    num.    80, 

3  Aprile  1862. 

(2)  Ved.  La  Perseveranza  del  19  giugno  1899.  Del  fatto  di  Calitri  leg- 
gesi  una  lunga  relazione  nel  LUnità  italiana,  giornale  politico  quoti- 
diano, del  22  aprile  1862,  tolta  dalla  Gazzetta  di  Napoli.  La  medaglia  m 
argento  al  valore  per  questo  combattimento  fu  conferita  al  Negri  con  de- 
creto reale  in  data  15  gennaio  1863. 

A'ch.  Star.  Lomb,,  Anno  XXIX,  Fase.  XXXVI.  32 


500  ATTI   DELLA   SOCIETÀ   STORICA  LOMBARDA 

((  Sulla  metà  di  dicembre  1861,  la  banda  di  Cipriano  La  Gala,  forte  di 
dugent'uomini  alTincirca,  dopo  aver  minacciato  Sanmartino  nella  vallf 
Caudina,  inseguita  da  due  reggimenti  di  bersaglieri,  cercava  rifugio  su 
per  i  greppi  del  Tabumo,  consueto  asilo  del  brigante  che,  conoscenda 
ogni  recesso  dell'asprissimo  monte,  vi  si  trovava  in  piena  sicurezza.  Il 
generale  Franzini,  che  gli  stava  a  tergo,  aveva  mandato  il  18  sullo  stra- 
dale che  da  Montesarchio  conduce  a  Benevento  un  pugno  d'uomini,  m 
esplorazione.  Alla  lor  testa  era  il  Negri.  E  qui  lasciamo  a  lui  stesso  la 
parola  : 

«  Io  me  ne  andava  pattugliando  —  scriveva  egli  il  19  die.  al  padre  — 
lungo  la  strada  di  Benevento....  allorquando  venni  avvertito  dalla  mia 
avanguardia  dell'avvicinarsi  dei  briganti.  Accorso  avanti  onde  vcrificarf 
l'asserzione,  scorsi  infatti  una  comitiva  di  duecento  armati  che  s'incammi- 
nava sull'erta  di  un  colle.  Io  non  aveva  con  me  che  trentasei  soldati  :  pure 
conoscendo  il  loro  slancio  non  volli  perdere  l'occasione,  e  fattili  stenderp 
in  catena  attaccai  il  nemico.  Questi  si  ritirò  sul  ciglio  della  collina  td 
aperse  un  vivissimo  fuoco  ;  ma  noi  guadagnammo  Taltura,  ed  al  nostro 
avvicinarsi  presero  la  fuga.  Li  inseguimmo  ed  essi  sempre  fuggendo  ii 
ripararono  dietro  un  boschetto  che  coronava  una  seconda  altura,  quivi 
riapersero  il  fuoco  e  più  vivamente  di  prima.  Io  era  naturalmente  il  loro 
punto  di  mira.  Le  palle  mi  fischiavano  continuamente  alle  orecchie, 
spezzavano  al  mio  fianco  i  tronchi  delle  viti,  mi  cadevano  ai  piedi,  e  s'io 
rimasi  illeso  fu  un  miracolo  della  provvidenza.  Ma  anche  da  quella  se- 
conda fortissima  posizione  li  respingemmo  ;  se  non  che  scorgendomi  io 
oramai  lontano  da  luoghi  conosciuti  e  avendo  i  miei  soldati  pressoché 
esaurite  le  niunizioni,  stimai  mij^dior  ronsij^lio  far  suonare  a  raccolta, 
carichi  di  oj^g'^tti  che  i  briganti,  ondi^  farsi  ])iù  leggieri  alla  fuga.  aV'ar.- 
gettato  a  terra,  mi  ricondu<<i  -^ulla  via  po-tale.  Ivi  trovai  che  m'a-p-tta- 
vano  il  generale  ( o"  >uui  ufficiali  e  il  nostro  maggiore  :  e  tutti  mi  colm.:- 
rono  drnconiì   r  delh'  ])iù  lu>inghiere    espressioni  ». 

((  l)i>trutta  la   banda  di   Cipriano  La   Gala,   un'accozzaglia  di  malvi- 
venti,  in   (  ui   ninna  di>ciplina  aveva  vigore,   rimaneva  pvio    ancora  fur- 
midabile  lOrda  i  apitanata  da  Crocco  Donatelli,    la  tjuale,   a--ai  p<jd?:i%i 
di  forze   militarmente    organizzate,   come  (jiiella   in   cui   avevan   (unlluit 
certi  avanzi  d<l  (li->ciolto  esercito  borbonico,  s'era  annidata  negli  imp-n.: 
bo-chi   di   Monticehio  r  di   Lagope^ole,  vere  foreste  vergini,    u  eh''  erac  ■ 
statt^  il   lovo  di  Horje>  e  di  tutti  i  briganti  pa>-ati,  come  lo  -ono  d»*'  pr  - 
^enti  r  lo  saranno  eh-'  futuri  ».  Ad  impedirne  le  scorrerie  che  t'-n-vano  :' 
continuo  ^g«>mrnto   la  Basilicata  (^   i  tinitimi  luoghi  del   Principato  V \v 
riorr.  .  ra  -tata   -pedita  nell'inverno  del   '()2.  la  compagnia   del   5"  K  g^• 
mento   Kant"  ria,  al  (|uale  il    Negri  >i  trovava  allora  aggregato,  chf,  ò- 
visa  in  (Irapjxlli,  tra^c  t)rreva  inces>^ant«'nì(^nte   (|U«-i    luoghi  recando>i  <■'" 
Monte-ar(  Ilio  a  Teora,  da  T(  ora  a  Hi>accia,  da    Bisaccia  a  Calitr;.  J^.i- 
l'uno  all'altro  di  (|ue-ti  borghi  selvaggi  passò  dunque  durante  tutta  la  :•• 
gi(li--ima  in\ernata  il  Negri,   spiando  le  mosse  de'  ])redoni.  di  cui  n'.- 
<>■]■'  niià  (!•  11.-  gelici*^  notti   -corg<va  brillare  ^u   in  alto  i  fuochi  eh-,    fai  - 


i 


ATTI    DELLA   SOCIETÀ   STORICA   LOMBARDA  50I 

vano  nascere  in  cuore  a  lui  ed  ai  suoi  giovani  compagni  una  smania  vera 
di  venir  con  loro  alle  prese.  Ed  alle  prese  vennero  difatti,  ma  più  tardi, 
in  aprile.  Udiamo  dal  Negri  stesso  il  sincero  racconto  : 

«  Per  timore  che  ti  giungano  per  altra  via  false  notizie,  mi  affretto 
a  mandarti  queste  due  righe  —  scriveva  egli  al  padre  l'S  aprile.  —  Ieri 
abbiamo  avuto  un  fortissimo  e  serio  attacco.  Circondati  da  tutte  le  parti 
da  orde  di  briganti  a  cavallo  abbiamo  sostenuto  tre  ore  di  fuoco,  e  non 
fummo  salvi  che  per  l'eroismo  de'  miei  soldati.  Pur  troppo  ho  lasciato 
otto  morti.  Io  sto  benissimo,  se  eccettui  una  piccola  contusione  avuta  da 
una  palla.  Col  primo  corriere  postale  ti  scriverò  più  a  lungo  ». 

«  E  difatti  il  10  aprile,  dopo  aver  di  nuovo  attenuato  l'entità  della 
ferita  ricevuta,  ch'era  stata  tutt'altro  che  leggera,  poiché  la  palla,  ri- 
masta nella  ferita,  si  dovette  estrarre  per  man  del  chirurgo  —  così  co- 
loriva il  quadro  dell'avvenuto  combattimento  : 

«  Quello  che  non  ti  posso  negare  è  che  il  pericolo  corso  fu  immenso. 
Abbiamo  sostenuto  in  trentaquattro  tre  ore  di  disperato  combattimento,  e 
più  volte  io  mi  son  creduto  irremissibilmente  perduto.  Mi  sembra  di  sen- 
tirti ad  esclamare  :  che  imprudenza  d'cscire  in  perlustrazione  con  soli 
34  soldati  I  Ma  devi  sapere  che  nel  principio  ne  avea  meco  cinquanta,  se 
non  che,  ingannato  dal  simulacro  di  fuga  eseguito  dai  briganti,  spedii 
una  porzione  dei  soldati  ad  arrestarne  la  fuga  verso  la  sinistra,  mentre  io 
mi  precipitavo  avanti  col  resto  della  forza.  Ma  purtroppo  i  briganti  di 
Crocco  sono  assai  diversi  da  quelli  di  Cipriani.  I  secondi  erano  una  mi- 
serabile accozzaglia  di  mascalzoni,  i  primi  sono  uomini  discretamente 
coraggiosi,  montati  su  eccellenti  cavalli  ed  organizzati  quasi  militar- 
mente. Il  loro  numero  ammontava  a  150.  Ad  un  tratto  io  mi  vidi  da  ogni 
parte  circondato.  Il  grosso  della  banda  stava  accampato  dietro  una  mas- 
seria, da  dove  ci  bersagliava  e  minacciava  ad  ogni  istante  di  sovrastarci. 
Io  mi  accorsi  che  solo  nella  risolutezza  stava  il  nostro  scampo,  e  con  un 
energico  attacco  alla  baionetta  mi  scagliai  contro  il  nemico,  che  intimo- 
rito indietreggiò  alquanto.  Ma  sciaguratamente  esso  aveva  il  vantaggio 
della  celerità  nei  movimenti,  per  cui  in  meno  che  non  si  dice  si  riordina- 
rono tutti  e  si  precipitarono  caricando  su  di  noi.  Se  restavamo  sparpa- 
gliati per  il  campo  era  inevitabile  una  tremenda  catastrofe  ;  ma  i  miei 
soldati,  sempre  obbedienti  alla  mia  voce,  ed  animati  da  uno  slancio  eroico 
non  si  sgomentarono  e  si  strinsero  in  un  gruppo  compatto  intorno  a  me, 
minacciando  colle  baionette  e  mantenendo  un  fuoco  ben  nutrito.  I  bri- 
ganti giunsero  a  pochi  passi  distanti  da  noi,  ma  poi  atterriti  si  arresta- 
rono. Io  approfittai  del  momento.  Schierai  la  compagnia,  e  comandai  a 
tutti  insieme  un  fuoco  di  compagnia  come  se  fossimo  stati  in  piazza 
d'armi.  Questo  contegno  risoluto,  e  più  ancora  l'effetto  che  fecero  le 
palle  fra  i  ranghi  dei  briganti,  li  indusse  a  sostare,  ed  io  potei  prendere 
la  via  di  una  masseria  che  sorgeva  isolata  sulla  vetta  di  una  piccola  pro- 
minenza. Con  incredibili  difficoltà  e  sostando  ad  ogni  istante  onde  far 
fronte  ai  briganti  che  incalzavano,  raggiungemmo  infine  la  masseria, 
dove  potemmo  prender  un  istante  di  riposo.  Su  tutte  le  alture  circostanti 


502  ATTI    DELLA   SOCItrTÀ   STORICA   LOMBARDA 

si  aggruppavano  i  briganti  e  ci  chiudevano  in  un  cerchio  di  ferro.  Scia- 
guratamente le  munizioni  cominciavano  a  mancare  :  dei  quindici  soldati 
spediti  sulla  sinistra,  io  non  aveva  più  indizio  alcuno  :  la  posizione  non 
era  più  sostenibile,  ed  io  risolsi  di  aprirmi  la  strada.  Ben  tentarono  i  bri- 
ganti di  arrestarci  a  mezzo  cammino,  ma  al  nostro  avvicinarsi,  al  terribile 
lampeggiare  della  baionetta,  ci  apersero  il  varco,  e  noi  guadagnammo 
l'altipiano.  Ma  non  cessarono  per  questo  dal  perseguitarci,  sebben  lontani 
e  timidamente,  e  fu  appunto  allora  che  un  colpo  ben  aggiustato  mi  colpì 
alla  spalla  :  la  lontananza  del  tiratore,  Tessere  la  palla  rimbalzata  e  for- 
mata non  di  piombo  ma  di  stagno,  tolse  al  colpo  ogni  forza  e  invece  di 
una  ferita  non  ebbi  che  una  lieve  contusione.  In  questo  istante  tredici 
soldati  che  aveva  lasciato  a  Calitri  e  che,  sentito  lo  schioppettio  si  erano 
precipitati  ad  accorrere  in  nostro  soccorso,  comparvero  a  breve  distanza. 
Questa  vista  triplicò  il  coraggio  e  con  uno  slancio  indescrivibile  i  sol- 
dati tutti  si  precipitarono  contro  gli  audaci  che  tentavano  inseguirci  e 
tutti  si  dispersero  fuggendo  a  briglia  sciolta.  Il  ritomo  in  Calitri  fu  una 
vera  ovazione,  ma  qui  mi  aspettava  una  funesta  notizia.  Dei  quindici  sol- 
dati di  cui  avea  perduto  la  traccia,  sette  erano  morti,  sette  sono  in  salvo, 
di  uno  non  so  ancora  la  sorte. 

«  Eccoti,  mio  caro  papà,  la  narrazione  del  combattimento  del  sette 
aprile.  Mi  dimenticavo  dirti  che  i  briganti  lasciarono  sul  campo  una  ven- 
tina di  morti.  Non  ti  descriverò  le  emozioni  passate  in  quel  giorno.  Sa- 
rebbe impossibile.  Comprendo  che  dopo  tali  fatti  tu  avrai  un  grande  de- 
siderio di  vedermi  ed  io  pure  ho  una  vera  smania  di  ritrovarmi  in 
mezzo  a  voi  ». 

((  Ed  il  14  aprile  aggiungeva  : 

<c  Ti  dico  il  vero  che  le  emozioni  provate  in  quella  giornata  di  di- 
sperato combattimento  furono  tali  da  lasciarmi  nell'animo  un'impres- 
sione forse  incancellabile.  Quegli  otto  soldati  che  rimasero  vittima  dei 
colpi  del  nemico  li  ho  sempre  davanti  agli  occhi.  Erano  giovinetti,  pieni 
di  avvenire  e  di  speranze  :  io  li  vedeva  sempre  intomo  a  me,  pronti  a  get- 
tarsi ad  un  mio  cenno  incontro  a  qualunque  pericolo  ;  e  caddero  cosi  mi- 
seramente !  Tre  erano  napoletani,  uno  toscano,  uno  romagnolo,  due  lom- 
bardi, uno  piemontese.  Io  credo  che  il  pensiero  di  questi  infelici  non  mi 
abbandonerà  mai.  Ma  tu  non  puoi  farti  un'idea  degli  atti  di  eroismo  che 
si  compirono  in  quel  giorno.  Ho  vedute  cose  da  rendermi  indiflFerente  a 
tutte  le  più  esagerate  descrizioni  degli  eroismi  antichi  e  moderni  ». 

<(  Così  pensava,  così  sperava,  così  scriveva  ventiduenne  Gaetano 
Negri  :  «  tale  era,  giovinetto,  l'uomo  che  —  ci  sia  concesso  ripetere  qui  le 
parole  fiere  del  Sala  —  la  stampa  settaria  ha  dipinto  siccome  tremante  di 
paura,  tra  i  suoi  vecchi  compagni  d'arme  »  nei  giorni  funesti  d'una  in- 
sensata  rivolta. 


♦  ♦ 


«  Ma  dal  centinaio  di  lettere  che  in  que'  due  anni  di  vagabondar  sol- 
datesco inviò  il  Negri  al  padre  ed  ai  congiunti  più  stretti,  quant'altri  ri- 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ   STORICA    LOMBARDA  503 

cordi  commoventi  o  curiosi  vien  fatto  di  spigolare  !  L'uomo  insigne  per 
acume  di  mente  e  profondità  di  vedute  già  fa  la  sua  apparizione  in  cotesto 
frettoloso  carteggio  ;  già  vi  rivela  le  sue  mirabili  doti  di  osservatore,  di 
filosofo,  di  poeta.  Non  mai  ad  alcuno  meglio  che  a  luì  s'addisse  la  lode 
petrarchesca  :  «  Pensier  canuto  in  giovenile  etate  ».  Sbarcato  da  poche 
ore,  starei  per  dire,  a  Napoli,  in  mezzo  al  rapimento  suscitato  in  lui  dalle 
malie  dell'incantevole  sirena,  trova  il  tempo  di  scrutar  le  condizioni  so- 
ciali, economiche,  morali  degli  abitatori.  Napoli  è  un  soggiorno  cele- 
stiale, ma  uomini  vi  dimorano,  e  di  costoro  vale  la  pena  di  conoscere  i 
sentimenti,  i  vizi,  le  virtù.  Ed  il  4  maggio  egli  scrive  a  Milano  :  «  La 
impressione  che  produce  su  di  me  questo  paradiso  terrestre  è  vivissima  e 
potente.  Io  non  posso  mai  saziarmi  di  contemplare  il  prospetto  del  golfo, 
il  movimento  di  Toledo  e  Ghiaia,  la  pittoresca  bizzarria  della  folla  che  vi 
si  agita  con  tanto  baccano  ».  E  tosto  soggiunge  : 

«Quanto  alla  popolazione  in  due  giorni  io  non  ho  potuto  naturalmente 
formarmi  un  criterio  ;  non  nego  però  che  le  apparenze  prevengano  piut- 
tosto in  male,  e  che  ciò  che  maggiormente  colpisce  al  primo  sguardo  è  la 
miseria,  e  più  ancora  della  miseria  l'avvilimento  in  che  è  caduta.  Se  poi 
domandi  informazioni  a  chi  da  lungo  tempo  soggiorna  in  questa  città, 
hai  le  risposte  più  contraddicenti.  Devo  però  confessare  che  la  maggio- 
ranza è  assai  disgustata.  Io  credo  che  questo  popolo  in  mezzo  a  vizi  turpi 
ed  abitudini  depravate  abbia  un  fondo  di  eccellenti  qualità,  ma  siccome 
in  generale  i  primi  colpiscono  assai  più  delle  seconde,  così  avviene  quasi 
sempre  che  il  giudizio  che  se  ne  forma  eccede  in  severità  ».  E  da  questo 
convincimento  formatosi  subito  in  lui,  che  manifesta  il  colpo  d'occhio  in- 
fallibile del  critico  avvezzo  già  a  penetrar  ben  addentro  nella  psiche 
umana,  ei  non  si  muove  più.  Neppur  quando,  costretto  dalla  violenza 
delle  circostanze  a  muoversi  in  un'  «  atmosfera  di  delitti  e  di  bassezze  », 
a  combatter  tra  tradimenti  ed  intrighi  i  più  pericolosi  malfattori,  egli 
avrebbe  potuto  sentirsi  scosso  e  turbato,  non  mutò  d'avviso  mai.  «  Ho 
alcune  osservazioni  da  farti  »,  egli  diceva  al  padre  il  9  dicembre.  «  In 
primo  luogo  hai  torto  di  chiamare  le  provincie  napoletane  un  «  ricotta- 
colo  di  delitti  ».  E'  un  giudizio  troppo  severo  ed  anzi  ingiusto  ».  E  svi- 
luppando il  suo  pensiero  così  continuava  : 

«  Le  Provincie  napoletane  sono  veramente  una  terra  prediletta  dalla 
natura  che  loro  largì  a  piene  mani  tutti  i  suoi  doni.  Le  pianure  delle  tre 
Puglie  sono  un  immenso  tappeto  di  granaglie  ;  nelle  altre  provincie  i 
colli  e  i  più  dolci  declivi  sono  coperti  di  vigneti  e  da  ulivi,  mentre  fore- 
ste quasi  vergini  e  verdissimi  pascoli  ornano  gli  alti  gioghi  dell'Appen- 
nino. Fra  tutte  le  provincie  che  ho  vedute  la  più  pittoresca  e  la  più  sel- 
vaggia è  la  Basilicata,  dove  la  natura  è  imponcntissima  per  i  boschi  in- 
terminabili, le  lince  grandiose  delle  montagne,  su  le  quali  erge  il  capo 
il  Vulture,  vulcano  estinto  assai  più  alto  del  Vesuvio,  che  domina  tutta 
la  contrada  come  un  gigante  dall'aspetto  ancora  minaccioso.  Ma  quanto 
è  triste  il  vedere  un  paese  così  bello  privo  di  tutti  i  sussidii  della  civiltà, 
trattenuto  fino  ad  ora  forzatamente  nella  più  miserabile  barbarie  I  L'istru- 


504  ATTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA 

zionc  è  nulla,  l'agricoltura  affatto  elementare,  strade  sono  i  letti  dei  tor- 
renti e  qualche  sentiero  mezzo  róso  dal  tempo,  dalle  acque  e  dalle  franf. 
Eppure  l'indole  di  queste  popolazioni  è  fornita  di  ottime  qualità  :  la  mag- 
gioranza è  spinta  da  un  vivissimo  desiderio  di  miglioramento,  il  cuore  e 
quasi  in  tutti  generoso  ed  ajìerto,  e  non  manca  in  molte  parti  Tencrgia 
ed  il  coraggio.  Ma  sarebbe  stoltezza  il  pretendere  che  ad  un  tratto,  spo- 
gliandosi della  loro  barbarie,  gareggiassero  in  civiltà  colle  popolazioni 
di  altre  provincie  più  felici,  sapessero  completamente  apprezzare  i  van- 
taggi di  un  governo  libero,  e  si  potessero  reggere  colle  norme  stesse  con 
cui  si  reggono  ({uelle  dei  nostri  paesi.  Avvezze  a  giacere  da  lungo  tcm]}0 
nelle  tenebre  più  fìtte  del  despotismo,  non  ebbero  la  forza  di  sopportare 
improvvisamente  lo  splendore  della  libertà  e  ne  rimasero  abbagliate  r 
confuse   ». 

«  Riavvicinate,  o  Signori,  a  questo  generoso  ed  elevato  linguaggio 
del  ventenne  luogotenente,  quello  che  il  26  dicembre  dello  scorso  anno 
il  senatore  ormai  venerando  se  non  per  l'età  per  la  fama  raggiunta  comt- 
statista  e  scrittore,  dettava  dopo  la  discussione  alla  Camera  intomo  alK: 
condizioni  economiche  del  Mezzogiorno.  Voi  vi  sentirete  aleggiare  i  me- 
desimi sentimenti,  la  stessa  equanime  critica,  la  stessa  rigorosa  impar- 
zialità. Respingendo  la  stolta  accusa  che  l'unità  d'Italia  abbia  danneg- 
giato le  Provincie  meridionali,  egli  così  si  esprimeva  :  «  Il  danno  esiste; 
ma  viene  da  causa  indiretta.  Quel  paese  si  trovò  d'un  colpo,  senza  pre- 
parazione, travolto  nel  vortice  della  vita  moderna.  Alle  esigenze  ognora 
crescenti  rapidamente  che  c|uesta  vita  imponeva  al  Paese,  bisognava  chr 
il  Paese  stesso  rispondesse  cercando  nuove  risorse.  Il  Nord  d' Italia,  si 
predisposto  al  movimento,  seppe  creare  queste  nuove  risorse  e  ne  trassv' 
ar^^omento  di  ])rogressiva  prosperità.  11  Sud,  impreparato  affatto,  dowttc 
subir(^  una  gravezza  per  la  quale  gli  mancavano  le  forze  e  ne  uscì  fiac- 
cato... Chi  >(iiv<'....  si  ricorda  d'aver  vissuto.  40  anni  or  sono,  lunf^hi  1^ 
lunghi  mv^'ì  mi  e  uf>re  delle  regioni  apj)enniniche  del  Mezzogiorni,  ai 
tempi  oramai  favolosi  del  brigantaggio,  di  averne  percorso  le  campajjn' . 
di  aver  dimorato  nei  borghi,  di  esser  entr.ito  nell'intimità  degli  iibi- 
tanti.  Ebbene,  egli  conserva  l'impressione  d'aver  visto  non  già  l'Eldonid". 
ma  un  ben  j)overo  parse,  dove  mancavano  gli  strumenti  più  essenziali 
del  vivere  civile,  senza  strade,  <enza  ombra  di  commerci,  dove  la  rei- 
-eria  di  una  plebe  immensa  vt^niva  a  contatto  in  ogni  borgata,  con  la 
ric(  hezza  d'un  paio  di  famiglie  feudali  cozzanti  fra  di  loro.  Noi  non  >.i;*- 
])iamo  s(>  la  nuova  Italia  abbia  mitigata  la  miseria  di  quella  plebe,  ma 
certo  non  può  averla  accresciuta.  Avrà  forse  diminuito  la  ricchezza  e 
(jualche  famiglia,  ma  ha  dato  al  paese  il  benefìcio  inestimabile  d'un  si- 
stema di  strade,  per  le  (juali,  presto  o  tardi,  dovrà  penetrare  nel  cuore  J. 
(juelle  regioni  un'onda  di  civiltà  ». 

((  Così  liiomo  carico  oramai  di  es])erienza  attingeva  alle  meditazioni 
pre(<)ci,  ai  nobili  <(legni.  alla  sincera  pi(*tà  provocata  in  lui,  giovin^itv. 
dai  \  eduli  ineffabili  mali,  ]ìer  far  ancora  una  volta  opera  di  buon  cit- 
tadino,  per  combatti  re   un'altra   non  meno  magnanima  battaglia  in  pr- 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA  505 

di  quella  terra   infelice  per  la  quale  aveva  già   versato  volonteroso  il 
proprio  sangue. 


* 


<(  In  quella  parte  della  Svizzera,  dove  più  sublime  s'estolle  il  con- 
cilio gigantesco  de'  monti,  nel  Grindelwald,  poco  discosto  dalla  strada 
che  guida  al  ghiacciaio  superiore  dell'Eiger,  sovra  un  ciglione,  onde  l'oc- 
chio discende  a  contemplar  tra  il  verde  smalto  de'  prati  i  negri  flutti  della 
Liitschine  gorgoglianti  nell'angusto  lor  letto,  sta  un  gran  masso  a  ri- 
cordo d'ignoto  giovine  tedesco  perito  vittima  del  caso  o  dell'audacia  sua. 
Su  quel  masso  è  inciso  un  esametro  che  suona  : 

Quem  genuit  tempio  ▼atem  natura  recepit. 

Quante  volte,  l'estate  passata,  mentre  facevo  meta  di  solitarie  passeg- 
giate quel  semplice  monumento,  mi  è  accaduto  di  pensare  che  niun'iscri- 
zione  meglio  di  questa  sarebbe  a  suo  luogo  sul  sepolcro  di  Gaetano  Ne- 
gri !  Sì,  la  natura  ha  accolto  il  vate  da  lei  generato  nell'augusto  suo 
tempio.  Il  sereno  e  libero  intelletto  che  proseguiva  di  tanta  inesauribile 
tenerezza  ogni  manifestazione  della  vita  e  del  bello,  ha  rinvenuto  sotto 
qualche  rispetto  un  fine  non  indegno  di  lui.  Non  patimenti  lunghi,  non 
prostrazione  lenta  di  forze,  non  la  vista  angosciosa  de'  propri  cari  spianti 
intorno  ad  un  letto  di  dolore  il  mancare  insensibile  ma  sicuro  della 
fiamma  vitale,  ne  funestarono  gli  istanti  supremi.  Egli  è  scomparso  d'im- 
provviso, come  già  un  dì  s'era  favoleggiato  del  siciliano  filosofo  curvo 
sul  cratere  dell'Etna  ad  investigarne  i  segreti  ;  è  scomparso  nell'integrità 
piena  delle  membra,  nella  gagliardia  poderosa  dell'ingegno  :  e  l'ultima 
visione  sua  è  stata  una  visione  di  bellezza.  Anche  una  volta  egli  posò  a 
lungo  l'occhio  rapito  sopra  la  conca  de'  colli  festanti,  sulle  rive  popolate 
di  case,  sul  mare  lucente,  digradante  nelle  lontananze  azzurrine  dell'oriz- 
zonte.... e  si  spense:  il  suo  nobilissimo  spirito  erasi  confuso  nel  gran 
tutto.  Questo  tutto  a  lui  —  Voi  non  ve  ne  siete  certo  scordati,  o  Signori  — 
parlava  di  Dio  ;  da  questo  tutto  giunga  ancora  e  sempre  a  noi  la  sua  cara 
parola  a  confermarci  in  quella  fede  cui  egli  dedicò  la  vita  intemerata  e 
laboriosa  :  la  fede  nella  scienza,  nel  progresso,  ma  —  sopra  ogni  altra 
cosa  —  nel  dovere  ». 


Quando  il  presidente  pone  fine  alle  sue  parole,  salutato  da  unanimi 
applausi,  il  conte  E.  Barbiano  di  Belgioioso  chiede  la  parola  per  espri- 
mere in  nome  suo  e  d'altri  consoci  la  brama  che  la  commemorazione  pro- 
nunziata dinanzi  all'assemblea  trovi  luogo  nel  prossimo  fascicolo  del  pe- 
riodico sociale. 

Riprendendo  il  proprio  discorso,  il  Presidente  passa  alle  comunica- 
zioni già  indicate  nell'ordine  del  giorno.  Ed  innanzi  tutto  dà  parte  ai  soci 
come  il  Comitato  direttivo  del  Congresso  internazionale  di  scienze  stori- 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ   STORICA   LOBIBARDA  507 

indagini  neirArchìvio  dell'Ospedale  Maggiore,  non  restano  più  che  po- 
chi fondi  privati  da  esplorare  :  sicché  se  non  si  può  dire  di  toccar  terra 
già  si  è  tuttavia  in  vicinanza  del  porto. 

Raccolti  gli  ingentissimi  materiali  rimasti  fin  qui  sconosciuti,  con- 
verrà rivolgersi  ai  fonti  stampati,  vagliarli,  e  quindi  metter  mano  alla 
compilazione  dell'opera  ed  alla  stampa  di  essa.  A  tutto  ciò  si  potrà  age- 
volmente provvedere  ora,  dacché  l'illuminata  generosità  dell'illustre  con- 
socio comm.  Elia  Lattes  è  venuta  anche  una  volta  in  soccorso  alla  no- 
bile iniziativa  sociale.  Il  Presidente  dà  infatti  lettura  di  una  lettera  del 
commendator  Lattes  di  cui  qui  si  riporta  il  testo  integrale  : 

Signor  Presidente, 

Mi  pregio  mettere  a  disposizione  della  Società  Storica  Lombarda 
L  L.  5000  (cinquemila),  colla  speranza  che  si  possa  cosi  compiere  sol- 
lecitamente e  pubblicare  il  nobilissimo  Codice  Diplomatico  Visconteo.  II 
relativo  chèque  sulla  Banca  Commerciale  sarà  consegnato  dove,  quando 
e  a  chi  Le  piacerà,  verso  presentazione  della  corrispondente  ricevuta. 

Sono  col  dovuto  rispetto 

Dev.  socio 

E.  LATTES. 
MilanOt  30  dicembre  igoa. 

Al  Signor  Presidente 

della  Società  Storica  Lombarda. 

Questa  lettura  viene  accolta  dai  più  fragorosi  applausi  dell'Assem- 
blea che  incarica  la  Presidenza  di  significare  al  generoso  oblatore  la 
sua  riconoscenza  più  cordiale. 

Il  Segretario  presenta  dopo  il  Bilancio  preventivo  per  l'anno  1903 
che  si  chiude  con  un  avanzo  presumibile  di  L.  1075,  e  che  l'Assemblea 
approva  senza  opposizione. 

Sono  all'ordine  del  giorno  le  nomine  del  Presidente,  dei  due  Vice- 
Presidenti  e  di  un  Consigliere  di  Presidenza  in  surrogazione  dei  signori 
prof.  dott.  Francesco  Novati,  marchese  Carlo  Ermes  Visconti,  nob.  av- 
vocato Emanuele  Greppi  e  dott.  Solone  Ambrosoli  —  scadenti  a  termine 
dello  Statuto  sociale.  L'Assemblea  unanime,  dietro  proposta  del  socio  conte 
Emilio  Belgibioso  vota  per  acclamazione  la  riconferma  di  tutti. 

All'unanimità  vengono  accettati  a  nuovi  soci  i  proposti  signori  Ca- 
passo  prof.  Gaetano,  Carozzi  ing.  Luigi,  Castelli  dott.  Franco,  Cicogna 
conte  Mario,  Mangiagalli  prof.  Deputato  Luigi,  Racca  prof.  Matteo  e 
Vittani  dott.    Giovanni. 

La  seduta  si  leva  alle  ore  16. 


//  Presidente: 

F.   N OVATI. 


//  Segretario: 

E.   MÒTTA. 


pervenute  kIIk  BibllotecK  Sociale  nel  IV  trimestre  del  1902 


Acta  Ecclesine  Mediolanensis.  v.  Rolli. 

Ambrosoli  Solone,  A  propos  ifune  médaille  siamoisf.  Estratto  dal  Bui- 
letlin  International  de  Numismalique,  Paris,  1903  (d.  d.  s.  A.). 

—  Aggiunta  alle  Medaglie,  del  Volta,  Milano,  Cogitati,  1903  (d.  d.  s.  A,). 

—  L'ombra  di  Carlo  Alberto  in  Campidoglio,  dal  portoghese  di  losè  Racnos- 

Coelho.  Milano,  Cogliati,  1902  (d.  d.  s.  A,). 

Atti  del  IV  Congresso  Geografico  Italiano.  Milano,  1902  (d.  d.  Comitato 
Esecutivo  del  Congresso). 

Baratta  M^  Per  la  edizione  nazionaìe  dei  manoscritti  di  Leonardo  da 
Vinci.  Lettera  aperta  a  S.  E.  il  Ministro  della  P.  /.,  Torino,  Bocca, 
1903. 

Barelli  Giusippk,  Documenti  dell'Archivio  Comunale  di  Treviglio,  Fi- 
renze, Arch.  Stor.  Italiano,  igoa  (d.  d.  A.). 

Bergamaschi  Domenico,  Cremona  possiede  veramente  i  corpi  dti  Santi 
Marcellino  e  Pietro:-'  Monza,  tip,  ed.  Artigianelli-Orfani,  1900. 


OPERE    PERVENUTE    ALLA   BIBLIOTECA    SOCIALE  509 

Fenaroli  GiuuANO,  //  primo  secolo  delfAleneo  di  Brescia  (1802-1902), 
Brescia^  tip.-lit.  Apollonio,  1902  (d.  dell'Ateneo  di  Brescia). 

GnjLiNi  Alessandro,  Vicende  feudali  del  Borgo  di  Parabiago, 

—  //  Gran  Cancelliere  Salazar  e  la  sua  Famiglia,  (Estratti  dal  Giornale 

Araldico)^  Bari,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

Covone  Uberto,  //  generale  Giuseppe  Govone,  Torino,  Casanova,  1902 
(d.  d.  A.). 

Lattes  Alessandro,  It  Liber  Poikeris  del  comune  di  Brescia^  Studio  sto- 
rico-giuridico, Firenze,  tip.  Galileiana,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

LuMBROso  A.,  Di  alcune  recenti  pubblicazioni  sulla  Rivoluzione  francese 
e  sul  primo  impero^  Pinerolo,  tip.  Sociale,  1899. 

—  L'Epistolario  di  Lodovico  Muratori,  (Estratto  dal  Fanfulla  della  Do- 

menica^ a.  XXIII,  n.  41),  Roma,  1901. 

—  La  Toscana  dal  2S  marzo  1799  al  20  maggio  1801^  1898. 

—  Di  Gabriele  Pepe  e  del  suo  duello  con  A,  di  Lamariine  (Estratto  dalla 

Rivista  storica  del  Risorgimento  Italiano ,  anno  III,  voi.  Ili,,  fase.  VI), 
Torino,  1899. 

—  Napoleone  in  Sani' Elena,  Il  Martirio,  Roma,  1902. 

—  Giuseppe  Fouché  duca  c^ Otranto  (1759- 1720),  Pinerolo,  1901. 

—  Attraverso  il  Mondo  antico  della  contessa  Gaetana  Locatelli  (Estratto 

dalla  Rivista  Storica  Italiana^  anno  XVIII,   fase.  V),  Pinerolo,  1901. 

—  Stenddhaliana,  da  Enrico  Beyle  a  Gioachino  Rossini,  con  una  lettera  ine- 

dita rossiniana.  (Estratto  dalla  Rivista  Storica  Italiana,  anno  XIX, 
voi.  I,  fase.  I),  Pinerolo,  1902. 

—  Documents  sur  taffaire  du  due  (fEnghien  et  sur  la  machine  infernale 

dU  }  nicóse.  Per  nozze  Cibrario-Pellegrini,  Roma,  1902. 

LuMBROSO  A,  e  Larroumet  G.,  Per  il  centenario  della  battaglia  di  Ma- 
rengo, Milano,  1900. 

NoLU  Gumo,  Sacco  e  vicende  di  Sesto  Cremonese  durante  la  guerra  di 
successione  di  Polonia  {J[7JJ-j6),  Cremona,  tip.  Fezzi,  1902  (d.  d.  A.). 

Rangoni  Domenico,  //  lavoro  collettivo  degli  italiani  al  Brasile,  Conferenza 
popolare,  Sào  Paulo,  1902  (d.  d.  A.). 

Ratti  sac.  Acidlle,  Ada  Ecclesiae  Mediolanensis  ab  eius  initiis  usque  ad 
nostram  aetatem,  voi.  II  et  III,  Mediolani,  Ferraris  ed.  MDCCCXCII 
(d.  d.  s.  A.). 

—  Due  piante  di  Milano  da  codici  manoscritti  vaticani  del   secolo  XV, 

Relazione,  Milano,  Bellini,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

—  Recensione  al  libro  di   Leandro  Biadene^  Carmina  de  mensibus  di 

Bonvesin  da  Riva.  Estratto   dal   Giornale  Storico    della   Letteratura 
Italiana  (d.  d.  s.  A.). 

—  Due  piante  iconjgrafiche  di  Milano  da   codici  manoscritti  vaticani  del 

secolo  XV,  Milano,  tip.  Pontificia  S.  Giuseppe,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

—  A  Milano  nel  1266  da  inedito  documento  originale  dell'Archivio  Segreto 

Vaticano^  Milano,  Ulrico  Hoepli,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

Regolamento  Igienico  Sanitario  dell'Ospedale  Maggiore  in  Milano,  Milano^ 
tip.  Cogliati,  1884. 


5IO  OPERZ    PERVENUTE  ALLA   BIBLIOTECA   SOCIALE 

RelaeioHf  delta  Visita  Pastorale  e  delta  Incoronazione  di  M.  V.  delSangut 

in  Re,  Novara,  tip.  G,  Miglio,  s.  a.,  (d,  d.  s.  G.  Vergani). 
Rotta  can.  Paolo,  Memorie  storiche  ed  inedite  sul  Capitolo  Ambrosiano. 

Con  4  Appendici.   Milano,  tip.  Patronato,  1901-1903  (d.  d.  s.  A.). 
Sacchetti  Sassetti  Angelo,  Le  scuole  puòblic/ie  in  Rieti  dal  secolo  XiV 

al  XIX  secolo,  Rieti,  Stab.  tip.  Trinchi,  1902.  (d.  d.  A.). 
Salvemini  G.,  La  storia  considerala  come  sciettea,  Roma.  Estratto  dalla 

Rivista  Italiana  di  Sociologia,  igoa  (d.  d.  A.). 
Sanvisenti  Bernardo,  Gli  incussi  di  Dante,  del  Petrarca  e  del  Boccaccio 

sulla  Spagna  del  quattrocento,  Milano,  Ulrico  Hoepli,  1903  (d.  d.  s.  A.). 


SiMONETTi  N.,  L'epistola  a  Cangrande  non  è  di  Dante,  Spoleto,  A.  Renali, 
ti  pogra  fondilo  re,  1903  (tf  d.  prof.  Novati). 

Secco  Suaroo  Gerolamo,  Lo  sgombero  della  suppellettile  libraria  inalile 
dalle  Biblioteche  pubbliche  e  la  Biblioteca  civica  di  Bergamo.  Bergamo, 
Istituto  Italiano  d'Arti  Grafiche,  1902  (d.  d.  s.  A.). 

VAI.EHTINI  Andrea,  //  palazeo  di  Broletto  in  Brescia,  Brescia,  tip,  Apol- 
lonio, lyoa  (d.  deir.\teneo  di  Brescia). 

yercrlli  nella  storia,  nelfarle  e  nella  vita  italiana.  Vercelli,  tipo.Jito 
Gallardi  e  Ugo,  1902  jd.  d.  s.  C.  Leone). 

WiRZ  Caspar,  Bullen  und  Breven  aiis  Italienisehen  Arctiiven.  in-8  Base!, 
Geering,  1902  (d.  dell'Editore). 

»j  dicembri,  rgoi. 

Il  Bibliotecario 
B.  Sanvisehtl 


IJ^DIO^ 


MEMORIE. 

Giuseppe  Calligaris.  Per  una  nuova  edizione  del  «  Liber  de 
gestis  in  civitate  Mediolani  »  di  fra  Stefanardo  da  Vi- 
mercate P<ig'        5 

Francesco  TARDUca.  Gianfrancesco  Gonzaga  signore  di  Man- 
tova (1407-1420).  Studi  e  ricerche  (Continuazione  e  fine)     .    »  33 

Giuseppe  Galla vresi  e  Francesco  Lurani.  L'invasione  fran- 
cese in  Milano  (1796).  Da  memorie  inedite  di  don  Fran- 
cesco Nava »  89,318 

F.  E.  CoMANL  Sui  domini  di  Regina  della    Scala   e   dei    suoi 

figli.  Indagini  critiche »        211 

Arturo  Segre.  Lodovico  Sforza,  detto  il  Moro,  e   la  Repub- 
blica di  Venezia  dall'autunno  1494  alla  primavera  1495    .    »        249 

VARIETÀ. 

Ezio  Riboldl  La  famiglia  di  Pinamonte  da  Vimercate  secondo 

nuovi  documenti A»^.    141 

Lino  Sighxnolfl  Di  chi  fu  figlio  Giovanni  da  Oleggio?    .        .    „        145 

Feuce  Fossati.  Le  prime  notizie  di  una   scuola   pubblica   in 

Vigevano »        156 

Giuseppe  Flechia.  Foscolo  e  Borsieri  (Nel  cinquantenario  della 

morte  di  Pietro  Borsieri) »        167 

Rodolfo  Majocchi.  Valenza  venduta  a  Pavia  nel  1207  (Docu- 
mento del  Museo  Civico  di  storia  patria  di  Pavia)  .        .    »        361 

Otto  Schiff.  Antonio  de'  Minuti,  il  biografo  contemporaneo  di 

Muzio  Attendolo  Sforza »        368 

Arturo  Magnoca vallo.  Notizie  e  documenti  inediti  intomo  al- 
l'alchimista Giuseppe  Borri »        381 


512  INDICE 


BIBLIOGRAFIA. 

Ettore  Verga.  —  //.  Simonsfeld.  Mailander  Briefe  zur  Baye- 

rischen  und  allgemeinen  Geschichte  des  XVI  Jahrhunderts.  Pa^.     172 

Michele  Scherillo.  —  Guido  Muoni.  Ludovico  di  Breme  e  le 
prime  polemiche  intorno  a  madama  di  Staél  ed  al  roman- 
ticismo in  Italia »         179 

X.  —  G.  Mazzoni.  Due  articoli  di  Giovanni  Berchet        .        .    »         183 

F.  N.  —  Giuseppe  Bonelli.  I   nomi    degli   Uccelli   nei   dialetti 

lombardi •     »         184 

A,  Ratti.  —  P,  Keltr,  Ueber  den  Pian  einer  kritischen  Ausgabe 
der  Papsturkunden  bis  Innocenz  III.  —  Papsturkunden  in 
Venedig v         401 

Luigi  Rollone.  —  Ludovico  Pepe,  Storia  della  successione  degli 

Sforzeschi  negli  Stati  di  Puglia  e  di  Calabria  .        .        .     »        412 

Artluo  Frova.  —  Francesco  Malaguzzi  Valeri.  Pittori  Lom- 
bardi del  Quattrocento »         422 

Ettore  Verga.  —  Alessandro  Giuiiiti.  Il  gran  cancelliere  Sa- 
lazar  e  la  sua  famiglia.  —  Vicende  feudali  del  borgo  di 
Parabiago ,        434 

Ettore  Verga.  —  Francesco  Lemmi,  La  restaurazione  austriaca 
in  Milano  nel  1814  con  ap{>endice  di  documenti  tratti  dagli 
Archivi   di  Vienna.  Londra,  Milano,  ecc.    ....     »         435 

F.  N.  —  F,  SavìJ.   La  legende   des    SS.   Fidèle,    Alexandre, 

Carpophore  et  autres  mart\*res ^        441 

F.  N.  —  E,  Muffii,  La  più  amica  descrizione  poetica  a  stampa 

del  Lagv>  di  Como •         442 

X,  —  A'f'ssandro  Li4::o.   Lev>nardo    Arrivabene   alla  corte  di 

Caterina  de*  Medici  (1549-1559) •         443 

APPl'NTI  E  NOTIZIE. 

In  menivìnani  Fel:vi>  Calvi.  —  La  chiesa  dì  Pescarenico.  — 
Ine  ino  e  la  sua  Pieve.  —  Un  viac^iatore  sconosciuto  drf 
>et>^l^>  XV?  uV.  CArPFLi^»,  —  11  ùùjxno  universale  profe- 
lìrra;^^  jx^r  :I  15^  F.  N>-  —  Congresso  intemazionale 
li;  >\':e:i.-e  <;.^r.o!;e,  —  Con.^^rso  a  proemio  .         .         .  P.2£^.    iBj 


Vi 


Anvvra  òeì  *  Prc^Nibìle  itinerar:.^  della  fuga  di  Ariberto 

ve<cvn-o  vi:  Milar..^  •  (Sae.  A.-R-vTn\  —  Il  ristauro  della 


INDICE  513 

chiesa  di  Rivolta  d'Adda.  —  Un  agrimensore  cremonese 
del  sec.  XV:  Leonardo  Mainardi  e  la  sua  opera  (F.  N.). 

—  La  concessione  della  torre  dell'imperatore  nel  1489  a 
Pietro  Panigarola  (Diego  Sant'Ambrogio).  —  Divorzio  e 
matrimoni  forzati  (E.  M.).  —  Libri  di  abbreviature  (E.  M.). 

—  Scriptores  Rerum  Germanicarum.  —  Lettere  di  P.  C.  De- 
cembrio.  —  Biblioteca  Civica  di  Bergamo.  Dizionario  to- 
pografico storico-bibliografico  dei  Comuni  e  delle  Frazioni 
del  Regno  d'Italia.  —  Indici  del  Casalis.  —  Congresso  in- 
temazionale di  scienze  storiche  in  Roma.  —  Errata-corrige.  Pag.    476 

NECROLOGIO. 

Luigi  Alberto  Ferrarj    (F.  N.).   —   Il  principe  Gian  Giacomo 

Trivulzio  (E.  M.)  —  Gaetano  Negri  (La  Presidenza).    Pag,  196,492 

ATTI  DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA. 

Adunanza   generale  del  giorno  21  dicembre  1902:  Verbale  e 

Commemorazioni Pf^g*    492 

Opere  pervenute  in  dono  alla  Biblioteca  Sociale  nel  III  e  IV 

trimestre  del  1902 «209,508 


Achille  Martelli,  gerente-responsabile. 


Milano  -  Tip.  L,  F.  Cogliati  -  Corso  P.  Romana,  17 


ARCHIVIO  STORICO 

LOMBARDO 

GIORNALE 

DELLA 

SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


SERIE  TERZA. 


MILANO 


LIBRERIA 

FRATELLI  BOCCA 
Corso  Viti,  Emon-,  ii 


ARCHIVIO  STORICO  LOMBARDO 

\J Archivio  Storico  Lombardo  si  pubblica  in  fascicoli  trimestrali  di 
12  a  15  fogli  di  stampa,  in  guisa  da  formare  ogni  anno  due  bei  volumi, 
talora  con  tavole  illustrative  dentro  e  fuori  del  testo. 

Le  associazioni  si  ricevono  presso  la  Ditta  Fratelu  B>cca,  librai 
di  S.  M.,  Corso  Vittorio  Emanuele,  21,  che  le  assume  in  proprio,  ai  se- 
guenti prezzi  : 

Per  r  Italia per  un  anno  L.  20  — 

Per  r  Estero m     m         n       »25  — 

Prezzo  dei  fascicoli  separati,  se  disponibili    .     .     .     »•     5  — 

Annessa  ^}V Archivio  è  poi  una  serie  dì  sl'pplementi  i  quali  escono 
a  liberi  intervalli  e  variano  di  prezzo  a  norma  del  numero  dei  fogli  di 
staìiìpa  onde  constano,  l  Supf'lentcnii  sono  mandati  in  dono  ai  membri 
della  Soctt^tà  Storiai  Lotìibarda^  ma  gli  abbonati  2àV Archivio  debbono 
pagarli  a  parte. 

1  SupplcììU'fiti^  usciti  sin  qui  alla  luce,  sono  ì  seguenti: 

Fas.  I.  Ottava  Rchiziont  deli* L'fficio  Rcginnalf  per  la  conser- 
vazione  dei  tnotitiììieìitt  in  Lombardia  41900»  a  cura 
di  G.  Moretti L.  i  50 

»     II.  Sti^^/o  bibliog ranco  di  Cartografia  rnilattesc  fuio  al 

ijoò  (looij  a  cura  di  E.  Motta  .         .         .         .       »  i  50 


HILHORIE. 

aCJ!!!  LF  RVTri,  I'  probar  te  ic-ic'anT  ì^La    fu^j   J:  Anbcrt3   ar,::TesccTo   dì   V   a  v>. 

di   u  :  *Us>  j-::j^ra.:o  i-ì^^i  :^   C.^.i  lavori Pii       ;» 

-^    i-.v-^^  ej    '  >;;.^  >:ì:u:.^  ^?    iì?ì        .        .  -       •* 

C\K'0  ,:  l;  l'.iK'Nr    t\> .:.  e  ^U"a.~■' e  <:o' .n>  i:  S   A'^i  io        .  ...•»• 

O(A0'\!<»  8v^^i\\0.    icrnjTjo.;.  -.:rrj    A  r-^:rr>-:o  i.  *  . -a    ,'c;«l  sììì    *»    s:*:n- 

•-.^cto  ^    \\i,.j;:;ì  \  .s^or:-  ce.  c^ja  ^;  Tj^./ì— j »        *. 

vx^.:  \\  I  e  \\  li         .  .        .  .  .131 

VARIETÀ- 

Vvv'l:    VVPWCO.  Lo  5m:^  d;  M:-i     ...  .  ...  .      :> 

<.v   :•    C-  ■        •^:ri:::. ,      •,, 

r*:0O  ^\\^A^L-^x^J:.X  L"::a  :e::erj  :— ^  ti  i.  S,  Cirt-^  a   -r'.^isra    e*- a   Cir^vr*  t 

j<:   i.  yl.^~:^:  e  <  a*  S.  Fpazc^^co .  .ir 

WBUOORVFIA        .        .  ^  ,      .^ 

S    rjri  i  :  F.   "^ .'..-,  -  A    J.     ->,-    -  r*    Fc  e  i-^-.-\    -  A.  Miizi    —  C    0-j>:^.  « 

.\PPIMI  E  NOTIZIE  .      „ 


■   e     ^• 


^        i   >-  i,     I     -.*     ^J-   -    \V     \    Cj->r*         —   ì  *    ■»    -^j 


*-V«w*  p«r>»*«Te  4  4  4i.ì.irt«wa  Nì>^ -i> 


FRATELLI  BOCCA,  EDITORI-LIBRAI 

già  DITTA  DUMOLARD 

TORINO   —   MILANO   —   FIRENZE   —   RO>fA 

1  2/,  Corso  Vittorio  Emanuele 


'»_  ■^''' 


OCCASIONE  ASSAI  FAVOREVOLE 


Sotto  disponibili  diverse  copie  dell'opera  del 

Marchese  F.  CUSANI 


STORIA  DI  MILANO 

dall'origine  (600  anni  avanti  Q.  C.)  ai  giorni  nostri  (1825) 

COX  CEXNI  STORICaS  TA  flS  TI  CI 

SULLE  CITTÀ  E  PROVINCIE  LOMBARDE 


8  VOLUMI  tN-i6.  —  Il  prezzo  di  catalogo  era  di  L.  16 

Ora  si  vende  Topera  completa  in  8  volumi  nuovi 

per  sole  L.   4 

Trattasi  degli  ultimi  esemplari  che  erano   rimasti  agli  eredi  i  quali  si 
decisero  a  metterli  in  vendita. 

L'importanza  e  la  serietà  della  STORIA  DI  MILANO  del  Cusani  sono  univer- 
salmeate  riconosciute.  —  É  un  libro  redatto  con  la  scorta  di  documenti  autentici,  con 
atnore  di  studioso  e  con  intendimenti  di  storiografo  sincero  e  provetto.  —  Il  Cusani 
è  forse  il  solo  che  abbia  narrato  minutamente  le  vicende  tutte  milanesi  dai  più  remoti 
tempi  Agli  albori  del  risorgimento  nazionale.  Nessuno  trattò  con  pari  diligenza  e  pre- 
cisione i  fatti  riferentisi  alla  dominazione  Napoleonica. 


Sano  pure  in  vendita  pochissiìne  copie  delT opera  di 

V.  FORCELLA 

MILANO  NEL  SEC.  XVII 

Un  volume  in-8  con  molte  illustrazioni  nel  testo 

Prezzo  di  copertina  L.  5 

ridotto  a  Lire  UNA 

Gli  acquirenti  fuori  di  Milano  dovranno  aggiungere  Cent.  60  per  le  spese  di 
posta  della  STORIA  DEL  CUSANI  —  e  Cent.  30  per  le  spese  di  posta  del  volume 
di  V.  FORCELLA. 


Dirigere   le  Commissioni   ed  il   relativo    importo    alla   Libreria    FRATELLI    BOCCA 

aiy  Corso  Vittorio  Emanuele»  MILANO. 


AVVISI  Al  SOCI 


**4  »  ■■ 


Dovendosi  compilare  il  puovo  Elenco  generale 
dei  Soci,  che  vedrà  la  luce  pel  prossimo  fascicolo 
iìitXX  JTrchwio  si  pregano  i  signori  Soci  che  avessero 
da  proporre  modificazioni  nella  loro  titolatura  e  do- 
micilio, a  darne  avviso  alla  Segreterìa  della  So- 
cietà entro  il  15  del  prossimo  febbraio  1903. 


1  signori  Soci  che  teoessero  a  prestito  libri  della 
Biblioteca  della  Società  sono  pregati  caldamente  a 
voler  ritornare  i  volumi  Dèi  più  breve  tempo  pos- 
sibile, avendosene  urcfente  bisogno  pel  compimento 
del  Catalogo  ed  il  riordinamento  della  Biblioteca. 


Ì(>MMMMMàkif.Mf>MÌi>MMMMMà^^. 


La  Sede  della  SOCIETÀ'  STORICA  LOMBARDA 
è  nel   CASTELLO   SFORZESCO,  dove  si  prega  di 

dirigere  manoscritti,  libri,  cambi  e  corrispondenze. 

Le  Sale  Sociali  sono    aperte  nella   Domenica  e  nel 
Giovedì  d'ogni  settimana  dalle  14  alle  '16. 


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